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LA TINA

EQUIVOCI RUSTICALI

IN CINQUANTA SONETTI

ANTOINIO MALATESTI

FIORENTINO

COMPOSTI NELLA SUA VILLA DI TAJA>"0

IL SETTEJ2BRK DELL'A^"^0 IfiST» E DA Lll ni.CALATI

AL GttAXDE POETA INGHILESE

GIOVAMI MILTON

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LONDRA,

A SPESE dell'editore

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NOTIZIA

INTORNO all'autore MANDATA A TOMMASO BRAND DAL DOTT.

GIOV. LA31I.

A.

Liitonio Malatesti cittadino fiorentino discese da un' antica e riguardevole famiglia, distinta in prima col cognome de' Griffoli, ed oriunda da Terranuova, castello nel territorio d'Arezzo. Suo padre fu Emilio figliuolo di Antonio di Malatesta di ser Giovambattista di messer Antonio GrifToli, il qual cognome fu mutato in quello di Malatesti mediante il suddetto Malatesta di ser Giovambattista; e nella persona di esso Gio- vambattista fu questa famiglia ammessa alla cittadi- nanza fiorentina l'anno d53i.

Nella Chiesa di Santa Croce di Firenze, presso al pilastro del pulpito^ si vede la sepoltura de' Malatesti, ove giace il nostro Antonio, consistente in un lastrone di marmo intagliato coli' arme, eh' è un campo diviso per lo lungo, da una parte rosso con un grifo nero di

cinghiale dentro, a cui allude il doppio cognome che ha avuto questa famiglia; e dall'altra parte è una banda per lo piano, composta di scacchi neri e d'oro in campo bianco; e aveva già questa iscrizione:

Jntonio Griffolo Jiir. Consulto de Terranova

Joannes Baptista FU. Patri de se opt. merito,

et sibi Posterisque suis posiiit Anno d503.

Die 2, lìlensis Januarij.

Dalla civiltà, tramandatagli da' suoi antenati, non tralignò già il nostro Antonio, il quale benché la for- tuna, 0 l'altrui consiglio lo facesse al negozio onore- volissimo della seta applicare, cominciò giovanetto a frequentare la celebre Accademia degli Apatisti poco dopo il principio di essa, e col letteratissimo Agostino Coltellini, dell'Accademia fondatore, con nodo di vir- tuosa amicizia si strinse; e perchè costume era di quei tempi che gli Accademici il nome si mutavano, egli converse il suo nell'anagrammatico di Jlamonio Tansettiy che poi iscambiò in quello di Jniinta Se- taiolo. In questa Accademia il Malatesti moltissime sue poetiche composizioni recitò, e spezialmente i suoi vaghissimi Sonetti Enimmatici, parte de' quali fu poi data alle stampe in Firenze nel 1725.

Componendo con grande ingegno e con vivezza e bizzarria seppe guadagnarsi l'amicizia e la stima di tutti i letterati fiorentini del suo tempo, e particolar- mente, oltre al nominato Coltellini, quella del gran

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Galileo, di Valerio Chimentelli, di Carlo Dati^ Fran- cesco Redi, e di Antonio Magliabechi, e molto fami- gliarraente visse con Lorenzo Lippi buon pittore e valoroso poeta, quegli di cui, sotto nome di Pedone Zipoli, abbiamo il giocondo Poema del lllalmantile : nel qual Poema il nostro Antonio è mentovato sotto il nome anagrammatico di Jmo stante Latoni, e il suo carattere vi è ritratto con la seguente propria e pia- cevol pittura, alludendo ancora all' essere egli stato di corpo adusto e gambe sottili:

È general di tutta questa mandra Àmostanle Laton poeta insigne; Canta improvviso come una calandra. Stampa gli Enigmi, strologa e dipigne; Lasciò gran tempo fa le polpe in Fiandra 3Ientre si dava il Gallo a certe vigne; Fortuna, che V avea matto provato. Folle eh" e^ diventasse anche spolpato.

Benché il Malatesti fosse molto tirato al comporre poeticamente, pure rivolse anco lo ingegno a studi più gravi e più difficili. Già fatto maturo prese a studiare r Astronomia sotto la direzione del dottore Ludovico Serenai, amicissimo del gran filosofo e matematico Evangelista Torricelli, e non mal profitto vi fece : mo- strò anzi che se, nell' adolescenza allo studio delle scienze si fosse dato, dottissimo uomo divenuto sa- rebbe. Egli è ben vero che la inclinazione sua più

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forte e più naturale era quella verso la Poesia ; e tanto amore e intenso a quella portò, che non solo in tutto il corso non breve di sua vita egli continua- mente compose, ma altresì con efficace attenzione e diligenza andò copiando quante poesie volgari, e ogni genere non ancora stampate potè raccogliere, talché un ijel numero di Libri o Zibaldoni ne venne a formare; da' quali poi Carlo Dati scelse la maggior parte di quelle da esso stimate migliori, e fattele da Valerio Spada colligiano ed eccellente chirografo ri- copiare, furono in più tomi mandate l'anno 4652 nella Svezia alla regina Cristina dal principe Leopoldo di Toscana, che fu poi cardinale. Gli Zibaldoni del Ma- latesti furono dopo la sua morte gettati alle fiamme^ perchè molte composizioni contro i buoni costumi contenevano.

Se il nostro Autore riusciva degno di lode nelle opere che al tavolino lavorava, e' si faceva anche conoscere per molto vivace e leggiadro nello improv- visare, per la qual cosa, oltre all'universale applauso, si meritò la grazia ed il favore de' principi Lorenzo e Mattias di Toscana^ i quali essendosi di lui frequen- temente serviti per comporre ottave, canzoni e car- telli in occasione di mascherate, di calci e di giostre, nel fecero rimunerare dal granduca Ferdinando II con un impiego nell' Officio del Sale; e allora fu che egli abbandonò il negozio della seta, attendendo dili- gentemente a questo sino alla morte, che accadde r anno 1672 il 27 di dicembre.

Compose il Malatesti i graziosi Brindisi dei Ci- clopijim grandissimo numero di Sonetti Enimmatici, il Don Tarsia, la Bita, il Capitano Comico, la Bella spiritata, le Poesie liriche, le Poesie sacre, e un buon numero di Capitoli, ed altre cose gravi che giocose^ onde ben si può dire eh' egli entrò in compagnia di coloro che a ben far poser gV ingegni.

Di lui fecero onorata menzione, oltre Paolo Mi- nucci nelle Note al 3Ialmantile sopraccitato, il Col- tellini in varie sue opere, Giovammario Crescimbeni in più luoghi de' suoi Commentarj aW Istoria della volgar Poesia, e il gesuita Giulio Negri nell' /sforia degli Scrittori Fiorentini.

De' suoi Sonetti di equivoci rusticali intitolati la Tina non si aveva notizia. Egli dee averne regalata ima copia scritta di sua mano al celeberrimo inglese nominato nel frontespizio, e da quella copia appunto la presente fedelmente è tratta.

INENGIO ALLA TINA

Non ti maravigliare, o Tina, se io nato tra le solle, e più avvezzo a manefjfjiure la vanga che a impiastricciar i fogli, mi son lasciato imbecherare da certi perdigiorni, che fanno quassù in contado dar le mosse ai tremuoti, a compor versi a mazza- stanga, perchè V aria qui d'intorno a Firenze lo dà. Non vedi tu che, per tutto dove Vuom sia, alza una lastra e salta su un poeta? Io non per altro ho di- ritto lo stile verso di te, che per mostrarti quanto io son cotto del tuo amore; e sappi che tutta la notte mi sto colla penna in mano stropicciando la vena al mio cervello, stillando V ingegno a gocciole su queste iantafere. Accettale cortesemente, o Tina, e se lo stile a prima vista ti pare grosso, con la tua efficacia compisci il suo difetto, perchè io scrivendo a vanvera ho fatto d" ogn" erba un fascio, e sono andato me- rlando così il can per V aja per isfogare la rabbia

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che mi mamica per il martello ch'i' ho de' fatti tuoi; e se ti pare di i abbia preso vento^ cioè che tiel pia bello del lagoro io sia già arrenato ^ tu sai che chi fa falla, e gli erra, come dice il proverbio, il Prete alV altare. Non ci posso far altro; e s'io ti do tutto quel poco di talento eh' io mi trovo, non mi pare che tu ti debba dolere: conosco bene che la tua crudeltà è tanto grande, e la mia cattiva fortuna è tale cliio non posso toccare il fondamento della causa del mio penare, commuoverti a compassione di me;: anzi quanto più grattando il corpo alla cicala, più tu fai formicoìi di sorbo, e tene stai soda al macchione ponendo, mentr'io favello, una vigna, e lasciandomi predicare a' porri. E so molto bene che queste mie caccabaldole ti danno piuttosto ricadia che alleg- giamento, e che tutto questo avviene perchè tu hai paglia in becco. Scasimodeo ! tu hai truovo qualcun di questi foramelli, che fanno il ser saccente o il tut- tusalle, che ti gaveggia di soppiatto, ma se il diascolo fa che io me n' addia, e che io metta- fuoco alla bom- barda, ti mostrerò che io son buono per farla a te e a lui. In di dieci, senra stare a dirgli che vadia alle birbe e badi a' fatti suoi, gli canterò una zolfa che gli parrà forse più infruscata che non è il vespro degli ermini, perchè tu sai che a me non mancano i rìiodi per far delle bischenche a uno quando i voglio; e non gli gioverà l'andare con il cahar del piombo : tanto anderà il mucino al lardo eh' e vi lascierà la zampa j e conoscerà poi eh' e' gli sta il dovere, e vedrà

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quel che (jV interviene a chi rompe V uova in bocca alla brigala: benché io faccia la gatta di Masino^ 0 per dir meglio^ il ser Fedocco, Tina, i' conosco il pel nelV novo, perchè ho pisciato in più d' una neve, e quando il tuo diavol nacque il mio andava alla panca. Scusami s' io parlo troppo : la passione è quella che mi muove il limbello in bocca : io non posso sentire tutto il giorno qua in vicinanza tanti cicaleggi che legghino sempre in sul mio libro, per' che e^ mi par d' essere diventato lo spazzaforno di questo paese. Altro non ho da dirti; leggi queste Poesie che io ti mando^ non per pascerti di parole, ma per mostrarti la via del venire ai fatti. Sta sana, e voglimi beìie coni'' io voglio a te.

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SONETTO I.

Equivoco sopra il sonetto con la coda.

Questi sonetti, o Tina^ che ho composto Me gli ha dettati una Musa buffona Cantando d' improvviso alla carlona Sul suono, spinto dal calor del mosto.

E s' io fo mal, face' egli : io son disposto Così di metter la poesia in canzona; Or tu guarda a colui che te gli dona. Non al presente eh' è di poco costo.

Sol per tu' amor gli ho fatti e scritti in fretta^ Non perchè 'i mondo me ne doni loda; Ch'i' non curo l'allor sulla berretta.

Quest'altra volta, perchè più tu goda. Dacché se' larga di natura^ aspetta Da me tutti i sonetti con la coda.

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SONETTO II. Sopra V alzar lo stile

Tina, i' so legger bene e rilevato La storia di Liombruno e Josafalte ; Sebben per esser nato in queste fratte Sotto il Maestro mai non sono stato.

E il Sere del Dificio m' ha giurato, Quand' egli ha visto le poesie che ho fatte, Ch' elle son belle, e i piedi in terra batte, E vuol eh' i' mi sia a Pisa addottorato.

Io canto quand' i' son ben ben satollo. Sul chitarrin con boce sottile Ch' io ne disgrado insin Maestro Apollo.

Vien un poco da me, Tina gentile.

Che s' egli avvien che tu mi segga in collo Mi sentirai ben tosto alzar lo stile.

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SONETTO III. Sopra il bere il brodo di castrato.

Queste disgrazie non si danno a patti. Tina, tu hai la febbre e la trascuri, par che della vita tu ti curi. Come il morir sia baja: Oh siam noi matti ?

Non bisogna indugiar quand' un i tratti A medicarsi acciò che '1 mal non duri : Tu non mangi e non bei, t' assecuri Sopra i medicamenti eh' io ti ho fatti.

r ho cotto una lacchetta di castrato, E fatto una pappina acconcia in modo Che il pizzicor ti metterà al palato;

Ma che tu ingozzi il mannerin non lodo. Basta, se hai stomacuzzo raffreddato. Che tu lo poppi, e poi ti bea il brodo.

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SONETTO IV.

Sopra il mal del granchio.

0 Tina^ i' sento dalla gente dire.

Che il mal del granchio spesso ti noja, E che allor par che tu tiri le quoja, Raggrizzì tutta, e mostri di basire.

Non gna farsene beffe, egli è un martire Che a risico si va eh' un se ne muoja : r ho un medicamento eh' è una gìoja, E presto senza duol ti vo' guarire.

Quest' è un anel, dov' è della gran bestia Un pezzo d' ugna, e possoti bel bello Con esso liberar d' ogni molestia.

Porgimi '1 dito Tina, eccolo, vello ;

Se vuoi che '1 granchio parta, con modestia Lascia ch^ io te lo metta nell' anello.

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SONETTO V. Sopra V Jrista e la Salsiccia.

Stasera, o Tina^ eh' egli è carnesciale, E che a pusigno invitansi i parenti. Tu che macini bene a due pahnenti Se vien da me non se' per istar male.

r ho messo con del pepe e con del sale. Con uve passe ed altri condimenti Una vivanda da allegarti i denti A fuoco or in un pentol badiale.

Quest' è una fetta d'arista amorosa, Ed un po' di salsiccia col finocchio. Che non sentisti mai la miglior cosa.

E perchè tu non m' abbi a far mal occhio, E gridar che la carne sia tigliosa, L' arista torrò io, tu torra' '1 rocchio.

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SONETTO VI.

Sopra la Beccheria.

Tina^ ogni volta che tu va' al macello Per qualche lonza^ questo tuo beccajo, Ch' è un tentennone^ rubati il denajo E un gran pezzo ti di tarantello.

So che non tocca a me la cosa^ e pajo Prosontuoso^ ma per ben favello : Vuo' tu esser di costui sempre zimbello Come gli uccei presicci al paretajo?

Tina^ va' a casa, e a tua Ma 'n un tratto Puttanaccia di me, se mi mandate Più per la carne^ i' la vo' dare al gatto.

Poi forte a tuo Pa : Non vi crediate Ch' io voglia più andare a nessun patto Se sopra voi la beccheria non fate.

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SOI^ETTO VII.

Sopra il montar sul Fico.

Tina, questo tuo fico castagnuolo È così liscio^ e i rami ha così alti. Che r adoprar le mani e i pie non vaiti Per andar com' uccello in vetta a volo.

Tu se' per starci tutto il a pinolo Or con lanci provandoti or con salti, E non far altro al fin di tanti assalti Che sudar senz' alzarti un pie dal suolo.

Ma sta, che farti un tal servizio io posso : So ben il modo, e come vi si sale ; Sta allegra, Tina, or or te lo do scosso.

Abbassa il capo e appoggialo al pedale. Che se fai ponte e eh' io ti salga addosso Vi monterò ben su senz' altre scale.

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SONETTO Vili. Sopra il tessere.

Tina, quel panno che tu m'hai tessuto È floscio che al tasto non sente, Cresposo e rado come un filindente. Mal ordito, mal fatto, e mal tenuto.

Tirar le casse a te non hai saputo In quel che il cannellin sfilar si sente, 0 il male dal tener la tela lente, 0 dal tirar le calcolc è venuto,

0 dal pettin che or non è più stretto Gom' era già quand' un po' po' bagnato Tutto l'ordito entrava e usciva netto.

Ora il tempo te l' ha tanto allargato Che a far che '1 fil riempia il canaletto Vuol esser con la crusca imbozzimato.

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SONETTO IX. Sopra il rissarsi.

Tina mia beila, quando tu lagori

Nel campo, e clie '1 Padron ti viene attorno. Ti rizzi a un tratto, e poi gli da^ 'l buon giorno E ti fa' 'n viso di mille colori.

Ma non si fan già a me questi favori, Eppur sei volte il parto e ritorno : Gna eh' i' sia proprio qualche perdigiorno Da che tu non ti rizzi e non m'onori.

Chi è ben creata come si conviene Rizzasi a tutti : a me '1 can mi s' aizza Per più dispetto, e voltansi le rene.

Può fare il cielo! ho pur la grande stizza! Che differenza e' è tra lui e mene Che al Padron sempre e a me mai non si rizza?

SONETTO X. Sopra la Gamurra.

Le donne la gamurra oggi si fanno Recipiente agli anni ed allo stato^ Chi di rovescio, chi d'accordellato, Tina mia bella, e chi d'un altro panno.

Molte col pelo e molte senz' l'hanno. Di perpignano s'usano un buondato. Ma quelle di rovescio accottonato Più bel vedere ma minor util danno.

A me mi pare che sia degna di loda, E più da quei e' hanno la man callosa, Quella eh' è liscia e di pannina soda.

Che para l'acqua, e quand' ella è fangosa Si netta; ond' io gridar vo' eh' ognun m'oda La tua mi piace che non è pelosa.

SONETTO XI.

Sopra il ber V Uova.

Tina, ho veduto che quando tu hai male Cuocer ti fa tua Ma sotto la brace Un uovo fresco, e non può dar pace Se non l' ingoi bazzotto e senza sale.

E tu fai la svogliata e l'hai per male, . Ma air appipito poi non ti dispiace. eh' a un tratto risani e piìi vivace Mostri quella tua faccia imperiale.

Tua Ma è avara, che s' i' fussi lei. Quando la febbre ti raaniica e stroppia. Più presto e meglio assai ti guarirei.

Perchè non far la medicina doppia ? Deh vien da me quando malata sei Che se vorrai te ne darò una coppia^

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SONETTO XII. Sopra V infornar il pane.

Ieri il pan che al padron, Tina, infornasti. Perchè era tondo e di gran bianco lutto. Venne dentro e di fuor tutto riasciutto, E in somma tal che tu lo contentasti ;

Ma il mioj perch' era a picce. Io lasciasti Ardere in mo' eh' i' non ne cavo frutto. Forse è male stagionato e brutto Perchè alla peggio il forno tuo spazzasti.

Tu mi risponderai, che questo avviene

Perchè '1 suo me' s'inforna; e i' ti rispondo Che i buon bocconi piacciono anche a mene;

E da qua innanzi anch' io, poter del mondo ! Perchè tu me l' inforni e quoca bene Voglio ancor io, come il padrone, il tondo.

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SONETTO XIII. Sopra il sonar lo zufolo.

Tina, più volte m' hai detto e ridetto

Quando nel bosco i' sto guardando i buoi. Che maggior gusto al mondo aver non puoi Che sentirmi sonar quel zufoletto.

Se da me vieni un giorno, i' ti prometto Più sonate insegnarti che non vuoi ; Prima sonerò io ben bene, e poi Ti porrò in mano un zufolo perfetto.

Il suono è bello, ma non creder mica Che quella boce che bene rintocca S' impari mai senza durar fatica ;

Sempre nel buco col dito si tocca.

Ma il tutto sta, se vuoi eh' i' te lo dica. Nel saper ben tener la lingua in bocca.

4

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SONETTO XIV. Sopra il pescare i Granchi.

V ho preso questa zucca e questa zappa Per cercare di due granchi tenerelli, Tina^ quaggiù per questi borratelli Dove chi sa pescar molti n'acchiappa.

A me di rado e pochi me ne scappa.

Che sprezzo i morsi, e piglio i brutti e i belli, E s'egli è vero, senza i' ne favelli. Il padron lo può dir che se li pappa.

Ma se la luna è scema, oh caso strano ! Dentro son voti, e '1 guscio solamente, Quand' un ne pigli, ti rimane in mano.

Tina, tu che se' astrologa eccellente.

Fammi veder, perch' i' non peschi in vano. Se la luna or è scema, o se è crescente.

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SONETTO XV. Sopra il rassettare serrami.

Il tuo macinatoio ha ogni serrarne Per la vecchiaja rugginoso e guasto, E se la prova vuoi veder al tasto, E s' i' dico bugie dimmi po' infame.

Se rassettar lo vuoi, senza che chiame I magnan, che son asin senza basto, Vien per me, che ben l'acconcio e impasto Che tutti i ladri ci morrian di fame.

Queste man per tanaglia e per martello Mi servon tanto ben, che senza troppa Fatica appicco e spicco il boncinello.

Tu dirai poi eh' i' sia d'oro una coppa S' io ti metto di dietro il chiavistello E t'ungo la stanghetta della toppa.

SONETTO XYI. Sopra il dormire scoperta.

Tina, tu dormi sola in sul saccone Senza di questa brezza aver paura j E perchè t'hai cattiva diacitura Butti in terra 'i lenzuol spesso e '1 coltrone.

Io veramente n' ho compassione.

Che mentre sta scoperta una creatura Può beccarsi su ben qualche freddura E in quattro giorni andarsene al cassone.

Se tu vieni a diacer nel mio stramaccio,

Ancor che caschi un panno eh' io v'ho grosso. Non averai di ricoprirti impaccio,

Ch' io ti ricoprirone il me" che posso, E se non vai la coltrice e '1 piumaccio Mi ti porrò sin con la vita addosso.

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SONETTO XVII. Sopra il menare il Bue.

Vien oltre^ o Tina, e' m' è scappato il bue, E a rompicollo va per quella stoppia : Ohehoi ! vedi s' e' corre ? egli si stroppia Se da que' greppi tombola all' ingiue.

Almen questo e' ho in man mena un po' tue Tanto che con quell' altro il giunga in coppia Venga l' assillo insin eh' ei non iscoppia ! Diluviate disgrazie! eccene pine ?

Io non mi curo eh' e' mi sia menato, Quand' i' ho tempo e posso far di meno. Che veramente mi pare un peccato ;

Ma or, tanto che gli esca quel veleno. Se menarlo non vuoi, tienlo legato Perchè a casa da me poi me lo meno.

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SONETTO XVIIL Sopra lo scodar le Galline.

Tu hai scodate tutte le galline, Tina, perchè le facciano più uova ; Ma tu te n'avvedrai presto alla prova Che in zeri torneranti le diecine.

Tu l'hai malconcc le poverine Ch' erbe eh' elle si becchin lor non giova Questa ricetta scritta i' non l'ho trova, E ho letto un libro dal principio al fine.

Oh ora si che sterili saranno !

Va, dì, che pur un tuorlo tu ne goda ! E se tu hai fatto il mal sarà tuo danno.

In cambio d' acquistarti utile e loda Tu ne se' per star mal tutto quest' anno, Perchè l'uova non ha chi non ha coda.

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SONETTO XIX.

Sopra V imboUare.

V are' bisogno, Tina, or eh' e' s'imbotta Questo poco (li vin che s'è raccolto. Perchè '1 mio peverin m' è stato tolto. Oggi della tua pevera a buon otta.

Ma i' sento dir eh' eli' è mal condotta Gh' ella non ne ritien poco molto : r vorrei ben saper chi è quello stolto Che con poca gralzia te 1' ha rotta.

Tu sai che prima, quando la teneva : La si sarà prestandola scommessa, Meco tutta la gente ti diceva.

Or che farai eh' ella non par più d' essa ? Pazza che se'! bastar pur ti doveva Salvarla allor che tu l' avevi fessa.

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SONETTO XX.

Sopra il cavare il Grillo.

Tutta la gente va a Monte Morello, Tina, doman che vi si fa la festa De' Grilli, e a casa pur un sol non resta 0 di Campi, o di Sesto, o di Castello.

Anch' io vo' andar, se però '1 tempo è bello. Che non e' è fiora più nobil di questa ; Se ancor tu vieni, anderem qua per la pesta Tu sulla ciuca, ed io suU' asinelio.

Ma to' una gabbia teco ; io con lo spillo, 0 con un fiiscel lungo in man eh' i' abbia, Del buco fuor farò scappare il grillo.

Tiri pur calci e sputi per la rabbia. Perdi' e' t' insegni a mezza notte Vivo lo caccerò nella tua gabbia.

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SONETTO XXI. Sopra la faverella.

S' io ti veggo menar la faverella,

Tina, anch' io tutto quanto mi dimeno, E per dolcezza quasi vengo meno Sentendo il cuor che dentro mi saltella.

Ne 'ogojerei da me una metadella,

E vorrei sempre averne il corpo pieno; L'altre civajej ancor che buone sieno. Mi van tra la camicia e la gonnella.

Par eh' i' esca della Torre della Fame ! In modo l' appìpito mi si drizza Quando scoperto mostrimi il tegame ;

Ma tu mi fai venir la grande stizza In quel punto, se avvieu che alcun ti chiame, Che fai per fretta che fuor l'olio schizza.

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SONETTO XXII. Sopra il ripescare la secchia.

V ti sentii gridar jer con la vecchia Mentr' ero al campo a seminar le vecce, E quasi v' acciuffasti per le trecce Perchè nel pozzo ti cascò la secchia.

Scusala, eli* è caparbia perchè invecchia E aspetta dalla morte aver le frecce, E tu che hai da competer le cortecce Alle sue grida non prestare orecchia.

Or, se la secchia t' è cascata in fondo Senza manico avere e senza nocchio. Non è per questo rovinato il mondo j

Io, e' ho gli uncin, senza tenerti a crocchio. Tanto frugando andrò giù nel profondo Che te l'infilerò giusto nell' occhio.

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SONETTO XXIII.

Sopra le pesche.

Tina, jer l' altro nel mio castagneto Battei da i ricci non so che marroni, E me n' empiei le tasche de' calzoni Per farti quattro succiole in segreto.

Ma Ciapin tuo fratel, eh' è un indiscreto. Vedendomi lontano andar ajoni; Pigliando il tempo, oh ve' che discrezioni ! Mi scosse il pesco e' ho dall' uscio dreto.

Ma, se non era per tu' amore, il ghiotto Me le posava quivi fresche fresche, E guai a lui se mei cacciavo sotto.

Tu sai eh' i' non comporlo simil tresche, E eh' i' son uomo scorrubbiato e rotto, E eh' io vo' torre e non vo' dar le pesche.

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SONETTO XXIV. Sopra il pagare la Fiera.

Ogni prima domenica dei mese

r t'iio a pagar la fiera all' Imprnneta, Tina, e tu sai eh' i' ho poca moneta rsè posso sopperire a tante spese.

S' i' avessi robba i' sare' ben cortese.

Ma non ho chi per me vendemmi o mieta ; r ho sol questi due campi, e fo dieta Se la gragnuola sciupina il paese;

E tu vuoi sempre qualche acconciatura. Che costa un mondo, di quel nastro rosso, E poi quindici giorni il più ti dura ;

Ma or ti dico, perchè più non posso. Dove i' ti davo un giulio a dirittura Sol da qui innanzi ti vo' dare un grosso.

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SONETTO XXV.

Sopra il corre le fave.

Tina, jer l'altro vedditi appiattata Tra i mìei baccegli, e tanto vi badasti Che fattone una buona corpacciata Almanco per tre ti satollasti;

Poi lasciando i pedali o rotti o guasti Facesti via fuggendo una risata^ Ma se torni per quei che son rimasti Te ne vo' dar sgranati una grembiata.

De' baccegli non creder eh' io mi curi. Torna per essi, io non me ne querelo, E scegli de' più grossi e de' più duri :

Ma non mandar poi tu le strida al cielo S' io colgo di que' frutti ormai maturi Che sono in sul tuo fico e in sul tuo melo.

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SONETTO XXVI.

Sopra il far la gramigna.

0 Tina, se no' andiamo sotto la vigna Da quel divelto di viti d'Albano, Porta la cesta ed una marra in mano Ch' i' vo' che noi facciam della gramigna.

Non vo' eh' abbia a sgridar la tua matrigna Che la giornata tu consumi in vano ; Con essa piena tornerai pian piano, Ond' ella non farà la cera arcigna.

Tu zappandola ben la netterai

Dalla terra, e po' a me, che nella gora Te la lavi ben ben, la porgerai ;

E tratta poi ben risciacquata fuora Al mulo del padron dar la potrai. Che più nianuca assai che non lavora.

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SONETTO XXVII.

Sopra il seccar la peschiera.

Tina mia cara, oggi il padron m' ha detto Che in tutt' e modi vuol che questa sera Si voti affatto e secchi la peschiera Per far de' pesci non so che banchetto

Io, che non posso metterlo ad effetto

S' un non m' ajuta e mostra la maniera. Perchè so quanto in questo tu se' fiera Stasera meco in compagnia t'aspetto

Scalzo e sbracciato quivi i' mi riduco, E come l'acqua sarà un po' calata Farò vederti se que' pesci i' sbuco;

Tu starai con la rete spalancata

A me dinanzi, mentre i' sturo il buco, A ricevere i pesci alla cavata.

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SONETTO XXVIII. Sopra il dar bere ai Castroni.

V veggOj 0 Tina, il tuo castron brinato Sempre dal branco andarsene lontano ; Tu deveresti, s' egli cieco è nato^ Quando e' bisogna pur menarlo a mano.

ti dovrebbe già parere strano Far quest' ufiìcio essend' egli malato. Sai che l'ingratitudine è un peccato Che '1 Prete vuol che no' '1 tenghiam lontano.

Sarebbe d'una donna atto gentile Menarlo al fonte prima che, a diacere Con l'altre bestie, andasse nell' ovile ;

E se non ti scostassi dal dovere

Vedresti, ancor eh' un animai sia vile, Ch^ è carità menar un cieco a bere.

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SONETTO XXIX. Sopra il mangiar l' Jgnello.

Ognor che con le pecore in pastura Quinentro vo' ne' sodi dal Viviiola, Sempre qualcuna il lupo me n' imbola E se la porta via senza paura ;

Ma jeri l'acchiappai per mia ventura

Che appunto avea un agnel quasi che in gola^ E fattogli col cane una gran fola Glielo feci posar sulla verdura.

Eccolo^ 0 Tina^ scorticato e netto : Portalo a casa e cuocinelo tosto Gh' una cena farem come un banchetto.

Dar le parti dinanzi a te ho proposto. Le rigaglie a comun sieno e '1 guazzetto, E per me tor quelle di dietro arrosto.

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SONETTO XXX. Sopra il versar della botte.

Tina mìa bella, i' so che la tua botte.

Dove unguanno imbottato hai l'acquerello, Canchigna! tutto il ber manda in bordello Perchè gocciola forte e giorno e notte.

Chiamami perdi' io venga a tutte l'otte A ristuccarla senza oprar coltello ; Pur che non sia squarciato lo sportello. Muffato il fondo, e sian le doghe rotte.

Ti turerò ogni buco ed ogni fesso, 0 Tina, in carità, perch' i' non faccio Questi servigi mai per interesso:

E mentre stoppa per di dietro caccio Dinanzi metterò 'n un tempo istesso Una cannella eh' è come il mio braccio.

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SONETTO XXXI.

Sopra il sushi torto.

Tina, quel mio susin che nel divelto Unguanno fu da me sotterra fitto^ E eh' i' avea pel più bello e '1 più diritto Tra cento e più rimessiticci scelto ;

Dove prima venia disteso e svelto Col capo all'erta, ora si piega afflitto In modo tal eh' i' dal dolor trafitto Poco raen che da terra or non l'ho svelto;

trovo modo o via eh' egli s' arrenda. Che s' io lo lego al pai con le ritorte Mi par sempre veder eh' e' si scoscenda ;

Tu sola il puoi risuscitar da morte, C hai nelle mani una virtù stupenda Che fa drizzar tutte le cose torte.

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SONETTO XXXII.

Sopra il lavorar V orto.

Tina, tu vieni a lavorarmi l'orto Con la tua marra, e zappi di rado Ch' io te ne so, per dirtela, il mal grado, E quasi a male stento lo comporto;

E se non fussi che rispetto io porto Perdinci a tutto quanto il parentado, Te la torre' di man quand' ì' ci bado Perdi' i' conosco che tu mi fai torto :

Non vedi che proOtto alcun non fai, E butti il seme via col lavorìo Sebben ti fai tener donna d'assai?

Deh lascia star, che molto me' poss' io Lavorar con la zappa che vedrai Il tuo giardino a te che tu a me il mio.

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SONETTO XXXIII. Sopra la Golpe.

Ieri nel mio pollajo entrò la golpe Allargando l' imposta alla finestra Fatta di pruno^ vetrice e ginestra^ E d' un cappon mangiò l' ossa e le polpe.

Ma voglio che '1 padron me solo incolpe S' un non gli fo recer la minestra^ L' acchiapperò ben io, sia furba e destra, E questa sconterà con l' altre colpe.

Presa eh' io l' averò farem cavelle, 0 Tina, andando per la vicinanza L' uova accattare, e mostrerem la pelle ;

E la sera, tornati alla mia stanza. La metà n'averai delle più belle Sebben d'un pajo io so che te n'avanza.

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SONETTO XXXIY. Sopra il Nibbio.

Tina, ve' '1 nibbio che cala^ olà. Senti la chioccia che grida ciò ciò Perchè i pulcini ricoprir non può Con r alle or che sen vanno e qui e qua.

Va gridando: scioca, scioca, va. Tu non ti muovi, tu non gridi? ohibò. Ecco, già n'ha pres' uno! un altro! oh chò, Il branco questa volta scemerà.

un po', quest' anno come darai tu I capponi al padron, Tina, e da che Trarrai dodici serque d' uova e più ?

Io non ci vo' pensare ; in quanto a me Ti dico sol che s'egli vien quassù Tutto il peso sarà sopra di te.

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SONETTO XXXV.

Sopra il mangiar le fave.

V t'ho veduto manicare in fretta

Fave raarzuole, e tanto aprir la bocca Che ben eh' una per volta ve ne metta Ella va in corpo e nessun lato tocca.

Gli è una vergogna ed è una cosa sciocca Che non sta bene ad una giovinetta. Che se non è la mamma che l'imbocca Tu non la sai accomodare stretta.

Già che la gente non era astuta. In queste cose la non si guardava. Ma oggidì pare eh' ogni cosa puta.

Imperò, Tina mia, se non ti grava. Quando tu ti satolli, e se' veduta. Aprila tanto che v' entri una fava.

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SONETTO XXXVI. ^S'opra il Cane.

Talvolta i' sto a veder, Tina mia bella. Quando a ruzzar tu te ne stai col cane, E che gli metti in hocca il cacio e '1 pane, E ti lasci leccar sin la scodella.

Che il zotico sta mogio e non saltella, ti fa festa con maniere umane. Anzi abbaiando con boccacce strane Or ti morde la scarpa or la gonnella.

Deh se in quel cane i' fussi trasformato Verrei ben tosto a succiar su la broda : Quando con quel fussi chiamato

Lascerei gli ossi e ogn' altra cosa soda, E quand' i' fussi poi ben satollato Ti starei innanzi a dimenar la coda.

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SONETTO XXXVII. Sopra il dar le noci.

Tutto il popolo grida a viva boce

Ch' io sono un ingrataccioj un ignorante. Perchè quel giorno eh' io battei le noce Non te le messi innanzi tutte quante.

Tu sai eh' io dissi : pigliatene tante

Che tu non m'abbia a metter poi più in croce; Ma s' io non sono ad empierti bastante La sporta, il male a me molto più cuoce.

Tina, tu l'hai, per dirtela, grande Ch' un come me mendico si sconforta A poteri' empier da tutte le bande ;

Però con pazienza tei comporta

Se tu non vuoi riempierla di ghiande. Che per me troppo larga è la tua sporta.

7

30

SONETTO XXXVIII. Sopra il popone.

V vo a Firenze, o Tina, dal padrone Per veder se del gran mi vuol prestare, E perch' i' non ho altro da portare Va un po' nel campo e recami un popone.

Ma lo vorrei di tutta perfezione. Grosso e di peso e con le fette rare, Ch' è difficil poterlo contentare Essendo che gli è un uom senza ragione.

E' non è avvezzo a far troppe parole. Se non lo trova di tutto sapore Sempre nel capo battermelo suole ;

Guarda dunque eh' e' sia di buon odore Kato e cresciuto a dove batte il sole, E abbia grosso picciuolo e largo fiore.

51

SONETTO XXXIX. Sopra V annaffiare l'orto.

Tina^ con quella gralzia che tu suoli Ieri, neir annaffiarmi l' orto, a caso Con un urto rompestimi quel vaso Dov' era il re di tutti i miei vivuoli ;

Ma apponla a rae se un non te ne duoli, E non arricci per la slizza il naso, Ch' io ti vo' romper quel che t'è rimase Intero e saldo a dove il ranno coli ;

Ovver la vilìa di Pasqua di Ceppo,

Quando tu vieni a chiedermi il danajo. Dirò di no bench' io ne fossi zeppo ;

E con bel modo per colmar lo stajo.

Mentre chiedi la mancia appiè del greppo. Io spaccherotti il tuo salvadanajo.

SONETTO XXXX. Sopra il sonare il cembolo.

Tina, tu mi fai rider quando vai

Cantando il Maggio a questi contadini, E suoni un cembal senza dinderlini, Cosa in contado non usata mai :

Tu vedi ben che poc' uova fai

Che non darian le spese a due mucini.

Anzi ridon di te tutti i vicini

Che di saper suonar credi e non sai.

Tale stromento a te non si conviene, E poco giova quel tuo dagli dagli Se quei cosi vi maucan che fan bene;

Invan, Tina, t' affanni e ti travagli. Non è tua colpa, il mancamento viene Sol perchè come me non hai sonagli.

5?

SONETTO XXXXI. Sopra il pescar pe" pantani.

Tinsj colà nella mollaja vota

Messa ho la man sotto una pietra fessa^ E morso stato son da una granchiessa Che ha figliato testé tra quella mota.

Che i granchi abbian due bocche è cosa nota. Ed io balordo pur la man v' ho messo, E il sangue, ohimè, di gocciolar non cessa, giova eh' io la succi e eh' io la squota.

Or mi sovviene (e ci fu Meo di Cecco) Quanto mi disse, al Tetto dei Pisani, Un che aveva un barbon come il mio becco

Veggo a un segno, diss' ei, e' hai nelle mani Che tu se' per pigliar de' granchi a secco. Però non pescar troppo ne' pantani.

u

SONETTO XXXXII. Sopra la brocca fessa.

Ben dieci volte te l'ho detto, o Tina, Fa risprangar la brocca tua di legno. Acciò che per la via non lasci il segno Quando tu vai per l'acqua la mattina.

E tu, come se fussi una bambina.

Non curi quel che per tuo ben t'insegno; Ma cercheresti, se tu avessi ingegno. Di non aver da ognun la fanferina.

A dir che non ti paja cosa strana Quel gocciolar, non una volta sola. Ma sempre nel tornar dalla fontana,

E che t'abbia a esser detto a ogni parola Da chiunche passa (oh la mi par marchiana!) 0 Tina, tu l'hai fessa, la ti cola.

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SONETTO XXXXIII. Sopra la siepe sturata.

La siepe, o Tina, tanto t'è cresciuta Dinanzi, che '1 giardino tutto ritura, E pur, cosa che pare a creder dura, L' insalata troviam mezza pasciuta.

Quest' è un segno che dentro e' è venuta Qualche gran bestia senz' aver paura, E che ha sciupato tutta la verdura, E questa eh' è rimasta or par che puta.

0 Tina mia, bisogna riturarla

Se non vuoi dalla gente aver la baja, E s'io son buono a darti ajuto, parla.

Io gentilmente, in mo' che non si paja. Pur eh' agio tu mi dia di rassettarla, Riturerotti tutta la callaja.

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SONETTO XXXXIV.

Sopra la bigoncia.

L' uva e già ghezza, e sono in molle i tini Sicché vendemmiar puossi a nostra posta, Tina, e tra noi di quel che non ci costa Far a combutta come buon vicini.

Di quel che a te darò non vo' quattrini, E tu a quel che a me dai non por la posta ; Sia del par la domanda e la risposta Che così s'usa tra noi contadini.

Dopo eh' e' sia svinato, come è onesto.

Se ognun ripiglia il suo, la cosa è acconcia,, La riceuta non ci va del resto.

Ma perchè meco tu non stia mai broncia Ti lascerò l' ammostatojo in presto Se a me darai l' ombuto e la bigoncia.

57

SONETTO XXXXV.

Sopra V innestare.

Tina, tu sai eh' i' ho quel mio ciliegio AcquajolOj nel campo delle fosse. Il qual vorre' innestar perchè più grosse Le facesse, che quelle i' l' ho in dispregio ;

E non comporta quasi a corle il pregio Ch' altro non han di buon che le son rosse ; Bisciolo lo vo" pria che più ingrosse. Che questi hanno tra gli altri il privilegio.

Tina mia bella, non ti paja strano Di venirmi ajutar ; basta che appresso Tu mi stia, e che tenga il conio in mano.

Ed allargando bene ben con esso.

Mentre io metto la marza, vadia piano La buccia intorno e poi ristringa il fesso.

58

SONETTO XXXXVI.

Sopra il lavare il bucato.

Che giova^ o Tina, andar giù nel fossato E starti coccolon su quel pietrone A stropicciare e battere il bucato Se non adopri punto di sapone ?

Lavalo meglio, perchè '1 tuo padrone Ha gusto grande eh' e' gli sia lavato, E quando se gli porta ripiegato Lo guarda prima ben, poi lo ripone.

lo m' offerisco, perchè la mi preme, D' ajutarti a lavar e bene e presto, E di far buon lavoro ho ferma speme :

Prima stropiccerem le parti estreme

De' panni entrambi, e poi d' accordo al resto Faremo al fin la saponata insieme.

59

SONETTO XXXXVIl. Sopra il indio.

ler nel ritornar da Montisoni,

Calando pel burron, passai rasente Il castagneto di Cecchin del Nente Dov' eran già le fosse dei carboni ;

Quivi nn nidio trovai di gazzeroni

In cima a nn leccio^ e perchè posi mente Ch' eran stati adocchiati dalla gente. Gli ho cavatij e non hanno anco i bordoni.

0 Tina, se tu vuoi eh' i' te li dia,

Vien a torteli in man, Tina, deh vienne. Che pericol non e' è che volin via.

La Mea gli vedde e voglia gliene venne. Ma i' gli ho serbati a te, speranza mia. Perchè so eh' e' ti piaccion senza penne.

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SONETTO XXXXVIII.

Sopra il far V olio.

0 Tina, i' vo' venir teco per opra Or che l'ulive tue son grosse e nere, E stareni tutto '1 con gran piacere. Tu di sotto a raccorre, i' a squoter sopra.

E ti prometto che nessun ci scuopra,

Sebben l'hai grande, d'empierti il paniere, E poi che cerco avreni tutto il podere Per trarne l'olio le porremo in opra.

Riscalderenle bene, e tra noi due. Messe dove la macina le preme, Un empierà le gabbie, un morrà il bue ;

Ma prima che si faccia l' olio insieme Se la stanga è tarlata vedrai tue. Ed io vedrò se la tinella geme.

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SONETTO XXXXIX.

Sopra la teslicciiiola.

Tina, to' quella testa e que' peducci

E metti or ora un pajol J' acqua al fuoco, E allor che bolle tuffa vegli un poco. Ma gua' che nel pelar tu non li sbucci.

Fa presto se non vuoi eh' i' mi corrucci, Friggili bene, e poi qui 'n questo loco Portali, e se mangianli a poco a poco^ Ch' i' arrazzi se le dita non ti succi.

L' agnello cotto quando il grasso cola Non par che dal capretto si distingua. Poi gli è un mangiar da re la testicciuola.

Yo' che la fame a tramendue s' estingua ; A te ogni cosa vo' cacciare in gola, Perchè a me basta sol l'occhio e la lingua.

SONETTO L. Sopra il voltare le rene.

Gli è come il confettar proprio una rapa Il piaggiar ogni giorno una fanciulla ; Faccia un se sa^ che alfìn e' non fa nulla, Consuma il tempo e l'opra non accapa.

L' ha una galloria s'ella se l'incapa

Che lien l'uom come il lin nella maciulla. Or eh' i' non amo e '1 quor più non mi frulla E' mi par di star ben quanto stia un Papa.

Tina^ non creder tu, col tuo discorso Far sì, eh' io torni a rivolerti bene. Che a Modena non vo' più menar l'orso ;

Conosco il mancamento d'onde viene : S' un per te muore e chiedeti soccorso Tu abbassi il capo e voltigli le schiene.

EDIZIONE

di 50 esemplari in carta reale e A in pergamena.

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