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Full text of "La Tina : equivoci rusticali in cinquanta sonetti, composti nella sua villa di Tajano il settembre dell'anno 1637, e da lui regalati al grande poeta inghilese Giovanni Milton"

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LA  TINA 

EQUIVOCI  RUSTICALI 


IN  CINQUANTA  SONETTI 


ANTOINIO  MALATESTI 

FIORENTINO 

COMPOSTI    NELLA     SUA    VILLA    DI     TAJA>"0 

IL     SETTEJ2BRK    DELL'A^"^0    IfiST»  E    DA     Lll     ni.CALATI 

AL    GttAXDE     POETA     INGHILESE 

GIOVAMI  MILTON 


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LONDRA, 

A    SPESE    dell'editore 


o 


NOTIZIA 

INTORNO   all'autore   MANDATA    A   TOMMASO   BRAND 
DAL    DOTT. 

GIOV.  LA31I. 


A. 


Liitonio  Malatesti  cittadino  fiorentino  discese  da 
un'  antica  e  riguardevole  famiglia,  distinta  in  prima 
col  cognome  de'  Griffoli,  ed  oriunda  da  Terranuova, 
castello  nel  territorio  d'Arezzo.  Suo  padre  fu  Emilio 
figliuolo  di  Antonio  di  Malatesta  di  ser  Giovambattista 
di  messer  Antonio  GrifToli,  il  qual  cognome  fu  mutato 
in  quello  di  Malatesti  mediante  il  suddetto  Malatesta 
di  ser  Giovambattista;  e  nella  persona  di  esso  Gio- 
vambattista fu  questa  famiglia  ammessa  alla  cittadi- 
nanza fiorentina  l'anno  d53i. 

Nella  Chiesa  di  Santa  Croce  di  Firenze,  presso  al 
pilastro  del  pulpito^  si  vede  la  sepoltura  de' Malatesti, 
ove  giace  il  nostro  Antonio,  consistente  in  un  lastrone 
di  marmo  intagliato  coli' arme,  eh'  è  un  campo  diviso 
per  lo  lungo,  da  una  parte  rosso  con  un  grifo  nero  di 


cinghiale  dentro,  a  cui  allude  il  doppio  cognome  che 
ha  avuto  questa  famiglia;  e  dall'altra  parte  è  una 
banda  per  lo  piano,  composta  di  scacchi  neri  e  d'oro 
in  campo  bianco;  e  aveva  già  questa  iscrizione: 

Jntonio  Griffolo  Jiir.  Consulto  de  Terranova 

Joannes  Baptista  FU.  Patri  de  se  opt.  merito, 

et  sibi  Posterisque  suis  posiiit  Anno  d503. 

Die  2,  lìlensis  Januarij. 

Dalla  civiltà,  tramandatagli  da' suoi  antenati,  non 
tralignò  già  il  nostro  Antonio,  il  quale  benché  la  for- 
tuna, 0  l'altrui  consiglio  lo  facesse  al  negozio  onore- 
volissimo della  seta  applicare,  cominciò  giovanetto  a 
frequentare  la  celebre  Accademia  degli  Apatisti  poco 
dopo  il  principio  di  essa,  e  col  letteratissimo  Agostino 
Coltellini,  dell'Accademia  fondatore,  con  nodo  di  vir- 
tuosa amicizia  si  strinse;  e  perchè  costume  era  di 
quei  tempi  che  gli  Accademici  il  nome  si  mutavano, 
egli  converse  il  suo  nell'anagrammatico  di  Jlamonio 
Tansettiy  che  poi  iscambiò  in  quello  di  Jniinta  Se- 
taiolo.  In  questa  Accademia  il  Malatesti  moltissime 
sue  poetiche  composizioni  recitò,  e  spezialmente  i 
suoi  vaghissimi  Sonetti  Enimmatici,  parte  de'  quali 
fu  poi  data  alle  stampe  in  Firenze  nel  1725. 

Componendo  con  grande  ingegno  e  con  vivezza  e 
bizzarria  seppe  guadagnarsi  l'amicizia  e  la  stima  di 
tutti  i  letterati  fiorentini  del  suo  tempo,  e  particolar- 
mente, oltre  al  nominato  Coltellini,  quella  del  gran 


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Galileo,  di  Valerio  Chimentelli,  di  Carlo  Dati^  dì  Fran- 
cesco Redi,  e  di  Antonio  Magliabechi,  e  molto  fami- 
gliarraente  visse  con  Lorenzo  Lippi  buon  pittore  e 
valoroso  poeta,  quegli  di  cui,  sotto  nome  di  Pedone 
Zipoli,  abbiamo  il  giocondo  Poema  del  lllalmantile  : 
nel  qual  Poema  il  nostro  Antonio  è  mentovato  sotto 
il  nome  anagrammatico  di  Jmo stante Latoni,  e  il  suo 
carattere  vi  è  ritratto  con  la  seguente  propria  e  pia- 
cevol  pittura,  alludendo  ancora  all'  essere  egli  stato 
di  corpo  adusto  e  gambe  sottili: 

È  general  di  tutta  questa  mandra 
Àmostanle  Laton  poeta  insigne; 
Canta  improvviso  come  una  calandra. 
Stampa  gli  Enigmi,  strologa  e  dipigne; 
Lasciò  gran  tempo  fa  le  polpe  in  Fiandra 
3Ientre  si  dava  il  Gallo  a  certe  vigne; 
Fortuna,  che  V  avea  matto  provato. 
Folle  eh"  e^  diventasse  anche  spolpato. 

Benché  il  Malatesti  fosse  molto  tirato  al  comporre 
poeticamente,  pure  rivolse  anco  lo  ingegno  a  studi  più 
gravi  e  più  difficili.  Già  fatto  maturo  prese  a  studiare 
r  Astronomia  sotto  la  direzione  del  dottore  Ludovico 
Serenai,  amicissimo  del  gran  filosofo  e  matematico 
Evangelista  Torricelli,  e  non  mal  profitto  vi  fece  :  mo- 
strò anzi  che  se,  nell'  adolescenza  allo  studio  delle 
scienze  si  fosse  dato,  dottissimo  uomo  divenuto  sa- 
rebbe. Egli  è  ben  vero  che  la  inclinazione  sua  più 


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forte  e  più  naturale  era  quella  verso  la  Poesia  ;  e 
tanto  amore  e  sì  intenso  a  quella  portò,  che  non  solo 
in  tutto  il  corso  non  breve  di  sua  vita  egli  continua- 
mente compose,  ma  altresì  con  efficace  attenzione  e 
diligenza  andò  copiando  quante  poesie  volgari,  e  dì 
ogni  genere  non  ancora  stampate  potè  raccogliere, 
talché  un  ijel  numero  di  Libri  o  Zibaldoni  ne  venne 
a  formare;  da'  quali  poi  Carlo  Dati  scelse  la  maggior 
parte  di  quelle  da  esso  stimate  migliori,  e  fattele  da 
Valerio  Spada  colligiano  ed  eccellente  chirografo  ri- 
copiare, furono  in  più  tomi  mandate  l'anno  4652  nella 
Svezia  alla  regina  Cristina  dal  principe  Leopoldo  di 
Toscana,  che  fu  poi  cardinale.  Gli  Zibaldoni  del  Ma- 
latesti  furono  dopo  la  sua  morte  gettati  alle  fiamme^ 
perchè  molte  composizioni  contro  i  buoni  costumi 
contenevano. 

Se  il  nostro  Autore  riusciva  degno  di  lode  nelle 
opere  che  al  tavolino  lavorava,  e'  si  faceva  anche 
conoscere  per  molto  vivace  e  leggiadro  nello  improv- 
visare, per  la  qual  cosa,  oltre  all'universale  applauso, 
si  meritò  la  grazia  ed  il  favore  de' principi  Lorenzo 
e  Mattias  di  Toscana^  i  quali  essendosi  di  lui  frequen- 
temente serviti  per  comporre  ottave,  canzoni  e  car- 
telli in  occasione  di  mascherate,  di  calci  e  di  giostre, 
nel  fecero  rimunerare  dal  granduca  Ferdinando  II 
con  un  impiego  nell'  Officio  del  Sale;  e  allora  fu  che 
egli  abbandonò  il  negozio  della  seta,  attendendo  dili- 
gentemente a  questo  sino  alla  morte,  che  accadde 
r  anno  1672  il  dì  27  di  dicembre. 


Compose  il  Malatesti  i  graziosi  Brindisi  dei  Ci- 
clopijim  grandissimo  numero  di  Sonetti Enimmatici, 
il  Don  Tarsia,  la  Bita,  il  Capitano  Comico,  la  Bella 
spiritata,  le  Poesie  liriche,  le  Poesie  sacre,  e  un  buon 
numero  di  Capitoli,  ed  altre  cose  sì  gravi  che  giocose^ 
onde  ben  si  può  dire  eh'  egli  entrò  in  compagnia  di 
coloro  che  a  ben  far  poser  gV  ingegni. 

Di  lui  fecero  onorata  menzione,  oltre  Paolo  Mi- 
nucci  nelle  Note  al  3Ialmantile  sopraccitato,  il  Col- 
tellini in  varie  sue  opere,  Giovammario  Crescimbeni 
in  più  luoghi  de' suoi  Commentarj  aW  Istoria  della 
volgar  Poesia,  e  il  gesuita  Giulio  Negri  nell' /sforia 
degli  Scrittori  Fiorentini. 

De'  suoi  Sonetti  di  equivoci  rusticali  intitolati  la 
Tina  non  si  aveva  notizia.  Egli  dee  averne  regalata 
ima  copia  scritta  di  sua  mano  al  celeberrimo  inglese 
nominato  nel  frontespizio,  e  da  quella  copia  appunto 
la  presente  fedelmente  è  tratta. 


INENGIO 
ALLA   TINA 


Non  ti  maravigliare,  o  Tina,  se  io  nato  tra  le 
solle,  e  più  avvezzo  a  manefjfjiure  la  vanga  che  a 
impiastricciar  i  fogli,  mi  son  lasciato  imbecherare 
da  certi  perdigiorni,  che  fanno  quassù  in  contado 
dar  le  mosse  ai  tremuoti,  a  compor  versi  a  mazza- 
stanga,  perchè  V aria  qui  d'intorno  a  Firenze  lo  dà. 
Non  vedi  tu  che,  per  tutto  dove  Vuom  sia,  alza  una 
lastra  e  salta  su  un  poeta?  Io  non  per  altro  ho  di- 
ritto lo  stile  verso  di  te,  che  per  mostrarti  quanto  io 
son  cotto  del  tuo  amore;  e  sappi  che  tutta  la  notte 
mi  sto  colla  penna  in  mano  stropicciando  la  vena  al 
mio  cervello,  stillando  V  ingegno  a  gocciole  su  queste 
iantafere.  Accettale  cortesemente,  o  Tina,  e  se  lo  stile 
a  prima  vista  ti  pare  grosso,  con  la  tua  efficacia 
compisci  il  suo  difetto,  perchè  io  scrivendo  a  vanvera 
ho  fatto  d"  ogn"  erba  un  fascio,  e  sono  andato  me- 
rlando così  il  can  per  V  aja  per  isfogare  la  rabbia 


40 

che  mi  mamica per  il  martello  ch'i' ho  de'  fatti  tuoi; 
e  se  ti  pare  di  i  abbia  preso  vento^  cioè  che  tiel  pia 
bello  del  lagoro  io  sia  già  arrenato ^  tu  sai  che  chi 
fa  falla,  e  gli  erra,  come  dice  il  proverbio,  il  Prete 
alV altare.  Non  ci  posso  far  altro;  e  s'io  ti  do  tutto 
quel  poco  di  talento  eh'  io  mi  trovo,  non  mi  pare  che 
tu  ti  debba  dolere:  conosco  bene  che  la  tua  crudeltà 
è  tanto  grande,  e  la  mia  cattiva  fortuna  è  tale  cliio 
non  posso  toccare  il  fondamento  della  causa  del  mio 
penare,  né  commuoverti  a  compassione  di  me;:  anzi 
quanto  più  vò  grattando  il  corpo  alla  cicala,  più  tu 
fai  formicoìi  di  sorbo,  e  tene  stai  soda  al  macchione 
ponendo,  mentr'io  favello,  una  vigna,  e  lasciandomi 
predicare  a'  porri.  E  so  molto  bene  che  queste  mie 
caccabaldole  ti  danno  piuttosto  ricadia  che  alleg- 
giamento,  e  che  tutto  questo  avviene  perchè  tu  hai 
paglia  in  becco.  Scasimodeo  !  tu  hai  truovo  qualcun 
di  questi  foramelli,  che  fanno  il  ser  saccente  o  il  tut- 
tusalle,  che  ti  gaveggia  di  soppiatto,  ma  se  il  diascolo 
fa  che  io  me  n'  addia,  e  che  io  metta- fuoco  alla  bom- 
barda, ti  mostrerò  che  io  son  buono  per  farla  a  te  e 
a  lui.  In  fé  di  dieci,  senra  stare  a  dirgli  che  vadia 
alle  birbe  e  badi  a'  fatti  suoi,  gli  canterò  una  zolfa 
che  gli  parrà  forse  più  infruscata  che  non  è  il  vespro 
degli  ermini,  perchè  tu  sai  che  a  me  non  mancano  i 
rìiodi  per  far  delle  bischenche  a  uno  quando  i  voglio; 
e  non  gli  gioverà  l'andare  con  il  cahar  del  piombo  : 
tanto  anderà  il  mucino  al  lardo  eh'  e  vi  lascierà  la 
zampa j  e  conoscerà  poi  eh'  e'  gli  sta  il  dovere,  e  vedrà 


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quel  che  (jV  interviene  a  chi  rompe  V  uova  in  bocca 
alla  brigala:  benché  io  faccia  la  gatta  di  Masino^ 
0  per  dir  meglio^  il  ser  Fedocco,  Tina,  i'  conosco  il 
pel  nelV  novo,  perchè  ho  pisciato  in  più  d' una  neve, 
e  quando  il  tuo  diavol  nacque  il  mio  andava  alla 
panca.  Scusami  s' io  parlo  troppo  :  la  passione  è 
quella  che  mi  muove  il  limbello  in  bocca  :  io  non 
posso  sentire  tutto  il  giorno  qua  in  vicinanza  tanti 
cicaleggi  che  legghino  sempre  in  sul  mio  libro,  per' 
che  e^  mi  par  d'  essere  diventato  lo  spazzaforno  di 
questo  paese.  Altro  non  ho  da  dirti;  leggi  queste 
Poesie  che  io  ti  mando^  non  per  pascerti  di  parole, 
ma  per  mostrarti  la  via  del  venire  ai  fatti.  Sta  sana, 
e  voglimi  beìie  coni''  io  voglio  a  te. 


13 


SONETTO  I. 

Equivoco  sopra  il  sonetto  con  la  coda. 


Questi  sonetti,  o  Tina^  che  ho  composto 
Me  gli  ha  dettati  una  Musa  buffona 
Cantando  d' improvviso  alla  carlona 
Sul  suono,  spinto  dal  calor  del  mosto. 

E  s' io  fo  mal,  face'  egli  :  io  son  disposto 
Così  di  metter  la  poesia  in  canzona; 
Or  tu  guarda  a  colui  che  te  gli  dona. 
Non  al  presente  eh' è  di  poco  costo. 

Sol  per  tu'  amor  gli  ho  fatti  e  scritti  in  fretta^ 
Non  perchè  'i  mondo  me  ne  doni  loda; 
Ch'i'  non  curo  l'allor  sulla  berretta. 

Quest'altra  volta,  perchè  più  tu  goda. 
Dacché  se'  larga  di  natura^  aspetta 
Da  me  tutti  i  sonetti  con  la  coda. 


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SONETTO  II. 
Sopra  V  alzar  lo  stile 


Tina,  i'  so  legger  bene  e  rilevato 
La  storia  di  Liombruno  e  Josafalte  ; 
Sebben  per  esser  nato  in  queste  fratte 
Sotto  il  Maestro  mai  non  sono  stato. 

E  il  Sere  del  Dificio  m'  ha  giurato, 
Quand'  egli  ha  visto  le  poesie  che  ho  fatte, 
Ch'  elle  son  belle,  e  i  piedi  in  terra  batte, 
E  vuol  eh'  i'  mi  sia  a  Pisa  addottorato. 

Io  canto  quand'  i'  son  ben  ben  satollo. 
Sul  chitarrin  con  boce  sì  sottile 
Ch'  io  ne  disgrado  insin  Maestro  Apollo. 

Vien  un  poco  da  me,  Tina  gentile. 

Che  s'  egli  avvien  che  tu  mi  segga  in  collo 
Mi  sentirai  ben  tosto  alzar  lo  stile. 


d5 


SONETTO  III. 
Sopra  il  bere  il  brodo  di  castrato. 


Queste  disgrazie  non  si  danno  a  patti. 
Tina,  tu  hai  la  febbre  e  la  trascuri, 
Né  par  che  della  vita  tu  ti  curi. 
Come  il  morir  sia  baja:  Oh  siam  noi  matti  ? 

Non  bisogna  indugiar  quand'  un  dà  i  tratti 
A  medicarsi  acciò  che  '1  mal  non  duri  : 
Tu  non  mangi  e  non  bei,  né  t'  assecuri 
Sopra  i  medicamenti  eh'  io  ti  ho  fatti. 

r  ho  cotto  una  lacchetta  di  castrato, 
E  fatto  una  pappina  acconcia  in  modo 
Che  il  pizzicor  ti  metterà  al  palato; 

Ma  che  tu  ingozzi  il  mannerin  non  lodo. 
Basta,  se  hai  stomacuzzo  raffreddato. 
Che  tu  lo  poppi,  e  poi  ti  bea  il  brodo. 


d6 


SONETTO  IV. 

Sopra  il  mal  del  granchio. 


0  Tina^  i'  sento  dalla  gente  dire. 

Che  il  mal  del  granchio  spesso  ti  dà  noja, 
E  che  allor  par  che  tu  tiri  le  quoja, 
Raggrizzì  tutta,  e  mostri  di  basire. 

Non  gna  farsene  beffe,  egli  è  un  martire 
Che  a  risico  si  va  eh'  un  se  ne  muoja  : 
r  ho  un  medicamento  eh'  è  una  gìoja, 
E  presto  senza  duol  ti  vo'  guarire. 

Quest'  è  un  anel,  dov'  è  della  gran  bestia 
Un  pezzo  d' ugna,  e  possoti  bel  bello 
Con  esso  liberar  d' ogni  molestia. 

Porgimi  '1  dito  Tina,  eccolo,  vello  ; 

Se  vuoi  che  '1  granchio  parta,  con  modestia 
Lascia  ch^  io  te  lo  metta  nell'  anello. 


dT 


SONETTO  V. 
Sopra  V  Jrista  e  la  Salsiccia. 


Stasera,  o  Tina^  eh'  egli  è  carnesciale, 
E  che  a  pusigno  invitansi  i  parenti. 
Tu  che  macini  bene  a  due  pahnenti 
Se  vien  da  me  non  se'  per  istar  male. 

r  ho  messo  con  del  pepe  e  con  del  sale. 
Con  uve  passe  ed  altri  condimenti 
Una  vivanda  da  allegarti  i  denti 
A  fuoco  or  in  un  pentol  badiale. 

Quest' è  una  fetta  d'arista  amorosa, 
Ed  un  po'  di  salsiccia  col  finocchio. 
Che  non  sentisti  mai  la  miglior  cosa. 

E  perchè  tu  non  m'  abbi  a  far  mal  occhio, 
E  gridar  che  la  carne  sia  tigliosa, 
L'  arista  torrò  io,  tu  torra'  '1  rocchio. 


u 


SONETTO  VI. 

Sopra  la  Beccheria. 


Tina^  ogni  volta  che  tu  va'  al  macello 
Per  qualche  lonza^  questo  tuo  beccajo, 
Ch'  è  un  tentennone^  rubati  il  denajo 
E  un  gran  pezzo  ti  dà  di  tarantello. 

So  che  non  tocca  a  me  la  cosa^  e  pajo 
Prosontuoso^  ma  per  ben  favello  : 
Vuo'  tu  esser  di  costui  sempre  zimbello 
Come  gli  uccei  presicci  al  paretajo? 

Tina^  va'  a  casa,  e  dì  a  tua  Ma  'n  un  tratto 
Puttanaccia  di  me,  se  mi  mandate 
Più  per  la  carne^  i'  la  vo'  dare  al  gatto. 

Poi  dì  forte  a  tuo  Pa  :  Non  vi  crediate 
Ch'  io  voglia  più  andare  a  nessun  patto 
Se  sopra  voi  la  beccheria  non  fate. 


id 


SOI^ETTO  VII. 

Sopra  il  montar  sul  Fico. 


Tina,  questo  tuo  fico  castagnuolo 
È  così  liscio^  e  i  rami  ha  così  alti. 
Che  r  adoprar  le  mani  e  i  pie  non  vaiti 
Per  andar  com'  uccello  in  vetta  a  volo. 

Tu  se'  per  starci  tutto  il  dì  a  pinolo 
Or  con  lanci  provandoti  or  con  salti, 
E  non  far  altro  al  fin  di  tanti  assalti 
Che  sudar  senz'  alzarti  un  pie  dal  suolo. 

Ma  sta,  che  farti  un  tal  servizio  io  posso  : 
So  ben  il  modo,  e  come  vi  si  sale  ; 
Sta  allegra,  Tina,  or  or  te  lo  do  scosso. 

Abbassa  il  capo  e  appoggialo  al  pedale. 
Che  se  fai  ponte  e  eh'  io  ti  salga  addosso 
Vi  monterò  ben  su  senz'  altre  scale. 


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SONETTO  Vili. 
Sopra  il  tessere. 


Tina,  quel  panno  che  tu  m'hai  tessuto 
È  floscio  sì  che  al  tasto  non  sì  sente, 
Cresposo  e  rado  come  un  filindente. 
Mal  ordito,  mal  fatto,  e  mal  tenuto. 

Tirar  le  casse  a  te  non  hai  saputo 
In  quel  che  il  cannellin  sfilar  si  sente, 
0  il  male  dal  tener  la  tela  lente, 
0  dal  tirar  le  calcolc  è  venuto, 

0  dal  pettin  che  or  non  è  più  stretto 
Gom'  era  già  quand'  un  po'  po'  bagnato 
Tutto  l'ordito  entrava  e  usciva  netto. 

Ora  il  tempo  te  l' ha  tanto  allargato 
Che  a  far  che  '1  fil  riempia  il  canaletto 
Vuol  esser  con  la  crusca  imbozzimato. 


21 


SONETTO  IX. 
Sopra  il  rissarsi. 


Tina  mia  beila,  quando  tu  lagori 

Nel  campo,  e  clie  '1  Padron  ti  viene  attorno. 
Ti  rizzi  a  un  tratto,  e  poi  gli  da^  'l  buon  giorno 
E  ti  fa'  'n  viso  di  mille  colori. 

Ma  non  si  fan  già  a  me  questi  favori, 
Eppur  sei  volte  il  dì  parto  e  ritorno  : 
Gna  eh'  i'  sia  proprio  qualche  perdigiorno 
Da  che  tu  non  ti  rizzi  e  non  m'onori. 

Chi  è  ben  creata  come  si  conviene 
Rizzasi  a  tutti  :  a  me  '1  can  mi  s' aizza 
Per  più  dispetto,  e  voltansi  le  rene. 

Può  fare  il  cielo!  ho  pur  la  grande  stizza! 
Che  differenza  e'  è  tra  lui  e  mene 
Che  al  Padron  sempre  e  a  me  mai  non  si  rizza? 


SONETTO  X. 
Sopra  la  Gamurra. 


Le  donne  la  gamurra  oggi  si  fanno 
Recipiente  agli  anni  ed  allo  stato^ 
Chi  di  rovescio,  chi  d'accordellato, 
Tina  mia  bella,  e  chi  d'un  altro  panno. 

Molte  col  pelo  e  molte  senz'  l'hanno. 
Di  perpignano  s'usano  un  buondato. 
Ma  quelle  di  rovescio  accottonato 
Più  bel  vedere  ma  minor  util  danno. 

A  me  mi  pare  che  sia  degna  di  loda, 
E  più  da  quei  e' hanno  la  man  callosa, 
Quella  eh'  è  liscia  e  di  pannina  soda. 

Che  para  l'acqua,  e  quand'  ella  è  fangosa 
Si  netta;  ond'  io  gridar  vo'  eh' ognun  m'oda 
La  tua  mi  piace  che  non  è  pelosa. 


SONETTO  XI. 

Sopra  il  ber  V  Uova. 


Tina,  ho  veduto  che  quando  tu  hai  male 
Cuocer  ti  fa  tua  Ma  sotto  la  brace 
Un  uovo  fresco,  e  non  sì  può  dar  pace 
Se  non  l' ingoi  bazzotto  e  senza  sale. 

E  tu  fai  la  svogliata  e  l'hai  per  male, 
.    Ma  air  appipito  poi  non  ti  dispiace. 
Sì  eh'  a  un  tratto  risani  e  piìi  vivace 
Mostri  quella  tua  faccia  imperiale. 

Tua  Ma  è  avara,  che  s' i'  fussi  lei. 
Quando  la  febbre  ti  raaniica  e  stroppia. 
Più  presto  e  meglio  assai  ti  guarirei. 

Perchè  non  far  la  medicina  doppia  ? 
Deh  vien  da  me  quando  malata  sei 
Che  se  vorrai  te  ne  darò  una  coppia^ 


24 


SONETTO  XII. 
Sopra  V  infornar  il  pane. 


Ieri  il  pan  che  al  padron,  Tina,  infornasti. 
Perchè  era  tondo  e  di  gran  bianco  lutto. 
Venne  dentro  e  di  fuor  tutto  riasciutto, 
E  in  somma  tal  che  tu  lo  contentasti  ; 

Ma  il  mioj  perch'  era  a  picce.  Io  lasciasti 
Ardere  in  mo'  eh'  i'  non  ne  cavo  frutto. 
Forse  è  sì  male  stagionato  e  brutto 
Perchè  alla  peggio  il  forno  tuo  spazzasti. 

Tu  mi  risponderai,  che  questo  avviene 

Perchè  '1  suo  me'  s'inforna;  e  i'  ti  rispondo 
Che  i  buon  bocconi  piacciono  anche  a  mene; 

E  da  qua  innanzi  anch'  io,  poter  del  mondo  ! 
Perchè  tu  me  l' inforni  e  quoca  bene 
Voglio  ancor  io,  come  il  padrone,  il  tondo. 


25 


SONETTO  XIII. 
Sopra  il  sonar  lo  zufolo. 


Tina,  più  volte  m'  hai  detto  e  ridetto 

Quando  nel  bosco  i'  sto  guardando  i  buoi. 
Che  maggior  gusto  al  mondo  aver  non  puoi 
Che  sentirmi  sonar  quel  zufoletto. 

Se  da  me  vieni  un  giorno,  i'  ti  prometto 
Più  sonate  insegnarti  che  non  vuoi  ; 
Prima  sonerò  io  ben  bene,  e  poi 
Ti  porrò  in  mano  un  zufolo  perfetto. 

Il  suono  è  bello,  ma  non  creder  mica 
Che  quella  boce  che  sì  bene  rintocca 
S' impari  mai  senza  durar  fatica  ; 

Sempre  nel  buco  col  dito  si  tocca. 

Ma  il  tutto  sta,  se  vuoi  eh'  i'  te  lo  dica. 
Nel  saper  ben  tener  la  lingua  in  bocca. 

4 


26 


SONETTO  XIV. 
Sopra  il  pescare  i  Granchi. 


V  ho  preso  questa  zucca  e  questa  zappa 
Per  cercare  di  due  granchi  tenerelli, 
Tina^  quaggiù  per  questi  borratelli 
Dove  chi  sa  pescar  molti  n'acchiappa. 

A  me  di  rado  e  pochi  me  ne  scappa. 

Che  sprezzo  i  morsi,  e  piglio  i  brutti  e  i  belli, 
E  s'egli  è  vero,  senza  i'  ne  favelli. 
Il  padron  lo  può  dir  che  se  li  pappa. 

Ma  se  la  luna  è  scema,  oh  caso  strano  ! 
Dentro  son  voti,  e  '1  guscio  solamente, 
Quand'  un  ne  pigli,  ti  rimane  in  mano. 

Tina,  tu  che  se'  astrologa  eccellente. 

Fammi  veder,  perch'  i'  non  peschi  in  vano. 
Se  la  luna  or  è  scema,  o  se  è  crescente. 


'Il 


SONETTO  XV. 
Sopra  il  rassettare  serrami. 


Il  tuo  macinatoio  ha  ogni  serrarne 
Per  la  vecchiaja  rugginoso  e  guasto, 
E  se  la  prova  vuoi  veder  al  tasto, 
E  s' i'  dico  bugie  dimmi  po'  infame. 

Se  rassettar  lo  vuoi,  senza  che  chiame 
I  magnan,  che  son  asin  senza  basto, 
Vien  per  me,  che  sì  ben  l'acconcio  e  impasto 
Che  tutti  i  ladri  ci  morrian  di  fame. 

Queste  man  per  tanaglia  e  per  martello 
Mi  servon  tanto  ben,  che  senza  troppa 
Fatica  appicco  e  spicco  il  boncinello. 

Tu  dirai  poi  eh'  i'  sia  d'oro  una  coppa 
S' io  ti  metto  di  dietro  il  chiavistello 
E  t'ungo  la  stanghetta  della  toppa. 


SONETTO  XYI. 
Sopra  il  dormire  scoperta. 


Tina,  tu  dormi  sola  in  sul  saccone 
Senza  di  questa  brezza  aver  paura  j 
E  perchè  t'hai  cattiva  diacitura 
Butti  in  terra  'i  lenzuol  spesso  e  '1  coltrone. 

Io  veramente  n'  ho  compassione. 

Che  mentre  sta  scoperta  una  creatura 
Può  beccarsi  su  ben  qualche  freddura 
E  in  quattro  giorni  andarsene  al  cassone. 

Se  tu  vieni  a  diacer  nel  mio  stramaccio, 

Ancor  che  caschi  un  panno  eh'  io  v'ho  grosso. 
Non  averai  di  ricoprirti  impaccio, 

Ch'  io  ti  ricoprirone  il  me"  che  posso, 
E  se  non  vai  la  coltrice  e  '1  piumaccio 
Mi  ti  porrò  sin  con  la  vita  addosso. 


29 


SONETTO  XVII. 
Sopra  il  menare  il  Bue. 


Vien  oltre^  o  Tina,  e'  m'  è  scappato  il  bue, 
E  a  rompicollo  va  per  quella  stoppia  : 
Ohehoi  !  vedi  s'  e'  corre  ?  egli  si  stroppia 
Se  da  que'  greppi  tombola  all'  ingiue. 

Almen  questo  e' ho  in  man  mena  un  po'  tue 
Tanto  che  con  quell'  altro  il  giunga  in  coppia 
Venga  l' assillo  insin  eh'  ei  non  iscoppia  ! 
Diluviate  disgrazie!  eccene  pine  ? 

Io  non  mi  curo  eh'  e'  mi  sia  menato, 
Quand'  i'  ho  tempo  e  posso  far  di  meno. 
Che  veramente  mi  pare  un  peccato  ; 

Ma  or,  tanto  che  gli  esca  quel  veleno. 
Se  menarlo  non  vuoi,  tienlo  legato 
Perchè  a  casa  da  me  poi  me  lo  meno. 


30 


SONETTO  XVIIL 
Sopra  lo  scodar  le  Galline. 


Tu  hai  scodate  tutte  le  galline, 
Tina,  perchè  le  facciano  più  uova  ; 
Ma  tu  te  n'avvedrai  presto  alla  prova 
Che  in  zeri  torneranti  le  diecine. 

Tu  l'hai  malconcc  sì  le  poverine 
Ch'  erbe  eh'  elle  si  becchin  lor  non  giova 
Questa  ricetta  scritta  i'  non  l'ho  trova, 
E  ho  letto  un  libro  dal  principio  al  fine. 

Oh  ora  si  che  sterili  saranno  ! 

Va,  dì,  che  pur  un  tuorlo  tu  ne  goda  ! 
E  se  tu  hai  fatto  il  mal  sarà  tuo  danno. 

In  cambio  d'  acquistarti  utile  e  loda 
Tu  ne  se'  per  star  mal  tutto  quest'  anno, 
Perchè  l'uova  non  ha  chi  non  ha  coda. 


31 


SONETTO  XIX. 

Sopra  V  imboUare. 


V  are'  bisogno,  Tina,  or  eh' e'  s'imbotta 
Questo  poco  (li  vin  che  s'è  raccolto. 
Perchè  '1  mio  peverin  m'  è  stato  tolto. 
Oggi  della  tua  pevera  a  buon  otta. 

Ma  i'  sento  dir  eh'  eli'  è  sì  mal  condotta 
Gh'  ella  non  ne  ritien  poco  né  molto  : 
r  vorrei  ben  saper  chi  è  quello  stolto 
Che  con  sì  poca  gralzia  te  1'  ha  rotta. 

Tu  sai  che  prima,  quando  la  teneva  : 
La  si  sarà  prestandola  scommessa, 
Meco  tutta  la  gente  ti  diceva. 

Or  che  farai  eh'  ella  non  par  più  d'  essa  ? 
Pazza  che  se'!  bastar  pur  ti  doveva 
Salvarla  allor  che  tu  l' avevi  fessa. 


32 


SONETTO  XX. 

Sopra  il  cavare  il  Grillo. 


Tutta  la  gente  va  a  Monte  Morello, 
Tina,  doman  che  vi  si  fa  la  festa 
De'  Grilli,  e  a  casa  pur  un  sol  non  resta 
0  di  Campi,  o  di  Sesto,  o  di  Castello. 

Anch'  io  vo'  andar,  se  però  '1  tempo  è  bello. 
Che  non  e'  è  fiora  più  nobil  di  questa  ; 
Se  ancor  tu  vieni,  anderem  qua  per  la  pesta 
Tu  sulla  ciuca,  ed  io  suU'  asinelio. 

Ma  to'  una  gabbia  teco  ;  io  con  lo  spillo, 
0  con  un  fiiscel  lungo  in  man  eh'  i'  abbia, 
Del  buco  fuor  farò  scappare  il  grillo. 


Tiri  pur  calci  e  sputi  per  la  rabbia. 
Perdi'  e'  t' insegni  a  mezza  notte 
Vivo  lo  caccerò  nella  tua  gabbia. 


33 


SONETTO  XXI. 
Sopra  la  faverella. 


S' io  ti  veggo  menar  la  faverella, 

Tina,  anch'  io  tutto  quanto  mi  dimeno, 
E  per  dolcezza  quasi  vengo  meno 
Sentendo  il  cuor  che  dentro  mi  saltella. 

Ne  'ogojerei  da  me  una  metadella, 

E  vorrei  sempre  averne  il  corpo  pieno; 
L'altre  civajej  ancor  che  buone  sieno. 
Mi  van  tra  la  camicia  e  la  gonnella. 

Par  eh'  i'  esca  della  Torre  della  Fame  ! 
In  modo  l' appìpito  mi  si  drizza 
Quando  scoperto  mostrimi  il  tegame  ; 

Ma  tu  mi  fai  venir  la  grande  stizza 
In  quel  punto,  se  avvieu  che  alcun  ti  chiame, 
Che  fai  per  fretta  che  fuor  l'olio  schizza. 

5 


SONETTO  XXII. 
Sopra  il  ripescare  la  secchia. 


V  ti  sentii  gridar  jer  con  la  vecchia 
Mentr'  ero  al  campo  a  seminar  le  vecce, 
E  quasi  v'  acciuffasti  per  le  trecce 
Perchè  nel  pozzo  ti  cascò  la  secchia. 

Scusala,  eli*  è  caparbia  perchè  invecchia 
E  aspetta  dalla  morte  aver  le  frecce, 
E  tu  che  hai  da  competer  le  cortecce 
Alle  sue  grida  non  prestare  orecchia. 

Or,  se  la  secchia  t' è  cascata  in  fondo 
Senza  manico  avere  e  senza  nocchio. 
Non  è  per  questo  rovinato  il  mondo  j 

Io,  e'  ho  gli  uncin,  senza  tenerti  a  crocchio. 
Tanto  frugando  andrò  giù  nel  profondo 
Che  te  l'infilerò  giusto  nell'  occhio. 


35 


SONETTO  XXIII. 

Sopra  le  pesche. 


Tina,  jer  l' altro  nel  mio  castagneto 
Battei  da  i  ricci  non  so  che  marroni, 
E  me  n'  empiei  le  tasche  de'  calzoni 
Per  farti  quattro  succiole  in  segreto. 

Ma  Ciapin  tuo  fratel,  eh'  è  un  indiscreto. 
Vedendomi  lontano  andar  ajoni; 
Pigliando  il  tempo,  oh  ve'  che  discrezioni  ! 
Mi  scosse  il  pesco  e'  ho  dall'  uscio  dreto. 

Ma,  se  non  era  per  tu'  amore,  il  ghiotto 
Me  le  posava  quivi  fresche  fresche, 
E  guai  a  lui  se  mei  cacciavo  sotto. 

Tu  sai  eh'  i'  non  comporlo  simil  tresche, 
E  eh'  i'  son  uomo  scorrubbiato  e  rotto, 
E  eh'  io  vo'  torre  e  non  vo'  dar  le  pesche. 


36 


SONETTO  XXIV. 
Sopra  il  pagare  la  Fiera. 


Ogni  prima  domenica  dei  mese 

r  t'iio  a  pagar  la  fiera  all'  Imprnneta, 
Tina,  e  tu  sai  eh'  i'  ho  poca  moneta 
rsè  posso  sopperire  a  tante  spese. 

S' i'  avessi  robba  i'  sare'  ben  cortese. 

Ma  non  ho  chi  per  me  vendemmi  o  mieta  ; 
r  ho  sol  questi  due  campi,  e  fo  dieta 
Se  la  gragnuola  sciupina  il  paese; 

E  tu  vuoi  sempre  qualche  acconciatura. 
Che  costa  un  mondo,  di  quel  nastro  rosso, 
E  poi  quindici  giorni  il  più  ti  dura  ; 

Ma  or  ti  dico,  perchè  più  non  posso. 
Dove  i'  ti  davo  un  giulio  a  dirittura 
Sol  da  qui  innanzi  ti  vo'  dare  un  grosso. 


37 


SONETTO  XXV. 

Sopra  il  corre  le  fave. 


Tina,  jer  l'altro  vedditi  appiattata 
Tra  i  mìei  baccegli,  e  tanto  vi  badasti 
Che  fattone  una  buona  corpacciata 
Almanco  per  tre  dì  ti  satollasti; 

Poi  lasciando  i  pedali  o  rotti  o  guasti 
Facesti  via  fuggendo  una  risata^ 
Ma  se  torni  per  quei  che  son  rimasti 
Te  ne  vo'  dar  sgranati  una  grembiata. 

De'  baccegli  non  creder  eh'  io  mi  curi. 
Torna  per  essi,  io  non  me  ne  querelo, 
E  scegli  de'  più  grossi  e  de'  più  duri  : 

Ma  non  mandar  poi  tu  le  strida  al  cielo 
S' io  colgo  di  que'  frutti  ormai  maturi 
Che  sono  in  sul  tuo  fico  e  in  sul  tuo  melo. 


38 


SONETTO  XXVI. 

Sopra  il  far  la  gramigna. 


0  Tina,  se  no'  andiamo  sotto  la  vigna 
Da  quel  divelto  di  viti  d'Albano, 
Porta  la  cesta  ed  una  marra  in  mano 
Ch'  i'  vo'  che  noi  facciam  della  gramigna. 

Non  vo'  eh'  abbia  a  sgridar  la  tua  matrigna 
Che  la  giornata  tu  consumi  in  vano  ; 
Con  essa  piena  tornerai  pian  piano, 
Ond'  ella  non  farà  la  cera  arcigna. 

Tu  zappandola  ben  la  netterai 

Dalla  terra,  e  po'  a  me,  che  nella  gora 
Te  la  lavi  ben  ben,  la  porgerai  ; 

E  tratta  poi  ben  risciacquata  fuora 
Al  mulo  del  padron  dar  la  potrai. 
Che  più  nianuca  assai  che  non  lavora. 


39 


SONETTO  XXVII. 

Sopra  il  seccar  la  peschiera. 


Tina  mia  cara,  oggi  il  padron  m' ha  detto 
Che  in  tutt'  e  modi  vuol  che  questa  sera 
Si  voti  affatto  e  secchi  la  peschiera 
Per  far  de'  pesci  non  so  che  banchetto 

Io,  che  non  posso  metterlo  ad  effetto 

S'  un  non  m' ajuta  e  mostra  la  maniera. 
Perchè  so  quanto  in  questo  tu  se'  fiera 
Stasera  meco  in  compagnia  t'aspetto 

Scalzo  e  sbracciato  quivi  i'  mi  riduco, 
E  come  l'acqua  sarà  un  po'  calata 
Farò  vederti  se  que' pesci  i' sbuco; 

Tu  starai  con  la  rete  spalancata 

A  me  dinanzi,  mentre  i'  sturo  il  buco, 
A  ricevere  i  pesci  alla  cavata. 


<. 


40 


SONETTO  XXVIII. 
Sopra  il  dar  bere  ai  Castroni. 


V  veggOj  0  Tina,  il  tuo  castron  brinato 
Sempre  dal  branco  andarsene  lontano  ; 
Tu  deveresti,  s' egli  cieco  è  nato^ 
Quando  e'  bisogna  pur  menarlo  a  mano. 

Né  ti  dovrebbe  già  parere  strano 
Far  quest'  ufiìcio  essend'  egli  malato. 
Sai  che  l'ingratitudine  è  un  peccato 
Che  '1  Prete  vuol  che  no'  '1  tenghiam  lontano. 

Sarebbe  d'una  donna  atto  gentile 
Menarlo  al  fonte  prima  che,  a  diacere 
Con  l'altre  bestie,  andasse  nell'  ovile  ; 

E  se  non  ti  scostassi  dal  dovere 

Vedresti,  ancor  eh'  un  animai  sia  vile, 
Ch^  è  carità  menar  un  cieco  a  bere. 


41 


SONETTO  XXIX. 
Sopra  il  mangiar  l' Jgnello. 


Ognor  che  con  le  pecore  in  pastura 
Quinentro  vo'  ne'  sodi  dal  Viviiola, 
Sempre  qualcuna  il  lupo  me  n'  imbola 
E  se  la  porta  via  senza  paura  ; 

Ma  jeri  l'acchiappai  per  mia  ventura 

Che  appunto  avea  un  agnel  quasi  che  in  gola^ 
E  fattogli  col  cane  una  gran  fola 
Glielo  feci  posar  sulla  verdura. 

Eccolo^  0  Tina^  scorticato  e  netto  : 
Portalo  a  casa  e  cuocinelo  tosto 
Gh'  una  cena  farem  come  un  banchetto. 

Dar  le  parti  dinanzi  a  te  ho  proposto. 
Le  rigaglie  a  comun  sieno  e  '1  guazzetto, 
E  per  me  tor  quelle  di  dietro  arrosto. 

6 


m 


SONETTO  XXX. 
Sopra  il  versar  della  botte. 


Tina  mìa  bella,  i'  so  che  la  tua  botte. 

Dove  unguanno  imbottato  hai  l'acquerello, 
Canchigna!  tutto  il  ber  manda  in  bordello 
Perchè  gocciola  forte  e  giorno  e  notte. 

Chiamami  perdi'  io  venga  a  tutte  l'otte 
A  ristuccarla  senza  oprar  coltello  ; 
Pur  che  non  sia  squarciato  lo  sportello. 
Muffato  il  fondo,  e  sian  le  doghe  rotte. 

Ti  turerò  ogni  buco  ed  ogni  fesso, 
0  Tina,  in  carità,  perch'  i'  non  faccio 
Questi  servigi  mai  per  interesso: 

E  mentre  stoppa  per  di  dietro  caccio 
Dinanzi  metterò  'n  un  tempo  istesso 
Una  cannella  eh'  è  come  il  mio  braccio. 


43 


SONETTO  XXXI. 

Sopra  il  sushi  torto. 


Tina,  quel  mio  susin  che  nel  divelto 
Unguanno  fu  da  me  sotterra  fitto^ 
E  eh'  i'  avea  pel  più  bello  e  '1  più  diritto 
Tra  cento  e  più  rimessiticci  scelto  ; 

Dove  prima  venia  disteso  e  svelto 
Col  capo  all'erta,  ora  si  piega  afflitto 
In  modo  tal  eh'  i'  dal  dolor  trafitto 
Poco  raen  che  da  terra  or  non  l'ho  svelto; 

Né  trovo  modo  o  via  eh'  egli  s'  arrenda. 
Che  s' io  lo  lego  al  pai  con  le  ritorte 
Mi  par  sempre  veder  eh'  e'  si  scoscenda  ; 

Tu  sola  il  puoi  risuscitar  da  morte, 
C  hai  nelle  mani  una  virtù  stupenda 
Che  fa  drizzar  tutte  le  cose  torte. 


44 


SONETTO  XXXII. 

Sopra  il  lavorar  V  orto. 


Tina,  tu  vieni  a  lavorarmi  l'orto 
Con  la  tua  marra,  e  zappi  sì  di  rado 
Ch'  io  te  ne  so,  per  dirtela,  il  mal  grado, 
E  quasi  a  male  stento  lo  comporto; 

E  se  non  fussi  che  rispetto  io  porto 
Perdinci  a  tutto  quanto  il  parentado, 
Te  la  torre'  di  man  quand'  ì'  ci  bado 
Perdi'  i'  conosco  che  tu  mi  fai  torto  : 

Non  vedi  che  proOtto  alcun  non  fai, 
E  butti  il  seme  via  col  lavorìo 
Sebben  ti  fai  tener  donna  d'assai? 

Deh  lascia  star,  che  molto  me'  poss'  io 
Lavorar  con  la  zappa  che  vedrai 
Il  tuo  giardino  a  te  che  tu  a  me  il  mio. 


45 


SONETTO  XXXIII. 
Sopra  la  Golpe. 


Ieri  nel  mio  pollajo  entrò  la  golpe 
Allargando  l' imposta  alla  finestra 
Fatta  di  pruno^  vetrice  e  ginestra^ 
E  d' un  cappon  mangiò  l' ossa  e  le  polpe. 

Ma  voglio  che  '1  padron  me  solo  incolpe 
S'  un  dì  non  gli  fo  recer  la  minestra^ 
L' acchiapperò  ben  io,  sia  furba  e  destra, 
E  questa  sconterà  con  l' altre  colpe. 

Presa  eh'  io  l' averò  farem  cavelle, 
0  Tina,  andando  per  la  vicinanza 
L' uova  accattare,  e  mostrerem  la  pelle  ; 

E  la  sera,  tornati  alla  mia  stanza. 
La  metà  n'averai  delle  più  belle 
Sebben  d'un  pajo  io  so  che  te  n'avanza. 


46 


SONETTO  XXXIY. 
Sopra  il  Nibbio. 

Tina,  ve'  '1  nibbio  che  sì  cala^  olà. 
Senti  la  chioccia  che  grida  ciò  ciò 
Perchè  i  pulcini  ricoprir  non  può 
Con  r  alle  or  che  sen  vanno  e  qui  e  qua. 

Va  là  gridando:  scioca,  scioca,  va. 
Tu  non  ti  muovi,  tu  non  gridi?  ohibò. 
Ecco,  già  n'ha  pres'  uno!  un  altro!  oh  chò, 
Il  branco  questa  volta  scemerà. 

Dì  un  po',  quest'  anno  come  darai  tu 
I  capponi  al  padron,  Tina,  e  da  che 
Trarrai  dodici  serque  d' uova  e  più  ? 

Io  non  ci  vo'  pensare  ;  in  quanto  a  me 
Ti  dico  sol  che  s'egli  vien  quassù 
Tutto  il  peso  sarà  sopra  di  te. 


47 


SONETTO  XXXV. 

Sopra  il  mangiar  le  fave. 


V  t'ho  veduto  manicare  in  fretta 

Fave  raarzuole,  e  tanto  aprir  la  bocca 
Che  ben  eh'  una  per  volta  ve  ne  metta 
Ella  va  in  corpo  e  nessun  lato  tocca. 

Gli  è  una  vergogna  ed  è  una  cosa  sciocca 
Che  non  sta  bene  ad  una  giovinetta. 
Che  se  non  è  la  mamma  che  l'imbocca 
Tu  non  la  sai  accomodare  stretta. 

Già  che  la  gente  non  era  sì  astuta. 
In  queste  cose  la  non  si  guardava. 
Ma  oggidì  pare  eh'  ogni  cosa  puta. 

Imperò,  Tina  mia,  se  non  ti  grava. 
Quando  tu  ti  satolli,  e  se'  veduta. 
Aprila  tanto  che  v'  entri  una  fava. 


48 


SONETTO  XXXVI. 
^S'opra  il  Cane. 


Talvolta  i'  sto  a  veder,  Tina  mia  bella. 
Quando  a  ruzzar  tu  te  ne  stai  col  cane, 
E  che  gli  metti  in  hocca  il  cacio  e  '1  pane, 
E  ti  lasci  leccar  sin  la  scodella. 

Che  il  zotico  sta  mogio  e  non  saltella, 
Né  ti  fa  festa  con  maniere  umane. 
Anzi  abbaiando  con  boccacce  strane 
Or  ti  morde  la  scarpa  or  la  gonnella. 

Deh  se  in  quel  cane  i'  fussi  trasformato 
Verrei  ben  tosto  a  succiar  su  la  broda  : 
Quando  con  quel  tè  tè  fussi  chiamato 

Lascerei  gli  ossi  e  ogn'  altra  cosa  soda, 
E  quand'  i'  fussi  poi  ben  satollato 
Ti  starei  innanzi  a  dimenar  la  coda. 


49 


SONETTO  XXXVII. 
Sopra  il  dar  le  noci. 


Tutto  il  popolo  grida  a  viva  boce 

Ch'  io  sono  un  ingrataccioj  un  ignorante. 
Perchè  quel  giorno  eh'  io  battei  le  noce 
Non  te  le  messi  innanzi  tutte  quante. 

Tu  sai  eh'  io  dissi  :  pigliatene  tante 

Che  tu  non  m'abbia  a  metter  poi  più  in  croce; 
Ma  s' io  non  sono  ad  empierti  bastante 
La  sporta,  il  male  a  me  molto  più  cuoce. 

Tina,  tu  l'hai,  per  dirtela,  sì  grande 
Ch'  un  come  me  mendico  si  sconforta 
A  poteri'  empier  da  tutte  le  bande  ; 

Però  con  pazienza  tei  comporta 

Se  tu  non  vuoi  riempierla  di  ghiande. 
Che  per  me  troppo  larga  è  la  tua  sporta. 

7 


30 


SONETTO  XXXVIII. 
Sopra  il  popone. 


V  vo  a  Firenze,  o  Tina,  dal  padrone 
Per  veder  se  del  gran  mi  vuol  prestare, 
E  perch'  i'  non  ho  altro  da  portare 
Va  un  po'  nel  campo  e  recami  un  popone. 

Ma  lo  vorrei  di  tutta  perfezione. 
Grosso  e  di  peso  e  con  le  fette  rare, 
Ch'  è  difficil  poterlo  contentare 
Essendo  che  gli  è  un  uom  senza  ragione. 

E'  non  è  avvezzo  a  far  troppe  parole. 
Se  non  lo  trova  di  tutto  sapore 
Sempre  nel  capo  battermelo  suole  ; 

Guarda  dunque  eh'  e'  sia  di  buon  odore 
Kato  e  cresciuto  a  dove  batte  il  sole, 
E  abbia  grosso  picciuolo  e  largo  fiore. 


51 


SONETTO  XXXIX. 
Sopra  V annaffiare  l'orto. 


Tina^  con  quella  gralzia  che  tu  suoli 
Ieri,  neir  annaffiarmi  l' orto,  a  caso 
Con  un  urto  rompestimi  quel  vaso 
Dov'  era  il  re  di  tutti  i  miei  vivuoli  ; 

Ma  apponla  a  rae  se  un  dì  non  te  ne  duoli, 
E  non  arricci  per  la  slizza  il  naso, 
Ch'  io  ti  vo'  romper  quel  che  t'è  rimase 
Intero  e  saldo  a  dove  il  ranno  coli  ; 

Ovver  la  vilìa  di  Pasqua  di  Ceppo, 

Quando  tu  vieni  a  chiedermi  il  danajo. 
Dirò  di  no  bench'  io  ne  fossi  zeppo  ; 

E  con  bel  modo  per  colmar  lo  stajo. 

Mentre  chiedi  la  mancia  appiè  del  greppo. 
Io  spaccherotti  il  tuo  salvadanajo. 


SONETTO  XXXX. 
Sopra  il  sonare  il  cembolo. 


Tina,  tu  mi  fai  rider  quando  vai 

Cantando  il  Maggio  a  questi  contadini, 
E  suoni  un  cembal  senza  dinderlini, 
Cosa  in  contado  non  usata  mai  : 

Tu  vedi  ben  che  sì  poc'  uova  fai 

Che  non  darian  le  spese  a  due  mucini. 

Anzi  ridon  di  te  tutti  i  vicini 

Che  di  saper  suonar  credi  e  non  sai. 

Tale  stromento  a  te  non  si  conviene, 
E  poco  giova  quel  tuo  dagli  dagli 
Se  quei  cosi  vi  maucan  che  fan  bene; 

Invan,  Tina,  t' affanni  e  ti  travagli. 
Non  è  tua  colpa,  il  mancamento  viene 
Sol  perchè  come  me  non  hai  sonagli. 


5? 


SONETTO  XXXXI. 
Sopra  il  pescar  pe"  pantani. 


Tinsj  colà  nella  mollaja  vota 

Messa  ho  la  man  sotto  una  pietra  fessa^ 
E  morso  stato  son  da  una  granchiessa 
Che  ha  figliato  testé  tra  quella  mota. 

Che  i  granchi  abbian  due  bocche  è  cosa  nota. 
Ed  io  balordo  pur  la  man  v'  ho  messo, 
E  il  sangue,  ohimè,  di  gocciolar  non  cessa, 
Né  giova  eh'  io  la  succi  e  eh'  io  la  squota. 

Or  mi  sovviene  (e  ci  fu  Meo  di  Cecco) 
Quanto  mi  disse,  al  Tetto  dei  Pisani, 
Un  che  aveva  un  barbon  come  il  mio  becco 

Veggo  a  un  segno,  diss'  ei,  e'  hai  nelle  mani 
Che  tu  se'  per  pigliar  de'  granchi  a  secco. 
Però  non  pescar  troppo  ne'  pantani. 


u 


SONETTO  XXXXII. 
Sopra  la  brocca  fessa. 


Ben  dieci  volte  te  l'ho  detto,  o  Tina, 
Fa  risprangar  la  brocca  tua  di  legno. 
Acciò  che  per  la  via  non  lasci  il  segno 
Quando  tu  vai  per  l'acqua  la  mattina. 

E  tu,  come  se  fussi  una  bambina. 

Non  curi  quel  che  per  tuo  ben  t'insegno; 
Ma  cercheresti,  se  tu  avessi  ingegno. 
Di  non  aver  da  ognun  la  fanferina. 

A  dir  che  non  ti  paja  cosa  strana 
Quel  gocciolar,  non  una  volta  sola. 
Ma  sempre  nel  tornar  dalla  fontana, 

E  che  t'abbia  a  esser  detto  a  ogni  parola 
Da  chiunche  passa  (oh  la  mi  par  marchiana!) 
0  Tina,  tu  l'hai  fessa,  la  ti  cola. 


65 


SONETTO  XXXXIII. 
Sopra  la  siepe  sturata. 


La  siepe,  o  Tina,  tanto  t'è  cresciuta 
Dinanzi,  che  '1  giardino  tutto  ritura, 
E  pur,  cosa  che  pare  a  creder  dura, 
L' insalata  troviam  mezza  pasciuta. 

Quest'  è  un  segno  che  dentro  e'  è  venuta 
Qualche  gran  bestia  senz'  aver  paura, 
E  che  ha  sciupato  tutta  la  verdura, 
E  questa  eh'  è  rimasta  or  par  che  puta. 

0  Tina  mia,  bisogna  riturarla 

Se  non  vuoi  dalla  gente  aver  la  baja, 
E  s'io  son  buono  a  darti  ajuto,  parla. 

Io  gentilmente,  in  mo'  che  non  si  paja. 
Pur  eh'  agio  tu  mi  dia  di  rassettarla, 
Riturerotti  tutta  la  callaja. 


56 


SONETTO  XXXXIV. 

Sopra  la  bigoncia. 


L'  uva  e  già  ghezza,  e  sono  in  molle  i  tini 
Sicché  vendemmiar  puossi  a  nostra  posta, 
Tina,  e  tra  noi  di  quel  che  non  ci  costa 
Far  a  combutta  come  buon  vicini. 

Di  quel  che  a  te  darò  non  vo'  quattrini, 
E  tu  a  quel  che  a  me  dai  non  por  la  posta  ; 
Sia  del  par  la  domanda  e  la  risposta 
Che  così  s'usa  tra  noi  contadini. 

Dopo  eh'  e'  sia  svinato,  come  è  onesto. 

Se  ognun  ripiglia  il  suo,  la  cosa  è  acconcia,, 
La  riceuta  non  ci  va  del  resto. 

Ma  perchè  meco  tu  non  stia  mai  broncia 
Ti  lascerò  l' ammostatojo  in  presto 
Se  a  me  darai  l' ombuto  e  la  bigoncia. 


57 


SONETTO  XXXXV. 

Sopra  V  innestare. 


Tina,  tu  sai  eh'  i'  ho  quel  mio  ciliegio 
AcquajolOj  nel  campo  delle  fosse. 
Il  qual  vorre'  innestar  perchè  più  grosse 
Le  facesse,  che  quelle  i'  l' ho  in  dispregio  ; 

E  non  comporta  quasi  a  corle  il  pregio 
Ch'  altro  non  han  di  buon  che  le  son  rosse  ; 
Bisciolo  lo  vo"  pria  che  più  ingrosse. 
Che  questi  hanno  tra  gli  altri  il  privilegio. 

Tina  mia  bella,  non  ti  paja  strano 
Di  venirmi  ajutar  ;  basta  che  appresso 
Tu  mi  stia,  e  che  tenga  il  conio  in  mano. 

Ed  allargando  bene  ben  con  esso. 

Mentre  io  metto  la  marza,  vadia  piano 
La  buccia  intorno  e  poi  ristringa  il  fesso. 


58 


SONETTO  XXXXVI. 

Sopra  il  lavare  il  bucato. 


Che  giova^  o  Tina,  andar  giù  nel  fossato 
E  starti  coccolon  su  quel  pietrone 
A  stropicciare  e  battere  il  bucato 
Se  non  adopri  punto  di  sapone  ? 

Lavalo  meglio,  perchè  '1  tuo  padrone 
Ha  gusto  grande  eh'  e'  gli  sia  lavato, 
E  quando  se  gli  porta  ripiegato 
Lo  guarda  prima  ben,  poi  lo  ripone. 

lo  m'  offerisco,  perchè  la  mi  preme, 
D' ajutarti  a  lavar  e  bene  e  presto, 
E  di  far  buon  lavoro  ho  ferma  speme  : 

Prima  stropiccerem  le  parti  estreme 

De'  panni  entrambi,  e  poi  d' accordo  al  resto 
Faremo  al  fin  la  saponata  insieme. 


59 


SONETTO  XXXXVIl. 
Sopra  il  indio. 


ler  nel  ritornar  da  Montisoni, 

Calando  pel  burron,  passai  rasente 
Il  castagneto  di  Cecchin  del  Nente 
Dov'  eran  già  le  fosse  dei  carboni  ; 

Quivi  nn  nidio  trovai  di  gazzeroni 

In  cima  a  nn  leccio^  e  perchè  posi  mente 
Ch'  eran  stati  adocchiati  dalla  gente. 
Gli  ho  cavatij  e  non  hanno  anco  i  bordoni. 

0  Tina,  se  tu  vuoi  eh'  i'  te  li  dia, 

Vien  a  torteli  in  man,  Tina,  deh  vienne. 
Che  pericol  non  e'  è  che  volin  via. 

La  Mea  gli  vedde  e  voglia  gliene  venne. 
Ma  i'  gli  ho  serbati  a  te,  speranza  mia. 
Perchè  so  eh'  e'  ti  piaccion  senza  penne. 


60 


SONETTO  XXXXVIII. 

Sopra  il  far  V  olio. 


0  Tina,  i'  vo'  venir  teco  per  opra 
Or  che  l'ulive  tue  son  grosse  e  nere, 
E  stareni  tutto  '1  dì  con  gran  piacere. 
Tu  di  sotto  a  raccorre,  i'  a  squoter  sopra. 

E  ti  prometto  che  nessun  ci  scuopra, 

Sebben  l'hai  grande,  d'empierti  il  paniere, 
E  poi  che  cerco  avreni  tutto  il  podere 
Per  trarne  l'olio  le  porremo  in  opra. 

Riscalderenle  bene,  e  tra  noi  due. 
Messe  dove  la  macina  le  preme, 
Un  empierà  le  gabbie,  un  morrà  il  bue  ; 

Ma  prima  che  si  faccia  l' olio  insieme 
Se  la  stanga  è  tarlata  vedrai  tue. 
Ed  io  vedrò  se  la  tinella  geme. 


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SONETTO  XXXXIX. 

Sopra  la  teslicciiiola. 


Tina,  to'  quella  testa  e  que'  peducci 

E  metti  or  ora  un  pajol  J' acqua  al  fuoco, 
E  allor  che  bolle  tuffa  vegli  un  poco. 
Ma  gua'  che  nel  pelar  tu  non  li  sbucci. 

Fa  presto  se  non  vuoi  eh'  i'  mi  corrucci, 
Friggili  bene,  e  poi  qui  'n  questo  loco 
Portali,  e  se  mangianli  a  poco  a  poco^ 
Ch'  i'  arrazzi  se  le  dita  non  ti  succi. 

L'  agnello  cotto  quando  il  grasso  cola 
Non  par  che  dal  capretto  si  distingua. 
Poi  gli  è  un  mangiar  da  re  la  testicciuola. 

Yo'  che  la  fame  a  tramendue  s' estingua  ; 
A  te  ogni  cosa  vo'  cacciare  in  gola, 
Perchè  a  me  basta  sol  l'occhio  e  la  lingua. 


SONETTO  L. 
Sopra  il  voltare  le  rene. 


Gli  è  come  il  confettar  proprio  una  rapa 
Il  piaggiar  ogni  giorno  una  fanciulla  ; 
Faccia  un  se  sa^  che  alfìn  e'  non  fa  nulla, 
Consuma  il  tempo  e  l'opra  non  accapa. 

L'  ha  una  galloria  s'ella  se  l'incapa 

Che  lien  l'uom  come  il  lin  nella  maciulla. 
Or  eh'  i'  non  amo  e  '1  quor  più  non  mi  frulla 
E'  mi  par  di  star  ben  quanto  stia  un  Papa. 

Tina^  non  creder  tu,  col  tuo  discorso 
Far  sì,  eh'  io  torni  a  rivolerti  bene. 
Che  a  Modena  non  vo'  più  menar  l'orso  ; 

Conosco  il  mancamento  d'onde  viene  : 
S' un  per  te  muore  e  chiedeti  soccorso 
Tu  abbassi  il  capo  e  voltigli  le  schiene. 


EDIZIONE 

di  50  esemplari  in  carta  reale 
e  A  in  pergamena. 


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