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Full text of "Saggio sui dialetti gallo-italici"

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600069621 W 


/ 


r\ 


SAGGIO 


SUI 


DIALETTI  G4LL0-IT4LIGI 


DI 


B.  BIOINDELLI 


MILÀINO 

PHESSO  MCS.   BERNARDOM    Di   (;I0. 

1853 


J^J,      ^.     /. 


I  dialdli  rlmàogoDO  ùuica  neiDoria  di  quella  prisra  Europa ,  cbc  non  rbbr 
istoria  •  Don  laKiò  nonunienli. 


%  .0»-  X 


IWOTA  FHtSEéiMilVAHMS 


La  redazione  e  la  stampa  delVOpera  che  diamo  alla 
luce  ebbe  incominciamento  da  alcuni  anni^  e  ne  fu  pro^ 
messa  molto  prima  la  publicazione.  Se  non  che  la  som- 
ma difficoltà  di  compiere  la  collezione  dei  matenali^ 
màssime  di  quelli  che  spettano  a  dialetti  lontani  e  sinora 
meno  avvertiti^  accresciuta  dalle  disastrose  vicende  po- 
lìtiche che  sospèsero  il  corso  così  delle  investigazioni  j 
come  della  stampa j  ritardarono  eziandio  V adempimento 
della  fatta  promessa. 

Frattanto  alcuni  Scritti  vennero  in  lucCj  dei  quali 
notàvasi  la  lacuna ^  o  si  annunziava  la  prossima  publi- 
cazione  nel  corso  del  presente  Saggio.  Tali  sono:  il  Vo- 
cabolario doi  Dialetti  Comensi  dclVahate  Pietro  Monti^ 
il  Vocabolario  Cremonese  del  professore  Angelo  Peri  _. 
ed  il  Vocabolario  Cremasco  del  professore  Bonifacio  Sa- 
mnranij  opere  tutte  frutto  di  lunga  lena  e  di  coscien- 
ziose ricerche,  le  quali,  se  non  raggifmgono  compiuta- 
infante  il  nòbile  scopo  mi  sono  dirette,  racchiudono  ciò 


ri  i^/r^^mo  arra  %o%  ciiiia  c*it  al^a^^  rLl:%^^  f  d^ 
futuri  progrem  di  taU  ftmdii  prt^f^  di  kct 

alla  lar^ma  dei  mtixmci  tr^ni  biblk>-i^^'^ .  ^hi^ìnamo 
tìfma  per  la  omnmimtme  di  al  funi  aìtri  f>rr\:u  ternàeoli 
éi  mme^  emUo.  ehéf  vemurro  pMblieafi  nfì  ^^rfc  defila 
pretentéf  tdizmme. 


INTRODUZIONE. 


Pochi  anni  sono  publicavamo  nel  Politècnico  al- 
cuni cànoni  fondamentali  per  lo  studio  comparativa 
delle  lingue  in  generale  (0,  ed  alcune  Osservazioni 
suir  italiana  favella  in  particolare  (*),  nelle  quali  ac- 
cennavamo air  importanza  dei  dialetti  nella  ricerca  delle 
orìgini,  cosi  delle  lingue,  come  delle  nazioni  che  le 
parlano.  Siccome  gli  studj  da  noi  a  tal  uopo  instituiti 
sugli  itàlici  dialetti,  e  dei  quali  porgiamo  un  brano 
nel  presente  Saggio,  sono  appunto  fondati  su  quei 
canoni  per  modo,  che  si  possono  considerare  come  ap- 
plicazioni speciali  dei  medésimi,  cosi  reputiamo  cosa 
ùtile ,  se  non  necessaria ,  il  preméttere  riassunto  in  po- 
che pàgine  quanto  venivamo  più  diffusamente  espo- 
nendo in  quelle  due  separate  Memorie. 


(i)  Vedi  il  Politècnico,  repertorio  mensile  di  studj  applicati  alla  pro^ 
«perità  e  coltura  sociale.  Voi.  II,  pag.  161-184.  Milano^  1839. 
(t)  Ivi.  Voi.  Ili,  pag.  IS5-141. 


TI  INTRODUZIONE. 

I. 

Dappoiché  lo  studio  comparativo  delle  lingue  venne 
generalmente  riconosciuto  qual  mezzo  eflìcace  e  sus- 
sidiario deir  istoria  nella  ricerca  delle  origini  e  dei  rap- 
porti delle  nazioni,  i  linguisti  procedettero  nelle  loro 
speculazioni  per  due  vie  diverse,  mentre  alcuni  prè- 
sero a  principal  fondamento  il  vocabolario ,  come  rap- 
presentante la  materia ,  altri  invece  preferirono  la  gram- 
màtica, come  rappresentante  la  forma  delle  lingue. 
LMnsufficicnza  di  ciascuno  di  questi  mezzi  preso  iso- 
latamente, per  la  soluzione  di  qualsiasi  problema  lin- 
guìstico, venne  abbastanza  dimostrato  dalla  dissonanza 
delle  rispettive  loro  induzioni.  Infatti  è  a  tutti  palese, 
oome  la  simiglianza  lessicale  di  due  lingue  possa  di- 
pèndere, o  dalla  comunanza  d^ origine,  sia  che  der^r 
vino  da  un  ceppo  comune ,  sia  che  V  una  proceda  dal- 
r altra,  o  dallMnfluenza  che  un  pòpolo  esercitò  suir  al- 
tro ,  sia  con  diretto  dominio ,  sia  per  iscambièvolc 
commercio,  sia  finalmente  per  mezzo  della  letteratu- 
ra ,  che  più  sviluppata  e  più  ricca  nelF  una  lingua , 
lasciò  impresse  alcune  traccie  nelF  altra.  Talvolta  an- 
cora il  vocabolario  d^  una  lingua  rassimiglia  in  parti 
eguali  o  diseguali  a  quelli  di  due  o  tre  lingue  di  fa- 
miglia e  natura  discordi,  senza  che  Feguaglianza  o  la 
dìseguaglianza  delle  parti  condur  possa  ad  induzioni 
certe  e  fondate;  come  avvenne  appunto  nella  Gran- 
Brettagna.  Troviamo  colà  una  lingua,  il  cui  lèssico  in 
parti  diseguali  ha  manifesta  parentela  col  cèltico,  col 
sàssone  e  col  latino.  Se  l'istoria  non  ci  avesse  edotti, 
che  i  primi  abitanti  di  quell'isola  erano  Celti,  soggio- 
gati nel  VI  sècolo  da  alcune  tribù  germàniche  ^  le  quali 


INTRODUZIONE.  VII 

alla  loro  volta  soggiacquero  neìV  XI  alla  conquista  dei 
Normanni  già  lungamente  stanziati  nelle  Gallie  fra  pò- 
poli anticamente  conquistati  dai  Romani,  come  potrebbe 
il  linguista,  col  solo  soccorso  del  lèssico,  sciògliere  il 
problema  di  quel  miscuglio  d^ elementi  disparati,  e  di- 
stìnguere fra  i  varj  che  compóngono  la  lingua  inglese 
r  idioma  primitivo  di  quelle  tribù  ?  Ora  simili  miscella- 
nee sono  appunto  avvenute  più  volte  sul  nostro  globo , 
senza  che  la  storia  ne  serbasse  reminiscenza.  Il  mondo 
è  antico;  innumerevoli  pòpoli  lo  percórsero  più  volte 
in  ogni  direzione,  e  poi  scomparvero;  Pavidità  di  do- 
minio accozzò  insieme  più  volte  le  più  disparate  nie 
zioni  ;  più  volte  si  confusero  i  vincitori  coi  vinti ,  e  T  i- 
storia  ,  troppo  gióvane  per  isquarciare  T  impenetràbile 
velo  dei  sècoli,  ci  addita  troppo  vicino  il  tèrmine,  oltre 
il  quale  non  può  spaziare  il  nostro  sguardo! 

Senza  mendicarne  gli  esempj  nelF America,  nelFA- 
frìca  o  nelFÀrcipèlago  indiano ,  ce  ne  porge  abbastanza 
la  nostra  Europa  nelle  nazioni  cèltiche,  nelle  valacche, 
nelle  albanesi  ed  in  quelle  persino  che  coltivano  la  pe- 
nìsola itàlica. 

A  provare  T  insufficienza  del  sistema  grammaticale 
abbiamo  sott^  occhio  le  moderne  lingue  dette  latine, 
appunto  perchè  derivate  principalmente  dalla  lingua  del 
Lazio;  ma  se  poniamo  a  riscontro  le  rispettive  gram- 
màtiche, vi  scopriamo  le  più  radicali  differenze.  L^uso 
deir artìcolo  a  tutte  comune  ed  ignoto  alla  latina,  la 
mancanza  del  nèutro ,  la  sostituzione  delle  preposizioni 
alle  flessioni,  la  combinazione  dei  verbi  ausiliari  coi 
participi  d^  altri  verbi  per  la  formazione  delle  voci  pas- 
sive e  delle  passate  attive,  che  mancano  in  tutte  le  de- 
rivate, ed  altretali  varietà,  costituiscono  la  più  radi- 


vili  IKTRODUZIONE. 

cale  dissonanza  tra  la  grammàtica  latina  e  quella  delle 
sue  derivate.  Arroge  T  enorme  differenza  della  sintassi 
derivata  dal  vario  reggimento  delle  parti  del  discorso, 
differenza  molto  importante  pel  linguista,  giacche  il 
diverso  ordine  delle  parti  nel  discorso  importa  niente 
meno  che  una  diversa  successione  d^  idee  nella  filiazione 
dei  concetti,  e  quindi  vario  il  principio  lògico  ed  il 
processo  intellettuale.  La  medésima  osservazione  po- 
tremmo estèndere  a  tutte  le  moderne  lingue  d^Europa, 
le  quali  sostituirono  il  processo  analìtico  al  sintètico, 
distintivo  degli  antichi  idiomi  dai  quali  derivarono; 
ond^è  manifesto,  quanto  erronea  sarebbe  un^  induzione 
dedotta  dal  sémplice  confronto  grammaticale. 

Né  intendiamo  con  ciò  eliminare  dallo  studio  com- 
parativo delle  lingue  i  due  mezzi  che  ne  sono  prin- 
cipal  fondamento;  ma  bensì  mostrare  la  necessità,  che 
questi  insieme  combinati  procèdano  di  pari  passo,  e  di 
più  concordino  con  altri  elementi  atti  a  contrasegnare 
la  natura  delle  varie  lingue.  Infatti ,  se  V  affinità  les- 
sicale di  due  lingue  manifesta  probàbile  comunanza  di 
rapporti  fra  le  nazioni  che  le  parlano,  non  vMia  dubio 
che,  aggiungendovi  V  affinità  grammaticale,  questa  pro- 
babilità diverrà  certezza  ;  onde  avremo  una  forte  pre- 
sunzione per  amméttere  eziandìo  la  loro  comunanza 
dWigine;  mentre  air  opposto  la  sola  simìglianza  lessicale 
trar  due  lingue  essenzialmente  discordi  nella  gramma- 
ticale struttura ,  provando  la  diversa  orìgine  rispettiva, 
accuserà  nelFuna  e  nelF  altra  T  influenza  di  due  lingue 
diverse,  delle  quali  una  dev^ èssere  stata  la  prima. 

Esaminando  questo  fatto  presso  le  nazioni  delle  quali 
ci  sono  palesi  le  istòriche  vicende ,  osserviamo  general- 
mente ,  che  quando  una  nazione  fu  condutla  dalla  forza 


INTRODUZIONE.  IX 

degli  avvenimenti  ad  adottare  la  lingua  d^  un^  altra,  per 
una  recòndita  legge  naturale,  adattò  più  o  meno  il  nuovo 
lèssico  alle  forme  della  lingua  nativa ,  il  che  vuol  dire  : 
che  una  nazione  può  colla  influenza  sua  sospingere  fino 
ad  un  certo  punto  un' altra  a  cangiare  i  nomi  mate-- 
ria  li  delle  cose;  ma  non  a  dare  nuova  forma  e  nuovo 
órdine  al  pensiero. 

Di  questo  fondamentale  principio  abbiamo  irrefra- 
gàbili testimonianze  nelle  tante  nazioni  slave  germa- 
nizzate lungo  le  rive  del  Baltico,  e  persino  in  tutte  le 
moderne  lingue  latine,  sopra  tutto  nella  francese  e  nelk 
valacca,  le  quali  serbano  le  più  distinte  affinità  gram^ 
maticali  colle  lingue  che  le  precedettero  prima  ancora 
della  romana  invasione  ;  e  quindi  emerge  spontaneo 
un  cànone  importante  per  la  linguìstica,  che  cioè,  ogni" 
qualvolta  il  lèssico  e  la  grammàtica  d^un  dialetto 
appartengono  a  due  idiomi  disparati ,  la  grammà- 
tica indicherà  i  rapporti  naturali ^  ed  il  lèssico  i  for- 
tuiti y  della  nazione  che  lo  parla  j  con  quelle^  alle  quali 
gli  idiomi  affini  appartengono. 

Di  qui  emerge  altresì  evidente  la  causa  della  molté- 
plice varietà  dc^ nostri  dialetti,  la  quale  consiste  ap- 
punto nelle  disparate  orìgini  delle  nazioni  che  li  par- 
lano. Quante  radicali  discrepanze  non  serbano  essi  dopo 
tanti  sècoli  scambievolmente  tra  loro ,  e  quindi  ancora 
colla  lingua  scritta  I  Di  fatti  V  italiano  letterale  fu  pri- 
mamente uno  di  questi  tanti  dialetti,  che,  a  poco  a  poco 
prevalendo  come  intèrprete  comune  di  tutti  i  pòpoli 
d^talia,  dovette  partecipare  deir  ìndole  e  del  vocabo- 
lario di  tutti  i  rispettivi  loro  diaielli,  e  accògliere  ele- 
menti divaria  natura.  Tanto  è  vero  che,  per  parlare  e 
scrìvere  italianamente,  dobbiamo  imparare  questa  no- 


X  INTRODUZIONE. 

stra  lingua  con  lunghi  e  laboriosi  studj ,  poco  meno  che 
se  apprendessimo  la  latina  o  la  francese  ;  e  a  malgrado 
deir affinità  sua  coi  nostri  dialetti,  e  del  continuo  lèg- 
gere ,  scrìvere  e  parlare  V  italiano ,  ben  pochi  giùngono 
a  trattarlo  come  conviensi,  e  grandi  e  frequenti  sono  le 
difficolta  che  incontriamo,  ogniqualvolta  vogliamo  e- 
sporre  con  chiarezza  e  proprietà  le  nostre  idee ,  poicliè 
veramente  dobbiamo  tradurre  il  nostro  dialetto  in  altra 
lingua  y  vale  a  dire ,  rappresentare  sotto  diversa  forma  i 
nostri  pensieri.  Perciò  appunto ,  ancora  oggidì  in  Pie- 
monte, ove  Tuso  d^  istruire  la  gioventù  nella  lingua 
francese ,  anziché  nelF  italiana ,  prevale  in  alcune  classi , 
trovasi  di  sovente  chi  agevolmente  esprime  in  lìngua 
firancese  ciò  che  non  saprebbe  fare  italianamente ,  seb- 
bene parli  un  itàlico  dialetto.  E  non  ha  guari,  che  in 
molte  Provincie  d^  Italia,  ove  lo  studio  della  lingua  latina 
era  materia  principale  e  quasi  esclusiva  dell^  insegna- 
mento, restando  negletto  quello  deir  italiana,  trovàvansi 
sovente  scrittori,  che  più  facilmente  e  con  maggiore 
proprietà  esprimevano  in  latine  forme  i  loro  pensieri, 
che  non  italianamente.  Senza  più,  qual  v^ha  sconcio  più 
mostruoso  e  ridìcolo ,  che  il  sentire  un  uomo  illetterato 
dei  nostri  paesi  a  parlare  F  italiana  favella? 

Ora  questa  medesima  osservazione ,  essendo  applicà- 
bile del  pari  a  presso  che  tutte  le  nazioni  incivilite,  ci 
porge  un  importante  corollario,  ed  è:  che  assai  male 
8* appone  colui ,  il  quale ,  intento  a  classificare  una  na- 
zione ,  si  fonda  sulla  lingua  scritta  della  medesima;  poi- 
ché, essendo  questa  per  lo  più  convenzionale,  e  risul- 
tando dalla  riunione  di  più  dialetti,  può  differire  es- 
senzialmente dalla  lingua  parlata;  o,  ciò  che  vale  io 
stesso,  per  pronunciare  sulV  orìgine  e  sui  rapporti 


INTRODUZIONE.  XI 

dei  POTI  pòpoliy  è  necessario  studiare  partitamente  i 
laro  dialettiy  e  non  la  lingua  àulica  loro  comune. 

Gli  altri  elementi  da  noi  enunciati,  che  necessaria- 
mente concórrono  colla  grammàtica  e  col  vocabolario 
a  determinare  V  indole  peculiare  di  ciascuna  lingua , 
sono  due ,  cioè  :  la  serie  de^  suoni  costituenti  la  pronun- 
cia d^ogni  popolazione,  ciò  che  noi  abbiamo  altrove 
designato  col  nome  di  sistema  sonoro,  o  fonètico,  e  la 
filiazione  dei  concetti  desunta  dal  modo  di  esprìmerli 
proprio  d'  ogni  nazione ,  ciò  che  abbiamo  denominato 
sistema  concettuale  o  grecamente  ideotòmico.  A  questi 
due  elementi,  che  sopra  tutto  costituiscono  la  fisiologìa 
e  la  filosofia  delle  lingue ,  ci  sembra  doversi  dare  la  pre- 
ferenxsL  nelle  linguistiche  ricerche. 

Quanto  al  sistema  sonoro:  decomponendo  le  voci 
d^un  diiiletto  nei  loro  elementi,  è  certo  che  si  avrà 
una  serie  più  o  meno  lunga  di  suoni  sémplici,  dalla 
coi  varia  combinazione  deriva  appunto  la  sua  partico- 
lare pronuncia.  Se,  disposte  in  egual  órdine  le  serie 
dei  suoni  proprj  di  molti  dialetti,  le  confrontiamo  tra 
loro,  osserviamo  generalmente,  anche  in  dialetti  affini 
d'una  medesima  lingua,  un  maggiore  o  minor  nù- 
mero di  radicali  dissonanze ,  mentre  ogni  serie  possiede 
qualche  suono  distintivo  mancante  nelle  altre.  Da  que- 
sta radicale  dissonanza  degli  elementi  appunto  derivano 
le  tante  varietà  di  pronuncia  tra  le  nazioni.  Progre- 
dendo neir  osservazione ,  veggiamo  ancora  che  que- 
sta diversità  di  pronuncia  si  mantiene  costante  nelle 
nazioni,  non  solo  attraverso  una  lunga  serie  di  secoli, 
ma  in  onta  al  più  frequente  commercio ,  ed  agli  sforzi 
fatti  per  annientarla.  Rasles,  che  soggiornò  dieci  anni 
tra  gli  Abenàchcri,  dolèvasi  di  non  saper  pronunciare 


XII  IIO'RODUZlO^ìE. 

la  meta  dei  suoni  proprj  della  lor  lingua;  Chaumont, 
dopo  cinquantanni  di  commercio  cogli  Huroni,  non 
sapeva  esprìmere  la  varietà  dei  loro  accenti;  ma  questi 
sono  fatti  individuali;  ne  abbiamo  esempj  ben  più^ 
nerali  e  convincenti.  Oual  più  avito  e  più  frequente 
Gonunercio,  che  quello  del  cittadino  milanese  colFabi- 
tante  de^suoi  vicini  contadi?  E  pure,  non  sì  tosto  apre 
questi  la  bocca  sul  pùblico  mercato,  che  è  noto  se  traesse 
i  natali  sulla  collina  o  sul  piano. 

Questa  tenacità  d^ogni  sìngola  nazione  nel  conser- 
vare la  rispettiva  pronuncia  dèvesi  attribuire  sopra  tutto 
alla  costituzione  degli  òrgani  destinati  alla  formazione 
ed  articolazione  dei  suoni,  i  quali  òrgani,  educati  sin 
dair infanzia  a  quelle  determinate  flessioni,  divengono 
col  tempo  inetti  a  funzioni  diverse.  Né  giova  opporre 
che,  gettando  un  bambino  d^una  nazione  nel  mezzo 
d^un^ altra  di  vario  stìpite,  questi,  sviluppandosi,  as- 
sume la  pronuncia  che  gli  viene  insegnata,  senza 
manifestare  traccia  di  quella  della  nazione  propria;  poi- 
ché una  simile  obiezione ,  lungi  dalF  affievolire  il  no- 
stro principio,  giova  anzi  ad  avvalorarlo,  mostrando 
la  prevalente  influenza  dclF  educazione.  Ora  i  bambini 
imparano  sempre  a  proferire  i  primi  accenti  dalle  ma- 
dri, che  sono  le  più  tenaci  nel  serbare  i  suoni  nazio- 
nali, e  perciò  quand'anche  una  nazione  vengaacan-- 
giare  il  proprio  dialettOy  eonsefva  sempre  qualche  di- 
stintilo  della  nativa  pronuncia. 

Questo  cànone  ci  spiega  per  qual  ragione  le  tante 
cèltiche  tribù,  sostituendo  la  latina  alla  propria  favella, 
serbarono  fino  ai  dì  nostri  i  proprj  suoni,  attraverso 
tanti  secoli ,  e  in  onta  alle  successive  invasioni  di  tanti 
pòpoli  d^  altre  stirpi.  Perciò  i  pòpoli  ibèrici,  rinun- 


INTRODUZIONE.  XIII 

riandò  ai  loro  primitivi  dialetti,  impressero  nelle  voci 
latine  quei  suoni  aspirati  e  gutturali  ^  che  eredità- 
rono  dai  loro  maggiori  (0;  e  perciò  quando  la  lingua 
germànica  venne  parlata  dalle  nazioni  vènedc  setten- 
trionali, vi  depose  la  naturale  sua  asprezza.  Dalle  quali 
considerazioni  ci  sembra  dimostrato,  che  F anàlisi  del 
sistema  sonoro  delle  lingue  è  utilissima  e  necessaria 
guida  al  linguista,  giacché,  se  una  nazione  potesse  as- 
sùmere la  lingua  d'un^allra,  senza  alterarne  la  yram- 
màlica y  né  il  vocabolario y  il  solo  esame  della  pronun- 
eia  basterebbe  a  svelarne  l'orìgine  diversa. 

Parlando  de^ suoni,  non  possiamo  ommèttere  d^ ac- 
cennare air  imperfezione  de^  mezzi  usati  sinora  per  rap- 
presentarli. Tutte  le  lingue  d^Curopa ,  tranne  le  poche 
situale  neir orientale  suo  lembo,  vengono  scritte  cogli 
scarsi  e  mal  determinati  segni  delF alfabeto  latino ,  la 
nii  manifesta  insufficienza  diede  luogo  alle  più  arbitrarie 
ed  assurde  combinazioni.  Il  medesimo  segno,  e  la  stessa 
combinazione  di  segni  rappresentano  dieci  suoni  diffe- 
renti in  dieci  differenti  lingue,  mentre  alP opposto  il 
medésimo  suono  è  rappresentato  da  segni  diversi  in 
lingue  diverse.  Ciò  nulla  di  meno  qualche  suono  manca 
in  ciascuna  lingua  di  segno  rappresentativo,  mentre 
altri  ne  hanno  più  d^uno  nella  medésima  lingua.  Di 
qui  ebbe  orìgine  queir  intricato  labirinto  di  sistemi 
ortogràfici^  nel  quale  si  smarriscono  gli  scrittori,  ogni- 


\i)  A  quelli  che  aUribuìf^ono  T origine  de' suoni  gutturali  spagnuoli  al 
lungo  dominio  degli  Arabi  in  quella  penìsola,  si  potrebbe  chièdere:  per 
foal  ragione  questi  suoni  gutturali  non  si  trovano  nelle  Provincie  compo- 
Aeiiii  il  Portogallo,  già  soggette  agli  Arabi  per  varj  sècoli,  e  tròvansi  in- 
vece piò  frequenti  e  più  forti  fra  le  balze  dei  Pirenei  occidentali ,  ove  gli 
Arabi  non  penetrarono  mai? 


XVI  IITRODUUONI. 

generalmente  affatto  diverso  il  processo  mentale  nella 
forma  rappresentativa  drogai  concetto  complesso:  ciò 
che  appunto  costituisce  prìncipaUneate  la  diversa  na- 
tura delle  lingue  medésime;  ma  la  stessa  osservazione 
si  ripete  assai  sovente  eziandìo  negli  idiomi  costituenti 
una  medésima  famiglia  e,  quel  che  é  più,  nei  dialetti 
d'una  stessa  lingua  !  Esaminando  questo  fatto  nelle  lin- 
gue, delle  quali  ci  é  nota  fino  ad  un  tèrmine  abbastanza 
rìmoto  ristoria,  abbiamo  assai  di  frequente  riconosciuto 
che  le  naziorii,  le  quali  si  ridussero  a  uìutare  la  propria 
lingua,  trasportarono  nel  nuovo  dialetto  le  forme  men- 
tali proprie  della  primitiva  favella.  Ne  pòrgono  chiari 
e  convincenti  esempj  i  dialetti  lombardi  e  pedemontani, 
le  cui  forme,  dissonando  dalle  latine,  concordano  per  lo 
più  con  quelle  dei  cèltici  dialetti,  sui  quali  il  latino  vo- 
cabolario fu  innestato.  Parecchi  esempj  ne  pòrgono  i 
moltéplici  dialetti  inglesi,  nei  quali  prevalgono  pari- 
menti le  forme  del  cèltico,  e  più  chiare  prove  ci  sommi- 
nistrano i  pòpoli  finnici  e  slavi  germanizzati,  i  quali, 
sebbene  parlino  e  scrìvano  in  lingua  tedesca,  ciò  nul- 
ladimeno  tèndono  a  scrìvere  una  lingua  piana,  la  cui 
costruzione  palesa  nello  scrivente  T  orìgine  diversa. 

La  forza  prepotente  delF  abitùdine  potrebbe  per  av- 
ventura èssere  bastévole  spiegazione  di  questo  fatto; 
giacché  egli  è  ben  agévole  immaginare  quanto  diflicil 
cosa  esser  debba  alla  massa  inculta  d'una  nazione  il 
rappresentare  i  proprj  concetti  con  idee  e  forme  di- 
verse da  quelle  alle  quali  è  assuefatta  sin  dalla  pueri- 
zia; ed  é  ben  più  naturale  che.  serbando  queste  forme 
nella  nuova  lingua  impóstale,  le  tramandi  alla  poste- 
rità, insegnandole  nel  commercio  domèstico  alla  prole 
crescente;  ma  una  ragione  del  pari  suflìcteote  ci  sem- 


INTRODUZIONE.  XVH 

bra  poter  desùmere  dalla  varia  tendenza  delle  facoltà 
intellettuali  deir uomo.  Egli  è  certo,  che  la  potenza  del 
concetto,  del  confronto  e  delF  induzione  non  e  eguale, 
uè  molto  meno  temprata  sopra  una  medesima  forma  in 
tutte  le  nazioni  ;  ma  ciascuna ,  a  norma  delP  intensità 
e  del  grado  delle  sue  attitùdini,  vedendo  e  considerando 
sotto  aspetti  differenti  gli  oggetti,  ne  concepisce  in  varia 
guisa  e  per  diverse  vie  resistenza  ed  i  rapporti^  ed  il  lin- 
guaggio ,  il  quale ,  come  collaboratore  del  pensiero ,  ne 
riflette  Timàgine  sensibile,  deve  quindi  essere  modellato 
sulla  medésima  forma.  Ora  il  complesso  delle  facoltà 
intellettuali  delF  uomo  è  strettamente  coll^ato  agli  òr* 
gani  materiali  componenti  il  suo  cervello ,  i  quali ,  ma- 
nifestandosi per  lo  più  anche  nel  complesso  delle  forme 
esterne  del  cranio ,  costituiscono  ciò  che  i  fisiòlogi  chia- 
mano tipo,  o  impronto  distintivo  di  ciascuna  nazione. 
Perciò  al  bel  cranio  ovale  della  stirpe  caucasea  va 
unito  il  più  dovizioso  corredo  di  facoltà  intellettuali, 
mentre  la  tardità  mentale  del  pòvero  Negro  si  annuncia 
dal  cranio  deforme  e  compresso.  Dopo  ciò,  se ,  come  at- 
testano le  costanti  osservazioni  dei  fisiòlogi,  questo  im- 
pronto segnato  dalla  divina  Providenza  in  ogni  na- 
zione si  mantiene  invariato  a  traverso  T  avvicendarsi  dei 
sècoli,  e  in  onta  al  cangiamento  del  suolo  e  del  clima, 
come  potrà  variare  ad  un  tratto  T attitùdine  mentale, 
che  è  il  vero  produttore  e  regolatore  del  materiale? 

Né  con  ciò  vogliam  dire ,  che  i  dialetti  parlati  siano 
stazionar)',  come  una  lingua  morta  deposta  nei  còdici 
delle  biblioteche;  è  ormai  dimostrato,  che  le  vicende 
della  vita  imprimono  una  mobilità  continua  nei  dia- 
letti viventi  ;  essi  cangiano  inosservati  ogni  giorno;  no- 
velle voci  succèdono  ad  altre  che  passano  in  oblivione: 

2 


XTUI  I5TR0DUZ1O?IE. 


frasi  ^-anno  sosUtuèndosi  a  quelle  che  rappre- 
sentano idee  o  costiunì  che  più  non  sono,  per  modo 
che ,  nel  vòlgere  deUe  generazioni ,  eziandio  senza  cause 
violente,  ed  in  virtù  del  mero  órdine  naturale  delle 
cose,  tutti  i  dialetti  soUscono  inevitàbili  trasforma- 
zioni; ma  queste  restrìngonsi  per  lo  più  alle  parole, 
alle  frasi  ed  a  certi  modi ,  senza  estèndersi  alle  forme, 
le  quali  non  si  pèrdono  interamente  mai;  e  quindi  stabi- 
liremo, che  ogni  quaholta,  decatnponendo  varie  prò* 
posizioni  idèntiche  in  due  o  pia  lingue  dioer^y  W 
riscontriamo  eguali  elementi  insieme  collegati  da  una 
medésima  legge ,  la  communanza  d'orìgine  tra  le  due 
nazioni  che  le  parlano  è  assai  probàbile. 

Quanto  abbiamo  sin  qui  esposto  ci  sembra  sufCciente 
a  provare  la  necessità  d^a^r^arc  T  anàlisi  sonora  e 
concettuale  alla  grammaticale  ed  alla  lessicale  nel  con- 
fronto delle  lingue,  onde  sollevare  anche  questo  studio 
al  grado  di  scienza  positiva.  Prima  però  di  chiùdere 
questi  cenni  normali  osserveremo  per  ùltimo,  come 
appaja  dai  medésimi  manifesta  la  falsità  degli  ing^nosi 
sistemi  di  Herder,  Gondillac,  Nodier  e  dei  moderni 
linguisti  teutònici,  i  quali,  considerando  il  linguaggio 
come  òpera  delle  generazioni ,  gli  attribuirono  una  con- 
tinua lògica  progressività,  come  se  dalF informe  em- 
orìone  d^  una  lìngua  sémplice ,  formata  di  sole  inter- 
jezioni,  Fuomo  avesse  potuto  passare  a  poco  a  poco 
a  queir  artifizioso  edificio  grammaticale ,  col  quale  rap- 
presentò più  tardi  le  minime  gradazioni  e  modifica- 
zioni del  pensiero.  Sebbene  sia  questa  una  questione 
estranea  al  nostro  divisamento,  ciò  nuUostante,  por- 
gendosi ovvia  la  soluzione  negli  esposti  riflessi ,  osiamo 
asserire  che  V  incomprensibile  dono  della  favella  venne 


INTRODUZIONE.  XJX 

latto  all^  uomo  dalla  divina  Previdenza ,  quando  gli  in- 
fuse un^  ànima  pensante,  e  gli  diede  un  apparato  d^ òr- 
gani atti  alla  rappresentazione  sensibile  del  pensiero; 
qualunque  fosse  però  il  linguaggio  delle  prime  genera* 
zioni ,  esso  fu  òpera  deir  uomo,  il  quale,  obediente  alle 
leggi  della  creazione,  sviluppò  questo  suo  naturale  istin- 
to per  sodisfare  agli  incessanti  bisogni  ed  enarrare  la 
gloria  del  Creatore  ;  e  questo  sviluppo,  entro  certi  lìmiti 
di  necessità,  dev'èssere  stato  istantaneo,  come  quello 
della  farfalla ,  che ,  uscita  appena  dalla  crisalide ,  librasi 
sulFali,  e  spiega  ardita  il  volo  per  le  fiorite  campagne. 

II. 

Passando  ora  dalF  astratto  al  concreto,  ed  applicando 
questi  principj  generali  alla  patria  nostra  favella^  sarà 
manifesto,  quanto  male  s'apponessero  coloro  che  pro- 
nunciarono suir orìgine  della  medésima  prima  di  stu- 
diarne partitamente  i  dialetti,  e  paghi  delle  più  ovvie 
sue  simiglianze  grammaticali  e  lessicali  colla  latina,  la 
dissero  derivata  da  questa,  senza  curarsi  di  rintrac- 
ciare se  elementi  di  natura  diversa  avessero  per  av- 
ventura più  o  meno  contribuito  alla  sua  formazione. 
Raccogliendo  le  antiche  tradizioni  scorgiamo,  che^i  La- 
tini èrano  la  minima  parte  delle  tante  genti,  che  ai 
tanpi  di  Romolo  coltivavano  la  nostra  penisola;  e 
queste  aveano  senza  dubio  linguaggi  proprj  più  o 
meno  distinti  da  quello  del  Lazio.  La  successiva  potenza 
di  Roma  diffuse  a  poco  a  poco  quest'idioma  su  tutta 
la  penisola  colle  leggi  e  col  culto;  Etrusci,  Tusci, 
Umbri,  Equi,  Volsci,  Sabini,  Marsi,  Piceni,  Sanniti, 
Liguri,  Vèneti,  Euganei,  Garnii,  Galli,  Siculi,  Aurunci, 


XX  INTRODUZIONE. 

Osci,  Ausoni,  Campani ,  Lucani ,  Bruzii  ed  altri,  buona 
parte  de^ quali  parlavano  lingue  disparate,  vennero 
fusi  coi  sècoli  in  una  sola  nazione,  che  si  chiamò 
Romana y  e  scrisse  un  solo  idioma  comune,  il  Latino. 
Ma  le  lingue,  come  abbiamo  veduto,  non  si  dettano 
ai  pòpoli  come  le  le^i;  T  unita  romana  poteva  bensì 
condurre  tanti  milioni  d^uòmini  ad  assùmere  il  latino 
come  lingua  scritta;  non  già  costrìngerli  a  parlarla 
domesticamente.  Il  miscuglio  di  tante  nazioni  {negli 
esèrciti,  il  pùblico  insegnamento  e  F influenza  della 
religione  e  del  governo  rèsero  infatti  generali  le  voci 
latine,  sebbene  con  molte  eccezioni;  ma  ogni  provincia 
parlò  latino  a  suo  modo,  cioè  vestì  di  latine  voci  il 
proprio  dialetto,  poiché  non  era  in  suo  potere  dimenti- 
carne interamente  le  forme,  né  molto  meno  la  nativa 
pronuncia. 

Di  qui  appunto  ebbe  orìgine  quella  varietà  di  dia- 
letti che  distìnguono  tutt^ora  le  varie  provincie  dUtalia, 
e  che,  sebbene  riguardati  generalmente  come  varietà 
d^una  sola  lingua,  racchiùdono  a  vicenda  elementi  i 
più  distinti  e  disparati.  E  siccome  questi  elementi  in 
alcuni  dialetti  derivano  ad  evidenza  dalle  antiche  lin- 
gue che  precedettero  la  latina,  così  egli  è  certo,  che  la 
lingua  parlata  da  ogni  sìngola  popolazione  dovette  ès- 
sere diversa  in  ogni  tempo  dalla  lingua  scritta.  Questa 
differenza  fu  notata  anche  in  Roma  dagli  stessi  Romani , 
i  quali  appellarono  latina  la  lingua  scritta ,  e  romana 
rùstica  o  plebea  quella  che  parlàvasi  nelle  campagne 
e  nei  |trivii.  Onde  pare  più  verisimile,  che  la  pura 
lingua  latina  fosse  patrimonio  esclusivo  degli  scrittori, 
e,  tutf  al  più,  venisse  parlata  dalle  classi  più  istrutte, 
come  appunto  avviene  oggidì  di  parecchie  moderne 
lingue  d'Europa. 


INTRODUZIONE.  XXI 

Passati  i  bei  tempi  della  repùblica  e  delF impero^  e 
sottentrato  il  governo  arbitrario,  scomparve  la  cultura^ 
e  la  distinzione  delle  stirpi  s*  affievolì.  Roma ,  già  in 
braccio  di  mercenarj  stranieri,  non  ebbe  più  oratori 
eloquenti,  o  forbiti  scrittori;  gF imperatori  non  furono 
più  tratti  dalle  famiglie  patrizie;  ma  F esèrcito  li  elesse 
n^r esèrcito;  e  T arbitrio  militare,  come  indeboli  la 
potenza  dello  Stato,  distrusse  ancora  in  gran  parte  la 
primitiva  civiltà,  onde  la  latina  non  fu  più  se  non  la 
lingua  degli  scrittori. 

Air  anarchia  militare  succèssero  quei  sècoli  di  fero- 
cia, che,  distruggendo  le  reliquie  della  passata  cul- 
tura, rèsero  sempre  più  rari  quelli  che  sapevano  scri- 
vere il  latino  corretto;  per  modo  che,  verso  il  mille, 
tutte  le  Provincie  si  trovarono  col  solo  linguaggio 
plebeo  corrotto  in  parte  dalle  invasioni;  ed  appena 
alcuni  notaj  ed  alcuni  mònaci  studiavano  grettamente 
il  latino,  qual  depositario  delle  municipali  e  delle 
religiose  istituzioni.  Allora  fu  che,  per  provederc  ai 
bisogni  della  vita  socievole,  ogni  provincia  ebbe  a  far 
uso  del  proprio  dialetto,  il  quale,  col  nome  generale 
di  lingua  romanza  y  venne  poscia  disciplinato  nelle 
tenzoni  e  nelle  serventcsi  dei  Trovatori  ;  ed  appunto 
da  questa  favella  romanza,  anziché  direttamente  dalla 
latina,  derivarono  le  moderne  lingue  delF  Europa  me- 
ridionale. Qui  però  fa  mestieri  premettere  che  cosa 
intendiamo  per  lingua  romanza.  Fra  i  molti  che  ne 
scrissero,  varii  la  considerarono  come  una  lingua  sòia, 
usata  indistintamente  nelF  Europa  latina,  dai  tempi  di 
Carlo  Magno  sino  al  tèrmine  delle  Crociate;  noi,  diver- 
samente, intendiamo  la  favella  parlata  nelle  provincie 
romane  prima  e  dopo  la  caduta  delF impero,  che  nei 


XXll  I!^TR0IHJ21O5E. 

sècoli  d'i^^noninza  successe,  come  linguai  scritta*  illa 
latina.  Ma  questa  lin^^ua^  come  aTYertimmo^  era  par- 
lala in  più  dialetti,  non  sok>  in  Italia  dai  diseeodenti 
ife^i  Etrusci.  dei  Vèneti,  dei  Galli,  dei  Liguri  e  di 
tant' altre  stirpi  disparate;  ma  exiandìo  nella  penisola 
ibèrica  dai  nipoti  dei  1  iir^itani ,  dei  Turdetani.  dei  CàjA- 
tabri,  dei  Bàstidi;  in  Franeia  dalle  numerose  tribù  gaè« 
lìcW  e  càmbricbe^  e  più  tardi  dai  Franchi^  dai  Goti 
e  ilai  Bur^(uiidi;  e  tutte  <|iieste  varietà  di  dialetti,  pas« 
^ttdo  iiaU'uua  alPaltra  ^nenuione^  compànrero  di- 
stilile  netta  Uu^tun  scritta  d^ile  varie  provineie^  come 
^còr^^esi  dì  le^ijcert  si^  si  eoniròatano  le  poesie  dei  Tro- 
vatori proìicusali  con  i|uelW  dei  Trovieri  della  Francia 
setlentrioiiale^  o  Tidionia  dei  GiuUari  catalani  con  queUo 
d^  podi  italiani  di  quell'eia.  Perciò  abbiamo  riputato 
uei^e^^sartOs  nella  nostra  dassiticazioue  delle  lingue  d*£ii- 
ro|Mk  raccògliere  tanti  dialetti  in  varìi  gruppi,  dislin- 
^(uèuiloli  coi  nomi  di  romanzo  itàlico y  gàllico  ^  ì^pò» 
iMca«  titia»  e  ra/orco.  Forse  perchè  sentiva  la  nece»- 
^à  di  questa  distinzione,  lo  Speroni,  parlando  dei 
ku^i  saggi  degli  scrittori  d^ltalia,  diiamò  la  lor  lingua 
t^fmmmxo  itàlico;  e  Brunetto  Latini,  dicendo  nel  Te- 
wi*^  che  preferiva  la  lingua  franzesca  air  Italia  tèa, 
ttiui  (H>le\'a  allùdere  se  non  ai  dialetti  romanzi  dei  due 
paesi«  dappoiché  le  due  lingue  italiana  e  francese  non 
èrano  ancora  ben  detcrminate.  Egli  è  vero  bensì  che, 
iwsèndosi  prima  d^ogni  altro  sviluppali  i  dialetti  oc- 
citànici, sotto  gli  auspicj  delie  corti  di  Barcellona  e  di 
Tolosa,  molti  poeti  italiani  e  francesi  li  preferirono 
nei  loro  componimenti;  ma  questo  non  toglie,  che  i 
dialetti  delle  altre  provincie  fossero  diversi.  P^clla  Spa* 
gna.  sin  dai  tempi  delle  Crociate,  veggiamo  distinto  il 


INTRODUZIONE.  XXII 

romanzo  eastig liana  dal  catalano;  né  possiamo  com* 
prèndere,  come  tanti  scrittori  abbiano  potuto  risguar* 
dare  come  una  stessa  lingua  quella  dei  tanti  scritti 
di  queir  età! 

Di  più:  le  lingue  parlate,  per  loro  natura,  non  sono 
mai  starionarie;  ma  fedeli  intèrpreti  ddlo  spirito  delle 
generazioni,  ne  seguono  tutte  le  vicende;  e  perciò  anche 
i  dialetti  romanzi,  in  quel  tempo  di  transizione,  nella 
bocca  di  pòpoli  risurti  a  nuova  vita,  e  puliti  da  scrit* 
tori  inesperti,  la  cui  sola  norma  era  il  naturai  senso 
e  più  sovente  F arbitrio,  dovettero  subire  una  lunga 
serie  di  modificazioni.  Ogni  anno  del  medio  evo, 
come  osservò  anche  il  Lanzi,  era  un  passo  i>erso  un 
nuovo  linguaggio,  e  perciò  non  vi  fu  lingua  stàbile 
in  fotta  FEuropa  latina  fin  dopo  il  milletrecento,  quando 
cominciarono  a  determinarsi  gli  idiomi  moderni. 

Distingueremo  per  ùltimo  la  vera  lingua  romanza 
dalla  favella  arbitraria  di  certi  antichi  monumenti,  che 
si  suole  talvolta  confóndere  dagli  scrittori  sotto  lo  stesso 
nome.  E  noto  che,  mentre  zelanti  scrittori  s^  adopera* 
vano  a  dar  forma  stàbile  alla  lingua  vulgare,  altri,  seb- 
bene ignari  d^  ogni  elemento,  vollero  scrivere  latino,  ed 
apponendo  latine  desinenze  a  voci  triviali,  ed  inserendo 
fra  le  romanze  qualche  latina  locuzione,  impastarono 
una  lingua  bastarda,  che  non  fu  mai  scritta,  né  par- 
lata. Si  distìnsero  in  questo  nùmero  i  notaj  ed  i  chiè- 
rici dei  bassi  tempi,  i  quali,  nella  generale  ignoranza, 
si  diedero  sovente  maestri  di  latinità ,  e  ci  tramanda- 
rono gran  copia  di  documenti,  confasi  a  torto  da  alcuni 
coi  pretti  romanzi.  Cosi  a  torto  fu  proposto  dagli  scrit- 
tori a  sa^o  di  lingua  romanza  il  giuramento  di  Lo- 
dovico il  Germànico,  nel  quale  si  ravvisa  appena  il 


à 


XSSf  lOTBaDCZKKIE. 

Gngoai^gio  d^im  Tèolono.  ehe  tenia  invano  staccarsi 
daHlntuna  costmzioDe  e  dalle  forme  deUa  lìngua  nativa. 

Ad  acgrcscefc  la  corrozione  dei  dialetti  romanzi  eon- 
triboìrono  altresì  le  migrazioni  dei  pòpoli  settentrionali^ 
parte  dei  qnali  fondarono  r^ni  nella  nostra  penìsola, 
e  dopo  varii  secoli  di  dominio  si  sommèrsero  Ira  gli 
indigeni.  Goti.  Vàndali,  Longobardi  e  ?iormanni  inse- 
rirono quindi  alcune  straniere  voci  nei  nostri  dialetti , 
e  li  rèsero  alquanto  forse  più  discordi;  e  le  po&tìclìe 
Tioende,  che  più  tardi  frastagliiurono  la  penìsola  in  pic- 
cioli Stati ,  perpetuarono  le  dissonanze. 

Tale  era  la  condizione  d^  Italia  verso  il  XIII  sècolo, 
senza  unità  nazionale^  senza  lingua  e  quasi  senza  nome. 
I  primi  in  tutta  T  Europa  latina^  che  si  adoperàss»t>  a 
et^tivare  ed  illustrare  il  proprio  dialetto^  furono  i  Pro- 
venzali. La  celebrità  che  raggiunse  quella  lingua  sotto 
^  auspicj  della  corte  di  Tolosa  chiamò  a  sé  molti  Ita- 
liani, che  poscia  ne  trasportarono  in  pàtria  i  nùmeri 
e  le  grazie.  Tra  le  varie  provincie  d'Italia  prima  ne 
diede  il  segnale  la  Sicilia,  o>^  Federico  II  e  Manfiredi 
premiarono  e  stipendiarono  alla  corte  loro  Trovatori 
nazionali,  che  cantarono  nel  proprio  linguaggio  ad  imi- 
tazione dei  Provenzali.  Carlo  d' Angiò  re  di  Napoli  s^uì 
r esempio  dei  re  di  Sicilia,  e  dappoiché  Tarte  di  iar 
versi  amorosi  veniva  {H*emiala  da  tutti  i  principi,  quasi 
tutte  le  città  d' Italia  ebbero  ben  presto  i  loro  Trovatcuri. 
Genova  ebbe  Folchetto,  Calvi  e  Doria^  Venezia,  Giorgi; 
Pàdova,  Brandino;  Faenza,  i  Pùcciola;  Pisa,  Lucio 
Drusi;  Mantova,  il  Sordello;  Bologna,  Ghislieri  e  Fa- 
brizio; Torino,  Micoletto;  Capua,  Pietro  dalle  V^e; 
e  sopra  tutte  si  distìnsero  le  città  toscane,  ove  fiorirono 
Guido,  Lapo,  Cin  da  Pbtoja,  Cavalcanti,  Brunetto  La» 


INTRODUZIONE.   '  IXf 

tini  ed  altri  molti.  Sd)bene  però  questi  scrittori  vul- 
gari  dessero  la  prima  spinta  a  stabilire  la  nuova  lingua, 
egli  è  certo,  che,  [HH>cedendo  di  quel  passo,  V  Italia  sa- 
rebbe divenuta  ben  presto  una  nuova  Babele;  impe- 
rocché, mentre  gli  uni  pohvano  il  vulgar  fiorentino, 
altri  scrivevano  il  siciliano,  altri  il  napolitano  ed  altri 
preferivano  il  provenzale.  La  gelosia  delle  piccole  re- 
puMiche  imponeva  a  ciascuna  di  far  uso  del  proprio 
dialetto;  né  v^ era  città,  che  col  peso  del  suo  primato 
dettar  potesse  ima  lingua  sola  a  tutta  la  nazione. 

A  liberar  V  Italia  da  questa  confusipne  di  lingue  ern 
d^  uopo,  che  un  potente  ingegno,  spoglio  di  pregiudizj 
municipali  e  rivolto  alla  patria  grande,  ne  mettesse  a 
contribuzione  tutti  i  dialetti  ed,  estraendone  la  parte 
nòbile,  fondasse  una  lingua  nazionale,  cui  perciò  a  buon 
diritto  si  addicesse  il  nome  d^  itàlica.  Si  grave  assunto 
adempì  Dante  Alighieri,  verso  il  principio  del  sècolo  XIV^ 
e  concepito  Talto  disegno,  lo  espose  nel  trattato  del 
bulgare  Eloquio  e  nel  Conni^iOy  ponendolo  ad  ef- 
fetto nella  Divina  Comedia.  Tbàc  appunto  fu  F  orìgine 
del  nostro  idioma,  che  in  sulla  prima  aurora  eclissò  le 
snervate  lettere  provenzali.  Quando  V Alighieri  scrisse 
il  poema  con  parole  illustri  tolte  a  tutti  i  dialetti 
d'Italia^  e  qtuindo  nel  libro  del  Vulgare  Eloquio  con- 
dannò coloro  che  scrii;>èvano  un  sol  dialetto  y  allora 
diren^o  ch'ei  fondasse  la  favella  italiana  ^  ed  iìise- 
gnasse  ai  futuri  la  certa  legge  d^  ordinarla ,  conser- 
varla ed  accréscerla.  Cosi  avvertiva  il  Perticari,  e  cosi- 
in;  perocché  tutta  Italia,  invaghita  dagli  aurei  scritti 
ddr  èsule  fiorentino,  abbandonò  Torgoglio  municipale, 
segui  r esempio  del  gran  maestro,  ed  ebbe  una  sola 
lingua  scritta,  la  lingua  sancita  da  lui.  E  perciò  nello 


XXn  IIOmODUZMMiB. 

shtdio  dei  dialetti  italiani,  meglio  che  tu  qmalrìam 
altra  fante,  dokbiaìno  attìngere  le  orìgini  del  nostro 
idioma,  e  cercar  la  ragione,  così  delle  sue  leggi,  come 
delle  moltéplici  sue  wiriaziom. 

DI. 

Ciò  premesso,  ci  resta  a  vedere  quali  stndj  veoìssaro 
institoìti  sinora  sui  Dosfari  dialetti,  e  quali  materiali  si 
apprestassero  per  determinarne  T  indole  e  le  proprietà. 
Raccogliendo  quanto  fu  publìcato  sinora  so  questo  ar- 
gomento, scorgiamo  bensì,  che  parecchi  tra  i  princi- 
pali dialetti  italiani  possè^ono  più  o  meno  vasta  let- 
teratura; ma  questa  generalmente  consta  di  poesie 
satiriche  o  dramàtiche,  intese  a  solennizzare  muni» 
cipali  av'venimenti,  o  a  reprimere  le  ridìcole  tendenze 
dei  tempi.  Quasi  tutti  i  munìdpj  italiani  hanno  pure 
i  loro  vocabolarj  vernàcoli;  ma,  oltreché  il  lèssico  d^un 
ilialctto^  come  abbiamo  avvertito,  costituisce  uno  solo 
d^i  elementi  che  lo  compóngono,  questi  vocabolaij 
furono  compilati  a  fine  d'insegnare  T italiana  divella 
alle  classi  meno  eulte  dei  rispettivi  municipj,  anziché 
per  race^liere  e  méttere  in  evidenza  le  radici  distin- 
tive e  proprie  di  tante  lingue  diverse;  inoltre  furono 
per  lo  più  ristretti  nell'angusto  recinto  delle  città  e 
dei  loro  sobborghi,  restandone  per  tal  modo  escluso 
il  prezioso  patrimonio  della  campagna  e  dei  monti, 
depositarii  tenaci  d'ogni  avito  retaggio. 

Meno  ancora  si  é  £aitto,  onde  rivelare  le  proprietà 
grammaticali  dqiruna  o  dell'altra  favella,  e  il  rispetti>'0 
sbtema  sonoro^  tanto  importante  nelle  linguìstiche  di- 
squisizioni. Appena  qualche  saggio  grammaticale 


'\ 


INTRODmiONE.  XXVII 

tentato  sinora  di  pochi  dialetti,  nel  .quale  invano  si 
cerch^^bbero  le  molte  leggi  del  principio  orgànico 
e  della  sintassi  rUpelUva;  nessun  piano  ortograflco 
venne  determinato  sinora,  comune  almeno  agli  scrit* 
tori  d'uno  stesso  municipio;  sicché  torna  pressoché  im- 
possìbile allo  studioso  formare  sui  libri  una  bastévole 
idea  dei  suoni  distintivi  delFuno  o  delFaltro  dialetto. 
La  mancanza  appunto  di  tali  studj  preliminari  rese 
impossìbile  presso  di  noi  uno  studio  comparativo  dei 
nostri  dialetti,  e  diede  orìgine  alle  assurde  ed  arbitrarie 
dassilicaxioni  proposte  da  varii  scrittori.  Per  tacere  di 
Adelung,  di  Malte-Brun  é  di  quanti  stranieri  s'accìn*» 
sere  a  quest'ardua  impresa,  basterà  accennare  la  strana 
nomenclatura  proposta  da  Adriano  Balbi  nella  compi- 
lazione déVjàtlante  etnogràfico  del  globo.  Ivi, poste 
in  un  fiiscio  le  favelle  genovesi  e  piemontesi ,  che  sono 
radicalmente  dissonanti,  mentre  i  pòpoli  che  le  parlano 
hanno  solo  e  da  pochi  anni  comune  il  governo,  Fautore 
annovera  tra  i  dialetti  della  Francia  meridionale  quello 
dei  Valdesi,  eh' e  pretto  piemontese;  divide  dal  Berga- 
masco il  Bresciano  che  ne  è  un  suddialetto,  ed  unisce 
in  due  gruppi  distinti  il  Bresciano  coi  dialetti  essenzial- 
mente discordi  di  Mantova,  Ferrara,  Parma  e  Mode- 
na,  ed  il  Bergamasco  col  Bolognese ,  che  rappresen- 
tano due  gruppi  per  ogni  riguardo  diversi.  Per  tal 
modo ,  rotto  ogni  vìncolo  che  insieme  collega  i  dialetti 
emiliani,  negletto  l'altro  più  importante,  che  rivela  la 
non  dubia  fratellanza  d'orìgine  di  tante  genti  cìsaU 
pine,  distinguendole  dalle  venete,  dalle  toscane  e  dalle 
altre  famiglie  della  penìsola ,  la  classificazione  del  si- 
gnor Balbi  ridùcesi  ad  una  confusa  nomenclatura,  nella 
quale,  non  che  i  principj  della  linguìstica ,  sono  travolti 


xxnn  nmoDirzioiiB. 

i  pia  onrii  efemenli  deD^etnognfn;  guiodiè  se,  riiH 
nendo  i  nomi  dei  dialetti  italiani  in  nn^imia,  si  estraès» 
sero  a  sorte  per  formarne  più  grappi^  non  si  otter* 
reUbero  per  certo  pio  incongroe  cornhinaiionit  (0 

Volendo  or  noi  ovriare  ornili  sconci,  abbiamo  av- 
▼isato,  in  tanta  inopia  di  stodj  preliminari  dorersi  ap^ 
prestare  prima  di  tutto  i  materiali  necessarj  all^  erezione 
dell^  edificio;  ed  a  tal  fine,  raccolto  quanto  preesisteva, 
abbiamo  intrapreso  un  particolare  esame  dei  multiformi 
dialetti  italici,  Tisitando  i  luoghi  OTe  si  parlano,  e  met- 
tendo a  contribuzione  la  scienza  degli  studiosi  d^ogni 
paese.  Di  questo  lavoro  appunto,  da  noi  esteso  a  tutte 
le  famiglie   italiane ,  poliamo  un   brano  nel    pre- 
sbite volume,  inteso  a  stabilire  la  classificazione  ra- 
^onata  dei  dialetti  galt(hitàlici ,  designati  con  questo 
nome,  perchè  parlati  in  cpiella  regione  d'Italia,  che 
prima  della  romana  potenza  era  abitata  dai  Galli.  A 
procèdere  impertanto  con  órdine  in  argomento  sì  gra- 
ve, dopo  avere  tracciato  i  naturali  confini  entro  i  quali  . 
tutti  questi  idiomi  si  parlano,  li  abbiamo  decomposti 
nei  loro  più  sémplici  elementi,  esponendo  mano  mano 
le   loro   proprietà  distintive,  sia  sonore,   sia   gram- 
maticali, e  racci^liendo  in  brevi  pagine  un  estratto 
comparativo  dei  loro  vocabolarj,  col  dùplice  scopo  di 

(i)  Ci  siamo  falli  solIèciU  di  notare  qnesli  errori  normali»  ai  qaali  po- 
tremmo aggiùngerne  una  ragguardevole  serie,  poiché,  il  compilatore  di 
queir  opera  essendosi  querelato  più  volle  nei  pùbiici  fògli,  che  altri  nasi 
fitto  bello  del  suo  lavoro,  abbiamo  creduto  necessario  prevenirne  i  lettori, 
onde,  altingefido  in  a^'venire  a  questa  fonte,  sappiano  a  che  attenersi. 
V.  JtUu  Ethnographique  du  Globe,  oPtcenviroH  sepi  centi  vocabulairesdet 
pHndpamx  idiemn  eo/mau,  etc,  par  Adrien  Balbi,  Pùrii  imo.  Tab.  XSL 
NB.  Questi  settecento  Vocabolarii  dei  principali  idiomi  sono  raccliiusi  in 
cin<|ue  sole  tàvole,  nelle  quali  sono  tradotti  io  nomi  e  i  primi  dieci  nù- 
meri cardinali  In  alcune  lingue  ed  in  molli  dialetti  e  suddialetti! 


INTRODUZIONE.  XXtX 

rivelarne  le  orìgini  ed  i  rapporti;  e  per  prò  vedere 
quanto  meglio  per  noi  si  poteva  alla  chiarezza  del- 
r esposizione,  abbiamo  corredato  le  moltéplici  nostre 
osservazioni  di  Saggi,  sì  in  prosa,  che  in  verso,  por- 
gendo così  allo  studioso  copia  di  materiali,  onde  prò* 
cèdere  nelle  ricerche,  ed  arricchire  di  novelle  induzioni 
la  scienza,  che  sola  potrà  rivelarci  un  giorno  chi  noi 
siamo,  e  quali  furono  i  nostri  maggiori. 

Per  ciò  che  risguarda  il  sistema  sonoro ,  la  necessità 
di  rappresentare  scritturalmente  in  tanti  e  sì  svariati 
dialetti  una  lunga  serie  di  suoni,  in  parte  diversi  dagli 
italiani,  e  F  insufficienza  del  troppo  esìguo  alfabeto  la- 
tino, ci  costrìnsero  a  far  uso  di  alcuni  segni  conven- 
zionali, per  quei  suoni  speciali,  pei  quali  T alfabeto  e 
r  ortografia  italiana  mancano  affatto  di  segno  rappre- 
sentativo. Invano  avremmo  tentato  valerci  delle  mo- 
struose combinazioni  di  lèttere  usate  a  capriccio  da 
qnanti  sinora  imprèsero  a  rappresentare  i  dialetti  in 
iscritto,  le  quali,  alterando  il  valore  primitivo  dei  se- 
gni, e  nascondendo  le  radici  dei  vocàboli,  rèsero  più 
difficile  la  lettura,  senza  prò  vedere  al  bisogno.  Onde 
accoppiare  la  semplicità  alla  chiarezza,  anziché  inven- 
tare nuovi  segni,  o  imaginare  a  capriccio  nuove  com- 
binazioni, abbiamo  preferito  far  uso  dei  segni  adottati 
generalmente  dal  maggior  nùmero  delle  nazioni  eu- 
ropee per  le  lingue  dotate  d^una  copiosa  serie  di  suoni, 
quali  sono  le  germàniche  e  le  slave;  giacche  egli  è 
ormai  tempo  che  si  debba  riconoscere  da  ogni  nazione 
Futilità  e  la  necessità  d^un  comune  sistema  ortogrà- 
fico ,  il  quale  possa  venire  inteso  dal  maggior  nù- 
mero possìbile  di  nazioni.  La  patria  comune  assegna- 
taci dalla  natura  è  T  Europa,  e  più  presto  varrà  a  colie- 


If  Hf  imi  popolanooi 
ififc^ldlrniie  eouimio  n  ittt«a  0ito;:nfi»  fé- 
che  iMMi  la  piò  fitti  rete  di  slnde 

Fonditi  sogoesto  priacipio,  fmIàMkiq 

ortofn&i.  qMMJD  haslò  iB' appo .  ihhiiMO  prese 
dii|ji  alfabeli  dcHe  fidine  fcmàniche.  smiifinìviche  e 
riiif  i fcapii  A. o. i.  per nppresenlare i sooni conispoiH 
deotLdei  qoili  mjuìci  b  Kiigui  iUiiiBi:  cioc.il  «gap  éy 
ftet  esprimere  fl  sooao  aperto  ae  dei  Liliiii«  ai  orfano  e 
dei  FnnoesL  che  partecipa  d'ambedue  «peste  mcali^e 
Doo  può  csiere  definito,  ma  solo  designalo  colla  Toee: 
£  eqnifale  al  segno  ó  dei  Tedeschi,  ai  segni  e««  oen 
dei  Francesi,  i  appi  esentandone  lo  stesso  snono;  ed  • 
equivale  parimenti  alla  ai  dei  FranoesL  In  td  modo^ 
oltre  il  ìfantaiggio  d*mia  espressione  più  semplice,  pia 
precìsa  e  pia  generalmente  intesa,  abbiamo  enuMfio 
quello  di  serbare  intitte  le  radicali,  e  di  rendere  quindi 
più  Savoie  lo  studio  delle  deriraiaoni.  giaocliè  più 
pi«to nvrìseremo  sotto  le  forme  cor,  /09.  mori,  le 
radici  latine  cor^  focus,  tmorior.  che  non  sotto  le  al» 
treaeiir,  fotugk.  mutmriy  le  quali,  sebbene  usate  dai 
Francesi  e  dai  nostri  scrittori  vernàcoli,  non  ripcf;nano 
meno  al  buon  senso.  Per  le  graduanoni  delle  altre 
vocali,  che  variano oltremodo  in  ciascnn  dialetto,  ci 
siamo  ristretti  a  distìnguere  le  aperte  dalle  chiuse  per 
mezio  <legli  accenti  grave,  acuto  e  circonflesso. 

Abbiamo  impiegato  il  scj^no  k  a  rappresentue  Taspi- 
razione,  seguendo  in  ciò  pure  resempio  di  molte  na- 
zioni europee;  e  volendo  eonsenrare  in  tutti  la  sm  in* 
tegrìtà  rorU^raTm  italiana,  lo  abbiamo  impiegato  ezian* 
dìo  a  rèndere  duri  i  snoni  delle  e.  g  colle  vocali  e.  t.  A 
rappresentare  poi  i  suoni  mancanti  nelF  italiana  favella* 


urraoDUzioRE.  xxxi 

e  pei  (piali  in  oons^uenza  1^  alfabeto  latino  non  porge 
verno  s^no ,  abbiamo  tolto  a  prèstito  dalle  moderne 
ortografle  slave  testé  promulgate  dai  cèld)ri  Gaj  e  dafa- 
Hk,  i  segni  i,  Ì,  ^^  i,  dei  quali  il  primo  esprime  il  suono 
sibilante  je^  o  gè  dei  Francesi;  le  c^  ^  valgono  a 
rappresentare  il  suono  dolce  di  queste  medesime  lèttere, 
ogni  qualvolta  T  ortografia  italiana  non  vi  provede , 
quando  cioè  tròvansi  in  fine  di  parola,  come  in  Mk^ 
faCy  diiy  oppure  in  lé§,  vià^,  eorég;  e  quando  la  e, 
sebbene  preceduta  dalla  Sy  deve  pronunciarsi  staccata, 
come  nelle  parole  shiòp^  9ciùmay  sèèty  nelle  quali  al* 
trimenti  confonderèbbesi  col  suono  italiano  sce,  9eiy 
tanto  svariatamente  espresso  dalle  altre  nazioni  d^Eu* 
ropa.  (^iqualvolta  peraltro  V  italiana  ortografia  bastò 
da  sola  a  precisare  i  suoni  dolci  delle  e^  9^  ci  siamo 
astenuti  dal  far  uso  dei  nuovi  segni,  scrivendo  eervèly 
dàeeTy  giwin,  mangia^  e  simili.  11  segno  s  vale  ad  esprì- 
mere il  suono  italiano  sCy  ogniqualvolta  si  trova  in  fine 
di  parola ,  od  è  seguito  da  consonante,  come  nelle  voci 
ttraiy  pajàsy  stat,  stala;  e  Tabbiamo  ommesso  quando 
bastarono  le  due  se  insieme  combinate,  come  nelle 
parole  sciar y  scìmes,  cascia ,  e  simili.  Per  tal  modo  ab- 
biamo fiducia  d^  aver  ridutto  alla  più  sémplice  e  precisa 
espressione  la  scrittura  dei  dialetti,  non  che  d^ averne 
agevolata  la  lettura  agli  indìgeni,  del  pari  che  agli  stra- 
nieri; e  quindi  &cciamo  voti,  affinchè  gli  scrittori  ver^ 
nàcoli  italiani,  persuasi  della  rettitùdine  e  delF utilità 
dei  nostri  principj,  ne  seguano  d^ora  inanzi  T  esempio, 
o  ne  propongano  un  migliore ,  onde  porre  àrgine  una 
volta  alla  crescente  Babele  ortogràfica. 

JNelI^enumerazionc  delle  proprietà  distintive  di  tante 
e  sì  svariate  favelle .  anziché  dilungarci ,  compilando  un 


XXXIl  IKT&ODUZtONE* 

esteso  trattato  grammaticale ,  e  porgendo  soverchi  mo- 
delli di  declinazioni  e  di  conjugazioni,  ciò  che  avrebbe 
dato  luogo  a  stèrili  e  soverchie  ripetizioni,  abbiamo 
preferito  resfarìngerci  a  méttere  in  evidenza  i  punti  prin- 
cipali in  cui  i  dialetti  gallo-itàlici,  e  si  allontanano 
dalla  norma  fondamentale  della  lingua  scritta,  e  divèr- 
gono tra  dì  loro,  onde  porre  cosi  in  mano  allo  stu- 
dioso il  vero  bàndolo,  che  solo  può  èssergli  guida  a 
svòlgere  T  intricata  matassa  delle  origini  rispettive.  E 
perciò  ci  siamo  trattenuti  precipuamente  nelF  avvertire 
le  principali  permutazioni  ed  inversioni ,  così  delle  lèt- 
tere nella  formazione  delle  parole,  come  delle  parole 
nella  costruzione  delle  frasi,  contenti  d^ accennare  ap- 
pena alle  flessioni  dei  principali  dialetti,  ed  alle  leggi 
che  i  medésimi  hanno  comuni  colF  itàlico  idioma. 

Volendo  poi  darne  un  Saggio  comparativo  a  com- 
plemento, ed  in  prova  di  quanto  siamo  venuti  mano 
mano  esponendo  intomo  air  oi^anismo  speciale  di  eia* 
scun  dialetto ,  abbiamo  prescelto  la  versione  della  Por 
ràbula  del  figliuòl  pròdigo^  fatta  a  bella  posta  sulla 
latina  da  studiosi  dei  luoghi  rispettivi ,  dei  quali  ab- 
biamo notato  i  nomi  a  suo  luogo,  onde  convalidarne 
r  autenticità  ed  attestare  a  ciascuno  la  sincefa  nostra 
riconoscenza.  Ad  escusare  questa  scelta,  gioverà  av* 
vertìre,  che  questo  brano  evangèlico,  dappoiché  venne 
preferito  dal  benemèrito  Stalder,  che  lo  fece  voltare 
in  tutti  i  dialetti  elvètici  (0;  dal  Ministero  delF  In- 
terno del  cessato  impero  francese,  che  lo  volle  tra- 
dòtto in  tutti  i  francesi  ;  dalF  Àcademia  Cèltica  e  dai 
più  illustri  moderni  filòlogi  d^ogni  nazione,  che  ne 

(i)  Staidcr.  Die  Landeèsprachm  der  Schiveiz^oder  tchwàzerische  Dia' 
Ukiologic.  Aarau»  loio. 


I?rrRODUZIONE.  XXXllI 

imitarono  T  esempio,  è  divenuto  la  pietra  del  paragone 
pel  lingmsta,  più  agevole  a  rinvenirsi  dovunque,  e  ad 
ogni  modo  più  atto  al  confronto,  che  non  la  breve  e 
simbòlica  Orazione  Dominicale  prescelta  dai  filòlogi  del 
sècolo  trascorso. 

Procedendo  nella  disàmina  delle  radici,  onde  i  nostri 
dialetti  compòjdgonsi,  sebbene  la  massa  principale  ap* 
palesi  manifesta  orìgine  latina,  ciò  nuUostante  ne  ab- 
biamo trovato  eziandìo  un  nùmero  ragguardévole  di 
forma  affatto  diversa,  e  di  estranea  derivazione.  Valgano 
d^  esempio  le  quaranta  voci  diverse  (e  sono  assai  più), 
colle  quali  dai  soli  dialetti  gallo-italici  viene  espresso 
il  nome  di  figlio.  Tali  sono:  bèdery  canaja^  cèt^  creai ày 
tffànty  enfàfiy  ères,  fancy  fanciòty  fi,  fi^l,  fio^  fidi,  fi^òl^ 
fiùly  figliòly  màcan^  marajay  marài^  marty  rmisàchery 
masiy  mal,  matèly  malèly  matògn^  matu,  miilèty  pòi, 
putèly  ràiSy  ràissa^  rèdes,  rès,  scèt^  sciàt^  sciàt^  tós, 
tus.  Così  il  nome  padre  viene  espresso  colle  voci:  atta^ 
hapy  bobày  pày  pàder^  padriy  pàirey  papà^  pare,  pari, 
parìa y  pupa,  tà,  tata,  ed  altre  molte,  delle  quali, 
sebbene  il  maggior  nùmero  tragga  manifesta  T  orìgine 
dalle  radici  latine  creatura,  hoeres,  infans,  filius,  mas, 
pater,  ciò  nuUostante  alcune  hanno  tutt^altra  deriva- 
zione <0.  Ora,  considerando  il  ragguardévole  nùmero  di 
queste  voci  dalla  lingua  del  Lazio  discordi,  ed  espri- 
menti idee  od  oggetti  comuni  a  tutti  i  tempi,  appare 
assai  verisimile,  die  traessero  F orìgine  dalle  antiche 
lingue  nella  stessa  regione  parlate  prima  dclF  invasione 
ronrnna;  giacché  egli  é  ormai  dimostrato,  che  le  lingue 
non  si  distrùggono,  se  non  distruggendo  i  pòpoli  che 

(l)  Vèggansi  (ulte  queste  voci  nei  Saggi  di  Vocabolario  inseriti  in  que- 
^r  òiwra. 

3 


le  pàrtaMio.  Plrìott  che  dbi  Roiimii,  li  siorii  ci  ad- 
dila 3  nostro  paese  occupalo  dai  Celti,  che.  dnFisi  m 

Iflsiifari.  Scnooi.  Boj  ed  altre  tribè.  si  ri- 
I  TÌeeoda  il  dominio  delle  nostre  pianare. 
Etti  avevano  fingi»  e  dialeUi  lor  propi]  diversi  dal- 
rìdauma  romano,  dei  qmli  per  aiieuUna  aknne  re- 
Gqiiie  sopranriroDO  in  appartale  rcg:ioni  delI'Annòrica 
e  delle  isole  britanniclie.  e  dei  quali,  per  consegmen- 
XI.  dovea  radicarsi  afanen  qoaklie  traccia  sol  nostro 
«olo.  Ma  i  Gdli  enno  p.m.  stnnkri  in  Ibli..  già 
abitata  da  nazioni  indìgene  e  straniere,  prima  che 
Beloveso  ^i  trapiantasse  le  bellicose  soe  calenne.  Essi 
infitti  ebbero  a  luttare  cogli  Etrosdii.  cogli  Umbri  e 
coi  Lìgorì.  che.  rì^-arcando  TApennino.  abbandona- 
rono ai  Druidi  le  fiorenti  loro  campagne.  Prima  degli 
Etruschi  r  Italia  ebbe  più  aoticfai  abitatori,  che  gU  sto- 
rici  distinsero  col  nome  di  .\bongeni.  forse  per  dino- 
tare che  avérano  lingua  e  costumi  lor  proprj.  Appunto 
dì  queste  antichissime  popohzìoni  nessun  altro  mono- 
meolo  ci  rimane,  se  non  per  a^^-entura  ì  pochi  rùderi 
sparsi  nei  nazionali  dialetti,  giacché  «  qnanto  pia  ù  ri-^ 
uUe  la  corrente  del  tempo,  ogni  nazionalità  n  risolve 
ne'  suoi  natiH  elementi;  e  rimosso  tutto  ciò  che  vi 
è  di  uniforme  y  cioè  di  straniero  e  fattizio ,  i  fiochi 
dialetti  si  rapivano  in  lingue  assolute  e  indi pendem- 
tiy  quali  furono  nelle  native  condizioni  del  gènere 
limono  (*)». 

Gò  premesso,  è  manifesto  che.  depurando  i  nostri 
Tocabohurii  vernàcoli  daUe  radici  latine,  non  che  dalle 
più  recenti  attinte  a  lingue  moderne,  ed  eleggendo  tra 

(I)  Inlroduzume  del  dottor  Cario  Cattaneo  alle  Notizie  UmimraU  e  dviU 
tuila  LomUfordia.  Milano,  I8f4.  Voi.  1,  pag.  Wll. 


IRTRODUZIOME.  XXXT 

le  rimanenti  quelle  voci  che  rappresentano  oggetti,  o 
idee  comuni  a  tutti  i  tempi,  e  quindi  alle  prische  del 
pari  che  alle  moderne  generazioni,  verrebbero  raccolti 
e  sceverati  i  rùderi  più  o  meno  corrotti  degli  antichi 
idiomi,  sui  quali  instituendo  giudiziosi  confronti  colle 
lingue  conosciute,  si  potrà  forse  giùngere  talvolta  alla 
scoperta  delle  orìgini  delle  moderne  favelle,  o  ricom- 
porre in  parte  taluna  delle  antiche,  ciò  che  invano  si 
tenterebbe  per  altra  via.  Su  questo  principio  abbiamo 
compilato  un  piccolo  Vocabolario  dei  dialetti  gallo-ità- 
lici, dividendoli  nei  tre  rami  principali  lombardo^  pe- 
demontano ed  emiliano,  riunendovi  solo  alcune  mi- 
gliaia di  voci  di  strana  forma  e  di  oscura  radice, 
alle  quali  per  conseguenza  con  maggiore  probabilità 
attribuire  si  possa  antichissima  orìgine  e  derivazione; 
avvertendo  nel  tempo  stesso  che  questo  Saggio ,  da  noi 
con  molta  fatica  raccolto,  potrèbbesi  notevolmente  am- 
pliare, ripetendo  accurate  indàgini  nelle  campagne,  e 
sopra  tutto  nei  monti.  Per  condurre  a  buon  fine  un 
lavoro  di  tal  fatta  e  di  tanta  importanza,  lungi  dal 
bastare  F òpera  d^un  solo,  è  necessaria  la  prestazione 
di  molti,  che  prima  dì  tutto  raccòlgano  i  materiali, 
compilando  con  sana  crìtica  e  speciale  diligenza  i  vo- 
cabolarii  d^ogni  paese,  onde  potere  poscia  instituire 
un  ragionato  confronto  sulla  loro  parte  estrattiva.  Per- 
ciò ,  redigendo  il  nostro  Saggio  comparativo,  prima  di 
tutto  abbiamo  estratto  quanto  ci  parve  più  acconcio  al 
nostro  scopo  dai  Vocabolarii  già  publicati ,  vale  a  dire: 
pei  dialetti  lombardi,  dal  Milanese-Italiano  di  France- 
sco Cherubini,  dal  Latino-Bergamasco  del  Gasparìnie 
dai  Bresciano-Italiani  del  canònico  Paolo  Gagliardi  e 


Pitiro  Ìkm6  «lànwb 


W jiilift  éa  Obcadi» 

fil  ifi  ilii  4tfl>  V»ip»,  isgj^  ~  T< 

Murrt  r«wu^  |cr  Kdr»  CmIi.  im#.  — 

>«eili»»  lift  T4im^;^iatag  e  C*   is»i,  — 

FraoKioro  Xaaaiu.  Femn.  i€*s .  per  pi  errdi  4Ì 

l^M,  fMT  6.  B.  BókU  e  C.  1CS7.  —  DuMMario  riiM<iiM  Itiliian.  di 
Uaui*  rteédbMTl  Parsa ,  dalla  «UBIieTn  BliDfkoA,  itst.  T«l.  s  »-«.'  — 
f-rfal^f»  di  ««ri  M^dcTw  pttmtiwMlafiaDP,  dd  casMìr»  rtwrae»  M- 
<*<U.  Pfiattsta,  pel  Tedc!!ebK  isas.  —  Vocabolari» Piaciatìi  IHIHwi,  di 
Utnmm  FonsOL  Piacenza,  pei  FralelU  dd  IMino,  it»*.— KiìoBario  do- 
•«ti»  Pi%C3(«^laliaoo.  Fatìa,  tipo^rafu  Biuonì^  l«»- 

<»|  %oeil«lano  PieB09le«e,  dH  nedm  Maarìiìo  Pipno.  Torino ,  nelb 
%   ^Umptrvt,  nz%,  —  m^iooarì  Piroioatèis.  Ilalian.  Latin  e  Fraitóèis', 


IXtRODUZiONE.  XXXVII 

làrii  dei  dialetti  Cremonesi  e' Gomasctii,  abbiamo  otte- 
nuto dalla  loro  gentilezza  un  estratto  dei  loro  mano- 
scritti, che  speriamo  vedere  quanto  prima  alla  luce  per 
intero.  Per  gli  altri  dialetti ,  e  specialmente  per  quelli 
della  campagna  e  dei  monti ,  abbiamo  raccolto  sui  luò- 
ghi stessi  quanto  era  possìbile  in  ripetute  peregrina^ 
zioni,  ed  abbiamo  sollecitata  la  prestazione  di  alcuni 
studiosi,  tra  i  quali  professiamo  sincera  riconoscenza 
al  conte  Sanseverino  per  un  florilegio  di  voci  crema- 
sche,  al  signor  arciprete  Paolo  Lombardini  di  Calcio 
per  alcune  voci  cremonesi  e  bergamasche  ed  al  prof. 
Cesare  Vignati  per  alquante  lodigiane. 

Sebbene  principal  nostro  divisamento  fosse  il  raccò- 
gliere in  questo  Saggio  le  sole  voci  che ,  per  la  forma 
e  significazion  loro,  si  possono  riguardare  come  rùderi 
degli  antichi  linguaggi  italici,  vi  abbiamo  tuttavìa  no- 
tate alquante  voci  di  manifesta  orìgine  e  forma  latina, 
escluse  però  dalF italiana  favella,  onde  si  vegga  quanto 
sono  tenaci  i  dialetti  nel  serbare  a  lungo  le  antiche  ra- 
dici; e  vi  abbiamo  pure  indicate  alcune  voci  attinte 
alle  lingue  straniere  moderne ,  perchè  si  conosca  quanto 
poca  influenza  ebbero  queste  sui  nostri  dialetti,  in  onta 
alle  lunghe  e  successive  dominazioni  straniere  nel  no- 
stro paese.  Abbiamo  poi  avuto  cura  dMndicare  a  qua] 
dialetto  ed  a  qual  luogo  speciale  ciascuna  voce  esclu- 
sivamente appartiene ,  onde  rèndere  proficui  questi  ma- 
teriali alle  osservazioni  dello  studioso.  Infatti,  il  pìcciol 

composi  dal  prcive  Casimiro  Zalli  dXher.  Carmagnola^  f  sitt,  da  la  stam- 
parla d'^Peder  Barbié.  Voi.  s  in-8.®  —  Diclionnaire  portatif  Piémoniait' 
FnmciUs,  suivi  d*un  f^ocabtUaire  Franqais  dcs  (ermes  usilés  dans  Ut  ari$ 
et  méiiers,  eie,,  par  Louiz  Capello,  comle  de  Sanfranco,  T\win,  de  V impri- 
merle de  y incent  Bianco,  I8i4.  Voi.  s  in- 8.® —  Vocabolario  Picmon tese- 
Italiano,  di  Michele  Ponza.  Torino ,  isso,  dalla  stamperìa  reale. 


XXXVIII  INTRODUZIONE. 

nùmero  delle  voci  comuni  a  tutti,  o  alla  maggior  parte 
dei  nostri  dialetti,  a  confronto  di  quelle  che  radica!-* 
mente  differiscono  da  luogo  a  luogo,  manifesterà  di 
leggieri  un^ antica  pluralità  di  lingue,  o  almen  di  dia- 
letti, nelle  rispettive  provincie.  Àirincontro  la  più  fre- 
quente comunanza  di  radici  strane  ed  antiquate,  che 
scottesi  in  alcuni  dialetti,  come  nel  bresciano,  vallel- 
linese  e  veronese,  rivelerà  un  antichissimo  nesso  dWì- 
gine  tra  i  primitivi  coloni  di  quelle  regioni ,  nesso  che 
dovette  precèdere  le  invasioni  dei  Vèneti  e  dei  Cèlti,  e 
le  cui  tracce  non  furono  da  queste,  né  dalle  posteriori, 
interamente  distrutte.  Ecco  le  principali  considerazioni 
che  c^  indussero  a  porre  talvolta  a  canto  alla  voce  lom- 
barda, emiliana,  o  pedemontana  la  corrispondente  vè- 
neta, tedesca,  francese,  spagnuola,  romanza,  latina, 
greca  o  cèltica,  onde  cioè  più  agevolmente  e  con  più 
di  ragione  dedurne  si  possa  a  prima  vista ,  o  V  antico 
nesso  d^ origine,  o  la  moderna  introduzione,  in  forza 
deir  immediato  commercio  coi  pòpoli  vicini.  Tra  que- 
ste voci  di  straniere  lingue  abbiamo  sempre  preferito- 
quelle  che  più  si  accostano  alle  nostre  vulgari,  così  nella 
forma ,  come  nel  significato  ;  e,  diffidando  di  noi  medè- 
'  simi,  abbiamo  consultato  le  migliori  e  più  autèntiche 
fonti,  che  abbiamo  potuto  procurarci,  quali  furono; 
pei  dialetti  armòrici ,  i  Dizionari  di  Le  Pelletier  e  di 
Le  Gonidec;  pei  càmbrici,  quello  di  Price;  pei  Gaèlici, 
il  gran  Dizionario  compilato  per  cura  della  Società  del- 
l'alta  Scozia;  per  le  voci  greche,  i  Vocabolarii  di  Schre- 
velio  e  di  Riemer  •,  per  le  lingue  romanze ,  quelli  di 
Roquefort,  Raynouard  e  Conradi;  e  per  le  lingue  mo- 
derne, i  Vocabolarii  compilali  dalle  varie  Academie. 
Né  abbiamo  inteso  con  ciò  spaziare  di  pie  franco 


INTR0DU210NE.  XXXIX 

neir  arduo  e  periglioso  campo  delF  etimologia  ,  tanto 
iìrnttaoso  ove  sia  perlustrato  da  retto  criterio  e  da* 
mente  spoglia  di  prevenzioni ,  quanto  screditato  da 
quelli  che  vi  si  provarono  sinora.  Pur  troppo  gli  eti- 
mòlogi che  ci  precedettero,  colia  sémplice  scorta  dei 
classici  idiomi,  e  tutto  al  più  di  qualche  cèltico  dia- 
letto, quasi  ignorando  resistenza  d^ altre  antichissime 
lingue ,  stiracchiarono ,  mutilarono  ed  alterarono  in 
mille  guise  le  voci  e  il  loro  valore,  o  crearono  nuove 
lingue  a  loro  talento,  onde  ridurre  ad  elemento  ellè- 
nico, cèltico  o  latino  le  più  disparate  favelle  1  Gonscii 
della  somma  importanza  delle  etimològiche  investiga- 
zioni e  della  necessita  di  lunghi  e  severi  studj  prelimi- 
nari, fondati  sulla  piena  cognizione  di  molti  idiomi 
antichi  e  moderni,  per  condurle  a  buon  fine,  ci  siamo 
ristretti  a  raccògliere  parte  dei  materiali  da  sottoporsi 
ad  esame,  accennando  qua  e  la  le  corrispondenti  ra- 
dici straniere,  solo  quando  ci  si  offerse  spontanea  la 
consonanza  delle  forme.  Dichiariamo  peraltro  franca- 
mente, èssere  stato  nostro  divisamente  il  proporle  co- 
me dubii,  e  non  come  stabiliti  giudizi!  ;  ed  appunto  per 
questo  vi  abbiamo  apposto  sovente  un  segno  d^  interro- 
gazione. La  sola  intenzion  nostra,  in  tutto  P ordinamento 
di  questo  Saggio,  si  fu  quella  di  rivelare  quanto  co- 
piosi appaiano  i  rùderi  d^  antiche  lingue,  onde  i  nostri 
dialetti  compòngonsi;  di  raccòglierne  quel  maggior  nù- 
mero che  ci  fu  possibile,  nelF attuale  inopia  di  mezzi, 
ordinandoli  ad  un  medésimo  scopo ,  e  porgendoli  sotto 
il  loro  più  sémplice  e  naturale  aspetto;  e  di  tracciare 
la  vera  strada,  per  la  quale  giunger  potremo  un  giorno 
alla  piena  cognizione  dei  medésimi,  alla  scoperta  dei  loro 
mutui  rapporti  colle  antiche  e  moderne  lingue,  e  per 
ùltimo  a  quella  delle  origini  dei  pòpoli  che  li  parlano. 


Onde  supplire  aDe  molte  imperfiaDoni  dà 
capi^  ed  aceenoaure  al  grado  di  cultma  da  ciasmn  dia- 
leUo  ragponto  nel  vòlgere  dei  smoli^  e  DelT  a^TÌeeo- 
darsi  degli  a^^enimeoti  polìtici  e  monli.  abbiamo  poi 
toltalo  delineare  uà  quadro  istòrico  della  letteratura 
vernàcola^  aooeanando  all'orìgine  della  medésima  ed 
alle  successive  sue  fasi  sino  ai  dì  uaslri.  L*  assoluta 
mancanza  d*  anteriori  studj  su  questo  aigomenlo,  è 
rimportanza  del  medesimo,  d  danno  a  ^ìerare  che  sarà 
per  riuscire  gradito  ai  nostri  lettori  questo  primo  leo» 
tativo^  per  redigne  il  quale  ci  fu  d*uopo  laccógliae 
e  studiare  la  màssima  parte  delle  produzioni  èdite  ed 
inèdite  in  tanti  e  sì  svariati  dialetti,  produzioni,  i  cui 
esemplari  sono  in  parte  assai  difficili  a  rinvenirsi;  ed 
abbiamo  corredato  le  nostre  osservazioni  d*una  colle- 
zione di  Sa^i,  incominciando  dal  più  antico  monu- 
mento che  ci  venne  fatto  conoscere  d*ogni  dialetto,  e 
scendendo  di  mezzo  sècolo  in  mezzo  sècolo  sino  ai  di 
nostri.  Per  tal  modo  il  lettore,  mentre  vedrà  raccolti 
in  un  solo  manìpolo  i  Sa^  di  tutte  queste  favelle  di- 
verse, onde  instiluime  un  iacile  confronto,  potrà  an- 
cora scòrgere  nelle  successive  produzioni  d^ogni  fovella 
le  fasi  e  le  alterazioni  da  questa  subite  nel  vòlgne  dei 
sècoli. 

A  completare  questa  successiva  serie  di  Saggi  in  cia- 
scun dialetto  non  abbiamo  risparmiato  le  più  accurate 
indàgini  nei  lu<^hi  rispettivi,  uè  calde  e  ripetute  sol- 
licitazioni  ai  molti  nostri  corrispondenti  e  collabora- 
tori ;  ma  in  onta  ai  moltéplici  sforzi ,  non  potemmo 
riuscirvi ,  se  non  per  alcuni  dialetti  principali,  per  quelli 
cioè  che  hanno  più  antica  e  più  copiosa  serie  di  com- 
ponimenti :  mentre  ve  n^  ha  parecchi .  la  cui  letteratura 


INTRODUZIONE.  XLI 

ebbe  solo  da  pochi  anni  ìncominciamento;  altri  invece, 
e  non  pochi,  sono  af&tto  privi  di  produzioni  edite  ed 
inèdit43,  SI  in  prosa,  che  in  verso.  Perciò ,  ogniqualvolta 
ci  fa  concessa  lìbera  la  scelta,  abbiamo  preferito  fra  i 
migliori  componimenti  quelli  di  men  lunga  lena ,  die  ci 
parvero  più  acconci  a  prestare  idea  precisa,  così  della 
lingua,  come  del  gusto  e  dello  spìrito  dei  tempi;  ejfum- 
mo  abbastanza  avventurati,  per  poter  arriccliire  questa 
raccolta  di  alquante  produzioni  inedite,  non  solo  in 
dialetti  meno  conosciuti,  quali  sono  il  lodigiano,  il  co- 
masco ,  il  cremonese ,  il  mantovano ,  il  bresciano ,  il 
ravennate  cc^li  altri  romagnoli ,  il  modanese ,  V  ales- 
sandrino, Taquense,  il  saluzzese  ed  altri  molti,  nei 
quali  pochissimo  o  nulla  fu  publicato  a  stampa;  ma 
altresì  di  produzioni  inèdite  di  autori  distinti ,  e  di  non 
comune  pregio  poètico ,  antiche  e  moderne,  da  noi  dis- 
sotterrate dagli  arclìivii,  o  procurateci  dalla  gentilezza 
di  varii  corrispondenti ,  dei  quali  abbiamo  con  solleci- 
tùdine e  riconoscenza  ricordati  i  nomi  a  suo  luogo. 
Ove  peraltro  mancavano  le  inèdite,  abbiamo  riempito 
ì  vani,  riproducendo,  fra  le  èdite,  quelle  che  ci  par- 
vero meno  diffuse  colle  stampe;  ove  mancarono  com- 
ponimenti pregévoli,  abbiamo  supplito  con  altri  di  mi- 
nor conto,  onde  valessero  almeno  a  saggio  di  lingua 
e  a  documento  delle  istòrichp  nostre  osservazioni;  ed 
abbiamo  lasciato  le  lacune,  ove  ci  costrinse  F assoluta 
privazione  di  Saggi  èditi  ed  inèditi,  buoni  o  cattivi. 

Per  ùltimo ,  a  più  chiara  prova  di  quanto  siamo  ve- 
nuti nel  ragionamento  istèrico  esponendo ,  ed  a  pòrgere 
sott* occhio  allo  studioso  tutte  le  fonti,  alle  quali  potrà 
attìngere  i  materiali  necessarii  a  conseguire  piena  co- 
gnizione di  tutti  questi  dialetti,  abbiamo  soggiunto, 


XLII  niTRODUZIO.NE. 


quasi  Appendice,  una  lista  bibliogràfica  dei  medésimi. 
In  essa,  il  ragguardévole  nùmero  di  produzioni  edite 
nei  dialetti  milanese,  bergamasco,  bol(^ese  e  tori- 
nese attesterà ,  come  questi  fossero  meglio  d^ogni  allro 
e  da  più  lunga  stagione  coltivati  ;  mentre  lo  scarso  nù- 
mero, o  r  assoluta  mancanza  di  produzioni  in  altri,  pro- 
veranno il  minor  grado  della  rispettiva  loro  cultura. 
Similmente  il  vario  gènere  dei  componimenti  nei  varii 
tempi,  e  il  maggiore  o  minor  nùmero  delle  rispettive 
loro  edizioni,  indicheranno  F origine,  il  progresso,  la 
maggiore  o  minor  popolarità  e  il  vario  spirito  d^ogni 
letteratura  speciale,  e  mostreranno  in  qual  conto  fos- 
sero quei  componimenti  tenuti  presso  le  varie  popo- 
lazioni. 

Sebbene  abbiamo  adoperati  tutti  i  mezzi  in  nostro 
potere,  onde  arricchire  questa  raccolta  del  maggior  nù- 
mero possibile  di  notizie,  ciò  nulladimeno  siamo  bea 
lungi  dal  crédere  d^  èsserci  accostati  al  suo  compimen- 
to. Oli  divisasse  di  produrre  perfezionato  un  lavoro  di 
sìmil  fatta ,  può  rinunciare  da  bel  principio  al  suo  pro- 
pòsito, mentre  ogni  giorno  scappano  fuori  notizie  nuo- 
ve, ed  ogni  giorno  si  discoprono  nuovi  materiali  e  nuovi 
autori.  Non  esistendo  simili  lavori  pei  nostri  dialetti^ 
se  si  eccettuino  alcuni  Saggi  premessi  ai  Vocabolarii 
vernàcoli,  ed  a  collezioni  di  poesie,  abbiamo  scelto  a. 
punto  di  partenza  questi  Saggi  medésimi,  ai  quali  ab- 
biamo aggiunto  quanto  ci  venne  fatto  scoprire  nei  ca- 
tàloghi delle  pùbliche  e  private  biblioteche,  mettendo 
ancora  a  contribuzione  la  scienza  di  molti  studiosi, 
delle  cose  patrie  appassionati  cultori.  Quindi,  pei  dia- 
letti lombardi  buona  messe  di  notizie  ci  porse  la  co- 
piosa collezione  di  òpere  vernàcole  serbataci  ueirAm- 


II<iTRODUZlONE.  XLIU 

brosiana ,  e  la  ragguardévol  lista  di  scritti  milanesi  pre^ 
messa  alla  Collezione  delle  migliori  òpere  scritte  tn> 
dialetto  milanese^  in  dodici  pìccoli  volumi.  Per  gli  emi- 
liani, ci  fu  di  non  lieve  giovamento  la  lista  d^  òpere  bo-. 
lognesi  premessa  da  Claudio  Ermanno  Ferrari  al  Vo- 
cabolario di  quel  dialetto;  i  catàloghi  delle  bibliotedie' 
di  Bologna,  Modena  e  Parma,  e  le  indicazioni  sparse 
in  molti  libri  vernàcoli,  sopra  tutto  nella  Serie  degli 
scritti  impressi  in  dialetto  veneziano  ^  compilata  da 
Bartolomeo  Gamba ,  ove  furono  rostrate  molte  òpere, 
che,  oltre  il  veneziano  dialetto,  altri  ne  racchiùdono 
italiani  e  stranieri.  Tanto  per  gli  emiliani,  quanto  pei 
lombardi ,  ricca  messe  di  notizie  bibliogràfiche  ci  porse 
ancora  il  signor  Carlo  Salvi,  il  quale  spese  lunga  serie 
d^anni  a  far  raccolta  delle  coso  agli  itàlici  dialetti  spet* 
tanti.  La  bibliografia  piemontese  poi  è  tutta  òpera  del 
dotto  nostro  amico  Giovenale  Vegezzi-Ruscalla,  al  quale- 
siamo  ancora  debitori  di  presso  che  tutte  le  versioni 
della  Paràbola  nei  dialetti  pedemontani  ed  in  parecchi 
altri  d^ Italia,  della  màssima  parte  dei  Saggi  di  quella 
letteratura,  e  d^una  copiosa  raccolta  di  materiali,  che 
ci  furono  di  sommo  giovamento  nella  redazione  del 
presente  lavoro. 

L^  amore  della  brevità  non  ci  permise  di  estènderci 
lungamente  sulle  notizie  risguardanti  tante  òpere  ver-* 
nàcole,  le  loro  edizioni  o  i  loro  autori;  ciò  nullostante 
non  abbiamo  intralasciato  di  citare  le  edizioni  princi* 
pali,  di  svelare  parecchi  anònimi  e  pseudònimi,  e  di 
unirvi  quelle  notizie  che  ci  parvero  di  maggior  rilievo 
al  nostro  scopo. 

Da  tutto  il  sin  qui  esposto  è  chiaro,  che  abbiamo 
divisa  quest'opera  in  tre  parti,  nelle  quali  abbiamo 


fi  iIei  m  «Midiviia  fli  f€fl  Qjftf.  Bcl  fnH>  «lei  qBili 

le  pr«f|kntft  ittitialTO  iowwv  e 

diapente  le  Tcràùfii  deft»  PMrmif>Jm  dei  fjlimol 
fo.  Bei  piMM'i|nli  dUelti  m1  opai  ^riip|M>  appar- 
kmenli.  bcI  Uno  Mnatmio  nccàiaso  ■■  Sàgyo  eli  Vo- 
caLofarki:  ad  cpurto  m  Svilo  ktòfico  dc&  rìspeltha 
ieileralata:  Del  (|iiiiilo  mai  GJIcziùae  di  S»^  èditi  ed 
■ifnfili  «Topii  lettenfam  Tcrmàcob  speciale:  ad  sesto 
Smahnemte  on  Saggio  di  bìfaGopafn  TcraàctìbL  Per  tal 
■kmId  Dotrìaiiio  fondala  sperama  d'aver  laccoila  in 
qaerfo  Ifliro  ima  copia  d"  importanti  malerialL  uu^giof  e 
di  quanto  si  è  fUto  sìnora.  e  di  a^erquinfi  aperta  ed 
asolata  la  rb  aDo  studio  dei  patrìi  dialetti,  scopo 
fondamentale  defle  penose  e  loiq^he  nostre  invest^a- 
xioni.  Se  quest'ardoo  tentatiTo .  die  proponiamo  come 
Si^io.  cottscii  delle  moltéplici  sue  imperiÌRiionL  verrà 
coronato  dal  pùblico  CiiTore.  ci  proponiamo  di  conti- 
nnare  senza  intermzione  la  poblicaiione  d'altri  amili 
brorì  ddìneati  sullo  stesso  pbno  e  col  medésimo  scopo, 
enandio  per  tutte  le  altre  Cun^lie  de^Ji  italici  dialetti, 
pei  €|oali  abbiamo  già  apprestata  doviziosa  raecolta  di 
nom-i  e  pregévoli  materiali. 


(i>  la  prfsa  di  qoeae  tic  pvti  fa  scrìtta, scbbcse  'm^msa^msim  orii- 
,  Cd  a  fofaiia  di  scapUce  Botiiia ,  per  le  }S§tizie  Mtemli  e  errili  ni 
tm  LtmAmràia,  Belle  q«alì  tottarii  Tcm  'nwMMiiwralr  nseriU. 


PROSPErrO  GENERALE 


DEI 


DIALETTI    GALLO-ITALICI 


I  dialetti  che  ora  si  parlano  nell'alta  Italia  divldonai  propria- 
mente in  quattro  famiglie  distinte  per  radicali  varietà  di  suoni  ^ 
d'inflessioni^  di  costruzione  e  di  radici,  e  sono:  la  famiglia  ti- 
gurCj  o  genovese j  la  gatto-itàlica j  la  vèneta  e  la  càmica  o  friulana. 

La  prima  è  ristretta  nell'angusto  lembo  racchiuso  tra  la  i^osla 
marittima,  che  dalla  foce  della  Magra  si  estende  sino  a  Montone, 
e  l'Apennino  ligure  ;  la  càmica  occupa  solo  V  estremo  àngolo  orien- 
tale alpino,  ove  confina  coi  dialetti  slavi  e  tedeschi  della  Camiola 
e  del  Tirolo;  quasi  tutta  la  parte  orientale  è  quindi  occupata  dalla 
vèneta  famiglia,  che  dalle  rive  deli' Adriatico,  comprese  tra  la  foce 
del  Timavo  e  quella  del  Po ,  si  estende  fino  al  lago  Itenaco  ed  al 
Mincio,  e  dalla  catena  delle  Alpi  sino  al  Po.  Per  modo  che,  ol- 
tre a  due  terzi  dell'  alta  Italia  racchiusa  tra  Y  Alpi  e  V  Apennino 
sono  occupati  dalla  vasta  famiglia  gallo-itàlica.  Più  partitamcnte 
parlando,  i  naturali  confini  di  questa  sono:  a  settentrione,  la  catena 
delle  alpi  rètiche,  lepòntiche  e  cozie,  che  la  dividono  dai  dialetti 
romanzi ,  tedeschi  e  francesi  della  Svìzzera  ;  ad  occidente  le  alpi 
graje  e  marittime ,  che  la  separano  dai  dialetti  occitànici  della  Sa- 
voja  e  della  Francia  meridionale;  a  mezzogiorno,  la  catena  degli 
Apennini  liguri  e  toscani  sin  oltre  la  Marecchia ,  i  quali  la  divìdono 


XLVI  PROSPETTO  CE>(ERALE 

dai  dialetti  genovesi  e  toscani;  ad  oriente,  le  rive  dell* Adriatico, 
da  Cattòlica  sino  alle  foci  del  Po,  e  quindi,  risalito  il  fiume  sin 
presso  alla  foce  del  Mincio,  il  corso  di  questo  fiume,  il  Iago  Be- 
naco,  i  monti  che  dividono  le  valli  della  Sarca  e  del  Mincio,  e 
finalmente  T  eccelsa  catena  camonia,  che  la  separa  dalle  valli  del- 
TAdige.  E  qui  gioverà  avvertire,  come  a  questa  naturale  divisione 
dei  dialetti  itàlici  settentrionali  corrispóndano  per  avventura  le 
prische  sedi  dei  pòpoli  liguri,  cèltici,  vèneti  e  càmici,  e  quanto 
pili  verisimile  appaja  quindi  la  derivazione  di  quelli  dalle  antiche 
lingue  di  questi  primi  invasori! 

Hestringèndoci  ora  a  favellare  della  sola  famiglia  gallo-itàlica, 
e  fondandoci  sulle  proprietà  distintive  degli  innumerevoli  dialetti 
che  la  compóngono,  ci  si  offre  spontànea  la  prima  sua  divisione 
in  tre  rami,  che  dalla  regione  rispettivamente  occupata  abbiamo 
distinto  coi  nomi  lombardo ^  emiliano  e  pedemontano.  Sebbene  pa- 
recchi fra  i  dialetti  componenti  il  primo  ramo  non  appartengano 
politicamente  alla  Lombardia  propriamente  detta,  ed  all'opposto 
alcuni  di  quelli  che  vi  si  parlano  spettino  al  secondo,  ciò  nullo- 
stante  l'abbiamo  denominato  lombardo  ^  e  perchè  infatti  il  mag- 
gior nùmero  dei  dialetti  che  lo  compóngono,  tra  i  quali  i  prìiK 
cipali,  sono  parlati  in  Lombardia,  e  perchè  in  tempi  non  molto 
da  noi  lontani  la  divisione  polìtica  meglio  corrispondeva  alla  lin- 
guìstica, che  non  al  presente.  I  suoi  confini  sono:  a  settentrione 
le  Alpi  rètlche  e  lepòntiche ,  dalla  catena  camonia  sino  al  monte 
Rosa;  ad  occidente,  il  corso  del  Sesia,  che  da  questo  monte  sca- 
turisce, sino  alla  sua  foce  nel  Po;  a  mezzogiorno,  il  corso  di 
questo  fiume  dalla  foce  del  Sesia  fino  a  quella  dell' Ollio,  tranne 
un  pìccolo  seno,  il  quale  abbraccia  la  città  di  Pavia  e  i  vidiù 
distretti  sino  alla  foce  del  Lambro  e  al  tèrmine  del  Naviglio  di 
Uereguardo;  ad  occidente,  una  linea  trasversale  dalla  foce  del- 
l'Ollio  a  Rivalta  sul  Mincio,  indi  il  corso  di  questo  fiume  da  Ri- 
valla a  Peschiera,  il  lago  Benaco,  i  monti  che  dividono  le  valli 
della  Sarca  e  del  Mincio  e  la  catena  camonia.  b  quindi  manifesto, 
che  il  ramo  lombardo  comprende  i  dialetti  parlati  nel  regno  Lom- 
liordo,  tranne  il  pavese  e  il  uiantovano;  i  dialetti  della  Svizzera 
ilaliiinn ,  ossia  Cantone  Ticinese  ;  e  i  dialetti  del  regno  sardo  com- 
pri»! fra  il  Sesia,  il  Po  ed  U  Ticino. 


DEI  DIALETTI  GAIXO-ITAtICI.  XLVII 

Similmente  abbiamo  denominato  emiliano  il  secondo  ramo^ 
sebbene  i  dialetti  ad  esso  spettanti  occupino  una  regione  pia 
estesa  dell'antica  Emilia.  Questa  comprendeva  bensì  il  paese  rac- 
chiuso tra  il  Po  e  l'Apennino  da  Borea  ad  Austro^  e  da  Lievante 
a  Ponente  il  lungo  tratto  che  stèndesi  da  Rimini  a  Piacenza^  o 
meglio  dalla  moderna  Cattòlica  alla  Trebbia;  ma  il  Po,  due  sè- 
coli prima  dell'era  volgare,  aveva  un  corso  ben  diverso  dairo- 
diemo,  mentre,  attraversando  la  grande  palude  Padusa,  che  in- 
cominciava nel  territorio  mantovano  meridionale  e  nel  basso  mo- 
danese,  e  intersecando  la  pianura  del  bolognese,  del  ferrarese  e 
del  romagnolo  propriamente  detto,  metteva  foce  nel  mare  a  Ra- 
venna. Esso  percorreva  quindi  l'alveo  ora  denominato  Primaro e 
percorso  dal  Reno,  piegando  ad  Austro  per  raggiùngere  Ravenna, 
dalla  quale  ora  dista  per  ben  dieci  miglia;  e  la  sita  foce  era  qua- 
ranta miglia  distante,  verso  mezzogiorno,  dall'attuale  bocca  di 
Maestra.  Da  ciò  è  manifesto ,  che  l' antica  Emilia  comprendeva  le 
legazioni  di  Forlì  e  dì  Ravenna,  la  romagnola  ferrarese  sulla  de- 
stra riva  del  Primaro,  il  territorio  bolognese,  tranne  il  distretto 
di  Poggio  Renàtico,  allora  sulla  riva  sinistra  del  Po,  il  Modanese, 
il  Reggiano,  il  Mantovano  cispadano,  il  Guastallese,  il  Parmigiano 
ed  il  Piacentino  sino  alla  Trebbia;  per  modo  che  n'era  esclusa 
la  legazione  ferrarese,  adesso  una  delle  più  ricche  e  più  estese, 
ed  allora  vasta  palude  seminata  di  pìccole  ìsole,  o  polesini.  In 
quella  vece  i  naturali  confini  del  secondo  ramo,  da  noi  detto  emi- 
liano ,  sono:  a  settentrione,  il  corso  del  Po  da  Valenza  sino  alla 
saa  foce  nell'Adriatico,  abbracciando  ancora  oltre  il  fiume  i  dia- 
letti pavese  e  mantovano  ;  ad  occidente  e  a  mezzogiorno,  una  li- 
nea trasversale,  che  da  Valenza  sul  Po  raggiunge  serpeggiando  T A- 
pennino  presso  Bobbio,  indi  la  cresta  degli  Apennini  fino  alla 
sorgente  della  Marecchia ,  d'  onde  si  prolunga  fino  a  Cattòlica  ; 
ad  oriente,  le  rive  deirAdriàtico ,  da  Cattolica  sino  alle  foci  del 
Po.  Esso  adunque  comprende  i  dialetti  parlati  nei  ducati  di 
Parma  e  di  Modena,  eccetto  i  transapennini ,  i  bolognesi,  i  ro- 
magnoli, il  mantovano,  il  pavese  e  i  pochi  ristretti  fra  il  Po  e  le 
falde  deirApennino,  nell'estremo  lembo  orientale  del  regno  sardo. 
Finalmente  il  ramo  pedemontano  è  conterminato,  a  settentrione, 
dai  monti  che  divìdono  i  superiori  tronchi  della  Val -Sesia  e  della 


XLVIII  PilOSPETTO   GENERALE 

Vallo  d'Aosta  dalle  sottoposte  valli  del  Cervo,  dell'Orco  e  della 
Stura;  ad  occidente,  dalle  Alpi  graje  e  marittime;  a  mezzogiorno 
dalle  stesse  Alpi  marittime  e  dall' Apennino  ligure;  ad  oriente,  da 
una  linea  trasversale  serpeggiante ,  che  congiunge  Bobbio  colla 
*  foce  del  Sesia,  e  quindi  dall'intero  corso  di  questo  fiume. 

Giova  però  avvertire,  che  queste  linee,  come  quelle  che  ver- 
remo in  appresso  e  con  maggior  precisione  tracciando,  segnano 
bensì  la  zona,  lungo  la  quale  un  gruppo,  o  un  singolo  dialetto 
si  va  mutsmdo  nell'altro;  ma  non  sempre,  anzi  quasi  mai,  un 
confine  di  ràpido  e  deciso  passaggio ,  poiché  in  generale  i  dialetti, 
mano  mano  che  si  scostano  dal  centro  del  loro  dominio,  smarri- 
scono a  poco  a  poco  le  loro  proprietà  distintive,  e  vanno  assimi- 
landosi alle  estreme  emanazioni  dei  dialetti  confinanti. 

L'esposta  divisione,  come  avvertimmo,  è  fondata  sulle  pro- 
prietà distintive  delle  famiglie  medésime  e  delle  singole  loro 
membra;  sebbene  dai  Saggi  che  siamo  per  pòrgere  dei  tre  rami 
gallo-itàlici,  e  da  quelli  che  ci  proponiamo  publicare  in  sèguito 
delle  altre  famiglie  italiane,  appariranno  abbastanza  manifeste  le 
radicali  dissonanze,  per  le  quali  ima  famiglia  naturalmente  distln- 
guesi  dalle  altre,  e  divldesi  in  più  rami,  ciò  nuUadlmeno,  prima 
di  procèdere  nei  particolari,  stimiamo  opportuno  proporre  alcuni 
esempi  atti  a  chiarire  la  via  da  noi  seguila  nel  corso  di  questi 
studj. 

La  màssima  parte  dei  dialetti  gallo-itàlici  ha  comuni  i  suoni  ti 
ed  ò  affatto  ignoti  alle  altre  famiglie  itàliche ,  la  sola  genovese 
eccettuata,  la  quale  d'altronde  ne  è  chiaramente  distinta  per  una 
serie  di  proprietà  diverse;  in  quella  vece  alcuni  suoni  sono  co- 
rnimi alla  màssima  parte  dei  dialetti  d'un  ramo  ed  ignoti  agli 
altri  due;  cosi  il  lombardo  distlnguesi  dall'emiliano  e  dal  pede- 
montano pel  suono  z,  che  questi  non  hanno;  d'emiliano  distln- 
guesi pel  suono  a,  mancante  nel  pedemontano  e  nel  lombardo. 

Simihnente  ò  proprietà  distintiva  e  comune  a  tutti  i  dialetti 
gallo-itàlici  il  troncare  generalmente  le  desinenze  delle  voci,  ciò 
che  avviene  di  rado  nelle  altre  famiglie,  tranne  la  sola  friulana, 
d'altronde  chiaramente  distinta  per  altre  radicali  impronte;  ma 
(]uesto  troncamento  medésimo  varia  alquanto  tra  loro,  mentre 
p.  e.  i  verbi  italiani  terminanti  in  arcj  che  nei  dialetti  lombardi 


DB!  MALCTTI  GALLO-ITAUCf. 


XLDL 


serbano  la  sola  ci  finale,  negli  emiliani  terminano  generalmente 
in  ar,  e  nei  pedemontani  in  é: 


Itauaih) 

portare 

andare 

colare 

pensare 

LOSBARDO 

porta 

andà 

ipolà 

pensi 

EnUAXO 

portar 

andar 

volar 

pensar 

Pedcho^itaivo 

porte 

andè 

9olè 

pensè. 

In  pari  modo  variano  con  determinate  leggi  in  ciascun  ramo 
le  inflessioni  dei  participj  e  di  tutte  le  voci  dei  verbi. 

Così  V  emiliano  e  il  pedemontano  discordano  dal  lombardo  per 
la  proprietà  a  questo  ignota  di  elidere  sovente  le  vocah  radicali 
nel  princìpio  e  nel  mezzo  delle  voci,  come: 


iTAUAIfO 

bisogno 

disotterrare 

pizzicare 

pesare 

LOXBAROO 

bisògn 

desoterà 

pizigà 

pesa 

Emiua^io 

bsògn 

dsotràr 

pzighdr 

psàr 

PeDEH0!<ITA!(I0 

bsògn 

dsotrè 

psighè 

psè. 

Per  ùltimo  la  costruzione  delle  frasi  fóndasi  d'ordinario  sopra 
ona  serie  di  leggi,  parecchie  delle  quali  sono  comuni  a  tutti  i 
dialetti  gallo-itàUci,  mentre  variano  più  o  meno  da  quelle  onde 
la  sintassi  delle  altre  famiglie  viene  retta;  ciò  nuUadlmeno  sovente 
i  Lombardi,  ad  esprìmere  un  medésimo  concetto,  fanno  uso  di  frasi 
diverse  da  quelle  degli  altri  due  rami,  ciascuno  dei  quali  pos- 
siede a  vicenda  una  doviziosa  raccolta  di  radici  di  esclusiva  sua 
proprietà.  Bastino  questi  pochi  cenni  a  mostrare  la  via  da  noi  se- 
guita, e  i  càrdini  fondamentali  della  di>1sione  da  noi  proposta  e 
tratta  dall'intimo  organismo  dei  dialetti  medésimi.  A  provarne 
r  esattezza,  e  ad  enumerarne  le  varie  eccezioni,  varranno  le  mol- 
téplici osservazioni,  ed  i  copiosi  esempi ,  che  mano  mano  verremo 
separatamente  esponendo. 


^ 


PARTE  PRIMA. 
DIALETTI    LOMBARDI 


CAPO  I. 

2.  i.  Divisione  e  posizione  dei  dialetti  lombardi. 


Divisio:ic.  —  Se  nei  dialetti  lombardi  consideriamo  attenta- 
mente le  moltéplici  dissonanze  di  minor  conto,  che  li  contradi- 
stìnguono, indeterminato  ne  è  il  nùmero,  e  impossibile  moa  esatta 
classificazione,  mentre  non  solo  ogni  città  ed  ogni  terra  ha  il 
proprio  dialetto,  ma  persino  nel  recinto  d'una  città  medésima 
parlasi  dall' un  capo  all'altro  con  diverso  accento  e  varia  flessione. 
Con  tuttociò,  se,  afferrando  le  precipue  loro  variazioni  e  le  pro- 
prietà radicali  più  distintive,  ne  consideriamo  il  complesso  ed  i 
rapporti,  agevolmente  ci  si  afiE&cciano  ripartiti  in  due  gruppi, 
che  per  la  posizion  loro  abbiamo  denominato  occidentale  ed  orien- 
tale. Ciascuno  di  questi  é  rappresentato  da  un  dialetto  principale, 
quasi  modello,  che  racchiude  in  sé  solo,  e  meglio  sviluppate, 
presso  che  tutte  le  proprietà  distintive  dei  singoli  suoi  membri, 
e  intorno  al  quale  tutti  gli  altri  si  ravvolgono  con  gradi  più  o 
meno  pròssimi  di  parentela.  Questa  affinità  per  altro  sta  per  lo 
più  in  ragione  inversa  della  distanza  dal  centro  comune,  per 
modo  che  i  più  vicini  più  si  accostano  al  dialetto  centrale,  e  i 
più  lontani,  serbando  appena  le  traccio  d'un' affinità  lontana,  se- 
gnano quasi  il  passaggio  dall' uno  all'altro  gruppo,  o  dall'una  al- 
l'altra famiglia,  colla  quale  si  vanno  mano  mano  assimilando. 

La  linea  che,  da  settentrione  a  mezzogiorno  scendendo,  separa 
con  bastévole  precisione  questi  due  gruppi,  incomincia  dalla  ca- 
tena delle  Prealpi  orobie  che  divide  l'estesa  valle  dell'Adda  da 
quelle  dell'Ollio,  del  Serio  e  del  Brembo,  e  percorrendone  le  creste 
che  separano  la  Val  Sàshia  dalle  confluenti  della  Val  Brembana, 


«  PàMTt.  PUMA. 

ngpmige  l'Adda  poco  inferìonnenle  a  Leeeo^  iii£  ne  segue  il 
eorso  sino  alla  sua  foce  nel  Po.  deriàndoDe  sol  breve  tratto  verso 
oriente,  da  Cassano  cioè  fino  a  Rnbbtano. 

Il  dialetto  principale  rappresentante  fl  gruppo  occidentale  si 
è  fl  Milanese,  e  ad  esso  più  o  meno  affini  sono:  fl  Lodigiano,  fl 
Gmasco.  fl  Valtellinese.  fl  Bormiese.  fl  Ticinese  e  fl  Verbanese. 
n  gruppo  orientale  è  rappresentato  dal  Bergamasco^  al  quale 
sono  strettamente  congiunti,  per  eommii  proprietà,  fl  Cremasco, 
0  Bresciano  e  fl  Cremonese. 

Posizion.  —  D  Milanese  è  fl  più  esteso  fi  tutti.  Oltre  alla  prcr 
▼inda  di  Milano  occupa  una  parte  deUa  pavese  fino  a  Landriano 
e  Bereguardo;  e.  varcando  quivi  fl  Ticino,  si  estende  in  tutta  la 
Lomellina  e  nel  territorio  novarese  compreso  tra  fl  Po.  la  Sesia 
ed  fl  Ticino,  fino  a  pocbe  miglia  sopra  ^vara. 

Il  Lodigianc  si  parla  entro  angusti  limiti,  nella  brere  lona 
eompresa  tra  l'Adda^  il  Lambro  ed  il  Po,  risalendo  fino  all'Ad- 
detta nei  contomi  di  Panilo:  inoltre  occupa  un  piccolo  lembo 
lungo  la  rÌTa  orientale  dell'Adda,  intomo  a  Pandino  e  Rivolta. 

n  Comasco  estèndesi  in  quasi  tutta  la  provincia  di  Como,  tranne 
V  estrema  punta  settentrionale  al  di  là  di  Menagìo  e  di  BeUano  a 
destra  ed  a  sinistra  del  Lario;  e  in  quella  vece  compraide  la  parte 
meridionale  e  piana  del  Cantone  Ticinese,  sino  al  monte  Cénere. 

Il  Faltellinese  occupa  colle  sue  varietà  le  valli  alpine  deU'Adda, 
della  Mera  e  del  Uro,  inoltrandosi  ancora  nelle  Tre  Pievi,  lungo 
la  riva  del  Lario,  in  tomo  a  Gravedona,  ed  a  settentrione  nelle 
quattro  valli  dei  Grìgioni  italiani,  Mesoldna,  Calanca,  Pregallia 
e  Pusdrìavina. 

L'estremità  più  elevata  settentrionale  deUa  valle  deU'Adda,  cbe 
comprende  a  un  ^presso  il  distretto  di  Bormio,  colla  pìccola 
valle  di  Livigno  situata  sull'opposto  pendìo  del  monte  GaUo,  è 
occupata  dal  dialetto  Bormiese, 

Il  Ticitiese  è  parlato  nella  parte  settentrionale  del  Cantone 
Svìzzero  d' egual  nome,  al  norte  del  monte  Cénere,  in  parecchie 
varietà.  Ira  le  quali  distìnguonsi  sopra  tutto  le  faveUe  deUe  valli 
Maggia,  Verzasca,  Leventina,  Blenio  ed  Onsemone. 

Il  Ferbanese  estèndesi  tra  il  Verbano,  fl  Ticino  e  la  Sesia, 
dalle  Alpi  lepAntieiie  fin  presso  a  Novara,  ed  è  quindi  partalo 


DlAUrm    LOMBARDI. 


lungo  ambe  le  sponde  del  Verbano,  spaziando  ad  occidente  in 
tutte  le  vallate  che  vi  affluiscono^  ed  insinuandosi  nella  più  estesa 
della  Sesia  colle  sue  affluenti  del  Sermenta  e  del  Mastallone. 

n  Bergamasco  confina  a  settentrione  col  Valtellinese,  da  cui 
io  divide  l'alta  catena  delle  Prealpi  orobie;  ad  occidente  col  Co- 
masco e  col  Milanese.  Esso  occupa  le  valli  del  Brembo  e  del 
Serio,  confinando  ad  oriente  col  Bresciano,  e,  giunto  alla  pianura, 
si  stende  tra  Y  Ollio  e  l'Adda,  scendendo  fin  sopra  i  Mesi  dì  Crema. 

n  Cremasco  è  una  breve  continuazione  del  Bergamasco,  a  mez- 
K^omo  del  quale  si  estende  sino  alla  foce  del  Serio,  occupando 
i  soli  distretti  Vili  e  IX  della  provincia  di  Lodi. 

Il  Bresciano  è  parlato  nell'estesa  valle  dell' Ollio,  in  quella  del 
disio  fin  entro  il  Tirolo,  e  lungo  la  riva  destra  del  lago  Benaco 
fino  a  Desenzano;  di  là  per  una  linea  trasversale,  che  discenda 
fino  a  Canneto  sull' Ollio,  confina  col  Mantovano. 

n  Cremonese  per  ùltimo  giace  tra  gli  indicati  confini  del  Lodi- 
giano,  del  Cremasco  e  del  Bresciano,  e  la  riva  sinistra  del  Po,  che 
segue  dalla  foce  dell'Adda  sin  presso  a  quella  dell' Ollio,  dove 
confina  col  Mantovano. 

2.  9.  Proprietà  distintive  dei  dìM  gruppi  occidentale  ed  orientale. 

Tra  le  molte  proprietà,  onde  gli  orientali  dialetti  sono  dagli  occi- 
dentali distinti,  le  più  generali,  costanti  ed  ovvie  sono  le  seguenti  : 

Gli  occidentali  hanno  varii  suoni  nasali,  slmili  ai  francesi  e 
ignoti  affatto  agli  orientali;  e  questi  suoni  tròvansi  cosi  nel  fine, 
come  nel  principio  e  nel  mezzo  delle  parole: 

lontano      àndito  imposta 

lontàn       àndeg  anta 

gtiardanidio    incìdere 


bene 
ben 


Italiano    pane 
D.  Oc.     pan 

Italiano 
D.  Oc. 

Italiano    ptino 
D.  Oc.     pth 

Italiano 
D.  Oc. 


sereno 
serén 


éndes 

India 
India 


ptcctno 
piscinin 

buono    divozione   tingere 
bon       divozión     óng 


énsed 
utensili 


fUatojo 
filanda 

contenta 
contenta 

accipigliato 


inguàtìguel  ingrintd 
unghia       incontro 


ótigia  incónter. 

In  vece  gli  orientali  sopprimono  in  fine  di  parola,  e  d'ordinario 
andie  nel  mezzo,  la  lèttera  n^  accentando  la  vocale  che  la  precede  : 


O  PARTE  PRIMA 

Italiano   mano        pane        bene        fine        buono        tuono 
D.  Oc.     man         pan         ben         fin         bon  tron 

D.  Or.     ma  pà  bé  fi  bii  tu 

Italiano  quanto  contento  solamente  momento  tante 
D.  Oc.  quant  contènt  solamént  moment  tanti 
D.  Or.     quat  cuntét  sulamét  mumét  tate. 

Il  suono  tagliente  ed  aspro  della  z  assai  frequente  nei  dialetti 
occidentali,  e  tanto  più  intenso  e  ripetuto  quanto  più  si  avvicina 
alle  montagne,  ove  sovente  sta  in  luogo  della  s  italiana,  si  cangia 
all'opposto  in  ss  negli  orientali,  ai  quali  è  presso  che  ignoto. 

Italiano   razza  acciajo  azione  grazia  ozi^ 

D.  Oc.     razza  azzàl  azión  grazia  osi 

D.  Or.     rassa  assà  assiti  grassia         om. 

Gli  Orientali  sopprimono  di  frequente  la  lèttera  v,  permutàn* 
dola  alcuni  in  fòrte  aspirazione,  mentre  gli  occidentali  non  aspi* 
rano  laai. 

Italiano      camallo      alari         dolere  ne  secchio  né  gumne 

D.  Oc.       ca^àl  ca^edón      dover  né  pèc  né  gi(hen 

n  Or      ^  ^^  i  caedà  i  doér  gné  ec  gnè  zùegn 

Icahàl  ìcaliedù  idohér  gné  hèc  gné  zùhegn. 

Da  alcuni  esempi  già  riferiti  appare  ancora  come  gli  orientali 
permutino  di  frequente  la  vocale  o  in  Uj  mentre  essa  rimane 
sempre  la  stessa  negli  occidentali: 


Italiano 

fiore 

vapore 

paragone 

lontanò 

ortolano 

D.  Oc. 

fior 

vapor 

paragón 

lontàn 

ortùlèn 

D,  Or. 

fiiir 

vapùr 

paragù 

luntà 

urtuld. 

Gli  occidentali  sopprimono  la  desinenza  re  nelle  voci  italiane 
terminanti  in  ere^  accentando  la  vocale  precedente,  e  cangiano 
parimenti  in  é  o  é  la  desinenza  italiana  ajo,  mentre  gli  orientali 
terminano  le  stesse  voci  in  ér: 

Italiano    barbiere       sentiere       candeliere       pollqfo       selUgù 
D.  Oc.     barbe  sente  candite  polé  seti 

D.  Or.     barbér         sentér         candilér         pulér         sdir. 


DIALETTI  LOMBAEDI. 


Simihnente  gli  indefiniti  dei  verbi  italiani  nei  dialetti  occiden- 
tali pèrdono  tutta  la  sillaba  finale  re,  mentre  negli  orientali  ri- 
tengono la  r: 

Italiano    andare      portare      lèggere      ùngere      dire      venire 
D.  Oc.     andà        porta         lég  mg  dì         vegni 

D.  Or.     andar       portar       lézer         ónzer        dir       vegnir. 

L'occidentale  termina  d'ordinario  i  participj  dei  verbi  in  d^  o 
in  t  ^  o  in  ù^  con  suono  prolungato  quasi  in  doppia  vocale,  mentre 
r  orientale  conserva  sempre  la  caratteristica  t  del  participio  ita* 
liano,  mutandola  solo  talvolta  in  c^  e  Tfi  dell' occidentale  in  i: 


Italiano    portato 

fatto 

finito 

cisto 

bevuto 

D.  Oc.     porta 

fa 

fini 

pecifi 

bev^ 

D.  Or.     purtdt 

fac 

finit 

fpedtlt 

beit. 

^.  5.  Proprietà  distintive  dei  singoli  dialetti, 

Il^dialetto  milanese j  rappresentando  il  gruppo  occidentale,  e 
raccogliendo  quindi  in  sé  solo  i  principali  caràtteri  comuni,  è 
meglio  distinto  da'  suoi  affini  per  le  proprietà  eselusive  di  cia- 
scuno di  questi,  che  non  per  le  proprie.  Se  non  che,  essendo 
parlato  nel  centro  della  lombarda  civiltà,  e  trattato  per  ben  tre 
sècoli  da  una  lunga  serie  di  valenti  scrittori,  emerge  fra  gli  altri 
per  dovizia  di  voci,  politezza  di  forme  e  dolcezza  di  suoni,  ac- 
costandosi sempre  più  alla  lingua  àulica  generale.  Esso  infatti  va 
perdendo  tutto  giorno  i  vocàboli  più  strani  e  più  vulgari,  ai  quali 
sostituisce  mano  mano  i  corrispondenti  italiani,  ed  alle  antiche 
permutazioni  di  lettere,  persistenti  nelle  campagne  e  nei  vicini 
dialetti,  va  sostituendo  a  poco  a  poco  le  forme  dell'italiana  fa- 
vella. Per  esempio,  la  passata  generazione  soleva  cangiare  so- 
vente  la  /  in  r^  la  f  in  c^  la  d  in  g,  dicendo  scara  j  vorèj  per 
scala,  volere j  lèc,  strec,  per  letto,  stretto  j  [rèi  per  freddo  e  sl- 
mili; mentre  il  Milanese  d'oggidì  preferisce  le  forme  scala,  volè, 
lèt,  strèt,  frèd,  ec. 

La  passata  generazione  faceva  uso  del  passato  assoluto  nei 
verbi  che  la  presente  ha  àCEatto  perduta,  ed  al  quale  sostituisce 


8  PARTB  PRIMA. 

il  passato  composto  coli' ausiliare;  onde  in  luogo  delle  voci  if<K>èj 
disèj  fèj  per  trwò,  disse,  fece,  suole  ora  adoperare  Va  trow^ 
tà  ditj  l*à  fa.  Le  quali  antiche  proprietà,  serbandosi  tuttavia  in 
vigore  nella  campagna  e  nei  vicini  dialetti,  valgono  precipua^ 
mente  a  separare  da  questi  il  Milanese  propriamente  detto.  Esso 
però  distinguesi  ancora  dagli  altri  per  la  maggiore  frequenza,  e 
pel  prolungamento  dei  suoni  nasali  che  vi  prodùcono  una  spe- 
ciale cantilena.  Suddivìdesi  quindi  in  civico  e  rùstico  j  il  primo 
è  parlato  dal  pòpolo  milanese;  il  secondo  nelle  campagne,  ove 
si  parla  con  infinite  varietà,  e  queste  vanno  a  poco  a  poco  assi- 
milandosi ai  più  vicini  dialetti. 

Il  Lodigiano,  come  tutti  gli  altri  della  pianura  su  minore  su- 
perficie diffusi,  of!re  un  minor  nùmero  di  varietà.  Le  sue  proprietà 
più  distintive  a  poco  a  poco  si  smarrirono  nel  continuo  commercio 
colla  capitale  lombarda,  e  solo  alcime  sèrbansi  ancora  nelle  più 
appartate  campagne,  ed  in  particolare  nella  terra  di  s.  Angelo, 
e  in  quella  parte  inferiore  della  città,  posta  suU'Àdda,  che  si 
cliiama  Lodino.  Le  principali  consistono  nel  terminare  con  vocale 
i  plurali  dei  nomi,  al  modo  comune  itàlico,  dicendo  :  galli,  sassi, 
porte,  scarpe,  ec,  il  che  si  stacca  da  tutti  i  vicini  dialetti.  La  stessa 
proprietà  estendèvasi  nei  tempi  addietro  anche  ai  singolari  di 
parecclii  nomi,  come  scòrgesi  nei  Saggi  da  noi  proposti  dello 
scorso  sècolo,  e  come  si  suol  pronunciare  tutt'ora  in  alcune  ap- 
partate campagne. 

Inoltre  il  Lodigiano  suol  permutare  in  én  nasale  la  desinenza 
im,  dicendo:  giardén,  spén,  azzalén,  per  giardino,  spino,  ac' 
ciarino  j  proprietà  comune  eziandio  al  vicino  dialetto  Cremonese, 
ed  a  parecchi  fra  gli  emiliani,  ai  quali  queste  due  favelle  si  vanno 
assimilando.  —  Volge  sovente  To'  dei  Milanesi  in  u  italiana,  di- 
cendo:  fug,  fura,  ugi,  invece  di  fog,  fora,  oc,  ossia  fuoco,  fuori, 
occhi,  —  Termina  in  e  disaccentato  gli  indefiniti  che  negli  altri 
dialetti  si  troncano,  come:  iege,  %fede,  sente,  dorme,  per  ^- 
gere,  vedere,  sentire,  donnire.  —  Pèrmuta  in  e  Ta  degli  imper- 
fetti nei  verbi ,  dicendo:  andana,  portéf?an,  laporéss,  mangiéss^ 
per  anda{?a,  portolano,  lavorasse,  mangiasse, —  Termina  in  di 
i  participj  passati  dei  verbi  irregolari,  e  in  ài,  ìt,  iit  quelli  dei 
verbi  regolari,  che  il  Milanese  suol  troncare  in  a,  i,  fi: 


DIALETTI   LOVBAEDI.  9 

Italiano        andato      fallo      sialo      cantato      sentilo     veduto 
Lodigiano    andai       fai        stài       cantàl       sentii      pecttiif 
KQanese      andd        fa  sta        canta         senti        Qedu.  ^ 

Questa  proprietà  è  comune  ai  dialetti  orientali,  e  quindi  al 
▼idno  Gremonese,  al  quale  il  Lodigiano  sempre  più  si  accosta 
nfso  mezzodì,  come  verso  Pavia  e  Piacenza  agli  emiliani.  Nella 
città  peraltro  tutte  queste  proprietà  dileguano  notevolmente  ogni 
amio,  sicché  è  assai  probàbile  che  in  poche  generazioni,  eonti- 
nnando  l'attuale  órdine  di  cose,  il  Lodigiano  diverrà  unsuddia- 
letto  de!  Milanese. 

I!  Comasco  cangia  in  ol  l'articolo  ed  il  pronome  personale 
il,  eglij  espresso  dal  Milanese  colla  voce  elj  come:  ol  f?entj 
ol  dàrj  ol  diSj  ol  cred,  per  il  {>enlOj  il  lume,  egli  dicej  egli  ere- 
de.  —  Serba  la  voce  sémplice  dei  passati  assoluti  nei  verbi, 
proprietà  comune  non  solo  agli  altri  dialetti  occidentali,  come 
accennammo,  tranne  il  Milanese;  ma  altresì  agli  orientali,  coi 
quali  il  Comasco  si  fonde  lungo  il  comune  confine.  —  Inoltre 
pèrmuta,  come  il  Lodigiano,  in  e  Ta  negli  imperfetti  dei  verbi.  --* 
Volge  sovente  in  ng  le  desinenze  nasali  milanesi,  Vs  in  Zj  o 
ìnzy  e  di  mano  in  mano  che,  verso  occidente,  s'inoltra  nei 
monti,  assume  una  successiva  serie  di  leggere  permutazioni  si 
nelle  vocali  che  nelle  consonanti,  difficili  a  descrivere  non  che 
enumerare,  e  che  solo  può  rappresentare  chiaramente  la  voce. — 
Nel  Comasco  del  pari  che  nel  Valtellinese  la  $  impura  prende,  come 

V  V  V  V 

nella  lingua  tedesca,  il  suono  Sj  dicendo  stala,  slatj  spin,  in 
luogo  di  statta^  statOj  spino. 

Il  F'altellinese  si  distingue  dal  Comasco  e  dal  Milanese  per 
maggiore  asprezza  e  più  frequente  concorso  di  sibilanti,  per  al- 
cune forme  esclusive  di  reggimento,  e  pel  nùmero  ragguardévole 
di  radici  strane  e  forse  vetuste.  Se  non  che,  sparpagliato  quasi 
per  trenta  ìniglia  di  lunghezza  nella  valle  dell'  Adda  e  nelle  sue 
eonvallì,  non  che  in  quelle  della  Mera  e  del  Uro,  benché  lungo 
la  strada  che  percorre  il  fondo  della  valle  serbi  una  certa  uni- 
formità, si  suddivide  in  un  gruppo  di  suddialetti,  ciascuno  dei 
quali  ha  proprietà  distinte  di  suono,  di  flessioni  e  di  radici.  I  più 
(btinti  sono  parìati  nelle  valli  di  Chiavenna,  Pr pallia,  Masino, 
Malenco,  Vennina  e  Roasco.  Gli  uni  partecipano  dei  dialetti  ré- 


10  PARTE  PRIMA. 

liei  della  vicina  Engadina,  dai  quali  trassero  parecchie  forme  e 
radici;  gli  altri  sono  misti  di  radici  germàniche;  e  mentre  quelli 
si  distinguono  dagli  altri  lombardi  per  la  frequenza  delle  dolci 
sibilanti  e  delle  liquide  romanze,  questi  fanno  uso  delle  più  aspre 
tolte  ai  vicini  e  rozzi  dialetti  tedeschi. 

Solo,  e  quasi  isolato  sulla  vetta  della  stessa  valle,  il  Bormkse 
distaccasi  da  tutti  gli  altri  lombardi,  per  la  mancanza  del  suono 
Uy  in  cui  vece  fa  uso  dell'aperta  vocale  toscana  u.  — ^  Pèrmuta 
sovente  in  /  la  t,  nei  dittonghi  ia,  te,  iUj  dicendo:  implenirjplu^ 
plauj  clamar  j  o  clamor  j  in  luogo  di  ètnpierej  piùj  piano j  chia- 
mare e  shnili.  Queste  due  proprietà,  costanti  particolarm^ite 
nelle  voci  latine  d'egual  forma,  lo  assimilano  al  dialetto  rètico, 
o  romanzo,  della  vicina  Engadina,  alla  quale  in  parte  geografica- 
mente appartiene,  essendo  T annessa  vaile  di  Uvigno  sul  decli- 
vio settentrionale  deirAlpe.  Ivi  infatti  s'accosta  al  rètico  ancor 
più  che  non  lo  stesso  Bormiese ,  cangiando  in  er  la  desinenza  dei 
verbi  italiani  in  are,  come:  fer,  stèi*j  comincièrj  ^ev  fare, stare, 
cominciare j  e  volgendo  sovente  ìsl  s  e  là  g  in  s,  Zj  come:  es, 
foia,  per  seij  foggia. 

A  spiegare  questa  dissonanza  del  Bormiese  dai  vicini  lombardi 
è  da  notarsi,  come  il  contado  di  Bormio,  dal  Medio  Evo  sino  ai 
tempi  dei  Visconti,  si  reggesse  con  proprie  leggi;  come  una  forte 
muraglia,  della  quale  sopra vànzano  alcuni  rùderi,  il  dividesse 
dalla  restante  Valtellina;  e  come  ne'  suoi  Statuti,  del  4500  incirca, 
fosse  inserito  un  appòsito  capitolo  de  non  habenda  communione 
cum  hominibìés  de  Pialle  Tellina. 

Oltre  alle  accennate  proprietà,  il  Bormiese  suole  terminare  in  r 
gli  indefiniti  dei  verbi  che  nei  lombardi  occidentali  sono  tronchi: 

Italiano  amare  scrkere  lèggere  finire  sentire 
Bormiese    amar         scrìfper  lézer  finir         sentir 

MOanese     ama  scrif  leg  finì    ^       senti. 

Nella  prima  persona  plurale  dei  verbi  suole  trasportare  tra  il 
pronome  ed  il  verbo  la  lettera  m,  caratteristica  di  questa  per- 
sona, non  solo  in  tutti  i  dialetti  italiani,  ma  in  presso  che  tutte  le 
lingue  derivate  dalla  latina,  e  termina  quindi  il  verbo  in  vocale, 
dicendo:  no*m  sèjno  m"à,  no  'm  portai  per  noitiamo,  «oiafr- 


DIALETTI   LOMBARDI.  fi 

ìj  noi  portiamo  j  le  quali  ùltime  proprietà  sono  comuni  al- 
tresì al  Ticino  dialetto  bergamasco,  dal  quale  appijono  derivate. 
Come  il  Bergamasco,  elide  ancora  talvolta  il  Bormiese  la  p^  nel 
mezzo  delle  parole,  dicendo:  tornea j  mangiàan,  dda^  per  tor-^ 
naoa^  mangiàpano^  dava.  Per  modo  che  possiamo  riguardare  il 
Bormiese  come  anello  che  congiunge  i  dialetti  lombardi  ai  retici, 
e,  tra  i  lombardi,  gli  occidentali  agli  orientali.  Con  tutto  dò  esso 
distinguesi  dagli  uni  e  dagli  altri  per  esclusivi  caràtteri  propri, 
màssime  nella  costruzione  e  nelle  radici,  come  vedrassi  neir  unito 
Saggio  di  Vocabolario. 

Il  Ticinese,  del  pari  che  tutti  i  dialetti  montani,  varia  non 
solo  da  valle  a  valle,  ma  da  luogo  a  luogo,  per  modo  che  so- 
vente nella  valle  istessa  distlnguonsi  di  leggeri  tre  o  quattro  dia- 
letti diversi  ripartiti  in  parecchie  varietà.  Ivi  la  sola  proprietà, 
che  dir  possiamo  generale,  consiste  nella  rozzezza  delle  forme  e 
dei  sooni;  ma  sì  le  une  che  gli  altri  variano  all'infinito,  sicché 
ardua  impresa  sarebbe  il  contrasegnarli  ed  enumerarli.  Ivi,  p.  e., 
r artìcolo  maschile  prende  successivamente  le  forme  elj  er,  Oj 
o/j  Uj  ulj  nrj  rOj  ruj  il  saono  duro  della  e  viene  raddolcito,  o 
scambiata  a  vicenda  la  vocale  seguente  in  dittongo;  cosi  la  pa- 
rala carne  vi  assume  le  forme  carn^  chiànij  chèrn^  cMèrnj  cem, 

I  partìcipj  assumono  da  luogo  a  luogo  varia  flessione,  termi- 
nando in  Val  Maggia  in  ào  o  in  èèj  nelle  Valli  Verzasca  e  di  Ble- 
nio  in  òu  o  in  èi/j  ed  in  Val  Leventina  in  ó: 


Italiano 

chiamato 

cominciato 

baciato 

peccato 

trovato 

Mflanese 

dama 

comenzd 

basa 

pecà 

trova 

V.  Maggia 

ciamào 

comenzdo 

basào 

pecào 

truvào 

V.  Verz.  e  Bl. 

ciamòu 

menzòu 

pasciòu 

pecòu 

trovati 

V.  Leventina 

damò 

comenzó 

baso 

pecó 

trovo. 

Nelle  Valli  Maggia  e  Leventina  chcesi  ancora  nèèj  dèèj  ciamèc 
per  andato j  dato^  chiamato j  e  in  Val  Verzasca  stèiè,,  trovèiòj  tor- 
neilj,  per  statOj  trovato^  ritoìmato. 

Dai  quali  esempi  scòrgonsi  ancora  le  permutazioni  del  6  in  p^ 
dell' o  in  u^  più  o  meno  frequenti  nella  indeterminata  serie  delle 
varietà.  Ed  è  pure  a  notarsi,  come  la  valle  di  Blenio,  oltre  alla 
sìmiglianza  coi  dialetti  liguri  nel  suddetto  dittongo  òUj  ha  eziandio 


1^  PARTE   PRIMA. 

• 

quella  degli  articoli  Oj  olj,  roj  rti.  A  spiegare  questa  moltiplicità 
di  dialetti  in  si  angusta  superficie^  oltre  alle  inòspite  catene  di 
monti  che  interrómpono  e  rèndono  malagévole  il  frequente  com- 
mercio tra  le  popolazioni  che  li  parlano,  è  da  notarsi  ancora 
l'influenza  dei  vicini  dialetti  romanzi  e  germànici,  i  quali,  tra  le 
vicende  politiche  di  molti  sècx)li,  penetrarono  a  vicenda  nell'una 
o  nell'altra  vallata.  Ond'  è,  che  i  dialetti  delle  valli  Leventina  e  di 
Blenio  distlnguonsi  ancora,  per  molte  radici  e  forme  romanze,  da 
quelli  delle  vicine  vallate,  corrotti  da  forme  e  radici  germàniche. 

Il  f^erbanesCj,  essendo  diffuso  sopra  una  superficie  assai  più 
^  vasta,  lungo  ambo  le  sponde  del  Verbano,  e  di  là  sui  più  erti 
monti  occidentali  e  per  entro  le  appartate  lor  valli,  ed  essendo 
inoltre  a  contatto  coi  dialetti  Milanese,  Comasco,  Ticinese  e  Pie- 
montese, non  che  coi  germànici  del  vicino  Valiese,  che  da  età 
rimota  penetrarono  nelle  valli  italiane  del  M.  Rosa,  ove  tutt'ora 
sono  in  parecchi  villaggi  parlati  (1),  offre  una  moltitùdine  di  va- 
rietà, cui  toma  pressoché  impossibile  determinare.  Ivi  i  suoni 
delle  vocali  percórrono  da  luogo  a  luogo  tutta  la  scala  delle  in- 
determinate loro  graduazioni,  e  quindi  vi  appàjono  distinti  i  suoni 
dei  dittonghi  aCj  ovvero  a  ed  ouj  ignoti  agli  altri  dialetti  lom- 
bardi. —  Ivi  é  frequente  la  permutazione  della  u  italiana  in  t  ^ 
che  gli  altri  Lombardi  cangiano  in  iij  dicendo  tic  per  iuiU^  polii 
per  voluto  ;  e  inversamente  della  t  italiana  in  tii ^  dicendo  priimmaj 
viistu,  per  primaj  i>Ì8to,  —  Più  frequente  vi  é  il  concorso  delle 
sibilanti  più  aspre,  e  la  permutazione  della  Hn  c^  slin  fine  che 

V  Va 

in  mezzo  delle  parole,  come:  strècj  naCj  dtcciUy  facciUj  quancij 
per  stretto  j  andato j  detto j  fatto  j  quanti,  —  In  quella  vece  il 
suono  dolce  della  e  vi  è  sovente  permutato  in  s,  dicendo  pansciaj 
porsceij  per  pancia j  porci;  ed  il  suono  della  g  in  z,  dicendo 
zàimuj  seria j  per  giovine j  gerla. 

Proprietà  esclusiva  e  rimarchévole  di  questo  dialetto  si  è  an- 
cora Tuso  di  trasportare  il  pronome  personale,  che  fa  le  veci  di 
attributo ,  dopo  il  verbo,  al  quale  viene  suffisso ,  anche  formando 

(i)  Vcggasj  il  nostro  Prospello  delle  colonie  straniere  in  Jlalia,  inserito 
neW^énnuario  Geogràfico  Italiano,  publicato  dairuflìcio  di  Corrispondema 
fcografica  io  Bologna ,  1 84tf. 


DIALETTI  LOMBARDI.  i3 

pleoiiasnio,  come:  l'à  dkciughij  ch'a  venmij  l'è  taccassij  l'à 
iHUiulu^  t  ò  truvallu,  i  ò  mai  disubideovij  t  «erpipt,  mentre  tutti 
gli  altri  dialetti  serbano  la  costruzione  italiana  :  gli  disse ^  che  mi 
viene^  egli  si  è  attaccato j  lo  ha  QistOj  io  l'ho  tiv^atOj  io  non  p'ho 
mai  disubbidito  j  io  pt  sefvo,  —  Raddoppia  per  lo  più  le  conso- 
nanti nelle  parole  piane  ^  e  più  sovente  la  m  facendola  nasale, 
come:  mattila  eruppi j  crapiccAi^  stimma,  prUmmaj  mangiumma, 
per  figlio,  crepo,  capretto,  stima,  prima,  mangiamo. 

Queste  ed  altretali  dissonanze  imprimono  nel  Verbanese  un 
aspetto  assai  diverso  da  quello  di  tutti  gli  altri,  màssime  nella 
regione  posta  fra  la  riva  destra  del  Verbano  e  la  Sesia,  ove  serba 
ancora  doviziosa  raccolta  di  voci  strane  ed  originali.  Ciò  nuUo* 
stante,  verso  oriente  e  mezzogiorno,  esso  va  assimilandosi  al  Mi- 
lanese, come  verso  occidente  va  fondendosi  nel  Piemontese  che, 
oltre  all'èssere  vicino,  vi  esercita  eziandio  la  sua  politica  influenza. 

Fra  tutte  queste  indescrivibili  varietà  del  dialetto  Verbanese, 
penetrando  nei  monti,  òdonsi  ancora  sovente,  in  mezzo  alle  tronche 
vod  lombarde,  le  aperte  e  liquide  vocali  comuni,  le  aspirazioni 
fiorentine,  le  nasali  livornesi,  e  persino  gli  accenti  spagnuoli  e 
francesi,  importati  dagli  abitanti  nelle  continue  migrazioni  che 
da  sècoli  sogliono  fare  a  diverse  parti  d'Europa,  per  esercitarvi 
certe  arti,  che  si  possono  dir  quasi  proprie  di  ciascun  villaggio. 
In  prova  di  questa  osservazione  soggiungiamo  qui  in  calce  il 
prospetto  delle  arti  proprie  degli  abitanti  di  tutta  la  Val  Sesia, 
comprese  le  sue  convalli,  e  della  Riviera  d'Orta,  notando  i  luo- 
ghi^ ove  sogliono  annualmente  recarsi  ad  esercitarle  (1);  e  sa- 

(i)  Nella  Val-Sesia  e  sue  comvalli. 

Mandamento  di  f'arallo. 

Breja  —  Tessitori  e  Coloni  in  patria. 

Camasco  —  Calzolaj  ed  Arrotini  a  Milano. 

CampeUo  —  Peltraj  in  Germania,  e  Negozianti  in  Augusta  e  a  Torino. 

Cervardo  —  Tessitori  in  Lomellina. 

Cervatto  —  Albergatori  e  Imballatori  nella  R.  Dogana  a  Torino. 

Ci V lasco  —  Osti  in  Ispagna^  Peltraj  in  Germania,  Stuccatori  in  Francia 

e  Coloni  in  patria. 
Cravagliana  —  Tessitori  in  Lomellina,  Calzolaj  in  Piemonte. 
Crèvola  —  Secchionaj  e  Mastellini  per  l' Italia. 


1^  PARTE  PRIMA. 

rebbe  pur  desideràbile,  che  simigtianti  notizie  venissero  raccolto 
in  tutte  le  valli  racchiuse  fra  il  Monte  Rosa  e  il  Monte  Adamo  ^ 

Fobello  —  Albergatori,  PizzicàgnoU,  Osti  e  Camerieri  a  Torino. 

Locamo  —  Calzolsj  in  Piemonte,  Muratori  io  Francia. 

Morca  —  Pescatori,  Calzolaj  e  Muratori  io  Savoja. 

Morendo  —  Calzolaj  in  patria  ed  ai  varii  mercati  della  provincia. 

Parone  —  Calzolaj ,  Secctiionari  e  Coloni. 

Quarona  —  Calzolaj  a  Milano ,  Falegnami  a  Torino,  Agricoltori  In  patria. 

Rimella  —  Albergatori,  Cuochi,  Camerieri  e  Domèstici  a  Novara,  Ver- 
celli e  Torino;  Muratori,  Legnajuoli  e  Agricoltori  in  patria. 

Rocca  —  Falegnami  a  Torino,  Calzolaj  e  Agricoltori  in  patria. 

Sabbia  —  Tessitori  in  Lomellina,  Calzolaj  in  Piemonte,  Pastori  in  patria. 

Valmaggia  —  Legnajuoli  e  Calzolaj  nel  Novarese  e  in  Piemonte,  Ottoni^ 
a  Varallo. 

Varallo  —  Negozianti  di  vario  gènere. 

Vocca  —  Muratori  in  Isvizzera. 

Mandamento  di  Scopa, 

Alagna  *~  Stuccatori  e  Scalpellini  in  Francia  e  nella  Svizzera. 
Balmuccia  —  Muratori  in  Francia  e  Svizzera ,  Calzolaj .  in  varie  parti 

d'Italia, 
noccioleto  —  Muratori  e  Stuccatori  in  Francia  e  Svìzzera. 
Campertogno  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia. 
Carcòforo  —  Muratori  e  Stuccatori  nella  Svìzzera,  Peltraj  a  Milano. 
Ferrate  —  Secchionaj  giròvaghi  per  V  Italia. 
Fervente  —  Muratori  e  Stuccatori  in  Francia  e  Svìzzera. 
Molila  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia  e  Svìzzera,  Fabbricatori  di 

chiodi  in  patria. 
Pila  —  Calzolaj  e  Secchionaj  per  T  Italia. 
Piede  —  Calzolaj  e  Secchionaj  per  Pltalhi. 

Rassa  —  Legnajuoli  e  Calzolaj  nel  Milanese,  e  in  varie  parU  d'Italia. 
Rima  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia  e  nella  Svìzzera. 
Rimasco  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia  e  Svìzzera,  e  Secchionaj  in 

Italia. 
Riva  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia,  Fabricatori  di  ribebbe  in  patria. 
Rossa  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia. 
S.  Giuseppe  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia  e  nella  Svìzzera. 
Scopa  —  Stuccatori  e  Muratori  in  Francia,  Calzolaj  e  Falegnami  in  Italia. 
Scopello  —  Calzolaj  In  Piemonte  e  a  Novara. 

Mandamento  dì  Borgoscsia. 

Agnona  —  Faicgnanii  e  Calzolaj  in  Piemonte  e  nel  Milanese. 
Aranco  —  Falegnami  In  Piemonte,  Agrìcoli  in  patria. 


DIALETTI  LOMBARDI.  Itt 

dò  che,  non  solo  porgerebbe  la  cagione  di  alquante  stranezze 
proprie  di  quei  dialetti,  ma  spiegherebbe  altresì  molte  partico- 
larità di  maggior  momento. 

Borgosesia.  —  Ne^OKianti  di  vario  gènere  e  Vetturali. 
Cellio  —  Tessitori  ia  patria  e  Falegnami  in  Piemonte. 
Doccio  —  Muratori  in  Francia,  Secchionaj  giròvaghi  per  l'Italia.- 
Ferrata  —  Tessitori  in  patria. 

Foresto  —  Agrìcoli  in  patria,  Secchionaj  giròvaghi  per  Tltalia. 
Isolella  —  Fabbrl-ferraj  in  patria,  Secchionaj  nel  Milanese. 
Valduggia  —  Calzolaj,  Falegnami  e  Fonditori  di  bronzi. 

RiviEiA  d'Oita  SuPEiioas. 

Alzo  —  Osti  a  Roma  e  nella  Spagna. 
Ameno  —  Muratori  e  Scalpellini  a  Torino  ed  in  patria. 
Armeno  —  Commercianti  a  Livorno,  Pastori  in  patria.  Coloni  sul  Novarese. 
Àrola  —  Calzolaj  a  Pavia  e  nella  Spagna,  Carbona]  ia  patria. 
Arto  —  Calzolaj  e  Carbonaj  in  patria. 
Bolleto  —  Osti  a  Roma  e  nella  Spagna. 

Carcegna  —  Ottona]  a  Piacenza,  Osti  a  Roma,  Calzolig  a  Brescia. 
Cèsara  —  Calzolaj  ed  Osti  a  Genova  ed  a  Roma,  Carbonaj  in  patria. 
Coirò  —  Calzolaj  a  Pavia  e  Soresina,  Pastori  in  patria. 
Corcogno  —  Giuratori  in  patria. 
Isola  s.  Giulio  —  Osti  nella  Spagna. 
Miasino  —  Muratori  e  Scalpellini  in  patria. 
Nonio  —  Osti  a  Roma  ed  in  Ispagna. 
Orla  —  Osti  in  Ispagna. 
Pella  —  Osti  nella  Spagna. 

Pettenasco  —  Osti  nella  Spagna  e  Scalpellini  in  patria. 
S.  Maurizio  d'Opaglio  —  Osti  in  Ispagna  ed  a  Roma. 
Vacciago  —  Scalpellini  e  MercaUnti  a  Milano,  Muratori  e  Scalpellini  in 
patria. 

Riviera  d'Orta  I?)Feriore. 

Auzate  —  Peltraj  ed  Osti  a  Roma. 

Bolzano  —  Muratori  e  Scalpellini  a  Pavia  ed  in  patria ,  Falegnami  a 
Torino. 

Bugnate  —  Osti  a  Roma,  Peltraj  in  Germania. 

Gargano  —  Conciatori  di  pelli,  Fabricatori  d'i  stoviglie  in  patria,  e  Cal- 
zolaj a  Soresina. 

Gozzano  —  Ottonaj  a  Torino  ed  a  Milano,  Peltraj  In  Germania,  Pizzicà- 
gnoli a  Roma. 

Pegno  —  Peltraj  in  Germania,  Osti  a  Roma,  Milano  e  Spagna. 

Soriso  —  Calzolaj  e  Conciatori  di  pelli  in  patria,  Osti  a  Roma  ed  in  Ispagna. 

S 


Ì6  PARTE   PRIMA. 

Il  Bergarmsco  possiede  per  eminenza  lo  proprietà  distinlive 
dei  dialetti  orientali^  e  sono:  le  gutturali  aspirate,  le  permuta- 
zioni del  z  in  s^  dell' o  in  xi^  ed  altre  più  sopra  mentovate;  nia 
vi  aggiunge  ancora  alcune  forme  al  tutto  sue.  Esso,  C4)me  si  è 
notato,  parlando  del  Bormiese,  ha  un  modo  strano  di  formare  la 
prima  persona  plurale  nei  verbi  interponendo  fra  il  pronome 
ed  il  verbo  la  sillaba  ma^  o  l'inversa  am^  invece  di  sufTiggere 
al  verbo  stesso  la  caratteristica  m^  come:  nóter  (cioè  noi  altri ^ 
Fr.  tìoìis  aulres)  ma  scrifj  noi  scrkiamoj  nóter  am  turna^  noi 
ritorniamo  j  nóter  am  durmaj  noi  dormiamo  j  nóter  m^  andare ^ 
o  am  portare  j  noi  andremo  o  porteremo.  —  Muta  sovente  la  i 
e  la  j  in  gi,  dicendo  ucasgiiij  scalgiù^  per  occasione j  scaglione j 
e  questo  modo  accompagna  la  pronuncia  dei  Bergamaschi,  come 
quella  dei  Vèneti,  eziandio  c[uando  parlano  Italiano,  onde  profe- 
riscono familgiaj  elgi,  quelgij  per  famiglia^  eglij  quegli,  —  Aspira 
le  sibilanti,  dicendo  hervOj  hovràj  per  sen^o,  sovrano,  E  qui  vuoisi 
osservare,  che  questa  proprietà  forma  appunto  uno  dei  principali 
distintivi  fra  la  lingua  latina  e  la  greca ,  in  quelle  radici  che 
hanno  comuni,  come:  serpo j  salj  sylva^  che  il  Greco  aspira  in 
herpOj  halSj  hyle,  — Nelle  valli  superiori  T  aspirazione  si  fa  più 
frequente  e  più  forte,  e  toglie  il  posto  alla  s^  altresì  quando  è 
precedutxi  o  seguita  da  consonante;  cosicché  le  voci  italiane  ca- 
stello^ costUj  pensare^  pestare^  grosso ,  rosso ^  si  odono  aspramente 
mutilate  in  cafUèlj  cohtOj  penhàj  pehtà'j  groh^  ruh.  —  Pèrmuta 
la  desinenza  italiana  ìa  in  éa  ^  dicendo  cumpagnéuj  ostaréa  o 
ohtaréaj  malatéa^  per  compagnia^  osterìa ,  malattia.  —  Suol 
terminare  in  è  le  parole  tronche  terminate  negli  altri  dialetti  af- 
fini in  {  e  d: 

Italiano  gatti  pianeti  fatti  stati  scudi  freddo  nudo  e  crudo 

Bergamasco    gaè   pianéc   faè    staè   sedè    frèè        niiè  e  eroe 

feesciano    )  ,  ,,...-. 

r  i  gat    pianet   fat     stat   sciid   frcd       nua  e  crua. 

Cremonese  )  ^       '^  '  ' 

Qui  però  è  da  notarsi,  che  questa  permutazione  nei  participi  ed 
in  alcuni  nomi  ha  luogo  solamente  al  plurale,  dicendosi  anche 
dal  Bergamasco  ol  gat^  l'è  andata  nel  singolare. 
Il  CremascOj  il  quale,  come  abbiamo  detto,  continua  sin  presso 


DIAI^ETTI  LOMBARDI.  17 

alU  foce  del  Serio  il  dialetto  Bergamasco,  se  ne  allontana  solo 
per  le  men  frequenti  elisioni  del  p  e  deirn^  di  modo]  che,  se 
per  la  comunanza  delle  proprietà  può  riguardarsi  come  un  sud- 
dialetto  del  Bergamasco,  d'altra  parte,  per  la  poca  loro  intensità, 
segna  il  trapasso  al  Cremonese.  Un  distintivo  da  notarsi  in  esso 
&,  che  nelle  desinenze  italiane  in  trcj  iri^  tro^  drcjàrij  droj 
cmiserva  lo  stesso  órdine  di  lèttere,  mentre  negli  altri  è  invertito 
il  posto  delle  ùltime  : 

Italiano          mentre  altri  dentro  padre  ladri    quadro 

Cremasco       mentre  altre  dentre  padre  ladre    quadro 

Bergamasco)  déter           ,  .  ,,. 

Cremonese  S  ''^''^''  ^''^'*  dénter       P«^^  ^^^^'^    9*'«^'- 

In  generale,  come  dialetto  di  pianura,  è  meno  scabro  del  Ber- 
gamasco e  del  Bresciano,  e,  per  la  poca  superfìcie  sulla  quale  è 
parlato,  non  offre  altra  varietà  che  la  consueta  distinzione  del 
dialetto  rìistico  e  dell' u?*6ano;  che  anzi  nella  città,  non  solo  è 
più  copioso  di  buone  voci  della  comune  lingua  italiana,  ma  per 
la  passata  intimità  e  alcune  parentele  delle  famiglie  più  cospicue 
colla  nobiltà  vèneta,  accolse  parecchie  voci  di  quell'elegante 
dialetto. 

Il  Bresciano  serba  pure  presso  che  tutti  i  distintivi  del  Berga- 
masco, sebbene  meno  intensi;  vale  a  dire,  ha  meno  forti  e  meno 
frequenti  le  aspirazioni,  le  quali  non  vi  hanno  mai  luogo  nel 
mezzo  delle  voci,  al  posto  della  s;  e  meno  frequenti  ancora  le 
elisioni  della  n^  màssime  nel  mezzo  delle  parole.  Del  resto  esso 
partecipa  dei  suoni  e  delle  forme  del  Bergamasco  per  modo,  da 
potersi  riguardare  come  un  suo  pròssimo  suddialetto.  Se  non  che, 
essendo  esteso  sopra  vastissima  superfìcie,  dalla  catena  Camonia 
alla  pianura  mantovana,  e  confinando  per  oltre  cinquanta  miglia 
coi  dialetti  vèneti  e  col  Mantovano,  offre  parecchie  varietà,  le 
quali,  di  mano  in  mano  che  si  allontanano  dal  centro,  si  vanno 
assimilando  a  questi.  Perciò  esso  ha  un  Vocabolario  più  copioso 
che  non  gli  altri  suoi  aflini ,  riunendo  alle  voci  di  questi  ed  alle 
proprie  parecchie  radici  tolte  ai  dialetti  vèneti  ed  emiliani.  Le 
>'arietà  superiori  pòrgono  sopra  tutto  una  serie  importante  di 
>oci  che  si  riferiscono  alla  pastorizia  ed  all'agricultura,  come 


IH  PARTE   PRIMA, 

lungo  la  Riviera  del  Benaco  se  ne  sèrbiìno  parecchie  apparte^ 
nenti  alla  nàutica  ed  alla  meteorologìa. 

Il  Cremonese  è  fra  gli  orientali  il  più  distinto  dal  Bergamasco. 
Situato  fra  gli  Emiliani  ed  i  Lombardi  d'ambi  i  gruppi^  esso  è 
piuttosto  un  dialetto  Ibrido  e  misto  degli  uni  e  degli  altri  ^  che 
non  originale  e  distinto.  Infatti^  lungo  la  zona  che  accompagna 
la  riva  sinistra  del  Po^  segna  il  trapasso  dal  Lombardo  airEml- 
linno^  assumendo  parecchie  proprietà  distintive  di  questo;  mentre 
a  settentrione  si  confonde  col  Bresciano  e  col  Cremasco,  e  ad 
occidente  col  I^digiano,  col  quale  ha  comuni  parecchie  proprietà 
normali.  Esso  non  suole  mai  elidere^  come  gli  altri  orientali,  le 
consonanti  p  ed  ny  ma  in  quella  vece  fa  uso  di  suoni  nasali;  ed 
in  vìò  pure  si  distacca  dagli  occidentali^  pronunciando  alquanto 
aporta  la  desinenza  òn^  e  permutando  la  in  m  én^  come: 

Italiano  padroihe  timofie  ragione  spino  fine  giardino 

Cremonese  padròn  tiinòn  ra::òn  spén  fén   giardén 

D.  ()r.  padrà  tinm  rasi  spi  fi      giardi 

I).  ih,  padrón  timón  rasón  spìn  f%n    giardin. 

QiiOMta  proprietà,  comune  eziandio  al  Lodigiano,  segna  appunto 
11  trapasvso  dal  Lombardo  all'Emiliano,  che  pèrmuta  per  lo  pi6 
qut^lle  desinenze,  come  vedremo,  in  òun^  èin^  ùpipnre  in  òn_,  éfi. 
I>el  resto  il  Cremonese  ha  comuni  cogli  orientali  le  seguenli 
proprietà:  pèrmuta  in  é  la  i  finale  accentata,  dicendo  cAe^  fnéj 
lié,  <>«(»,  per  qtii^  mi  o  mCj  dij  cosij'  —  volge  sovente  la  o  in  Uj 
dicendo  urtulàn^  fiàry  odiiTj  per  ortolano j  fiore^  odore j  —  e 
la  u  In  «,  dicendo  giòst,  gòst,,  tòt,  lòm,  per  giusto^,  gusio^  tuttOj 
lume.  Termina  in  ér  le  voci  italiane  che  finiscono  in  ere  ed  ajoj 
lui  I  pnrticipj  dei  verbi  in  àt^  %t^  Ut. 

^.  4.  Osservazioni  grammaticali  in  generale. 

Niella  <'4>mplessiya  grammaticale  struttura  tutte  queste  varie 
f(tvitil(!  sono  collegato  da  uno  stesso  principio  ordinatore,  comune 
aUu  lingua  italiana,  e  quindi  in  parte  alla  latina  ed  alla  greca, 
''d  in  parte  ai  cèltici  dialetti;  ma,  in  onta  a  questa  complessiva 
'•^uaUmh  di  forme,  si  allontanano  sovente  dalle  une  e  dagli  altri, 
te  al«tff)i  pnnti  cardinali,  dai  quali  appare  manifesto,  che  estranei 


DIALETTI    LOMBARDI.  11^ 

dementi,  dì  natura  diversa,  contribuirono  altresì  alla  loro  forma- 
tone. 

Tutti  i  dialetti  lombardi  fanno  uso  di  articoli  e  dì  preposizioni 
per  declinare  i  nomi,  se  è  lécito  chiamare  declinazione  qualche 
iieye* modificazione  intesa  a  distìnguere,  solo  in  alcuni  nomi,  il 
gènere  ed  il  nùmero,  giacché  mancano  onninamente  i  casi.  Gii 
articoli  variano  di  forma  dall'uno  all'altro  dialetto,  e  sono:  pel 
maschile  determinato,  el^  olj  Uj  ulj  ur^mj  per  T  indeterminato, 
MI.  òn^  ù^  un;  pel  determinato  femminile,  la^  raj  per  l'inde* 
lerminaio,  ona,  òna^  rtOj  una.  Nel  plurale,  il  determinato  è  per 
lo  più  ano  solo  per  ambi  i  gèneri,  dicendosi  ugualmente  i  galj 
I  pégor^  per  i  gatti ^  le  pècore.  Le  preposizioni  sono  idéntiche  alle 
italiane,  cioè  de^  a^da^  iUj  couj  per^  sUj  ec,  e,  come  in  tutte  le 
lìngue  neolatine,  vengono  contratte  negli  articoli,  onde  supplire 
alla  mancanza  dei  casi,  formando  del  o  dol,  alj  dal,  tiel,  col, 
tùly  ovvero  dela,  dola^  ala,  data,  ec. 

L'articolo  per  lo  più  è  il  solo  distintivo  dei  nùmeri,  tranne 
alcune  eccezioni.  Queste  hanno  luogo  nel  Milanese  in  alcuni  nomi 
irregolari,  nei  quali  la  desinenza  cangia  al  plurale,  come  òm, 
uomo,  che  fa  àmen  al  plurale;  in  tutti  i  nomi  terminati  in  la, 
che  al  plurale  finiscx)no  in  t^  come:  optarla,  eresia,  che  fanno 
ostarij  eresi,  e  simili;  ed  in  alcuni  altri  casi.  Il  Lodigiano,  come 
accennammo,  distlnguesi  fra  tutti  gli  occidentali,  per  l'uso  di 
terminare  con  vocale  i  plurali  dei  nomi ,  dicendo  el  gatj  i  gali, 
la  oà,  le  case;  esso  in  conseguenza  ne  forma,  non  però  sempre 
eccezione.  Cosi  il  Bergamasco,  e  con  esso  la  maggior  parte  dei 
dialetti  orientali,  suol  permutare  la  i  finale  in  e,  nel  plurale  dei 
nomi  e  dei  participi,  dicendo  ol  gal,  i  gaè,  ol  fatj  i  faè,  e  sl- 
mili. Si  danno  parecchie  altre  eccezioni,  cosi  in  questi,  come 
negli  altri  dialetti,  cui  lungo  sarebbe  enumerare;  ciò  nullostante, 
generalmente  parlando,  l'articolo  è  per  lo  più  l'esclusivo  indica- 
toro  del  nùmero  nei  nomi  lombardi. 

I  gèneri  sono  due,  maschile  e  femminile;  e  questi  pure  sono 
per  lo  più  contrasegnatì  dal  solo  articolo,  poiché,  essendo  i  nomi 
il  più  delle  volte  tronchi,  mancano  della  caratteristica  finale,  che 
'm  tutte  le  lingue  e  in  tutti  i  dialetti  neolatini  é  sempre  una  vo- 
cale; nei  pochi  eccettuati  peraltro  la  terminazione   o  segna  il 


30  PARTE   PRIMA. 

maschile;  a  il  femminile  singolare  ;  t  ed  e  i  rispettivi  plurali.  Qui 
però  è  d'uopo  avvertire,  che  non  sempre  il  gènere  dei  nomi  è 
lo  stesso  nei  dialetti  e  nella  lingua  italiana;  ma  talvolta  è  fem- 
jnìnile  in  un  dialetto  quel  nome,  eh' è  maschile  in  italiano,  o  ifr* 
versamento,  dicendosi,  on  per ^  l'ombrèlaj  la  tegnola  per  una 
peruj  t ombrello j  il  pipistrello j  e  slmili;  la  qual  dissonanza  ap^ 
pare  di  gran  lunga  maggiore,  se  si  confrontino  i  dialetti  lombardi 
col  latino  idioma,  che  pur  ebbe  tanta  parte  alla  loro  formazione. 
Essendo  quest'osservazione  di  somma  importanza  nello  studio 
comparativo  dei  linguaggi,  è  manifesto,  che  farebbe  cosa  molto 
ùtile  alla  scienza  chi,  apprestando  una  lista  dei  nomi  lombardi 
discordi  nel  gènere  dagli  italiani  e  dai  latini,  instituisse  poscia  im 
confronto  col  gènere  dei  loro  corrispondenti  nelle  antiche  favelle 
conosciute  dei  Celti,  degli  Etrusci,  dei  Greci  e  dei  Teutoni,  ciò 
che  porgerebbe  un  nuovo  elemento  per  la  scoperta  dei  rapporti 
e  delle  orìgini. 

Quanto  ai  nomi  propri,  essi  vengono  declinati  in  generale, 
come  in  Italiano,  colle  sole  preposizioni;  rade  volte  cogli  articoli; 
in  essi  per  altro,  più  che  il  modo  d'inflètterli,  richiede  partico- 
lare osservazione  la  strana  forma  materiale,  sopra  tutto  nei  nomi 
di  villaggi,  di  monti,  di  torrenti  e  di  fiumi,  dei  quali  sovente  si 
cercherebbe  invano  congrua  interpretazione,  o  qualche  spontaneo 
rapporto,  nella  lingua  del  Lazio.  Che  anzi  parecchi  fra  questi 
tròvansi  con  egual  forma,  e  talvolta  eziandìo  con  parità  di  circo- 
stanze, ripetuti  in  Francia  e  persino  nella  Gran  Brettagna,  mani- 
festando assai  probàbile  derivazione  dai  cèltici  dialetti,  i  quali 
soli  ne  pòrgono  bastévole  spiegazione.  Ond'  è  pur  evid^ite^ 
quanto  sarebbe  ùtile  impresa  il  raccògliere  ed  ordinare  il  mag- 
gior niunero  possìbile  di  questi  nomi  nel  nostro  paese,  instituendo 
un  confronto  con  quelli  delle  altre  regioni,  onde  poi  rintracciarne 
l'interpretazione  nelle  lingue  ivi  un  tempo  parlate.  Ad  offerire 
un  saggio  eziandìo  di  questo  prezioso  elemento,  avevamo  intra- 
preso laboriose  ricerche,  e  riuniti  alcuni  materiali,  quando  fummo 
avvertiti,  che  appunto  su  questo  argomento  altri  stava  ccm  pa* 
zìenti  e  coscienziosi  studi  lavorando;  sicché,  neUa  speranza  di 
vedere  quanto  prima  publicato  questo  nòbile  tentativo,  con 
maggior  copia  di  notizie  e  più  maturati  giudizj,  abbiamo  nnan*- 


DIALETTI   LOMBARDI.  3j 

ciato  all'impresa^  contenti  dì  accennare  a  questa  particolarità 
dei  nostri  dialetti^  ed  alla  irrefragàbile  importanza  della  medésima. 

Gli  aggettivi  subiscono  le  stesse  modificazioni  dei  nomi.^  coi 
quali  devono  concordare  in  gènere  e  nùmero.  Per  la  formazione 
dei  gradi,  ricévono  a  vicenda  gli  aumenti^  ossia  le  terminazioni 
in,  inoj  ely  eia,  etj  etta  pei  diminutivi;  Ofi^  onoj  aa^  aséia  per  gli 
aumentativi  e  peggiorativi;  issemj  issema  pei  superlativi;  i  quali 
aumenti  equivalgono  esattamente  alle  corrispondenti  desinenze 
italiane  tit^  ina,  elio,  ella,  etto,  ella,  one,  ona,  accio j  accia j 
immo  j  issima.  Si  fanno  pure  comparativi  e  superlativi,  al  modo 
italiano,  premettendo  loro  gli  avverbi  piii,  molto ,  e  simili.  Nes- 
suna legge  determina  il  posto  che  occupar  devono  nel  discorso; 
ma  il  solo  uso  prescrive  d' anteporre  gli  uni,  e  di  posporre  gli 
altri  al  nome  cid  vanno  uniti;  cosi  dìcesi  ón  bel  òm^  ón  òm  long 
e  mlilj  né  é  lécito,  senza  offèndere  T  orecchio,  invertirne  il  po- 
sto^ dicendo  ón  òm  belj  ón  long  e  siitil  òm. 

1  numerali  serbano  pure  la  forma  italiana  o  latina,  più  o  meno 
corrotta,  essendo  in  tutti  i  dialetti  lombardi  ordinati  in  diecine, 
centinaja,  ec.  Solo  è  da  notarsi  che,  mentre  in  Italiano  sono  tutti 
indeclinàbili,  tranne  il  primo,  nei  nostri  dialetti  invece  i  primi 
tre,  quando  sono  imiti  a  qualche  nome,  contrasègnano  il  gènere 
con  varia  flessione,  dicendo,  ón  òm  ^  dil  mnen,  tri  òmen^  óna 
dona,  dò  dòn,  tre  dòn.  Di  più ,  quando  il  primo  è  astratto,  o  di- 
nso  dal  nome  al  quale  si  riferisce,  si  cangia  in  viin,  viina,  giiin, 
giUna. 

I  pronomi  sono  gli  stessi  dei  quali  fanno  uso  tutte  le  lingue 
indo-europee,  ed  alcuni  si  accostano  colle  forme  ancor  più  ai 
cèltici  che  non  agli  italiani ,  sebbene  siano  comuni  del  pari  a 
quelle  lingue.  I  pronomi  personali,  p.  e.,  non  distìnguono  nei 
nostri  dialetti.,  con  appòsita  voce,  il  caso  retto  dall'obliquo,  o  il 
nominativo  dall'accusativo;  mi  o  me,  ti  o  té.  Iti  e  le,  sono  eguali 
in  tutti  i  casi  del  singolare;  come  nii,  o  nwUj  o  nóter,  vti,vóter  o 
^ujòller,  lur,  lor,  i,  le.  per  i  plurali.  Il  solo  pronome  là  si  cangia 
talvolta  nel  nominativo  in  elj  dicendo  el  dis,  el  créd,  per  egli 
dice,  egli  crede  j  ma  per  lo  più  forma  pleonasmo,  accompagnando., 
e  quasi  rinforzando  il  primo,  essendo  più  frequente  l'altra  forma: 
IH  el  din.  Iti  el  créd,  come  pure  pel  femminile,  le  la  dis,  le  la 


u 


PARTE  PRIMA. 


créd.  Tutti  gli  altri  pronomi  sono  mere  corruzioni  degli  italiani^ 
e  come  questi^  in  parità  dì  circostanze^  sono  declinati  ora  colle 
sole  preposizioni^  ed  ora  eziandìo  coir  articolo. 

Nella  conjugazione  dei  verbi  prevalgono  generalmente  le  forme 
e  le  inflessioni  dei  verbi  italiani^  sebbene  alquanto  corrotte  e 
variate.  Quindi  tutti  i  dialetti  lombardi  fanno  uso  dell' ausiliare 
af^erCj  per  la  formazione  delle  voci  passate  mancanti^  e  dell*  au- 
siliare èssere  per  le  passive^  le  quali  mancano  onninamente.  Troppo 
lungo  sarebbe  per  avventura  T  enumerare  e  precisare  le  tante 
variazioni  che  le  caratteristiche  dei  verbi  subiscono  in  ogni  modo 
e  tempo,  e  in  tanti  dialetti;  siccome  peraltro  serbasi  in  queste 
per  lo  più  una  certa  regolarità  costante  che  si  può  bastevolniente 
rappresentare  in  due  soli  modelli  di  conjugazione^  così  abbiamo 
preferito  metter  questi  sott'  occhio,  in  forma  di  tàvola  comparativa, 
nei  dialetti  rappresentanti  ciascun  gruppo ,  racchiudendo  essi  in 
maggior  copia  le  forme  e  le  proprietà  dei  loro  affini,  tranne 
poche  eccezioni  che  noteremo  a  parte. 


MILANESE  BERGAMASCO 

Modo  Indefinito  (a). 


ITALIANO 


2"empo  presente 

porta 

porta 

port;ire 

Tempo  passato 

ave       porta 

ai   ' 

yl  \     portai 

aver        portato 

Tempo  futuro 

ave  de  porta 

l^ì  j  de  porta 

aver  da  portare 

Gerundio 

portànd             (6)  portando 

portando 

Participio 

porta                 (e)  portai 

portato 

Modo  Indicatno. 

Tempo  presente. 

mi             pòrti 

me           pòrte 

io 

porto 

l!  té         pòrtet 

té  tè         pòrtet  (d) 

tu 

porti 

lu  et         pòrta 

lù  '1         pòrta 

egli 

porta 

nun          pòrtem 

nti            pòrtem  {e) 
nòteram  pòrta  {f) 

noi 

portiamo 

v5òUer  (  ^^^^ 

voler    i  P«''« 

voi 

portatt 

lor           pòrien 

lur  ì        p 

orla 

egHnt 

[>      portano 

DfALrrri  LcniBARDi. 


K 


Tempo  Pattato  Pràttimo. 


mi 

ti  té 
lùei 

non 


\  portava  (g) 
)  portavi 

porlàvet 

portava 

portàvem 


Sn^r  {-"-f 


rujòller 
lor 


\  porlàvan 
ì  portàven 


me 

té  tè 
lù  '1 


portàe 

porlàet 

porlàa 

porlàem 


nu 

nóter  am     porlàa 


vu 
vóter 

tur  i 


porlàef 
porlàa 


io  portava 

tu  portavi 

egli  portava 

noi  portavamo 

voi  portavate 


èglino     iKirtàvano 


Tempo  Pattato  Perfotto  (A). 


mi 
ti 

iQl' 

non 


'et 


a 

o 

em  i  fl»> 


Tiàltcr    (     . 
vùjòlter  I  ®^' 


tor 


an 


me  porle,  o^,  ò 

té  tè  portèsset,    t'è 

lù  U  porte,         rà 

nu  por  tèssera,  èm 

nóter  am  porle,  m'à 

vóter 'P^''^^''^^'  (i 

lur  i  porle,         i  à  (i)  / 


o 
S'- 


io portai,  0V9.  ho 

tu  portasti,     hai 

egli  portò  9         ha 

noi  portammo,  ahb.® 

voi       portaste,     avete 
èglino  portarono,  hanno 


e 

O 


Tempo  Pattato  Rimoto. 


mi 

lite 
là  1' 

Dòn 

viàlter 
viyòlter 

lor 


mi 
lite 
lùel 
nnn 


r 
li 


aveva 
avevi 


avévet 
aveva 

avévem 

j  avévef 
avéven 

porta  ró 

I  portare 
)  portarci 

porlarà 
portarèm 


1 


me 

té  V 

tu  1' 

nu 
nóter  m* 

vu 
voler 

tur  i 


le 

ìet 

ìa 

iem 
ìa 

ìef 

ìa 


o 


io 

tu 
egli 

noi 


aveva 

avevi 
aveva 

avevamo 


S* 


Viàlter       /«^^,«„« 
TiMòlter     {P^^^" 

lor  porlaràn 


Tempo  Futuro, 

me  porta  rò 

té  tè  portare 

Ili  'I  portare 

nu  portarèm 

nóter  am  portarà 

vóter  1  P^'***" 

tur  i  portarà 


voi  avevate 

èglino  avevano 

io  porterò 

tu  porterai 

egli         porterà 
noi  porteremo 

voi  porterete 

èglino     porteranno 


94 


PARTE  PRIVA. 


ToBpo  Fotoro  Passato. 


mi 
ti  té 
lù  r 

ntin 

viàller 
vùjòller 

lor 


Itvro 
I  avaro 

\  avré 
t avare 

^avrà 
i  avara 

^avrèm 
i  ava  rem 

avri 
avari 

\ avràn 
i  avaràn 


o 
as- 


me 


té  V 


lù  V 


avrò 


avre 


avrà 


nu  avrem 

nóter  ra'    avrà 

vu        è 
voler    * 


lur  I 


avrà 


€h*  ci 


che 


porta 
porta 

porlèm 

porte 

pòrten 


che  mi 
che  ti  té 
che  IQ  el 

che  nùn 


porta 

pòrlcl 

porta 


pòrtem 
che  lor  pòrten 


Modo  ImperalÌTO. 

porta 
al     porte  IQ 

portèm 

porte 

eh' i  porte 

Modo  Congiuntko. 

Tempo  Presente. 

che  me  porle 

che  té  tè  pórtet 

che  lù  '1  pòrte 


che 


pòrtem 


f  nóter  am  porte 
•^"«l  voler     >Ttéehei 


io 


tu 


avrò 


avrai 


egli        avrà 


noi 


avremo 


\oi         avrete 
èglino    avranno 


porta 
porti 

portiamo 

portate 

portino 


che  lur  i 


porte 


eh'  io 
che  tu 
eh*  egli 

che  noi 

che  voi 
eh'  eglino 


sa 


che    mi 
che    ti  té 
che    lù  el 


portàss 

portàsset 

|)ortàss 


che    nùn         portassero 


vùjolt 
che    lor 


Tempo  Passato  Pròssimo. 

che    me         porlèss 

che    té  tè       porlèsset 

che    lù  '1       portèss 

. .  I  nu  porlcssem 

)  nòter      am  portèss 


portàsseolchè   lur  i      portèss 


ch'io 
che  tu 
ch'egli 

che  noi 

che  voi 
ch'itine 


porti 
porti 
porti 

portiamo 

portiate 
portino 


portassi 
portassi 
portasse 

portassimo 

portaste 
portassero 


DIALETTI    LOMBARDI. 


35 


Tempo  Passato  Perfetto. 


rlie  ini 
rbe  ti  V 

che  la  r 

che  nùri 


àbia 
ùbiel 

àbia 

o 

àbieml  " 


.    S  vialler    h  i  •  r 
chci    -.. ,,  _  .  abief 
I  vujol  er  \ 


che  lor 


àbieii 


.<      .       tabe 
^*^«"»«       fàbie 

'^^''''     & 

che  lui'    1?^? 
'  abie 

rhè*""        àbi«m 
*  nó(cr   in'àbie 

,  ,  \  VII        *    ...    ,    -1 
*'^^  voler  l«*^'^fe'^^^ 

ohèluri    }?|^f 
f  abie 


ch'io 


abbia 


che  tu        abbi 


ch'egli       abbia 


che  noi      abbiamol  ® 


che  voi      abbiale 


cli'egliDO  abbiano 


Tempo  Passato  Rimoto. 


che  mi 


che  nùn 


ave.ss 


che  ti  té        avèssct 


che  Ili  l*        avcss 


avessem 


/  vujolt.  ' 


che  lor 


avessen 


che 


e  me      {    . 
^ae 


ess 
aèss 


che  lo  t'    1^?**^ 
'  acsset 


che  lu  l'    1  ^? 
9  ne 


ess 
aèss 


■a 
o 


che!""  «è"»"'/ ^ 

(  noler  ni'aess 

.  .  \  VII  èssef 
che  i    r ,  - 

9  voler  acssef 


che  tur  i    I 


ess 
aèss 


ch'io 


avessi 


che  (u        avessi 


ch'egli      avesse      f  -g 

/  ^ 

che  noi     avessimo  f  ? 


che  voi      aveste 


ch'eglino  avessero 


Condizionale  Presente. 


\  portarla 
ì  porta  rèss 

^  porlarìet 
i  porta rèsset 

)  port<irìa 
/porta  rèss 

)  porlarìem 
)  porlarèssem 

portarief 
^  Qjòl  ter      porlarès^ef 

.  \  portarìen 

^^  I  porlarèssen 


mi 


lite 


111  el 


nun 


viàller 


me 
lete 

lù  '1 

nu 
nólcr  am 

vu       » 
voler  \ 

lur  i 


porlarèf 
portarèsset 

portarèf 

portarèssem 
porlarèf 

porta  rcssef 
portarèf 


10 


tu 


porterei 


porteresti 


egli        porterebbe 


noi         porteremmo 


voi  portereste 


èglino    porterebbero 


26 


PARTE  PRIMA. 
Condizionale  Passato, 


mi 
li  tè 
liir 
nun 


avria 
avarèss 


I  avriet 
f  avarèss( 


avna 
avarèss 


o 


I  avrìei 
) avare 


avrieni 
avarèsscm 


vlàlter     avrìef 
vùjòKcr  avarèsscf 


me 


(é  V 


lù  r 


avrèf 


avrèssel 


avrèf 


T3 
O 


lor 


J  avrìe 
}  avare 


rien 
rèssen 


mi  avrèssem/  Si' 

iióter  m'  avrèf 

Ai«-   !  avrèssef 
voler    \ 


lur  I 


avrèf 


IO 

lu 

egli 

noi 

voi 


avrei 


avresti 


avrebbe      l  ^ 


avremmo 


avreste 


èglino     avrebbero    f 


Modo  Itìdefinito, 


Tempo  presente 
Tempo  passato 
Tempo  futuro 
Gerundio 
Participio 


ave 
ave 


tegni 
tegnS 

de     tegni 

) tegnénd 
t  (egnìnd 

tegn& 


lègn    0    tegni 
ai  f 


VI 

ai  de 


^  legnil 

tegni 

tegnendo 
tegnindo 

tegni i 


tenere 
aver  tenuto 
aver  da  tenere 
I  tenendo 

tenuto 


mi  tègni 

ti  té  tègnet 

Ili  el  tén 

nùn  tègnem 

viàlter  tegni 

lor  tègncn 


Modo  Indicativo, 

Tempo  Presente. 

me  lègne 

té  tè 


lu  '1 

nóler 

vóter 
lur  i 


tègnet 

té 

I  tègnem 
iam  té 

tegni 

té 


io 
tu 
egli 


tengo 

tieni 

tiene 


noi         leniamo 

voi         tenete 
èglino    tengono 


Tempo  Passato  Pròssimo. 


S  tegneva 
i  tegniva 

\  tegnével 
)  tegni vet 

{  tegneva 
i  tegniva 

)  tegnévem 
)  tegnivem 

viàller    J'egnévef 
ì  tegnivcf 

lor  1 1««»^«» 

ì  tegniven 


mi 


ti  té 


lù  el 


nun 


me 
té  tè 
lu  '1 
nóter 
vóter 
lur  i 


tegnie 


tegniel 


tegnia 


\  tegniem 
ì  am  tegnia 

tegnìef 


tegnia 


IO 


tu 


teneva 


tenevi 


egli 

teneva 

noi 

tenevamo 

voi 

tenevate 

èglino    tenevano 


DM  LETTI   LOMBARDI. 


27 


Tempo  Panato  Perfetto. 


mi        ó     ] 
li  V      è 
lui'      k 


DUO 


09 

èm  [  oc 


viàlter  avi 
lor        àn 


me       t«gnè,  ovv.  ò 
té  tè    legnèssct ,   t' è 
lù  'I     tegnè,         rà  [  . 

nóleri**»"^^^!"'^'?,/! 
)am  tegnc,    in'a|  - 

vóter   tegnèssef,     ì 

lur  i     tegnèv         i  à 


io 
tu 
egli 

noi 


tenni,  ot'c.  ho 
tenesti ,  ha! 
lenne,        ha 


a 


tenemmo,  abbiamo/  ^ 

voi       lenesie ,     avete 
èglino  tennero,     bauno 


Tempo  Passato  Rimoto. 


mi 

aveva       \ 

me 

le          \ 

io 

aveva 

\ 

ti  le 

avévet 

té  l' 

ìet        i 

tu 

avevi 

IG  r 
niin 

aveva          ^ 
avévem    |  g^ 

lii'l 
nóter 

ìa          f  -. 

1(8 

)  lem      /  s 
ì  m'ìa        ^' 

egli 
noi 

aveva 
avevamo 

9 

a 
o 

viàlter 

avévef      1 

voler 

ìef 

voi 

avevate 

1 

lor 

avéven      1 

lur  i 

ìa          J 

èglino 

avevano 

1 

; 

Tempo  Futuro. 

mi 

tegnaró 

me 

legni  rò 

io 

terrò 

lite 

1  tegnarét 
'  legnare 

le  tè 
lù'l 

tegniré 
tegnirà 

lu 
egli 

terrai 
terrà 

Iuel 
Dùn 

legna rà 
legna  rem 

nóter 

\  legnirèm 
ì  am  tegnirà 

noi 

terremo 

>iàller 

legnar! 

voler 

legniri 

voi 

terrete 

lor 

legna ràn 

lur  i 

tegnirà 

èglino 

terranno 

Tempo  Futuro  Passato. 


mi 
ti  té 
lù  V 
Dùn 


«avrò 
ì  avaro 

)  avré 
I  avare 

t  avrà 
i  avara 

\  avrèm 
I  ava  rem 


viàller  1*^". 
t  avari 


lor 


t  av 

lav 


ran 
avaràn 


me 
le  V 
lù  r 
nóier 
vóter 
lur  i 


avrò 

avrei 

avrà 

S  avrèm 
'm'avrai 

avri 
avrà 


a 


io  avrò 

lu  avrai 

egli  avrà 

noi  avremo 

voi  avrete 

èglino  avranno 


o 
a 


*IH 

PARTE   PRIMA. 

Modo  Iniperalko. 

tèli 

le 

tieni 

di'  el 

legna 

al        tègne 

tenga 

tegnèm 

tegnèm 

teniamo 

legni 

tcgnì 

tenete 

che 

tègnen 

eh' i    tègne 

tengano 

che  mi         tègna 
che  ti  té      tègnet 
che  lu  el     tègna 

che  nùn       tègnem 

che  viàltcr  tegni 
che  lor        tègnen 


cbe  mi       1  !«8"f" 
)  legniss 

chetile    J««8nè«cl 
)  tegnisset 

chelQel    }J«»»?^ 
I  tegniss 

cbeniiD     )»*8nèsseni 
}  tegnissem 

cheviàllcr»!«8nés*ef 
)  legnissef 


che  lor 


che  mi 
che  ti  V 
che  lu  r 


I  tegiièssen 
)  tegnissen 


àbia 

àbiel 

^bia 


Modo  Congiunlko. 

Tempo  Presente, 
che  me  tègne 

che  té  tè 
che  lù  'I 


che  nóter 

che  voler 
che  tur  i 


tègnet 

tègne 

I  tègnem 
j  ani  tègne 

legnighef 

tègne 


ch'io 
che  lu 
ch'egli 

che  noi 


tenga 
tenga 
tenga 

teniamo 


che  voi        leniate 
ch'eglino     tengano 


Tempo  Pausato  Pròssimo, 
che  me  legncss 


che  té  tè 
che  lù  'I 
che  nóter 
che  voler 
che  tur  i 


tegnèssel 

tegoèss 

I  tegnèssem 
I  am  tegnèss 

legnèssef 
tegnèss 


eh'  io 


che  tu 


tenessi 


tenessi 


ch''egli        tenesse 


cbe  noi       tenessimo 


che  voi        teneste 


ch'eglino    tenessero 


Tempo  Passato  Perfetto. 

.,       .     labe 
•='■«"'«       àbie 


che  nun      àbiem 
che  viàlter  àbief 
che  lor        àbien 


s 


che  té  V   \  ^^^ 
^^^^^    \  àbie 


che  lu  I'  \  ?^^ 
/abie 

che  nóter  j^^,!^"* 
(  m'abe 

che  vóter   abièghef 


03 


che  lur  1 


Iàbe 
àbie 


eh'  io         abbia 
che  tu       abbia 


ch'egli      abbia      \  a 


che  noi      abbiamo 


che  voi      abbiate 
ch'eglino  abbiano 


fi 
S 


DIAL^n   LOMBAUDI. 


20 


Tempo  Passato  Rimolo. 


cbe  mi 


avess 


cbe  li  (é      avcsset 


che  lu  r 


tvèss 


/ 


che  nun       avèssem.  ^ 


che  via  Iter  avèssef 


che  lor         avè^sen 


che  me 
che  té  t' 
che  lù  r 


iès 
lac 


ess 
aèss 


\  èsset 
ì  aèsset 

/aèss    i  n 
che  Dóter      j  *»f  «•"  /  ^- 


ì 


ni'aess 


che  voler       |^?*«^ 
ì  aesscf 


che  luri 


^ess 
i  aèss     / 


eh*  io         avessi 
che  fu       avessi 

eli' egli      avesse     [  ^ 

<^ 

a 

.  e 

che  noi     avessimo/  o 
che  voi      aveste 
eh'  èglino  avessero 


Condisiooale  Presente. 


nuQ 


jj.         %  tcgnaria 
I  tegnarèss 

U  té      \  ^^Rnariet 
)  tegnarèsset 

)ù  el      1 1^^""",* 
)  tegnarèss 

4  legna rìem 
I  legna  rèssem 

viàller  J  ^««nanef 
ì  tegnarèssef 

lof        *  legna  rìen 
f  legna rèssen 


mi         j  »"!« 
f  dvress 

lì  té     1  «^'^i^*  . 

t  avresset 


me 


(égnirèf 


té  tè  légni rèsset 

lù  '1  légnirèf 

nóler       !  I*»"'™**»™ 
ram  tegniref 

voler         légni  rèssef 
lur  i  Icgniréf 

Condizionale  Passato. 


io 


tu 


terrei 


terresti 


egli        terrebbe 


noi         terremmo 


voi         terreste 


èglino    terrebbero 


lu  V 


Dun 


\  avrìs 
iavrè 


'na 
avrèss 


I avnem 
i  a  V  rèssem 


viàller  }  «^n«'  , 
I  avressef 


(V 

a 

PC 


me 


té  t' 


lù  r 


nóler 


avrèf        \ 


avresset 


avrèf 


(0 

3 


)  avressem  /  =- 
I  m' avrèf 


voler         avressef 


lor 


I  avrien 
9  avrèssen 


lur  i 


avrèf 


io  avrei 


tu  avresti 


egli        avrebbe 


noi         avremmo 


voi         avreste 


èglino    avrebbero    j 


D 

C 


Osservazioni,  (a)  Non  permettendoci  la  natura  del  soggetto  di 
entrare  in  ragionamenti  stilla  improprietà  delle  denominazioni 


50  PARTE  PRIIIA. 

usate  dai  Grammàtici  per  distinguere  i  varii  modi  e  tempi  nei 
verbi^  e  desiderando  d'altronde  d'essere  agevolmente  intesi,  ab- 
biamo adottato  le  più  comuni  nei  modelli  di  conjugazione  da 
noi  proposti  ;  non  possiamo  peraltro  tralasciar  d' avvertire,  che 
sono  per  lo  più  improprie  od  erronee^  e  facciamo  voti,  onde  i 
filòlogi  v'apprestino  finalmente  d'accordo  opportuno  rimedio. 

(6)  Il  gerundio,  in  forma  di  nome  verbale,  come  parlante ^  leg- 
gerne e  slmili,  non  viene  mai  usato  nei  dialetti  lombardi,  se  non 
per  esprìmere  qualche  grado,  ufficio,  professione  o  mestiere, 
come  el  tenénlj  fajulànlj  el  stiidéntj  el  cavalàntj  diversamente 
viene  espresso  colla  frase:  che  tiene  o  che  tenera j  che  studia  o 
che  studiala, 

(e)  Il  participio,  come  abbiamo  altrove  accennato ,  varia  di  forma 
in  alcuni  dialetti.  Nel  Lodigiano,  oltre  alle  terminazioni d^  àlj  ha  tal- 
volta ancora  ài^  ìt^  iitj  dicendo  lassai,  fai,  andai,  sentìt,  cediitj  ec. 
Nel  Ticinese  invece  distlnguonsi  le  desinenze  ào,  ùu,  ó,  èè,  èie,  come 
andào,  basòu , damo , nèè,  Iro^èiè^pcv andato,  baciato, chiamato j 
andalo,  trovato.  Per  lo  più  si  fanno  anche  femminili  in  tutti  i  dia- 
letti colle  terminazioni  ada,  ida.  Oda,  come  andada,  sentidaj  legni- 
da,  vegniida,  per  andata,  sentita,  tenuta,  tenuta.  Si  fanno  anche 
plurali  in  alcuni  dialetti,  cangiando  la  terminazione;  il  Bergamasco 
muta  il  Hn  d  pel  maschile ,  e  vi  aggiunge  un  e  pel  femminile , 
dicendo  fai,  andàè ,  ^cr  falli,  andati  ;  face ,  a ndacej  per  fatte,  on- 
dale ;  ovvero,  come  altri  dialetti  orientali  ed  occidentali,  termina  il 
femminile  in  ade,  dicendo  portade,  malade,  per  portale,  ammalate. 

(d)  Questo  pleonasmo,  costante  nella  seconda  e  terza  persona 
singolare  di  tutti  i  tempi,  e  in  ogni  verbo,  è  comune  a  tutti  i 
dialetti  dell'  alta  Italia,  ed  è  proprio  eziandio  dei  dialetti  armònici 
e  càmbrici,  i  quali,  nella  conjugazione  detta  dai  Grammàtici  im- 
personale, perchè  distacca  il  pronome  dalla  radicale  del  verbo, 
ripètono  il  pronome  in  tutte  le  persone,  dando  al  verbo  una  sola 
inflessione  in  tutto  il  tempo.  All' incontro  nella  conjugazione  detta 
personale  suffìggono  al  verbo  il  secondo  pronome,  il  quale,  pi& 
o  men  modificato,  vi  tien  luogo  d' inflessione  ;  e  di  ciò  pure  scòr- 
gesi  traccia  manifesta  nelle  seconde  persone  dei  verbi  lombardi, 
terminanti  per  lo  più,  nel  singolare,  in  t,  e  nel  plurale  in  9  ed  f, 
che  equivalgono  ai  rispettivi  pronomi  Ho  té,  vii  o  9ti.  SimiK 


DIALErri   LOMBARDI.  51 

mente  è  proprietà  esclusiva  dei  dialetti  càmbrici  Tuso  d'inter- 
porre fira  il  pronome  ed  il  verbo  la  particella  eufònica  a^  ciò 
che  non  di  rado  si  osserva  in  quasi  tutti  i  dialetti  lombardi,  ai 
quali  è  comune  la  forma  me  a  po^  té  a  V  cànieXy  corrispondente 
airarmòrica  mk  axa^té  a  gàn^  vale  a  dire,  tò  vado ^  tu  canti. 

(e)  È  da  notarsi  la  simiglianza  dei  pronomi  bergamaschi  nu  e 
nóier^  vu  e  vóterj  ai  francesi  corrispondenti  nous  e  nous-autreSj 
WU8  e  vous-autres,  Nóter  e  vóter  sono  più  frequentemente  usati; 
che  anzi  ^óter  e  gli  equivalenti  viàlter,  Qìijòlter  e  slmili,  si  im- 
pi^pno,  in  tutti  i  dialetti  lombardi,  esclusivamente  nel  nùmero 
plurale,  quando  cioè  si  parla  con  più  persone;  mentre  il  vu  o  cu 
non  si  usa,  se  non  parlando  con  una  sola  persona,  come  suole 
generalnoiente  la  lingua  francese. 

(f)  Questa  forma,  strana  in  apparenza,  è  propria  ancora  dei 
Caletti  armòrici  e  càmbrici,  i  quali  formano  allo  stesso  modo  la 
prima  persona  del  singolare,  dicendo,  rné  am^  ovvero  eni^  bòa^ 
mi  am  boé^  per  io  apepa^  io  ebbij  ove  anij  ovvero  eiWj  signifi- 
cano iOj  e  formano  il  pleonasmo  summentovato.  Il  Bergamasco 
impiega  la  particella  am^  quando  il  verbo  incomincia  per  con- 
sonante, come  appunto  noler  am  porta  ^  noi  portiamo  s  quando 
peraltro  incomincia  per  vocale,  sopprime  la  vocale  a^  dicendo 
nóter  m^ia^  nóter  m^ardèss,  per  noi  a{/es^amOj  noi  osiamo. 

{g)  Nei  dialetti  rùstici  occidentali  viene  permutata  la  caratte- 
ristica ava  in  ^a^  èva  in  tVa^  àss  in  èsSj  èss  in  iss^  in  tutti  gli 
imperfetti;  dicendosi  portela j  tegniva,  andèss,  vorìsSj  per  por- 
la^a^  tegnevaj  andds$,  vorèss. 

(h)  Il  Milanese  urbano  è  forse  il  solo  fra  i  dialet  J  lombardi 
che  ha  smarrita  da  qualche  generazione  la  voce  sémplice  del 
passato  perfetto,  alia  quale  sostituì  il  verbo  ausiliare  col  parti- 
cipio. In  tutti  gli  altri,  comprèsovi  il  Milanese  rùstico,  sussiste 
tatt'ora,  sebbene  venga  adoperata  solo  in  alcune  persone,  ed  in 
determinate  circostanze. 

(t)  Il  verbo  avere^  in  tutti  i  nostri  dialetti,  serba  la  forma  sopra 
indicata^  solo  quando  fa  T ufficio  di  ausiliare;  ma  quando  è  solo, 
e  dinota  possesso,  assume  in  tutte  le  sue  voci  la  particella  affissa 
ghe  o  gh\  dicendosi:  mi  gh^ój  ti  té  gh'ét^  Hi  el  gh'à^  ec;  e 
corrisponde  alla  particella  cij  adoperata  collo  stesso  verbo  e  nello 


33  PARTE    PRIVA. 

stesso  modo^  in  alcuni  dialetti  toscani,  come:  io  ci  hOy  tu  ci  hai^  ec. 
Questo  affisso^  il  quale^  unito  al  possessivo^  è  puramente  eufònico 
nei  dialetti  lombardi^  del  pari  che  nei  toscani^  equivale  al  pronome 
personale  a  lui^  o  a  leij  o  a  loro^  se  è  unito  air  ausiliare;  p.  e. ,  mi 
gh'ó  ón  ca{?àly  Ui  el  gh*  aveva  óna  cà^  significano  io  ho  un  ca- 
palio j  egli  aveva  una  casa  ;  e  in  quella  vece,  ti  te  gh'è  fat^  nóter 
gh'èm  déèj  significano  tu  gli  (o  le)  hai  fatto ^  noi  abbiamo  detto 
a  luij  o  a  leij  o  a  loro.  Il  participio  di  questo  verbo  assume 
pure  varie  forme  nei  varii  dialetti;  vale  a  dire,  negli  occidentali, 
avìij  abiij  biiij  biij  e  negli  orientali  avìt^  ait^  vtt^  ìt.  il  Bergamasco 
adopera  il  participio  vitj  quando  è  preceduto  da  consonante,  e 
sopprime  la  r^  se  la  lèttera  precedente  è  vocale,  come:  Gh'àl 
vìt  frèd?  No  gh'ò  it  gnè  frèÒj  gnè  còld;  cioè:  Ha  avuto  fred" 
do?  Non  ho  avuto  né  freddo,  né  caldo.  Oppure:  Qitace  sèèègh^àl 
vit?  j4l  ghe  n'à  it  sic.  —  Quanti  figli  ha  avuto?  Ne  ha  avuto 
cinque. 

In  onta  alle  precedenti  osservazioni,  appare  manifesta  dal  sin 
qui  detto  la  complessiva  consonanza  dei  dialetti  lombardi  colla 
lingua  italiana,  nelle  forme  grammaticali;  ma  se  poniamo  a  ris- 
contro la  rispettiva  loro  sintassi,  e  il  modo  vario  di  fraseggiare, 
questa  consonanza  dispare;  da[)poichè  nei  dialetti  le  leggi  del 
reggimento,  la  costruzione  delle  frasi  ed  il  frequente  concorso 
di  tropi  e  di  figure ,  divèrgono  talmente  dalla  struttura  lògica 
della  lingua  italiana^  da  formarne  altrettante  lingue  differenti. 
Di  qui  appunto  deriva  la  difficoltà  che  proviamo  d'apprèndere 
e  trattare  convenevolmente  l'italiana  favella,  perchè  essenzial- 
mente discòrde  neir  organismo  concettuale  da  quella  che  parlia- 
mo; ed  in  ciò  consiste  la  norma  fondamentale  che  può  èsserci 
scorta  sicura  a  discoprire  i  rapporti  e  le  origini  di  tanti  linguaggi. 
Siccome  per  altro  ad  institiiire  una  ragionata  anàlisi  di  questa 
concettuale  struttura  di  tante  favelle  diverse,  richiederèbbonsi 
molte  nozioni  preliminari,  estese  ricerche  e  multiformi  confronti 
che  di  troppo  eccederebbero  i  lìmiti  d'un  sémplice  Saggio,  cosi, 
a  pòrgere  sott' occhio  la  complessiva  dissonanza  concettuale  tra 
i  dialetti  e  la  lingua  scritta,  abbiamo  preferito  apprestare  la  ver- 
sione della  Paràbola  del  figliuol  pròdigo,  in  tutte  queste  favelle, 
onde  lo  studioso  possa  instituime  agevolmente  da  sé  T  opportuno 
confronto. 


CAPO  li. 

Fersione  della  Paràbola  del  figlinol  pròdigo j 
traila  da  s,  Luca^  cap,  XF^  nei  principali  dialetti  lonibaì*di. 

Onde  agevolare  la  lettura  dei  seguenti  Saggi  coir  orto  grafìa 
per  noi  stabilita  a  rappresentare  in  iscritto  nel  modo  più  sem- 
plice tante  dissonanti  favelle^  abbiamo  creduto  opportuno  pre- 
méttere un  prospetto  dei  segni  convenzionali  ivi  impiegati^  col 
rispettivo  loro  valore^  riassumendo  così  quanto  abbiamo  diffusa- 
mente esposto^  a  questo  propòsito^  neW Introduzione, 

in  generale  V  ortografia  da  noi  adottata  si  è  la  comune  italiana^ 
sulla  cui  uorma  devono  esser  Ietti  tutti  i  Saggi  vernàcoli  prodotti 
nel  corso  di  quest'opera.  I  nuovi  segni  introdotti  a  rappresentare 
ì  suoni  dagli  italiani  discordi^  o  pei  quali  la  comune  ortografia 
italiana  non  ha  determinato  segno  rappresentativo,  «ono  ì  seguenti: 

Per  le  vocali. 

(i    equivale  al  suono  misto  ce  dei  Latini  in  praster^  rosaj  ed  al 

dittongo  ai  dei  Francesi,  in  plaire^  niaisj  di  que- 
sto non  porge  verun  esempio  la  lingua  italiana. 

è  •»       alla  e  aperta  degli  Italiani  in  bello ^  cappello,  petto. 

è  '♦       alla  e  stretta  in  cielo  j  velo. 

0  '»       alla  ò  dei  Tedeschi  in  lioren^  Tocliterj  ed  ai  dit- 

tonghi eUj  ccu  dei  francesi,  in  feu,  voleurj  moiurSj 
coiur. 

ù  -•'       alla  0  aperta  in  porta  ^  vòrtice  j  amò. 

6  '»       alla  0  stretta  in  volo^  molto  j  popone. 

a  '♦       alla  ti  dei  Tedeschi  in  Hiilfej  iibenj  fi'Menj  ed  alla 

«  dei  Francesi  in  usage^  tétu. 

Per  le  consonanti. 


» 


al  suono  dolce  della  stessa  lèttera  in  cervo  ^  cibo^ 
Cicerone. 


34  PARTE    PRIMA. 

g    equivale   al  suono  dolce  della  stessa  lèllera  in  germe ^  girOj 

aggiùngere. 

s  '-       al  suono  delle  se  unite  in  scemare  j  scimmia  ^  sci- 

mitarra. 

z  '»       al  suono  francese  delle  j  e  g,  in  jolij  bijoutj  genrCy 

pianger, 

h  »*       quando  non  è  preceduta  da  c^  o  da  g^  è  segno  di 

aspirazione. 
Gli  accenti  in  generale  segnano  ancora  il  posto^  nel  quale  deve 

posare  la  voce.  L'accento  circonflesso  dinota  suono  prolungato. 
Abbiamo  poi  premessa  la  versione  italiana  della  Paràbola^  per 

agevolare  ai  meno  periti  neivarii  dialetti  T  interpretazione  delle 

altre  ^  non  che  per  rènderne  più  fàcile  il  confronto. 


DIALETTI  LDIBARDI. 


35 


Lingua  Italiana. 


11.  Un  uomo  aveva  due  figliuoli  ; 

iS.  E  il  più  giovine  di  loro  disse 
al  padre:  Padre,  dammi  la  parte  dei 
beni  che  mi  tocca;  e  il  padre  spartì 
loro  i  beni. 

is.  E,  pochi  giorni  appresso,  il  fi- 
gliuol  più  gióvane,  raccolta  ogni  cosa, 
M  n^andò  in  paese  lontano ,  e  quivi 
dissipò  le  sue  facoltà,  vivendo  disso- 
latamcntc. 

f  4.  E ,  dopo  ch^egli  ebbe  speso  ogni 
cosa,  una  grave  carestia  venne  in  quel 
paese ,  tal  eh*  egli  cominciò  ad  aver 
bisogno  ; 

itt.  Ed  andò,  e  si  mise  con  uno  de- 
gli abitatori  di  quella  contrada,  il 
quale  lo  mandò  a' suoi  campi  a  pa- 
sturare i  porci. 

16.  Ed  egli  desiderava  d'empiersi 
il  corpo  delle  sìlique,  che  i  porci  man- 
giavano; ma  niuno  gliene  dava. 

17.  Or,  ritornato  a  se  medesimo, 
disse:  Quanti  mercenari  di  mio  pa- 
dre hanno  del  pane  largamente,  ed 
io  mi  muojo  di  fame. 

18.  Io  mi  leverò,  e  me  n* andrò  a 
mio  padre,  e  gli  dirò:  Padre,  io  ho 
peccato  contr'al  cielo,  e  davanti  a  te; 

19.  E  non  son  più  degno  d'esser 
chiamato  tuo  figliuolo;  fammi  come 
uno  de'  tuoi  mercenari. 

20.Egli  dunque  si  levò,  e  venne  a  suo 
padre;  ed  essendo  egli  ancora  lontano, 
suo  padre  lo  vide ,  e  n'  ebbe  pietà  ;  e 
corse,  e  gli  si  gettò  al  collo,  e  lo  baciò. 

SI.  E  '1  figliuolo  gli  disse:  Padre, 
io  ho  peccato  conlr'al  cielo,  e  davanti 
a  te  ;  e  non  son  più  degno  d'  èsser 
chiamato  tuo  figliuolo. 

ss.  Ma  il  padre  disse  a' suoi  servi- 
dori :  Portate  qua  la  più  bella  vesta, 


e  vestitelo,  e  mettetegli  un  anello  in 
dito ,  e  delle  scarpe  ne'  piedi  ; 

88.  E  menate  fuori  il  vitello  ingras- 
sato, ed  ammazzatelo;  e  mangiamo, 
e  rallegriàmci  ; 

84.  Perciocché  questo  mio  figliuolo 
era  morto ,  ed  è  tornato  a  vita  ;  era 
perduto,  ed  è  stato  ritrovato.  E  si  mi- 
sero a  far  gran  festa. 

Btt.  Or  il  figliuol  maggiore  d' esso 
era  a'  campi  ;  e ,  come  egli  se  ne  ve- 
niva, essendo  presso  della  casa,  udì 
il  concento  e  le  danze. 

86.  E,  chiamato  uno  de' servitori, 
domandò  che  si  volèsser  dire  quelle 
cose. 

87.  Ed  egli  gli  disse:  Il  tuo  fratello 
è  venuto ,  e  tuo  padre  ha  ammazzato 
il  vitello  ingrassato,  perciocché  l'ha 
ricoverato  sano  e  salvo. 

88.  Ma  egli  s'adirò,  e  non  volle  en- 
trare :  laonde  suo  padre  usci ,  e  lo 
pregava  d'entrare. 

89.  Ma  egli,  rispondendo,  disse  al 
padre:  Ecco, già  tanti  anni  io  ti  servo, 
e  non  ho  giammai  trapassato  alcun 
tuo  comandamento  ;  e  pur  giammai 
tu  non  m'hai  dato  un  capretto,  per 
rallegrarmi  co'  miei  amici  ; 

30.  Ma  quando  questo  tuo  figliuolo, 
eh'  ha  mangiati  i  tuoi  beni  con  le  me- 
retrici, è  venuto,  tu  gli  hai  ammaz- 
zato il  vitello  ingrassato. 

81.  Ed  egli  gli  disse:  Figliuolo,  tu  sei 
sempre  meco,  ed  ogni  cosa  mìa  è  tua^ 

88.  Or  conveniva  far  festa ,  e  ral- 
legrarsi ;  perciocché  questo  tuo  fra- 
tello era  morto,  ed  è  tornato  a  vita; 
era  perduto,  ed  è  stato  ritrovato. 
Tratta  dalla  sacra  Bibbia 

volgarizzata  da  Giovanni  Diodati, 


55 


PARTE   PRIVA. 


DULETTO  MlLOESE. 


II.  Ch'era  ón  òm  ch^el  gh** aveva 
(Ili  flo; 

18.  E  '1  plissé  gióvén  de  lór  el  gh'à 
dit  al  pàder:  Pà,  dém  la  pari  che  me 
tóca  del  fat  nòst;  e  lu  el  gh'à  sparti 
fora  la  sostanza. 

13.  De  lì  a  poc  dì,  el  fio  minor  Pà 
fa  sn  tnt  el  bolgiòt,  e  Tè  gira  fort  in 
d'ón  paés  lontàn  ,  e  là ,  in  mane  de 
quèla,  rà  bntà  via  el  fat  so  a  fùria 
de  baracà. 

14.  Dopo  che  rà  a^'fi  trasà  tiis- 
còss ,  è  vegnd  in  quel  paés  óna  gran 
carestìa  ^  e  lu  T  à  cooienzà  a  trovàss 
ai  strèé; 

i6.  E  rèandà,  e  ""l  s'è  tacà  a  vùn 
de  quel  paés  là,  ch'el  Tà  manda  in 
la  sóa  campagna  a  cascia  fora  1  porscèi. 

16.  E  M  sussiva  de  impieniss  el  vcn- 
ter  cont'  i  giand,che  mangiàven  i  ani- 
mài;  ma  nissùn  ghe  ne  dava. 

1 7.  Tornànd  alóra  dénter  de  lu,  rà 
dit:  Quanti  persònn  paga  in  cà  de  me 
pàder  gh'àn  pan  a  sbac ,  e  mi  chi 
crcpi  de  fàm. 

18.  Levare  sii,  e  andaró  de  mò  pà- 
der, e  ghe  dirò:  Pà,  V  6  fada  grossa 
In  facia  al  ciél ,  e  in  facia  a  vii  ; 

1 9.  Mi  sont  pu  dègn  de  vèss  clama 
vost  fio;  fé  cunt  che  sia  come  vùn  di 
vòster  ser\'itór.  i 

20.  E  levànd  su  el  s'  h  invia  de  so  ' 
pàder.  L' èva  ancamò  lontàn  on  toc ,  | 
che  so  pàder  el  r  à  vedu ,  ci  s' è  in- 
teneri de  compassión,  el  gh'c  córs  in- 
contra, el  gh'à  Irà  i  braS  al  col,  e  '1  [ 
V  à  basa  su. 

SI.  El  fio  ci  gh'à  dit:  Pà,  Io  fada 
grossa  in  facia  al  ciél  e  in  facia  vo- 
stra; mi  sont  pù  dègn  de  vèss  ciamà 
vost  fio.  j 


f  f .  Ma  i  pàder  Vk  dit  ai  so  serv  - 
tór  :  Alto,  andèm ,  porte  chi  ci  pù  bel 
vesti ,  mctìghel  su  ,  dégh  V  anèl  de 
mèt  In  dit ,  e  di  scarp  che  P  è  a  pé 
biòt; 

ss.  E  mene  fora  el  vitel  pùssé  gniss, 
e  mazzél,  e  mangèm  e  stcm  alégber; 

24.  Perchè  sto  me  fio  chi  l'era  mori 
e  rè  resuscita;  l'era  pèrs  e  'Is'è  trova. 
E  s' in  miss  a  sganassà. 

26.  Intanta  el  fio  magiòr  Téva  fora 
a  la  campagna  ;  e  in  del  vegnì  e  vf» 
sinàss  a  la  cà ,  r  à  senti  a  sona  e  canta 
a  la  pù  bela. 

26.  E  rà  ciamà  vùn  di  servitór, 
e  '1  gh'à  dimanda  cosse  gh'era  de  n5v. 

27.  Costù  el  gh'à  dit  :  È  riva  so  fra- 
dei,  e  so  pàder  V  à  fa  mazza  el  vl- 
tèl  pù  grass,  per  avèl  ricupera  san  e 
salv. 

28.  Alora  rè  monta  in  bestia,  eU 
voreva  nanca  andà  de  dént  ;  ma  so 
pàder  l'è  vcgnii  fora  lo ,  e  l'à  coroeniè 
a  pregai. 

29.  Ma  quel'  òlter  1'  à  risposi  a  9Ò 
pàder,  e  rà  dit:  L'è  chi  di  an  parèÒ 
che  ve  servì ,  e  che  no  sfai  zi  én  èl  df 
vost  comand;  e  no  m'avi  mai  dà  nanc'to 
cavrèt  de  pastegià  cont  I  me  amìs; 

50.  Ma  dopo  eh' è  torna  sto  itó 
chi ,  che  r  à  divora  tùt  el  fat  so 
cont  i  sgualdrìn,  avi  mazza  el  >itèl 
in  grassa. 

51.  Ma  lù  'I  gh'à  dit:  FiS  car,  ti  té 
set  sémpcr  insèma  a  mi,  e  tùt  [quél 
che  gh'ó  rè  roba  tóa; 

52.  Ma  giano  se  podéva  con  de  men 
de  fa  ón  disnà ,  e  ón  pò  de  rabadàn, 
perchè  sto  lo  fradèi  l'era  mort  e  Tè 
resuscita;  Pera  pèrs  e'I  s'è  trova. 

D.'  Gio.  Ravbcrti. 


DULKTTl    U^ìlRARm. 


37 


Dialetto  Louiuianu. 


II.  Un  om  el  gh'aveva  dù  0ùi; 

it.  E^l  pù  gióvin  el  ghé  disè  al 
pàder  :  O  pàder ,  dèm  quel  che  me 
vègn  ;  e  so  pàder  el  gh^  à  spartii  ci  so. 

13.  E  passàt  miga  tant  temp ,  stu 
fiùl  rà  fàj  su  le  so  robe,  e  se  n'andè 
in  OD  paés  ben  lontàn,  e  là  Tà  fai  fura 
tùU ,  vivènd  da  libertèn. 

14.  E  dopo  d''avè  avùt  tiit  consu- 
mai ,  è  vigniit  una  gran  calestrìa  in 
quel  paésy  e  Tà  comenzàt  a  sente  la 
lun; 

is.  E  lù  rà  tùi  sii,  el  s'è  miss  a 
padrón  con  un  siùr  del  sii ,  eh'  el  Pà 
nandàt  a  fura  a  cura  i  ròi. 

16.  E  gh'  e  vignut  fin  vuja  de  sbra- 
iàs»  de  le  glande  di  ròi  ;  ma  nissun 
|be  nMeva. 

17.  El  gh''à  pensai  su,  e  Tà  dit: 
Quanti  sarvìturi  gh'è  in  cà  de  me  pà- 
der, chM  gh'àn  pan  de  strusa,  e  mi 
muri  de  fam. 

1 8.  Tudarò  sii ,  e  andarò  da  me  pà- 
der, e  ghe  disarò:  0  pàder,  ò  fai  un 
gran  mal  contra  del  ciél  e  contra  de 
vii  ; 

10.  Mi  mèriti  miga  d'ess  clamai  vost 
fiùl  ;  ciapèm  almànc  per  vosi  sarvi- 
tùr. 

20.  £1  lui  sii  donca ,  e  '1  va  da  so 
pàder;  e  Fera  anmò  indrè,  che  so 
pàder  Tà  dogiàt;  gh'è  sbalzai  el  cur; 
el  gh'è  curs  incontra,  el  se  gh'ò  Irai 
con  le  brazze  al  col,  e  'I  Tà  basai  sii. 

21.  E  1  fiùl  ci  ghe  disè:  0  pàder  , 
ò  fai  un  gran  mal  contra  del  ciél  e 
centra  de  vii;  ne  som  pii  degli  d'ess 

.   riamai  vost  fiùl. 

ss.  Ma  el  pàder  el  ghe  disè  ai  vsar- 


vituri:  Presto,  porlèghe  i  pii  bei  pa- 
gni,  vestii  su,  melighe  Tanèl  in  dil, 
e  on  para  de  scarpe  in  pé; 

ss.  Menèm  sii  el  vedèl  piissè  grass, 
e  scanèi,  e  mangiém  e  fém  festa; 

84.  Perchè  sto  me  fiùl  V  era  mori 
ere  vìo  anmò;  el  s'era  pers  e  rem 
trovai  ;  e  i  àn  comenzàt  a  méless  a 
tàvola. 

Stt.  L'alter  fiùl  el  prim  l'era  a  fura 
in  r  i  camp  ;  quand  el  vene  sii ,  e  'i 
fùdè  vesèn  a  cà,  el  senti  che  i  suné- 
ven  e  che  i  canlcven. 

56.  £1  ciamè  viin  dei  sarvìturi,  e  '1 
ghe  domande  cessa  gh'era  de  nóv. 

57.  Quest  chi  el  ghe  respondè  :  È 
vignùl  so  fradèl ,  e  so  pàder  1'  à  fai 
mazza  el  vedèl  el  piissè  grass,  perchè 
rè  tornai  san  e  salvo. 

so.  Alora  are  andà4  in  fùria,  e  noi 
voreva  miga  andà  drente;  ma  l'è  vi- 
gnut fora  so  pàder ,  e  i'  à  comenzàt 
a  pregai. 

B9.  Ma  liì,  respondènd,  el  ghe  disè: 
Guardò ,  i  èn  tanti  anni  che  ve  fò  el 
sarvilùr,  mi  v'  ò  scmper  obedil,  e  m'i 
mai  gnaiica  dai  un  cavrèt  per  sta  coi 
me  compagni  in  alegria; 

30.  E  adèss,  che  sto  vosi  fiùl  chi, 
che  rà  fai  fura  liita  la  so  pari  con 
dcie  sgualdrine ,  1'  è  turnàt  a  cà ,  i 
mazzàt  per  lii  el  vedèl  pii  bel. 

51.  Ma  ci  pàder  el  gh'à  dit:  El  me 
fiùl ,  ti  te  sé  sèmper  con  mi,  e  quel 
che  gh'ò  mi  l'è  tò; 

52.  Ma  bisogneva  fa  un  bon  disna 
e  fa  festa,  perchè  sto  fò  fradèl  Pera 
mori,  e  Tè  \io  anmò;  Icra  pers  e 
réni  trovai. 


Prof.  C.  Vi(;n\ti. 


38 


PARTE   PRIMA. 


DuLETTO  Comasco. 


if .  On  omm  al  gh'à  avii  dù  fio; 

18.  01  minor  de  sti  dfi  Tà  di  a  so 
pàdar:  Pà^  dèm  la  pari  che  me  teca 
a  mi;  e  lù  al  gh^à  fa  fo  i  part. 

18.  Poe  di  dopo,  ol  fio  minor ,  fa 
èù  ol  fagòt  de  tùt  coss ,  V  è  andà 
a  viagià  in  d''on  paés  lontàn,  e  là 
rà  bùta  via  tùt  ol  fat  so ,  vivcnd  de 
porcèl. 

14.  Quand  rà  vù  fa  net  de  tùt^  Tè 
vegnù  ona  calestria  bolgirada  in  quel 
paés,  e  lù  al  s''è  trova  in  bisògn; 

18.  Donca  Tè  andà  a  servì  in  cà 
d'^on  sciór  de  quel  paés-là,  ch'el  rà 
manda  f5ra  In  d''ona  soa  campagna  a 
cura  i  porcèi; 

1  e.  L**  avrév  mangia  volontcra  1 
giànd ,  che  mangiàvan  i  porcèi  ;  ma 
nessun  ga  na  dava. 

1 7.  Alora,  torna  in  se,  rà  di  :  Quanti 
servito  in  cà  de  me  pàdar  gh^àn  del 
pan  a  uf,  e  mi  chi  mori  de  la  fam. 

18.  Levarò  su:  andaró  da  me  pàdar; 
ga  dirò  :  Pà ,  ò  falà ,  ò  ofTendS  ol  Si- 
gnór  ,  e  pò  anca  vù  ; 

19.  Sont  minga  dègù  de  porta  ol 
nom  de  vòstar  fio;  ciapèm  almànc  come 
vùn  di  vòstar  servito. 

20.  E  dit-e-fat  al  solta  in  pè,  e  Tè 
tamonà  vers  a  cà  del  so  pàdar.  L^era 
ancamò  de  riva  là,e^l  pàdar,  vedcn- 
dal  de  lontàn  a  vegni,  rà  abiù  com- 
passiòn,  e  giò  al  gh'  è  curs  incontra, 
al  gh'  à  bùtà  i  braS  al  còl ,  e  1  r  à 
basa  su. 

SI.  01  fio  al  gh'  à  di  :  Pà ,  perdo- 
nèm ,  ò  falà ,  v'  ò  offendù  vù  e  U  Si- 
gnor; no  mèriti  minga  ol  nom  de  vò- 
star fio. 

ss.  Ma  ol  pàdar  al  s'è  volta  là  coi 


servito,  e,  scià,  Pà  dì,  portègh  chi  on 
bel  vestì,  mettigal  su  ;  mettìgh  In  sul 
dì  on  bel  anèi ,  e  mettigh  su  on  boa 
para  de  scarpe; 

ss.  E  pò  mazze  giò  on  vedèl  ben 
grass,  paregè  on  bon  disnà,  vùi  che 
stàgom  alégar; 

S4.  Parche  sto  pòvar  fio  Pera  iiiort 
e  rè  ancamò  viv;  Tavìa  perdli  e  ve- 
dìl  chi.  E  s'ìn  mettù  drè  a  paccià. 

S8.  L'^òltar  fio  Fera  fo  in  campagna, 
e  in  del  torna,  quand  Tè  sta  li  press 
a  cà ,  r  à  senti  a  sona  e  a  canta. 

se.  L''à  ciamà  vùn  di  servito,  e^t 
gh'  à  domanda ,  cosa  V  era  tùt  quel 
frecàs. 

57.  E  lù  al  gh''à  respondQ:  L'è  toma 
a  cà  so  fradèl ,  e  M  so  pàdar  P  à  A 
mazza  on  vedèl  di  più  grass,  parche 
Pè  torna  san  e  salv. 

58.  A  queschi  alora  gh^è  ciapà  bi- 
schizzi ,  e  '1  voreva  minga  andà  de 
dcnt;  donca  ol  pàdar  Pà  bognà  andà 
de  fora  lù,  e  Pà  scomenzà  a  pregai. 

59.  Ma  lù  al  ga  diseva:  Mi  son  sta 
bon  tanti  an,  v'ò  sèmpar  ùbidi  in  iùt 
e  per  tùt  ;  e  m' avi  mai  dà  on  strai 
d'*oncavrèt  de  god  insema  ai  me  eom- 
pàgn; 

30.  E  sto  slandròn ,  che  P  à  bùtà 
via  tùt  coss  coi  strasciòn,  al  ven  a  cà, 
e  sùbat  giò  se  mazza  on  vedèl  di  più 
bei. 

81.  Ma  lù  al  gh'à  respondil  :  Car  ol 
me  fiS ,  ti  t' à  sèmper  sta  con  mi ,  e 
tùt  quel  che  gh'ò  mi  Pè  tò; 

88.  Bosognava  ben  che  f assoni  oil 
zig  de  letizia,  parche  ol  tò  fradèl  Pera 
mort  e  P  è  risciùscità  ;  P  era  perdfi  e 
rè  torna  a  cà. 

P.  Giuseppi  Tkuo. 


\ 


DIALETTI   IMBARDI. 


39 


Dialetto  di  Gaosio  {f^alteUinesé). 


fli.  Al  gh^è  staé  un  òmen  ch^el 
gh^éva  da  mattèi; 

is.  EI  pussè  piscén  V  k  dio  al  pa- 
dri :  Padri,  dèm  la  mia  part  de  qfiel 
eli«  all'*  fòca  ;  e  lu  el  g^  à  parti  la  roba. 

13.  Dopo  un  pilt  de  temp,  el  pùssè 
gióen  1^  à  ramascè  tùtl  quel  eh*  el 
gh^éva,  e  pò  l^è  andai  in  Vnn  paés 
lontàn,  e  ilo  rà  consumè  tuta  la  soa 
hgoìik,  a  viver  insi  da  ligòz,  e  andà 
a  badènt. 

1 4.  E  subet  che  V  k  blu  consumè 
tùtt,  rè  vegnu  in  quel  paés  iina  gran 
fun  ;  e  ilora  Vk  scomensè  a  prova  una 
gran  harloeea; 

is.  E  rè  andai  faméi  in  bàita  d'^ùn 
$dòr  de  quel  paés ,  e  a ^I  Vk  manda 
io  ri  sé  lòc  a  pastura  i  porscèi. 

16.  E 1  s^  è  ridùi  tant  in  misèria , 
che  r  aréss  majè  fin  i  giànd  che  ma- 
java  !  ción;  ma  negun  gVén  dava. 

f  7.  E  ilo  Pè  tome  in  sé  stess,  e  rà 
die:  Quané  faméi,  che  màngen  el  pan 
in  che  del  me  padri,  e  mi  chilo  mori 
de  la  fam. 

18.  Voi  tom  ìa  de  chilo,  e  voi  an- 
dar in  che  de  me  padri ,  e  voi  dìg  : 
Padri ,  mi  ò  pechè  con  tra  el  siél ,  e 
contra  vii; 

19.  No  son  miga  dègn  d'esser  ciamà 
per  vos  fiól  ;  ma  mettèm  bessì  nel  nu- 
mer  di  vos  faméi. 

to.  E  rè  leve  su,  e  Tè  andai  dal 
sé  padri; e  denènt  ch'ai  vnéss  a  che, 
el  padri  el  V  k  vedu  un  bel  toc  da 
lontàn;  el  s'è  metii  a  compassión,  el 
gh'è  andai  incontra,  e  M  rà  brascè  sii. 

SI.  El  fiól  ilora  el  gh'à  dii  al  padri  : 
Padri ,  mi  ò  pechè  contra  el  siél ,  e 
\'  ò  offendu  ;  no  son  miga  dègn  da 
èsser  ciamà  per  vos  fiól. 


89.  flora  el  padri  V  à  dii  al  sé  ser- 
vidór  :  Andén  prèsi  ;  tolè  fò  el  pussè 
bel  vesti  che  gh^è  in  che,  e  mettèghl 
su  ;  porte  (in  anèl  e  mettègbi  su;  met- 
tpgh  sii  anca  iin  bel  para  de  scarp; 

<3.  E  tolè  iin  vedèl  grass,  copèl, 
ch'em  possa  mangiar  e  fa  festa; 

24.  Perchè  sto  me  fiól  Téva  mort^ 
e  adèss  r  è  resiiscitè  ;  r  èva  perdu  e 
r  ò  trova  ;  e  i  à  scomensè  a  fa  una 
gran  festa. 

S8.  flora  el  fiól  pùssè  vèi,  che  Pera 
in  t^el  chèmp,  e  ch'el  tornava  a  che, 
rà  sentì  a  sona  e  a  canta; 

86.  L''à  ciamà  iin  ser\itó,  e  al  gh^à 
domande  cossa  che  Téva  quel  bor- 
deléri. 

87.  El  servito  el  gh'à  dii:  El  tè  fra- 
dèi  r  è  torna ,  e  **!  tè  padri  V  à  copà 
iin  vedèl  grass ,  perchè  el  T  à  trova 
san  e  salv. 

88.  E  lu  rà  ciapà  tant  la  ràbia , 
ch'el  voleva  miga  andè  in  che;  ilora 
el  padri  rè  andai  fò,  e  Vk  scomensè 
a  pregai,  che  Tandàss  Int. 

89.  Ma  Ili  el  gh'à  respondii  :  Vii  séf, 
che  v'ò  ser>'ì  tani  agn,  e  no  v'ò  mai 
fai  gnà  cria  contra  quel  che  coman- 
dàov,  e  no  m'é  mai  dai bessi  un  chis- 
sòt  0  un  caurct,  che  podèss  mangiai 
coi  me  compàgn; 

30.  E  quel  alter  vos  fiól ,  che  V  k 
forni  tiita  la  soa  part  a  viver  da  liis- 
siiriós ,  per  lii  éf  scanà  iin  vedèl  grass. 

31.  flora  el  padri  el  gh'à  dii:  Véla, 
el  roè  fiól,  ti  set  sèmper  insèm  a  mi, 
e  quel  che  gh"*  ò  Tè  tè  ; 

38.  Ma  adèss  ò  de  sta  alégher  e  fa 
past,  perchè  sto  tè  fradcl  Téva  mort 
e  rè  rcsùscitè;  Tcva  perdii,  e  rem 
trova. 

N.  N. 


40 


PARTE    PRIMA. 


Dialetto  di  Bormio  (f^allelUnese). 


1 1 .  Un  òroen  ci  gh'avéa  dui  fiói  ; 

f  «.  E  'I  pili  gióen  de  qui  al  gh'à  di! 
ài  pìi  :  Pà  f  dam  la  part  de  roba  che 
me  toca;  e  lu  '1  gh'à  sparti  la  roba. 

li't.  E  poc  di  dop,  mess  insema  tot, 
al  flol  più  gióen  Tè  gi  in  un  pacs  lon- 
ihn  ,  e  li  rà  sciòlt  al  fat  se ,  a  far  al 
putanrir. 

14.  E  dopo  che  Vìi  avii  consuma  tot, 
r^  vegni  fora  una  gran  penùria  In 
quel  piiés,e  Vii  sconicnzà  a  sentir  la 
inim^ria; 

I  tt«  1/  è  gi ,  e  '1  s' è  mctù  con  un  de 
qui  ile  quel  paés,  ch'el  Tà  manda  fora 
In  un  sé  loc  a  ]Hist  coi  lìorcèi. 

IO.  E  'I  desideràa  de  impleniss  ol 
fkò  ventro  deli  gianda,  che  i  mangiàan 
I  porcèi;  ma  nigùn  i  gb'en  dàan. 

17.  Ilora,  torna  in  se  stess,  Pà  dit: 
Quan^  lorènt  in  bàita  del  me  pà  i  gh'àn 
pan  finche  i  n'vóien ,  e  mi  crapi  de 
la  fom. 

1 8.  Toròi  su ,  e  varoi  col  me  pà  ;  e 
ghe  dlròi  :  Pà ,  èi  fèit  mal  contra  al 
Signor  e  vers  a  ti; 

19.  Ne  som  più  degn  d'esser  ciamà 
te  fiòl;  accctum  come  un  di  tòi  lorènt. 

20.  Era  tòit  su ,  e  r  è  vegni  del  sé 
pà.  Quand  che  V  era  anmò  de  lontàn, 
al  sé  pà  al  Tà  vedù,  e '1  s'è  movù 
a  compasción  ,  al  gh'è  cors  incontra, 
al  gh'à  butà  i  brèó  al  col,  e  1  Tàbaià 
su. 

21.  flora  el  fiól  al  gh*à  dit:  Pà,  èi 
fèit  mal  centra  al  Signor,  e  vers  a  ti  ; 
no  som  più  degn  d'esser  ciamà  tè  fiòl. 

29.  Ma  al  pà  al  gh'à  dit  coi  servi- 


tór  :  Porta  de  long  al  più  bel  vestì , 
e  metèdighel  adòss,  dàdigh  un  anè 
in  dèli,  e  calza  e  scarpa  in  di  pè; 

25.  E  mena  eia  un  vedèl  ingrascià, 
e  mazzàdel  ;  mangèmes  e  stèmes  ale- 

gri; 

24.  Perchè  sto  me  fidi  Pera  morte 
rè  resuscita;  al  s'era  perdù  e  Tè  tro- 
va; e  i  àn  scomenzà  a  godésscla. 

2«.  Intani  al  fiól  magiór  Fera  fora 
per  i  camp,  e  in  del  vegnìr  a  pros  a 
bàita ,  r  à  senti  a  sonar  e  cantar. 

26.  Era  ciamà  un  dei  fame! ,  e  ^1 
gh"*  à  domanda  cosa  che  Pera  sta  roba. 

27.  E  quest  al  gh'^à  dit:  L^è  vegnà 
al  tè  fradèl,  e  '1  tè  pà  T  à  mazza  uo 
vedèl  ingrascià,  perchè  V  è  torna  san 
e  salv. 

28.  flora  rà  ciapà  la  rabia,  e  M  vo- 
lea  più  ir  int  in  bàita,  fntant  Te  vegoi 
de  fora  al  pà,  e  Fa  scomenzà  a  cercai. 

29.  Ma  lu,  respondènt,  al  gli''à  dit  al 
pà  :  Ecco ,  rè  tant  temp  che  te  servi, 
e  no  t*  èi  mai  disubedi;  e  no  te  m^as 
mai  dcit  gnanca  un  cabrèt  per  godé- 
mela  coi  mèamìs; 

so.  Ha  apena  che  sto  tè  fidi,  che  l^à 
maglia  tot  al  fèit  sé  coli  putana.  Ve 
vegni ,  V  al  copà  per  lu  un  vedèl  in- 
grascià. 

ai.  Ma  lu  al  gh'à  dit:  Fiòl,  U  Tei 
sempri  co  mi ,  e  tot  quel  che  gh^  èi 
mi  rè  tè; 

32.  L'era  ben  necessari  de  mangiar 
e  béver  e  star  alegri ,  perchè  sto  tè 
fradèl  l'era  mort  e  Fé  torna  viv;  Pera 
perdù  e  Pè  trova. 

N.  N. 


DIALCTTI   LOMBARDI. 


ki 


DiALSTTO  DI  Li  VIGNO  (  f^aUelliMté), 


il   Un  om  rà  doi  mare; 

is.  EI  più  sción  de  sii  doi  rà  dit 
al  se  pà:  Pà,  dèm  la  pari  de  Teredi- 
tà,  eh'' al  ma  podrò  tochcm;  i^l  gi  l^à 
dèlta. 

is.  E  dopo  ben  quài  di,  messa  in- 
sema tota  la  soa  roba ,  el  plu  sción 
de  sii  mari  V  ara  sci  in  un  paés  de 
Iòni,  e  iglià  Tà  fèit  ir  tota  la  soa  roba 
con  una  vita  lussuriosa. 

14.  I  dopo  che  rà  fèit  ir  tot,  Tara 
gnu  in  quel  paés  una  gran  cristìa,  e 
anca  lu  Vk  comenzc  a  sentir  la  fom; 

is.  E  Tara  parti  ,  e  Para  sci  Iglià 
d^un  sittadìn  de  quel  paés;  i  l'à  man- 
dé  nela  soa  vila  a  ir  past  coi  porcèlgl. 

le.  E  M  desideràa  da  emplis  el  see 
ventre  dli  gianda  cb^l  manglàan  i  por- 
cèlgl; e  nigùn  non  g''en  dàa. 

17.  Entré  in  sé  stess,  rà  dit:  Quanti 
mercenarii  ne  la  bàita  de  me  pà  i  a- 
bóndan  de  pan ,  e  mi  chiglia  a  mori 
de  fom. 

18.  Luerèi  su,  e  varrei  dal  me  pà, 
e  gli  direi:  Pà,  èi  ofTendu  il  ccl  e  pò 
anca  vò; 

19.  Già  no  som  più  degn  d'esser 
clamé  vos  mare  ;  tolèm  come  un  dei 
vòs  mercenarii. 

to.  E  alzé  su.  Para  gnu  dal  see  pà. 
Quando  Tara  emò  de  Ione,  rà  vedù 
el  see  pà ,  el  gè  n'  ara  fèit  pigé,  e  Para 
$cì  a  saltèi  intórn  al  col ,  e  bascèl  su. 

SI.  I  sto  ligliòl  al  gi  à  dit:  Pà,  èi 
olFendù  fi  ciél ,  e  pò  anca  vò  ;  già  no 
som  plu  degn  d'esser  dame  vos  mare. 

<s.  n  pà  poi  al  gi  à  dit  ai  sèi  scr- 


vitór  :  Fèt  de  bot  a  portèm  la  vest  più 
bella,  vestii,  e  metèi  in  di  li  man  Pé- 
nèl ,  e  li  scherpa  in  di  pc  ; 

2.%.  Mene  chiglia  un  vedèi  ingrascé, 
mazzèl ,  e  mangèm  e  banchetèm  ; 

S4.  Pergié  sto  me  marò  Para  mort 
e  P  è  resuscité;  Para  perdù  e  Pè  stèit 
troé;  e  i  àn  comenzé  a  banchetér. 

8«.  EI  mare  più  vegl  Para  nel  camp, 
e  quand  ch'eoi  vegnò ,  e  ch'el  s' à  fa 
da  pròs  a  la  bàita,  Pà  senti  a  sonér 
e  cantér. 

se.  I  Pà  dame  un  dei  sei  servitór, 
e  '1  gi  à  domande  gi  eh'  a  P  ara  sta 
roba. 

57.  El  gi  à  respondù  :  L^  è  gnu  el 
tè  fradèi,  e'I  tè  pà  Pè  maxzé  un 
vedèI  ingrascé ,  pergié  ch'a  Pè  troé 
san. 

58.  Lu  pò  Pà  clapé  la  rabia,  e  noi 
volò  brig  entrér  ;  el  see  pà  pò  P  ara 
gnu  de  fora ,  e  P  à  comenzé  a  preci. 

so.  Ma  lu  Pà  respondù  al  see  pà  a 
sto  fogia:  Ecco,  che  mi  Pè  tcn^  eni 
ch'il  v' servi,  e  no  v'èi  mai  disubldi; 
e  no  m'ct  mai  dèit  un  be^  da  godei 


I  nscma  ai  mei  amis  ; 


50.  Ma  apena  sto  vos  mare,  che  Pè 
maglie  tot  al  sé  coli  meretrici ,  P  è 
gnu,  i  et  mazze  un  vedèI  ingrascé. 

51.  Ma  lu  al  gi  à  dit  :  Figliuòl,  ti 
1'  e§  chiglia  con  mi ,  e  tot  el  me  P  è 
enea  tè; 

38.  L'ara  convenienza  pò  de  man- 
gcr,  e  stér  alegri ,  pergié  sto  tè  fra- 
dèi  P  ara  mort  e  P  è  resuscité  ;  P  ara 
perdù,  e  Pè  stèit  troé. 


h'ì 


PARTE  PRIMA. 


Dialetto  di  Val  Precallu  (Canton  Grigioni  —  f'aUelUnese), 


11.  Un  òm  vcva  dui  fi; 

is.  À  più  giùvao  dgét  con  se  bap: 
Bap;  dara  la  me  pàrt  da  roba;  a  M  lur 
Spartìt  i  se  ben. 

1 3.  A  poc  di  drè ,  cur  eh'  al  pia 
giùvan  vet  tùt  quant  robadii ,  al  get 
davènt  in  un  pàés  lontàn,  a  là  '1  dis- 
sipai la  se  roba,  menàntna^ita  deS- 
mosiìràda. 

14.  A  cur  ch'el  vet  tùt  fat  andà, 
al  nlt  na  gran  fantina  in  quel  pàés , 
ti'l  ficomanzàt  à  sentì  la  misèria; 

1».  Alura'l  gèl,  a  s'metél  ài  ser- 
vìsel  pel'  un  da  qui  dal  pàés ,  eh'  il 
mandàt  in  l' i  se  fond  a  cura  i  poré. 

10.  A  '1  vés  dgiu  gùdgènt  da  s'podè 
sazia  da  quel  ch'a  mangiàvan  I  porè; 
ma  nàgun  n'  i  an  deva. 

17.  Ma,  s'impensànt  pet  se  stess,  al 
dgét:  Quanti  mersenari  àn  in  la  cà  da 
me  bap  gran  bundiànza  da  pan,  à  gè 
i  mòr  da  fam  ; 

18. 1  m'voi  leva,  à  andà  ter  me  bap, 
a  ei  dgéra:  Me  bap,  i  à  paca  contrari 
sèi,  à  dinànt  da  té; 

19.  À  i  no  son  più  degn  d'esser 
noma  tè  fi,  tràtam  piir  leu  (in  di  tè 
mersenari. 

20.  A  s'Ievàt  dune,  a  nil  ter  »è  bap; 
ii  niànt,  àne  da  lune,  se  bap  la  vdét, 
a  'n  vét  cumpasciùn ,  a  i  curìint  in- 
cùnter  ,  à  s'bulàt  al  sé  col ,  a  'I  bù- 
ciàt. 

2 1 .  Ma  'I  fi  i  dgét  :  Me  bap,  i  à  paca 
contra  '1  sèi ,  a  dinànt  da  U*. ,  h  ì  no 
son  più  degn  d'esser  noma  tè  fi. 


22.  A  'I  bap  dgét  con  i  so  faméi  : 
Porta  ài  più  bel  vaiti,  à  i  ài  tridge 
ent,  à  metèi  un  ànèl  ài  sé  dét,  à  ditali 
scarpa  ai  sé  pà  ; 

2S.  A  roenàm  l'avdèl  grass,  a  mii» 
zàl ,  a  'I  mangiàm ,  faiànt  l>e!a  vita  ; 

24.  Perchè  eh'  a  quest  me  fi  ert 
mori  à  l'à  resuscita;  l'era  perdale 
r  à  trova  ;  à  i  scomanzàtan  a  sta  ile- 
gher. 

25.  A  'I  più  vèl  di  se  fi  era  fò  i 
camp,  à  s'returnànt,  a  niàni  ver  la 
casa ,  ài  sentit  i  son  a  I  cànt. 

26.  A  clamànt  un  dei  faméi,  al  do- 
mandàt  cur  eh'  l'era. 

27.  A  quest  ài  dgét:  l'à  ni  te  fra, 
à  te  bap  à  mazza  l'avdèl  grass ,  per- 
chè ch'a'l  l'à  trova  san  a  fril. 

28.  Ma  M  ciapàt  la  rabia,  a  no  voléi 
andà  ent;  à'I  sé  bap,  niànt  fora,  a'I 
pregai  d^andà  ent. 

29.  Ma"!  respondét,  à  dgét  con  ti 
bap:  Ve ,  i  t'a  servi  tàncl  an,  i  mal 
I  no  à  manca  ài  té  comànd;  a  tùt-una 
tu  no  m'à  mai  daè  un  cavrèt,  da  ft 
bela  vita  con  i  me  amie; 

so.  Ma  dalunga  eh'  aquést  tè  f i , 
eh'  à  fat  andà  la  sé  roba  con  ììhUtk 
femna ,  à  ni ,  tu  i  à  maisà  V  avdèi 
grass. 

51.  A  n  bap  ài  dgét:  Me  fàni,  li  i 
aduna  pet  gè ,  à  tùt  la  me  roba  a  US; 

32.  Ma  a  s'nit  fa  bela  vita,  a  sta 
àlégher,  perché  ch'aquést  te  fri  era 
mort,  ma  Pà  resuscita;  l'era  perda» 

ma  l'à  trova. 

Tratta  da  Staldir. 


DIALETTI   LOMBARDI. 


43 


Dialetto  di  Val  Maggia  (Ticinese), 


1 1 .  U  jera  un  um  con  dù  tosói  ; 

is.  EI  più  piscèn  de  quist  l^à  di£ 
al  padri  :  Atta ,  dèm  al  me  part  da 
(piel  che  m^  loca  ;  e  lù  l' à  tèe  i  divi- 
siri  e  u  gh**  l^à  dèci. 

is.  Da  lì  a  poc,  rà  ramassào  el  faÒ 
sa ,  e  Q  A^  n^  è  nèé  in  paìs  da  luni , 
era  raffabiào  tùtt  coss  vivènd  da 
pórc. 

14.  E  dop  chTà  biù  tèe  net.  Ve 
vegno  in  quel  paìs  una  gran  carestìa^ 
era  comenzào  a  sentì  la  sgajosa  ; 

is.  E  rè  nèè ,  e  rà  scercào  aprèss 
a  un  sciór  da  quel  paìs,  e  quest  u  Tà 
nandào  al  bosc  a  cura  i  porS. 

le.  E  u  scercava  da  mangia  i  giand, 
fli''a  mangiai  porS;  mai  nu  gh^dava 
fnanc  da  quìi. 

1 7.  Alora  r  à  capì  quel  che  V  èva 
ffé ,  e  u  diseva  :  Quanci  servitùr  in 
rà  d^  me  padri  i  mangiaci  pagn  da 
toeàl  col  dit,  e  mi  son  chi  a  crcpa  da 
fam. 

18.  Mi  voi  leva  sii ,  voi  'ndà  d**  me 
l»adri,  e  voi  digh :  Atta  me,  a  i  ò  man- 
rào  col  Signor  e  con  vui  ; 

19.  ia  mi  no  mèri!  più  d'ess  te- 
gnu  per  vos  fio;  tegnim  come  vugn 
di  vos  fent. 

so.  E  u  s"*  è  iìè  sii,  ere  nèé  da! 
padri.  Quand  l'era  ancmò  da  luni, 
el  padri  u  F  à  vcdiì ,  e  u  j  è  nè£  un 
M|uè  al  cor,  e  u  j  è  corii  incontra,  u 
j  à  biitèé  i  braS  al  còl ,  e  u  rà  basào. 

SI.  EM  fio  u  j  à  die:  Atta  bugn,  mi 
j  ò  mancào  col  Signor  e  con  viji  ;  2à 
no  mèrit  piii  dVss  tegnii  per  vos  fio. 

«5.   El   padri  I*  à  die  ai  sorvilnr  : 


Prèst,  tugi  scià  el  piii  bei  vestid,  me- 
tìgbel  su,  dèi  Panel  in  dit,  e  calzèl  su  ; 

ss.  Mene  chi  siìbat  un  bel  vedèl , 
tugigh'el  sangu,  mangèmal,  fèm  un 
debìiS; 

S4.  Parche  stu  me  fio  Tera  mort  e 
r  è  risiiscitào  ;  .Vera  perdu  e  u  s' è 
truvào.  E  i  smenzava  a  mangia  ale- 
gramént. 

stt.  Intani  el  fio  majù  Pera  in  cam- 
pagna,  e  quand  ch^o  vegniva,  e  rè 
stèé  aprèss  a  cà ,  F  à  sentii  a  sona  e 
a  canta. 

se.  E  rà  ciamèó  viign  di  servitùir, 
e  u  j  à  domandào:  cu  jèl,  ch^a  jè  du 
nuf? 

57.  E  lii  u  j  à  die:  L'è  rivào  tu  fre- 
dèl,  e  Fatta  tu  i'  à  mazzào  un  bel  ve- 
dèl pel  bugn  arìf. 

58.  E 10  Fé  vegnii  inié,  e  u  nu  vole- 
va gnanc'  andà'n  cà;  su  padri  doncaFè 
vegnii  fora,  e  Fa  smenzào  a  pregai. 

59.  Ma  lii  Fa  rispondi!  a  su  padri: 
V  è  tant  temp  che  mi  scrvìss  a  vii,  e 
nu  v'  ò  mai  disiibidit  in  nula  ;  e  pò 
nu  nF  i  mai  dè£  gnanc  un  2ù  da  sta 
un  pò  alégar  coi  me  amis; 

50.  E  dop  Fé  già  stu  balàndrug  de 
vos  fio,  che  Fa  fè£  salta  tiit-coss  coi 
su  slandrin,  à  gh**!  mazzào  el  piii  bel 
vedèl. 

31.  Ma  lii  0  j  à  rispondii:  Sent,  el  me 
fio ,  ti  ti  se  sempro  con  mi ,  e  quel 
eh' è  me  Fé  tò; 

ss.  Ma  u  sMoveva  bè  fa  un  dcbùfi 
e  un  festìgn,  perchè  stu  tu  fredèi  Fera 
mort  e  Fé  resiiscitào;  Fera  perdii  e 
Il  s'è  truvào. 


Tratta  da  Stalder. 


hh 


PART£   PRIMA. 


Dialetto  di  Val  Verzasca  (Ticinese). 


II.  Ijn  òmcn  iil  gh'ieva  du  fio; 

is.  El  più  poDzèi  de  sti  dù  u  gess 
al  pà:  Pà,  dam  er  part  der  me  robe 
oh'  a  m' ven^  a  mi  ;  el  pà  uM  divide  , 
e  de  long  u  gh'dè  er  part. 

13.  Dagnò  a  poic  dì,  el  più  ponzòl 
el  se  tire  el  tut  sot  lui ,  e  1  s' en  giè 
da  lontàgn ,  dove  el  bordigò  er  so- 
stanze malamént  con  or  bozerre. 

14.  Qaand  u  ìa  biù  maghiòu  el  tut, 
in  qui  part  u  vigne  fina  gran  c|^re- 
stìa,  e  cominsiè  a  baia  biod; 

15.  L^è  nèlé  ad  atacàss  ad  una  cà 
d^  un  bon  starènt  de  quel  paés ,  e  o 
rà  mandòu  a  pasturgà  i  purghi. 

16.  Là  a  r  auréss  volu  impinì  er 
bùseghe  d^èr  coròbia,  che  magblàvan 
i  porsèi  ;  ma  nessun  i  gh'dàvan  brig. 

1 7.  Finalmént ,  avènd  riflctrì ,  u^  I 
dis:  Quenò  faméi  in  er  cà  dù  me  pà 
1  màgbien  assessèn ,  e  mi  assidi  qui 
d'er  fam. 

18.  A  vùi  leva,  e  pu  a  vùi  né  dal 
me  pà,  a  gh^vùi  dì:  Pà,  ò  pecòu  con- 
tra  er  siél  e  contro  ti; 

19.  Mi  ne  soni  piii  degn  d'esser 
ciamòu  tò  fio;  fam  servizi  de  mctem 
cogli  tuo  famci. 

20.  El  s'è  vultà  inlànt,  e  Tè  vegnu 
con  er  pà.  El  era  agmò  da  lun^  ,  el 
so  pà  u  '1  vide ,  o  s'  è  melu  in  com- 
passión ,  rè  corù  a  velàs  sul  ciùl ,  e 
u  rà  pasciòu  su. 

81.  Pa,  u  gh'dis  el  filiu,  ò  pecòu 
contra  er  siél, e  centra  li;  mi  ne  sont 
più  dcgn  d'esser  ciamòu  lo  fio. 

22.  Ma  **!  pà  u  gh'  dis  ai  so  servi- 
dór  :  Portò  chilo  una  sgiaghe  er  piii 


boriola ,  e  vestii ,  mettgh  nel  dii  ùi 
anèi,  e  meligh  su  i  calze!  in  d'i  pè 

25.  Menégh  fuori  un  videi  gra86> 
strubiél  giù,  maghiém  e  stém  al«gri 

24.  Perché  sto  mi  fio  Pera  mori 
ere  torna  a  viva;  Pera  pcrdù,  e 
s' è  trovélè  ;  e  i  àn  ineominsià  a  f 
festìn. 

8is.  Intani  el  fio  majù,  che  Pera  il 
er  campagna.  Pò  tornèió,  e  qiian< 
Pè  slèié  apro  d'er  cà,  Pà  sentì  cà' 
sonàvan  e  cantàvan. 

26.  E  domande  a  vugn  di  so  ser 
\ilór:  Quel  chM  fan  in  cà  mea? 

27.  U  gh'dis  el  servilór:  Qui  Vi 
vegnù  el  so  fradèl ,  e  '1  so  pà  Pà  fèl< 
mazza  el  videi  più  grass,  perchè  Pi 
riciiperòu  ci  figliu  sagn  e  sald. 

28.  Qucst  ignora  rabiòu  u  n'ia  voli 
più  nà  ea  er  cà,  e  Io  pà  Pè  nèió  fon 
o  Pè  metù  drès  a  pregai. 

20.  Ma  lui  u  gi  à  respondù  ai  pà 
Guarda,  quené  agn  Pò  che  mi  soa  « 
tò  servizi ,  ades  son  slèió  er  lo  ep- 
mandamént  ;  e  li  m' è  mai  dèió  ui 
jòrl,  perché  slàssom  un  pò  alcgro  eoi 
i  me  amis; 

30.  Ma  V  è  vegnù  ci  tò  fio ,  elio  I 
à  già  maghiòu  tut  er  so  part  d'er  rolN 
con  i  pittàn ,  e  ti  li  jé  fèió  strùbiì 
giù  er  videi  er  più  gràss. 

31.  El  pàu  gh'à  respondù:  Flo^t 
ti  sé  sempr  sléiÒ  con  mi,  e  tùt  ei  mm 
Pè  lo; 

32.  Ma  bentava  eh'  a  slàssom  ale- 
gri .  e  che  a  feslegiàssom ,  perchè  e! 
tò  fradèl  Pera  mori  e  Pé  torna  a  viva 
Pera  perdù  e  '1  s'è  torna  a  trova. 


Tratta  da  Stalder. 


\ 


DIALETTI   LOMBARDI. 


4» 


Dialetto  di  Val-Levkntipia  {Ticinete). 


I  f .  Un  sert'  òm  V  à  aviìt  dui  flòi  ; 

it.  O  pussè  giòvan  de  chi  r  à  die 
al  pà  :  Pà  y  dam  la  me  part  d^la  roba 
ch'om^vegn;  e  lui  l^à  dividùt  a  Io  la 
roba. 

is.  E  passò  mìa  tene  di,  essénd 
iiiiìt  lùó,  o  flo  pùssè  giòvan  l^è  ned 
in  paìs  lontàn,  e  ignò  Pà  trèé  vìa  o 
fèé  so  col  viv  da  scandalós. 

14.  E  quand  V  à  consumò  tùtcoss 
o  jè  stèé  ona  gran  fam  in  cbel  paìs 
e  rà  comenzò  a  avèi  bisògn; 

itt.  L^  è  nèé  vìa>  e  o  s'è  mess  da 
òn  abitànt  de  cbel  paìs,  ch''o  rà  man- 
dò In  o  so  log  a  pascolè  i  animai. 

le.  El  voreva  impinì  la  so  bùsecia 
dei  giànd  cb^o  mangieva  i  animai,  e 
nlssùn  o  j  an  deva. 

17.  Essènd  nié  in  se,  Tà  di£:  Quenò 
ffunéi  In  eie  d^  me  pà  vànzan  pan ,  e 
mi  mòri  da  fam. 

18.  Am'  levarò  e  varò  dal  me  pà, 
e  a  i  dirò:  Pà,  ò  fèé  pechèt  contra  '1 
siél  e  conira  ti; 

19.  Giè  son  mìa  degn  d'  èss  ciamò 
tò  fio;  fam  com'  un  di  lo  faméi. 

so.  E,  levàndos.  Tè  nèé  dal  so  pà. 
Essènd  amò  begn  da  ioni ,  o  sé  pà  o 
rà  vist,  e  0  s^è  moss  a  compassiòn , 
e,  nasèndoi  incontra  ^  o  ì  è  cadùt  a 
col,  e  o  rà  basò. 

SI.  O  fio  0  i  à  éii  :  Pà,  ò  fè£  pe- 
chèt vers  0  siél ,  e  vers  a  ti  ;  giè  mi 
son  mìa  degn  d'ess  ciamò  tò  fio. 


ss.  O  pà  rà  die  ai  so  faméi  :  Prest , 
porte  o  prim  àbat,  vestii,  e  dèi  Tanèl 
in  la  so  man ,  e  i  caozèi  in  pè  ; 

ss.  E  menèi  un  videi  grass,  mazzèl, 
mangèm,  e  stèm  alégar; 

54.  Parche  sto  me  fio  fera  mort  e 
r  è  resussitò  ;  V  era  perz  e  T  è  stè^ 
trovò;  e  àn  comenzò  a  mangè. 

55.  0  so  fio  pùssè  vèè  r  era  in  i 
camp;  essènd  ni£  e  avisinò  a  la  eie, 
rà  sentùt  a  sonò  e  cantò. 

96.  Vk  ciamò  iin  di  faméi,  e  o  i  à 
domandò  coss^éran  sti  rob; 

57.  E  cbest  0  i  à  die:  L'è  niÒ  o  tò 
f radei,  e  o  tò  pà  rà  mazzo  un  videi 
grass,  parche  o  Tà  trovò  salv. 

58.  0  fio  o  s'è  rabiò,  e  o  voreva  mìa 
né  ind;  o  so  pà  donc  Tè  ni£  fò,  e  rà 
comenzò  a  prcghèl. 

59.  Ma  lui  olà  rlspondùt ,  e  rà 
die  a  so  pà  :  Éccomo ,  mi  at'  servisi 
tene  cgn,  e  ò  mai  mencio  ai  tò  òrdan; 
e  te  m'  è  mai  dèe  un  ciavrèt  par  stè 
alégar  coi  raè  amis; 

50.  Ma  dapós  che  sto  tò  fio ,  eh'  o 
r  à  divorò  la  so  part  col  fcman ,  V  è 
nié,  e  t'a  i  è  mazzo  un  vìdei  grass. 

31.  Lù  0  i  à  die:  Fio,  ti  t' a  sé 
sempra  con  mi ,  e  tù£  i  me  bègn  in 
toi; 

ss.  E  convegniva  mangè  e  stè  alé- 
gar, parche  slo  tò  fradèl  l'era  mort 
ere  lesusftllò;  l'era  perz,  e  Tè  stèé 
trovò. 

Thatta  da  Stalder. 


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ìtc^um*  V  \%L  K  Su:«ì> 


f  I.  La  1»  «r^'er^dM  fftBl;  ts.  K»  «1  pa  r  a  die  ai  so  faraéi : 

is.  E  r'  a  4aé  44  p«  péfcn  de  qaii^  .  Pr»l.  tìrèi  fwa  «1  iapàga  dm  festa, 
alfa:Oia.  dè^rapartdiarofcadb'o  je»etl<||J'i»dÌH^e»Hèifh'u|piaml 
a'toca;  e  li  •  fli'  a  fparti  n  roba,  i  ia  dèìl,  e  i  calae  la  pr; 

fls.  E  d"  b  a  poe  di .  misA  iinrai  |      ss.  E  tirèi  farà  al  vcdil  iagrassòu, 
ol  fnl  pi  pHcéa  o  rè  aaé  ^  e  maizèi,  e  BajM  e  féa  pasl; 
l' ófB  pai«  Iflidày,  e  b  r  à  |      s«.  CW  sto  né  fnt  r'era  mmì»  e 
bitÓQ  via  al  laé  aò  7  TìTcad  ia  ba-  i  r'è  resisàiòa;  r'cra  pcrs,  e  r^è  U»* 


14.  E  dapò  di'r  à 
tóé  mas ,  r'  à  fié  uà  fraa  carotria 
ia  col  pan,  e  coro  r  à  maaba  a  e» 
la  DMsistà; 

fls.  E  r*c  naéy  e  o  s*è  aitss  con  ón 
ziladin  d*  col  pais  ;  e  1  ra  nuuidòa  a 
ra  soa  campagna,  a  pass  I  pòri. 

te.  E  o  bramava  d'impì  ol  so  bo- 
lai  d' il  scórsa  eh'  Biajàva  pòri ,  e 
ODZÙgta  gh'an  dava. 

17.  Ma  10^  tomòu  in  sé  stess ,  r  à 
dio  :  Quané  Cunei  in  cà  del  me  pà  i 
gh*à  pago  a  sbac,e  mi  chi  sbasìss  dra 
fam. 

18.  A  m^  driirò,  e  narò  al  me  pà , 
e  gb*  dirò  :  O  pà,  ò  pccòu  contr'or  scéi 
e  inass  a  voi: 

19.  Mo  n^snn  mia  dègn  d^ess  cia- 
mòu  \'\ìsi  faot;  fèm  ciun  vùgn  di  vosi 
faméi. 

so.  E  o  s"*  è  aizòu ,  e  r'  è  nòu  da  so 
pà.  E  r'  era  anc'amò  lontàgn ,  che  so 
pà  0  r^  à  visi ,  e  0  s*  è  mòss  a  compas- 
gión,  e  corènd ,  o  gh'  è  saitòu  al  còl, 
e  o  r"*  à  basòu. 

21.  E  ol  fan!  o  gb'  à  die  ;  0  pà,  ò 
pecóii  conlr''or  scéi  e  Inàss  a  voi;  mo 
n'  sun  mìa  dègn  d'  ess  ciamòii  vusl 
fant. 


vòa;  eia  meaiòa  a  ùl  pasl. 

ts.  iatralàal  al  so  faal  majó  o  Fera 
ia  campà^aa,  e  qaaad  r'è  tomòu,  e 
r'cra  arèal  a  cà.  r*à  scala  ol  sang  e 
olboL 

so.  E  eà  ciaiMa  vàpi  d'ilg  fomél, 
e  o  gb'à  dmaadòu  cass  i  era  sii  cum. 

«7.  E  coro  o  gb'à  die:  Vosi  firadil 
r'è  tomòa,  e  vasi  pà  r*à  maiiòa  al 
vedii  ii^erassòa ,  perchè  o  r^  à  rico- 
vròo  sj^  e  salv. 

sa.  E  o  gh'  è  gnu  ra  ribla ,  e  aor 
vuria  mìa  nà  in  cà;  donca  so  pà,  ve- 
gnii  d'fo,  r'à  menzòu  a  prega. 

ta.  Ma  lù ,  rìspondèad ,  r'  à  die  a 
so  pà:  A  ra  fé,  da  lane  agn  mi  a  ov* 
serviate  n'ò  mail^  Irapassòu  un^  vust 
prezèt;  e  mail^  no  m^  èl  da£  un^  caii- 
rèl  da  là  pasl  coi  me  amis; 

so.  Ma  dapù  che  sto  vust  lant»  ch*rà 
majòu  ol  faé  so  coi  sgualdrìgn ,  r^  è 
v^nù ,  ì  mazzòu  per  lù  ol  vedil  ia- 
grassóu. 

SI.  Ma  lù  o  gb'à  die:  O  fant,  U  Ve 
sempra  con  mi ,  e  tuta  ra  roba  mia 
r'  è  tòu  ; 

ss.  Ma  zugnàva  be'  fa  pasl  e  sta 
alegro ,  che  sto  tò  fradìi  r'ora  mort, 
e  r'  è  resùssitòu  ;  r'  era  pers,  e  r'  è 
Irovòu. 


Tr\tt\  pa  Stalde». 


DIAfcfin  UNnARDI. 


47 


DiAumo  DI  Locamo  (  Tieineie). 


11.  On  am  Vk  avat  du  Ho; 

19.  E 1  più  gi^an  da  eostór  o  gb'  k 
dì  al  pàdar:  Pà,  dèm  la  mea  pari 
eb'a  m'toea;  e  '1  pèdar  o  gh'à  fai 
fora  i  pari. 

f  s.  Da  li  a  poc  di ,  dop  che  V  k 
Bettfi  fnsenia  tutteòss,  el  fid  più  gi6- 
faQ  o  8*è  tot  8tty  e  o  s'  n'andai  via 
lonOn,  e  li  l'è  lai  balla  t&ttcòas  in 
itraTini. 

14.  E  pS  qnand  Vk  avfit  finii  da 
ifiirm  tant  oom'o  gb*  n'aveva ,  Pè 
vegnftda  6na  gran  carestia  in  qnel 
paéfy  e  lù  l'à  comeozàt  a  aentislain 
«ieoat; 

f  s.  O  8*  n^è  danc*  andai,  e  o  8' è  ta- 
eàl  adrè  a  òn  aciùr  da  quel  paés,  cb'o 
l'à  mandai  In  d' ona  sova  villa  a  cura 
iporseèi. 

18.  E  eoatu  o  vorèva  pur  anc  po- 
dèsa  Intesnà  la  busecca  con  qui  gian- 
dasse  cb'a  mangiava  i  porscèi  ;  ma 
iissùn  a  gb'  an  dava. 

17.  Alorm  rè  tomài  in  sé  stesa,  e 
Pà  di:  Quanta  servitoraja  ìk  in  cà 
d' me  pàdar  la  noda  in  la  bondanza, 
e  mi  intani  cb'  Insci  a  crèp  da  fam. 

18.  A  voi  propi  lem  su,  e  andarò 
dal  me  pà,  e  a  gh'dirò:  Pà,  a  l'ò 
propi  faja  grossa  col  Signor  e  con  vù  ; 

19.  Ormài  a  no  mèrli  più  da  vess 
damàt  vosi  ilù;  (em  come  vùgn  di 
Tost  servitùr. 

90.  E  «  fojèndas  su,  l'è  vegnùldal 
tè  pà.  Quand  p5  l'era  ancmò  lontàn, 
0  l'à  vedùt  el  so  pà,  e  o  s'è  movùt  a 
compassiógn,  e,  corèndagh'incontra, 
0  s' i  gb'  è  buttai  sul  coli,  e  o  '1  basa  su. 

81.  E  '1  fid  0  gb'  à  di  :  Pà,  a  T  o  propi 
l^a  grossa  col  Signùr,  e  con  vù;  ormài 
a  no  mèrli  più  da  vess  clamai  vosi  fio. 


88.  Ma  el  pàdar  l' à  di  al  aervitón 
Presto,  porle  obi  el  più  bel  vestid,  e 
vestiK«ù,  mettigb  l'anèl  in  dit,  e  i 
scarp  In  pè; 

ss.  E  mene  scià  6n  vedèl  ingrasaàt» 
e  mazzèl  io,  e  mangièm ,  e  f^  past; 

94.  Percbé  sto  me  fio  l'ara  mori, 
e  rè  tomài  In  vita;  l'era  pera,  e  o 
s' è  trovai.  E  li  i  s'è  mettùd  adrè  a  fa 
pasi. 

88.  L'era  mo  el  so  fio  maggtur  in 
campagna,  e  In  dal  vegni,  e  In  dal  vi« 
sinàss  ala  cà,  l' à  sentid  a  sona  e  canta. 

98.  E  l'à  ciamài  ón  aervltàr,  e  o 
gb'  à  domandai  quel  eb'  l' era  sta  roba. 

87.  E  coslù  o  gb'  à  di:  L'è  vegnùd 
el  vosi  fredèl,  e'I  vosi  pà  l'à  maz- 
zàd  iè  ón  vedèl  Ingrassai,  percbé  l'è 
tomài  salf. 

98.  L' è  donca  andai  In  celerà,  e  o 
no  voreva  miga  andà  in  cà;  però  l'è 
vegnù  iora  el  so  pà,  e  o  s'è  metiùd 
adrè  a  pregai. 

89.  Ma  coslù,  respondènt,  o  gb'à  di 
al  so  pà:  Ecco,  I  è  già  lanci  an  cbe 
mi  a  v*  siag  in  obedienza,  e  a  no  son 
mal  andai  fora  óna  volta  dal  vosi  oh 
mànd;  e  a  m'i  mal  dai  ón  cavrèi  par 
sta  ón  pò  slegar  eoi  me  amis; 

so.  E  in  scambi ,  apena  eh'  o  l' è 
rivai  sto  vosi  Ù6,  cbe  l'à  consumai 
tùl  el  fai  so  col  siraSùn,  a  gb'ì  maa- 
zàd  lo  ón  vedèl  ingrassai. 

51.  Malùogb'à  di:  Fio,  ti  te  sé 
sèmpar  con  mi,  e  tùl  el  me  l'è  tò; 

52.  Ma  bisognava  fa  past,  e  sta  alè^ 
gar,  percbé  sto  tò  fredèl  l'era  mori, 
e  l'è  tomài  In  vita;  l'era  pers,  e  o 
s'è  trovai. 

TSATTA  DA  STALDER. 


48 


PARTE  PRmA. 


Dialetto  o' Intra  (  yerbcMese), 


fi.  Un  òm  u  gfa'eve  du  fidi; 

19.  E^l  pùssè  pinm  u  gh^à  dii  al 
id  pa:  0  pa,  dèm  la  meja  pari  ch^  o 
m^  tucche.  E  lui  u  gh^  à  ftpariL  fò  la 
sostanse. 

13.  Da  ino  a  poc  di, ul  pùssè  pinìn 
yà  M  su  ul  fagòtt,  ere  n࣠lontàn, 
e  là  u  s^è  mettu  a  stranagià,  mac- 
dànd  e  bevènd  mèi. 

14.  Dopo  rà  bù£  faó  fò  ul  fad  so, 
rè  gnu  una  gran  caristie  in  cól  pa- 
Jés,  e  la  gh'  nava  ma  alla  gran  potane; 

15.  Quand  u  n^  gh  à  vù  più  d'dané, 
rè  nai  da  on  sciór  d^  cól  psjés,  ch'u 
V  k  mandò  a  una  suva  vigne  a  cura 
I  porscèi. 

16.  E  r  èva  tanta  la  gbèlne  ch^u 
pative,  eh'*  1  sarèssan  staò  bun  i  glan* 
darògol  di  porscèi;  ma  gnanca  d^quii 
i  gb^an  dàvan  asse. 

1 7.  U  gb^  è  gnu  in  ment ,  e  T  à  di£: 
Quant  servitù  in  cà  dui  me  pà  i  gb^àn 
pan  fin  cbMn  vólen,  e  mi  cbi  crapi 
d^fam. 

18.  A  tomaró  a  cà  dui  me  pa,  e 
a  gb'  dirò:  Al  me  pà,  a  som  stad  un 
gran  balossùn; 

19.  A  n^  mèrli  prdpl  pli2  cb^  a  m''te« 
gnìgbi  par  fio;  fèm  fa  ul  servitù. 

90.  £  fai  e  di£  V  è  tornò  a  cà.  Quand 
i^è  staè  a  un  scert  post ,  ul  so  pa  u 
r  à  visi,  u  gb^  à  vù  compassiùn ,  u 
gb^è  curù  inconire,  u  Pà  brasciò,  u 
l' à  basò  su  tùtt. 

91.  E  ul  tus  u  gb'à  dio:  Car  pà,  a 
•om  staè  un  gran  balossùn  ;  a  n^  mè- 
rli propi  più  cb'a  m' tégnigbi  par  flò. 

99.  EM  pà  rà  domandò  i  servitù. 


e  ul  gb'  à  dio:  Presi,  né  a  io  i  pago 
più  beli,  vistil,  mitìgb  su  I  anèi,  e 
calsèl; 

95.  Corri ,  maizè  ul  videi  più  graaa^ 
maccèmai,  stèm  alégar; 

94.  Parcbè  sto  me  tus  Feva  mori, 
e  rè  rlsciùscitò;  a  l'évom  perda,  e  a 
rem  tornò  a  trova.  £  1  àn  comensò  a 
porta  in  tàvole. 

98.  Ul  fio  maggior  u  l'ève  in  cam- 
pagne, e  in  d' ul  toma  a  cà,  Ta  aeoii 
a  sona  e  fa  festin. 

96.  U  gb'à  domandò  a  un  servitù, 
cosse  l'ève  còl  catabui. 

97.  E  eòi  u  gb'à  dio:  Catt!  L'ègnù 
a  cà  so  fradèl ,  e  ul  so  pà  l'à  faé 
mazza  ul  videi  più  grass,  parche  l'è 
tornò  san. 

98.  A  senti  insi  l'è  gnu  rabbiòeome 
un  can,  e  u  n' volevo  mia  gnì  in  cà. 
Ul  pà  l' è  gnu  fò  lui,  e  u  gb'nava  adié 
com  i  bun. 

90.  Ma  lui  u  l'à  rogantò  su:  L'è 
ianò  agn  cb'a  som  in  cà,  a  n'  v'ò 
mai  disùbidi  ona  volta,  e  a  a'  m' i 
mai  dad  gnanca  un  cravèii  da  sia  un 
pò  alégar  com  i  mei  oompàgn  ; 

80.  Ma  quand  l' è  gnu  còl  cb'  à  mae- 
dò  tùtt  ul  fad  so  com  i  pelànd ,  a  i 
subii  faò  pasi,  e  piantò  fistin. 

81.  E  ul  pà  ugb'  à  rispondo:  Sent, 
ul  me  car  tus,  ti  ti  stài  sèmparchilò 
con  mi,  tùtt  coi  cb'è  me  l'è  io; 

89.  Ma  l'èva  bè  di  giùsi  da  sia  un 
pò  alégar,  parcbé  sto  io  fradèl  che 
l'èva  mòri,  l'è  risciùsdiò;  a  l'évam 
perdù,  e  l'èm  tornò  a  trova. 

N.N. 


DIALBITI  LOMBARDI. 


40 


DiALBTTo  M  Boroomaubro  (  f^erbanete  ). 


II.  Al  gVéra  na  botta  un  òmu,  e 
riva  da  mattjj; 

f  s.  EM  pia  lama  da  caséi  Tà  die 
unse  a  so  pari  :  Pari,  dèmPl  me  tocu 
ch^a  vèomi  ;  e  la  rè  sparté  fóghi  la 
roba. 

is.  Da  là  poc  tempa,  ast  mata  V  à 
tira  riva  tal  cai  eh'  r  Iva  tucàghi ,  e 
rè  naé  via  a  stimma  lantàn  lantàn^  e 
r  à  mangia  U  fot  so  cun  al  svaldrini. 

f  4.Equand  Vk  bid^ngaalà  tut  cassi, 
rè  gnoghi  na  gran  carestia 'n  ta  cui 
paba,  e  la  Vk  smanzà  a  vél  da  bsò- 

ts.  E  rè  nai  Ink,  e  rè  tacassi  tacà 
B^omn  du  cu  siti  là^  eh'  Vk  mandala 
a  vardè  I  pariel  In  t' la  sd  campagna. 

f  a.  E  riva  vòja  d'ampini  la  pania 
dal' glandi  cbM  mangiava  i  nimài; 
Ba'nzun  dàvaga. 

17.  Qaand  r  à  bid  tira  cà  '1  co,  Vk 
di£  unse  tra  dMii:  Quanci  sarvitùi  a 
di  d'mè  pari  I  àn  pan  fin  chM  vòlu, 
e  me  chilo  i  crapi  d' la  fami. 

18. 1  lévarò  so,  e  i  narò  cà  d' me 
pari,  e  I  diròghi:  O  pari,  i  ò  ofTando 
al  Signor,  e  va; 

19. 1  n'mertl  pio  da  vèss  clama 
vosi  fio;  tignami  come  un  di  vost  sar- 
vitùi. 

90.  Al  leva  so ,  e  H  va  da  so  pari. 
L'era  'dcù  luntàn,  che  so  pari  rà  vù- 
stala,  e  rà  santossl  a  piani! M  cor, 
ere  nàciaghi  'ncuntra,  rà  clapàlu'n 
tal  cola,  era  basa  solu. 

SI .  E  n  fio  rà  dìciughi  :  Pari ,  i  ò 
offesa  al  Signor,  e  vii ,  i  n'  merti  piò 
da  vèss  clama  vost  fio. 

ti.  Alora  '1  pari  l'à  diclu  ai  so  sar- 
vitùi :   Pràstu ,  portò  &a  la  più  bela 


casacca ,  e  matte  sdgla  ;  outtèghl  'n 
di  'n  aneli,  e  caazèlu; 

98.  E  né  tò  subtu'n  bel  vide,  mas- 
zèla,  mangluma,  e  fuma  na  raccon- 
chiglia; 

94.  Parche  usi  me  matta  Pera  mor- 
ta, e  rè  risuscita;  Pera  persa,  e  I  ò 
tra  vàia.  B  i  àn  amamà  la  Savaròtta. 

9a.  Al  prùmmu  di  du  mattai  Tera 
fò  'n  V  un  campa  ;  e  'n  r  al  gai  cà , 
quand  Tè  sUé  a  riva,  rà  santo  ch'i 
sunavu,  e  ch'i  cantavu. 

96.  Vk  clama  un  di  sarvitùi,  e  l'à 
dumandàghl,  cud  l'era  sta  roba; 

97.  E  cui  sarvitù  rà  die  unséghi: 
L'è  gno  cà  vost  fradè,  e  vost  pari  l'à 
fad  mazze  'n  vide  bel  grassu ,  par  al 
gùstu  da  vèghllu  san  e  salvu. 

98.  L'è  gnòghi  la  futta,  e  l'uriva 
gnanca  ne  'n  cà.  E  inora  l'è  gno  fò  so 
pari,  e  rà  smanzà  a  préghèlu  da  né 
denti. 

99.  Ma  la«  rispondènti,  l' à  di£  a 
sd  pari:  Ecu,  Ina  tanè  agni  ch'i  ser- 
vivi, e  I  ò  mal  disabidévvi  'n  botta, 
e  vu  i  mal  gnanca  dàciumi  'n  cravic- 
chi ,  eh'  i  podiss  8tè  légru  con  i  me 
amisi; 

30.  Ma  dapussu  eh'  i'  è  gno  cà  stù, 
eh'  r  à  mangia  tùt  cussi  cun  al  plandi, 
i  mazza 'n  vide  du  cu'ngrassa. 

SI.  Ma  lù  rà  die  unséghi:  Abba 
pu  nutta;  té  t'é'l  me  caro,  e  tùt  cui 
ch'i  ò,  rè  tùt  cuss  tò; 

59.  Ma  a  n'  s'pudiva  parò  fé  d'man- 
cu  da  stè  légri,  e  fé  'n  bel  disné,  par- 
che tò  fradè  l'era  mòrtu,  e  l'è  risu- 
scita; l'era  pérsu,  e  l'è  staÒ  truvà. 

Nicolò  E.  Cattaneo. 


M 


PARTE  PRIMA. 


DuLEtTO  Bergamasco. 


fi.  Òn  òm  el  gh'  ia  du  Adi; 

is.  EU  pio  zùen  de  lur  V a  déé  a 
so  pàder:Tata,dèin  la  porsiù  deso- 
atansa  ch^el  me  foca  ;  e  IfiU  ghe  divide 
la  sostansa. 

fs.  Dopo  poc  de,  ol  pio  zùen  rà 
regondit  tot  ol  so,  e  Tè  ^ndaó  in  paìs 
lontà^  e  là  rè  dissipai  quat  al  gh^ia 
a  viv  de  barachér. 

I  «.  E  dopo  ch^  el  s^  è  majàt  tot  ol 
tò  >  al  8^  è  fa£  in  quel  pais  dna  care- 
atea  gajarda ,  e  U  comensè  a  èss  al 
bisògn  \ 

in.  Vh  ^ndaé  doca  a  tacàss  a  a  be- 
nestànt  de  quel  pais,  ch''el  Vk  man- 
dàt  fò  *n  da  so  campagna  a  fa  pascola 
I  porsèi. 

1 6.  E  là  M  deslderàa  de  impieniss 
la  pansa  di  glande  cIiU  mangiàa  i  stess 
soni  ;  ma  nlssu  gh^  en  dàa. 

17.  Turnàt  in  lu  Vk  dèi:  Quate  bi- 
sacche  In  cà  de  me  pàder  i  g'  à  dol 
pà  a  brondós ,  e  me  che  crape  de  fam. 

18.  Learò  so ,  e  ^ndarò  de  me  pà- 
der ,  e  ghé  dirò  :  Tata ,  è  pecàt  oon- 
tra  H  siél  e  contra  u; 

19.  Za  no  so  pid  dègn  de  ess  claraàt 
vost  fldi;ciapém  come  ù  di  vose  sguà- 
ter. 

90.  E  csé ,  sbalsàt  in  pè ,  M  végnè 
de  so  pàder;  ma  Pera  amò  de  lontà, 
ehe  so  pàder  el  i^à  dogiàt;  el  s^è  mùit 
a  compassiù,  e,  corìt  incontra,  U  ghe 
8^ è  botai  al  col^  e'I  Pà  basai  so. 

SI.  01  fidi  el  gh'à  déé:  Tata,  ò  pe- 
cài  contra  H  siél  e  contra  u  ;  za  no  so 
pId  dègn  de  èss  clamai  vos  fidi. 


fis.  Ma'l  pàder  Vk  dèa  ai  so  ser- 
vitùr:  Prèsi,  porle  che  H  pio  bel  kbet, 
e  vestii;  meliga  Panel  in  dii,  e  i  scar- 
pe in  pè  ; 

28.  Méne  che  ù  vedèi  ingrassai,  e 
copél ,  e  maèm ,  e  fèm  baracca  ; 

24.  Perchè  sto  me  fiol  P  era  mori 
e  Pè  resussitàt;  Pera  pera  e  sTà 
troài  ;  e  csé  i  comensè  a  fa  festa. 

96.  01  fidi  magiùr ,  che  Pera  lo  ^: 
di  cap ,  in  del  lumà  a  cà ,  Pà  seniii 
a  sunà  e  canta; 

86.  Clamai  ù  di  so  servilùr,  el  g^ 
domandai,  cossa  Pera  sto  baci. 

27.  E  lu  \  gh^à  rispondit: L'èégnit  tò 
fradèl ,  e  tò  pàder  Pà  copài  ù  vedèl* 
grass,  perchè  '1  Pà  ricuperai  sano  e 
salvo. 

28.  Alura  al  fradèl  magiùr  al  ghe 
saltò  la  mosca ,  e  '1  volia  miga  ^ndà 
^n  cà  ;  e  'i  pàder  Pè  égnii  fò,  e  Pà 
comensài  a  pregai. 

29.  01  fidi  Pà  rispósi  a  aò  pàder s 
Ecco ,  a  me,  che  1*  è  tace  ago  ehe  t» 
ser\'e,  sensa  mai  trasgredì  ù  vost  «r^ 
den ,  no  m' i  mai  daò  gnà  u  cavrèi 
de  godim  coi  me  amìs; 

50.  E  dopo  che  P  è  égnii  sto  idi 
che ,  che  P  à  majàt  tot  ol  so  col  p9> 
tane ,  i  copài  ù  vcdèl  ingrassai. 

51.  Ma  M  pàder  el  gh'  à  déò:  Té^  1 
me  s£èt,  te  sé  sèmper  con  me,  e  iol 
ol  me  Pè  tò; 

52.  L^era  però  de  giosi  de  god  e 
tripudia,  perchè  sto  tò  fradèl  Pera 
mòri  e  Pè  reégnit;  Pera  pers  e  s^  Pà 
caiàt. 

Pite  RucQte  DB  Staiéu. 


DIALSm  LOMBARDI. 


5i 


Dialetto  Ceemasgo. 


1 1.  (tal  òm  «1  gh'  avia  du  liói  ; 

it.  Al  plissé  z6en  Vk  dei  a  «è  pÀ- 
éerz  Papày  dam  la  part  cbem^aVé; 
f  lù  'I  gh'*  a  spartii  la  so  roba. 

is.  Dopo  qualch  de,  al  posBe^sòeni 
rà  fai  só'^l  fagòi  de  tòi  quel  ch^al 
fh^avia^  Tè  andai  In  Tun  paés  luntà 
hiBtà  9  e  là  rà  spendti  idi  el  so  in 
di  Tèsse. 

14.  Quan  rà  avii  consumai  Ì6ì,  Ve 
égnii  una  gran  caresiéa  in  quel  paés, 
€  là  al  gh^  ìa  miga  de  cumpràss  da 
Dangià; 

15.  Alarm  Tè^ndài  da  on  siùr  de 
quel  paés ,  ch^  el  r  à  mandai  nel  so 
fios  a  yardà  1  ròi. 

le.E  luH  vena  impienìss  la  pausa 
cole  glande  che  magnàa  i  ròi;  ma  nissù 
gti'  a  na  dàa. 

17.  Alura  al  s^è  mess  a  pensa  i  fai 
90,  e  r  à  dèi  da  per  lu:  Quanti  ser- 
vitùr  in  casa  da  me  padre  i  gh^  à  pà 
fnftna  chM  tòI,  e  me  che  mòre  da 
Um. 

18.  Léarò  so,  andarò  da  me  padre 
t  fh'^a  dirò  :  Pupa,  me  ò  pecai  anvèrs 
al  Signor  e  ^nvèrs  de  té  ; 

li.  Ilo  so  miga  dègn  che  te  me  cià- 
net  pò  io  fiòl  ;  ma  iègnem  come  ^n 
lo  serviiùr. 

to.  L^  è  leài  so ,  e  r  è  égnii  da  so 
Mre  ;  quand  V  era  amò  luntà ,  so 
padre  rà  Tési;  Pà  sentii  cumpassiù, 
el  gh^è  curii  ancunira,  el  gh'*à  trai 
i  brasa  al  col ,  e  ^1  P  à  basai  so. 

tt.  El  fiòl  el  gh^à  dèi:  Pupa,  méò 
pecài  anTèrs  al  Signor  e  anvèrs  da 
té;  e  no  so  miga  dègn  che  ie  me  eia- 
nei  tò  fiòl. 


9ft.  Ma  el  pàder  P  à  dèi  ai  so  ser- 
viiùr: Presi  y  poriè  che  el  vestii  p5 
bel ,  e  metìghet  sò^  meliga  so  ^  anèl 
an  dit,e  meliga  so  dele  bele  scarpe; 

25.  E  mene  che  ^n  vedèl  grass ,  e 
massèl,  ch'el  mangiarèm  e  farèip 
festa; 

24.  Perchè  sio  me  fiòl  Pera  mori 
e  adès  P  è  resuasliài;  P  era  perdii»  e 
adèss  l'èm  iruài;  e  f  s^è  mesa  adrè 
a  mangia. 

sa.  El  fiòl  prèm  P  era  a  fora ,  t 
quand  Pè  iumài,  che  Pè  stai  areni 
a  cà ,  P  à  sentii  a  sunà  e  canta. 

sa.  L'à  clamai  on  serviiùr,  e^l  gh^à 
dumandài  cessa  che  Pera  quel  baca. 

97.  E  'I  ser\'itùr  al  gh'à  dèi:  È  ègnii 
io  fradèl ,  e  io  padre  P  à  massài  ^n 
vedèl  grass ,  perchè  P  è  tumài  sa. 

28.  Lù  P  è  ^ndài  an  còlerà,  e  ^1  vu- 
ria  miga  'ndà  'n  casa  ;  ahira  ^1  padre 
P  è  ègnii  fora ,  e  '1  P  à  clamai. 

29.  Ma  lù  'I  gh'  à  dèi  a  ftò  padre  : 
Varda,  P  è  tanti  an  che  me  ie  serve, 
ia  so  sempre  stai  obedièni;  e  ia  m^è 
mai  dai  un  cavrèi  da  mangia  cui  me 
cumpàgn  ; 

so.  E  perchè  è  ègnii  sto  tò  fiòl,  che 
Pà  consumai  tot  an  dM  vèsse,  té  rè 
massài  un  vedèl  grass. 

51 .  Ma  M  padre  n  gh^  à  dèi  :  Seni , 
al  me  fiòl ,  té  ia  sé  sempre  con  me , 
e  tot  quel  che  g^  ò  P  è  tò  ; 

ss.  Bisognava  però  (à  festa  e  alè^ 
gréa ,  perchè  sto  iò  fradèl  P  era  mori 
e  adèss  V  è  resùssliàt;  P  iem  perdit  e 
adèss  Pèm  iruài. 

Faustino  SAitsEvaaiao. 


59 


PART  miMA. 


Dialetto  Ciemasco  Rùstico. 


11.  fl'ùmen  a'I  gh*ia  da  bagài; 

18.  'L  pò  dòen  Vk  déé  a  so  tà:  Ti , 
dèm  la  pari  dal  me ,  che  m' a  teca  ; 
e  lu ,  8Ò  tà,  a'I  gb*à  faè  tra  lar  le  dU- 
sgiù. 

fs.  Da  le  a  poc  de,  fa£'l  fagòl  da 
tot  al  so ,  'l  bagài  pò  dóen  V  è  naò 
amvià'n  d'on  pais  da  luns  féss,  e 
ìkn  gh'  a  consumai  fò  tol'I  sò'n  stra- 
vesse. 

14.  Dopo  cli'el  gh'à  livràt  da  daga 
la  fi,  'n  chel  pais  gfa'è  iia£  na  cara- 
atea  putardia,  e  là  '1  s'è  trdit  prope'n 
bisògn; 

itt.E  gh'  è  Ignit  'n  cor  da  nà  da  ]u 
dal  paìs^  al  qual  al  Vk  cassàt  an  la 
vela  a  là  '1  purchér. 

16.  E'I  sa  saràv'nféna  sadulàt  co 
11  glande  di  roÌ  ;  ma  nissu  ga  na  daa. 

1 7.  A  la  fi  a  '1  8'  è  faé  na  rasù ,  e 
da  lu  'n  tar  lù '1  gh'  k  dèe:  QuaÒ  ser- 
Titùr  an  ca  da  mi  tà  i  gh'  à  '1  pà  *» 
bondansia,e  me  so  che  quase  ^n  pisa 
da  la  fam. 

1 8.  Naro  véa  da  che ,  narò  da  me 
tà,  e  ga  disarò  :  Tà,  me  gh'  ò  faó  '1 
pacàt  ancuntra'l  siél,  e'ncuntra  n; 

1 9.  Me  no  so'  pò  degn  da  ess  ciamàt 
Tost  bagài  ;  tratèm  anfurma  1  vos£ 
servitùr. 

80.  E  sensa  fa  tate  sprolunghe,  l'è 
na£  da  so  tà.  ^Nsibé  che  l'era  amò  da 
luns,  so  tà'l  rà  cngnussit,  gh'è  ignit 
da  caragnà,  a'I  gh'è  curit  ancuntra, 
e  brassàndol  so  '1  l'à  basàt. 

81.  'L  bagài  n  gh'  à  dé£  :  Tà ,  me 
gh^ò  faò'l  pacàt 'ncuntra '1  siél,  e 
cuntra  n  ;  me  no  so  pò  degn  da  ess 
ciamàt  vost  bagài. 


88.  E  '1  tà  l'à  dèe  ai  servitùr:  Dè- 
mo, svelte,  semi  lo  la  vesta  pò  reca, 
e  matiglaso;  matigalaéra*!!  daldll, 
e  i  scarp  an  dM  pè; 

8s.  Mane  '1  vadèl  pò  graas  e  nas- 
se!; sa  maje  e  sa  bie  alegramcnto; 

84.  Che  sto  me  bagài  Tera  mort» 
e  rè  resussitàt;  al  s'era  pardit,  e1 
s' è  truàt  amò.  E  le  1  à  scameiisàll 
diertimèt 

85.  'Ntat  tuma  a  cà  l'otre  bagài  pò 
vè6  che  l'era  a  fò,  e  1  seni  a  snaà  e 
canta; 

86.  A  M  clama  'n  servilur,  a  1  ran- 
turèga  da  sto  budéss. 

87.  E  lu'l  gh'à  respundil:  Gb'è 
lumài  a  cà  tò  fradèl,  e  lo  tà  l'à  M 
massa  'n  vadèl,  perchè  '1  Tà  qnlstàt 
sa  e  salv  amò. 

88.  E  lu  r  è  na£  tal  an  còlara,  ch'el 
vurìa  mia  nà  da  dét  Hura  so  tà  l'è 
ignit  da  fò  a  pregai. 

89.  Ma  lù'l  gh'  à  respundil:  I  è  lai 
agn  che  va  serve,  e  gh'  ò  faè  senp 
tòt  chel  che  m' i  urdenàt;  e  m'i  mai 
da£  gnà  'n  cavrèi  da  god  an  cnmpa- 
gnéa  di  me  camarade; 

80.  Ma  daché  gh'  è  Igni!  a-^cà  sto 
vost  bagài ,  ch'el  gh'à  llvràl  da  eoo- 
sùmà  fò  tòt  con  de  li  dono  da  mal  A» 
gh'  i  massài  al  vadèl  pò  grass. 

81.  Ma  '1  tà  '1  gh'  à  dèe:  Bagài,  té 
l' a  sé  semp  con  me,  e  tòt  chel  die 
gh'  ò  me  l' è  a'  tò; 

88.  Ma  Tera  bé  da  giòsto;  che  slés- 
sem  'n  pò  alegraméni  e  féssem  na  fe- 
sUola,  perchè  sto  tò  fradèl  l^era  mori, 
e  rè  resussitàt; a '1  s'era  pardit,  e'I 
s'è  truàt  amò. 


Prete  dovAiim  SomA. 


DiAurrri  lovbarm. 


85 


DiALITTO  Bbbsguuo. 


11.  Od  òm  d  ghMa  da  tM; 

ft.  El  piò  iùen  el  disè  al  so  boba: 
Boba  y  dàm  la  pari  de  beni  che  me 
pertoca  ;  e  15  el  ga  fé  le  pare. 

fi.  Poe  dopo  el  pio  tùen,  fai  85  tdta 
h  tò  roba^  el  sé  mete ^n  viàs per  on 
paés  tonUi, e  là H  majè fora  151  el  so, 
eadei  vèsse. 

la.Dopoch^el  g^l  il eonsSmàt  t5l, 
s*  è  fkl  en  quel  paéa  ona  gran  cari- 
ttia,  e  Io  ^  seomensè  a  troàss  eo  bi- 


15.  E  randè^  e^  sé  mete  a  sèrrer 
fio  de  quel  paéa,  ch^el  la  mandè  en 
dd  aò  camp  a  Ik  pascola  1  porsèi. 

la.  E  r  aerea  volit  impieni  la  so 
panaa  dele  taèle,  che  i  mangila  1  si; 
■a  idsau  gh^  en  dàa. 

17.  Tomàt  pò  Hi  \u,  ^1  disè  :  Quaé 
senritàr  en  cà  de  me  pàder  i  gh^à  a- 
bomiansa  de  pà  ;  e  me  che  mòre  de 


IO.  Léarò  sò^  e  Ridarò  da  me  pà- 
der, e  gh*a  disarò  :  Bobà^  ò  pecàt  con- 
tro 1  SIgnàr,  e  contro  de  vò  ; 

it.  Za  no  so  piò  dégn  d^  èsser  cia- 
nài TOSI  llòl  ;  tignim  come  giù  dei 
irofC  aervilùr. 

to.  E  leàt  so,  rande  de  so  pàder. 
8è  p&der  el  la  vede ,  che  fera  amò 
de  Iona ,  èl  s^  è  moit  a  compassiù,  e, 
carèndoghMncontra,  el  gh^è  sbalsàt 
alcol,  e'iràbasàt 

ti.  Aloral  fiòl  el  gh'à  dit:  Boba, 
è  pecàt  contro  ^1  Signor  e  contro  de 
^;  n  no  so  piò  dégn  d^  èsser  ciamàt 
^foilllol. 

tt.  Ha  ^1  pàder  el  disè  ai  so  servi- 


tàr  :  Zò  prest ,  porte  che  '1  piò  bel 
àbit  e  vistil,  e  mitiga  Panel  en  dit, 
e  le  scarpe  *n  pè  ; 

ss.  E  mene  fora  5n  vedèl  engraa» 
sàt,  e  copèl,e  mangiòm,e  stòm  aie* 
gher; 

24.  Perchè  sto  me  flòl  che  che  Pert 
mori  ere  resòssitàt;  Pera  pera  e  Pè 
stat  catàt;  e  i  sa  mete  a  làola. 

28.  £1  sòèl  piò  grand  Pera*n  del 
camp,  «  Hi  del  vègner  a  casa,  qnand 
che  V  è  stat  visi ,  el  «ente  a  sona  a 
canta. 

26.  E  clamai  fSra  5n  senritàr ,  el 
ga  domande ,  che  ooltà  gh*  era. 

27.  E  lii  «I  ghe  risponde  :  V  è  rtàt 
lo  f  radei ,  e  lo  pàder  P  à  copàt  5q 
Vedèl  ingrassai,  perchè  *1  Pà  rlcfip»- 
rat  sa. 

28.  E  In  Pè  andàt  en  còlerà,  e  noi 
volia  andà  dént;  ma  so  pàder  l'andè 
fora,  e  U  se  mete  a  pregai. 

29.  E  la'*n  risposta  U  ghe  disè:  Var- 
dè ,  P  è  tao  agn  che  va  serve ,  e  no 
v*ò  mai  disiibidit;  e  vò  no  mM  mal 
dat  gnà  ^n  cavrèt  per  godimela  coi  me 
camerade  ; 

IO.  E  adèss  che  quesP  alter  che  che, 
che  Pà  majàt  fora  '1  so' cole  dono,  Pè 
tomàt,  i  copàt  per  liin  vedèl  ingras- 
sàt. 

51.  EU  pàder  el  gh^à  rispòst:  Car  el 
me  sòèt ,  té  te  sé  sèmper  con  me ,  e 
quel  ch'è  me  Pè  tò; 

52.  Bisognàa  fa  past  e  godisela , 
perchè  sto  tò  fradèi  che  che  P  era 
mort  e  Pè  resòssitàt;  Pie  pers  e  Pò 
catàt. 

Conte  Luigi  Lbcbi. 


u 


PARTS  PRIVA. 


DfÀLBVTO  M  Valcamòiiicà  (Bresciafio  rùstico). 


fi.  On  om  el  gh^ ia  do  matèi; 

19.  E  n  pio  zàen  de  lur  el  gh'à  dit 
al  pare:  Bubà,  dam  la  part  de  la  so- 
tlania  che  m^toca;  e  lu  T  à  diidìt  a  lur 
la  BOAtanza. 

18.  E  poc  de  dopo,  el  fiol  pio  luen, 
ìòi  sd  t6U  la  so  roba,  rè  "ndàt  en  d'un 
|>aÌB  lontà ,  e  là  r  à  consomàt  el  fai 
so  a  godisla. 

14.  E  dopo  i  eonsomài  tot^el  gh'è 
gnil  dna  gran  caristia  en  quel  paìs^e 
Id  rà  seomensàl  a  patì; 

1  a.  E  rè  'ndàt  a  ier  con  giù  de  quel 
pais,  ch^el  rà  mandai  eo  d'ona  so  cam- 
pagna a  pastura  i  porsèl. 

16.  E  U  gh'ia  via  d'empienìs  el  Te- 
lar de  le  glande  chM  mi^àa  i  porsèl; 
e  nlgà  i  gh'en  dàa. 

1 7.  E  pensando  so ,  r  à  dit  :  Quaè 
laureò  en  cà  del  me  pare  I  è  'n  mèz 
al  pà;  e  me  crape  de  fam. 

18.  Oi  leà  so  e  'ndà  de  me  pare,  e 
diga  :  Bubà ,  ò  pecàt  aànte  '1  del  e 
aànte  té; 

19.  No  so  pi5  dégn ,  eh'  i  medise  lo 
fidi;  tègnem  compàgn  d'un  tò  laurei. 

90.  Ere  leàl  sd  ,  e  Tè  gnil  de  so 
pare.  E'nlàl  che  Tira  amò  lontà,  so 
pare  '1  rà  èst,  e  M  gh'à  il  compassiù, 
rè  curii ,  e '1  rà  brassài,  e  '1  rà  ba- 
sai sd. 

91.  E  'I  fidi  el  gh'à  dll:  Bubà,  ò  pe- 
càt aànt'el  del  •  aànte  té;  no  so  pid 
dégn,  eh'  i  me  dlse  tò  fidi* 


99.  B'I  pare  1  gh'à  dil  ai  aervitùr: 
Prèsi,  mitiga  hidòs  la  pid  bela  gipa  ; 
mitiga  Tanèl  en  dll,  e  i  laùr  en  dM  pè( 

9S.  E  mene  che  '1  vedèl  Ingrassai, 
cupèl  e  mangiòmel,  e  stóm  alégher; 

94.  Perchè  sto  me  malèl  Tira  mori 
e  rè  resttssilàt;  Tira  pers  e  s' rà  Iroàt 
E  i  s' è  mess  drè  a  fa  '1  pasL 

95.  El  so  malèl  pid  èc  l'era  en  d'i 
camp ,  e  'n  del  toma  e  gni  visi  a  la 
cà,  rà  sentii  a  sunà  e  canlL 

96.  E  r  à  damai  giù  di  servilùr, 
e  'I  gh'  à  domandai  cosa  l' ira  quela 
roba. 

97.  E  lù'l  gh'à  dil:  Tò  fradèl  P) 
gnil,  e  tò  pare  l'à  cupài  un  vedèl  in- 
grassai, perchè  'I  rà  Iroàt  franco. 

98.  Lu  '1  s'è  'nrabiàt,  e'I  volia  mi- 
ga  'ndà  de  déler;  ma  so  pare,  gnil  de 
fò,  el  ràclamàt 

9t.  E  lù'l  gh'à  respondii  a  so  |»are{ 
I  è  tad  agn  che  te  serve ,  che  no  la 
desùbedesse;  e  mai  la  m' è  dal  un  ca- 
vrèl  de  majà  coi  me  amisi; 

so.  E  dopo  che  Pè  gnil  sto  tò  fidi, 
che  rà  dioràl  el  fai  so  co  le  porehe, 
la  gh'è  cupàt  un  vedèl  eograasàl. 

SI.  E  lù'l  gh'à  dil:  Halèl,  té  U  sé 
sèmper  con  me,  e  tdd  i  me  laùr  i  è  lo; 

69.  E  r  ira  nesessare  fa  pasl»  e  sta 
alégher,  perchè  sto  lo  fradèl  PIfa 
mori  e  rè  resùssilàl;  Pira  pera  e  aU^à 
Iroàt. 

GAsanuo  Rosa. 


DIAI.nTI   LOMBARDI. 


»K 


Dialetto  CaiMOKESB. 


11.  di'* era  n'òm  ch^el  gb^iva  du 
nói; 

f  S.  E  "^l  pu  gióven  de  lur  el  disè  al 
pàder:  Pupa,  dème  la  purziù  del  vò- 
ster  che  me  luca;  e  lù  ^1  ghé  fé  le  part 
del  so. 

is.  Dopo  pochi  de,  el  fiól  pu  gio- 
va el  ludè  80  tot,  e  Tandè  in  luntàn 
paés,  e  là  el  cunsùmè  tot  el  so  vivènd 
da  scapestràt 

14.  E  dopo  ch^  el  s^  ave  mangiàt  tot, 
yegnè  na  gran  carestia  in  quel  paés- 
li,  e  luU  cuminzè  aMghen  de  bisogn; 

f«.  E  rande,  eU  se  mete  a  sta  con 
en  siùr  de  quel  paés,  ch^el  la  mandè 
fora  cai  nimid. 

16.  E  lu  r  aràf  fina  vurìt  impienisse 
la  pansa  con  le  glande  che  mangiava 
i  nimài;  ma  nisson  ghe  nadiva. 

17.  Alura  turnàt  in  lu,  el  disè: 
Quanti  servitùr  in  cà  de  me  pàder  i 
gh'à  del  pan  da  trà^nso;  e  me  chi 
mori  de  fam. 

18.  Tudarò  so,  e  andarò  da  me  pà- 
der, e  ghe  dirò:  Pupa,  ò  pecàt  con- 
trae siél,  e  in  faccia  a  vó; 

19.  He  sont  pò  degn  d^  èsser  ciamàt 
vòster  fiól  ;  tegnìme  cume  on  di  vò- 
ster  servitùr. 

SO.  EU  tudè  so,  eU  végnè  da  so 
pader.  V  era  anmò  da  luntàn,  e  M  pà- 
der el  la  vede,  e  U  na  sente  cumpas- 
tià;  e!  ghe  cure  incontra,  el  ghe  tré 
i  brazz  al  col ,  e  U  la  base  so. 

ti.  En  fiólel  ghe  disè:  Pupa,  ò 
pecàt  contra  1  siél,  e  in  faccia  a  vó  ; 
ne  soni  pò  dègn  d^  esser  ciamàt  vò- 
ster  fiól. 

ts.  Alura  ei  pàder  al  disè  ai  so  ser- 
vitùr: Pur  tè  sobit  chi  el  pò  bel  ve- 


stii, e  vestii  s$ ,  metìghe  ^n  anèl  In 
dit,  e  dele  scarpe  ai  pé; 

SS.  E  mene  chi  el  vedèl  pù  grass, 
mazzèl,  e  mangiùm  e  stùm  alégher; 

S4.  Perché  ste  me  fiól  chi  Fera 
mori,  ere  resussitàt;  Tera  pers  e  'l 
s' è  truvàl;  e  i  cuminzè  a  mangia  alé- 
gramént. 

S8.  El  fiól  magiùr  pò  Pera  a  fora, 
e  quand  el  végnè,  e  ch^el  fudè  a  prof 
a  casa,  el  sente  chM  sunava,  e  ch^  i 
cantava. 

se.  El  dame  on  di  servitùr,  e  U  ghe 
dumandè  cussa  Tera. 

57.  E  lù  n  ghe  disè:  É  rivàt  so  fra- 
dèi,  e  so  pàder  Tà  mazzàt  en  vitèl 
grass,  perché  M  gh^è  turnàt  anmò  san 
e  salf. 

58.  E  lu  Pandè  in  colera,  e'I  vu- 
riva  miga'ndà'n  cà;  e  so  pàder  el 
venz  fora,  e  U  cuminzè  a  pregai. 

59.  E  lù,  rispondènd  a  so  pàder,  el 
ghe  disè  :  Ve  chi  tanti  an  che  ve  ser- 
vi, e  ò  sèmper  fat  né  pò  né  men  de 
quel  ch'i  vurit;  e  pur  ne  mM  mai  dai 
gnanca  en  cavrèt  da  goder  cui  me 
amich  ; 

»0.  Ha  mala  pena  che  V  è  rivàt  sto 
vòster  fiól  chi,  ch^el  s''è  mangiàt  tot 
cun  le  done  de  mónd,  sobit  gh^i  maz- 
zàt en  vitèl  grass. 

81.  E  lù  '1  ghe  disè:  Té,  fiol  me,  te 
sé  sèmper  chi  ciyi  me,  e  tot  quel  che 
g'ò  de  me,  l'è  anca  tò  ; 

8S.  L^era  pò  ben  de  gióst  d^  avighe 
gost  e  de  sta  alégher,  perché  ste  to 
fradèl  chi  Pera  mort  e  Pè  resussi- 
tàt; Pera  pers  e'I  s'è  truvàt. 

Ing,  EuA  LoMBAUHm. 


CAPO  111. 


SAGGIO  DI  VOCABOLARIO  DEI  DIALETTI  LOMBARDI. 


Spimazioiib 
Delie  abbrepiazioni  impiegate  nel  $eguenU  Vocabolario. 


Alb.  —  Albanese. 
Ar.  —  Arabo. 
Ann.  —  Armòrico. 
A.  S.  —  Anglo-Sàssone. 
Ras.  —  Bascuense. 
Ber. — Bergamasco. 
Bor.  —  Bormiese. 
Br.  —  Bresciano. 
Brian.  —  Brianiolo. 
Cai.  —  Caledònico. 
Cam.  —  Càmbrico. 
Com.  —  Comasco. 
Com.  —  Cornovàllico. 
Cr.*  —  Cremonese. 
Cr.*  —  Cremasco. 
Dan.  —  Danese. 
D.  Or.  —  Dialetti  Orient 
D.  Oc  —  DialetU  Occid. 
Dim.  —  Diminutivo. 
Ebr. —  Ebràico. 
Fem.  —  Femminile. 
Fer.  —  Ferrarese; 
Fr.  —  Francese. 
Frio«  —  Friulano. 


Gael.  —  Gaelico. 
Gen.  —  Generale. 
Gr.  —  Greco. 
Ingl.  —  Inglese. 
Irl.  —  Irlandese. 
Isl.  —  Islandese. 
It  —  Italiano. 
L.  —  Latino. 
Liv.  —  Livignese. 
Lod.  —  Lodigiano. 
Mant.  —  Mantovano. 
M.  Got  —  Meso-Gòtico. 
Mil.  —  Milanese. 
Mil.  ant. —  Milan.  antico. 
Mod.  —  Hodanese. 
Nov.  —  Novarese. 
Olan.  —  Olandese. 
Pav.  —  Pavese. 
PI.  —  Plurale. 
Prov.  —  Provenzale. 
Rom.  —  Romanzo. 
Rus.  —  Russo. 
Sans.  —  Sanscrito. 
Spa.  —  Spagnolo. 


Sv.  —  Svezzese. 
Ted.  —  Tedesco. 
Tic.  —  Ticinese. 
Tir.  —  Tirolese. 
T.  P.  —  Tre  PievL 
Tras.  -^  Traslato. 
Tren.  —  Trentino. 
V.  —  Vedi. 

V.  Anz.  —  Val  Anzasca. 
V.  Bl.  —  Val  di  Elenio. 
V.  Cam. —  ValCamònica. 
V.  Cav.  —  Val  Cavargne. 
V.  For.  —  Val  Formazza. 
V.  Intr.  —  Val  Intragna. 
V.  L.  —  Val  Leventina. 
V.  Liv.  —  Val  Llvigno. 
V.  Mal.  —  Val  Malenco. 
V.  M.  —  Val  Maggia. 
V.  Str.  —  Val  Strona. 
V.  T.  —  Val  Tellina. 
V.  V.  —  Val  Verzasca. 
Ven.  —  Vèneto. 
Ver.  —  Veronese. 
Verb.  —  Verbanese. 


Adrobaslo.  F.  T.  Pane  di  casa,  o 
casalingo.  Gr.  Arlos.  Pane;  Ba- 
stoD.  Inferiore,  più  basso. 


Adùs.  f^. 7*.  Appuntino.!. Adam u 8- 

sim. 
A g ór d.  Af .  AMMmdante»  di  buon  peso. 
Agreià.Afa.AlIrettare.-^r.eM«il. 

Greiàr.  -f^  Greiàr. 


»8 


VARTE  PRIMA. 


Ai.  y.  T.  -  Eì.  Mil  8ì. 

A  i  d  ù.  Br,  Adesso. 

Alò.  y,  Anz,  (AfTermazione)  Sì,  farò  ; 
Aula  ma.  Si,  faremo. 

Alba  r  0  l.^r .Vitello  da  uno  a  due  anni. 

Aliami  né.  MiU  Grido  di  gioja  po- 
polare in  occasione  di  nozze. 

Alp.  Gen.  Pastura  sulla  montagna, 
con  ricovero  per  le  mandre.-Ga«/. 
Alp,  ailp,  JEmlnenza;  -^r.Alb., 
Mucchio. 

Ama  da.  Com,  Zia.  -  V.  V.  e  V.  Af. 
Anda. -Aff7.  Ameda  e  Me  din;- 
presso  Como.  Midìn.  -  D,  Or. 
Mèda.  -  K.  ^fiz.  Amia,  Amia. - 
y.  Cav.  N  e  n  a.-K.  7".  M  e  n  o  n  a  {sign. 
Zia  paterna).  -£.  A  mila.-  Gr.  N  a  n* 
ne. 

Amba.  Mil.  Inclinato,  obliquo. 

A  m  b  r  e  n  a.  Br.  Correggiuolo  per  fer- 
mare il  giogo  ai  buoi. 

Amola.  Gen,  Ampolla;  dim.  Amo- 
lin.  -  L.  Hamula. 

Ampia.  Br.  -  Ampi.  Mil.  Afa,  dif- 
ficoltà di  respiro.  Trai.  Noja. 

Ancóna.  Gen.  Tàvola  o  tela  dipinta. 

Andlghèr.  Br.  Cànapo. 

Anghèl.  K  Cav.  Agnello. 

Anta.  Gen.  Sportello,  imposta,  an- 
Ceserratura. 

Ante  sin.  Mil.  e  Cbm.  Piccolo  agone 
(specie  di  pesce). 

Antù.  Br,  Lo  spazio  compreso  tra 
due  filari  di  vitL  -  Bret.  Ant.  PI. 
Antù. 

Aola.  Br.  e  Mani,  Lasca  (  specie  di 
pesce). 

A  per.  y.  T,  Steccato  che  separa  la 
stalla  dal  fenile.  -  Gael.  Aparan.  - 
Jngl.  Apron.  Steccato,  recinto. 

Após.  Afi7.-Apds.  j^r.  -  Apùs.  O*.* 
Dietro,  dopo.  -  /..  Post. 

ApròL  MiL  e  Br.  Appresso. 

Arbiòn,  erbiòn.  Mil.  e  Pa9,  -  Ar- 

bèl,  erbèLCtmi. e  F«f«. Piselli.. 

.  Gad.  Arbliar.  Bkde.  «Gr.  Ct^ 


bindos.  Cece.  -  Lai.  Ervum.  Pi- 
sello. 

A  r  e  1 1  a.  Gen.  Canniccio ,  graticcio.  - 
L.  Arundo? 

Arènt.  Gen.  Vicino,  rasente. 

A  r  g  i  à  d  i  V.  f^.  M.  Guaime. 

Arti  a.  Mil.  e  J/ant.  Rilia,  ubbia,  su- 
perstizione. 

Arsela.  Mil.  Nicchia  ,  guscio ,  con- 
chiglia. -  Bret,  Hars.  Difesa. 

Arsi  a.  Br.  Beccaccia,  acceggia. 

A  r  t  a  n  i  t  a.  Br.  Pam  porcino.  -  Gr.  A  r- 
tos.  Pane. 

Asca.  Mil.  Senza.  -  L,  Absque. 

A  scandii.  Mil.  Pigro,  poltrone. 

A  s  e  a  r  a,  à  s  e  h  e  r.  Br.  Spavento,  pau- 
ra. -  Ascher  tn  Br*  iiffn,  ancora 
Duro,  difficile. 

Asfor.  Br.  ZafTerano  falso. 

Asist.  y.  y.  Conca  del  latte. 

Assinènto.  K.  K.  Assaissimo.  la  de- 
sinenza ento  in  questa  Falle  serve 
a  formare  il  grado  superlaUvo^  d$^ 
cendosi  bonento  per  buonissimo,  be- 
lento  per  bellissimo.  JPare  che  «il 
fempo  fosse  ancora  usala  aUo  f  fasao 
modo  nelle  nostre  Proffinde,  o^  onp 
Cora  dicesi  in  varii  luoghi  Novènl 
per  nuovissimo,  Nudènl  per  nndts- 
simo,  ed  altri. 

Assossèn,  Sossèn.  MiL  Molto,  a 
suo  senno. 

Astóri,  Storfc  Siolò.  F.T.OsM 
montano.  -  L.  Tetrao  urogal- 
lus.  -  //.Astore.- £.  Astur.  Au- 
gello di  rapina.  -  Gael,  Stor.  Hor 
pe;  onde  Storg  sarebbe  alpestre* 
montano. 

Atta.  r.  M.  Padre.  -  M.  Gol.  Alta.- 
Alb.  Ate.  -  Bas.  Aita.  -  Gael, 
Athair. 

Aurizi,  Orizi,  Urizi.  Tic.  Uraga- 
no.-ÉTor.  Orivi.  -  Bom,  Aurlil. 

Àvas,  ave s.  Gen.  Vene  d'aqua  sor- 
giva-Bùian  i  àves.  SgòrsafMfle 

..  jofglve.  .  ^ 


\i  ' 


DIALETTI   LOMBARDI. 


5« 


Ba bL  f^erb.  Rospo.  -  Mil.  Inf,  e  Mant 
Muso. 

Bacalér.Or.'-Bacalàr.Afonl.-Ba- 
eili.  PaiQ,  Lucerniere,  portaluoer^ 
DSL -^WoM. Stampe.  Sta  in  piedi. 

Bada.  Mil,  Socchiùdere.  -  Par.  B  a  g  à. 
Socchiuso,  rabbattuto. 

Baga.  Gen,  Otre  da  vino. -Bagà, 
bagàr,  sbagazzà.  Cioncare,  ine- 
briarsi. -  Gae/.  Balg,bolg,buIlg. 
Sacco,  bolgia,  pancia,  ventre. -B  a- 
gach.  Corpulento,  panciuto,  obbe- 
so.  -  TeéU  Bau  eh.  Pancia. 

Bagàj.  Gen.  Ragazzo,  fanciullo.  In 
Mani.  $ign,  ancora  persona  o  cosa 
di  cui  non  si  ricorda  il  nome. 

Bàita.  Gtn.  Casolare,  capanna,  ricò- 
Tero.  Jn  y,  T.  sign.  ancora  Casa  ; 
M  alcuni  luoghi  del  MiL  Carbonaja. 
Qme$%a  voce  è  propria  di  molle  Un- 
gme  orfenlaU,  e  significa  Casa. 

Balcà.  Mil.  Br,  e  CV.* Calmare,  ces- 
sare; -  Balcàss.  Calmarsi. 

Balm.  y»  M,  Sasso,  masso. 

Bai  ma.  y.  Anz,  Cavità  formata  da 
vna  rupe. 

Balòres.  Mil,  e  Ber,  Melolontha 
vitis  (Specie  d'insetto). 

Bai 08 8.  Br,  Rozza,  carogna.  -  TVcu. 
MiL  e  Br,  Vagabondo,  furfante. 

Balsa.  Br.  Pastoja.  -  Goti,  Balt, 
belt.  -  Lembo,  stràscico. 

BanzóL  CV.*  Sgabello.  -  Boi,  Ban- 
zola,  Banzolèin.  Panca,  pan- 
chetta ;  sgal>ello. 

Baraonda.  Gen.  Parapiglia,  im- 
piccio. 

Barbe L  Br.  Farfalla. 

Bare,  y.  Mal,  Gruppo  di  case  abi- 
tate solo  in  certe  stagioni  ;  Nome 
di  varU  villaggi.  -  Com.  Bargus, 
tignifica  sopra  il  bosco. 
Bar  dò  e.  Mil.  Mentecatto. 
Bare  e.  Br.  Agghiaccio.  Quel  prato 


o  campo'  ili  cui  sogliono  i  pastori 
chiùdere  il  gregge. 

B  a  r  g  à  t.  Com.  Specie  di  gerla. 

Bari  oca.  V.  T.  Fame.  f^.  Sgajosa, 
e  Ghèine. 

B  a  r  z  é  V.  Com,  Mangiatoia.  I.Pnesepe. 

B  à  s  e  I  a.  y,  T,  Gràppolo.  -  Goti,  B  a- 
gailt. 

Basèl.  Mil.  Scaglione,  gradino. 

Basgia.  Cy.^-Basia.  Cr.* -Basla. 
Mil.  Vaso  di  terra  pel  latte.  -  Or.* 
Basgèt,  Basgiòla.  -  Mil.  Ba- 
slòt.-Pap.Ba8lòta,  Bàslèt.  Taf- 
fèria;  piatto  di  legno  su  cui  si  versa 
la  polenta.  Alcuni  lo  cogliono  deri- 
valo dal  L.  Vas  loti  (vaso  di  ter- 
ra)? 
BàzoI,  bàsgier.  Mil.  -  Bàsol. 
Mani.  Bilico;  legno  alle  cui  estre-' 
mita  vengono  apposti  due  pesi  e  si 
mette  in  ispalla.  -  Piem.  B  a  s  o.  -  £. 
Bajulum. 
Bastàg.  y.  T.  Canale  fatto  neirintemc^ 
dei  boschi  per  agevolare  Pestra-^ 
zione  del  legname. 

Béder.  Sor.  Ragazzo,  fanciullo.  - 
Com.  Bearn. 

Belzòm.  y.  f^.  Cencioso;  Bilz.  Cen- 
cio; Om.  Uomo.-  Ted.  Bilz. Fungo. 

Benìs.  D.Oc,  Confetti  di  nozze. 

Ben 5.  y.  y.  Veste  làcera,  cenciosa. 

B  e  n  t  à  r.  y.  y.  Bisognare ,  convenire. 
Jn  Parti  luoghi  di  più  Provincie  Urni' 
barde  dicesi:  Venta  che  vaga. 
Convien  chMo  vada.  Lo  slesso  verbo 
è  comune  ai  dialelli  pedemoniani  , 
e  si  adopera  solo  in  terza  persona 
singolare  del  presente.  E  qui  è 
d'uopo  osservare ,  come  allri  diOf 
lelti  abbiano  voci  eselwivamenle 
loro  proprie  a  rappresentare  lo 
stesso  verbo,  cioè:  il  Lod.^  il  Mil.  ed 
il  Parm.  fanno  uso  del  verbo  Mìkr^ 
il  Bergamasco  del  verbo  Scùmìy  il 
Regiano  di  Mgnàr,  t7  Mil.  inf.  4U 
\eriì^edallri  rùstici  dj  Scognl  r. 


«0 


PAaTB   PRIVA. 


Mikr  $i adopera  $olo  in  tetta  pers, 
ting,  diaicwU  tempi.  Scumi  ha  il 
participio  Seumit,  dieèndMi  ò 
Bcùmit,  ee.  per  ho  dovuto,  e 
coii  in  aieuni  altri  tempi  trovasi 
unito alPauiiUare;  Ugnkr  ti  ado- 
pera anche  neW  imperfetto»  che  è 
M  g  n  a  va ,  ossia^  era  d'uop<^  e  S  e  o- 
gnàr  ha  parecchie  pod  in  9arii 
tempi»  oltre  al  participio  Scogna. 
Corrisponde  al  prov,  Quignè  col 
quale  ha  qualche  consonanza.  Tutti 
questi  verbi  hanno  inolia  forza  nel 
toro  significato,  esprimendo  ancor 
più  che  il  Fr,  Falloir,  il  Ted. 
Hùssen,  e  VJngl,  To  musi.  K 
Scùmi,  eScognàr. 

herè.  T,  P.  Lumacone  ignudo. 

Bercia.  MiL  Piàngere ,  lamentarsi 
continuato. 

Berdalón.  f^.  T,  Abito  sdruscito. 

Berfòi.  T.  P,  Bisacce^  zinne. 

Berna.  Br,  Carne  vaccina. 

Bernàs.  ^r. -Bernàz.  Mil»  -  Bar> 
nas.  /Vip.  Paletta,  pala  da  fuoco. - 
L.  Pruna.- ^om.  S9iz.  Berna, 
bernase. 

Besài.  MiL  Cencio^  cencioso,  dap- 
poco. 

Bescavis.  Lod,  Sconto  che  si  fa 
sulla  pesatura  del  formaggio. 

Besià.  MI/.  Pùngere,  frizzare;Besèi. 
Puntura,  frizzo.  -  Cr,*  Bisièl.  - 
Afan.B  8  il.  Pungiglione.- /ng.  Bee.- 
S9.  Bij. -i)an.Bie.  -  ir/.  Beacb. 
Ape.  -  Ted,  B  e  i  s  s  e  n.  Mòrdere,  aver 
prurito. 

B ostica.  Brian,  Garrire,  sgridare. 

Betegà.  Mil.  e  Cr.® Balbettare -B e- 
tegòl.  Balbuziente. 

Bibin.  y,  T.  Fagiuoll.  -  JngL  Beau 
{Leggi  Bin)  significa  semi  di  legumi. 

B1&  yerò,  e  V*  T.  Tronco  d'arbore, 
fusto. 

Bicocca.  MiL  Arcohijo;  •  Bicocà. 
Barcollare. 


Bigaròl.  Br.  Grembiale. 

Bighe.  J9r.  Mugo,  frondi  diabete. 

Biót  Gen,  Nudo.-  Mani,  Pan  biùi. 
Pan  solo.- 7>d.  Bios Z.-/V10P.  Bios. 

B i  r\o,MiL  Tròttola, palèo.  K.Pirlà. 

Biro.  Gen,  Bìschero;  piccolo  chiodo 
di  metallo  0  di  legno,  che  serve  di 
perno. 

Bisàt.  Br,  Anguilla.  -  Fm.  Blsalo. 

BIS.  MiL  Riccio,  ricciuto. 

Biso.  MiL  e  Pop.  Arnia  delle  api, 
sciame,  f^  Besià. 

Biùm,  albiùm.AflI.  La  parte  meno 
colorata  del  legno  t  che  sta  Imme- 
diatamente sotto  la  corteccia.  -  L, 
Albugo? 

Biacca.  T,  P,  Abito  d'uomo. 

Boba.  Br.  Minestra  ordinaria  da  car- 
cerati. -  Mani,  Abondania ,  copia. 

B  0  d  è  S.  Gen.  Strèpito,  schiamazio. 

Boéi.  r.  T,  Sùcido.  -  MiL  Bois.  Ro- 
sticcere ,  venditore  di  carni  cotte. 

Boffà.  MiL  Soffiare.  -  ProQ,  Bufar. 

Bòga.  Gen,  Ceppo  al  piedi.  Ghiozzo 
(specie  di  pesce).  -7>d.Bogeii*  - 
Gael,  Bogha.  -  <Sp.  Boga.  Arco. 

Bojacca.  MiL  Poltiglia,  melma. 

Bojòc,  bolgiòU  MiL  Rapa  saliva 
oblunga. 

Bendai,  ^r.  Gorgo,  profondità  nel 
fiumi.  -  GaeL  Bonn,  Bonnan. 
Fondo. 
Bonza.  Gen.  Botte  lunga  da  traspor- 
to. -  Cor.  Bondhat.  Cerchio.  - 
Bret,  B  u  n  s.  Misura  pel  liquldL 
B  òr  a.  Gen.  e  Vcn.  Fusto  Idi  pianta  scor- 
tecciato, ed  atto  alla  sega.  -  Afoni. 
Vento  di  Greco-tramontam^jBòrea. 
Boràcia,  boracina.  Gen,  Piccola 
fiasca  per  liquidi,  0  pólvere  da 
caccia. 
Borea,  f^.  T,  Trivio. 
Borda.  Lod.  Nebbia.  V,  Barda. 
Bordò  e.  MiL  Scarafagio.L.  Blatta 

orientalis. 
Bordonàl.  Br,  Alare,  capàiiiooo. 


DIALSm  UmBARDU 


HI 


Borèla.ar.PftllòtU>lA-Boralà,  bor- 
ia. Gm.  Rotolare. 

Borgànl.  V.  T,  Pottànghenu 

Boryàs.  Br.  Alveare. 

Bòria.  Qm.  ed  71.  Alterigia.  -  GaeL 
Borr,  Borra.  Saperbla. 

Borie  MU.  Somaro.  -  fV.  Borri- 
qae.»^p.  Borrlco. 

Borin.  Gem.  Capèzxolo.  -  Cbr.  Bron. 
Mamaiella. 

Ber  Ine  ri.  f^erb.  Uragano,  tùrbfne.- 
GaeL  Borran.  Ira. 

Bornia.  Gm.  Cinigia,  fevilla.  -  Pop. 
Bàrnlsa.  -  L,  Gomburens? 

Bò  8.  Br,  Montone.  •  B  o  s  a.  Pècora.  - 
Boaari.  Agnello.  -  Tèd.  Bock.  - 
IL  Becco.  -  Cam,  Boc.  Capro. 

Bòa  a.  Lod.  BolHdna  del  latte  messo 
al  fooco. 

Botin.  Mil  Contadino  dell'Alto  Ml- 


BòtaoL  Br.  Circolo  di  persone  rac- 
eolte  per  trastullo.  -Ker.  Bòssolo. 

Bòt.  K.  TJe  MiL  Volta,  fiata.  -  Verb, 
Botta,  vetta.  -  Laarà  a  bòt  in 
fMlfa  la  Lombardia  e  in  moUe  altre 
parti  d^ Italia  iign.  Lavorare  a  cót- 
timo. 

Brama.  K.  7*.  Piovigginare.  -  Gael. 
Braonàch.  Piovigginare. 

Bramine.  Cbm.  Nube  grigiastra,  fo- 
riera di  temporale. 

Brandi nà.  D.  Oce.  Alari.  -  Ted. 
Brand.  Tizzone.  -  Gael.  Brann- 
d  al  r.  Graticola  ferrea. 

Brand  ola.  K  Gap.  Sbarra  di  legno 
sul  pendio  d'un  monte. 

Br an  d  6  s  (A).  Br.  In  abondanza.  Negli 
aUri  dialetti  A  branca  iign.  A 
piene  mani. 

Brasca.  Gen.  Bragia. 

Breda.  Br,  Podere  con  casa.-!.  Pr  as- 
dium? 

Brègn.  y.  7*. e ^.  Casa  diroccata,  ro- 
vina. 'Bret.  Brein.  Cancrenoso.  - 
BregD  è  imehe  nome  di  paete. 


Br  emà.  MiL  An.  Soppestare,  romperai 

Breva.  y,  T.  Vento  di  levante,  nnn- 
sio  di  pioggia.  SulLàrio  e  nU  Vtar^ 
òono  eiffo.  tm  vento  regolare  quo- 
tidiano, che  spira  da  Greco-levan- 
te.-/tol.  Brezza. -/h(rl.Breese. 

Brevà {.Cbm.  Vento  forte  di  levante.- 
Brevagéri.  Uragano. 

Bric,brica,  brig. D.Oc.Brìocielo. 
Nulla,  punto,  mica.  -MoMf.  Bri  sa, 
9Qce  emiliana,  che  signiflea  Hica, 
non.  -  Gael.  Briseadh.  frattura» 
frazione.  "  Bret.  Brlsa.  -  fV*.  Bri- 
ser.  Friare.- TVd.  Brocken.  Brìo- 
dolo;  sminuzzare. 

Bricol.  Mil.  Erti  dirupi,  balze.  • 
Goef.  Brig.  Cùmulo,  mucchio. 

Bri  gola.  y.  T.  Otre  da  vino. 

Brinscèt  y.  V.  Ginepro. 

Brisa.  Mil.  Brezza  tramontana. 

Brissón.  7*.  A  Asprella  per  lavare 
stoviglie. 

Bri  tela.  V.  7*.  0  ^.  Coltello  da  sac- 
coccia. 

Bròc,  broca.  Br.  e  Mil  Ramo  d'al- 
bero. La  poce  Broca  è  comune  a 
molti  altri  diaUlti  di  Lombardia  e 
d^ Italia.  Ne  derivò  a  tutta  V Europa 
la  9oce  b recato,  che  corrisponde 
al  francese  ramage. 

Broi.  y.  Cqi9.  Ingiallito,  vizzo.  Dicesi 
delle  foglie  degU  àlberi.  -  Ga/eU 
Brog.  Triste. 

Brojér.  ^.  Cespuglio,  macchia.- fV. 
Bruyère? 

Bromà.  Verb.  Gridare,  schiamaz- 
zare. 

Brómbol.  Br.  Tallo  del  càvolo ,  che 
comincia  a  fiorire. 

Bronda.  y.  Gop. Chioma; aiicfte Capo. 

Broppa.  y.  Anz%  Ramo  d'albero. 

Brovò,  brovàr,  broàr,  sbrojà. 
Gen,  Sboglientare,  scottare. 

Brùg.  Gen.  Èrica.-  Brughéra.  Eri- 
ceto.- fV.Bruyère.-^ref.Brùg, 
Brnk. 


62 


PAàTB  PEIMA. 


Braga,  y,  Cw.  Piccolo  promontorio 
sopra  un  monte. 

Brugi^  brùgià.  MiL  e  ^r^on. Mug- 
gire, ed  anche  Rugghiare  del  tuono. 

Brumadurà.  V,  Ca9.  Fart>ollire, 
cuòcere  nell^aqua.  -  Forte  dMlU 
PrematurareV 

B  r  0  8  £  i  a.  MiL  Inf.  Vespijo,  ed  anche 
Favo.  •  Mant.  Bresca. 

Bugà.  Brian,  Il  rumoreggiare  del 
tuono. 

B  ù  1  a  r  d  é.  MiL  Frastuono ,  chiasso. 

Buio.  Gen,  Bravaccio,  prepotente. 

Barda.  Cr,'^  Nebbia.  -  MiL  e  Lod. 
Borda. 

Bùrné.  y,  Jnz.  Bacino  formato  dal- 
l' aqua  stagnante.  -  GaeL  Bum. 
Aqua. 

Burza.  Br,  Argine  erboso  dei  campi. 

Bùscelèt.f'.TMJlmus  suberosa. 

Bdza.  y.y.  Torrente  gonfio.  -  ^erb. 
Torrente  che  serve  a  trasportare  al 
piano  i  tronchi  d*  àlbero. 


Caedù. Z).  Or,"  Cavedón.  D,  Oc, 
Alari  ^  capifoco. 

Caglia.  Br,  Pìccolo. 

Cài 8.  y,  T,  Pècora  novella.  -  Gaxl, 
Càise,  càis.-Gomò.Caws,  caas.- 
TtA,  Kase.  -  X.  Caseus.  Cacio.  - 
GaeL  Coarai  eh.  Pècora. 

Cai  ss.  V,  T,  Rana  arborea. 

CajaS.  V,  M.  Càrico  enorme  di  fieno. 

Cala.  MiL  Mancare.  Prw,  Caler. 

C ala s ter.  MiL  Sedili,  sui  quali  pog- 
giano le  botti.  -  Corti,  Calatter. 
Sostegno  che  tiene  ferme  ed  unite 
le  parti  di  un  tutto. 

Cali.D.Or.-Calizen.Cr.^-Calisna. 
Pop.  -  Carisna,  calùien.  MiL  • 
Calozen.  V,  Cam,  -  Calùzene. 
yen,  Fuligine. 

C>^\\t,  MiL  anU  Casale,  abituro  al- 
pestre rovinato.  -  fV*.  Chalet,      i 


Calméder.^.-Calmè.AAi.-Mèta, 
Gen,  Calmiere. 

Caiobrósa.  Br,"  Calabróaa,  ga* 
1  a  verna.  Mant,  Brina,  gelaverml, 

Calsèder.  Br,  Secchia  di  rame.  Cai» 
cidra.  -  Gr,  Calcos.  Rame.  Tdor. 
Aqua.  ■  ^ 

Cambra.  Br,  Arpese.  -  Cambra. 
Sprangare. 

Cambròsen. ^r.Ligusirum  vai- 
gare. 

Caminada.  Br.  Sala. 

Càmola.  G€n.Tignuòla. -Gae/.Canii% 

Canà.  y,  T,  Piàngere. 

Canada,  y,  T,  Gran  fame. 

Canaja.  y,  L,  Fanciullo,  ragazso. 

Canàvola.  y.  Co»,"  Canàvra.  J#/i. 
Collare  delle  vacche,  dal  quale  pen- 
de il  sonaglio. 

Cane.  Br,  Capelli  grigi.  L,  Canua. 

Canèe,  y,  y.  Stanza  diroccata. 

Cantarana.  MiL  Fogna,  chiàvica,^ 
cloaca.  -  Gael,  Cannràn.  Palude, 
stagno  fangoso.  -  jirm,  Can.  C|e 
rogna. 

Cantir,  cantér.  Gen.  Palo  lungo, 
che  serve  a  formare  i  ponti  da  fii- 
brica.  « 

Caput.  Br,  Cupo,  profondo. 

Caragnà.  D,  Oc,  Ragnar.  Afoni. 
Piàngere  leggero  e  continuo.  -  C  a  r  a- 
gnada.  Piagnistèo.-  Caragnènt 
Piagnolente. 

Caràs.  ^r.-CaràS.  MiL  Palo  grosso 
da  vite.  -  £.  Charax. 

Carebe.  Br,  Luogo  stèrile  e  deserto; 
anche  Trivio  e  quadrivio.  -  K.  Ca- 
róbi. 

Caréó.  f'0r6.  Gioncajo,  giuncheto. - 
L,  Carectum. 

Carezà.  y,  y.  Ingrassar  bovini  per 
macello. 

Caróbi.  Gen,  Quadrivio. 

Caròl.  Cr.^  e  ^r.- Cairo.  MiL  Tar- 
lo; ed  anche  la  pólvere  che  questo 
insetto  prodttcer  "U  Gajri««* 


DIALBITI   LOMBARDI. 


53 


Cariga.  Carfigola.  Aftl.  Melo- 
lonihft  vitis.  -  Arm,  Crug. 

Caspa.  Br,  Coochiaja  per  fornace. 

Càt  y.  V.  Legna  spaccata. 

Catamò.  Br,  Gutrèitola. 

Catigol.  Or*  SoUèUco,  dilètioo. 

Ci  ni  a.  y.jinz,  Stminento  che  serve 
a  portar  pietre  sulla  schiena. 

Cavàgn.  Gen,  Paniere;  Dim,  Cava- 

gBO. 

Ci  ve  d.  Mit  Tralcio  novello  della  vite. 

Cavedagna,  cavdagna.  Gcn.  Viale 
che  separa  un  campo  dall'altro ,  e 
serve  di  passaggio  ai  carri  pel  tras- 
porto dei  ricolti.  -  JL  Caudanea. 
Lembo  laterale. 

Cavèi.  àiiL  Assettato ,  acconciato.  - 
Cavexià.  Assestare ,  ordinare. 

Gerii.  CrJ^  Sbigottito^  maravigliato. 

Chiglia,  y.  i49.  Qui,  Ivi.  y.  Chilo. 

Cbilbi.  7Ve.  Festa  patronale.  -  Ted. 
Kilbe. 

Chilo.  Kerfr.  Qui,qua.-iL.  Hlc  loci? 

Chiloira.  y.  Anx.  Faggio. 

Chlròr.  K.  y.  Avellana.  -  y.  T.  Co- 
leri. -L.  Corylus. 

Chisòt  y,  T,  Agnello  di  circa  un 


ChltèLK.r.  Sottana. -red.  Kit  tei.  - 
Gr.  Chiton.  Tanica,  y.  Còtola. 

Chùs.  Tic,  Tormenta,  pioggia  con 
Devo.  -  Ted,  S9Ìz.  Gugsete. 

ClàL  MiL  Sciocco  9  scimunito -Ci  a- 
lada.  Scioccherìa. 

del  a.  y.  r.  Pècora. 

Cièmol.  y.  M,  Sòbrio,  temperante. 

Cìmld.  y,  y*  Sonnolento.  'Gr,  Koi- 
mào,  K.0 im ilo.  Dormire;  d* on- 
de Cimitero? 

Cina.  y.  y.  Capra. 

Cióc.  Gtn.  Ubriaco  -  Ciòc.  £r.  Tocco 
di  campana-  Cióc,  ciocbìn,  nei 
dialetti  pedemontani  «r(jm.Campana, 
campanello;  Cloche.  Campanile.  - 
OoL  Geocair.  Ebrioso. 

Ciógo.  Br,  Ottimo,  squisito. 


Giòn.  y.T,  Porco,  majale.-  f^.Suni. 

Glòria.  Br.  Vaccherella  magra. 

Giuttàr.  Bor,  Guardare,  osservare. 
È  usato  nella  9oce  Giù  tia.  Guarda. 

CI  vèr  a.  K.  Jnz,  Gerla.  -  MiL  Sci- 
véra  (pre$io  il  Afaggi),y.y,SeìO' 
vera. 

Clòt,  e  fòt.  Br.  Gassettino.  -  Arm, 
Rlued.  Chiave. 

Glot.  Br,  Saiio, satollo.  -  Ingl,Ci^ 
yed.  Satollo. 

Coàt  y^T,  Campo,  o  Prato  fra  selve 
e  rupi.  -  >tfrm.  K.0  a  t.  -  Coni.  C 0  a  t. 
Bosco. 

Co  b  e  se.  Bor,  Sacerdote. 

Cobgia.  y.  T  Fune  da  legar  some 
sui  giumenti. 

Gòbis.  Br,  Ga8uoda.-G(ie/.Gobhan. 
Casetta,  luogo  sinuoso.  Di  qui  forse 
VltaL  Capanna. 

Gobis.  ^.  Moltitùdiiie. 

eòe.  y,  y.  Sasso.  Coccio  in  Italiano 
significa  ttn  frammento  o  paso  di 
terrei. 

Coca,  y  y,  Vecchlona. 

Còden.  Mil,  Ciòttolo,  sasso.  /  Lue- 
cheti  chiamano  C  òt  a  n  i  t  ciottoloni» 

Gogia,  scogia.  Tic,  Frana.  Scoglia 
in  Italiano  è  lo  stesso  che  Scoglio. 

Colla.  Cr,^  Porca  di  campo  arato. 

Colma.  Mil,  e  yerb.  Cima,  vetta.  - 
L,  Culmen.  -  Ted,  Kulm. 

Comhkì, Mil, lungo  l'Adda,  BatteUo, 
burchiello.  -/..  Gymba? 

Gomòc.  Br.  Purché,  a  condizione.  - 
L.  Cum  hoc. 

GoBÒd,  comòi,  cmòd.  D,  Or,  Co- 
me? -  L,  Quomodo? 

Con  tra.  yerb.  Ripiano  d'ogni  sca- 
glione di  collina  coltivata  a  poggio. 

Copie.  Br,  Capovolto. 

Gòreg.  A/i7.  Garrucclo,  guardinfan- 
te. -Z..  Gurricuius? 

Co rno.  y,  y.  e  y,  T.  Sasso,  clòttolo.- 
Arm.  di  yannes.  Co  rn.  Sasso,  roc- 
cia. -  Cai,  ed  Irl,  G  o  r  n.  Sasso. 

8 


(Sft 


PARTE  PRIMA. 


Gornò£.  y.  y.  Angolo  di  stania.  - 
Cam,  Cornai.  -  /ii{7/.  Corner. - 
GwUt  Oimò. Cearn,  cnrra.  An- 
golo, cantone. 

Coróbia,  coràbia.  J#l^-Colóbla. 
AiP.  e  Cr!^  Aqaa  grassa,  nella  quale 
furono  lavate  le  stoviglie.  •L.C ol- 
luvles? 

Coruzzola.  Cbm.  Salamandra. 

Cospe.  y.  T,  Scarpe  di  legno. 

Còtola.  />.  Or.  Gonna,  goiinella.-Cò- 
fola  appartiene  a  tuiU  i  dialetti 
yèneU.  -  GaeL  Gota.  -  L.  Cotta, 
Tùnica.  -  Ebr,  Cotan.  -  Gr, 
Chiton. 

Cos.  y.  y.  Veste  rattoppato.  -  Ted. 
Kos  se.  Coperta  grossolana. 

Crap.  K.7\  Macigno,  greppo.  -  Jrm. 
Crag.  Granito. -GoeLGr e ag. Rupe. 

C  ras  poi  a.  T,  P.  Scumamola. 

Crenà.  Cr.*  Stentare. ->tfrm.  Cren  a. 
Agitarsi ,  dimenarsi. 

C renna.  MiL  Fessura,  screpolatura. 

Cròs.  y.  Anz,  Ruscello. 

Crosàt.  y,  r.  Giubba. 

erosela,  y.  M.  Ribes.  -  Pr.  Gro- 
seille. 

Cross.  TVaef^rò.Cavo.  -fy.Creux. 

Crota.  Br.  Vòlta  di  ponte.  -  Piem. 
Carcere. 

Crùi.  Tic.  Accosciato.  -Cruscìàss. 
Tic,  -Scrùsciàss-giò.  MiL  Acco- 
sciarsi. 

Cubano.  Cr,^  Villano,  forense. 

Cucca,  y,  Ca9,  Tosare  in  genere,  rà- 
dere i  capelli. 

Culmégna,  colmégna.  MiL  Comi- 
gnolo dei  tetti.  -  £.  Culmen. 

Cùrpen.  MiL  Terra  colorante. 

Cùsetta.  y.  Af. -Guse.  y,  T.-Cos. 
y.  y.  -  Curetta,  cùsetta.  MiL 
Scoiàttolo. 


Dagnò.  K.  K.  Dopo. 

Dalfi.  Br,  Lampo-  Dalfinà.  Lampeg- 


giare. -  GwL  Dealan.  Fùlmine.  - 
Or,  Dalof.  Fulgore. 

Darà.  Br,  Cribro,  crivello.  -  K  T, 
Tràina,  baroccio  a  due  ruota  - 
GatL  Darbb.  Traina,  camiecio. 

Darbio.  7Vc.  e  yerb,  Cercbio  di  le- 
gno ,  col  quale  si  dà  la  forma  al 
cacio  fresco  oon  beo  rappreso. 

Dardér.  Br,  Hirundo  riparlo* 
CTUomoJiDàrdan,  DardanèI  uà- 
gU  oltH  diaUlU  lombardL 

Darenòo.  y,  y.  Frana. 

DarénS.  y.  y.  Tenace,  stinco.  -  MiL 
Difficile,  scabro. 

Dartòo.  y,  y.  Colatoio  del  latte.  - 
Jrm,  Dar.  Coiatojo  delie  cueiiie. 
Laveggio. 

DarùLAft'i.  Scabro.  Ai  E  osca.  Cor- 
teccia, y. 

Daùra.  y,  T.  Ascolta./-  Da  aureoY 

Daza.  fir.  Ramo  d'abetew-Dacà.  Sfron- 
dare, dibruscare.  -  Gr.DasttSb  Ir- 
suto, peloso. 

Deda.  cy.®Zia.-Afaitl.Sorella-Deéo. 
Afoni.  Fratella 

Delèg.  Br,  e  Mani.  Grasso  di  poroo. 
y,  Lédeg. 

De  ma.  Br,  Maniera,  guisa;  Settima- 
na. -  Gr,  Demas.  Forma^  igora. 

Denà.  Aft7.  Ant,  Da  Lungo  tempo.  • 
l.  Dio? 

Derla.  MiL  e  y,  T,  Noce  smailata.- 
Derla,derlón.  Po^.  Mallo-Derlà* 
Smallare. 

Derma.  Br,  Appoggio -Derma.  A^ 
poggiare. 

Derùscà.  MiL  Scalfire,  spellerei- 
De r use  Rùvido.  -  Prov.  Dric. 
Da  Rùsca.  y, 

Dcsà.  y,  T.  Ornare ,  aceonelare.  - 
Col,  e  GaeL  Deasaich. 

Descuatà.  MiL  Scoprire.  •  iVop. 
Descatàr. 

D  e  se  ù  m  i  k.Mil.Jn,  Snidare,  afrattere. 

Desenestrà.  Br,  Sconnèttere. 

Desènt.  Br,  Co$i  chiamami  neUe  far' 
riere  gU  alunni  cbe  apprèndono  il 


DI4Lnn  LOMBAKm. 


OK 


mestiere.  -  L,  Dlseens,  dlsel- 
pnlas? 

Desf  an  t  à.  Br.e  f^er.  Stemperare,  sciò- 
gliersi ,  svanire.  ^.  Sfantà. 

Desmissià.i^r.-Desmissiàr.ilfan/. 
Svegliare.  Qttesia  9oce  è  profpria  di 
tutu  i  dialetti  i^eft. 

Desmombolà.  Br.  Dissestare. 

Dessedà.  Mt7.  Svegliare,  destare.  // 
contrario  di  Sedare. 

Destro,  f.  T,  Sporco,  sùcido. -7Vd. 
Drist.  Lordura.  -  IngL  Dirt. 

Diana.  Br.  Lo  spuntar  dei  giorno. 

Dierc.  K.  f^.  Faccendiere.  -  Ted, 
Dirne.  Serva. 

Dina.  Br.  e  F.T.  Tardi.-  Gr.  Dynai. 
Al  tramonto. 

Diròn.  K  M.  Vòlta  di  casa.  Solajo. 

Dolca,  y,  M,  Piegare,  f^.  Dulcas. 

Doma,  m à.Gen. Solamente.- Prop. Ma. 

D r è  n.  K.  ^.  Lampone.-  Arm.  D  r  a  e  n, 
dren.  -  Cam6.  Draen.  -  Com. 
Dr  én.  -  Gael.  Dr  ean.  Spina.  Lam- 
pone. 

Drùd.  Cam.  Vègeto,  rigoglioso.  Dt- 
ee$i  dPàtbtro, 

Druv.  y,  Anz,  Grasso,  robusto. 

Druza.  Br.  Péntola. 

Dugàl.  Br,  e  Mani.  Canale  e  solco 
nei  campi  e  sui  colli,  per  raccò- 
gliere e  condurre  Paqua  piovana. 
Forte  dal  L,  Ducere? 

Dòlcas.  Cam.  Pieghévole,  flessibile* 
Dieeei  di  ramo  d*àlbero.  -  £.  Dul- 
cis,  docilis? 


ighen,  èien,  èzeL  Br.  Gytisus 

laburnum. 
Klza.  Mil.   Lucignolo;  pennecchio, 

BMuietta  di  lino,  e  simili. 
Bm  pesca.  Br.  Disgradire.  -Or.  En 

pasko.  Soffrirne. 
Enpissà.  Br.  -  Pitzà.  àlH.  e  Com. 

Accèndere.-  Mant. e  Ver.  Implssàr. 


Em  piz  0 1  èss.  ^.«  f^er.Sonnecchiare. 

E  n  e  a  I  m  è  r.  Br.  Innestare,  inserire.  - 
Mant.  e  Ver.  Incalmàr. 

Eneo,  anco.  Br.-Ineo.  D.  Oc.  Oggi.-* 
yen.  Anco,  ancùo.  -  Piem.  In- 
coi. -  iVop.  E  n  q  u^h  u  y.  Aneh^oggi. 

Encogolà.  Br.  Ciottolare -Cògoli, 
aòttoli.    * 

É  n  d  e  s.  Mil.  -  £  n  d  a  s.  Mant,  Guarda- 
nidio,  uovo  nidiate.  -  L.  Index? 

E  n  gaz  è.  Br.  Infocare,  accèndere  le 
brago. 

Engermà.  ih^.-Ingermà.  ilfifl.-Fft- 
tare,  rèndere  fatato. 

E  n  g  i  n  a.Br.Impacciare,  imbarazzare.* 
fV.  Géner.  -  Gael.  Geinn.  Strìn- 
gere, prèmere.  -  Oam.  Gene.  Ves- 
sazione. -  A*.  Gène. 

Engnorgàs.  Bf.  Musare,  star  sileii* 
zloso  e  triste. 

Engremis.  Br.  Accorarsi,  asside- 
rarsi. 

Eniedà.  Br.  Infangare.-  L.  Lutum. 

Enregaìs.  Br.  Divenir  rauco. 

Enrenghis.  Br.  Intorpidirsi. 

Enrossàs.  Br.  Adunarsi  a  stormo. 
y.  Roso. 

Ensapelàs.  Br.  Imbrogliarsi. 

Ensin.  Br.  Senza,  a  meno.-£.  SinOb 

Ensorgàe.  Br.  ubriacarsi. 

Entapàs.  Br.  Vestirsi  bene. 

Éres.  y.  T.  Figlio  maschio. -£.H gd- 
res?->^«9ofuif^o  dkeeiKèàesper 
Ragazzo;  a  Bianzone  Raissa;a  Ti- 
rana  Rais. 

Ergna.  Mil.  Édera. 

Èrteg.  Mil.  Grosso,  fitto. 

Essevrèzza.  Mil.  Ani,  Agevolezza, 
piacere. 


F 


Fabio,  r.  Anz.  Zùffolo  di  scorza  d^àl- 

bero.  -  Mil.  Sciocco. 
Falca.  Bar.  Bianca,  Falba.  Dieesi  di 

Pacco. -red.  Fahl.  'ingl.  Fallow. 


55 


PAaTB  PRIMA. 


Fai  cor.  MiL  Funi  che  fermano  il  gio- 
go al  collo  de'  baoi. 

Falòpa.  MiL  Bòzzolo  mal  riuscito. 

Fai  tram.  Br.  Immondizie;  cose  su- 
dicie di  niun  pregio. 

Fano.  y.  L.  e  MiL  ÀnL  Infante. 

Fapèi.  £r.  Ingaggiatore. 

Farlocà,  farfojà.  MiL  e  ^.-Per- 
lo e  à.  Or.*  Balbettare,  parlar  con- 
fuso. 

Farol.Or.*Castagna  lessata,  sùcdola.- 
Arm,  Faruèl.  Ballerino,  sciocco. 

Farii,  feru,  farùf.  MiL  e  Or*  Ca- 
stagne sbucciate  lesse. 

Fascéra.  D.Oc.  e  Br,  Forma,  cali- 
bro. 

Fit.  MiL  Sciocco,  insipido,  senza 
sale.-^.  Fataus.-fy.Fade,  fat 

Feda.  y.  T,  Pècora;  Sacco  di  pelle 
pecorina.  -  £.  Hiedus.  Capretto. 

Feràl.  MiL  Sangue  porcino  cotto. 

Fergui  e  fregui.  Gen.  Brìcciola. 
Forte  dal  L,  Friare? 

Fers.  Gtn,  Rosolia,  morbilli. 

Fés.  Br.  -  Fiss.  Berg,  Molto. 

Feta.  y.  T,  Cado  fresco. 

Flap.  Gen,  Appassito,  vizzo. 

Fiègol.  irr.  Flessìbile,  fiévole. 

Fièl.  y.  T.  e  Br,  Coreggiato,  o  bat- 
tente. -  Arm,  Fi  bla.  Bàttere  a 
grandi  colpi. 

Fiòca.  £r.  Falce;  Dim,  Fiochèl, 
fiochi.  -  GaeL  Floba.  Scure  bèl- 
Uca. 

FI  a  ber.  Br.  Denaro  falso. 

Fò.  MiL  Faggio.  -  Prov,  Fau. 

Fòfa,  fifa.  Gett.  Paura,  timore;  Ma- 
rame, scarto. 

Fògn.  f'.  £.  Vento  di  sud-ovest.  - 
MiL  Raggiro  furtivo. 

Fogna.  MiL  Frugare;  Nascóndere. 

Fol.  y,  T.  Sacco  di  pelle  per  la  fa- 
rina. 

Fólfer.  MiL  AnL  Scaltro,  destro. 

Fomela.  y.  O»,  AJuòla;  pìccola  area 
coltivata  sui  monti. 


Fopa.  Afi7.  e^r.Fo8sa.-Fopón  e  Fo- 
pù.  Sepolcro  comune,  cimitero. 

Fosna.  y,  M,  Praticello  intorno  ad 
un  campo.  -  GoeL  Fosradh.  Pà- 
scolo artificiale.  -  Gaid,  e  Otmb» 
Foss.  Steccato.  -  Arm,  Siepe  che 
circonda  un  campo ,  e  trincea. 

Fracà.  Br,  Prèmere. 

Fràina.  Br,  Loglio.-  £.  Lolliam 
perenne.- A/1/.  Grano  saraceno.  - 
L,  Polygonum  fagoplram, 
Farrago? 

Fraza.  ^.  Neve  congelata;  Fruito 
del  fràssino.  -(voc/.Fras,  Frasan. 
Pioggia  gelata,  gràndine. 

Frégola.  Br,  ef^<r. -Fregai,  fer* 
gùi.  MiL  Brìcciola.  y. 

Fri  ne  Br,  Grìcdolo,  caprioclt. 

Fri  i^.  y.  Pregallia,  Sano ,  roboatOb  • 
Ted,  Frisch. 

Froda.  Tic,  Cascata  di  fiume,  di  tor- 
rente e  simili,  -  y,  Anz.  Frola.  - 
y.  Fot,  Frùa,  Frùt.  Onde  ehià-- 
masi  An  der  Frut  il9illaggio  si" 
tuato  presio  la  coicata  della  Tàa. 

Fui,  fol.  Br,  Cartiera,  pila,  gual- 
chiera; Fu  là.  CeAcor^»  ickiaocio' 
re,-  Fr,  Fouler. 


G 


Gaba.  Gen.  Pianta,  i  cui  pamiaono 
tagliati  a  corona  sin  presso  al  fuslo* 

Gabi.  érr.  Mandriano. -Gae{.G a  bh a r. 
Capra. 

Gabin.  y.  T,  Vestito  da  uomo. 

Gabinàt.  V,  T,  Regalo  fatto  la  mat- 
tina deir  Epifania  a  chi  è  primo  a 
parlare  ad  un  altro.  Dal  TVd^G.a  li« 
(Dono)  e  Nacht  (Notte). 

Gabòr.  Br,  Così  il  valligiano  bre- 
sciano chiama  il  contadino  del  plaso. 

Gaér.  Br,  Lolla,  pula. 

G  a  j  a.  Br,  Capecchio-G  a J  51.  Pagliaolo 
rimasto  suiraja. -Gr.  Gaio.  VaiM^ 
leggero. 


OlAUSm  LOniARDI. 


57 


Gajòfa.  A#/l.,  Pop,,  Cr.*  e  Mant,  Sac- 
coccia. 

Gajàm.  y.  7*.  e  MiL  -  G&dm.  Br, 
Ibllo.  -  Desgaomà.  Br,  -  Sga- 
jomk  Fero.  -  SgajaSà.  f".  V. 
Smallare. 

Galbéder.  Br,  e  Mant,  -  MH,  Gal- 
bé.  Rigògolo  {ipecie  d^uccelh).  - 
I.  Galbula.  -  Ted.  Gelb.  Giallo, 
coiore  disUntiPò  di  quesV  ìiceello. 

Galeda  y.  T,  Blgoncioolo  di  legno 
con  coperchio  e  lunga  cannella  per 
bere,  usato  ancora  dal  volgo  in  V,  T, 

Galédora.  Orni.  Gabbiano.  -  £.  La- 
ro» caous. 

Gale,  galér.  MiL  e  Br,  Fùsso  dei 
conciapelle;  Mortajo. 

Galera.  Mil,  Ruspa ,  treggia  per  rac- 
eorre  e  trasportare  la  terra. 

Galìtt,  garitt.  Mil.  Sollético,  di- 
letico. -^r.  Gatigol.-Gr.  Gelao. 
Ridere. 

Galof.  Br,  Burla  -  Gaio  fa.  Truffa - 
Galofà.  Truffare. 

Cambia,  gambisa.  y,  7*.  e  ffr. Col- 
lare di  legno  per  legare  il  bestiame. 

Gamina,ghemina.  MiL  Complotto. 

Cam  ir.  MiL  Ani.  Gómena,  menale. 

GamissèI,  gumissèl^  remlssèl.- 
Gen,  Gomitolo.  -  f^er.  Gomissièl. 

Ganda.  V,  T,  Masso  staccato  da  ru- 
pe; pi.  Gandi. 

Candidi,  gandol,  gandóla.  Gen. 
Nòcciolo  della  ciriegia,  della  pesca 
e  iimili.  -  G  a n  d  i  a.  f^erb,  L^Amàn- 
dorla  contenuta  nel  nòcciolo  -  Gan- 
dolin.  Seme.  -  L,  Gianduia? 

Ganga,  Ghenga.  MiL  Spazzatura 
dei  cessi  che  serve  di  concime. 

G a  r  b.  Br,  Acido.-  Mant,  Greggio.- 
Gael,  Garbh.  Aspro. 

Camera.  Cr.*  Scopa,  granata. 

Caròla,  f^erb.  Lo  stròbilo ,  o  la  pina 
delle  piante  conifere. 

C  a  r  ò  V.  Com.  Mucchio  di  sassi  nel  lago 
per  pigliarvi  pesci. 


Garovàt.  y,  T,  Corba  grande  per 
condurre  il  concime. 

Garrig.  Com,  Calcinaccio. 

Gàtol.  Br.  Salcio,  sàlica.  -  £.  Salix 
caprsa. 

Gàuda.  y.  T,  Mucchio  di  sassi  for- 
mato da  una  frana. 

G  a  va  da.  MiL  e  Br,  Tenaglia  mor- 
dace per  ferri  rotondi.-  Cam,  G^ 
var.  Granchio. 

Gavàrd.  Cy-.'^-Gavàl.  Afonf. PaletU 
da  focolare. 

Gavetta.  MiL  Filo  di  ferro.  -  ManL 
e  Ver,  Cordicella,  spago.  -  Afoni 
Gav.  Grossa  fune. 

G  a  V  i  n  è  I.  MiL  e  Mant,  Acertello.  - 1, 
Falco  tinnunculus. 

Gazol.  Br.  Castagneto  da  frutto. 

Gè  a.  Afi7.  Peluja  (la  pelliccina  inter- 
na della  castagna). 

Gecchiss.  Mil,  Intdstire ,  dima- 
grare. 

G  e  n  t  à.  y,  /^.Figliare.  - 1.  G  i  g  n  e  r  e. 

Gèr,  ciàer.  y,  T,  Assai,  guari.- 
Ted,  Gar. 

Gèrb,  zèrb.  Af^(. Sodaglia, terreno 
stèrile  -Deszerbà.  Dissodare. 

Gheba.  ^. Nebbia. -r.7\Ghèbi a.- 
rerò.  Ghiba. 

G h  ed  a.  Br,  e  ManL  Grembo.  Gh  e d é 
de  la  Cam  Isa.  Gheroni. 

Ghèine.  Verb,  Fame.  y.  Sgajosa. 

Ghèo.  Br,  Vezzo. 

Ghèz.  D,  Oc.  Ramarro.  KLingori. 

Ghia,  y,  y.  e  MiL  -  Ghiado.  Pav. 
Gujòl.  ty."  Pùngolo  dei  bifolchi. - 
Sp,  Guiàr;-«9p.  Aguijar.  Pun- 
zecchiare. -  Com,  Guu,  Geu.  Lan- 
cia, freccia,  y.  Gol. 

Gh  lavina,  y,  ^nz.  Frana;  negli  al' 
tri  dialetti  Tic,  Lavina. 

G  h  i  n  a  1  d  i  a.  MiL  ani.  Destrezza,  at- 
titùdine a  checchessia. 

G  hi  rio.  Br,  Vòrtice.-  IngL  Whirl. 

Giàcol.  MiL  Verga  del  coreggiato.- 
GaeL  Geug.  Ramo  d^  àlbero. 


«8 


PAETB  PaiMA. 


Giavaròt  Pretio  BriHo  iign.Veriì- 
cone,  che  senre  a  frugare  nelPa- 
qua  per  {sfrattarne  i  pesci.  Si  lega 
a  Giavellotto. 

Gibigiana.  MiU  Bagliore,  riverbero 
di  sole  latto  ripetutamente  collo 
specchio.  In  Mani,  e  Cr.^  dicevi 
La  Veccia. 

Gina.  MiL  Caprùggine.  -  K  Ina. 

G iòa.  f^.  Ose.  Strumento  di  legno  per 
estrarre  le  castagne  dal  mallo  spi- 
noso che  le  ravvolge.  -  ManL  Stru- 
mento di  ferro  col  quale  i  falegna- 
mi assicurano  le  tàvole  da  piallare, 
detto  Granchio. 

Giòia.  Br.  Allegria.-  V.  V.  Spalla.  - 
Goel.  G lolla.  Gióvane.  -  Arm,  e 
GaeL  Giolam.  Loquacità,  garru- 
Utà.  Festa. 

Glòria.  Br.  Tristezza.  -  GaeL  Giu- 
ra m.  Pianto,  gèmito. 

Giorli.  f^.  Af.  Vezzeggiare. 

Gir.  f^  T.  Andare,  gire. - Bom, G i r. 

Gius.  Mil,  e  Piem,  Sugo.-/^.  Jus.  - 
Giùssòs.Succoso. -£.  Jus. Brodo. 

Giusti.  K  A#.  Origliare. 

Glasù.  Br.  Bache  di  mirtillo. 

Gnàl.  Br,  Uovo  nldlale,  bar lacchio.- 
y.  Éndas. 

Gnèc.  Mil.  e  y.  T.  Svogliato,  triste. - 
Gneca,  gnechisia.  Mil.  e  Br. 
Svogliatezza,  languore. 

Gnèra.  Br.  Canile. 

Goga.  Mil.  «Br.-Gogla.  PaP.-Fa- 
80.  Brianz.  Buffetto. 

Goghetta.  Br.  Gozzoviglia. 

Gogò.  Mil.  Baggèo.  -  Gr.  Goggyn? 

Gòi.  Br.  Pùngolo;  Gojà.  Pùngere, 
spingere.-Afonl.  Gojadèl,Gojdl. 
Pùngolo.-^.  Ghia. 

Gólp.  Mil.  Carbone,  malattia  nota 
del  frumento.  ^Gael.  Guai.  Jngl. 
Coal.  Corti.  Koian.  Ted.  Kohle. 
Otaf».  Kooi.  Dan.  Kul.  5p.  KoL 
jRui.  Ugol.  Carbone,  y.  Gùà. 
Golzà.  MiL  Ardire«*iViop.  Gauzar. 


Gómena.  Gm.  Gómena,  menale. - 
Bas,  Cu  mena.  -  Sp.  Gumena. 

Gora.  Mil.  L^ossaturfi  o  schelettro 
delle  barche.  -  GaeL  Gol  rea.  Ap- 
parato ,  armatura ,  schelettro. 

Go rgon  è  1  a.  Br.  Canale  che aerve  di 
scaricatore  al  mulini. 

G  0  r  ì  n.  MiL  Vinco,  vétrice.  jinehe  8a- 
lix  viminalis. 

Goria.  Br.  Buco  deiraqoaio. 

Gorlere.  Br.- Co rler a.  Alll. Soie* 
gliature. 

Grà.  f^.r.  Vecchione. -Gr.  Grays.- 
Jrm.  Grach.  Vecchia.  •  Conu 
Gruah.  Vecchia. 

Grafión.  D.  Or.  Marchiana  (specie 
di  ciriegia  grossa). 

Gramezza.  Cr.^  Gramàglie. 

G  r  a  t  a.  Br.  Grappo,  gràppolo.-  Grate. 
Vinacce. 

Grébegn.  Br.-Grébanl,  sgrébar 
ni.  rer.  Greppi,  terre  stèrili  e  sas- 
sose. -  y.  Gèrb.  -  Ted.  Grob* 
Rozzo ,  inculto.  -  Gael.  Grl. 

Gregna.  MiL  Covone  di  riso^-^nn. 
Grann.  Riunione  di  qualsiasi  cosa, 
mucchio,  ammasso.  -  Gael.  Grua- 
nan.  Covone. 

Gremà.  Afj/. -Gr ima. ì\ip. Abbron- 
zare con  ferro  caldo.  -  £.  Cre- 
mare. 

Grenón.  r.  K  Nebbia  folta. 

Gre  za.  Br.  Affrettare,  aizzare. -f^. 
Agreià.  -  GaeL  Greasaldh.  A^ 
frettare. 

Grignàpola.Brw-Gregnapàpola. 
Cr,^  -  Sgrignàpoia.  Ber.  •  Zi* 
g  n  à  p  0 1  a.  yer.  Pipistrello.  Quaila 
mammifero  presio  il  Aimsk  a  ani 
Nerbano  chiamasi  ancora  Messa* 
ratt,  Usèl-ratt;  a  Lodi  Ralt- 
s  g  0 1  a  d  ó ,  cjò  c^  < 'accolto  al  iMMf 
piemontese  Ratta-volòlra. 

Gr  ingola  MiL  anL  ManL  a  Vw. 

Giùbilo,  gioja. 
Grinta.  MiL  Cipiglio,  Viao  torve. 


DlAUnn  LOSIBARDU 


ai 


Gril.  y.  T.  Maleontento.  -  GaeL 
Gready  Graldh.  Cruccio,  ansietà. 

Grisoly  Sgrizol.  Br.  e  Mani,  Bri- 
vido. <-  IngL  Or  i  s  1  y.  -  Gael,  6 r e a- 
dhaa.  Srivido. 

Grooi.  Br.  Granclilerella.  -  iL.  Cua- 
cata  Europna. 

Guà.  MiL  Carbone,  malattia  nota  del 
froraento.  -  Gael.  Guai.  Carbone. 
F.  Gòlp. 

Gai p.  r:  7.  -  G na  p.  f^.  f^.  Scodella, 
nappo.  -  TM.  If  apf.  -  Jrm, Gob.- 
^^  Go  b  e  I  e t  Taiza ,  bicchiere. 

Gnarnassa,  guarnèl.Cr.*«AfaN/. 
Gonna,  gonnella,  goarnacca. 

Guida  ss.  Gen.  Padrino;  fem.  Gui- 
da* sa.  Madrina. 

Gufa.  Br.  Pianta,  che  nei  boschi  ce- 
dui è  segno  di  eonflne,  o  partixione. 

Gaindoly  Ghindul.  A  Oc  Arco- 
laio.- Av.  Guind&n.  -  Ted.  Win- 
de.-Cbrft.  Gulns.  Vòrtice;  dieeii 

M  fMMfO. 

Gàma.  y.  7*. Piovigginare;  Gùmet- 
ta.  Fiogglerella.  -  (»ae[.  Cumha. 
Fiangtsieo. 


fad.  K.  T.  Gran  freddo;  ghiado. 

Idròglla.  K  y.  Millanteria. 

Ignòga.  MI.  ani.  Qui. £.  Hic  loci? 

Ili n a.  A^. Belladonna.  -  I.  Atropa 
Belladonna. 

Ilòga.  MiL  mi.  Là.  -  L.  Iliuc 

Illa.  Or.*  Treggia.  -  A/ani.  Slitta. 

Im.  y.  Mal.  Basso,  imo  -  Aim.  A  bas- 
so.-/r.  Adimuffl. 

Imbosca.  T.  P.  Mischiarsi. 

Imbu stemàt.  Cr.* Adirato,  corruc- 
ciato. 

labrunxàt.  Or.*  Incollerito.  Dieeii 
del  iempo  a  del  clima. 

iBpronà.  FX.  Atterrare.-Gr. Pro- 
ne yeln.  Abbassare.  •  JU  Pronus. 


Ina.  Br.  Caprùgglnc  delle  doghe. - 
Ina.  Fare  le  caprùgglni. 

Inasià.  JH^/.  -  Inastar.  JMunl.tfFsr» 
Allestire,  Preparare. 

Incrusca  ss.  Or.*  Istlzzirsl. 

Indemnàss.  Or*  Formar  vòrtice. 
Dieesi  del  venia. 

Indevenà.  Mil  Aggomitolare,  in- 
cannare. 

Indevià,  induvià.  Brian.  Viglia- 
re, cumulare,  ragunare. 

Inendret  5r.  Dabbene,  giudlsloso. 

Inevid,  Inevida.  Mil.  Malvolen- 
tieri.-I.  lavile? 

I  n  f  è  I.  Mil.  Intrigo,  impaccio  - 1  n  f  e* 
scià,  imbrogliare.  Intrigare. 

Infichlòss.  y.  y.  Dispettoso. 

Infolarmà.  MiU  Affaccendato,  iafei^ 
vorato. 

Infoici.  MiU  Innestare,  inserire. 

Inga.  Mil.  Loglierélla. 

Ingaiià,  ingatiàr.  Gen.  Avvilup- 
pare, imbrogliare. 

Inguènguel.  Mil.  Utensili.  -  In- 
gu angela.  Frottola ,  Fàvola. 

I  n  n  i  n  z.  Mil.  Non  intero,  manomesso. 
y.  Ninzà. 

In n osi.  Cam.  Ammaliare. 

Insedi.  MiL  Innestare,  incidere,  in- 
serire. 

Inslèt.  Or!^  Forse. 

Int.  y.T.  Dentro. -jL  IniJis.'-Ir  int. 
-£.  Ire  intus. 

Intravisènt.  Brifm.  Trasparente, 
liscia.  Ùiceei  della  pelle. 

I  n  t  ùi  t  ù.  MH.  Rapporto  a,  in  rlguar-  • 
do.-£.  In  intuitu? 

Inverna,  yerk.  Vento  di] libeccio. 
S.  0. 

I  n  za.  MiL  Incidere,  inserire.-  Brian. 
Niizà.-f^.  Insedi. 


Jòl,  Jori.  Tic.  Capretto  d'un  anno.- 
M.  Oiolla.  Gtòvlne. 


70 


VAKTC  PRIVA. 


Ladin.  Gen.  Scorrévole,  Adle;  Trifo- 
glio. -Ladina.  Fare  un  prato  di 
trifoglio.  -  Fèr  ladin.  Ferro  mal- 
leàbile. -  Jrm,  e  Com.  Ledaa. 
Largo.  -  Cai.  Lalh.  -  l.  Latns. 

Laf.  Br.  Frana.  -  Com.  Lafron. 
Brani ,  pezzi. 

La  ina.  Br.  Scoscendere,  franare.  È 
ancora  nome  dipae$e  in  Lombardia, 

Lama.  Br.  Uligine.  Terra  vacillante.- 
Com.  Lamas.  Terra  sollevata. 

Lamp.  Gen.  Faida»  lembo. 

Lanca.  Gm.  Ramo  morto  di  finme. 

La  n  t  a.  Br,  Sambuco  aquàtico. 

Lapà.  Gen,  Lambire.  -  Ted.  Lap- 
po n.  - /Vop.  Lipar.  -  IhgL  To 
lap.  -  ^rm.  Lapa. 

Lasa.  Br,  Lastra  di  pietra. 

L  a  t  a.  K  r.  Pèrttoa  per  viti.  -  Comò. 
Llath.-^rm.  Laz.  Lungo  bastone, 
pertica. 

La  véz.  Gen.  Taso  di  pietra  oliare.  Da 
Val  Laveizara  ne  prende  il  nome. 

Lazo.  Br.  Agio. 

Leda.  Br.  Loto.  -  Leda m.  Letame.  - 
L.  Lutum. 

Lédeg.  MiL  ant.  Strutto,  grasso  di 
majaie,  d'oca,  e  simili.  K  Deièg. 

Le g  n 0  r  a.  Mil.  Funicella  che  serve  di 
règolo  ai  muratori  per  tracciare  di- 
ritte le  muraglie,  ed  agli  ortolani 
per  le  scuole. -£u  Lineo  la? 

Leguègn,  leguign.  Br.  Schisto  mi- 
càceo, matrice  del  ferro.  -  Gael. 
Lea  e.  Lamina  di  pietra. 

Le  m.  jlfif/.Legumi  in  gènere.- i?r.  L  i  m. 

Le  ma.  Brian.  Escrescenza  mori>osa 
della  quercia. 

Lem  ed.  Brian.  Scaglioso.  Diceii  del 
Ugno. 

Leni.  Mil,  Pingue,  nitido. 

Lencià.  ^rlon.  Lisciare,  render  pin- 
gue. 

Lerga.  £r.  Loglio. -ÌL. Loti uffl  pe- 


renne. -  Brian.  Lirga.-  L.  Lo- 

lium  temulentum. 
Lesena.  Gen.  Pilastro  addoaaalo  alla 

parete. 
Lesn,  lesùm.  f^.  K  Lampo. -Lesmà. 

Lampeggiare. 
Liffia.  K  y.  Bocca.  -  Ted,  Lippe. 

Labbra. 
Llgabòsc.  Br., Mante  Po»,  idera.- 

Fiem.  Brazzabòsc-O.*  Rampe- 

garòla. 
L I  g  a  n  g  a.  Br.  Legenda. 
Ligàngola.  i?r.  Cavillo.- Li  ghigna. 

Cavillare. 
Ligòss.  Br.  Sciocco,  viUanow-  F^.  T. 

Scapestrato. 
Limàt.  y.  M.  Praticello  presso  on 

campo.  -  Gr.  Lelmon.  Prato» 
Limoria.  Bor,  Persona  merìkaàb,  - 

Gr.  Limeros,  FamèUeo. 
Lingdri.  Verb.  -  Lùgar,  L^er. 

jlfanf.   Ramarro.    -    f^ar.   Liga- 

dór.  In  qualche  dialetto  toècano 

chiàm.  Ligure.  -  K  Ghèz.-G«0L' 

Luachalr^omegrlioDear.e-Liia- 

eh  a  ir.  Lucerla.-  L.  Laceri*. - 

Lacertus  viridis.  Ramarro. 
Linsi.  Br.  Manométtere,  intaccare 

una  cosa  intera.  -  y.  Nln  za. 
Lis.  Gen.  Lógoro,  consunto.  Dieeeidi 

tela  0  d'altra  etoffa. 
Litta.  Mil»  Melma  di  fiume. 
Lobra.  y.  T.  Cànapa,  o  lino  grana. 
Lo  e.  y.  T.  Vuoto.  Diceei  del  ^rana.- 

Mil.  Balordo.-  ManL  Lóc  tign. 

Pula.  -  Ted.  Locker.  Vano.  •  Sp, 

Loco.  Stolto,  leggero. 
Lochèr.  ^r.  Gusci  di  grano.  - 1^»  Lóe. 
LoerUs.  Br.  -  Lovartis.  Jfnnl.  • 

Vertis.  Paio,  Luppolo. -Lo varila, 

Lovertis.jlftf/.  sign.aneheSwtamit- 

to,  tralcio  di  fragole,  a  atm^l^* 

Lu vertis.  O.*  Lupini. 
Loffi.  Mil.  Spossato,  vizio,  danein. 
Logia.  Mil.  Célia,  bi^a. 
Logia.  Mil.  e  Pop.  Troja, 


\ 


DiAurrn  lombakoi. 


7i 


GaH,  LIagaeh.  Sòrdido,  im- 
mondo. 

LoJ.  Jf#l.  SooBOleiisa,  svogliataggine.- 
Goel.  L  o  e  h  d.  SoniK>ienia.-L  o  1  g  h. 
Débole,  lànguido. 

Lo  Isa.  Bor.  Sorta  di  slilU. 

lop,  lopa.  Br,  Seòrìa  del  ferro. 

Lòstlg.  y.  i^.Allegro.-7Wf.Lostig. 

Lèt  MiL  e  M4mi.  Zitto,  quatto. 

Iota.  Gén,  Zolla.  •  Slot  è.  Rompere 
le  zolle.  -  L,  Lutum. 

Lèva.  MiL  Spiea  del  pànico;  pannoc- 
chia del  grano  tnreo.  In  Plinio  è 
defte  Loba.-Lovà.  Spigare. 

Lòva.  Omu.  Nebbia. 

Lòzel.  Br.  Scodella  di  forno  fusòrio, 
d^onde  si  eslrae  la  scòria. 

lolita.  Br.  Scempiàggine.  -  Cbm. 
Los.  Scioperato ,  stordito. 

Licia.  Jfll.  a  Br.  Lamentarsi  pian- 
gendo. - L.  Lugere? 

Ligà.  Br.  Raggiùngere. 

Lag  ber  a,  luéra.  Gm.  Favilla,  sdn- 
Ulla. 

Lunèla.  Br.  Ugola. 

Lara.  Cr.*  e  Br.  - Lòra.  Mani.eyer. 
Pévera;-  Lurèt,  lorit.  Imbuto. 

Lutare.  Bor.  Desiderare. 


Màcan,  màcana.  y.  T.  Fanciullo, 
fmciolla.  -Maeà  chiamami  i  fan- 
duUi  nelle  palli  bergamoiche  Pieine 
a  Lecco.' GaeLMtL etili,  FanciuIIo.- 
M  a  e  a  m  n  a.FancÌulla.-M  a  e.  Flgllo.- 
Jrm.  e  C!om.Moch,Mab.  Figllo.- 
7*011.  H agd,  Màdchen.  Ragazza. 
J.  S.  Maga.  -  Gol.  Magus.- Don. 
Maagdt.*  /if.  Mogur.-^p.Mo^o. 
Fìneittllo.  -  Mil.  Hagatèl,  Maga- 
tela. Bimbo,  bimba;  aficA«  Fantoc- 
cio, il  Mannequin  de*  F)rance$i. 

■acarà.  MiL  Piàngere. 

■acù.  Br.  Orfuio.  -  ^.  Màcan. 

■adàae.  Br.  Massa  di  frasconi. 

Màdena.  O.*  Màdia.  -  F.  Panerà. 


Madrùl.  F.  7".  Casa  ruinosa. 

Magàra,  magari.  Gen.  Diovoglla!- 
Gr.  Macar.  Felice. 

Maghi.  Cr.*"  Potatore  di  viti  e  gelsi 
venuto  da  altri  paesi.  -Gasi.  Mag. 
Campo.  -  Mag  ha  eh.  Campestre. 

Magno.  MiL  Rarbatella,  tralcio  di 
vite.-0»rfi.  Magie  n.  Vinco,  legaccio. 

Ma  gold.  y.T,  Aqua  stagnante  e  pù- 
trida.-Goel.  Magh-uisge.  Lago 
invernale.  -Magolcènt.  Sudicio, 
sòrdido  -  Magolcià.  Ammosciara. 

Magón.  Gen.  Accoramento,  molti  dia- 
piaceri  successivamente  accumu- 
lati. •  Ted.  Magen.  Stomaco. 

Magore.  Br.  Zòtico,  rosso,  viliano.- 
y.  Maghi. 

M a  gù  t  MiL  e  D.  Or.  Garzone  di  mu- 
ratore. 

Mais.  MiLinf.  Guazzabùglio,  intriga. 

MaisàS.  ^erb.  RisipoU.  -  Ted.  Ma- 
sern.  Rosolia. 

Malti.  Br.  Tenebre. 

Malàega.  Ar.(Anònide. - L.  Ononis 
spinosa. 

Malga.  Gen.  Mandra  e  suo  ricetto ;- 
Malghe,  malghés.  Mandriano. 

Malòss,  ma1o8sé,maros8é.D.Ok?. 
Sensale ,  mediatore. 

Ma  ni  le.  Br.  Coreggiate,  battente. 

Manòquar.  Fero, Comocchio ;  torso 
del  grano  turco  sgranato.  PfeUa  eam^ 
pagna  milaneee  ricepe  ancora  da 
luogo  atuogo  i  parii  nomi  di  Lovit, 
Borlit,  Mollaselo,  Mollit, 
Morsòn,  Gravisin,  Gnòc.  -  f^ 
Mogol. 

Mansarola,  mansarina.  ^.Spàz- 
zola. 

Ma  n  8  e  i  n.  Brian.  Sleale  ;  fone  da  Man- 
cino? 

Madia.  Br.-Magiòster.  MiL  Fra- 
gole. 

MapèL  Br.  Acònito.  -i^.Aconitua 
napellus. 

Maràs.  i9r. -Marascla.  iMiL  Sàgo- 
le, potatilo  per  vite. 


71 


PAKTB  rSOU. 


Maràl,  aarasee.  K.  Jntr.  Figlio, 
ifiia. 

Mard.  Bar,  eV,  Li9.  Figlio.-  Qm. 
Merh.-^nn.  Mere^h.  Figlia.  Que- 
lla Membra  la  vera  radice,  atuiekè 
laLatimamsLé,  aiaris,ortflai<aNa 
Maschio,  euendo  tifala  la  «om 
Mare  oiidhe  per  Figlia,  dhe  dieesi 
Marcia,  pi.  Marcie.  Figlie. 

Maréng.  MiL  Vento  marino,  nniiiio 
di  pioggia. 

Mar  gài.  MiL  Somacchlo. 

Margniga.  f^.  T.  Gozao. 

Margnigna.  f^.  T.  Gobbo. 

Marie,  f^.  .<#iiz.  Ombra,  sotto  cui  ri- 
posa il  bestiame  nelle  ore  calde. 

Marmèl.  MiL  e  Cbm.  -  Marmlin 
Ifonl.  Dito  mignolo.-  JW.  Marm- 
mear. 

M  a  r  m  e  n  t  i  n  a.  5r.  Saleer^UL-I.  L]^- 
ihrum  salicaria. 

Marna.  D.  Oc,  -  Merna.  F.  BL  - 
Marno  n.^op.Màdia.-K.Panéra. 

Maroca.  Gen.  Marame,  scarto. 

Marsina.  Gen.  Abito  da  uomo. fbr«e 
da  Mare,  Aglio  maschio,  o  dai  JL 
Mas,  marisT 

Mas.  Br,  Romano  dellastadera;  Mi^o. 

Masàcher.  Br.  Fanciullo. 

Mascadiss,  mascariss.  Gen. Cuò- 
io, combina. 

Mascherpa.  Gen.  Ricotta. 

Masctoca.  T.  T.  Utte  inacidito. 

Masi à e.  MiL  Grosso, di  buon  peso.- 
GaeL  Masac  h.  Di  pingui  nàtiche. 

Ma  s  o  e  à.  MiL  infarcire,impoltlgliare.- 
GaeL  Mas  gai  db.  Macerare. 

Mas 5 la.  Br.  Ventrìglio  del  polli,  uc- 
celli, ec. -  Ted.  Magen. 

Masón.  Com.  Ricovero  di  pastori  sul 
monti;  Masù.  Br,  Casa,  pollilo.  - 
Fer.  A  masón,  iign.  A  pollilo.  - 
/>.  Maison.  Casa. 

Massa.  Or.  e  Aip.  Vòmere.  Anche  la 
mann^a,  colla  qualesi  taglia  il  fieno 
t«lUtett<^ 


Masti.  Br.  Leno,  pano.  • 
Mastar.  Lordura. 

Mastino.  MiL  Mandnigiara.  ^ 

Mastra.  lotf.  Màdia. 

Mastrànl.  MiL  Malaticcio. 

Mat  D.  Ot.Ragauo;!»!.  Malàl 
tèi.  -  M  atei.  Raganino.  -  M« 
Raga2zaccio.-i9r.  Mata.  Fnt^j 
Maiella.  Forosella. -Ma tèi 
tadinello.-  Tic.  Mattusa.  I 
la;  da  cMi  derivò  fané  Tusti 
dei  MiL  -  Jrm.  Matàs.  %m 

Matàs.  Br.  Nibbio.  , 

MatèL  y.  Csp.  Piccole  esalici 

Matòa.  y.Cop.  jibbrmiazimm € 
gmfiea  La  madre  tua. 

M  a  t  il  s  e  i  a.  K  Gap.  Zuppa  d^eifei 
e  pan  gfituggialo.  -  y.  T.  I 
Manión.  Zuppa  di  varii  logi 

Mea.  Br.  Loppa  del  fèrro  posta 
il  maglio. 

Meda.  MiL  e  Br.  CatasU  di  : 
legna  e  ttmlli.-  Arm.  Meéft 
golatore  e  misura. 

Medàl.  Br.  Magona.  Luogo  ÌB< 
ripone  II  ferro  greggio. 

Méder.  Gen.  Modello,  fonMk 
Metron.  Misura.  -  ^rm.  Mi 
Regolatore. 

M ed 0 1.  Br.  Ferriera,  cava  di  pi 
Medoladér.  Lavoratore  nell 
niere. 

ÌAhV.MiLe  ^.-Mèn.  V.  T.O 
del  cane  e  d'altro  animale  }  • 
saglio.  -  L.  Melium,  prasso* 
nona  iiifmfiea  Collare  di  canA 

Méngol.  Br.  Menno. 

Mès.  Br.  Misura  dei  carbaoKij 
contiene  un  sacco  ed  una  pi|r^ 
quiàltera. -  Ted.  Mass.  Mii«| 

Mèss,  miss.  Br.  Visio,  straoMil 

Ksr.  Mlzxo. -7V)ie.  Meiio«. 

Méula.  K.  Jnx.  Falce  de'mifttt 

Mésa.  D.  Or.  e  Ven.  -  K.  n  | 

Màdia.  -  f^.  Panerà. 
Migola.  Br.  Brìodola.  -  L.  MiV 


DIALBin  LOHBAEM. 


ìi 


lioela.  Br,  Deaebetto  da  ciabattini. 

Mfòt.  K.  r.  Cappello. 

IÓ€.  MHL  MorUficato.  -  ProQ.  Moue. 

■òca.  MU,  Visacclo.  -  Sp.  Mueca. 

loci  Ila.  Br.  Saceodi  pelle  oon  pelo^ 
per  soldati  e  pastori. 

lòdig.  K  y.  Pigro. 

laft.  A^.Mametto.-Opm.  Moh.  Man* 
■atto  d*  VB  anno. 

lègoL  .^. -Mòl.  Jlfan/.-Mòmol  e 
Me  L Or.^-M  ò co  lo.-K«r.  Mallo  sgra- 
nato del  sorgo  turco.-Gae/.Mògul. 
Sìliqua,  guscio. 

loia,  aula.  Geiu  Lasciar  cadere , 
scagliare. 

Molgia.  K  T»  Bestiame  minuto. 

lem  ina.  Jfti.  Musco  terrestre. 

Msnàt.  MiL  Custode  de' cadaveri. 

iSBcèc  Oom.  Montanaro  che  abita 
sopra  Gondo. 

Moran  da.  K  M.  Prete  che  cerca  im- 
piago in  altro  paese. 

Mo  r b  i  n.  Gsn.  Allegria ,  buon  umore. 

Isrdena.  Br.  Rododendro^  lean- 
dro,  ec. 

lorigió.  GeNJ>keol08oreio.-i^.Mus, 
musculus. 

Mossa.  MiL  Spumeggiare.  I>iot$i  del 
vàio,  delia  birra  e  $miU,  -  Fr. 
Mousser. 

Mòtria.  Jf/t  apiglio,  muso.-JITaiK. 
Mùtria. 

latta.  Gen.  Mucchio,  monte,  am- 
masso. -  ^rm,  Mouden.  Mucchio 
di  terra.  -  Fr,  Motte. 

Moia.  Br,  e  f^er.  Decomposto,  sciolto, 
stracciato. 

losina,  mùzina.  A  Or.  e  f'fr.Sal- 
▼adanajo ,  Grnxzolo. 

lugra.  Bor.  Giovenca.  -  f^.  Mofe. 

■andai,  mundulin.  y.  T.  Gon- 
nèlla da  contadina. 

lusèt.  K.  F.  Canuto. 

Mussi.  Cr.*  n  lamentarsi  dei  bam- 
bini. 


N 


N  a  i  n  a.  MiL  Setino.  (Specie  di  confer- 
va).-Gr.  Maion. 

Napèl.  iftfl.  Coppo. 

Nar.  K.  F.  Ignaro.  -  Ted,  Narr.  Pai* 
so,  mentecatto. 

Natta,  F,  F.  Formaggio  cattivo. -  F. 
7\  Natin.  Cacio  casalingo. 

Nàula.  r.  r.  Mucchio  di  fieno. 

Ned.  r.  F.  Vitella  d'un  anno. 

N  ec.  Br.  Vapor  fetente  nelle  ferriere. 

Nedèsc  F.  f^. -Navèsc,  nevèsc. 
Mil.  Gramigna  che  infesta  i  campi. 

Ned  ruga.  MiL  Astèrgere,  pulire 
internamente,  sventrare.  -  £.  Nu- 
tricare. 

Negota.  i^.-Nagota.  Jlf^/.-Nota| 
Nuta.  A  Oc. NulkL-^n».  Neket.- 
GaeL  Nag.  Non.  -  Negò ta  in  Br, 
iign.  ancora  Altalena.  -  Negotà. 
Barcollare,  tentennare. 

N  e  m  e  si.  ^r.  Ira,  còllera.  -  Gr.  N  e  m  e- 
sis.  Ira.  -Nemesao.  Adirarsi. 

Nére.  Tic.  Gràcile, malfermo.- ^rm. 
Nere.  Fona.  -  D inerì.  Gràcile, 
lànguido. 

Nèstola.  Br,  Nastro,  tela  stretta.  - 
F.  T.  Ligaccio,  ligambo. 

NettéS.  Brian.  Csterminio^  strage. 

N  i  à  s.  MiL  Leggero,  frivolo.-  Fr.  N  i  a  i  s. 

N  i  m  e  1.  Brian.  Minimo. 

Ninzà.  Afi^-Niniàr.  Mani.  Mano- 
mettere, intaccare.  Forse  dalPlL 
Iniziare.  Or.*  Rompere,  divìdere. 

Niò.  MiL  Afato,  malvegnente. 

NiS,  niz.  Gen.  Livido,  fràcido.-  Ni- 
scià.  Languire,  infracidire.  -  Comò. 
Nych.  Languore.  -  Nycha.  Lan- 
guire. 

Nissòra.  MiL  -  Anlssola.  Por. 
Lungo  filo  armato  di  molti  ami  per 
la  pesca. 

Noma.  MiL  -  Noma.  ^.-Numa. 
•Or.*  Solamente.  -  f^  Doma. 

Nudrigi.  Or.*  Assettare. 


7* 


FARTK  PRIHA. 


01  va.  Br,  Gusci  del  grano,  -r»  71 
La  farina  di  miglio  men  bella. 

Omiga.  y,  T.  Specie  d'orzo. 

Or.  y.  Jnz,  Luogo  prominente;  Dim, 
Ó r a  t  Forse  è  la  radice  di  0  r  ob lo. 

Orb.  MiL  Cieco.  -  ProQ,  Orb.  -  Z. 
Orbatus.  Privo. 

'Orb ed  a.  y.  T.  Màrgine  erboso  di 
campo.-i^.  Orbita? 

Ore.  MiL  e  V,  Anz,  Mentecatto,  cre- 
tino ;fem.  Órca. -Goe/.  Ore.  Tor- 
pore, letargo. 

Orgna.  Br,  -  L,  Pistachia  tere- 
binthus. 

Ori.  Com,  e  Verb,  Làuro  ceraso. 

Or  nel.  Br,  Zàngola;  vaso  In  cui  si 
dibatte  la  crema  per  fare  il  burro. 

Ova.  Tic,  Erto  pendio,  dal  quale  si 
rotolano  le  legne  al  piano. 

Ovàc.  V,  ^nz.-Ovàg.  V,  .y/r.-Ovig 
altrove.  Pendio  di  montagna  vòlto 
a  settentrione.  Opposto  di  aprico, 
0  solio.  Bacio. 

Oza.  Br,  Fràssino  comune.  «Z.  Fra- 
xinus  excelslor. 


Pabi.  Mil,  Pastura. -I. Pabulum? 
P  ad  i  m  à.  Tic,  Cessar  di  piòvere  dopo 

un  temporale.  -  TYat.  Calmare.  - 

Pro9.  Apazimar. 
Pagai,  r.  r.  Sprùzzolo  di  neve. 
Pagbér.    Br,   Pezzo.  -  l,  Pinus 

ables. -Pagherà.  Bosco  di  pezzi. 
Pai,  Br,  Digerire,  evacuare. 
P ajo ra.  Mil,  Puèrpera. 
Paliù.  T,  P,  Timone  delle  barche 

grosse. 
Palpignà.  ^r.  Bàttere  lepalpebre.- 

Palpi.  Di  corta  vista. 
Pana.  ^.  e  ATant- Panerà.  Gtn, 

Crema. 

Panarón,  panaròt.   (>.•  e  Mil 


Scarafaggio,  blatta  orientale.  *  K 

Bordòc. 
Pane,  Piner.  Gan.  Lentiggini,  one^ 

chie  sottocutànee.  -  Pro9,  Panai. 
Pane.  Om,  0 f^.  7*.  Truogolo  del pel^ 

li.-Camò.  Pan.  Coppa.- /ri.  Psbi. 

Vaso.  -  Som,  Pana.  Vaso  da  bné. 
Panerà.  D,  Or. -Panàrie.  fVllij- 

Panàra.  7Vm.-Panadéra.  JMnìL 

Màdia. 
P  a  n  p  ò s  s.  Mil,  Poltrone.  -  Sp.  Pas- 

posado. 
Pantegana.  Gen,  Grosso  topo. 
Para.Còm.  Timone.  -  Paròn.  llnó^ 

niere. 
P  a  r  1  i  n.  Com,  Lucignolo. 
P  a  r  s  è  i  V.  F,  Jnx,  Manglatoja.  •  A 

PrsBsepe?  -  K.  PresèL 
P  a  s  m  à.  Mil,  Agognare ,  bramare  wt^ 

dentemente,    spasimare.  - 

Pasman.  Agonia. 
Pasque,  pasquird./lflL  Pb 

bosa.  -  L,  Paseua.  Pàseolo. 
Passón.  K.  T,  Palo.-PassèL  F.  FI 

Palo  sottile.-/..  P  a  xi  II  OS. -Fa»- 

sona.  Mil,  Palifléare,  palafiUareii' 
Pataja.  Cr,*  Camicia. 
P  a  t  à  m.  ^r.  Sterpame,  copia  di  sterpi. 
Paté.  Mil,  e  Pop,  Rigattiere , 

vecchio. 
Patòc.  Br.  Sbalordito,  sorpreso, 

nifesto. 
PatuS.  jlfll.  -  Patos.  Br,  Pattone; 

strame. 
Pòche r.  Jlfl/.eAiP.-Pècar.  Manf. 

Caraffa  ,  bicchiere  grande.  -  7WL 

Becher. 
Pèdeg.  Mil,  e  Lod,  Pigro,  lento. 
P  e  g  à.  r.  r.  lnsudiciare.->#rm.  P  e  g  a. 

Impeciare. 
P  e  I  a  g  i.  Br,  Bacchettone. 
Peloja.  Br,  Sodaglia,  loogo  atèrlie. 
PelòrS.  y,  T,  Cànapa  grosscrtaila.  • 

P  elors  ci  a.  Coperta  ràstIcÉ. 
Pen.  Br,  Nulla,  mica. 
Penagia.7Yc.-Panagia.Jfll.  Zàn- 
gola; vaso  in  cui  si  dibatte  la  crema. 


\ 


DlAUrri  UMIBARDf. 


75 


Peod.  BrioHx.  Rigoglioso, rubicondo 

e  grasso.  Diee$i  di  pemma. 
Péita.  MiL  Specie  di  parussola.  - 

L  Paros  caudatus. 
Pe ut  egèa.  Br.  Carcame.  -Gr.  Pen- 

tadjcòa? 
Per  ari  a.  MiL  Vitupero,  oltraggio.  - 

Sp,  Perraria;  da  Perro.  Cane. 
Perse im.  MiL  JLattime,  fórfora  dei 

bambini.  -  Cr.*  Perzòm. 
Pervèrs,  K  M,  Buono. 

P  é  8.  ilfll.€ervo-voIantc.-£.  Ln  e  a  n  o  s 
cervus. 

Peso  cli.^r.8carpellinOy  tagliapietre. 

Pestòn,  pistón,  pistù.  Gen.  Fia- 
sco. -  Gr,  Platon. 

Peti,  petàr.  Gen*  Applicare,  attac- 
care, gettare. 

Petàrd.  MiL  Paffuto,  grassotto. 

Petorgne.  Cr.*  Moine. 

Pia  de  n  a.  D,  Or,  e  Fer,  Tagliere, 
tafferia.  -  V.  Basgia. 

Fianca.  MiL  e  Piem,  Tàvola,  asse.- 
P  la  neon.  Tàvola  grossa.  -  Fr, 
Planebe. 

Piar  da.  Gen.  La  ripa  bassa  dei  fiumi 
ai  pie  degli  àrgini.  -  ManL  Golena. 
-  Br,  Lavoro  d' una  giornata  nelle 
miniere. 

Piàttola.  MiL  Gran  vaso  di  rame, 
ove  si  ripone  il  latte  fresco  per  se- 
pararne il  fiore. 

Piconixia.  ^r. Leziosità.- Pie ù.  Le- 
zioso. 

Pìdria.  MiL  Pévera.  -  Pidrio.  Im- 
buto. 

Pièl.  />.  Or.  Frìvolo,  leggero.  -  Pi- 
vèl,  pive  la.  MiL  Ragazzo,  ragaz- 
za. -  i^.  Puellus? 

Pigolsa.  y.  T.  Altalena. 

Plligolda.  r.  T.  Fiammella. 

Pilòt  Br.  -  Piloto.  Ver.  Guard'in- 
fmte  di  legno. 

P i n  e  i  a  n  à.  MiL  Celiare ,  scberzare. 

Pìngher.  MiL  Pòvero,  sbricio. 

Pinz,  pfnsada.  V,  f^.  Sasso, sassata. 


Piò.  Gen.  Aratro.  -  A.  .9.,  Sp.  ed  I$L 
Plog.-  TÌMf.  Pflug.-ifigrl.Plougli. 
(Leggi  Piò). 

PI  oc.  Brianz.  Pòvero  superstizioso. 

Pi  oda,  pio  da.  D.  Oc.  Tégola  di  pie- 
tra per  coprire  i  tetti. -P loderà. 
Cava  di  pio  de. 

Piot.  r.  7\  Calcato. 

Piòzz.  MiL  inf,  fanciullo. 

Piperà,  f^.  7".  Donna  che  ha  cura  del 
bimbi. 

Pirla.  D.  Or.  e  yen.  Scommessa.«Pi-> 
ria,  plriàr.  Scomméttere.  -  Fr, 
Parler. 

Pirla.  MiL  Girare.  -  Ted.  Wlr^ 
heìn.-JngL  Whlrl.-<Sp.  Hvlrfla. 

Pirù.  D.  Or.  Forchetta.  F.  T.  e  Ver. 
Piròn. 

Pis.  MiL  Lànguido,  sonnacchioso. 
tìictei  deìXf  occhio. 

Pisòn.  Ber.  Mazzapicchio. 

Pisòra.  Cam.  Sotto  vento. -Navegà 
a  p  i  s  ò  r  a.  Navigare  a  coperto  o  die- 
tro il  vento.  Di  ^u^  Pis  iignifica 
dietro  o  sotto.  Foree  da  Po  s,  che  ti' 
gnifica  nei  dialetti  lAjmbardi  Dietro 

Pisorgnà.Aft7.  Dormir  leggiero  dei' 

^  cani. 

Pi  spot.  MiL  Specie  di  scaldino  di 
ferro  usato  in  Brianza. 

Pi  stagna.  Br.  Toppa. 

Pit.  V.  r.  Poco-  Pitosèc.  Alquanto. 

Pitaca,  petaca,  paiaca.Gefi.  Plet- 
tro di  liuto. 

Pìtima.  Gen.  Uomo  cavilloso,  flem- 
màtico. 

Pitona.  y.  y.  Zucca  lagenaria. 

Piz.  Gen.  Sommità  di  monte.  -  Ted. 
Spi  tze.  -  Ital.  Àpice. 

Plèc.  MiL  Indùstria,  arte,apparato.- 
Com.  Pleag.  Piacévole,  piacevo!* 
mente. 

Pléit.  MiL  LiUgio,  contesa.  -  Fr. 
Plaider.  -  L.  Placitum. 

Piera,  f^  Af.  Prato  selvoso. 

PIòja.  MiL  Jnf,  Febbre^ 


76 


PAITB  PRIMA. 


P 1 0 1  a,  p  1 0  z  a.  l?r.Lavagiia.-f^.  P  i  0  d  a. 

Po  fa.  Br,  Buca,  awallamento.  Lo 
itetto  cheFopsL.  y, 

Pojàt.  Tic, ,  yerb.  e  Br.  CatasU  di 
legna  preparate  per  far  carbone. 
Quetta  voce  è  generale  nelle  no*lre 
monlagne,  -  jérm.  Poaz.  Cotto, 
abbracciato. 

Poina,  puina.  D.Or.e  Ker.Ricotta. 

PÒI.  Tic.  e  propriamenle  a  Biatca. 
Ragazzo;  fem,  Pola.  -  I.  Pulì us? 

Pòlec.  Br.  -  Pòles.  Mil.  -  Pòlag. 
McmL  Gànghero ,  perno.  - Gr,  Po- 
leo.  Girare. 

Poledro.  f^.  7\  Pannocchia  del  gra- 
no turco. 

P  0 1 1  g  a  n  a.  Gen.  Astuto,  gattone.-^rm. 
Poe  Ile  k.  Prudente. 

Pomiites.  Br.  -  Tomàie»,  torna- 
ti ca.  Gen.  Solano  iieopèrsieo.-tS'pa. 
Tornate. 

Pombiana.  Com.  Fuligine.-  f^.Cali. 

Pompogna.^r.-Panipogna.Jlf ani. 
Scarafagio  stridulo.  -  l.  Scara- 
bSBus  meloloniba. 

Ponga.  Gen.  Esca. 

Ponièl.  f^.  r.  Gióvane. 

Po  se  a.  Brian.  Tralcio  reciso,  che  il 
vignaiuolo  collega  colle  testate  di 
due  capi  tra  loro  discosti,  per  rav- 
vicinarli e  sostenerli. 

Pòss.Afif<.Rafrernio,vieto;Pan  pòss. 
Pane  indurito.  -  Com.  Powes.  - 
^rm.  Paves.  Posa,  riposo. 

Prede  sa.  Br.  Barbatella  trapiantata. 

Pregherà.  Com.  Pineto. 

Presèf.  K  T.  Mangiatoia.-  L.  Pre- 
sepe. 

Prestin.  Mil.  Forno.  -Prestine. 
Fomajo. 

Presura.  Cr.^  Trave  maestra  dei 
tetti. 

Priàla.  y.  T.  Carro  di  legna  o  fieno. 

Prosa.  Mil.  e  Po».  -  Preso t  Mani. 
Ajuola,  porca. 

Próv.  y.  Anz.  Prato. 


Prussiani.  Br.  Fanello.  •  £.  Priil- 

gilla  cannabina. 
Pùa,  poa,  puòt,  pigotta.  OM.Faii* 

tocclo ,  bamboccio. 
Pùdina.  Or.*  -  Pudin.  V,  T.  ftòtt- 

cola,  falce tta.  Da  Potare. . 
Pus  ter  la.  D.  Oc.  Porticina,  seoonda 

porta;  porta  di  soccorso. 


Quàc.  Po».  Airone  ceneriecio. 

Quacin,  qua  Ciro.  Mil.  Fomui,  ea- 
libro.  f^.  Fassera.fbrM  dot  £.  Coa- 
gulare? 

Quat,  quàtol.  Br.  Incubo.  Afiuuio 
che  uno  prova  dormendo,  per  mala 
giacitura. 


Rabadàn,  Ramadàn.  Gei^  Rumo- 
re, frastuono,  baccano.-  Anop.  Rea- 
madan. 

Rabòt  Mil.  Furfantello,  audace,  li- 
bertino. -Rabotà.  Furfanteggiare. 

Raconchiglia.  yerb.  GonovigUa. 

Rafabià.  K.  Jlf.  Dissipare. 

Raggia.  Mil,  Treggia,  civèo,  mapa. 

R  à  i.  f^.  f^  Bastone.  -  L.  R  a  d  i  a  s.Verga* 
Rais.  y.  T.  Ragazzino.  -  y.  iret.  - 

GaeU  Rais.  Germoglio,  virgulto. 
Rampa.  Mil.   Erta,    salita.  -  Fr. 

Ramper. 
Rampella.  y.  T.  Ferro  adonee  per 

tagliar  le  legna. 
Rancùràss.  Mil.  Dolersi,  acoorarsf. 

Toec.  Rancurare.  -  Ft.  Rao* 

cune.  Rancore. 
Ran gogna.  Mil.  Lamentarsi,  bron- 
tolare. -  Rangògn.  Lamento.- fV". 

Rancune.  Rancore,  sdegno. 
Rangù.  Cr.^  Palo,  che  soelieiie  la 

vite  nei  filari. 
Ransignà.  Br.  e  yer,  Aggrimare» 

ramiiochiare.  -  y.  Rescià» 


DIAUSm  LOMBARDI. 


7T 


■ansa.  MiL  e  D.  Oe.  Falce  da  fieno. 

lapa.  Gen.  Ruga  della  pelle;  piega 
■elle  slolle. 

Rapata.  Br,  Rospo  terrestre. 

Ras.  Br.  Gerla  per  portare  il  carbone 
alla  fornace;  Jnehe  Blisara  di  car- 
bone equivalente  alla  quinta  parte 
del  sacco. 

Rasoi,  raso.  MiL  Magliuòlo,  sarmen- 
to di  Tlte.  -  Or,*  Bottone  di  rosa. 

Ras  sa.  f^  T.  Gonna. 

Rat.  Br,  Erto,  scosceso.-  Rata.  Sa- 
lita rìpida. 

Ravajòt.  Cr."" -Roajòt.  Br.  -  Ru- 
Tiòn.  Afoni.  PiselIi.-L.Pisum  sa- 
tivurn.*  y.  Arbión. 

Ra varia.  6en.-Ravarèi.  Pop. Car- 
dellino. 

Ravasia.  Brian.  Brulichio. 

Rèa  Idia.  Br,  Riméttersi  in  forze,  in 
coraggio. 

Rebesisse.  Cr.*  Rioiéttersi  in  vigo- 
re, in  forza. 

Recato n.  Cr.*  Rivendùgliolo,  incet- 
tatore. -Sp.  Regatón. 

Red  ab  là.  Br,  Colmar  le  campagne, 
introducendovi  aque  torbide.- Re- 
dablà  I  pós.  Vuotare  il  fondo  dei 
posai  colla  cuochiàja,  che  si  chia- 
ma Redàbol.  -  Fr.  Remblai.  - 
Remblayer.  Colmare  ec. 

Regalia.  Br.  Fornace  a  secco  da 
calce  e  iimiìi.  ^  Jrm,  Reghez. 
Carbone  acceso. 

Regogna,  ^r.  Erica  erbàcea. 

Regondà.  Brian.  Raccògliere, adu- 
nare. 

Regòrs.  Cr.  Attributo  del  fieno  di 
secondo  taglio.  -  R  ego  Isa.  Rin- 


Renada.  Br.  Frana,  y.  Rina. 
Eenscf  òt.i9riaii.  Inerte,  neghittoso. 
Esntàr.  y.  T.  Legare.  -  Com.  Re- 

nothas.  Legato, 
lés.  Br,  Parlo,  bambino.  K.  Rais. 
Kescisci.  Brian,  Riavuto. 


Rescià.  Affi.  Rannicchiare,  arric- 
ciare. 

Resélòss.  MiL  Sito,  tanfo.  Riscal- 
damento. 

Re  senta.  Gen,  Risdaquare.  «  Pop. 
A  r  s  e  n  t  k,»ManLkT  z  a  nz  à  r^Jrm, 
Riusa.  -  fV.  Rincer.  Sciacquare. 

Retriu  Brian.  Negletto,  malvisto. 

Retrài.  ilfif.  Propàgine.  -  K  Trat- 
terà. 

Revegiàd.  Lod.  Sano  e  lieto. 

Reió.  AfiX  Reggitore,  ammintotra- 
tore  di  casa;  fem.  Reiora. 

RIana.  MiL  Traccia  lasciata  dall^a- 
qua  piovana  lungo  il  suo  corso. 

Ribotta.  MiL  Gozzoviglia-  Ribot- 
ta. Gozzovigliare. 

Ridoi,  ròdoi.  ^r.Tussilago  pe- 
tasites. 

Righignà.  Iff/.  Nitrire. 

Rilia.  ^r.-Arlia.  Afoni.  Avversità, 
specialmente  nel  giuoco. 

Rim.  K.  r.  Cucchiaio. 

Rina,  rinàsse.Cìr.*Franare9losco* 
scéndere  del  terreno. 

Ri  s  e  1 0 1.  f^erb.  Salita,  selciata.  -  R  i- 
s  e  io  là.  Selciare. 

Rivi.  Gen.-  RuviòL  Cr.^  Capec- 
chio. 

Robiola,  robiora.  Gen.  Piccolo 
cacio ,  per  lo  più  di  latte  caprino 
0  pecorino. 

Ròcol.  Gen.  Ragn^ja  (Specie  di  uc- 
cellagione). 

Rogantà.  yerb.  Rispóndere  arro- 
gantemente. 

Règia,  roia.  D,  Oc.  Gora;  canale 
di  derivazione  che  serve  air  irri- 
gazione. 

Rogià.  f^.  Af.  Portar  gravi  pesi. 

Regio.  D.  Oc  Cruschello. -Pan  de 
regio.  Pane  di  farina  e  crusca. 

Ròi.  Cr.^  e  lod.  Porco,  majale;  fem. 
Roja. 

Rogne.  K.  T.  Tralci  lussureggianlL 

Ròja.  Cbm.  Vacca  vecchia,  magra. 


78 


PAllTB  PftlSA. 


Ròl.  Om.  Gusci  di  castagne. 

Roméni.  Brian,  lì  mucchio  della 
pula  suiraja.  jinehe  Tritume  e  ra- 
schiature di  legname. -L*  Ra  m e  n- 
tum.  -  fìnm.  Rumlent 

Ro menta.  Brian,  Ammucchiare  le 
ceneri  sul  fuoco. 

Rómp.  Tic.  RumpòUnOy  alteno.  La 
vite  educata  sulla  cima  degli  àl- 
beri, f^oce  antichissima  espressa  to- 
tìnamente  con  Rumpus  presso  f^ar^ 
nme  e  Columella, 

Ronà.  Mii.  Lod,  eCom.^  Romnà. 
A  Or,  Numerare.  -  Jrm,  Rum. 
Nùmero.  -  Jsl.  Runa? 

R  ò  n  e.  Gen,  Poggio  a  vitÌ.-R  o  n  e  a  J  a. 
Vigneti  a  riplani.  •  Jrm.  Run. 
Collina,  che  dolcemente  si  eleva 
sul  piano.  -  Com,  Runen. 

Roncàien.Aff7.  Fusàggine.-£uEvo- 
nymus  europsus. 

Ronfà,  ronca.  Gen,  Russare. 

Ropàt.  Br,  Rospo.  -  f^.  Rapata. 

Ròs,  ròS.  Gen.  Stormo, stuolo.-  Ròs 
d'ùa.  Penzolo,  fascio  di  gràppoli.- 
yer.  Rósso.  -  Camb,  Ross.  Muc- 
chio, monticello. 

Ros.  Br.  Velocemente. 

Roiada.  Mil.  Rovescio  d^aqua.-<Sp. 
Rociada.  Forse  dalla  radice  Roi. 
Stormo. 

R5sà.  Br.  Spingere.  -  f^:  Ruià. 

Rosana.  K  y.  Salamandra. 

Roversó,  Roversór.  i^  BHofiza 
tign,  il  coltello  dell'aratro;  in  qual^ 
che  villaggio  del  Mil,  9ale  Aratro, 
che  nel  D,  Ver,  è  detto  Versór.  - 
L,  Vertere? 

Rùc.  Br,  -  Rùt,  Ruf,  Rùd.  -Gm. 
Spaziatura,  letame.-  Rùé,  Rude. 
Letams^uolo.-R  u  é  r  a,  R  ù  d  é  r  a.Le- 
tamajo.  - /^otii.  D  r  ù  t  z  e.  Letamago. - 
L,  Rudus.  Terra  grassa.  - Gr.  Ry- 
pos.  Letam^jo. 

Riifa,  ròfa.  Gen.  fórfora  dei  capo. 

Rum.  f^.  V.  Pioggierella. 


Rùsca.  Orni,  e  Mani.  -  RéaA 
Corteccia.-  Ruscà.  SeortflOd 
Pro^rViuscdi,  - Gae<.JIatf «" 
e  Got,  Ruslc.- ^rm.  R«tl 
teccia.  -  Diruska.  SoorloQi 
Gael,  Rusgadh. 

Ruscinà.  Brian.  Nitrire. 

Rùzà.  Brian,  Urtare.  -  iSeuL 
Ihar.  Impeto,  violensa*  • 
thadh.  Rissoso,  y,  Sbùrlèa 

Rùzèl.  Brian,  Ribes  grò» 
ria.  -  Fr,  GroseiUe. 


8 


Saarùna.  Br,  Cloaca,  fogna.. 
Sabià.  Br,  Vigliare  il  grano.  • 

Sa  bai.  Granajo. 
Sag.  r.  T.  Cattivo;  fem.  8a^ 

Jngl,  Sad.  Cattivo,  nojoso.  • 

Sad.  Noja,  fastidio. 
S  a  g  h  e  r.  Mil,  Rùvido,  tànglMi 

lano. 
Sa  ina.  ^r.  Capra.- /I.  Dàino» 

selvàtica. 
Sajòd,  sajòt,  sajòttol.  D. 

Sajòtru.r.  l.  prillo,  e  l4 

verde.  -  Jrm.  Sala.  Saltavi 

Saliens.  Saltellante. 
Sairèd.  y.  M.  Triste.  -  IngL 
Sang.  y,  Bl.  Canto.  -  Ted,  Gai 
S  à  1  e  s.  Br.  Arenaria  rossa.-ii.  8 
Salustro.  y,  T.  Paura,  trista 
Samara.  Br,  Scombuiare^  d 

dere. 
Sambòi.  V.Cw,  Sonaglio deUi 
Sàncola.  Br,  Càntero,  pitalo» 
Sapèl.  Br.  Varco  angusto  eoa 

passo  di  monte.  V.  Zapèl» 
Sa  radei.  Br.  Cerro.  -  Lftaa 

cerris. 
Sarò.  V.  Co».  Zappa.   -  X.  8« 

lus.  -  li.  Sarchio.  Sarohli 

Arm,  Sa  r  p.  Róncola ,  ronoai 
Sàrodan.  Tic.  Tardivo.  •  £.| 

tinus. 


MAUTTI  tOMBABDl. 


70 


SarÓB,  AfU. -S«rògn,  Sarùda. 
Tic.  Siero. 

8it  Ar. -Sciai.  MiL'  Clàt  r. 
Jnz.  -  Z  a  i.  Mani.  Rospo.  TVym. 
Avaro. 

Sali.  ^r.  BotUcelIa. 

Saio.  Br.  Stagione,  maturità.  -  fV*. 
Saigon. 

8 basi.  Mii,  Spossato,  lànguido. 

Sbelenàt.  Br.  Vispo,  vivace. 

Sbelidri.  brulli. Strillare,  strìdere. 

Sbercia,  f^.  T,  Camicia  rotta.  - 
MmnL  Cispa. 

Sbergna.  Br.  Smòrfia.- Sbergnà. 
Far  le  fiche.  •  I.  8|^etnere? 

Sberla.  Geli.  Schiaffo. 

8berlà.  Brian.  Stracciare  -  ^r.  Piàn- 
gere dirottamente. 

Sberlocià.  Br.  Adocchiare. 

8  ber  ti.  MiL  Uccidere,  ammazzare. 

Sbèsa.  0*.*  e  Br.  Cispa;  Sbesa dèi. 
lippo,  cisposo. 

8  he  set.  Br.  Pettirosso. 

Sbeiegà.  Br.  Cinguettare;  opposto 
d^Betegà.  Balbettare. 

SbièS.  Brian.  Tritume  del  fieno. 

8bilidri.  MU.  Ringaliuzzarsi. 

Sblàl.  MiL  Nudo ,  spogUo.-f^.  Biót 

Sbodezà.  Br.  AflìBicceadarsi. 

Sboglà.  Br.  Sbarrare,  abbàttere. 

Sbragià,  sbragiàr.  Gen,  Gridare 
ad  alta  voce. 

Sbregà,  abrogar.  D.  Or.  e  Ven. 
Stracciare,  lacerare.  -  Ted.  Bre- 
chen.-Sbrég,  Sbregón. Squar- 
cio. 

8brèt.  Brian.  Tapino,  meschino. 

Sbri.^.  Tétrice.  -  L.Yelrix  fra- 
gili». 

Sbrìndola.  D.  Or.  e  yen.  Donnic- 
ciuola,  bagascia. 

Sbrinza.  Br.  Striscia,  fettuccia. 

Sbrìs.  JKTf/.  Meschino,  mìsero,  lo- 
goro. 

Sbrojà  ,  sbroà,  sbro  venta.  Br. 
Lo  tinto  dèe  Brovà.  K. 


S  b  r  0  n  e  à.  Mil.  Borbottare ,  sgridare. 

Sbro 8 a.  Br.  Lésina  grossa. 

Sbrùsi.  Brian.  Rùvido,  scabro. 

Sb&rlèv.O*.«  Urtare.  -Sbarlèn. 
Urto.  y.  Rfizà. 

Scàbria,  scàvrla.  Brian.  Streg- 
gla ,  striglia  -  S  e  a  b  r  i  à.  Strigliare . 

Sca|.  MiL  Paura,  ribrezzo  -  Sca- 
già.  Rabbrividire,  intimorire.  - 
Gael.  Sgath.  Apprensione,  timore, 
f^.  S£èss. 

Seal  a  br  in.  K.  jtnz.  Agile,  snello. - 
Gael.  Sgail-B  rei  gè.  Fantasma  , 
ombra. 

S  e  a  1  à  s  s.  Al^/.  Degnarsi  ;  ancAe  osare. 

8  e  a  l  fa.  Mil  Tagliare  angdarmente.- 
Scalf.  Taglio.  -  Jrm.  Scaif.  Fes- 
sura. -  Scaif  a.  Fèndere. 

Seal  ma.  Br.  Aceonlgliare  i  remi. 
Ritirarli  entro  la  barca. 

Scalmana.  Gen.  Eccessivo  calore  al 
capo.*S  e  a  1  m  a  n  à  s  s.  Aflacoendarsl^ 
affannarsL 

Scalòss.  Gen.  Trabalzo,  scossa.  <« 
Cy*.*  e  Br.  Stalòss. 

Scamofi,  Scamòfia.  Gfii.  Brutto 
ceffo. 

Scàndola.  y.  T,  e  Br.  Tégola  di 
legno  -£.  Scandnla. 

Scanferle.  Gen.  -Sgamberla, 
Sganzerla.  Mani.  Tràmpoli.  - 
Arm,  Skarinek.  Che  ha  le  gambe 
lunghe  e  sottili.  iVe/lò  ttetto  tiffni^ 
ficaio  ti  uta  Scan feria  ^n  Lom- 
bardia. L.  Ferula? 

S  e  a  n  f  ò  i.  ^.  Agrifoglio  -  L.  Ilex 
agrifolium»  * 

S canon.  Mil.  Convalie.  Quella  ca- 
vità die  tra  colle  e  colle  serve  co- 
me di  canale  alPaqua  piovana. 

Scan  sci  a.  Mil.  Gruccia.  -  «S|p.  Gan- 

^0. 

ScaràS.  Com.  Accetta,  score.  -  L. 

Securis? 
Scaravù.  Brian.  Piuòlo  di  scala  a 

mano. 

9 


w 


FARTB  NiUtA. 


Scarfòi.  A  Or,  Cartocci  del  sorgo 
turco. 

Scarión.  Com,  e  Tic.  Pmnajo,  spi- 
neto. •*  8 carioca.  Impnuiare. 

S  e  a  r  1  i  g  à.  MiL  Sdrucciolare ,  scivo- 
lare. 

Scardi.  Br.  Rete  traversaria. 

Scarós.  Mii.  Molle,  tènero.  -  Trat, 
Schifoso^  ributtante. - CE»ni.  S che- 
re  wys.  Sdegnoso,  sprexzante. 

Scarpa.  MiL  Lacerare.  •£.  Discer- 
pere,  conscerpere? 

8  e  a  r  p  ì  a.  Cr.%  Cr»*  e  MiL  Ragna- 
tella. 

Scàrzole.  Cr.*Gmccie.-^riii.Sca8s.. 
Tràmpoli. 

Scatta,  f^.  Jnz,  Lieve  incavatura 
nella  rupe,  ove  il  piede  si  affida  per 
salire  le  erte.  -  GaeL  Sgathadh. 
Incisione,  incavatura. 

Scavés.  Br.  Colatojo  delle  miniare. 

Scervòsc.  y,  T.  Scumaruola. 

Séèss.  MiL  Ribrezzo,  paura. 

SéèU  y,  1\  Ber.  e  Br.  -  8«iàt.-0.» 
Fanciullo,  figlio. 

Schei  da.  Com.  Saetta.-.^rm.  Sked. 
Scoppio,  splendore.  •  Com.  Sgàv. 
Luce. 

Scheda,8chida,  Scheja,  Schea. 
Gen.  Scriminatura ,  partizione  dei 
capelli.  -  Jrm.  Skejadur.  Fessu- 
ra ,  taglio. 

Schelfa,  Schirpa.  Gen.  Corredo 
di  sposa,  oltre  la  dote. 

Schelgia.  MiL  Treggia,  tràino. 

Scherz.  Tic.  Amia  d'api. 

Schincà,  sbianca.  £r.  Schianta- 
re ,  spezzare. 

Sehnàt.  K  Anz.  Rupe  assai  ripida. 

Séiàsser.  MiL  Fitto,  compatto. 

Sciàt.  yerb.  Rospo. 

S 2 i a t a r à.  Cr.*  Spruzzare.  -Sfia- 
terà. Spruzao,  zàcchera. 

Sciavarotta.  y&rb.  Banchetto,  goz- 
zoviglia. 

ScibL  y.  Anz,  Sdrucciolevole.  Di- 


feti  del  terreno  aiciuUo.  fbne  daè- 

Vitaliano  Scivolare? 
Scic,  scigà.  MiL  Abbagliato,  tòr» 

bido,  abbacinato. 
Scldrión.  y.  T.  Bache  di  mirtillo. 
Scighéra.  MiL  Nebbia. 
Scilòria.   MiL  -  Slòria.   Abp. - 

Slòi  r  a.  -  Piem.  Aratro  con  un  solo 

orecchio. 
Se  il  ter.  Af//. -rfni.  Volto. 
Se  i  m  b  i  ò  e.  MiL  V  umor  vitale  delle 

piante. 
Scinicl.  MiL  Palo  che  serve  a  eol- 

legare  o  rafforzare  le  siepL  •  Cortèi 

Synsia.  Legare.  -  £.  Cingerà 
Sciòlvcr.  Bor.  Desinare.  -  IkUi 

Asciòlvere. 
Sci ós tra,  sóstra.  MiL  Haganlno 

di  legna,  mattoni,  calce  e  simili.  In 

Toeeana  cMèmoii  Chibaira  il  re* 

cinto  destinato  alle  legna.     . 
Sciro.  MiL  Garzuòlo  (Interno  tfel 

càvolo). 
Scirpia.  Jlfj/.Avaro.-Scirpià«F!ar. 

l' avaro. 
Scisciàttola.  yerb.  YiDdbosco^  L. 

Lonicera  caprifollum. 
Scispit  Ccm.  Sterpi,  radici,  aelle 

erbose.  L.  Cèspite  a. 
Scitra,  Inscitra.  V.  Cop.  Cosi.  • 

L.Sic,ita? 
Scoda,  scotta.  TVc.  a  JlfifL  Stero 

misto  a  ricotta.  -  y.  M.  Scoehu-* 

Tèd.  Schotten. 
Scognàr.  D.  Oc.  Ruetioi.  Dovere, 

convenire,  èssere  necessario.. /iom. 

Quignè.  È  irregolare,  t  si  méò* 

pera  solo  in  alcune  9ociJ^.  B  e  n  i  è  n 
Scoladés.  Br.  Saligno,  marmo. 
Scolclón.   MiL  Peluria.  -  Brimn 

Stoppia,  sterpo. 
Scorézegn.  Br,  Sodo,  compatto. 
Scorlòfe.  i?r.  Rumex  acetosella. 
Scòss.D.Oc.Grembo.-TVd.ScbooBZ.- 

Scossà,  scossai,  scùssàl.  Grem^ 

biule.  -  Bom.  Scossai. 


DiAurnn  LomàUDi. 


81 


Sopnuioine. 

Scròi  IO  L  MiL  Tràmpoli,  Grueeie. 

Seruscià8-giòJlft7.-8cu8CÌà9^lò. 
Brim*  Accosciarsi  9  acquattarsi. 

Scarni.  Ber.  Dovere.  È  verbo  irre- 
polare:  mdoperaio  solo  nei  tempi 
fuiwro,  pauato  perfetto  e  rimoto, 
OH  trò^aii  unito  aU*auiiliare  ave- 
re. K.  Bentàr. 

Scusa.  Mit,  Far  seouwSp,  E  x  e  u  sa  r. 

Sdug.  yerb.  Urto,  scossa  clie  ri- 
muove dal  posto. -i^.8educere? 

Sea,  Saja,  Seja.  Br.  Ghisa ,  scea, 
ferraccia. 

Sèber.  Mil.»  Po»,  e  Piem.  Mastello. 
Sebré.  Bottajo. 

Secfidi.  Mil.  ScQÒtere.  -  X.  Se  e  u- 
tere.-^.  Sacudir.  -Rom.  8ac- 
cuder. 

Sedùs.  Br.  Salcigno.  Legno  difflcile 
a  lavorarsi. 

SegàgD.  Br.  Kiente. 

Segai U  Or.*  Fioco. 

Seghegnol,  sigiiignòl,  sega- 
gnoL  Br.  Spiedo. 

Segrezòla.  Br.  Satureja  hor- 
tensls. 

Selén.  MiL  Malattia,  per  la  quale  il 
riso  avvizzisce. 

Sèma.  MiL  Ani.  Ora,  una  volta.  - 
L,  Semel? 

SemàL  Br.  Polloni  tèneri  delle 
piante. 

Sènt* '^^  *  Sengio.  Fer.  Ciglio, 
rupe.*7Vc.  Soénit*PM^vii^'''<>^  au~ 
de  rupi. 

Sento l,  sètol.  Br.  Lombrico  ter- 
restre. •  L,  Lumbricus. 

Serègn.  Br.  Ciòttolo,  campo  sassoso. 

Seròs.  Br.  Sinopia,  calcistruzzo. 

Sèsso  la.  Br.  e  Ver.  CuccbUya  per 
introdurre  la  pólvere  nei  cannoni  .- 
Cttcchii^per  levar  Faquadal  fondo 
delle  barche. 

.  Set.  Br.  Istante,  momento. 


Sete.  Br.  Capre. 

S ezana.  Br.  Nébbia  fitta  sull'oriz- 
zonte. 

S f an  tà.  Briom.  Sparire,  dileguarsi. 

S feria.  Mit.  Squarciare,  schlmitare. 

Sforaglàss.  Mil.  Affaccendarsi,  ri* 
scaldarsi. 

Sgaergnè.  Bw.e  Br.  Piovigginare. 

Sgagnà.  Gen.  Addentare,  pasteg- 
giare.- Sgagnón.  Morso,  add^ 
Uta. 

Sgajósa.  MiL  e  y.  M.  -Sgheiia. 
y.  V.  -  Sgbiaa.  Mqmì.  Fame. 

Sgalà.  A^.  Schiantare,  fràngere.-  V. 
Sgarà. 

S  g  à  1  m  e  r  e.  £r .  Tràmpoliw-F<pr.  8g  ài- 
mare.  Scarpaccie  di  legno. 

Sgamùs.i^.-Galùz.  Ì7«r.-Sgajdi. 
MiL  11  ricettàcolo  dei  semi  nella 
mele,  pere  e  simili,  che  si  rigetta. 

SganzèL  Brian.  Gradino. 

Sgarà.  MiL  Sfèndere.- Arm. sIl a r r a. 
Sféndersi,  crepitare.-  Goiìli.  Sgar. 
Disgiùngere. 

Sgarbinàs.  Br.  Altercare,  garrire. 

Sgardissènt.  UÀ.  Imbrogliato. 

Sgarì.  MiL  Strìdere  piangendo^  • 
Goal.  8  g  a  i  r  t.  Strido. 

Sgar  là.  Br.  Raschiare,  razzolare. 

Sgaròs.  Brian.  Sospettoso,  schiz- 
zignoso.  -  K.  Scaròs. 

Sgarugà.  Br.  Stuzzicare. 

S garza.  MiL  Cluffetto.  -^  L.  Ardea 
flavescens. 

Sghebinà.  Br.  Piovigginare.  -  K 
Gheba. 

Sghibià.  Br.  Smallare.-  MiL  Sfùg^ 
gire  con  destrezza  e  rapidità.* 
Com.  Skibia. 

SghibiL  Br.  Débole,  ttoscio. 

Sgiòzz.  yerb.  Meretrice, sgualdrina. 

Sgnèpa.  Gen.  Beccaccino.  •*  Sgne» 

pin ,  sgnepón.  Beccaccino ,minOi* 

re,  maggiore.-^.  Scolopax  gaV* 

linago.  -  Ted.  Scbnepfe.-  IngL 

I      Snipe. 


n 


^f  of  bL  BrimtL  ■■■oaigiiire.  Di- 
€efi  Mie  fnmamk.  Far  le  ttcbe.  - 
Kai.Sgognàr,  far  le  Sgogne - 
IVop.  Degavgnar. 

Sgotta.  Mil.  Ani.  Gola. 

Sgórbia.  Gca.  Scalpalo  fallo  a  doc- 
cia per  InUgliare  il  legiio.  Nel  D. 
JfiL  H§iu  amcke  siliqua ,  baceUo  ; 
^cmde  Sgorbia.  Sbaeellare. 

Sgot  Br,  Snervato.  •  jtrm,  Skais. 
Lasso,  affaticato.  -  Cùrn.  Syghys. 
Snervato. 

Sgriaot,  sgrìaor,  griiol.  Gen, 
Brivido,  ribretio.  •  Arm,  Storia- 
den.  Frèmito  con  emozione. 

Sgrii,  sgriii.  MiL  Terreno  magro 
e  stèrile.  •  Ted.  Spìz.  Grùtli. 

Sgaarrà.  K  Jnz,  Sdrucciolare. 

Sgogelà.  Brian.  Lo  spuntare  dei 
cereali  fuor  di  terra. 

Sgurà,  sgùràr.  Gem,  Astèrgere, 
ldrliire.-/«|jri.  Scour.  -Gael.  Sgur. 
Astèrgere.  -  Arm.  SlLuba.  For- 
bire »  spazzare. 

SL  Br,  Porco»  nivale;  /te.  Sina.  - 
y.  Soni. 

Sia.  MiL  Cignone  erboso. 

Si  è.  f^erb.  Scaglione  di  terra  nelle 
colline  coltivate  a  poggio.  È  Pop- 
poito  di  Centra.  K. 

S  i  è  1.  Br. S  iiè  L  MiL  Acciarino;  pezzo 
di  ferro  o  d*aocii^  che  s'infila  nel» 
razzale  delle  ruote. 

Siga.  Br.  Motteggio,  soja. 

Sigèr,  sfgàr.  D,  Or.  e  yen.  Gri- 
dare. -  Zig.  Grido. 

Slgn  à.  Br.  Tignonc-fV*.  Chignon. 

Silter,  sèi  ter.  Br.  Palato;  anche 
vòlta  o  soffitta.  -Jngl  Shelter.  - 
«Sp.  SÌLyla.  -  Am.Skiul. 

Sto  na.Ar.Fola,racconto  inverosìmile. 

Sissa,ansissa.KCIiiP.Orora,frapoco. 

Slènza.  JftX  e  Jfanl.  PioggU  dirotto. 

Slèpa.  D.  Or.  e  Fen.  Scliiaffo. 

Slétan.  y.  PregalUa.  CaUivo,  mal- 
vagio. -  Ted,  Scbiecbt. 


Slitigkènt. 

Slizig.  V.  Jnz.  Sdrucdolèvole.  Dì- 
eest  dei  terreno  iunUo»  •  Cam. 
Slincha.  Sdroeciolare. 

Slofl.  MiL  Floscio,  snervato.*  ingL 
Slow.-  Dan.  S Idv. Pigro, Soacio.* 
MiL  S  lo  và.Spannocdiiare.-f^  Lo- 
ve, Slovàz.  Cartooct 

Slòscla.  Jfi7.  Aqua  dirotta.- SI u- 
scìetta.  Pioviggina  •  Cbm. Slot- 
te ree.  Tempo  piovoso  e  fosco. 

Smala  via.  MiL  Dissipare. 

Smansa.  Br.  Pannocchia  di  grano 
torco,  pànico,  miglio  e  eòmiii. 

Smara.  tìr.  e  Vtr.  Malumore  »  di- 
spetto. -  CteLSmalan.Tri8lezia, 
malumore. 

Smargiàs,  smergès.ilfiftCliÌas80, 
rumore.  -  Smargiassa.  Fur  di- 
more ,  millantare. 

S morsa.  Br\  Pollone  tènero  deUt 
piante. 

Smiròld,  smilordón.  IKOe.  €o> 
luber  milo. 

Smorbià.  MiL  Sperticare.  Dkeei 
degli  àlberi. 

Snèlar.  Knl.  Le»,  FNchino.  •  7*etf. 
Schneller. 

Snéved.  Lod,  Liscio  e  solUle.  •  «otL 
Sn  ai  db  te. 

S  nìdar.  f^.  £.  Sarto.  -  rad.  Sckiief» 

der. 
Sdbra.  ^. -Zibra.  0.*-Slbrèt 

MiL  Piviella. 
So  e.  Br.  Misura  di  carbone,  ecfiitva- 

lente  a  cinque. sesti  d^on  sacco. 
Soca.  Gen.  Gonna. 
Socardla.  iTr.  Grillotalpa. 
Soga.  Gen.  Corda,  fune. -Sof  ber. 

Cord^ 
Sòl.  Gen.  Mastello, bigoncia*- Soér, 

sojér.  Bottajo.-Giif/.  Soir.  Botte» 

vaso. 
Soli,  soli.  MiL  Uscio,  poro,  sém- 
plice. •  Solià.  Lisciare. 
Som.  MiL  AnL  Scemo,  pazzo. 


DUMTTI  LOMBARDI. 


88 


Soné.  MiL  Trave. «  Somerin,  so- 
merÓD.  Pìoeolt  e  gran  trave. 

Sdmèlec.  D.  Or.  Lampo. 

Sonia.  Geni.  Grano  di  porco ,  ragna. 

Sorà  y  Soràr.  Gen,  Svaporare^  raf- 
freddare; scaricarsi. 

Soregàt.  MU.  8vlatb,sveBtato.*8or- 
gatà.  Divertirsi. 

gortam.  Mil.  Ulìgine. 

Sosnà.  y.  y,  -  Sosnè.  F.  £.  Gover- 
nare il  liestlaine  nelle  stalle.  •  Rwa* 
Seinionar. 

Sosnàss.  y.  M.  Mangiare  avida- 
mente. 

Soia.  Br.  Stereo  bovino. 

Sovénda,  detta  anchie  Traclù^ 
Bròv,  Ot,  Og.  yerb.  Strada  gla- 
ciale inclinata  per  agevolare  Pe- 
strazione  delle  legna  dai  monti.  - 
Cbm.  Vòg,  Voga.  -  Tir.  Tovl. 

8 6  ver.  Br.  Vento  di  tramontana.  £* 
oncAe  wmie  di  poei  e, 

Sovèrs.  Brian.  Turbato,  stravolto .- 
L,  Sabversus? 

S  p  a  J  a  r  d  a.Ofn.Zigolo  giallo.-!.  Pa  s- 
ser  flaveseens. 

Spagna,  f^  V,  Separare. 

Spalm.  y.  7\  Latte  misto  con  aqua. 

Spampana.  Mil.  Propalare,  divul- 
gare. 

S  p  a  n  s  a.  Mil.  Scalpello. 

Spantegà.  Gen,  Spàrgere,  diCTòn- 
dere,  svelare. •  Spantegón.  Mil- 
lantatore. 

Sparón.  K.  y.  Palo  biforcuto  per 
viti.  -  ìL  Sparus.  Palo  acuto.  - 
Arm.  8  p  a  r  r.  Pèrtica -Gcie/.  S  p  a  r  r. 
Trave.  -  Spai^ran.  Sbarra. 

Spai  OS  sa,  spatussà.  Gen.  Arruf- 
fare i  peli,  disordinare  i  capelli. 

Spavìgia.  yerb.  Strumento  cbc  ser- 
ve a  sgusciare  le  castagne. 

6paz.  ^rian.  Unità  di  misura  per  la 
lunghezza  delle  treccie  di  paglia 
per  cappelli,  o  di  budella  per  sal- 
cleeie.  Ècirea  tre  braccia,  quanto 


doè  itènàanti  le  Inraccia  ebarrate 
delVuomo;  e  quindi  eimile  (tlTElla; 
importante ,  perchè  rappreeenia 
un'antiehUiima  mieura. 

Spergnaeà.  C^.*  Sehiaoelare. 

Sperlenghin.  Or.*  Buffetto. 

Spersó.  Jlff7.BigoMinyOveai  depon- 
gono gli  stracchini  prima  di  salarli.- 
Speraorèl.  Asse  oMicpia,  oye'll 
cado  fresco  si  ripone  per  lo  scolo. 

Spertesà.  Br»  EMminaro.  rivedere 
i  lavori  falU. 

Speiaciày  spetateià.  Gen,  SchloD- 
eiare,  calpestare. 

S pianse.  Br.  e  yen.  Aspèrgere  d*fr- 
qua  o  d*  altro  liquido.  -Spiano. 
Spruzzo. 

8  p  i  n  à  s.  ^r.  Pèltine  da  cànapa. 

S  pi  u  r  i.  MH.  Prurire.  -Spira.  Manti 
e  yer.  Prudore,  prurito. 

Spregà.CoM. -Spregascià.  yerb. 
Trascinare. 

Spregadiz.CAùitiiaiuf  fnCA*  i  pol- 
loni tèneri  delle  piante  che  span- 
tano fuori  dalle  radici.  -  J.  S, 
Springan.-/ft(jf(.Spring.  Sbuc- 
ciare, spuntar  fuori  dal  suolo. 

Sprug.  K.A^.-Spluga.K.  7*.  Masso, 
che  serve  a  riparo;  antro. 

Stacchetta.  Aff'i.  Pìccolo  chiodo. - 
Barn,  Staketta.  -Ted.  Stackel.- 
Sp,  Estaca.  Chiodo. 

Sta  riè  r.  f^er6.  Percosse,  busse. 

StarluS.  7Yc.-Siralài.  Afifj.  Lam- 
po- Starlùscià.  Lampeggiare. 

S te finia.  Cam.  e  yerb.  Tafferia. 

8 1  è  I  a.  Br,e  yer.  Ceppo  spaccato  per 
àrdere. -Stelaz oc.  Mù$U.  Taglia- 
legne. 

Sterpada.  Br,  Agnella  che  non  ha 
ancor  partorito. 

8 1 0  d  i.  Br.  Acconciare,  accommodare 
per  le  feste.  •  Ingl.  T  o  s  t  u  d.  -  hi. 
Stod.  -  Dan.  Stoder.-  S^.  St5d. 
Acconciare. 

S  t  ó  m  b  0 1;  Jlf iX -S 1 0  m  b  1 0.  I^er.  Pùn- 


84 


PASTE  nUHA. 


golo  che  serve  a  stimolare  i  buoi.- 

L,  Stimulus? 
8 1  o  n  g  1  à.  Brian,  Recidere  parte  dei 

polloni  d'un  àlbero.-£.T onderò? 
Stori.  Mil,  Annojare,  turbare.  •  Tàd» 

Stftren.  -  Ihgl  Stir. 
8tosà.  ^.Amnaccare.o  Ted.  Stos- 

aen.  •  L,  Tnndere? 
8trachèt.  Br,  Cado  di  capra.»  Gr. 

TragosY  Capra.  •  G«fi.  8lr  ach  i  n. 

Specie  particolare  di  cacio  vaccino. 
8 1  r  a  1  a  t  à.  MiL  Dissipare. 
Straniùsclà.  ^Him.  Soonpigliare, 

spennacchiare. 
8tranagià.  f^erò.  Dissipare. 
8 1  r  a  N  i.  MIL  ilasiderato.*fV.T  r  a  n  s  i. 
8trassà,  MiL  •  Strùssiàr.  Mmt. 

Dissipare .  scialacquare. 
8travacà,  Stravacàr,  Streacii. 

Gm.  Capo\'^gere ,  rovesciare.  — 

^•Ml.  Sdri^are.  •  Travacadòr. 

Scaricatoio  di  canale. 
Stremili.  Mii,  e  O.*  Spavento.- 

Stremi.  Impaurire.  •  Sp.  Estre- 
malo. Spavento.  -  Estremecer. 

Spaventare.- £.  Gontremiscere. 
StrenQ.  ^.  Co».  Pieno,  zeppo. 
S  t  r  e  v  a.  Mil.  Mànico  dell'aratro.  - 

L  Stiva. 
Strlbl.  Com,  Scintilla  di  tronco  ac- 
ceso. 
Strigi.  Br,  Arre8tare.-iftf(ml.  e  MH. 

Trigà.  r. 
S  t  r  1  n  à.  D.  Or.  Diseccare,  abbrustlre. 
Stroblà.  y,  V,  Ammazzare. 
Strftc&y  strùcà.  Gen,  Prèmere, 

aprèmere. 
Stròl.  ilf^i.  Zàcchera. -Strollà. 

Inzaccherare. 
Strepa.  Gen.  Vincastro -8 tro par. 

Sàlice,  vincaja.-  Br.  Stropeléra. 

Vetriciajo.  •  Stropài.  Legaccio.  • 

Arm,  Stroba.  Legare.  -  Strob. 

Legaccio.  -  Vtr,  Strepa.  Vimine. 
Strossc.  Br,  -  Struzi.  Mil,  Fatica, 

stento.  •  Strussi à.  Faticare. 


8 tua.  y,  T,  é  Br.  Turare,  spègne- 
re. -  yen.  Stuàr.  Spègnere. 

Sub  là.  y,  y.  Precipltan. 

Sùer.  Br.  Brezza  da  mattiiia.-f^.  8ó« 
ver. 

Suni.  ^«r. Porci. -Sona.  Troja.  »  L. 
e  Gr,  Sus.-  Jrm.  Suin.  Migalei. 

Sulu.  Br.  Pula,  loppa* 

Sussi.  Mil,  Agognare,  desiderare  ar» 
dentemente. 

8  V  e  g  r  à.  J9r.  e  fV.  DibOBcare,  dirèdi- 
pere  un  terreno  inculto. 

Sve rgn a.  ^Won.  »  Vergaa.  Mil. 
Leziosàggine. 

S  v  è  r  g  0 1.  Gen.  Fatto  a  sgbeniboi.  * 
Svergola.  Sbiecare. 

Svigliàc.  Brian.  Insipido.  DèrnH 
delie  vivande. 


Tabi  a.  Brian,  Gambo  della  patata, 
della  cipolla  e  Mimili. 

Tàcola.  Mil,  Bacello  con  piselli  im- 
maturi. -  ManL  Corvo. 

Taconà.  Gen,  Rappezzare.  -  jirm, 
Takona. 

Taèla,  Tavèla.  Br.^y,T,ey€r.- 
Tega.  Mani,  e  Cam.  SiUqiuiy  gii* 
scio  dei  legumi  in  gènere. 

Talamora.  ^.  Ragnatella. 

Tamba.  Br.  Tana.  •  y,  Cop.  Tarn* 
bra.  Grotta. -GaeLT  a  mh.  Abituro. 

Tambai  Oria.  Coiì  chiàmaHneimmU 
di  iVopa  un  forte  vento. 

Tamis.  D,  Or.  e  yer.  Staccio,  cri- 
bro finissimo.  -  jirm.  Tarn  dèa. 

Tampela.  Br,  Bastoned-Tampelà. 
Bastonare. 

Tampina.  Mil,  Anm^are,  importu- 
nare. 

T  a  n  à  s.  Br,  Rappigliarsi ,  coagularsL 

Tanavlin,  Tanavelin.  Gan.  Soe^ 
chiello. 

T  a  p  as  e i  à.  Mil,  Sgambettare,  affiret- 
tare  il  passo.  -  Pro9.  Tavef  ear. 


IHAUim  LOIlBAmi>I. 


M 


Tapèl^Ttplin.D.  Oc.«l¥nN.8eheg- 

^a,  scbeggfuola  di  legno,  ritaglio 

da  abbracciare. 

Tape  là.  Jlf//.ChÌacchenire,  cianciare. 

Tapini,  àr.  Camminare  a  piccoli 

passi. 
Tarèl.  MìL  Bastone.  t>eazo  di  legno 

al  collo  dei  cani  ih  luoghi  di  cac- 
cia riservata. 
Tarón.  Com»  Cuoehlajo. 
Tata.  Ber.  Padre.- Fref.  Tad/tat.- 

Cbm.  Tas,  t a t- Caiacco.  Tàt(Sr. 
Tega.  Cam.  e  Mani,  ^llqua,  bacel- 

lo.-  L.  Tegere.  •  Ted,  Decken. 

Coprire. 
Tegàl.  MiL  Vinaccie.-£.  Tegere? 
Tègna,  Tegnoia.  Jtfl/.  Piplstrello.- 

y.  Grlgn&pola. 
Tèm.  Oom.  •  Tiemo.  f^m.  Stanzino 

di  poppanellebarehe.-GaetTamh. 

Abituro. 
Tèpa.  D.  Oc.  ìfusco ,  solla  erbosa.  - 

Sp.  Tepe.  Piota. 
Tera.  Br.  Fila,  sèrie-Tiri  ter  a, 

Tringotéra.  Una  lunga  succes- 
sione di  cose. 
Teràm.    Luganese,  Crema.  -   7Vd. 

Rabm. 
T e  r n  e  g  à.  Mit.  AflTogare ,  attoscare 

col  fetore. 
Tesa.  7*.  />.  Capra.  -  Mani,  e  Ver. 

Fienile,  tettoja.  Apparato  di  caccia. 
Tess.  V.  V,  Satollo. 
Test.  Jlf/I.  e  Br.  Tegghia.  Vaso  di 

terra  destinato  a  rosolar  le  vivan- 
de. -  L.  Testu?  * 
Tirlindana.  jlf//.  Lungo  filo  armato 

di  molti  -ami  per  la  pesca  ^  é/eìto 

ofidke  Ani s  51  a.  V, 
Tobia.  Miì.  Orbo. 
Tofà.  Mil.  e  r.  7:  Fiutare. >  To fa. 

Ffuto. 
Toma.  Mtt.  Caduta.-  Gr.  Ptoma. 
Topa.  Br,  Zolla  di  terra.-  Com.T o- 

wan.  Mucchio  di  sabbia. 
Tòpi  a  Z>.  Oc,  Pergolato. 


Tòr.  IHofi.  troncò  d^lbero,  tasto. - 
Jrm.  T  0  r  r.  Fratlone.-/ngf(.  Tò  V  e. 
Squarciato. 

Torba.  BrUmx,  Dormiglione*;  bruco 
del  melo,  del  pero  e  éìmiU. 

Torsa.  y.  T.  Soma  di  fleno. 

Torta  ròl.  JBr.  -Tortòr.  Ver.  fmbu- 

•  to.  •  ^.  Pidrld. 

T  ó  s  ^  T  0  s  a.  Af/f.FanciuIlo,  fanefuUa.- 
Prw,  Tos. 

Tessei,  yerb.  Antenna  da  barca. 

Trae.  y.  T,  Sorso.  -  Sp.  Trago.  - 

'  TfofTl.  Draught. 

Tracia.  P^erft.  •  f^.  Sovenda. 

T rà gol, de/lo  andhs  Stràbol,  Tròl, 

'  Tròs,  Trosa.  Ih^.,  TYr.  e  1^.  71' 
Tràino, -treggia.  -  L.  traheret 

Trai.  Brian.  Consumato,  estentialo.- 

'  L.  Trans-itus? 

Traina.  Br,  Trapelare ,  irasudai^. 

TratìCiùn.  y,  Aia.  CAÌie  df  lana 
usate  dalle  donne  della  valle  e  dalle 
tedesche  di  y,  MoMiaiUme,  y.  Pitia 
e  y.  Se$ia,  che  investono  la  sola 

'  gamba ,  lasciando  scoperto  II  piede;' 

Transi.  Brian,  Assiderato,  inthii- 
zito.  -  ^il.Strasi.-  fV*.  Transi. 

Tra  pi  cera,  y,  Anz,  Talpa. 

Trasà.  Br,  Trappolare.  -  Mil.  Sciu- 
pare. 

Tràuc.  y,  T,  Scarpe  da  contadino. 

Trebatà.  Mil,  Vagliare.  •  Treba- 
tav6.  Vaglio. 

Treis,  Trevi s,Tarvis.I>.  Or.  Van- 
giatoja.  È  anche  nome  di  ùkuni 
pillaggi, 

Ti'esanda,Tresenda,Tre8andèl. 
Br,  Vicolo.  -  L,  Trans-eunda? 

Tresca.  Mil.  Tritura  del  riso. -Aom. 
Tresca.  -  Mil.  Tresca.  Treb- 
biare. -  Ted.  Dreschen. 

Trienza.  Mil.  Forca,  ttidente. 

Trifola.  Gtn,  Tartufo.  -  L,  Lyco- 
perdon  tuber. 

Trlf.  Brim,  Fermo.-  Sta  trig;  Sta- 
re fermo; -Tri  gà.  -  0r.  Striga. 


84' 


PAETB  nauà. 


Fennare,  arrestare.-  Pra^.T  rigar.- 
Oom»  Trig.  Fermare,  stare,  abi- 
tare. -  Gael.  Treig.  Gessare. 

Triia.  I^.Jova;  Sirumento  di  legno 
per  dirompere  il  latte  coagulato. 

Troc,  Trùc.  Gè».  Urto.  -  Truca. 
Urtare.-i^«Tru de r e.- Goet.  Truk. 

Trolar.  K.  L.Utigante.- Tini.  T roti- 
le r. 

Tròs.  MiL  Tralcio  novello  di  vite. 

Trosa,  troso.JBr«  Fetta,  sezione  cir- 
colare di  pesce.  -  F\r,  Troa^on.  * 
Prov,  T ranch e^-yPfom. Tra DCla.- 
Cbm.  Trogli.  Speaalo.  -  Jrm. 
Trovcli.  Taglio. 

Trot.  Br.  Torrente, barrane.-  T ro- 
tola. Bollire  a.  scroscio.  -  Cbm. 
Trot.  Letto  di  Aume. 

Troia.  i^r.Intreccio  di  tralci  di  vile.- 
Catorib.  Sermento. 

Truscia.  Afjl.  Fretta. -T  r  US  ci  à.  Af- 
faccendarsi. 

Truman.  f^.  7*.  Gaglioffo.  -  7WI. 
Treumann.  Uomo  crèdulo. 

Tiiòn.  ML  Palomi»,  colombo  sel- 
vàtico. 

T  u  p.  ^»  jéfig..  Tenebroso. 

Turba,  y,  Ahz,  Càmera. 


V 


Usadèl.  Cr.''  -  OsadèI  in  Gkiara 
d^Jdda,  Aratro.-  Usadèi  in  dia- 
Mio  Mik  significa  Massérisie  ed  an- 
che machine. 

Usma.  Gen.  -  Usta.  Mant  e  Ker. 
Odorato.  -  Usmà.  Fiutare.  -  Gr. 
Osme.  Odorato. 


y ag.  MiL  e  Mr.  Bado;  opposto  a  do- 
lio. -  y.  Pvàc  -  GaeL  Uaigh.  - 
Com,  Ua^,  Vag,  Guagion.  An- 
troy  8pelonca.-Vag  iny.Cap,  signi^ 
fica  ancora  AcidOydisapor  brusco. 


Vajrón.  Oom.  Specie*  di  peeois.  •  I 

Cyprinus  grlslaginoL 
Vandol,  Vandùl.  Br.  Yalangiw  i* 

vina. 
Vanta,  Vandèr,yandi.  Br^'-Fm 

Va n dar.  Vagliare. 
Vèbal.  y.  L.  Usciere  di  tribunale. 

Ted.  WeibeL 
Vedretta.  y.T.,Friu.e  Tirai 

Vedriàl.  K  Gemi.  -Vedrà é.  71k 

Ghiacciaio  perpètuo.   . 
Végher.  Br.-Vegro.  f^er.  TorrvK 

stèrile  o  inculto.  -  y.  Svegrà. 

V  e  1  ò  m.  Br.  Pioggia  adusta  nodv 
alle  viti.-  Velom  à  8.  Allibire»  dii 
seccarsi. 

Vènt  MiL  Significa  vento  inmtm 
tano,  Maestro,  in  generalBpoi 
venU  speciali  iràssero  il  loro  ntm$ 
dai  luoghi  d'onde  spirano,  o$Uhi^ 
lago  di  Como  furon  detti:  Tlv/f^i 
Molinài,  Bellanàsc,Mena8)i| 
Argegnin,  Mendrisón,  Teaii 
Bergamasca,  ec,  da  Tivano^  Ik 
lina,  BeUano,  Menaggio,  ec 

V  e  r  a.  i9r.  e  yer.  Anello.  Cerchio  d^on 

di  ferro  o  d^  altro.  Ghiera. 

V  e  r  g  n  a.  jlftf .  e  Com.  Smòrfia,  moUu 
anche  Maniera,  modo. 

Vergòt,  vargota,  argota.  />•  Ot 
Qualche  cosa.  -  Vergu,  vergai 
Qualcuno. 

Verte  e  la.  £r.  Bandella,  intomo  aU 
quale  girano  o  si  ripiegano  le  pari 
d^una  scàttola,  d^una  porta,  e  si 
miti,  -  JL.  Vertere? 

Vertesa.Jlfi7.-Avertis.fiWaii.8eri 
minatura  dei  capelli.-  f^.  Se  h  e  da. 

fbrse  daV  è  r  z  e  r,  A  V  è  rzerJkprivi 
Verti.  MiL  Inf,  Dovere. -Ver ti( 

Dovuto,  y,  Bentàr. 
Verùscià,  DerQscià.  Brian.hMm 

pognare  aspramente,  trattar  don 

mente. 
Vetà.  r.  r.  Rubare. 
Vettabbia.  MiL  Ani.  Estremità  4el 


DIALEITI  LOVBAADI. 


87 


rinvftlnero  delle  cipolle ,  e  titnili; 
anche  Yerdora  in  gènere. 

Vezola.  Br.  Acquidutto,  botticella. 

Vi  risei, Yiscor.  MH.  Vispo,  vivace. 

Vis  earda.  Mil.  Tordella  (specie  di 
tordo).-iL.  Tnrdus  viscivorus. 

Vissinèl.  G«n.  Vispo,  inquieto.  Di- 
eni  di  fanciullo,  -  Vissinèl  nel 
D,  Ven,  Hgmfiea  Uragano.  -  GacL 
U  i  8 1 1  §  i  n  n.  Scompiglio ,  furore. 

Vissòpola.  f^erà,  Lucerta  vivi- 
para. 

VoL  f^CtaP.  Zolla  erbosa.- fV-.G a zon. 


Zaeàgn.  MiL  Piatltore.-  Zacarà. 
Utigare. 

Zaeearell a.  jlf//. Màndorla  prèmice. 

Zagot  f .  K  Riccio  senza  castagne. 

Za  ina.  Gen.  Quarto  di  boccale;  mi- 
sura di  liquidi. 

Za  n  f ò  r  g  n  a.  MiL  Rlbebba. 


Za  pél.  O.*  Piccolo  accesso  dalla 

strada  al  campo. 
Zata.  D.  Or,  Zampa. 
Z  a vaj à.  Mil,  Canzonare,  burlare.  Gi- 

ronzare. 
Z  a  V  è  r.  Br,  Caprone.  -  Hai,  Zeba. 

Capra. 
Zela.  Com,  Córrere. 
Zèmbol.  MiL  Pollone,  virgulto. 
Zèrb.  Mil,  Sodaglia,  f^.  Gerb. 
Zia.  Com,  Ornare,  acconciare. 
Zibra,  Zibrèt.  Gen,  Pianella. 
Zi  d  rè  la.  Or.*  Carrùccola. 
Zigra.  r.  L  Ricotta. -Ted.  ZIeger. 
Zobia,  Zigola.  fir.  -  Zanzavrén. 

Cr,*  -  Zeniuin.  Mil.  Giùggiola. 
Zocca.  Cùm,  Seno  di  lago. 
Zola.  Mil.  -  Zolèr.  Mani,  Bèttere, 

bastonare. 
Zoncadfira.   Br,  Filone  verticale 

nelle  miniere  di  ferro. 
Zosc.  Or,*  Cespo,  cespuglio. 
Zu.  K.  M,  Capretto. 


CAPO  IV. 

Cenni  istorici  sulla  ktteratura  dei  dialeUi  lombardi. 

Parlando  di  propòsito  delle  vernàcole  letterature ,  è  mestieri 
primamente  distinguere  \si  popolare  óslìV  arlificiali.  Per  lettera- 
tura popolare  intendiamo  quei  componimenti  in  vario  metro, 
ehe  nàscono  nel  seno  delle  nazioni  rozze,  il  cui  autore  è  il  pò- 
polo slesso  che  ne  è  depositario:  componimenti  tradizionali,  che 
tèndono,  o  a  tramandare  ai  pòsteri,  a  guisa  d' annali,  con  vivaci 
colori ,  favolosi  avvenimenti  e  gesta  d' eroi ,  o  a  descrìvere  con 
eròtico  stile  e  càndida  ingenuità  gli  amori ,  le  fazioni,  i  costumi 
del  pòpolo  stesso  che  li  ha  dettati.  Tali  sono  i  canti  nazionali  dei 
montanari  Scozzesi,  dei  pastori  Serbi,  dei  QefU  dell'Epiro, 
dei  Pallicari  della  Grecia,  nei  quali  vèggonsi  fedelmente  descritti 
Q  cielo,  i  monti,  la  natura  materiale  delle  rispettive  regioni,  o 
rappresentati  i  costumi  ed  i  passati  avvenimenti  delle  nazioni 
rispettive.  Per  letteratura  artificiale  invece  intendiamo  quei 
componimenti,  sì  in  prosa  che  in  verso ,  che  furono  dettati  nel 
dialetto  del  pòpolo  bensì,  ma  dalla  classe  eulta  d' una  nazione; 
nei  quali  per  conseguenza  lo  studio  e  Tarte  ebbero  la  parte  prin- 
cipale, e  tèndono  per  lo  più  a  reprimere  con  satiriche  forme  gli 
abusi  e  i  depravati  costumi  dei  contemporànei ,  o  a  celebrare  pù- 
Mici  e  privati  avvenimenti.  La  prima  è  sémplice  e  pura  come  la 
natura  che  riflette  ;  la  seconda  arguta  e  studiata ,  come  il  vizio 
che  reprime;  la  prima  è  òpera  d^t  natura,  la  seconda  dell' arte; 
quella  tende  a  spàrgere  i  primi  semi  di  civiltà  presso  le  nazioni 
nascenti  ;  questa  a  corrèggere  e  riformare  le  instituzioni  già  ve- 
tuste e  guaste  presso  le  incivilite. 


90  PàMTt 

Gò  premesso)  è  abbastanza  noto^  come  la  civiltà  romana,  e  più 
tardi  la  diffusione  del  Cristianésimo  scancellassero  da  molti  sècoli 
presso  di  noi  ogni  rimembranza  delle  poètiche  tradizioni  dei  Bardi, 
non  che  delle  superstiziose  leggende  degli  antichi  Druidi;  e  ap- 
parirà quindi  manifesto,  quanto  male  s' appóngano  coloro,  i  quali, 
confondendoci  coi  bàrbari ,  cercano  tuttavìa  fra  di  noi  canti  po- 
polari, come  faceva  Omero  neUe  Isole  dell'Arcipèlago  ed  in  Ada, 
prima  che  Solone  dettasse  agli  Ateniesi  novelle  instituzioni ,  o 
come  tutt'  ora  suol  farsi  ne'  pii  appartati  monti  deU'  Europa  sel- 
tentrionale  ed  orientale ,  presso  nazioni  non  ancora  informate  alla 
moderna  civiltà.  1  (fialetti  lombardi  non  hanno  infatti  canti  popo- 
lari ;  ma  bensì  una  letteratura  artificiale ,  ristretta  sinora  a  colle- 
zioni di  poesie  ed  a  drammi,  la  quale  ebbe  incominciamenlo  dolo 
nel  secolo  XVI.  Né  v(^[liam  con  dò  dire,  ch'essi  màndilno  tf  omH' 
numenti  anteriori  a  qnelf  età  ;  basta  vòlgere  uno  sguardo  ai  doèH^ 
menti  dei  sècoli  di  mezzo,  non  che  dei  successivi,  dei  quali  dovistaii 
raccolta  serbasi  nei  nostri  Archivii  e  nell'Ambrosiana ,  per  ìséòt^ 
gere  nell'  incòndito  latino  d' allora  una  serie  di  voci  e  d'idiotÉsait 
bastèvoli  a  formarne  un  Vocabolario  (4).  Né  solo  una  racoolli  él 
voci,  ma  si  potrebbe  estrame  altresì  buon  nùmero  di  frasi!  € 
modi ,  che  sono  pretti  lombardi.  Gran  copia  di  tali  yo<i  ed  ìdki^ 
lismi  trovasi  ancora  nelle  crònache  èdite  ed  inèdite  de' nostri  miuifr 
cipj,  ed  in  alcuni  vetusti  Vocabolarii,  nei  quali  Tignoranca  deM 
voci  italiane  indusse  gli  scrittori  a  sostituire  sovente  le  eorriapori* 
denti  vernàcole  italianate.  Abbiamo  sotto  gli  occhi  im  voealfe^ 
lista  ecclesiàstico  redatto  da  un  mònaco  agostiniano,  sin  dal  t%Mi 
dal  quale  abbiamo  estratto  parecchie  voci  lombarde ,  die  mug^ 
giungiamo  qui  in  calce,  in  Saggio  del  vocabolario  dei  nostri 
tichi  dialetti  che  potrèbbesi  agevolmente  oompflare  sui 
menti  (3).  Ma  se  questi  monumenti  provano  la  rìmota  anticUÌI 

(i)  Sarebbe  pure  aiiHinpresa  mollo  ùtile  allt  sdema  la  radaiioiie  iTeÉ 
vocabolario  vernàcolo  tratto  dai  monumeiiti  latini  del  laedio  evo.  ItaM*» 
dail'ana  parte  sarebbe  chlarameale  pro\'ato ,  che  i  nostri  dialetti  fnifMi^ 
in  ogni  tempo  con  leggere  modificazioni  parlati^  dair altra  sarebbero  salvo 
dair oblio  parecchie  radici  da  sècoli  andate  fuor  d'oso,  e  meglio  attei 
constatare  Poriglne  del  medésimi. 

(t)  L'opera  della  quale  qui  porgfamo  un  estratto  è  Inlf telala  :  Si-Wlh 


DIAUETn   LOMBAKM. 


9i 


dei  vernàodli  idiomi ,  e  la  consónama  loro  cogli  aUualmente  par- 
iati,  non  ne  viene  che  si  possano  ascrlTere  alla  letteratora  \er^ 
wàcoèà. 


eatmiisia  ecelaioitico  ricolio  et  ordinalo  dal  povero  sacerdote  de  Christo 
Frate  Johanne  Bernardo  Savonese ,  del  sachro  Ordine  de  heremili  otier^ 
fanti  di  santo  Augmtino.  Ed  In  fine  del  libro  si  legge:  hnprestnm  Medium 
\/mi  per  soler  lem  opificem  Magistrum  Leonardum  Pachel,  148».  Die  XXIII 
mentis  Februarii,  Ivi  trovammo  registrate  le  seguenti  voci ,  le  quali ,  in 
Mita  alia  terminazione  Italiana  datavi  dall^aulore,  sono  In  perfetta  conso- 
con  quelle  del  vivente  dialetto  milanese. 

Cavalcarla,  cavalleria, 

Cognosse,  cognossuto^  conóscere,  co- 

nosciulo, 
Copo,  tégola,  èmìbrice. 
Costrénzere ,  costringere. 
Cressuto,  cresciuto, 
Cusire,  cucire. 
Dar  fora^  publicare. 
De  dreto,  di  dietro, 
Depénzere,  dipingere. 
Despreslo ,  disprezzo^ 
Dessedare^  svegliare ,  dattwe, 
El ,  ìL 

Ei  se  dice ,  si  dice, 
Extendudo,  esteso. 
Fantino  y  iMunbino, 
Pezza ,  feccia, 
Fiadare,  respirare, 
Flcare,  infiggere, 
Fidigo,  fégato, 
Fogaila,  focaccia, 
Fopa^  cloaca, 
Forestero,  forestiere. 
Fòrfexe,  fòrbice, 
Fronza,  fionda. 
Camberà,  gambiera^  calzare. 
Cera,  ghiaja, 
Gialdo,  gicÀlo, 
Giaza  (la) ,  il  ghiaccio. 
GotMare ,  gocciolare. 
Grassa  (la),  il  grasso^  T  àdipe. 
Grllanda,  ghirlanda. 
Impressa ,  frettolosamente. 


àfonzare,  acconciare. 

AgBCcia  ,  ago,  agticchiu. 

Amolato ,  arruotato. 

imarcla ,  morchia. 

ÀDgrestara ,  inghistarra,  misura  pe* 

liquidi. 
Armarlo,  amuuiio. 
Aspero  sordo ,  àspide. 
Asselarae ,  Mederei, 
Astregarc,  àstrego,  lastricare,  tastri" 

calo. 
Avollo  ,  aporia. 
Balanza,  bilancia. 
Barba,  zio. 
Bèllora ,  bétlula. 
Biastemare,  bestenumiare. 
Biava,  inada. 

Biseanllero,  soffitta,  cielo  delle  stanze. 
Boffare,  soffiare. 
Bógller,  ààiUre, 
Bota,  eoipo ,  ffereoséo. 
Braghe,  brache. 
Brancata ,  manipolo. 
Brasca,  bragia, 
Brazzo,  braccio. 
Brasare,  bruciare. 
Bniscato ,  abbruttoUto. 
Caldaro ,  caldera ,  caldera. 
Càmola  ,  Ugmtoia, 
CkncuÈO ,  càrdine, 
Gapozo,  capucdo. 
Cama,  carne. 
CàuU ,  càvoli. 


09 


FARTB  nnu. 


I  primi  tentativi ,  fatti  di  propòsito  per  iscrivere  i  diaMIi 
bardi  furono  intrapresi  solo  quando  gli  scrittori  italiani ,  ad 
tazione  dei  Toscani,  introdussero  la  prima  volta  nella 


Improperio ,  ingiuria,  imulto,  jMòlgere ,  mùngere. 

Id  ,  quando  precede  V  articolo  3  retta  Moli onc ,  montone. 


invariato,  dicèndoviei:  in  el  lago, 

in  la  lucerna. 
Incùzine ,  incùdine. 
Inguaiare ,  eguagliare. 
Inlordire  ^  frattuonare. 
Insema ,  insieme. 
Inzegno,  mòcc/tina,  istrumento, 
Inzenocciarse ,  inginocc/iiarsi. 
Lasagna,  lasagna,  L.  làganum,  Gr. 

Laganon.  Specie  di  focaccia. 
Lavezo ,  pajuolo  ,  ealdaja. 
Lazzo ,  laccio. 
Lecardo,  ghiotto, 
Lcgerisca ,  leggerezza. 
Lentigia,  lenticchia. 
Levadorc,  lièvito. 
Lèvorc,  lepre. 
Lisca,  càrice. 

Lixo ,  senza  lièvito.  Dicesi  del  pane. 
Lumisello,  gomitolo. 
Macare ,  contùndere,  ammaceeare. 
Madone,  mattone, 
Mamolino,  bambino, 
Manezàr ,  maneggiare ,  iraltare. 
Marzàr ,  macerare. 
Masiono,  casa,  maggione. 
Mazera,  chiusura,  muriccia,  h.  Ma* 

certa. 
Mazerato,  fràcido. 
Meda,  mucchio.  Dicesi  del  fieno  e  delle 

biade  ammucchiate,  L.  meta, 
Médere ,  mlèfere. 
Mele  (la),  il  miele. 
Messedare,  mescolare,  agitare. 
Mezarola,  specie  di  misura  pe^tìquidi. 
Mezena,  metà  del  tardo  d'un  mafale. 
Mitria,  mitra. 
Mocare,  smoccotare. 


Morone,  gelso. 

Mozo,  moggio. 

Mufolcnlo,  ammuffito. 

Nàdcga,  nàtica. 

Nassuto,  nato. 

Nora,  ntiora. 

Olirà,  Oltre,  Passar  oltra  el.  1 

tragittare  il  guado. 
Pagura,  paura. 
Pala  da  grano,  ventilabro. 
Panzera,  lorica.  1 

Parpela ,  palpebra. 
Pede,  piede. 

Perlusare,  forare,  pertugiare 
Plgnata^pèiiloto. 
Prestino,  fomajo. 
Quindexe,  quindici. 
Ranipegàr,  arrampieare. 
Rangognar,  borbottare. 
Rasone,  ragione, 
Rasore,  rasofo. 

Rognoni,  reni.  , 

Rosegato,  roso. 
Sappa,  zappa. 

Sbàter  le  mane,  applaudire, 
Sbadagiare,  sbadigliare. 
Sl>efigamento,  delirio. 
Scarcàre,  sputare, 
Scòder,  riscuòtere. 
Sconflo,  gonfio. 
Scovare,  scopare, 
Scracare,  scalorrors. 
Seda,  seta. 

Semeso,  «pecte  di  miturm. 
Sémola,  fior  di  farina.  L.  SimU 
Sengiuzo,  singhiozzo, 
Seniero ,  sentiero. 
Sénzer ,  ctiidrere. 


DIALBm  LOMBAIDI. 


95 


■i  vnlgari  ;  e  ciò  che  reca  singolare  stupore  sa  ò,  che 
i  primi  che  vi  si  provarono  èrano  estrànei  alla  Lombardia^  quali 
iàrooo,  tra  i  molti,  Andrea  Calmo  veneziano,  Angelo Beolco  da 
Pidova,  Gian-Giorgio  Alieni  d'Asti,  Giulio  Cesare  Croce  da  Bo- 
logna ,  ed  altri  tali  dell'  una  o  dell'  altra  regione  d' Italia.  Catana, 
Beolco,  Gnì,  Gcognini,  Pedini  ed  altri  molti  in  più  comedie 
à  valsero  del  Bergamasco,  il  quale,  colla  ruvidezza  e  semplicità 
del  linguaggio ,  contrilml  a  render  lèpide  le  rappresentaziont 
L'Ahoni ,  nella  farsa  intitolata  :  El  Bracho  e  el  Milanem  innof^ 
muralo  in  ji$t  j  alternò  il  dialetto  astigiano  col  milanese  ;  ma 
tatti  questi  Saggi ,  il  cui  nùmero  è  grande,  non  si  possono  dire 
né  milanesi  né  bergamaschi,  mentre  vi  sono  talmente  svisati 
dall'  imperizia  degli  scrittori ,  che  appena  vi  si  possono  riconò* 
scere.  Perdo  basterà  averne  fatta  menzione,  come  del  primo  se- 
gnale dal  quale  ebbe  principio  la  letteratura  dei  nostri  dialetti; 
e  solo  per  quelli  che  ne  bramassero  più  estesa  notizia,  abbiamo 
soggiunto  alcuni  Saggi  tratti  dai  più  antichi  scrittori  e  {riù  difficili 


8eMy  $itpc, 
Seie,  iei. 

Sir ,  èfiere. 

Solaro,  tavolato,  parte  iuperiore  della 

casa. 
Spedane ,  aromi, 
ipegauMÌo,  imbraliaio. 
Stara  ,  eiaja, 
Stlzooe,  tizxfme, 
Strepare ,  tlroppare, 
Stoa,  cli^a. 


Sugare,  ateiugare. 

Tavano,  tafano, 

Temporito ,  precoce. 

Trillare,  tritolare. 

Vènere,  penerai, 

Vodare,  Pitotare. 

Zanzare,  cianciare, 

Zenevro,  ginepro, 

Zenzala,  zanzara. 

Ziaramella,  zampogna  di  canne. 

Za,  giù. 


Qui  si  vede  chiaro,  come,  eccetto  le  poche  radici  andate  in  disuso,  quali 
sMo,  biecanUerOs  ibeflgamento  e  simili,  totte  le  altre  serbino  le  medésime 
pemiutaiioni  distintive  del  dialetto  vivente,  cosi  deUe  lèttere^  eome  dei 
lèiierl  del  DomL  eguali  osservastoai  potremmo  fare  sulle  inflessioni,  por- 
indo  lo  stesso  vocabolista  le  terminazioni  pianzando^  torzando,  per  p^on- 
fOMlOj  torcendo;  andarla,  deferta ,  per  andrMe,  doprMe;  iédeno,  dice" 
9mo,  per  tiédono,  dicevano,  e  simili.  Tale  era  quattro  sècoli  fk  la  conso- 
sama  del  dialetto  mflanese  coir  attuale;  altri  monumenti  la  eompròitano 
con  pari  evidenza  in  tempi  di  gran  lunga  anteriori}  slecliè  pare>  cbe  non 
si  possa  più  dublUre  deirindestruttibiUtà  dal  dialetU,  dell' antichità  dei 
oostri  e  della  soauna  loro  importansa. 


•!; 


94  PARTE  PR11IA. 

a  rinvenirsi ,  non  che  un'  indicazione  delie  principali  produribÉ 
di  questo  gènere,  nella  Bibliografia. 

Da  ciò  è  manifesto,  che  i  dialetti  da  principio  furono  aeriil 
per  célia,  e  coli' intento  di  trastullare  le  moltitùdìiii ,  oame'wti 
punto  nello  stesso  tempo  furono  intnisi  in  molte  oomedia-l 
Greco ,  il  •  Dàlmata ,  il  Tedesco ,  il  Francese  ed  il  Turco ,  -eh 
in  varia  foggia  masticavano  un  guasto  italiano,  o  qualche  aoi 
speciale  dialetto.  E  che  tale  fosse  V  intenzione  dei  primi  scrii* 
tori  appare  eziandìo  dalla  scelta  dei  dialetti  medésimi ,  Ira  I 
quali  veggiamo  preferiti  i  più  rozzi,  vale  a  dire:  l'Astigiano  fin 
i  pedemontani ,  il  Bergamasco ,  o  quello  di  Val  di  Blenio  tft  1 
lombardi ,  il  Ghioggioto ,  o  il  rùstico  Padovano  fra  i  vèneti ,  il 
Bolognese  fra  gli  emiliani.  Glie  anzi ,  ovunque ,  e  per  molli  amri^ 
furono  preferiti  i  dialetti  dei  monti  e  delle  campagne  a  qoefli 
delle  città ,  sulla  norma  appunto  degli  scrittori  vnlgari  tose» 
ni,  che  primi  ne  diedero  l'esempio.  Cosi  veggiamo  in  lingni 
rùstica  padovana  i  primi  sag^  poètici  o  drammàtici  di  qneldia- 
letto  celebrato  da  Beolco  e  da  Maganza  coi  finti  nomi  di  Rin- 
zunlo,  Magagnò,  Menòn  e  Begotto;  in  lingua  rùstica  veronoii 
sono  scritte  alcuno  bizzarrie  poètiche  dell' Atinuzzì  ;  rùstica  è  queHl 
doi  primi  Saggi  poètici  friulani,  bellunesi,  bresciani  e  mantovana 
Colombano  Brescianini  assunse  il  nome  di  Baricòcol  dottor  di  Vtl 
Brenibana,  quando  travestì  in  rùstico  bergamasco  le  Metamòr/om 
d*  Ovidio  j  ed  i  primi  poeti  milanesi  imitarono  le  rozze  divelle  dellB 
vallate  di  Blenio  e  d' Intra ,  o  si  nascósero  sotto  le  spoglie  9^ 
BostHj  nome  generale  e  comune  tutt'ora  ai  vìllici  dell'Alto  HDib 
nese;  onde  furono  poi  dette  Bosiaade  le  innumerevoli  poesie  Ik 
riche  d' occasione  composte  nei  dialetti  lombardi. 

Ciò  premesso,  volendo  noi  pòrgere  una  chiara  idea,  oomeot^ 
sommaria,  della  letteratura  di  questi,  l'abbiamo  ripartila  in  .In 
distinti  periodi,  il  primo  dei  quali  comprende  appunto  i  eotapth 
nim^tl  in  lingua  rùstica,  estendendosi  dai  primordi  della  poeiJÉ 
vernàcola  fino  alla  sostituzione  dei  dialetti  cìvici  ai  rùstici,  aj^ 
rata  dal  Maggi;  vale  a  dire,  dal  principio  del  sècolo  }^I  fioff 
alla  seconda  metà  del  XVU.  11  secondo,  dal  Maggi  si  estende,  atao 
al  tempi  della  ristaurazlone ,  ineomindata  da  Giuseppe  Puini  ; 
vale  a  dire,  dal  1580  incirca  alla  metà  del  sècolo  sconò.  Il 
terzo,  incominciando  dal  Parini,  giunge  sino  a  noi. 


DULIRI  UMOàRDI.  95 

Di  qui  a(9«re,  che  la  letteratura  dei  dialetti  kwibardi  Tiene 
predpiiaiiienle  rappresentata  dalla  milanese  propriamente  detta; 
giaediè,  se  si  ecoettui  il  dialetto  bergamasco ,  il  quale  fu  svcdto 
Al  parecchi  distinti  slcrittori  in  ogni  gènere  di  componimento , 
lotti  gli  altri  non  hanno  vera  letteratura  propria,  ma  tntt'al  più 
iloDiie  poerie  d'occasione,  o  Saggi  di  vocabolario.  Con  tutto  dò, 
per  procèdere  crai  maggiore  chiarexza ,  abbiamo  preferite  sco- 
ia letteratura  dei  dialetti  occideiUali  da  quella  degli  wien- 


Lettcntan  dm  dialetti  oeddeaUU. 

Anodo  1.  Questo  periodo,  come  accennammo,  è  contradistinto 
tu  Ungoaggio  rùstico,  il  quale  variò  di  mano  in  mano  che  la 
Mtaratora  vemàcda  si  venne  sviluppando.  Da  princìpio  i  poeti 
■Oaneai  adottirono  il  dialetto  della  valle  di  Blenio,  i  cui  irid- 
tnf&  solevano  recarsi  in  frotte  annualmente  alla  capitale  lombarda 
per  esordi  li  il  mestiere  di  facchini,  e,  sul  modello  defl' Arcadia, 
i  coi  mmbri  assumevano  spoglie  pastorali  coi  nomi  di  Tltiio 
e  Mdibeo,  fondarono  Vj^cademia  della  wlle  di  Blenio  j  nella 
quale ,  cc^e  mentite  spoglie  di  facchini ,  tentarono  nobilitare 
coi  [poètid  nùmeri  la  lingua ,  i  costumi  ed  i  rozsd  concetti  di 
fwlla  pòvoa  plebe.  L'orìgine  e  gli  statuti  di  questa  frivola 
Acidwia  fàrono  publicati  nd  Babisch  dra  jicademiglia  dor 
C&mipà  Zaoargna,  ove  sono  racchiuse  molte  poesie  facchinesche 
di  Gìo.  Paolo  i^rniarai,  autore  di  questo  libro  e  principe  dell'Aca- 
denln ,  non  die  varii  componimenti  d' altri  zelanti  acadèmid. 
"ha  questi  emèrsero  Bernardo  Baldini ,  Lorenzo  Toscano ,  Ber- 
nrdo  Raìnoldo,  Gio.  Batista  Visconti,  Giàomio  Tassano  e  Lodo- 
vico Gandini,  dd  quali  sopravlvono  appena  alcune  poede  vo- 
InlL  in  qnd  tempo  di  decadenza,  la  moda  avea  difiiiso  in  Italia 
i  birbafo  gusto  per  le  lingue  fittizie  jonaddlltòa  e  furbesca^  alle 
qMli  andie  valenti  ingegni  pagarono  il  loro  tributo  (4);  e  in 
Lonbardia  tenne  per  breve  tempo  il  loro  posto  quella  della 

(i)  Vcggasi  r opùscolo  da  noi  testé  publicato  col  titolo:  Shtiii  sulle  Un- 
m  fiaràache,  di  B,  Biondelli.  Milano,  per  CiveUi  e  C''  1846. 

40 


f  0  PAMTB  mnu* 

valle  di  Blenio.  Poco  dopo ,  vale  a  dire  in  sol  principio  d^  9è 
odo  XVU,  vi  fu  sostituito  il  dialetto  della  vaDe  Intrasct^  aai 
meno  strano  del  primo,  e  jH^rìo  parimenti  d'una  parie  dei  iM 
chini  e  vinaj  della  capitale  nativi  di  quella  valle.  Venne  ^nini 
fondata  la  gran  Badie  doi  fecqin  dol  lag  Mqò^  e  in  essa  i  pnel 
lombardi ,  sert)ando  sempre  la  màschera  facchinesca ,  lUnstrlMMi 
questo  nuovo  dialetto  montano  con  molti  componimenti  poèlfal 
che  sfoggiarono  per  lo  più  in  sontuose  mascherate  ctrnrBeiili 
sche,  in  almanacchi,  ed  in  opùscoli  d'occasione,  dei  quali  4iv 
basi  una  ragguardévole  raccolta  nella  biblioteca  Ambrosiana,  e  de 
quali  produrremo  alcuni  Saggi  nel  capo  seguente.  Di  tali  masdie 
rate  camesdalesche  porge  bastévole  idea  un'incisione  pubblicat 
dal  fiiandii  col  titolo  :  Matcarade  doi  Fechm  dol  L&gh  Jiy 
oicrke  m  ila  Magnifiche  Sedie ^  (accie  m  Milan^  0/  di  SO  fevH 
1704.  Il  componimento  di  maggior  conto  in  questa  iingon^idi 
stinta  comunemente  col  nome  di  lingua  facchinesca,  si  fu  un  pm 
metto  ddr avvocato  Bertarelli,  intitdato:  Lucdade  dol  Comfn 
Sirusapolentaj  da  noi  riportato  nella  Bibliografia;  e  buona  eofi 
di  racconti  in  prosa  tròvansi  nell'Almanacco  intitolato  La  Balie 
puMicato  per  alcuni  anni  successivi  nella  seconda  metà  dd**è 
colo  scorso. 

In  mezzo  a  questo  bàrbaro  gusto  pei  linguaggi  più  bàrbarlm 
meno  intesi,  alcuni  vòUero  soUevare  all'onore  del  metro  laalM 
informe  favella  deUa  campagna  milanese,  e  fra  le  innaMiAiri 
sue  varietà  scélsero  quella  del  Bosin,  che  fu  rappraaenlaifr.dl 
Baltram  da  la  Gippa,  nativo  di  Gaggiano ,  villaggio  posto  adi 
riva  destra  del  Naviglio  Grande  a  sette  miglia  incirca  da  Bfihari 
Allora  per  la  prima  volta  la  poesia  vernàcola,  abbandanaiido'i^ 
inripidi  sali  facchineschi,  prese  hidole  satirica.  Era  Beltrame  ti 
pòvero  contadino,  sémplice,  ma  sentenzioso;  ignorantosy  ina  frani 
e  loquace;  censore  della  politica,  e  sempre  diqxKto  a  iiiàugt 
sulle  sciagure  deUa  sua  patria,  ed  a  festeggiare,  cantando,  i  flHH 
avvenimenti  pùblici  e  privati.  Con  quest'  àbito  a  vario  colore  |m 
valse  sui  facchini  del  Lago  Maggiore,  che  a  poco  a  poco  anuMi 
lirono,  e  fu  per  lungo  tempo  l'intèrprete  prediletto  dei  vers^gia 
tori  milanesi ,  ai  quali  prestò  nome  e  linguaggio ,  e  più 
ancora  ignoranza  e  melensàgine. 


MAURI  UHflUHDI.  97 

Alloni  èU)ero  origine  le  Bomadej  ossia  quei  componimenti 
poètici  d'occasione,  sovente  satirici,  in  ogni  metro  e  stile ,  che 
dUngiioiio  la  poesia  Ternàcola  lombarda,  e  dei  quali  immenso 
è  il  nùmero ,  e  per  lo  più  oscuro  V  autore.  Fra  quelli  che  suc- 
onsivamente  si  distinsero  in  questo  gènere  di  ccmiponimento, 
lieorderemo  Girolamo  Madema,  Scipione  Delfinoni,  Pietrasanta, 
Domenico  Francolini,  Paolo  Mainati,  Giuseppe  Abbiati  e  Gaspare 
Fumagalli.  Una  raccolta  di  queste  poesie,  màssime  appartenenti 
ai  tonpi  moderni,  fatta  per  cura  del  benemèrito  Francesco  Bei- 
lati,  serbasi  ordinata  in  nove  volumi  nella  Kblioteca  Ambrosiana, 
e  sarebbe  di  gran  lunga  maggiore,  ove  alcuno  prima  di  lui 
avesse  impreso  di  fieume  collezione.  Di  tante  produzioni  però  ben 
podie  meritano  ricordanza,  non  solo  pei  loro  fiivoli  argomenti, 
■a  sopra  tatto  per  V  assoluta  nullità.  La  sola  importanza  loro  con- 
tmle  nel  documentare  la  storia  patria ,  non  che  lo  spìrito  dei  tempi 
•  le  tei  che  il  dialetto  milanese  ebbe  successivamente  a  subire; 
«bbene  eziandio  a  tal  uso  il  maggior  nùmero  non  valga,  o  per  man- 
eama  di  data,  o  per  l'imperizia  dell'autore,  o  per  troppa  esiguità. 

n  solo  poeta  che  emerse  in  questo  lungo  periodo,  e  che  pos- 
siamo riguardare  qual  fondatore  e  padre  della  poe^  milanese, 
ai  fìi  il  pittore  Gian  Pàolo  Lomazzo,  il  quale,  comecché  principe 
bMemèrito  dell'accademia  de  la  Fai  de  Bregn,  pure  scrìsse  an- 
cora pel  primo  alcune  poesie  liriche  in  dialetto  civico  milanese, 
die  non  sono  prive  di  qualche  pregio.  Il  suo  esempio  fu  imitato 
da  Giovanni  Capis ,  da  Ambrogio  Biffi,  da  Fabio  Varese  e  da  altri, 
dei  quali  ci  rimangono  pure  alcuni  sonetti  èditi  in  gran  .parte. 
Qm  anzi,  Giovanni  Gapis  fu  il  primo  che  sbozzasse  un  Saggio  di 
vocabolario  etimològico  milanese ,  nel  quale  si  sforzò  dimostrare 
la  derivazioiie  di  questo  dialetto  dal  greco  e  dal  latino.  Quest'o- 
pera, tft^po  encomiata  dal  canònico  Ga|^iardi,  che,  affetto  dal- 
l' egoal  morbo  allora  generale  in  Italia ,  sottopose  ad  egual  tor- 
tora il  dialetto  bresciano,  fu  più  tardi  ampliata  ed  in  parte  emen- 
dala da  Giuseppe  Milani,  dopo  di  che  vide  più  volte  la  luce  col 
titolo:  Faròn  milanès  de  la  leiigua  de  Milàn.  Il  suo  pregio  con- 
siste solo  neir  averci  serbato  parecchie  voci  antiquate,  ornai  scom- 
parae  dai  viventi  dialetti,  essendo  le  note  etimològiche  per  lo 
più  vane  stiracchiature ,  o  sogni.  Ambrogio  Biffi  dal  canto  suo 


tentò  posare  le  tiasi  della  pronuncia  e  dell'ortografia  vemàoah 
in  un  breve  trattato  in  prosa  intitolato:  Prissidn  de  Miidnfy'é 
la  ffomonzia  milanesa.  Quest'  opnscoletto  è  prezioso  oggiA,  al 
ditindoci  quali  modificazioni  la  pronuncia  milanese  ha  subito  n^g^ 
ultimi  sècoli  (t  );  e  Tenne  più  volte  in  luce  unito  al  Faròn  MUmk 
Periodo  II.  In  onta  a  questi  primi  tentativi ,  il  gusto  per  i 
Borinade  e  pel  linguaggio  rùstico  prevalse  sin  oltre  alla  meti  dd 
sècolo  XVn,  quando  comparve  Carlo  Maria  Maggi,  die,  venaÉi 
nelle  clàssiche  letterature  antiche  e  moderne  d'  Europa ,  scdlevi 
quella  della  sua  patria,  sostituendo  al  dialetto  rùstico  il  dvioo-, 
e  dettando  parecchie  comedie  e  poesie  volanti ,  intese  a  rifir- 
mare coli'  arguzia  e  colla  critica  il  falso  gusto  ed  ì  costami  da' 
suoi  tempi.  Ond'  è  che ,  sebbene  egli  inalasse  l' edifido  salta 
pietre  primamente  poste  dal  Lomazzo  e  da' suoi  seguad,  fu  pai 
meritamente  riguardato,  per  superiorità  e  fecondità  d' ingiqpio;^ 
non  che  pel  compimento  dell'  òpera ,  come  vero  fondatore  dell 
poesia  milanese.  Infatti  solo  dopo  di  lui  fu  dato  perpetuo  basta 
a  Ballram  da  la  Gippa^  nel  cui  posto  successe  Meneghin  Puy 
cenna  a  rappresentare  l'uomo  del  pòpolo. 

Questo  nuovo  eroe  della  Musa  lombarda  era  un  servo  feddir^' 
ammogliato,  càrico  di  figli,  ingenuo,  faceto  ed  arguto,  timido  e 
franco  ad  un  tempo ,  d' òttimo  cuore ,  e  vìttima  sempre  de'  pHr 
scaltri.  Con  questo  caràttere  egli  fii  la  chiave  dell'  intrigo  neHa 
comedia ,  e  l' intèrprete  dei  successivi  poeti  Urìd ,  ai  quali  pie^. 
sto  col  nome,  ora  lo  spirito  e  la  sàtira,  ora  l'ingenuità  ed  il  f^: 
triottismo.  Questo  modello  fu  delineato  per  la  prima  volta  HalMagi^ 
nelle  sue  comedie  intitolate:  7  consìgli  diMenegkinoj  II  Baratti- 
di  Birbanzaj  II  Manco  malej  ed  //  falso  FUàtofOj  le  qifldi  sona-' 
ad  un  tempo  òttimi  modelli  di  pura  morale,  e  di  drammàtico  stikk 
Al  Maggi  tenne  dietro  una  lunga  schiera  di  valenti  poeti,  cte; 
illustrarono  il  sècolo  XVlll.  Tra  questi  emèrsero  Girolamo  Hm- . 
go,  Giulio  Cesare  Larghi,  Stefano  Simonetta  e  Carl'Àntonio  Tauri, 
con  una  serie  di  poesie  egualmente  pregévoli  nello  stile  gr«v0i 
e  patètico  dell'elegia,  che  nel  faceto  e  brillante  della  noveltau  i 

(i)  Avvertasi  che  qui  intendiamo  parlare  del  vario  modo  di  pronimciart . 
I*UD0  0  r  altro  \'ocàbolo,  e  non  già  del  sistema  fònico  «  il  quale  fu  aenpct  - 
eguale. 


IMALEfTI  LOMBARDI.  09 

Domtoieo  Balestrieri,  uno  de'  più  fecondi  ed  eminenti  ingegni  del 
hnaao  milanese,  dopo  avere  illostrato  il  patrio  dialetto  con  ogni 
sorte  di  componimento  in  prosa  ed  in  verso,  lo  inabeò  ancora  all'o^ 
oore  déB- epopèa,  travestendo  la  Gerusalemme  Liberata  del  Tasso, 
soli'  esempio  di  tanti  altri  scrittori,  che  Y  aveano  voltata  in  qpiasi 
tatti  i  dialetti  d' Italia.  Se  in  questa  strana  impresa  il  Balestrieri 
tpese  diedsetté  anni  di  fatica,  ebbe  il  mèrito  di  mostrare  di  quanta 
font  d' espressione ,  e  ricchezza  d' imàgini  proprie  il  dialetto  mila- 
nese fosse  ftHmito;  e  voltando  in  vemicolo  con  miràbile  fedeltà  pa- 
recchie canzoni  di  Anacreonte,  provò  ancora  quanto  bene  s'addi- 
cesse agli  argomenti  affettuosi;  per  modo  che,  se  il  Maggi  ebbe  fl 
ianto  di  fondare  pel  primo  la  vera  poesia  milanese,  il  Balestrieri 
eUie  la  gloria  di  consolidasrla  e  di  arricchirla  di  molti  pregévoli 
«■nponlmenti.  A'  su<h  tempi ,  avendo  il  padre  Branda  barnabita, 
k  una  lettura  acadèmica ,  sollevato  a  cielo  la  lingua  italiana ,  e 
tentato  diiBostrare ,  essere  il  culto  delle  vernàcole  lèttere  nocivo 
tD'increnenlo  delle  clàssiche,  il  Balestrieri  difese  la  causa  del 
patrio  dialetto,  e  rintuzzò  con  una  serie  di  componimenti,  intito- 
lati la  BrandofMj  le  asserzioni  del  cenobita;  ed  essendosi  alcuni 
trtti  campioni  di  questo,  altri  s'oidrono  al  Balestrieri,  per  modo, 
che  s'accese  un'enèrgica  lotta,  la  quale  terminò  col  trionfo  dei 
poeti  vernàcoli. 

Balestieri  fu  attorniato,  finché  visse,  da  una  corona  di  valenti 
poeti,  i  quali ,  gareggiando  a  vicenda ,  lo  emularono  cosi  nelle 
grazie,  come  nella  forza  e  dignità  del  dire.  Tra  i  molti  basterà 
rieordare  FnAcesco  Girolamo  G)rio,  Giorgio  Giulini,  Cari' Andrea 
OMolina,  Laiìgi  Marllani,  ed  il  P.  Alessandro  Garioni,  le  cui  sagaci 
poesie  piene  di  sali  sono  ancora  il  diletto  dei  concittadini. 

Periodo  III.  In  tal  modo  terminò  il  sècolo  XVlIl  gloriosamente 
perla  poesia  milanese^  la  quale,  se  nel  primo  periodo  aveva  as- 
nnto  sotto  V  oppressione  spagnuola  il  falso  gusto ,  e  lo  spirito 
Mvolo  dei  tempi ,  venne  modellata  nei  secondo  sulle  clàssiche 
letterature,  e  sollevata  ad  alto  grado.  Se  non  che,  la  monòtona 
scBola  delle  lèttere  clàssiche,  inceppandone  il  libero  sviluppo,  le 
ùniNresse  una  servile  imitazione,  a  svincolarla  dalla  quale  richie- 
dèvasi  una  riforma.  I  memoràbili  avvenimenti  che^  in  sul  cadere 
dello  scorso  sècolo,  dalle  rive  della  Senna  estèsero  la  ràpida  loro 


100  PARTE  ramA 

influenza  su  tutta  Europa ,  sovvertendo  V  antico  Ardine  di  ooie  ^ 
ne  fornirono  ben  presto  occasione  ^  e ,  come  nelle  sociàU  iatfr 
turioni ,  cosi  ebbe  principio  la  riforma  ndla  lombarda  letleratOM. 

Il  primo  che  vi  pose  mano  si  fu  il  benemèrito  abate  Giuseppe 
Panni,  il  quale,  mentre  dall'una  parte  maturava  cogli  aurei 
versi  la  riforma  delle  lèttere  itàliche ,  preparava  dall'  altra 
parecchie  poesie  volanti  quella  delle  vernàcole.  Gli  tenner 
neir  ingentilire  gli  animi  quel  lùcido  ingegno  di  Giuseppe  Boaria 
e  il  conte  Francesco  Pertusati,  i  cui  numerosi  componimenti  som 
cospersi  d' àttico  sale  e  di  quegli  afiFettuosi  e  morali  concetti  ckfl 
caratterbomno  la  vera  poesia;  ma  questi  diedero  solo  il  segnali 
della  riforma ,  il  cui  compimento  era  serbato  al  genio  creatore  di 
Carlo  Porta,  principe  de'  poeti  vernàcoli.  Forte  pensatore,  pitliM 
inarrivàbile,  poeta  inspirato,  quest'uomo  straordinario  tatto  si  diade 
a  sradicare  i  mali  che  deturpavano  il  suo  paese,  e,  dipingendo 
co' più  veraci  colori  i  costumi  del  suo  tempo,  dall'una  parte ad^ 
terrò  il  decrèpito  edificio  delle  opinioni  antiche,  rintpzfò  dall'  àUtì 
l'arroganza  dello  straniero;  inesoràbile  nella  sàtira,  delicato  Be|^ 
affetti ,  seppe  congiùngere  alla  forza  còmica  di  Molik«  ed  al  pa- 
triottismo d'Alfieri,  il  frizzo  di  Giovenale  e  la  dolcezza  dlBeiitt- 
ger  ;  end'  ebbe  la  gloria  di  contribuire  più  d' ogni  altro  a  aradt 
care  i  pregìudizj,  e  ad  aprire  la  via  alla  vera  e  viva  letteratom. 

Sulle  sue  orme  procedendo,  alleviarono  in  parte  fl  dotare 
dell'  immatura  sua  pèrdita  due  valenti  poeti,  Tommaso  Groosl  < 
Giovanni  Raiberti,  i  quali,  perchè  viventi,  non  turberemo  coi 
tributi  di  lode.  Basterà  solo  avvertire,  che  si  edaieàrono  in  glo* 
ventù  alla  scuola  del  Porta ,  penetrati  da  sentimento  AéL  pafiM 
generoso;  e  giova  sperare,  che  la  patria  possa  esser  loro  rioch 
noscente  di  nuovi  mMti. 

Da  questo  ràpido  cenno  si  vede ,  che  il  dialetto  milanese  noi 
solo  è  affotto  privo  di  poesie  tradizionali,  ma  non  ha  òp^ra  dM 
non  sia  di  scrittori  versati  nelle  letterature  antiche  e  moderne. 
E  perciò ,  pel  nùmero  e  pel  valore  delle  sue  produzioni,  sùpéti 
molte  delle  letterative  vernàcole ,  e  può  rivaleggiare  altresì  em 
parecchie  delle  clàssiche  modeme(l),  giacché  la  poe^noncon* 

(0  ▼^ggasi  nel  Capo  VI  la  Bibliografia  di  questo  dialetto. 


DUUERi  LomAaoi.  tot 


sttte  ndla  lingua,  ma  bensì  nelle  ìmàgini  e  nei  concetti;  oome 
dìiDOBtrd  colla  ragione  e  col  fotte  anche  il  Porta  nel  seguente  so- 
netto non  mai  abbastansa  ripetuto  : 

^  I  paròl  d^  òn  lenguà|^,  car  sur  Manèl, 
In  una  tavolozxa  de  color , 
Che  pòn  (k*\  quàder  brCìt,  el  pòn  fa  bel, 
Segònd  la  maestria  del  plt6r. 

Sema  Idèi ,  seaia  gùst ,  sema  ón  eenrèi 
Che  règola  i  paròl  in  del  discòr , 
Tilt  i  lenguàl^  del  mónd  in  come  quel 
Che  parla  on  so  ùmelìssem  servitór. 

E  sti  Idèi,  sto  bon  gust,  glà^l  savarà, 
Che  no  in  privativa  di  paés  ; 
Ma  di  co ,  che  gh^  àn  flemma  de  studia. 

Tant  V  è  vera,  che  In  boca  de  ùssùria 
El  belissem  lenguàg  di  Sienés 
L^  è  H  lenguàl^  pu  cojón  che  mai  ghe  sia. 

Con  questo  cwredo  di  materiali  era  a  desiderarsi,  che  taluno, 
svolgendo  le  Iqpgf  gramaticali,  e  compilando  un  vocabolario 
di  questo  dìalntlo ,  ne  agevolasse  la  lettura  e  l'interpretaùono 
agli  Italiani  ed  a|^  stranieri.  Nessun  tentativo  venne  fotte  sinora, 
sode  porre  in  evidenca  i  prìncipj  fondamentali  che  regolano  il 
discorso.  Quanto  al  vocabolario,  vi  provvide  il  benemèrito  Fran- 
cesco GherulHiii,  il  quale,  dopo  averne  dato  un  Saggio  sin  dal- 
l'anno 1814,  pose  testé  compimento  alla  difficile  impresa,  pu- 
Uiciiidone  un  nuovo  assai  vasto  in  quattro  volumi.  Egli  acquistò 
diritto  alla  patria  riconoscenza,  per  le  solerti  cure  colle  quali 
r arricchì  di  modi  proverbiali,  di  tècniche  espressioni,  abbrac- 
ciando ogni  arte  e  mestiere^  e  tenendo  conto  dei  mìnimi  membri 
componenti  le  màcchine  più  comuni,  non  che  pei  confronti  so- 
vente ittstituitl  con  altri  dialetti  d' Italia.  Se  non  che ,  il  troppo 
ristretto  suo  propòsito ,  come  dichiara  egli  stesso  neUa  Prefa- 
tione,  di  ajutare  i  concittadini  a  voltare  il  patrio  dialetto  nella 
Kiigiia  scritta,  lo  deviò  troppo  nell'esposizione  dell'interminàbUe 
inùtile  serie  dei  derivati  d' ogni  radice,  e  nella  ricerca  de'  più 
svariati  modi  corrispondenti  italiani,  a  danno  della  precisione  e  della 
chiarezza.  Noi  commendiamo  questo  libro  per  la  dovizia  dei  ma- 
teriali racchiusi,  non  che  per  la  bella  appendice  di  voci  brian- 


lOS  FAETB  PBIVA. 

zole  e  di  GIdaradadda ,  apprestata  per  la  maf^or  parte  éti  A 
gnor!  Villa  e  Decapitani ,  ma  troviamo  soverchio  lo  sfoggio  dèi 
più  antiquati  arzigògoli  fiorentini,  e  dei  più  triviali  provincialiaHi 
delle  vallate  toscane ,  che  non  faranno  mai  parte  dellai^soda  e 
schietta  lingua  italiana. 

G)ncliiuderemo  questa  prima  parte  del  nostro  schizzo  cóOm 
testimonianza  del  benemèrito  abate  Parini,  il  quale,  dopo  avere 
encomiata  la  sdiiettezza  e  semplicità  del  dialetto  milanese,  cod 
soggiunse  : 

<'  Chi  più  d'ogni  altro  ha  riconosciuto  quest'  Indole  della  nostra 
lingua,  e  che  lo  ha  dichiarato  in  più  d'un  luogo  de' suoi  com- 
ponimenti milanesi ,  è  stato  nel  sècolo  antecedente  l' immortak 
nostro  segretario  Carlo  Maria  Maggi,  il  quale  avendola  percid 
adoperata  in  varie  òpere  morali  ed  istruttive,  fece  doler  i  fore- 
stieri del  non  poter  essi  intènderla  bene.  Egli,  che  neUa  sua  piò 
fresca  età  èrasi  acqmstato  tanto  grido  colle  lèttere  greche,  Ift- 
tine  e  toscane,  non  isdegnò  nella  più  grave  e  matura  di  servirli 
del  nostro  dialetto  nelle  migliori  sue  oomedie ,  da  lui  aeriti»^ 
non  tanto  per  proprio  trattenimento,  quanto  pw  istruzione  e  par 
vantaggio  grandissimo  de'suoi  concittadini;  e  le  quali  meritàraiia 
d'essere  dagli  intelligenti,  non  dirò  eguagliate,  ma  ezianAo  pro^ 
poste  in  qualche  guisa  alle  più  rinomate  delle  antiche. 

n  Sulle  pedate  gloriose  del  Maggi  hanno  poscia  seguito  a  acri' 
ver  nella  nostra  lingua  alcuni  dotti  e  savii  uòmini ,  che  acMM 
morti  di  fresco,  ed  alcuni  altri  che  ora  vivono,  i  quali  mòstraM 
di  fer  grande  conto  del  giudizio  e  della  lode  della  l(Nr  palliai, 
scrivendo  nel  proprio  dialetto  cose  che  non  possono  esser  ghi- 
dicate  o  lodate  da  altri ,  meglio  che  da  lei.  Quindi  è ,  che  mi 
abbiamo  veduto  in  pochi  anni  la  nostra  lingua  mostrarsi  ciqHne 
di  tutte  le  vere  e  più  sòlide  bellezze  della  poesia.  Bastivi  di 
lèggere  le  rime  scritte  in  milanese  dal  virtuoso  e  dabbene  ri- 
gnor d/  Girolamo  Birago,  per  sincerarvi ,  che  non  solamenle  li 
nostro  linguaggio  non  è  per  sé  medésimo  goffo  e  scipito,  aà 
nemmeno  per  dò  che  in  esso  si  scrive.  //  Meneghino  alla  St' 
navraj  di  questo  autore,  può  dirsi  una  scuola  della  vera  pietà  e 
della  più  sana  morale,  e  cosi  ciascuno  de' componimenti  ch'afa 
indirizza  a' suoi  figliuoli,  e  quel  bellissimo,  fatto  da  hii  vMatt 


Munti  UmBAtM.  f  05 

nenie,  intftobito:  //  Testammio  di  Meneglmoj  ne'  quali  ttftli, 
olive  ad  ima  fina  e  soave  eiitica  de'costumi,  òttimi  insegnamenti 
A  danno  conditi  con  vivaci  sali,  con  urbane  lepidene. 

»  Ma  die  vi  dirò  io  del  signor  Domenico  Balestrieri ,  e  del 
sìpior  Cari' Antonio  Tana?  H  primo  de'qnali,  colla^  leggiadra  e 
sémplice  naturalezza  de'suoi  versi,  insinuasi  dolcemente  nel  onore, 
e  Taltro,  colla  robustezza  de' pensieri  e  delle  imagini,  mostra 
come  trovar  si  possa  in  mezzo  alla  semplicità  del  milanese  dia- 
letto fl  fimtàstico  ed  il  sublime  della  poesia.  Leggete  di  questo, 
sttre  alle  molte  altre  cose,  il  bellissimo  sonetto  ch'ei  già  stampò 
per  una  monacaaone ,  in  cui  ^U  rappresentò  alla  candidata  il 
pnto  della  morte  di  lei,  e,  figurandosi  d'essa  seco  nella  cella, 
le  dipinge  A  al  vivo  le  circostanze  in  cui  ella  troverassi  in  quel 
A,  die  scuote  ed  agita  Tànimo  di  chiunque  legge,  e  lo  riempie 
d'un  salutare  orrore.  Sul  medésimo  argomento  della  morte  leg- 
gale i  yerA  sdoW  ch'ei  redtò  nell'academia  dei  Trasformati, 
ch'io  mi  rendo  certo,  che  voi  non  li  potrete  lèggere  senza  racca- 
priccio, tanto  vive  e  patètiche  sono  le  imaginazioni,  cmde  quel 
campcmimento  è  ripieno. 

»  Per  dò  che  riguarda  al  sig.  Balestrieri,  qual  cosa  insieme  più 
bda  e  più  tènera  del  suo  Figliuot  Prodigo?  Questa  dolcissima 
allegoria  della  divina  misericordia ,  quasi  direi  che  diventi  più 
preziosa  nella  nostra  lingua ,  imperdocchè ,  richiedendo  ¥  argo- 
Bw&to  una  certa  semplidtà  e  un  certo  soave  affetto  eh'  io  non 
nprei  spiegare ,  sembra  questa  èssere  a  dò  meravigliosamente 
aAMi,  o,  per  dir  meglio,  sembrano  i  Milanesi  particolarmente 
atti  a  sentirlo  e  ad  esprìmerlo  nel  loro  dialetto.  Senza  che,  l'ait- 
tare  ha  saputo  in  quell'  operetta  raccògliere  tutte  quelle  grazie 
e  purità  ddla  nostra  lingua,  che  meglio  servono  a  rappresentare 
sotto  gli  occhi  la  cosa,  e  ad  eccitare  la  compassione  e  la  gioia.  » 
Gii  altri  dialetti  occidentali  non  ebbero  in  verun  tempo  lette- 
ratura propria.  Nessun  componimento  venne  in  luce,  per  quanto 
d  consta ,  nel  dialetto  ^altellitìese  ^  eccetto  per  avventura  qual- 
die  oscura  poesia  d' occasione  di  più  oscuro  scrittore.  Un  voca- 
bolario del  medésimo  trovasi  racchiuso  nd  F'ocabolarìo  dei  dia- 
UtH  della  ciilà  e  diòcen  di  Cotìfio^  dell'  abate  Pietro  Monti ,  che 
debbiamo  riguardare  come  uno  de' più  importami  lèssad  fra  i  lom? 
bardi,  pd  molti  dialetti  alpini  che  aUnracda. 


104  •     PAETB  PftOU. 

Dae  toli  componimenii  d  venne  fatto  rinvenire,  pobliatt.i 
stampa,  nel  dialetto  comaaco^  e  questi  pure  di  nessun  conto,  con 
appare  nei  seguenti  Saggi.  < 

Tutta  la  letteratura  tkÌMW  e  ^erbanen  consta  dei  menlofai 
lavori  dell'Àeademia  della  Valle  di  Blenio,  e  dell'Abbai  dei  te 
chini  del  Lago  Maggiore. 

Nel  lodigiano  furono  bensk  composte  nei  tempi  addietro  alqnaali 
poesie;  ma  queste  pure  d'occasione  e  di  lieve  pregio;  sicché,  noi 
trovando  chi  le  raccogliesse ,  smarrirono  coi  nomi  dei  loro  auloid 
n  solo  componimento  degno  di  ricordanza  è  una  commedia  de 
conte  Francesco  De  Lemene ,  intitolata  :  La  Sposa  Frananmi 
publicata  in  Lodi  nel  1709,  encomiata  dal  Barretti  nella  FrutÈk 
letteraria j  e  ristampata  nel  4818.  Lo  stesso  De  Lemene  tradoui 
in  dialetto  lodigiano  il  secondo  canto  della  Geruaaiemme  lÀbm 
ratttj  ossia  l'episodio  di  Olindo  e  Sofronia,  versione  assai  pr^^ 
vele,  e  tuttavia  rimasta  inèdita  sinora  nei  patrii  archiyj  ;  e  perdè^ 
essendoci  pervenuto  alle  mani  l'origmale  autògrafo,  ne  abbianiB 
arricchita  la  seguente  raccolta  di  Saggi.  Ivi  si  scorge  quanta  i» 
fluenza  abbia  avuto  negli  ùltimi  tempi  il  dialetto  di  Milano,  aa 
quello  di  Lodi,  in  origine  diverso  da  quello  che  ora  vi  si  parla. 

Sul  principio  del  nostro  sècolo,  ed  ancora  ai  nostri  giorni,  pn- 
reechie  poesie  volanti  circolarono  pure  manoscritte ,  fra  le  quali 
ottennero  plauso  in  patria  le  argute  e  brillanti  del  chirurgo  Gin- 
vanni  Batista  Fugazza  e  di  Carlo  Codazzi;  altre  ne  compose  non 
meno  pregévoli  il  vivente  Riboni;  ma  si  le  une,  che  le  aUve 
caddero  in  parte  in  obDo,  per  mancanza  di  ricoglit<MÌ.  kppaiৠ
affine  di  provvedere  a  questo  vuoto,  ne  abbiamo  scelto  un  pln* 
dol  nùmero  "-frti  le  migliori  procurateci  dalla  gentilezza  del  pro- 
fessore Cesare  Vignati  e  dalla  compiacenza  dello  stesso  Ribonif  e 
ne  abbiamo  fregiata  la  nostra  raccolta ,  ove  compàjono  per  li 
prima  volta  in  luce. 

Lettontu*  del  dialetti  orìentalL 

Come  tra  gli  occidentali  il  Milanese,  cosi  fra  gli  orientali  il 
solo  dialetto  Bergamasco  ebbe  copiosa  serie  di  cultori,  mentro 
il  Crtmaaùo,  il  Brestiano  ed  il  Cremonese  rimasero  sempre 


DlAUEm  LOmARDI.  105 

glellL  Dfti  nundterosi  moiminenti  sopèrstfti  apparo ,  comeHl  Ber- 
pamseo  fosse  scritto  fra  i  primi,  giacché  i  più  antidii' scrittori 
dcomadie  italiane,  come  accemiammo,  lo  introdussero  assai 
di  buon'  ora  sulla  scena ,  a  rèndere  piacévoli  i  loro  drammi. 
Qaesii  primi  Saggi  però,  eomecèhè  in  nùmero  ragguardévole (I), 
mèritaflio  appena  d'  èssere  mentovati ,  mentre  i  loro  autori , 
qnasi  sempre  stranieri,  mal  conoscendo  questo  dialetto,  impa* 
stillilo  un  gergo  misto  di  voci  e  forme  proprie  d' altri  dialetti, 
(te  non  fa  mai  partato  in  venm  àngolo  della  terra.  1  veri  scrii* 
tori  bergamaschi,  a  quanto  appare,  incominciarono  a  far  uso 
M  fero  dialetto  solo  verso  la  metà  del  sècolo  XVI ,  e  preferirono 
sempre  il  dialetto  rùstico  delle  vallato  settentrionali  a  quello 
Mia  cMà.  In  quel  tompo  comparvero  molte  poesie  volanti,  le 
q«di,  mm  trovando  ricoglitori,  andarono  p^  la  maggìw  parte 
smarrite ,  senza  che  perciò  la  gloria  di  qudla  lettoratura  avesse 
a  soffirime.  Per  modo  che  i  soli  componimenti  di  lunga  lena 
rinistici,  sono  traduzioni  di  clàssici  poemi  latini  ed  italiani  di 
tempi  posteriori. 

0  mònaco  Cassinese  Colombano  Bresdanini,  verso  il  1050, 
tradusse  in  rùstico  bergamasco  le  Metamòrfori  tfCMdiOj  sotto  il 
mentito  nome  di  Baricòcol  dolor  de  Fal^Brembana  j  questa 
tersione  non  vide  mai  la  luce,  e  solo  un  breve  Saggio  ne  inseri 
Fautore  nel  suo  Ragionamento  sopra  la  poesia  giocosa ,  ove  si 
celò  col  nome  di  Acadèmico  Aideano.  Il  dottor  Carlo  Assònica , 
autore  di  varie  liriche  poesie,  voltò  pure  in  rùstico  bergamasco 
il  Goffredo  del  Tasso,  che  vide  per  la  prima  volta  la  luce  nel  i  870. 
Verso  lo  ste^o  tempo ,  anònimo  autore ,  sotto  il  nome  simulato 
di  Persia  Melò,  travesti  alla  rùstica  il  Poetar  fido  del  Chiarini, 
intitolandolo:  01  Fochi  Fedéle  o^^èr  qI  Paetor  a  la  bergoma$cas 
encomiato  da  Lione  Allacci  nella  sua  Drammaturgia.  Altro  anò- 
nimo autore,  sopranominato  El  Gob  de  ^ene^ssà^  tradusse  T  Or» 
ìando  Furioso  dell'Ariosto,  nello  stesso  dialetto,  sebbene  ccNrrotto 
àlquantodiprovincìalismi  vèneti  e  lombardi.  Tuttiquesti monumenti 
dell'  antica  lettoratura  bergamasca  sono  ben  lungi  dall'  emulare 
in  forza  d'espressione,  vivacità  d'imàginì,  spontaneità  e  grazia^ 
tutto  versioni  di  simil  fatta ,  eseguito  in  altri  dialetti  italiani. 

(0  lèggasi  nel  Capo  VI  la  Bibliografia  di  questo  dialetto. 


106  PARTB  nilMA. 

Oltre  ai  summeiilovati,  si  distìnsero  ancora  nello  scorso  sàaoift, 
con  produzioni  originali,  altri  scrittori  benemèriti,  fra  i  qM|l 
basterà  ricordare  Giovanni  Batista  Angelini ,  e  V  abate  Ginaqq^ 
Rota.  Il  primo,  oltre  a  varie  poesie,  riunì  anatra  alcune  nofidi 
intomo  alla  letteratura  vernàcola  della  sua  patria,  e  compilò  iril 
vocabolario  bergamasco-itallano-latino,  che  non  vide  mai  la  Iute, 
sebbene  un  buon  vocabolario  di  quest'importante  dialetto  sift<| 
desiderarsi  sopra  ogni  altra  cosa,  se  non  come  intèrprete  de'sMl 
letterarii  monumenti,  almeno  come  fondamento  ad  un  pia  aòlUb 
studio  sulla  sua  orìgine  e  sui  rapporti  che  serba  cogli  lAéal 
antichi  e  modemL  II  secondo  publicò  nel  I77S  un  lungo  Caffi* 
toto  contro  gli  Spiriti  forti,  in  terza  rima,  preceduto  da  un  a^ 
netto  colla  coda,  in  luogo  d' Introduzione^  e  vi  si  scorge  per  li 
prima  volta  un  piano  ragionato  d'ortografia,  inteso  ad  ageiUnv 
la  lettura  di  quel  rùvido  dialetto. 

In  tale  stato  era  la  poesia  bergamasca  allafinedd sèeoto  pasr 
sato ,  e  nei  primi  anni  del  presento,  afibtto  priva  di  qualsiasi  ji- 
marchèvole  produzione  originale  ;  e  solo  negli  ùltimi  tempi  fu  li^ 
staurata  per  cura  di  Pietro  Buggeri  da  Stabello,  autore  di  alquante 
graziose  e  lèpide  poesie,  testé  raccolte  e  publicate.  Sebbene  qne* 
sto  valente  poeta  miri  piuttosto  a  trastullare  i  suoi  concittad&d 
con  ridìcole  novelle  e  lèpide  imitarioni ,  anziché  a  descriverne  ed 
emendarne  i  costumi ,  con  originali  e  sodi  concetti ,  ciò  nntta- 
dimeno  i  suoi  componimenti  ottennero  plauso  generale  pei  malli 
sidi  e  poètici  fiori  che  vi  scmo  profusi,  ed  occupano  a  boos 
diritto  il  primo  posto  nella  patria  letteratura. 

Da  tutto  dò  è  manifesto,  che  la  poesia  bergamasca  manea^ 
non  solo  di  canti  tradizionali,  ma  altresì  di  originali  inspiraiióiil 
e  di  nazionali  impronte  ;  méntre  consiste  generalmente  in  veip» 
sioni  dri  dàssici ,  e  in  lèpide  imitazioni  di  racconti  e  Gompmt. 
menti  propri  di  letterature  straniere.  u. 

Il  dialetto  Gremasco  non  ebbe  in  verun  tempo  cultori  che  nil-' 
ràssero  ad  ingentilirlo  coi  nùmeri  poètici,  se  si  eccettuino  pochi 
versi  d'occasione  in  gran  parte  caduti  in  oblìo,  perchè  privici 
mèrito  e  di  ricoglitori.  1  più  anticbi  monumenti  da  noi  coìDOff 
sduti  sono:  una  poesìa  fatta  per  monacazione  nd  princ^iiai 
dello  scorso  sècolo ,  che  abbiamo  riprodotto  più  avanti ,  ed  una 


DIAUmn  UHIBAIIDI.  107 

Imiga  e  slacciièirole  ègloga  sulla  Immacolata  Concezione  j  inse- 
rita nei  Fasti  istorici  di  Crma  di  Gio.  Balista  Gegrosai.  Qua!- 
che  altra  prodnzione  di  minor  conto  serbasi  manoscritta  in  pri« 
vite  lacoolte.  Negli  ùltimi  tempi  il  nùmero  delle  poesie  d'occa- 
sione fu  accresciuto ,  p^  òpera  di  alconi  Tiventi  scrittori  cre- 
nischi;  e  questi  tenui  Saggi  con  altri  del  sècolo  passato  furono 
nhrali  dall'  oblio,  per  cura  del  conte  Faustino  Sansererino^  che 
testé  ti  raccolse  e  publicò  in  un  plcdol  volume  intitolato:  Sag^ 
gio  di  poesie  in  dialetio  Cremasco.  Ivi,  oltre  alla  versione  di  due 
AsicreAiitidie  del  Vittorelli  fetta  dal  prof.  Rocco  Racdietti  ^  ed 
1  Tane  poesie  nel  dialetto  urbano  deirabate  F.  Màsperi  Battajnii 
cbfingoonsi  due  sonetti  in  lingua  rùstica  di  D.  Giacomo  Iniòl^ 
di  qoaldie  pregio. 

Il  dtaletto  Bresciano  non  fa  men  negletto  del  Cremasco  :  la 
Mia  prodmione  antica  rimastaci  è  un  Diàlogo  in  v^si  tra  una 
Sem  e  la  sua  padrona,  intitolato  :  La  Massera  da  bè,  ossia  Im 
Serva  dabbene j  d' anònimo  autore,  nel  quale  una  serva  insegna 
i  nrii  modi  d'apprestare  e  condire  le  vivande.  È  poi  seguito  da 
ima  canone  villereccia,  intitolata:  Maitìnaiaj  die  più  oltre  ri- 
produciamo in  Saggio  dell'antico  dialetto  rùstico  bresciano.  Questo 
librìccino,  oggi  rarissimo,  comecché  ristampato  tre  volte,  vale  a 
dire  nel  1554  e  nel  IdSO  in  Brescia,  ed  in  Venezia  nei  1565, 
fii  trovato  nel  palazzo  Martinen^  della  Palada  in  Gobiato,  da  Mes- 
ser  Galeazzo  dagli  Orzi  al  tempo  del  saccheggiamènto  di  Bresda. 
h  onta  all'assoluto  difetto  di  letterarie  produzioni,  il  canònica 
bresciano  Gagliardi  volle  illustrare  il  patrio  dialetto  con  mia  lunga 
Dissertazione  sulle  origini  del  medesimo ,  inserita  nelle  sue  òpere, 
ove,  seguendo  l'uso  ed  i  pregiudizi  del  suo  tempo,  intese  a  dimo- 
strarne la  derivazione  dal  Greco ,  porgendo  la  vmdmile  etimo- 
Io^  di  podio  vod.  Più  tardi  provvide  alla  compilazicme  d' un 
focabcdario  bresdano-italiano ,  che  vide  la  luce  nell'anno  1759. 
Air  imperfezione  di  questo  primo  tentativo  apprestò  qualche  ri- 
medio Giovanni  Batista  Melchiorri,  compilandone  uno  più  esteso, 
che  vide  la  luce  nell'anno  1817  in  Brescia,  sotto  gli  auq^cjidi' 
fud  benemèrito  Ateneo. 

la  qud  tempo  due  forti  ingegni,  il  Maseheroni  e  r Arici,  ch'eb- 
bero tanta iMurte  nella  ristaurazione.  delle  lèttere  itàliche,  non^ 


t#8  PAKiE  nuiu. 

isdegnàitmo  rivòlgere  le  loro  cure  al  patrio  dialetto^  nd  qmll 
dettarono  alcuie  poesie  volanti  rimaste  sinora  inèdite.  Alla  gofe 
tilezia  deUo  stesso  Arici  siamo  debitori  delle  poche  sestine  Im 
serite  nella  seguente  raccolta  ^  nelle  quali  con  mirabile  apoMit 
neità  racchiose  la  versione  letterale  della  Paràbola  del  figtmi 
pròdigo.  Nessuno  però  di  quei  poètici  capricci  venne,  per  qwmb 
d  consta,  in  luce,  e  solo  nel  I8se  l'avvocato  Pietro  Loltieri--d 
Chiari  publicò  una  raccolta  di  quarantaquattro  sonetti,  traeadf 
gli  argomenti  dal  Quaresimale  del  P.  Sègneri. 

Ancor  più  inculto  del  precedente  rimase  sinora  il  dialetto  Gra> 
monese,  nel  quale  nessuna  produzione  vide  mai  la  luce,  tesi 
eccettui  qualche  insipida  Bosimda^  o  poeda  d' occasimie.  Soli 
dopo  molte  inùtili  ricerche ,  e  mercè  la  gentilena  dd  aignoÉ 
arciprete  Paolo  Lombardini  e  dottor  Ralnriotti  di  Cremona  ^  ci 
riuscì  riunire  una  piccola  collezione  manoscritta  di  poesie 
iiàcole  cremonesi,  che  abbiamo  alle  mani  e  della  quale 
remo  qualdie  Sag^o.  Tra  queste  ricorderemo  un  dranmui.li 
einque  atti,  intitolato  TVrniifiamo  e  Martina j  ed  alcuni  diàl«|^ 
in  versi,  nei  quali  col  dialetto  urinano  trovasi  alternate  andM 
il  rùstico.  Tutti  questi  componimenti  peraltro  sono  afiEatto  privi 
di  mèrito,  e  per  lo  più  ancora  di  buon  senso. 

In  si  misero  stato  di  cose,  ci  gode  Tànimo  d'annunciare,  ek 
il  professore  Peri  di  Cremona  sta  ora  compilando  un  vocabola- 
rio di  quel  dialetto,  che  verrà  quanto  prima  alla  luce,  e  dei 
quale  il  chiaro  autore  di  comunicò  gentilmente  la  parte  estmt 
tiva  contenente  vod  di  più  oscura  derivazione.  Sarebbe  però  i 
desiderarsi,  che  il  benemèrito  autore  avesse  ad  estèndere  il  sin 
lavoro  eziandio  nella  campagna,  la  quale  porgerebbe  sema  dubio 
più  interessanti  materìalL 

Conchnidendo  questi  brevi  cenni,  avvertiremo,  come  tutHi  li 
letteratura  dd  dialetti  lombardi  ristringasi  a  più  o  meno  eopinac 
coUeziiml  di  poede  per  lo  più  imitative  di  scrittori  educati  ali 
scuola  dd  dàssid,  ed  a  pochi  vocabofaurii  di  alcuni  prind|ial 
dialetti  urbani.  Nessun  tentativo  venne  sinora  intrapreso.  Mie 
svòlgerne  la  grammaticale  struttura ,  o  scoprirne  i  mutui  nij^ 
porti  con  adequali  coofrmti fra  loro,  o  cogU  altri  dialetti  itiUd 
e  stranieri,  o  colle  Hngue  estinte,  se  d  eccettuino  i  podti 


MALETn  LOWiARDI.  400* 

ineriti  neU'  appendice  alla  gramàtica  comparativa  delle  lingue 
latine  del  celebre  Raynouard,  ed  intesi  a  provare  i  particolari 
rapporti  dei  dialetti  dell'Italia  superiore  colia  lingua  dei  Trova- 
tori ;  e  pure  importanti  rivelazioni  sulle  origini  di  quelli  che  li 
piriano  tròvansi  racchiuse  nell'  anàlisi  dei  loro  elementi  e  del 
loro  organismo,  come  abbiamo  altrove  dimostrato  (I),  e  non  meno 
rilevanti  rapporti  di  fratellanza  fra  le  popolazioni  itàliche  setten- 
trionali e  le  occitàniche  rivelerebbe  il  loro  confronto  coi  dialetti 
della  Francia  meridionale ,  ciò  che  ci  proponiamo  far  manifesto 
in  una  pròssima  publlcazione  ;  per  la  qual  cosa  facciamo  voti , 
onde ,  mentre  Y  Europa  tutta  è  occupata  ad  ampliare  per  ogni 
dove  gli  studj  linguisUd ,  eziandio  i  nostri  connazionali  provve- 
dano finalmente  ai  molti  vuoti ,  ed  apprestino  i  materiali  nece^ 
mj  alla  compiuta  illustrazione  dei  patrj  dialetti 

(l)  Vèggasl  la  nostra  Memoria  intitolata:  DeUa  Ungyiilica  applicata 
•tts  rietrea  ddU  Oriffini  Itàliche»  inserita  nella  Rivinta  Europea  (Novem- 
hn  àB49),  e  riprodotU  neir  òpera:  Studii  Unguistìci  di  B.  BiwdelU»  che 
li  sta  imbucando. 


CAPO  V. 


Saggi  di  letteralura  vernàcola  lombarda. 


Dialetti  Occidefitali. 


mianesc* 

1530.  Il  più  antico  monumento  supèrstite  della  letteratura 
milanese  trovasi,  come  accennammo,  nelle  Opere  giocose  di 
Gum-Giorgu)  jàlionij  libro  divenuto  assai  raro.  Ivi  l'autore  in- 
trodusse in  una  Farsa  il  milanese  che  parla  il  proprio  dialetto  9 
ma  l'affettazione  di  certe  frasi,  alcune  espressioni  e  forme  ba- 
starde, d  fanno  dubitare  della  perizia  dell'autore,  ch'era  asti- 
giano, nell' imitare  fedelmente  la  lingua  allora  parlata  presso 
di  noi.  Checché  ne  sia,  giudichi  il  lettore  dal  seguente  brano.  E 
fl  Milanese  che  parla ,  e  vanta  Y  abbondanza  del  suo  paese. 


SoQ  mi  vegDu  per  trimnfii 
Chi  in  Ast  ;  ma  la  noQ  è  cossi. 
0  mi  cerckl  mò  mendesì 
De  qua  e  de  là  per  i  ostari , 
Da  la  baocbìt  e  leccari  ; 
Ha  el  non  si  trova  da  magoà. 
Vàdeno  lor  farsi  impregna 
Qulst  Astesàn ,  Montei  chi  su , 
Ch'  i  vòleno  stimar  da  più 
El  vìver  so ,  eh'  el  milanés. 
In  fed  el  vai  lù  megF  i  spis , 
Che  fan  lor  i  ortolàn  inlò , 
Che  quel  di  gran  magnàn  chilo, 
lo  Mirèn  èi  cagna  bosón , 
Kosìt ,  pressut  e  salsissón , 


Bagiàn ,  busecca,  la^  imbròc , 

O  ili  coglia n,  berlende,  gnòc, 

Salvadesin,  eavrit,  doni , 

Qual  girardlne ,  gargani , 

Bon  pescari ,  bon  vin,  bon  pan. 

Vù  trovari  drent  da  Mirèn 

Per  i  list  mo  di  parrocchiàn 

Darsèt  mlara  de  putàn , 

E  più,  che  i  bèiven  vin  dasiàd  ; 

Qucst  san  Franciòs  ch'i  Tàn  provàd. 

Vada  a  Mirèn  chi  voi  guadàgn , 

E  bon  marca  ;  vù  avrì  lasàgn 

Piena  scùdela  al  bon  comìn , 

Cuu  del  formai  più  d'  un  serìn  ; 

El  dàn  mo  lor  per  cinq'lmbìc,  ce.  ce. 

ii 


142  PARTE   PRIMA. 

11^0.  Sonetto  di  Gio.  Paolo  Lomazzo^  sopra  un  pittore  dap- 
poco. 

El  pù  stenta  penció  de  tùt  Milàu 

A  l' è  on  garzón  del  Camp  e  del  Figin  / 

Compà  giura  de  Togn ,  de  Bergamìn , 

E  amis  tut  dù  d'Andrea,  che  no  gh'  à  pan. 
Costór,  lassèi  andà  de  man  in  man 

A  bajà  chi  e  li  di  so  scovin  ; 

Che  fan  picdùr  doma  d' oHramarin  , 

eh'  in  bon  de  forbi  i  ciap  a  Cavriàn. 
Costór  van  corona  come  s'  fa  i  bò , 

D' aj ,  de  por ,  de  melgài  e  de  gtànd  , 

E  manda  in  trìónf  sora  di  so 
Asnìn,  e  in  man  «pegài  pisoin  e  grand  ; 

E  incontr'  a  lor  ghe  va  la  Stentadùra , 

Che  doma  di  par  so  la  fa  gran  cura. 

1600.  Il  seguente  documento  è  un  brano  del  Trattato  della 
Pronunzia  milanese  di  Ambrogio  Biffi,  che  tanto  più  volentieri 
riportiamo,  quanto  più  lo  riputiamo  idoneo  a  pòrgere  precisa 
idea  del  dialetto  a  quel  tempo,  essendo  scritto  in  prosa. 

Quii  Qd  d' ingègn  ch'àn  comenzà  a  mostra  el  fondamént  del  nost  parta 
da  Milàn,  a  i  ve  mètten  in  tei  co  Poltra  sira  el  caprizi  da  ùm  vlsaifà 
d^intoma  a  la  parnonzia  milanesa ,  insci  in  pè  in  pè ,  dond'  è  diss  quel 
pòc  che  sentissev,  no  pensànd  d'ave  pd  anc  da  dura  fadiga  a  scrivel.  Va 
parche  mi  son  vìin  de  quìi  Ambrosfan,  che  no  san  di  de  nò,  e  tant  pu'a 
on  amig  oom'  em'  si  tu,  e  vM  Jò  scrivu  come  m' ì  di,  senza  stag  a  pensa 
trop,  par  ess  mi  parént  del  musciafadiga  ;  e  anc  che  i  nost  se  sijen  metlu 
in  US  el  scriv  toscàn ,  par  fa  dal  caga-pistèl ,  che  dan  tori  al  so  par  pari 
savi,  i  jò  parselo  vojù  in  nosta  lengua,  par  fav  Intènd  ben  spiatarA  el  setti 
di  lètter  com^  al  va.  £  se  ni  avéss  blii  pressa,  eh'  al  parfva  ch^  al  ve  sfio- 
pass  1  faso,  e  l'avrév  mettu  16  eom'  al  va,  e  s'avrév  anc  di  qualcossoréna 
dela  seva  aelensa ,  parche  al  gh'è  òna  sort  de  gavalón,  che,  cornea  I  pòn 
di  ma  de  qualcun,  al  ghé  divis,  che  Impìssen  trop  ben  el  gotói  ;  ec.  ee. 

1600.  Per  saggio  poètico  di  questo  tempo  abbiamo  scelto  un 
Sonetto  di  Fabio  Varese,  contro  gli  ambiziosi. 

Compà ,  soni  ormai  sag  de  cert  minclón 
Che  van  in  volta  sgonfi  per  MIlàn , 
E  se  parlò  con  lor,  per  biò,  no  gh'àn 
Tanta  lettra  in  sul  cii  come  ón  barbóu. 


DIALSm   LOMBARDI.  115 

Ohi  le  dire,  gh^àn  ben  di  dùcalón. 
Ò  in  cu  tùtt  i  8Ò  sold,  se  no  m^  en  dan; 
Coss'ò  a  che  fan  mi  de  stl  mariapàn , 
Unbosorà  doma  de  ambinòn? 

I  vertùóe  tut  quanl,  car  Bernardin, 
Mi  i  stimi,  perché  in  òmeD  destrapèz, 
£  san  ooss^è  U  voigàr,  eost*  è  M  latin  ; 

E  quand  parli  eon  ti  con  taàt  solài , 
E  parU  de  sta  aort  de  gavaión , 
Disi,  chMn  ón  firecèis  de  W»Kle-eic; 

Perché  no  in  capai 
Nane  de  aettàm  i  aeafp  aisafin  de  lor , 
Sebèn  fusaen  pik  sgolili  dM  ém  tambór. 

1700.  Il  sècolo  XVn  fu  illustrato  da  Carlo  Maria  Maggi,  autore 
li  ?arie  comedie  e  di  molte  poesie  vernàcole  morali.  Tra  queste 
ibbiamo  scelto  la  seguente  canzone,  la  quale,  se  non  è  il  mi- 
{liore  de'  suoi  componimenti  lìrici ,  basta  però  a  dare  un'  idea 
Idia  spontaneità  del  verso  e  dei  retti  principii  dell'  autore. 

Canzone  mgaale  RimiTA  da  un  ortolano. 

L'òlter  dì,  ch^era  sta  per  tùt  Hilàn, 
Vendènd  uga ,  zQcchèt  e  peverón , 
Tornava  a  cà  sui  bass  insci  pianpiàn  , 
Dondànd  cont  ón^  andana  de  lizón; 
Qaand  ò  visi,  che  óna  tropa  de  vilàn 
De  Bosin  orb  sentiva  óna  canzón  ; 
E  anca  mi  cùriós  mette  giò  i  scorb , 
Per  senti  la  canzón  de  Bosin  orb. 

Fidi ,  Bosin  diseva,  el  mond  V  è  insci , 
De  tempèst  e  gabèi  n'en  manca  mai; 
Di  cruzi  ei  ne  crèss  vùn  in  ogni  di , 
E  ^1  remedi  mijór  l' è  a  no  ciapai  ; 
Me  rid  de  certa  gent  com^  vCii  di  mi  ^ 
Che  van  col  lanternin  cercànd  travàj. 
Me  pias  la  devozlón  de  pret  Fagòt , 
De  no  dapàss  fastidi  de  nagòt. 

Oh,  me  fa  pOr  stizzi  cert  scroiacó , 
Che  sèmper  ai  sciguèt  voren  dà  meta; 
Che  sèmper,  o  s' el  piòv ,  o  s^ el  dà  1  so. 
San  doma  rincuràss  e  fa  ei  profeta! 
Mi  me  par  de  sta  mèi  quant  mane  en  so; 
Vegna  nev,  aqua,  vent,  mi  fo  gogheta, 
E  pens,  per  pasentà  tue  sti  rumor. 
Che  sora  de  sU  nivol  gh'  è  '1  Signor. 


llil  PARTE  mnu. 

Me  diri  fors  che,  quand  v6j  rè  'I  soré, 
El  ne  patiss  in  cà  fina  el  cagno  ; 
E  mi  respondaró ,  che  9ti  cùnté 
Lasse  al  reió,  che  sU  dnc  sold  In  so; 
Vù  tire  driz  el  sole,  no  guardè  indré, 
E  se  vori  guardi,  guardè  i  vost  bo. 
in  cosa  del  cap  de  cà;  basta  al  fame]; 
Che  quand  el  r  ubedìss ,  noi  pò  fa  mcj. 

Tosón ,  sema  intrigàss  In  sti  boltrìg , 
Vivarèm  tuo  finché  la  mort  ne  branca; 
El  despensér  magiòr  Tè  nosi  amig; 
Chi  in  lu  confida  à  la  panerà  franca; 
Chi  pass  I  fior 9  e  chi  vestiss  i  fig, 
A  la  so  cara  gènt  vorì  eh'  el  manca? 
Mi  per  mi  la  tóJ  tò  come  la  vèn  ; 
Chi  le  manda  el  ghe  véd,  e  M  me  vor  ben. 

Me  pias  ceri  cor  ladin  de  td  e  de  mèti. 
De  zolla  su  òna  spalla  eom'  se  vor; 
S'el  mond  riiina,  no  gh^en  dan  on  ètt, 
E  soppèden  i  spin  come  vior. 
Ma  casciàss  in  tuit  coss  e  dà  precètt , 
Me  pàren  ambiziòn  de  crepacor. 
Disen ,  che  al  lólT  el  ghe  cade  de  briitt , 
Per  vorè  mett  la  cova  de  pertutt. 

Stè  ben  con  quel  de  sora,  e  fé  H  fatt  vost; 
Del  rest  lasse  che  pensa  el  cap  de  cà  ; 
Lasse  che  lù  el  ve  metta  a  less  e  a  rost, 
E,  vaga  Roma  e  toma,  lassèl  fa. 
Fé  quel  che  disi,  e  vedarì ,  se  tost 
Sto  vost  cor  insci  strénò  se  slargare. 
L^è  M  sparpòset  pu  gross  ch'abia  vcdù, 
Catàrovéd,  e  pianfi  che  n^àn  spongiù. 

Vedèm,  che  parie  volt  Tom  se  despera. 
Perché  al  so  coss  on  remedi  noi  ved; 
Ma  '1  reió  di  reió  ^1  gh'à  la  manera 
De  cava  ben  del  ma,  quand  mane  se  cred. 
Taccàss  a  lù  ben  ben,  quest'é  la  vera; 
E  pò  no  dùbité,  ch'el  ghe  provéd. 
Ben  spess  ne  par  el  méj  quel  eh'  è  peió; 
Ma  lu  pdl  ved  e'I  v5r  quel  ch'é'l  mio. 

El  compà  Togn,  che  i  verz  Teva  pienta, 
Fava  oraziòn,  perché  '1  piovèss  on  bott. 
Vori  olter?  à  piovù;  e  M  fen  sega. 
In  scambi  de  secca,  clapè  del  coti; 


IMAUEm  LOMBARDI.  Iltf 

L'uga  fioriva,  e  per  i  gran  rosela , 
Andànd  in  cavrid»  Tandè  In  nagòlt; 
E  Togn,  guardami  al  del,  tome  a  prega, 
Per  de  li  inans,  che  noi  glie  doM  a  tra. 

No  sèm  quel  che  se  vobiem;  e  insogna 
Yorè  giust  quel  che  vor  quel  cli^è  de  aora. 
Per  i  C0S8  de  sto  mond  la  tant  la  togna, 
El  me  par  on  séessi  per  la  malora; 
De  spèss  a  cerea  tant,  se  cerca  rogna, 
E  vedèm»  per  sta  me],  ebe  se  pegfora. 
Fa  per  el  ciél,  sem  pur  i  gran  marzòe, 
A  cerca  in  tera  el  parad»  di  òcl 

Chi  fini  la  canzón.  Diss  chi  sentiva: 
Corpa  d'ón  blss,  che  r  à  resón  Bosin! 
Sgarìven  iuò:  E  9Ì9a  l'orb,  e  vivot! 
Ma  con  tòtt  quest  gnanc  vun  gbe  de  ón  quatrìn. 
■i,  ^^era  strae,  e  a  sta  li  in  pè  pativa, 
Pur,  sbadagiànd,  gbe  stè  perfina  al  fin; 
E  anca  mi  gbe  fé  onòr  coni  i  compàgn  , 
Desbattènd  la  stadera  In  di  cavàgn, . 

1 750.  Sebbene  a  qnest'  època ,  dopo  la  spinta  datavi  dal  Maggi , 
fiorisse  principalmente  la  poesia  milanese,  ciò  nidlameno  èrano 
tuttavia  in  vigore  il  dialetto  rùstico  milanese  e  quello  della  Valle 
Intrasca, perocché  l'Abbazia  {Badia)  dei  facchini  del  Lago  Mag- 
giore continuò  sin  verso  la  fine  del  sècolo  scorso.  Quindi  por- 
giamo in  Saggio  di  tutti  e  tre  questi  dialetti  quattro  componimen- 
ti; due  di  vario  stile  pel  milanese  propriamente  detto,  ossia  di 
città;  uno  in  ^fialette  rùstico  del  Larghi,  ed  il  quarto  d'anònimo 
autore  in  dialetto  Yerbanese,  e  propriamente  della  Valle  Intra- 
sca,  scritto  nell'anno  1738,  che  produrremo  a  suo  luogo  fra  i 
Saggi  di  quesf  ùltimo. 

Sonetto  del  curato  Stefano  Simonetta,  intitolato:  Divorzi  zeri- 
mmiós  tra  la  rnUla  e  Vabà  Meriggia  crocìfer  del  cardinal 
Stampa,  arcivéiCOQ  de  Milàn, 

Tùtt  magona  Toltr^ér  diss'el  Moriggia; 
Tu tt' affane,  la  ghe  rispós  la  mula: 
Cara  mula,  te  lass  :  —  Oh  !  car  Moriggia , 
Gh'  avi  tant  cor  de  bandonà  sta  mula  ?  — 


iiO 


PAETB  PMHA. 


Mai  pù  rivi  t^  mootà,  dias  el  Moriggia, 
Bestiola  pQ  biiara  de  sta  mula.  — 
On  òm  ieaei  legér,  come  el  Moriggla 
Mai  pù  ne  ven  sui  spali;  rlspòs  la  mula. 

On  gran  penóa  aoapir  ire  su  Moriggla  ; 
Una  soorenia  lasse  andà  la  mala. 
Sicché  faven  pietà  mfila  e  Morlggia. 

Lu  slonghè  M  coli,  vorènd  basa  la  mala; 
Le  volta  el  cu  ,  e  a  scalz  vers  el  Morlggia , 
Le  mandè  In  santa  pas,  de  vera  mula. 

La  seguente  Bosinada  di  GarF Antonio  Tanii  fu  da  noi  prefer 
agli  altri  componimenti  dello  stesso  autore,  non  che  alleprod 
zioni  dei  molti  scrittori  dello  stesso  tempo,  sopratutto  pei  mo 
diotismi  e  modi  proverbiali  che  racchiude ,  i  quali  ^  sebben  i 
sècolo  dopo,  sono  tutt'ora  usati  allo  stesso  modo  e  con  egoa 
significato  dal  pòpolo  milanese. 


Sora  i  proverbi  e  t  fras  milanés  cava  del  mangia. 


Nova  bOBinà 
Su  Targomént  del  carnevà , 
Dove  se  ved  che  1  Buseccón , 
Perché  ghe  pias  I  bon  boeòn , 
No  dérven  boca  per  parla. 
Se  no  ghe  mèsòen  el  mangia. 
Bosinà  stampA  in  MIlàn, 
Del  stampadór  Carla  Bolzàn. 

In  stl  sir  de  Danadà, 
Stand  seta  glò  al  fogorà , 
In  cà  del  padrón  de  cà , 
Dove  soni  sòiei  a  andà , 
Stava  li  come  on  sognàn  , 
Come  on  lóc ,  cont  el  co  in  man  , 
Componènd  insci  a  memoria 
Quàter  vers^  sora  l'istoria 
Del  bizaro  marendin, 
Ch'ém  godù  sul  baltreschin 
Del  Vaimàns  fin  si'àn  passa 
Mi ,  e  di  òlter  Trasforma  ; 
Quàter  vers  de  recita 
Per  incò  sora  el  mangia; 

Quand  me  senti  li  dedré 
Messe  Steven  legname 


A  descòrela  e  a  di  sii , 
Cont  on  bàier  come  lìi, 
Per  splegàss  ceri  m5d  de  dì , 
Che  tdtt  <iiiant  van  a  forni 
In  de  quela  sort  de  eoas 
Che  ne  va  giò  per  el  gost. 
Ve  segùr ,  che  gh'  ò  avù  spass  ; 
Je  drovava  per  splegàss  ; 
Ma  el  pariva,  a  dagh  a  tra, 
eh*  el  parlèss  sora  ék  mangia. 
Ghe  fé  pont,  e  aUora  allora 
Me  ghe  miss  a  pensàg  sora> 
E  trovè,  ch^el  nost  lenguàd 
De  sti  mod  él  n^à  a  bresàft. 
Alto  là  :  n^  ò  aviì  asse  insci , 
MarendÌB>  sèiavo,  bondi. 
Me  resòls  de  tira  dént 
In  d'on  simel  argomént, 
E  portàv  an  mi  òna  man 
De  paròl  del  nost  Hilàn 
Su  sto  nost  giiat  milanés  ; 
£  in  quest  chi  féven  bon  spes. 
Bosinà  de  Intitola  : 
^^lepin  sora  el  mangia. 


Il 


DIAUm  LOMBAEDI. 


117 


A  vùn  grass ,  a  on  bel  taciòc 

Se  ghe  dìs,  che  l'è  on  bojòc; 

Sf  l'è  OB  màgher,  Pc  on  nterrSz, 

V  è  saràc ,  sardela ,  luz  ; 

Quel  eh'  è  grand ,  T  è  on  bfeelolàn  ; 

Ve  anedòt  quel  che  l' è  nan  ; 

Se  Pè  on  bicol ,  rè  on  merldtt, 

Cnoc,  salàn,  bon  de  nagòtt; 

Se  1*  è  vnn  eh'  el  sia  poltrón , 

L'è  on  pan  poss,  rè  on  polenfÀn, 
Itereiàn ,  menatorón , 
Dèg  la  papa  al  bernardón  ; 
Tant  che  tut  el  nost  parla 
El  consist  in  del  mangia. 

Chi  8U  in  mutria ,  Tè  on  brugnón; 
Clii  caragna ,  on  macarón  ; 
(hicl  eh*  è  brfilt,  on  mascarpón; 
Qoel  eh'  è  flac ,  on  lasagnón  ; 
E,  giach'el  fomiss  in  an^ 
Se  rè  on  museg,  Pè  on  capón; 
Se  s'incontra  on  fft  de  I6c, 
l*è  on  mostàò  de  flragnòc; 

0  eh'  el  mord,  o  eh'  el  sgrafigna, 
ré  de  eoe  e  rè  de  bigna, 
E  r  è  de  barbis  de  gàmber , 
Ve  on  vajrón  de  qnij  del  Làmber. 
Parie  pur,  se  sì  parli: 
Gh'  entra  sèmper  el  mangia. 

il  eh'  el  sia  on  quej  fQrbón  ? 
Ei  gh'à  el  tìtol  de  gajnón, 
Che  al  diànzen  el  vor  fi 
Lapolt,  e,  se  sorla  dà, 
El  v5r  faghela  mangia. 
No  lassèvela  fraci , 
Che ,  giura  r  oca  pttoca , 
L'è  on  scrocón  s'el  fa  ben  d*  oca; 
La  gajna  el  sa  perà , 
Senza  gnanc  fila  cria  ; 
De  chi  el  ruspa  >  de  là  el  guarna, 
E  Pè  on  bon  bocón  de  cama. 
A  sto  mod  se  tira  là 
A  depéngel  col  mangia. 

Se  parlèm  d' on  desgrazià , 

1  proverbi  in  paregià. 
Quand  la  légora  l'è  in  pè, 
TOt  i  can  ghe  dan  adrè; 


rini  vun  gh'è  on  òlter  gna]. 
Dai,  dai,  cheràr<Mraj. 
Yòren  An  tanta  tonlna , 
Vèden  P  uitema  ruina , 
C  mangiai  in  insalata  ; 
E  s' el  pòver  òm  noi  sbrata  , 
Se  prest  noi  mena  f  pofpètt, 
EI  va  In  toc ,  el  Iran  a  fètt. 
Gran  Milèn  per  sasslnà 
Doma  a  furia  de  mangia! 

Dà  via  stròc,  Pè  menesirà; 
Mangia  Pa^,  rè  mooolà, 
V  andà  in  grenta ,  r  Inrabiss; 
Tàbusèea,  Pèel  ferisse 
On  mostaiin^  Pè  on  agffalén, 
E  P  è  on  pèneg,  on  copòn; 
Strapà  el  zuf,  Pè  eavfada , 
L' è  copeta,  èna  spalmada; 
Se  ghe  dis  sardèl,  pignd 
A  cert  bot  per  i  fld  ; 
E  se  i  tirem  sul  genoò^ 
Carsenzdr  con  dént  el  boé. 
Tant  che  fina  el  nòster  dà 
El  forniss  tut  In  mangia. 

Se  gh'è  viìn  ch'el  vaga  cénS, 
Se  ghe  dis  snbet ,  Pè  on  foni  ; 
Se  gh'  è  vùn  eh'  el  sia  lecàrd  , 
Ghe  se  dis  :  P  è  on  scfimafàrd. 
il  vun  ch'abia  on  bel  eerin? 
Ghe  se  dis  :  P  è  on  laé  e  vin  ; 
il  vun  giald  come  f  fértà? 
Che  color  de  ccrvclà  ! 
Él  on  pò  lofl  e  smortòtt  > 
Oh ,  che  clefa  de  pancòtt  ! 
ti  vun  brut,  ma  ch'e!  sia  bon? 
Ghe  se  dis  :  per  boz  e  bon. 
Tal  che  no  se  sèm  spiega , 
Se  no  dròvem  el  mangia. 

Él  rich?  L'è  pién  come  Pòv; 
Chi  à  el  so  Intènt ,  el  fa  el  so  ov  ; 
Chi  va  pian,  el  va  sCil  ov; 
Quei  che  sbaia ,  el  copa  i  ov  ; 
Dà  el  velén ,  P  è  dà  la  papa  ; 
L'è  caroterà  óna  lapa; 
Chi  fa  errór ,  fa  on  macarón . 
EI  fa  en  per,  el  fi  on  marón; 


il» 


PARTE  nUHA. 


El  tò  SU  óaa  tenca ,  r  è 

On  negozi  de  tasè. 

Gh'  è  el  proverbi  :  o  beo ,  o  ben. 

La  mascherpa  paga  el  fen. 

E  per  tut  bogna  tira 

Voltra  roba  de  mangia. 

Chi  à  colsèt  tut  sponcignà , 
V  k  i  colzèt  tut  caponà; 
Quel  che  gh*  k  U  vesti  guarnì, 
L' à  el  form^  in  sul  vesti  ; 
Al  vesti  guarnì  de  piaga, 
Ghe  cor  sora  òna  lumaga  ; 
E  i  lumàg  in  anca  i  de; 
Chi  à  i  pago  lis ,  e  che  va  a  bd£ , 
El  gh**  k  i  pagn  de  gradisela  ; 
Quel  che  porta  el  foni  sott  sola , 
E  r  à  el  sèler  su  la  spala , 
L^  è  on  biro  che  no  le  fala , 
Che  à  ^1  capei ,  e  insema  el  gb^  à 
El  cordón  bon  de  mangia. 

A  chi  n'  abla  rott  el  co 
Con  di  ciàcer,  disem:  N'ò 
Avù  òna  sùpa ,  e  avù  on  stiià  ; 
A  on  flizón  che  dà  stocà. 
Se  ghe  dis  ciar  e  destés, 
S' el  se  cred ,  che  ghe  sia  i  sces 
Caregà  de  cervelà. 
Disem  a  chi  è  fortuna, 
eh'  el  formij  ghe  fa  firagn , 
E  '1  ghe  fioca  in  sui  lasàgn  ; 
Disem  che  Vk  sgùrà  U  pèlter. 
Chi  à  fa  nètt  e  tra  via  i  sghèiter. 
Disem  tùtt....  ma  l' è  on  gran  fa , 
Che  tutt  disem  col  mangia! 

Bombonin  e  marzapàn 
In  i  zerbin  de  Milàn; 
On  dotór  de  qu^  de  fora 
L' è  on  dotór  meia  robiòra  ^ 


L^  è  leva ,  chi  è  sorafin , 
A  freguj  de  besootin  ; 
L' è  on  gambus  quel  eh'  ò  on  badòi 
Chi  no  è  fùrb  V  k  tetà  poc  ; 
Chi  d' on  log  1*  è  descascià , 
Per  quel  log  lu  T  a  scena  ; 
Chi  è  sìipèrb  come  on  serpe  ni, 
L' a  di  nos,  V  k  del  formént 
Sèc  de  vend;  eh'  in  eoss  doma 
Che  resguàrden  el  mangia. 

Qoani  proverbi  e  mód  de  di 
Su  sto  gùst ,  che  a  di! ,  bondì , 
Finirév  gnanc  domatina. 
Mangia  el  cu  de  la  gaìna  , 
Gh'  è  su  el  péver  ;  che  pacià  ! 
No  r  ocòr  sta  chi  inguilà. 
El  gh'  à  el  cu  che  fa  pom  pom  ; 
L' è  on  bocòn  de  pòver  om  ; 
Quel  r  è  vun  che  l' k  mostra 
Zlf  e  zaf  e  cervelà. 
Tut  i  coss  vègnen  a  taj , 
Fina  i  onj  de  perà  1*  aj. 
Ghe  n'  è  insci  de  minzonà 
De  sta  roba  de  mangia! 

Ma  per  mi  vuj  is^  su. 
Che  l' è  tard  :  chi  en  vor  de  pù> 
Mi  sto  in  porta  Verzelina , 
E  gh'  en  poss  dà  òna  listina  ; 
Ma  per  din  de  quìj  de  pés 
Basta  parla  milan^  ; 
Vegnaràn  come  i  scìrés. 
Che  adrè  a  vuna  gh'  en  vèn  dèa. 
Con  sti  quàter  eh'  ò  infilza 
Mi  n'  ó  asse  d' avév  mostra 
Ciaramént ,  che  i  Busecòn 
In  da  vero  lecardòn , 
Se  perfina  in  del  parla 
Ghe  infolciscen  el  mangia. 


Mattinata  9  o  canzone  villereccia  di  Pietro  Cesare  Larghi  in  di 
letto  rùstico  milanese. 

.    Degià  che  sont  chignova  in  sii  la  strava, 
E  vò  passànd  ol  temp  senza  dormirò. 
Mi  te  vuj  fa  senti ,  se  vot  sentirò , 
01  me  amor ,  on  sgriiin  de  serenava. 


UAUrm  LOMBABOI.  4*tO 

so  ben,  che  te  sarérli  insci  soleeia. 
Ritira  in  cà  a  firà  la  toa  stopena  ^ 
E  che  te  fare  forsi  la  pissena 
Insci  da  pos  al  \hà  in  te  la  strecia  ; 

0  che  te  ponciarét  ol  lo  colaro , 

E  te  ghe  tacaré  on  plzin  galento , 

Per  far  ol  to  moroso  tuto  quento 

Andar  in  brodo ,  e  farlo  desperaro. 
Cara,  trat  f5  chignò,  làsset  vedere. 

No  sta  a  plentàm  chilo  come  on  fiistono 

Consóleme  on  pò  ol  (idego,  ol  polmone. 

No  me  lassar  chilo  come  on  galbero. 
Pam  vede,  cara  ti,  qui]  bei  ogglti, 

Che  m'Inamóren  tent,  che  noi  so  diro. 

Che  me  fen  stii  tanè  not  senza  dormiro, 

E  pò  me  léven  anca  V  apetlti. 

1  tò  oggiti  me  pèren  dò  bei  steli. 

Che  in  pu  lusuriènt  de  la  lusnava, 

E  qoq  tò  ganassit  ch^in  de  ioncava 

In  insci  svernighènti  e  tanto  belli 
Pam  vede ,  cara  ti ,  qui^  tò  bochini 

Tanto  strecit,  che  pèren  faò  col  fuso. 

Che  fan  ol  pòver  Togn  deslenguà  in  gluso, 

E  van  dlsènd  a  tuo:  Fem  di  ÒMini. 
Senti ,  che  tuo  i  pois  fan  tic  e  toco, 

Quand  che  vo  sbarlogiènd  la  toa  peltrera, 

E  me  senti  andà  giò  tuta  Povera, 

E  pò  resti  li  mut  comò  on  lifroco. 
Quand  sarai  mo  quel  di  tant  fortunati , 

Che  te  consolare  ol  me  fòg  ardente , 

Che  tiro  e  mi  se  tirarèm  arento , 

Con  tuo  i  man  del  nòster  seinr  curati  T 
E  petaremo  li  di  bei  fanclti , 

Se  te  me  zetaré  per  tò  consorto  » 

Che  te  giuri  d'ess  tò  fina  a  U  morto, 

E  la  sbavazarèm  e  tiro  e  miti. 
Sonènd  ol  calissòn,  men  viij  partiro, 

E  vuj  lassàt  chilo  la  bona  notto  ; 

So  ben,  che  anc  ti  te  fare  insci  de  botto  ì 

E  la  sbavazarèm  e  tiro  e  miro. 

1780.  Come  Saggi  della  lingua  e  della  letteratura  deir  ultimò 
periodo  dello  scorso  sècolo,  abbiamo  scelto  due  componimenti, 
mo  di  F.  Girolamo  Gorio,  l'altro  dell'abate  Giuseppe  Panni; 


ISO  PARTE  nnA. 

dair  argomento  e  dallo  spìrito  dei  quali  chiaramente  si  vede^  e 
i  poeti  di  quel  tempo  apparecchiassero  gH  ànimi  alla  riforma, 
turata  più  tardi  e  compiuta  per  òpera  del  Porta. 

htoriella  d'on  Fra  cercòL  Sestine  di  P.  Girolamo  Cerio. 

Ve  vorév  cùntà  su  óna  bela  istòria 
Sucessa  poc  di  fa  tra  Inclàss  e  Com , 
D^on  fra  oercòt,  flotànt  che  Pò  ia  memòria. 
Quest  Tera  on  Franoesean,  ma  no  s5  el  nom. 
Ne  so  ei  convènt  qua^  el  ffisa;  ma  fa  aagota. 
La  cQnti  su  la  fed  del  dotór  Crota. 

De  scià  e  de  là  ogni  bolt,  eoi  bésachìn, 
A  pò  scalz  y  tira  so  con  la  lentura 
El  vestì  a  meza  gamba ,  e  con  Tasnia 
Caregà  de  sportm  (a  la  figara 
EI  pareva  on  remita  do  deràrt; 
Màgher  gioft  come  on  gatt  mangia-làsèrt  ). 

Deo  gratiat,  el  bateva  a  td£  I  uss , 
Cercànd  llmosna  per  d  so  convènt , 
Coi  majstadìt ,  meda]  »  reliqni  e  agnns , 
Coròn  de  legn  che  var  poc  o  nienV 
De  ixA  ì  part  ghe  dàven  roba  a  sbac , 
E  lù  intànt  r  impieniva  i  so  bisic. 

Sto  fra  bona  limosna,  sto  fra  scroc 
El  passava  de  spèss  de  Com  a  Inciàss , 
In  sul  Sguizer,  e  insci  come  on  balòc 
El  tornava  de  scià  bel  bel ,  pass  pass  , 
Con  1*  àsen  càreg  de  tabàe  sfrosa , 
Fingènd  de  porta  via  la  carità. 

Con  sto  pretèst,  con  sto  salvacondòlt, 
Glaché  r  èva  Impara  la  bela  seora , 
El  passa  tirane  in  men  ai  boriandoli  ; 
Ogni  tre  bott  i  dò  el  va  déni  e  fora 
Coi  bisàc ,  e  dna  inànz  e  r  oitni  Indré , 
El  portava  do  eorp  In  d^  on  carie. 

Prestine  el  sòlet ,  sto  fra  gattamorta  . 
Battènd  el  so  sente  voltra  i  confin , 
On  dì  el  toma  de  scià  con  la  soa  scorta 
De  pan,  de  lard,  salàm,  lùganeghìn  , 
D*ognl  grazia  de  Dio;  ma  in  fond  del  sac 
Otto!  gll*è  dént  des  Hra  de  tabàc. 


iHAunn  LomAKiM.  191' 

Giuradinal  sta  Tolis  Pan  toll  Tia, 
Come  dirè»em  non ,  per  Irabisonda 
Quij  iNiUdór  moDàt.  Qua  qo^  spia 
El  r  à  caU  sul  ov;  ghe  fan  la  ronda, 
E  mo  ghe  tègnen  quàè  de  noè,  de  dì 
La  ghiringola ,  per  podèi  grani. 

I  batfdór  s' Impòsten  al  traghèU, 
Curànd  on  quej  bel  tra,  per  fàg  i  sfof; 
Per  dia,  no  tèm  ehi  ièm,  s'el  maro&dèii 
Per  ita  wiia  noi  tir^m  dént  a  mSj; 
Sem  fioj  de  p.....«  $e  a  sto  fra  wffmea 
No  ghe  JMilwem  tutta  la  àisaea! 

Ha  el  M9  ch^el  ghiera  òna  fséascle  al  6ant, 
Che  doma  a  porta  indòe  la  soa  m^stà 
Le  preservèss  di  fnlmen  e  Idò  qoant 
I  perìcol  del  corp^  ée  lad  i  ma , 
De  làder ,  de  monòj ,  de  borUmdòtt , 
Come  dis  la  patàfla  che  gh'è  aett , 

Gh^àbfel  miss  san  Franièsc  rinaptraiión, 
0  siel  mo  stA  averti  d*on  qoèj  A  émm , 
Basta,  el  s'acòr^  ch'on  maiadèti  spUù 
Gh'a  fa  el  ftòc;  obligato  de  l'avis! 
Per  no  d^  dént  in  qnij  de  la  traoela, 
De  bott  e  slanz  el  torna  indré  n  tri  tola. 

Apena  lì  da  pass  gh^'eva  òna  cà 
D^on  fltàvol.  D0O  grattai  !  picca  Tuss 
El  bon  fra  ;  la  reiora}  ehi  fa  là?  — 
Sont  on  fra  eereaàòr,  Je$u$,  Jeeus! 
Mi  credi  d^ees  ripd  propri  in  bon*  era; 
VoréQ  de  vuon  piaeè,  eara  réltora, 

A  parlai  nàti  e  eèett,  emU  std  in  dogana 
Chi  indrè  d^Ineiàee  a  Heilà  de  frète 
On  mala  con  la  fieera  qu&rtama» 
Per  guarii  col  cordón  de  ean  P)ranzése; 
E  ò  wniin  Umoena  del  benefaUàr 
Cine  scartòz  de  tabàe  propri  de  eoiòr, 

Ciàpem  tùtcòie,  Pè  vera,  e  no  fa  dagn; 
Ma  nun  sèm  eòlet  de  tira  eoafàra. 
Perchè  gèm  pòver  fra;  ni  mi  in  tanè  agn 
Che  fa  el  meste,  m*è  mai  piasU  ita  scora 
De  fa  sfros  de  tabàc;  Dio  guarda!  ed  térmen 
Poss  andà  a  rise,  che  i  bortandòt  me  fèrmen. 


in  rAftti 


Per  liberàm,  reiora,  de  Uo  weaj 
Pùdarèssem  ira  num  fa  on  qimèj  baUrizx; 
ya  me  dori  ima  forwM  ée  formàj. 
Mi  el  tabàe;  e  per  gimUa  i  istèst  eeariòzt 
ìmboUmii  ée  armea  «  vm»  per  wn 
Per  poMtùra  ai  tmè  àeen,  ck*è  àegUm, 

Gb^è  propri  aodà  el  fomàj  sui  nmeirÓB. 
La  reiora,  easèad  gràveda  de  parler, 
Lu  el  ghe  dia:  hipodh  eon  éepotim 
Al  me  sani  proieiór,  eérffem  e  màrkr» 
Le  la  ghe  cred  tàteòsa,  e  M  fra  comi 
L'à  scrocà  via  tott  quél  cke  Va  volaa. 

Aht  Airfc  doMitf/ E  ìbmi  ,  liróoUrèn, 
Fr&  fola  el  trota  tU  eoi  so  romùi,  _ 

Cont  el  co  baas ,  eon  U  eorona  in  man. 
Ecco ,  che  qnand  el  riva  li  al  conlfai 
(Ecco  perchè  ghe  dieen  borlandòtt , 
Perchè  bórlen  adèea  ai  irà  cereòU). 

Pàder,  a  pàdtr,  gh'ài  quejeòee  de  datif  - 
Jesùi,  sameia  Maria!  no,  la  mia  geni; 
Mino  gk*Q  dPòiler,  che  quel  poc  profazi 
De  carità,  -  Mach»  coeea  gh'  ài  denC?  - 
Pan,  9in,  buiér,  formaci,  iard  e  aaiàm; 
Ma,  e  Hòiier  geni  gKwH  nagòi  de  dàmt 

-  Tèi  mo  dd!  en  vàrem  wSon:  ghe  n'd  Ma  pretaT 
Lu  el  cava  el  scalolìn  drt  so  caput, 

E  'I  ghe  spor^  on  tabàc  de  poca  spesa, 
On  tabàc  eh'  el  pariva  on  resegui. 
No  gh'àl  óiier  de  dòn,  che  ita  gingiaca? 
Gh'en  sarà  de  mio  chi  in  eia  bieaca» 

-  Queet  Ve  q^uel  che  ne  dà  H  pàder  prióra 
Quesi  propri  ci  fo  fa  mi  in  ianoiira  orkija. 
E  Talza  i  oé  al  santo  proletèr. 

•  Done  ch*el  tosa  9edè ,  dls  sta  canaja.  - 
E  al  nosi  àbei  vorìacQ  fèg  sto  tori 
De  tog  el  priHlèf  del  passapòrti 

'3*61  fuss  anc  san  Franzèsc  vegnii  dei  del, 
Nùn  no  guàrdem  in  faccia  a  chisesia; 
Nùn  fan  el  nostr*offlzi,  e  turno  chi  èl? 
Donc  eh'  el  9egna  con  nùn  in  compagnia. 
-  Mi  in  compagnia?  Mi  n*ò  che  fa  nagòtt 
Con  shir,  con  baOdàr,  con  boriandoti. 


MALSm  UMIBAROI.  118 

El  fra  '1  tegneva  dar;  ma  Inpànemànc 
El  s' lassava  mena  come  on  Ecce  hàm. 
In  mezx  a  qui]  Giade  che  glie  stò  al  flanc 
Ma  in  che  log  me  menèt  El  glie  dia.  -  A  Cam.  - 
O  san  Franzète,  on  reUgiós,  on  pàder 
Del  vosi  àrem  trota  pet  chenè  on  lèder! 

-  Là,  9ia,  el  mènem  in  dazi  al  rizetòr, 
E  intant  cli*el  fra  el  diseva  la  corona , 
Quij  birbón  besteniàven  tra  de  lor  : 
Biatiopàter,  fra  stampa  bolgirmia. 
Fra  6....  f,„,  e  M  tegnéven  ben  de  pista; 
Ha  quel  fra  l'era  minga  on  fra  Batista! 

Te  ghe  sé  ddin  la  stria;  mo  te  siè  frèse 
In  di  patij;  no  gk*è  sant  che  te  fila; 
fiacomàndet  mo  pUr  a  san  l^ranzèsc, 
Adèss  che  te  la  védet  tropa  MUa; 
Ma  qmj  Hlganeghit,  qmj  salamòtt 
yegnaràn  propri  in  boca  ai  borlandòit, 

Riven  al  dazi,  e  i  òlter  manigòld, 
Cutn  fustibus,  come  diseva  quel , 
Et  eum  lantemiSy  ei  stréngen  cold  colà; 
Tue  ghe  còrren  incontra  per  vedèl. 
La  faràven  trop  magra  coi  salari. 
Se  no  ghe  fuss  on  quèj  strasordenarl. 

Scior  pàder,  l'è  vegnu  anc  per  lù  'l  so  sàbet! 
Chi  el  fa  mostra  de  fass  vegni  on  deliqui. 
Ghe  rùgben  in  di  pures  sott  a  Tàbet, 
E  in  del  borsin  perfina  di  reliqui  ; 
E  ghe  descuàten  fora  de  la  mànega 
Quindes  o  sèdes  braza  de  lugànega. 

Roghen  per  tiìtt  i  hòé,  tóchen,  e  nàsen» 
E  rùspen  su  coi  sgrlf  come  can  brac  ; 
Fan  alza  su  periin  la  cova  a  l' àsen. 
Per  vede  se  ghe  fuss  acondù  el  tabàc  ; 
Ghe  ùsmen  de  dént  In  del  diaforètic. 
Che  pùttosto  el  saveva  d*  assafètic. 

An  tanfnsgnà  flntànt  che  i  cine  pachètt 
Sòiten  voltra;  adèss  si  che  la  ghe  cipa; 
Ma  el  fri,  per  dà  el  color  mej  ai  polpètt, 
El  se  fa  vegni  el  squit ,  ohi  che  deslipa  1 
El  tra  on  sospir ,  el  se  bùta  in  genòó 
Col  man  in  eros,  e  r  alza  al  del  I  06. 


r 


O  som  Frmnxèie,  ch'atH  dà  9$ia  ai  nmrts 
Proteiór  de  la  «otùna  religim» 
De  fra  néf^èer^  §€Hr,  bis  e  de  tmU  sori. 
Del  eapiU,  e  de  qmf  cerni  et  eordéms 
De  minor  oe$er9àni,  del  ea9Ìgió, 
Fé  anmò  <m  miràeol  seti  al  di  iT  tnoò. 

Per  i  M8  fmèrei  nò,  che  eotU  fra  inéègn. 
Ma  in  onòr  di  vget  fio,  'n  glmia  de  Dia, 
Benedi  qmf  paekU,  fèg  eora  el  eègn 
D*la  santa  eros,  e  fi,  che  déni  ghe  sia. 
In  scambi  de  tabàc,  crusca  e  crOschH, 
Per  dog  el  benrón  al  mi  asinsL 

Che  tojen  fora  el  prioL;  doma  a  U  aasU 
Capìssen  beo  ehe  mercanzia  gh^è  deal; 
Quesi  rèi  tabàc  che  cèrchen,  e  tant  liastau 
Sgavàien,  fan  bandòiia,  in iott  contini, 
Destiucen,  dèrven  lora^.  Oh!  che  miràool! 
Gh'è  dént  crusca,  e  lor  rèsten  come  bàcol. 

An  fa  tanto  amargiàas,  e  pò  botrli  : 
Mùf ,  camuf,  sbalordi  come  gogò. 
Se  guàrden  tra  de  lor,  no  san  che  dì  ; 
Pur  se  ostinen ,  e  sèguiten  anmò 
A  descartà  quìj  òlter;  ma  tant'è... 
Fé  che  ghe  sia  dént  criseai  ^  crusca  V  è. 

Cospetto  !  a  dita  mo  chi  in  tra  de  nùn , 
L'^è  on  bel  miràeol  certi  Ma,  dtto,  asquàs 
En  resèntem  nù  el  dagn  a  viin  per  un; 
Perchè,  quel  che  me  sa  de  gran  despiàs, 
El  tabàc  che  se  compra ,  a  dìla  sòèta , 
El  par  tùtt  de  sta  crusca  malarbèta. 

San  Franzésc,  se  v^  avèss  de  dà  on  consèi , 
Per  podèla  fa  in  barba  a  qu^  spfón, 
E  dazié  e  boriandoti ,  el  saràv  mèj 
BenedìJ  lor  istèss  col  vosi  bastòn , 
Regalàndeg  on  rèzipe  sui  spali 
De  moneda  de  lègn,  propri  Sul  sciali. 

1800.  Sonetto  di  Giuseppe  Panni  intitolato:  Elmagóndidam 
de  Milàn  per  i  barondd  de  Franasa. 

Madàm ,  gh'^àla  quej  nova  de  Lión? 
Massàcren  anc  adèss  i  pret  e  i  fra 
Quìj  so  birboni  de  Frames,  ch'àn  tra 
La  iét  y  la  fed ,  e  tutcòss  a  montón  ? 


DIALBin  LOmARDI.  195 

Cossa  n'  è  de  cotu  de  quel  PeCi6ii , 
Ch'el  pretènd  con  sta  bela  libertà 
De  Hiètl  iiwèina  de  nfln  nobiltà, 
E  de  nun  dam,  tut  quant  i  nmealzón? 

A  propòalt,  che  la  lassa  vede 
Quel  capei  là ,  che  gh'  à  d' intorna  on  vèl  ; 
Èl  sta  inventa  dopo  eh'  àn  mazà  el  re  ? 

Èl  el  prìm  eh'  è  riva  ?  0  bel,  o  bel  ! 
Oh!  i  gran  Franzés  !  Besogna  dìl ,  no  gh'  è 
Pòpol ,  che  sapia  fa  mej  i  cosa  de  quel  ! 

In  saggio  della  letteratura  sdlanese  degli  ùltimi  tempi  ^  ab- 
biamo tratto  a  caso  dalla  preziosa  raccolta  delle  poesie  di  Carlo 
Porta  tre  brevi  componimenti,  di  vario  stUe  e  vario  metro;  li 
abbiamo  presi  a  caso,  mentre  ciascuno  ha  tali  e  tante  bellezze 
originali  sue  proprie  da  rènderne  malagévole  la  scelta. 

B  TemporàL 


Carolina ,  varda ,  varda , 

Come  sguizza  la  saetta  ! 

(  he  tronada  malarbetta  1 

Sent  el  tùrben  che  ingajarda  ( 
Se  quel  ciàl  de  don  Galdin 

Noi  desmètt  con  quij  campàn, 

£1  fomìs  cont  el  tiràn 

On  quej  fulmen  siìl  copin. 
Carolina ,  Carolina , 

Minga  in  gesa ,  per  amor  ! 

Va  a  15  i  ciàv,  presi,  prest,  cor,  c6r; 

Ciò  giò ,  andèm  tut  du  in  cantina. 
Ciò  giò ,  andèm ,  no  te  dubita , 

Che  quij  bei  zifer  morèl , 


Pitùrà  sot  al  bocbèl 

Del  me^n,  sàlveo  la  vita. 
Che  séiaró,!  Santa  Ilaria  ! 

Frane  V  k  on  fulmen  eh'  è  séiopà. 

Che?  turche  mi  ò  bestemà? 

ni  ?  8èt  matta!  Va  on  pò  via. 
Varda  i  flàm ,  vàrdef  lassù  ; 

L^  è  s^^Dpa  in  del  campanin. 

E  mo  quel  bevèvel  vin? 

Bestenàvel  anca  lu  ? 
Giò  giò,  andèm ,  senza  tant  ciàcol , 

Che  qug  bei  lifer  morèl , 

Pitiirà  sot  al  bochèl 

Del  mezin ,  laràn  miràcol. 


Sonetto. 

Remirava  con  tùia  devoziòn 
Vùna  de  sti  matìn  in  V  ospedà 
El  ritràtt  de  Monteggia ,  e  V  Iscrizlòn 
Che  dis  con  poc  paròi  tanè  verità. 

Quand  on  tric  e  trictrac  soti  al  porlòn 
El  me  presenta  on  àsen  mezz  spela , 
Ch'  el  fava  on  volt  reàl  eoo!  el  firòn , 
Per  rampa  sera  ht  eort  on  aaalà*  • 


190  PAftTI  PMWA. 

A  sto  pont  lùt  ramòr  per  la  virtù , 
eh'  el  me  ispirava  quel  dolor  de  sass , 
L' è  andà  in  food  di  calcàgn  io  de  per  lù. 

E  ò  vist  infili  che  i  seiori  no  gh'àn  tori, 
Quand  se  disen  tra  lor  per  oonfòrtàss , 
Che  9ar  pH  OH  éum  viv,  che  on  dolor  wmrt, 

A  ceri  foreste  che  vtven  in  Mildn ,  e  che  se  dilèten  de  d 
roba  de  ciàd. 


Odi 


Merda  ai  vosi  arlèx , 
Blarcanagi  pijil  de  foreste  ! 
Ande  fora  di  pé  ; 
Tome  pù  per  on  pèx  ; 
Fènela  sta  regina  di  finèz. 

I  avèssem  nanci  vist 
Col  fagotèl  sott  sella  a  entra  in  Milàn , 
Biót ,  descàlz,  a  pesciàn , 
Hiigher ,  umel  e  trist , 
SU  gran  bondànz^  sU  malarbetti  crisi! 

In  sta  chi,  s'in  fa  su 
Leno  e  petàrd  col  nòster  cervelà  » 
Che  a  bon^  ora  el  gh'  à  fa 
Slongà  el  col  come  i  gru, 
E  adèss,  porconiy  el  ghe  fa  ingossa  anc  lù  ! 

Nùn ,  pòver  busecón , 
Se  sèffi  strengiù  in  di  eost,  per  fàg  el  log 
De  8C0ld&s8  al  nost  fog; 
E  lor  cont  el  carbòn 
Se  sp&ssen  via  a  téngen  el  mùsón. 

Merda ,  ve  torni  a  di, 
Marcanagi  pigàft  de  foreste  ! 
Ande  fora  di  pé  ; 
E  inànz  de  torna  chi , 
Specè  de  prima  che  vel  diga  mi. 

E  chi  in  SU  foreste , 
Che  se  la  scòlden  tant  oontra  Milàn  ? 
In  Chinés ,  in  Perslàn  ? 
Sur  no:  in  tùt  ^enichi  adré; 
In  d'Italia  anca  ter...  ^di I  iuilaé I 


DIALETTI  LOMBARDI.  iS7 

Oh  !  Italia  desgraiiada! 
Cossa  serv  andà  a  tota  coni  i  mort , 
In  temp  che  tut  el  tort 
De  vèss  insci  strasciada , 
L^  è  tùt  de  ti ,  nemisa  toa  ^iùrada? 

Sur  si  :  se  te  set  senza 
Le^  e  lenguà^,  se  tùt  in  foreste 
I  tò  ùsànz ,  l  meste  ; 
Se ,  a  dita  in  confidenza , 
Te  tègnen  i  dandìn ,  V  è  provldenza. 

E  fin  ch'el  natiiràl 
Noi  te  giusta  on  deluvi,  o  òn  terremòt, 
L^èss  inscio  l' è  nagòt  ; 
Mej  i  Ture  coi  so  pai  ^ 
Che  l'invidia  e  i  descordi  nazionìd! 

Ma  stèm  a  la  resòn  : 
Èl  sto  porc  d'ón  paés  che  ve  despiàs? 
LassèI  in  santa  pas  ! 
Andèm»  spazzetta,  ailòn  1 
Vèm  forsi  ligà  chi  per  i  minción  ? 

Alto  donca,  tabàc! 
Ande  fora  di  ball ,  sanguadedì  ( 
Già  che  podèm  guari 
La  piaga  del  destàc 
Forsi  mèi  col  butér,  che  eoi  triàc. 

Ticinese. 

iB80.  Dialetto  della  Pialle  di  Elenio,  —  Onde  pòrgere  più 
chiara  idea  di  questo  dialetto,  abbiamo  estratto  dai  Rabisch  di 
Gio.  Paolo  Lomazzo  un  brano  della  sua  Dissertazione  in  prosa 
sull'orìgine  e  fondamento  della  Valle  di  Blenio,  ed  un  Sonetto 
di  qualche  pregio,  nel  quale  il  poeta  (facchino)  si  duole  colla 
sua  amata  per  non  essere  corrisposto. 

Okìgen  e  pundamént  dra  Val  d^  BaiGfi. 

Vorènd  Gliov  (  parìànd  secònd  ra  antiga  gintiUtà  )  ch^  tuo  i  cus^sotpùst 
a  la,  insci,  come  o  gPign  comenzàd  in  lii  con  or  mez  dra  sua  idèglia, 
avéssen  con  dèbet  mud  a  proscéd  inànz,  or  fé  iiiia  introdusiglión,  eh'  tiid 
i  curp  da  bass  fiisscn  resciùd  da  cogl  de  sora,  dand  perselo  a  quist  or 
mud  del'  incUnà ,  e  a  quigi  or  mud  dor  (a  ;  e  per  quost  avènd  ordenàd 

19 


IÌ8  wàMJE  p&ni. 

nuv  sfer ,  come  curp  scelèstrr  sùpergliór  agi  lerèsler  e  inlerìgliór ,  or 
gh'  è  pars  de  dag  oogl  virtà  cb'  o  gh*  bisogoa^'a,  ehe(ìMà,  con^anch  scià 
diss'  or  vè^  Orfegl  ),  gP  ign  eost  dò  par  ogDÌin:  ra  prime  mùìà  nel  gauss, 
e  r^oltra  in  dor  vivifica  e  rescie  cr  m  cmrp,  e  a  sto  wand  or  vòss,  che 
Baccogn  infrascàd  su  figlio  fw  ra  priaa  >irtà ,  kleat  or  gnoss ,  e  r^  oitra 
ra  Musa ,  o  ra  Bellura ,  eh"*  o  s"*  vùglia  di,  ec  ec. 


A  tLA  Orni  BnrùaA. 

Duh!  s'  tu  savìss,  Betlura ,  or  ben  cb*  o  r  vùgf , 

Te  farìss  moresign  quol  cor  duràs! 

Quand  vut  cbe  d**  cumpagiùglla  fagoai  pas , 

E  che  magi  pù  tra  nùgn  stgtla  garbugl  ? 
S' o  r  puss  un  but  in  d^  un  canlòa  aecogl , 

0  V  viigi  sta  aprèss  pu  sórigl ,  ch^ar  boBbàs; 

E  no  t' vara  pù  a  di  :  te  ne  me  piàs , 

Né  lùsingh ,  né  maùi ,  iC  òlter  strafigl. 
Co  digliàver  farìst  aun  cb^  o  V  batiéss. 

Se  a  mi ,  eh"*  0  t'  vùgi  tant  begn ,  te  n'en  vn  bricca , 

E  sogn  pur  begn  vestìd,  gagllàrd  e  sago  ! 
D^  om  da  begn ,  t'è  mo  tnrt  a  fam  tra  véss. 

Deh!  àbem  pigUetà!  Vut,  cbe  m' appicca, 

Bettiira  dolza  pii  ch^  ar  manapàgn? 
Ah  !  curp  com  dig  d^ìn 

S'  0  V  squit  adàss ,  o  tMaS  fa  crigUatvr, 

Ch'aia  mezz^ora  faràn  trenta  portùr! 


I 

1078.  Avendo  noi  travato  fra  i  manoscritti  inèditi  delTAmbro- 
nana  una  lunga,  comecché  stacchèvole,  Canzone  scritta  qoasi 
doe  sècoli  fo,  nel  dialetto  della  Val  Sesia,  ne  produciamo  in 
Saggio  un  brano,  per  la  lingua  di  quel  tempo,  giacché  la  roc- 
zezza  di  quel  componimento  non  d  allettò  a  produrlo  per  inte- 
ro. Avvertiremo  solo,  che  gli  Alagnesi,  introdotti  come  interlo- 
cutori nella  Canzone,  sono  gli  abitanti  del  Comune  di  Alagna , 
villaggio  posto  nella  parte  più  elevata  della  Val  Sesia,  a' piedi 
del  Monte  Rosa.  Sono  essi  d'origine  tedesca,  e  parlano  tutt'ora 
un  corrotto  dialetto  germànico. 


DIALBITI  UHIBARDI. 


i%9 


Canzom  in  lingua  materna  Falsesiana  composta  da  Pròspero 
Torello  da  Borgomaynero^  sopra  d^  un'  mcursione  fatta  in  Fa- 
rallo  Sesia  da'  Montanarij  a'  4  5  Agosto  1 678^  prima  del 
mezzogiorno. 


Che  diàu  y  che  càud  fa  mai? 
N'ìn  la  gent  bela  inspirtài  ; 
L' è  già  qui  doi  mèls  o  tri , 
Ch^  soma  bela  perbogli. 

Taot  più  ch^  ora  in  Campartògn , 
E  in  tla  Val,  gh'è  un  gran  bisògn 
Onsì  d' gran ,  come  d'  denèi  ; 
Perche  cugl  Scribi  e  Farisèi 
Ch'  i  rcggio  al  Cmun  d' Varali 
L' è  un  gran  temp  eh'  i  nHratto  mal. 
Anz  r  è  pè^ ,  a  col  eh'  intènd , 
OC  ì  van  trattànd  d*  oléini  vend 
La  Val  Granda  e  la  Val  PitU , 
E  impignèni  fin  la  vltta, 
Koi ,  e  tuj  1  nosl  mattai. 
Mò,  Signor,  che  sarà  mai? 
Fé  vendcta  voi,  Signor, 
eh'  i  sèi  stat  nost  Redentór , 
Quand  noi  ino  pomma  mi  netta.  , 
Orsù,  1  vògl  buttèmi  glCi  vm  pò  sotta 
A  l' ombra  de  cost  bel  fò , 
E  i  vogl  buttèmi  giù  chilo , 
Bela  long ,  bela  destéls, 
E  j  vogl  lasse  cor  giornài  e  méis, 
E  poi,  chi  sa,  che  cól  ch'à  faj^  al  tùtt 
A  n'  portrà  ben  quaich  ijut 
Da  quaich  banda  mai  pensa  ; 
Ma,  per  Dio,  mi  I  srèi  paregià 
Per  desprèmi  e  buttèm  via  ; 
Ma  a  m' vegn  sempr'  In  fantasìa, 
Pr  ajìjtèmi  in  Tal  più  bel, 
Cb'a  n^ogUa  accaddi  quàlcb  bordèl. 
Ma  che  gent  è  cola  là , 
Ch^  i  vegno  giù  da  la  montagna? 
Fé  de  Christ,  in  gent  da  Lagna; 
Che  Diàu  !  come  In  armai  ! 
Cugl  ì  bà  più  d'  cent  soldài  ; 
I  vogl  un  pò  mettmi  ascotc 
Ciò  eh  1  parlo  in  V  al  passe. 
Noi  i  b'  pomma  avèl  belletti 


Da  podèi  mene  al  gran  ; 

E  se  qualcun  a  8^  meli  a  parie 

D^esenzión,  de  primi  legl. 

Al  sarò  megi  ch^al  fèlss  di  sacri  legi  ; 

Perchè  cugl  sìndichl  e  deputai 

I  ne  petto  ceri  sassài , 

Con  querèl  e  con  papégl; 

E  la  masna  r  è  già  in  pél 

Da  paghe  vini  sod  per  sac  ; 

Mo,  Signor 9  mi  1  vogl  anè  malt! 

Quand  più  i  gh'  pens,  son  fora  d'mi. 

Ma  sarà  megl  a  lassèla  onsi, 

Che  al  buon  De  a  gh'  remediarà. 

Uomini  aaiiati  d'Alagna. 

Prènder  venta  arsulossión. 
Noi  non  é$»er  tant  cogliàn 
Quant  un  esser  usmà^ 
Tùtt  Ferlorum  V  è  sbriga; 
Noi  voler  nostre  tolette. 
Poi  qualcun,  che  ne  promette 
Far  andar  nostra  montagna 
Senza  un  soldo  de  guadagna; 
Mler  rest,  èsser  mane  mal 
Dar  a  fog  e  a  sang  yaràl; 
Mozzar  tHi  i  traditóre 
Noi  minga  patir  più  fame  per  tor» 
Sé  so,  bon  alla  mitinandra 
Fog  e  sangus  epoiin  Fiandra, 
Alla  guerra  in  compagnia, 
Viva  al  BSs  e  sua  Signoria! 
Mazzàr  tuj  i  tradilòr. 
Noi  non  stentar  più  per  lor. 
Costa  sì  la  sa  da  appio; 
Costa  sì  fa  brùsè  al  nappio  ! 
D' onta  anèif ,  o  bela  gent , 
Onsì  armai  a  fé  spovènt? 
Oh!  che  gent  ben  a  la  via , 
Pari  bà  una  compagnia 


150  PARTE  PEIMA. 


D^  begi  soldàJ  mandai  da  De 
For  dal  Ciél  per  castighè 
Quaicun  eh'  l'abbio  meritè. 

Alagnesi. 


D*  Stepo  Modo  da  trooàt 
A  Farai  a  defèmder  noBtra  yai 
Da  ladrón,  che  senza  fai 
Voi  storbàr  nostra  eèàuiàn. 
Primi  legi,  favor,  nòster  resóm 
Concedùi  da  Carlo  Quini; 
Noi  èsser  stài  opisà  j     Noi  èsser  più  de  ceni  e  vint 

Osta  noi  ^f^  ^^'^  lettra  \  ee.,  ee.,  ec. 

1738.  Compagnie  d*  Fechin  dol  Lag  Mejò  m  tol  fèà  a  €à 
despò  jès8  $ta§  a  fi  U  Camevà  chilo  a  Milàn. 

SOIfBTT 

Car  i  nost  sur  petrón ,  I  vost  fevó 

len  8ta£  de  tal  mesure ,  eh'  ol  pensé 

De  tal  qnanl  i  fechin  dol  Lag  Meió 

A  sfeguràl  noma  V  è  nor  esse. 
Nùn  o  resièm  afa|  senza  sento; 

Vóm  devrì  boche ,  e  s' trovem  ben  d' indrr; 

O  bogne  eh'  o  fudèssem  tùg  dotò , 

Par  dav  ringrezlemént ,  che  pur  o  s*  de. 
Baste ,  0  vem ,  che  V  è  vore  ;  a  revlgbés  ; 

AI  cà  de  dìn| ,  rivo  lassù  'n  Autragne , 

Narèm  vosànd  d' intorne  a  quel  pajés , 
01  lag,  la  vai ,  ol  pian  e  la  montagne  : 

E  Pipe  I  nòst  petrón,  i  Milanes! 

Vive  Milàn  mijó  dia  gran  eùeogne! 

Breve  racconto  in  prosa  facchinesca  tratto  dall'  almanacco  L 
^a//e  dell'anno  1700. 

Na  marasce  ben  face  su  de  cà  o  la  s' è  mariade  cont  od  fechin,  e  d«f|i 
jen  gnu  a  sta  là  in  tol  Milàn;  e  na  iomade  ol  fechÌB  l' è  naé  a  cà ,  e  P 
trovò  in  tol  so  Ital  on  pestizin ,  eh'  o  besooreve  con  la  so  Zuenine  ;  e  li 
0  gh'  à  scercó  ol  parche  r  ève  gnu  in  tei  so  Ital?  E  161  o  gb^à  di6:  parél 
0  gh'  pieseve  a  bescòr  con  la  so  Zuenine.  01  fechin  inora  o  gh'  à  nspdtl 
Doh  !  ol  me  sciòr  pestizin,  eh'  o  mette  da  bande  sto  pensé,  eh'  la  me  JSw 
nine  o  n'  l' è  note  par  lui  ;  eh'  o  tende  pai  so  da  fa ,  ch^  in  montagne 
n'  gh'  è  note  sta  maledette  usanze  dot  Blilàn  ;  e  T  à  cascia  fò  dol  ital  ; 
despo  0  gh'  à  dio  a  ia  Zuenine ,  eh'  o  lagàss  par  l' inànÒ  da  dà  scolt  a  st 
iènt,  dol  rest  o  l'abiaràv  mannade  in  montagne;  e  lei  l'èbiùde  bedleni 

liOdlftano* 

Il  più  antico  poeta  lodigiano  conosciuto  è  il  conte  Francese 
De  Lemene,  che  fiorì  sulla  fine  del  sècolo  XVll  e  nel  princqù 


DIALETTI  LOMBARDI.  151 

del  XVIII,  nel  qual  tempo  diede  in  luce  la  Sposa  Francesca  in 
Tersi  lodigiani.  Nessun' altra  prodazione  in  questo  dialetto  fu 
publicata  prima,  o  dopo  questa  comedia,  sebbene  lo  stesso  De 
Lemene  lasciasse  altre  poesie  manoscritte,  fra  le  quali  un'inge- 
gnosa versione  in  ottava  rima  del  seoMido  canto  della  Geru- 
saUmme  liberata}  e  diversi  altri  poeti  dopo  di  lui  dettassero  ele- 
ganti componimenti  d'occasione  cospersi  qua  e  là  d'arguti  sali, 
d'affettuose  imàgini,  di  morali  sentenze  e  di  concetti  originali. 
Essendoci  stata  comunicata  dalla  gentilezza  del  professor  Cesare 
Vignati  una  piccola  raccolta  di  questi  poètici  fiorì  vernàcoli  tut- 
tora inèditi,  crediamo  far  cosa  grata  ai  nostri  lettori,  publi- 
cando  per  la  prima  volta  quelle  che  ci  parvero  migliori.  A  vani 
componimenti  del  Lemene,  del  Fugazza  e  del  Codazzi,  godiamo 
dì  poter  aggiùngerne  alcuni  del  distinto  poeta  vivente  Giuseppe 
Riboni,  la  cui  ritrosa  modestia  cedette  finalmente  alle  nostre 
istanze,  permettendoci  di  publicarli  per  la  prima  volta,  ed  inse- 
rirli fra  questi  Saggi. 

4700.  Versione  del  secondo  canto  della  Gerusalemme  liberata 
di  Francesco  De  Lemene,  tratta  da  un  manoscritto  autògrafo. 

Amumìrt. 

El  gran  cas  de  Sofronia  a  vói  canta. 
Quel  cbe  za  cantè  M  Tass  con  sUl  toscàn; 
Ma  mi  con  pòca  spesa  al  vói  muda  , 
E  vel  vói  fa  senti  con  stil  nostràn. 
El  Tass  rè  ón  Bergamasca  però  ehi  sa, 
Che  na  ghe  bagna  el  nas  ón  Lodesàn? 
Vu  che  senti 9  diri,  se  magiór  lod 
Quei  da  Bèrgom  avràn,  o  quei  da  Lod! 


Mentre  ^1  tiràn  ben  ben  d^  armàs  procura , 
Se  ghe  fa  inànz  Ismèn  ón  dì  solètt  ; 
Ismèn,  cb^  infina  da  la  sepoltura 
El  dama  i  morti  in  vita ,  e  s*  el  se  mett , 
Fin  a  Plntón  là  a  bass  al  fa  pagura  ; 
Noma  col  barbotà  d^ón  so  versètt 
El  ghe  comanda  ai  spìriti ,  eh'  el  pòi 
Ligài  e  desligai ,  conforme  'i  vói. 


iS3  PARTE  ntlWA 

L' era  Cristian ,  e  adèss  V  è  con  Macon  ; 
Ma  na  '1  pòi  trala^  r  antica  usania; 
El  fa  i  incanti ,  e  In  tute  dò  poc  bòn , 
£1  fa  dele  dò  le|^  òna  mesèianza  ; 
Da  quel  so  log ,  dovrei  sta  a  (a  '1  striòn , 
Da  la  zente  del  mondo  in  lontananza, 
Bl  yèn  a  consejà  el  re  Aladén , 
E  se  pòi  di  :  r^  ciU  'i  reti  de  Carlén. 

Siòr ,  el  ghe  dis ,  pur  trop  avi  sentit , 
Che  vèn  mardànd  quela  crudél  canaja  ; 
Sarà  el  ciél ,  sarà  el  mond  dal  nost  parlìt  ^ 
Se  però  na  se  màngiam  sott  la  paja; 
Vu  da  re,  da  soldàt,  i  fatt,  ì  ditt 
Piiy  che  né  U  podestà  de  Sinig^a  ; 
E  se  ogniìn ,  come  vii ,  se  sa  desverze , 
Cert ,  eh**  el  nemic  nai  porta  via  le  verzc. 

An'  mi  son  chi  per  fa  quel  poc  che  so  ; 
Stèm  tati  al  ben  e  al  mal  da  bòn  fradèl  ; 
Mi ,  come  mag  che  son ,  incantarò  ; 
Mi ,  come  vè^  che  son ,  darò  consci  ; 
Quei  Angioi  che  dal  ciél  i  caschén  zò 
I  farò  lavora  come  famèi  ; 
Ma  prima  ve  vói  di  per  quale  vie 
Mi  sia  per  comenzà  le  striane. 

I  gh**  àn  i  Cristian  in  la  so  gesa 
On  alta  in  confessiòn ,  con  su  '1  retràt 
De  quela,  che  per  màder  fudè  presa 
Da  quel  che,  1  disen  lòr,  a  n^  à  salvàt  ; 
Gh'  è  sèmper  pizz  na  làmpada ,  e  destesa 
Gh^  è  sòra  òna  tendina  de  brocàt , 
E  gh'è  dintorno  intomo,  in  vari  modi , 
Scròzzole ,  gambe ,  brazzi  e  mile  invodi. 

Vói  mò,  che  questa  effigie  vu  todi , 
E  che  la  porte  via  de  vosta  man , 
E  in  la  vosta  meschita  a  la  metti  ; 
Mi  farò  pò  l'incànt,  e  alora  invàn. 
Finché  ben  ben  vu  la  ciistodiri, 
ITassaltarà  l'esèrdt  Cristian; 
E  per  òn  cert  secret  mi  v'  assicuri , 
Ch^  el  vost  impero  e  vii  sari  sicuri. 

Insi  M  ghe  dis,  e  lù  con  impazienza 
El  corr  a  quela  gesa,  el  se  fé  iàder, 
El  sforza  i  preiti,  né  '1  dis  con  licenza , 
Ma  'I  porta  via  'I  ritràt  de  la  gran  màder. 


mALRTI  UMIliAIIDI.  ISS 

In  la  so  sinagoga ,  invè  mal  seim 
Catà  pecàt  se  prega,  al  mett  el  quàder. 
Che  fé  pò  *1  mag  T incanì,  e  quel  br&tt  seroc 
Cred,  eh^el  ghe  disèss  su:  BerUe,  BeHòeì 

Ma  la  matfna  ad  ré,  li  al  campanén ,  • 
El  sacreslÀn,  o  1  campane  ch'el  f&ss, 
Na  1  trova  pù  IMmàgln,  e  lapén 
Invàn  la  cerea,  el  ruga  in  ogni  bus. 
El  dà  sta  medesfna  al  re  Aladén, 
Che  tutt  infOriàt  e  liti  oonfut 
El  crede  ben,  ma  na  'I  sa  mò  la  strada, 
Che  sia  stat  qua!  Cristian  che  r  à  znlfada. 

0  fusse»  i  Cristian  che  la  robin, 
0  fuss  el  ciél  che  l'opra  seofca  wtàcol, 
eh'  essènd  quel  volt  in  l6g  che  ne  oonvèn. 
Nel  posse  remirà  simil  spetàeoi , 
La  cosa  rè  anmò  Insi,  ne  se  sa  ben. 
Se  Topra  fuss  umana,  o  pfdr  miràcol; 
L'^è  però  ben,  che  i  omnI  a  f  céden  lòr, 
E  fa  d^òn  si  bel  fatt  el  dèi  autor. 

El  re  el  fa  fa  na  gran  perqulsliiòn 
In  tute  quete  gese.  In  ogni  eà; 
A  chi  '1  furt  ghe  descuata  al  ga  la  òn  dòn, 
E  chi  la  qnata  la  vél  fa' impicca. 
El  fé  corr  el  crivèl  anca  el  strlòn, 
Ma  na  1  pòss  mai  savè  la  verltò, 
Ch^ei  del,  o  siel  stat  lo,  o  che  sìel  stat, 
A  la  so  barba  a  Pà  sònper  celàt 

Ma  quand  na  1  pòi  scovrì  la  robarìa , 
Sùpoata  dei  Cristian,  alora  el  re 
El  dà  in  le  stelle,  el  monta  in  frenesia , 
Né  '1  se  pòi  pasentà  né  poc,  nò  asse. 
In  tuti  quanti  i  modi,  in  ogni  via 
El  se  VÓI  vendieà,  cada  che  de. 
S^el  reo,  '1  dis,  l'è  In  costòr,  nò  ao  vedèi, 
Mazzèmei  tùli,  e  mazzarèm  an'quel. 

Purché  na  se  na  vanta  el  malfalòr, 
Nora  anca  el  gidst;  ma  In  lòr  qual  gi&st  se  trova  7 
A  jén  na  man  de  scrochi,  e  a  jén  eostòr 
Tùli  nosli  nemisi,  el  sàm  per  pnrra; 
Se  in  sto  fall  Tè  inooènl  qualciki  de  lòr. 
Peccadi  vegi,  penitenza  nova; 
SoldadI ,  alòn ,  savrè  eostòr  in  meiz , 
Ande;  mazaè,  brusè,  fé  1  diàol  e  peti 


154  PARTE  PUIU. 

Insì  el  dia  ai  so  Turchi,  e  a  fass  intende 
Subet  per  i  Cristian  la  fama  córs  ; 
I  rèsten  smattaxzidi,  e  ben  comprende 
Ognun,  eh'el  sta  de  la  so  vita  in  fors. 
Nessun  batft  el  taccón,  né  se  defeode; 
Nessun  se  scusa,  o  prega;  alfén  sooórs 
Ghe  yèn  da  invè  mane  spéren;  ma  na  Msa 
eh'  el  tarda  anmò,  Tera  el  socòrs  de  Pisa. 

Ghiera  tra  lór  na  putta  da  marìt, 
D'ón  gran  coràj  e  d'òoa  gran  beltà; 
Ma  la  spreiia  el  so  bel,  o  H  gh'è  gradìt, 
Perchè  Tè  d^omamént  a  r onestà; 
L'è  sèmper  da  per  le,  come  ^n  remit, 
Scósa  per  I  eantón  de  la  so  eà. 
Che  ne  la  vói  aplàusi,  né  lerbén. 
Né  mai  se  ved  in  porta,  o  sul  lobbién. 

Ma  1^  è  impoasibil  de  tegni  ben  soosi 
I  splendori  d'óo  volt  insi  perfèt; 
Ma  ti,  quei  so  bei  ógi  e  vergognosi. 
Ti  stess  tei  moalri.  Amor,  a  htk  lovenèt; 
Mò  V  è  ón  òrb,  mò  t'è  òn  Arg,  e  i  tò  morosi 
De  fai  vede,  d'orb^J  Tè  tò  dflèt; 
Adèss  te  fé  de  quel  che  na  so  poi, 
E  te  fé  ved  sta  fióla  da  sto  fiól. 

Gh'  àn  nom  Sofronia  e  Olind  coatu  e  coste , 
De  fede  e  d'ón  paés  i  van  d^  ón  pass; 
Le  rè  bella,  lu  savi,  e  cose  asse 
Lu  H  voràu,  poc  el  spera  e  sempr'  el  tas  ; 
Né  '1  sa  soovriss,  o  n^el  s^ inscala,  e  le 
Na  se  na  dà,  o  na  H  vede,  o  n>n  fa  cas; 
E  insi,  finché  sto  poverét  rà  amàt 
0  da  per  lu,  o  mal  not,  o  mai  sortàU 

Ménter  che  cor  Tavis  per  la  dttà, 
Ch'àbben  d'ave  1  Cristian  si  gran  molestia , 
Sofronia  rà  in  pensé  de  liberà 
El  so  pòpol  fedél  da  quela  bestia; 
La  pensa  óo  pò,  la  sta  9ul  fa  e  ne  fa. 
Che  scombàtt  el  valor  co  la  modestia. 
Vence  el  valor,  ami  1  se  oòrden  prest, 
Perché  l'istéss  valor  se  fa  modèst. 

Da  par  le  la  tól  su;  el  so  volt  bel 
Gnè  ne  la  sconde,  gnè  na  fa  pompara; 
U  basse  i  ói,  U  tire  ló  1  so  vél. 
Ma  in  óna  forma  manerosa  e  rara; 


"\ 


DULKin   LOMBARDI.  i5tt 

Ne  la  se  fa  in  pención^  né  so,  se  quel 

Sia  '1  eas,  o  Tart^  ch^el  so  bel  volt  t>repara; 

La  lassa  sta  tùti  i  belé  da  part  ; 

Ma  queir  andà  20  insi  Tè  uà  gran  art! 

Ne  guardànd  a  nessun,  da  ognun  guardada, 
Passa  la  dona,  e  la  va  inànz  al  re; 
Ne  la  se  ferma  minga  a  mezza  strada, 
Sebèn  la  ved  in  che  gran  furia  a  F  è; 
Vegni,  Signor,  la  gh'  dis  (  ma  intànt  a  bada 
Tegnì  '1  vost  pòpol),  vegni  al  vesti  pè. 
Perché,  se  vii  cerche  quel  gran  ladrón , 
Son  chi  a  cusàl,  e  a  dàvel  in  presón. 

Al  vede  compari  ^nsi  baldanzósa. 
Ma  insi  modesta,  bela  dona  e  brava 
El  re  fai  mùlusén,  come  na  sposa, 
A  n' al  se  fa  pu  brùtt,  e  pù  noi  brava; 
Se  lu  Pera  mane  dùr,  ié  mane  retrósa, 
Gh'arèu  zligàt,  che  lu  H  s^inamorava; 
Ma  dùr  con  diir  a  na  se  pòi  fìi  nién, 
E  gh'  ól  le  moine  per  fàss  voré  ben. 

Che  movéss  el  tiràn,  se  Amor  ne  fii. 
Fu  gust  curiosità,  fu  amirazión! 
Fermèu  li,  me  soldadi,  e  ti  di  su, 
O  bela  putta,  el  dis,  la  tò  resón. — 
Quel  làder  che  disi  b^  al  cerche  pù , 
Alora  la  respónd ,  che  quel  mi  son  ; 
Questa  è  la  man  ch'à  fatt  el  fùrt,  e  questa 
Ve  pagarà  la  pena  ardita  testa. 

Dei  pòveri  Cristian  i  comùn  guai 
Tùti  sóra  de  le  la  tól  insi; 
0  bosia  gloriósa  !  e  quando  mai 
SÌ  bel  è  1  ver,  ch^  el  possa  mett  con  ti? 
El  re  VÓI  mò  savè ,  come  V  è  stài. 
Né  si  prest,  com'  el  sòl,  el  sMnstizzi; 
El  ghe  domanda  :  Che  t^  à  consejada 
A  fa  sto  latrosini ,  e  Va  jùtada?  — 

N^ò  vorùt  che  nissùn  sappa  el  fatt  me, 
Che  sia  me  tùtt  Ponór,  ò  stimàt  mài  ; 
Nessun  m'à  dat  ajùt,  nessiin  ne  gh^é. 
La  ghe  respónd,  che  moabita  dat  conséi. 
Don  noma  ti  te  me  la  pagare; 
Allora  el  re  ghe  dis  con  gran  besèi. 
01!  Ié  la  ghe  respónd  con  volt  sevér, 
S'ò  mangiàt,  pagarò;  n'él  ei  dover? 


150  PAftTB  niMA. 

Chi  'I  DM  ghe  torna  ross:  Dim ,  in  che  log, 
El  dis,  èl  seós  el  fòri,  bruta  forfanta?  — 
Na  rò  scòs,  la  respónd,  Vò  trai  sul  Ufgy 
E  pensi  d'^avè  fai  na  cosa  santa  ; 
Perclié  eosi  n^  al  porrà  fàssen  cóg , 
Quel  maladètt  barbón ,  cola  ebe  Incanta. 
Se  vori  **!  reo,  Tè  chi;  s^'cl  volt  derén , 
Al  bugna  che  spettè  M  di  de  san  Ben. 

8ebèn  na  se  pòi  di^  cb^  abbi  robàt , 
Che  per  tutt,  dove  Ve,  se  pòi  tó  M  so. 
El  re ,  sentènd  tal  cosa ,  Infuriat 
Sbatt  1  pè,  mord  le  man ,  scorliss  el  co. 
On  bel  volt,  òn  cor  cast,  n^  infègn  levàt 
De  retrovà  perdòn  na  i  spéren  nò, 
E  invàn  Amor  contra  si  gran  fierena 
A  ghe  ftL  scod  a  le  de  la  beleica. 

Alora  I  fan  presòn  la  poverana  ; 
El  tlràn  la  oondana  a  jèss  brusada; 
Tùti  i  pagni  d*  intomo  ogndn  ghe  strazza  ; 
La  resta  mena  Mota,  e  rè  ligada; 
A  la  se  mostra  intrèpida  alla  fana; 
Però  de  drén  a  rè  òn  tantèn  tùrbada  ; 
Ma  s'el  sòlit  color  al  volt  ghe  manca, 
Na  la  deventa  pàlida ,  ma  bianca. 

Se  cùnta  el  cas*  pertutt ,  e  curìÒs 
Olìnd  con  r  oltra  xeni  rè  chi  vegnat. 
Che  possa  jèss  Sofronia  a  rè  dubiòs , 
Ch^el  nom  del  reo  n*  al  s*  è  gnanmò  savut. 
Quand  el  ved  che  rè  le,  pòver  moròs! 
E  che  la  vòen  brusè ,  per  dàg  i^ùt. 
Come  ^n  ispiritàt  a  se  ne  va , 
Ei  còrr ,  e  n  dà  sbntòn  de  sa  e  de  là. 

El  crida  al  re  :  Ferme,  na  rè  stài  le, 
Lassèla  andà,  che  rè  na  matanòla; 
Come  avràn  mal  possut ,  gnanc  col  pensé , 
Ardi  tant  e  Ùl  tant  na  grama  llòla  ? 
Come  àia  fatt  el  fort,  e  fatt  i  pè, 
Trampànd  i  sacristàn  da  par  le  sola? 
Se  rà  fai,  che  la  diga:  a  son  stat  mi. 
Ah  !  eh*  el  vorè  trop  ben  1*  è  qnel  ch^  è  lì  1 

E  pò  '1  seguita  a  di  :  Mi,  col  me  inzègn  . 
De  nott  entrò  per  via  d'òn  fenestròn  ; 
vòss  fa  le  male  fine,  e  per  tal  segn 
In  certi  brutti  passi  andò  a  gattòn. 


MALCm  LOMBAEDI.  187 

MI  deronór,  mi  de  morì  Bon  degn. 
Coste  na  ne  sa  nién ,  da  quei  che  son  ! 
S5  ,  donca,  lighèm  mi ,  desligtiè  questa  ; 
Mi  son  e!  reo ,  1^  è  lai  per  mi  la  festa. 

L^  alza  Sofronia  i  ógi,  e  per  pietà 
La  guarda  dolcemént  I*  inameràl  : 
O  poverètt  !  cosa  vegniu  mò  a  là  ? 
Che  ve  condùs  mò  chi?  8ìu  savi,  o  mal? 
Na  so**  mia  bòna  mi  da  soportà 
Tutt  et  mal  che  pòi  iam  óa  òn  rabilit  V 
O  stòmec  da  soffrì  la  morte  mia 
Da  par  mi  sola,  e  senza  compagnia. 

La  dis  insì  ;  ne  r  à  però  poesut 
Fa,  che  se  miida  quel  morós  d^umór. 
Oh!  che  gran  cas  è  questi  Chi  k  mai  vedut 
Scombatt  ti  gran  virtù,  si  gran  amor? 
La  pena  de  che  perde  è  la  salut , 
E  rè  premi  la  mort  al  vencUórl 
El  re  s^  infOrla  pu  quand  pii  1  oognósa , 
Che  ognun  se  vói  tira  la  colpa  adóes. 

A  senti  sto  contràst  gfa^è  tasi  devìs. 
Che  lór  la  tègnen  per  ón  tnrluru  ; 
E  però  tiitt  Infùriàt  el  dis: 
Mi  vói  erède  a  tutt  du;  mauèl  tutt  du. 
El  fa  de  sign  ai  sbiri,  e  ognun  s^è  miss 
Intorno  a  Olind  ,  e  la  prendén  an'  lu , 
E  la  lighén  a  la  morósa  apprèss , 
Voltadi  sóena  a  sdena  al  pai  istèss. 

Che  porta  le  covade,  e  che  i  fassén, 
Che  boffa ,  che  fa  fóg  de  quei  demoni  ; 
Quando,  pianzènd,  el  dis  quel  poverén 
A  la  presenza  de  quel  testiiMml  : 
èl  quest  el  lazz  ch^ aveva,  oh!  me  mesohén! 
Con  vu  da  cónzobbiam  in  matrhnoni  ? 
èl  quest  el  fóg,  col  qual  pensava  el  cor 
Che  dovéss  rescaldàm  el  dio  d^Amór  ? 

Olter  fóg,  òlter  lazzi  Amor  mostre, 
Oltri  ne  dà  la  sort  in  sto  mal  punt  ; 
Pur  trop ,  con  vù  mi  sont  morènd ,  ohimè  ! 
S^  in  vita  fu  pur  trop  da  vu  deszùnt, 
Gh^ò  gùst  almànc ,  za  che  OMirì  se  de , 
De  jèss  al  vost  morì  con  vù  conzànt  ; 
Me  rincréss  el  vost  mal;  dei  me  dolori 
Na  gbe  do  nién ,  perché  con  vii  mi  mori  ! 


158  PAITB  PftIMà. 

Oh!  che  fortuna  mai  saràu  la  mia, 
Oh!  come  in  la  mia  mort  sarèu  beat. 
Se,  mènter  mori  in  vosta  compagnia  , 
Spiràss  in  bocca  a  vii  V  filtem  me  fiat  ; 
E  in  mi  ^1  vost  spirit  per  l'istesaa  vìa. 
Za  che  morì  con  mi ,  fudésa  spiràt  ! 
Mentre ,  in  ftto  mod  diaènd ,  pianzeva  quel , 
Sofronia  la  conséja  insi  bei-bel  : 

Fradèl,  quest  na  Tè  temp  da  inamoradi; 
Lasse  andà  ^1  mond^  e  na  ghe  pensè  pù; 
Am  da  morì;  bugna  pensa  ai  peccadi; 
i  da  prega  M  Signor,  ch^  el  sia  con  vó; 
Se  nùm  ,  per  amor  so ,  sàm  tormentadi , 
Aram  e!  paradis,  s'  el  piàs  a  lu. 
Dì  là  H  sol  che  ne  invida ,  e  '1  ne  consóla  ! 
Guardò  là  n  ciel,  come  Tè  bel!  Oh!  fióUl 

Chi  pianzén  i  Pagàn,  e  i  pianxén  fort; 
Pianzén  anca  1  Cristian ,  ma  ón  pò  pù  pian; 
On  tantén  per  pietà  deventè  smort. 
Anca  al  so  mars  despètt,  V  istèss  tiràn; 
Ma  quande  d'ingramiss  al  se  fu  Incòrt, 
El  se  fa  forza ,  el  marcia  via  pian  pian. 
Che  se  sgraffigna  el  volt,  che  strazza  i  pagni; 
Sofronia,  noma  ti  ne  te  caragni! 

lércn  in  sto  strett  bus ,  quand  per  ventura 
Compàr  ón  Cavallér  brau  e  cortes  ; 
A  guardàg  ai  vestldl ,  e  a  T  armadura , 
Al  par,  ch'el  vegna  da  lontàn  paés; 
L' à  su  r  elmo  na  tigre ,  e  Tè  figura 
eh'  usa  de  mett  Clorinda  in  su  r  arnés  ; 
La  zent  ghe  guarda,  e  i  disen  in  vedala: 
Zùra-miJ  l'è  Clorinda  :  e  r  era  qnela. 

A  no  la  vóss  mai  mèttes  sto  desperi 
Al  meste  eh'  a  le  donne  se  convèn , 
De  cùsi ,  de  fila,  de  monesteri , 
De  recàm,  na  la  vóss  mai  savèn  nién; 
L' andava  coi  soldadi  in  di  quarteri , 
eh'  an'  là  se  pòi  ben  )èss  dona  da  ben  ; 
Superba  e  derùscóna  la  fùdè  ; 
Però  'nsi  despresiósa  la  piasè! 

L' era  anmò  piccenina,  e  la  voreva 
Messedà  spade,  lanze,  e  cavalca; 
I^  feva  1  pugni ,  I  sassi ,  e  la  sfideva 
Tutti  a  fa  le  braziade ,  e  a  scorriatà  ; 


DIAbETTi  LOMBARDI.  150 

I  orsi  e  i  león  a  jà  persegoiteva 
Per  montagne ,  per  boschi.  In  za  e  in  la  ; 
L'andè  pò  in  guerra,  e  la  fudè  sta  fràola 
Con  le  hesUe  e  eòi  òmni  óna  gran  diàola. 

La  vèn  da  Persia  per  mostra  ^1  móstaiz 
Contra  i  Cristian  nemizi  a  la  so  setta , 
Sebèn  in  oltri  loghi  col  so  brazz 
Pù  volte  la  gh'  à  dai  la  maladetta  ; 
La  véd  nell'  arriva  tant  popolàzz , 
E  i  dù  meschén  redutti  a  quela  stretta, 
E  per  curiosità  fra  tanta  zent 
La  spónze  el  rozz ,  e  la  se  cazza  drent. 

La  zent  la  ghe  fé  largo,  e  le  s^è  miss 
Ben  ben  arènt  a  remirà  col6r; 
La  ved,  che  V  una  tas,  Tòlter  zemias , 
E  la  dona  de  l' òm  mostra  pvì  eór  ; 
Per  compassión  lù  par  eh'  el  planza  fiss , 

0  de  le,  no  de  lu  Tabba  dolor; 

Le,  immobii,  tas,  la  guarda  el  del,  e  insì 
A  la  par  morta  prima  de  morì. 

La  se  séessi  Clorinda  a  vista  tal 
Per  compassión,  e  la  lùcdè  ó&  tantén  ; 
Pur  de  che  mane  se  dól  ghe  sa  pii  mal, 
PQ  che  tas,  che  che  pianz  ghe  par  mesehén; 
Senza  spetta  la  dis  a  ón  òm ,  el  qual 
L'  era  li  da  na  banda  a  le  vesén  ; 
Disìm ,  car  vù ,  ch^  à  miss  in  sti  travài 
Costór  ?  Èl  mò  desgrazia,  o  cos'  ài  fai  ? 

Insì  la  prega;  e  quel  al  ghe  cantò 
In  mezz'Ave-Maria  come  la  fu  ; 
La  se  fé  '1  segn  de  eros,  e  la  sUmè 
Che  fussen  inocenti  tùti  dù; 
A  la  se  mett  pertànt  In  tei  pensò 
De  trova  mod,  che  ne  I  a  brusen  pù  ; 
La  còrr  prest  al  falò,  la  fa  smorza, 
E  la  se  mett  coi  sbiri  a  contrasta. 

Fermèu,  smorzò  quel  fòg,  nessun  ghe  sìa, 
Che  Uzza  su ,  prest,  metti  zò  U  boflfòtt , 
Fin  che  me  parli  al  re,  che,  in  grazia  mia, 
Se  tardarì,  lù  na  n'avrà  despòtt. 

1  sbiri  i  obedìss  a  Sossiorìa , 
Portànd  respett  a  quel  so  bel  aspòtt. 
Le  la  va  pò  dal  re  ;  ma  la  s^  incontra 

Con  lù,  ch'appunt  a  lo  'I  vegneva  incontra. 


ito  PAETB  Ptnià 

La  ghe  dis:  som  Oorìnda;  avi  sentii 
Fós  molte  volte ,  o  Siór,  a  menionàm  ; 
E  vegni  diiy  eh'  ò  intés  ch^  i  miven  Ut 
Cóntra  la  nosta  fede  e  ^1  vost  ream;  . 
Comande ,  che  da  mi  sari  servit  ; 
Mettim  in  ogni  post ,  o  bón,  o  gram , 
Mettim  in  ogni  log,  o  bel,  o  brùU , 
Mettim  a  lessi  e  a  ròst;  furò  del  tùtt. 

Olter  lè  na  la  dis;  el  re  respònd  : 

0  zóvena  valenta  ,  là  se  sa  » 

eh'  in  tuU  TAsia ,  anzi  per  tot  el  mood 
La  vosta  fama ,  e  '1  vost  onór  aen  va  ; 
Adèss,  che  in  sto  duèl  v"*  ò  per  segónd , 
No  me  resta  pu  nién  da  dubita; 
Fu  speri  in  vii  per  me  sooórs,  che  quand 
Vegnéss  ben  anc  coi  Paladén  Orlànd« 

Za  me  par,  elie  Goffrid  sia  òn  Menasira 
A  vegnim  a  trova,  com'el  menana; 
Se  V*  ò  mò  da  impiega ,  n'  al  sia  mai  vira , 
Che  na  ve  daga  a  vù  la  prima  piana  ; 
A  fàu  mia  generala  el  ciél  m*  ispira  ; 
Comande  va ,  quel  che  veri  che  Ima! 
Insi  '1  diseva,  e  lè  con  volt  amig 
A  la  ringrazia,  e  pò  la  toma  a dìg: 

Che  prima  de  servi  vobba  'I  salari , 
Diri ,  che  V  è  na  mezza  impertinenza  ; 
Ma  a  cùnt  del  soldo  me  saraven  cari 
Quei  ladri ,  e  i  clami  alla  reàl  clemenza  ; 

1  clami  in  dòn;  e  pur,  s'el  laU  rè  vari. 
No  se  pòi  minga  dog  quota  sentenza  ; 

Ma  tasi  quest,  e  tasi  ogni  segnìd , 

Che  me  fa  cred,  che  ne  i  àn  fatt  sto  mal. 

Dirò  noma,  che ,  se  ognun  cred  e  zùra  , 
Che  sia  »l  pòpol  Cristian  eh'  abU  iatt  tant. 
Mi  son  d' iimòr  contrari,  e  son  sicura. 
Per  na  resòn  pu  fort  e  pu  calzànt  ; 
Che  vii  n'  abblè  fai  mal  ò  gran  pagura 
A  fa  quel  che  ve  diss'  el  negromàni  ; 
Che  na  sta  ben  V  ave  nele  moschèe 
Noste  i  idoi  dei  oltri,  e  nòve  dèe. 

Donca ,  se  r  àm  da  dì  conforme  a  1*  e , 
El  miràcol  l'è  stài  de  Macomètt, 
E  l' avrà  fai  an'  lii ,  per  fan  vede , 
Ch'ai  loghi  so  bugna  portàg  rospètt  ; 


\ 


MALBin  LOnAEDl.  44 1 

Cb'  el  faua  donea  Ismèn  el  so  meste , 
eh'  el  fa  i  incanii ,  ma  n'  al  mostra  'I  pett  ; 
Piost  meste  Tè  eòo  I  arme  fass  onór , 
B  num  àm  da  fa  panza  sul  valor. 

Insì  la  dis;  e  ^  re,  eh' a  cómpassión 
Inevida  el  se  plga ,  e  eón  desgust 
Al  se  lassa  però  mett  In  resón , 
Pari  da  quelle  preghere  e  part  dal  giust  ; 
I  lìberi  da  mort  e  da  presón, 
El  dis,  perché  si  vù ,  vói  dàu  sto  gust  ; 
I  asaolTi,  o  i  doni ,  e  i  liberi  in  sta  guisa, 
I  àbbiea  o  netta»  o  brutta  la  camisa. 

Cosi  i  a  deslighén,  e  venturàt 
Fii  ben,  a  dita  giusta ,  Olind  ardii  , 
Ch^  el  podè  là  finezie,  e  col  so  stai 
On  nòbil  cor ,  ma  dur ,  Vk  intenerii  ; 
Cosi  da  morie  a  vita  a  T  è  passai, 
E  r  è  za  spós ,  non  che  morós  gradii  ; 
El  vóss  morì  con  le,  e  adèss ,  che  pu 
A  n^  al  mór  lu  con  le ,  le  viu  con  lu. 

1800.  Memoriale  di  Carlo  Codazzi,  per  avere  in  dono  un  gatto. 


Cara  sùra  Marianén , 
Già  che  vedi  che  la  gh'  à 
Ona  gatta  e  du  gaitén, 
Che  spasseggia  per  la  cà, 
Se  quaidùn  na  vói  dà  vìa , 
^''ò  besògn  vùn  per  cà  mia. 

Ma  siccome  i  m^  àn  cùntàt , 
Che  quel  póni  de  dà  via  gatti 
L'è  per  le  ón  aCTàr  de  Stai , 
Che  ghe  vói  sùppliche  e  patti , 
Che  presenti  el  Memoriàl 
Che  la  preghi  esaminai. 

Ghe  prometti  d' òm  d^  onór  , 
Che  a  quel  gatt  che  la  me  dona 
Gh'  avaràn  in  cà  l' amor 
Che  gh^  à  adèss  la  sóa  padróna  ; 
Che  de  cùni  el  tegnaràn 
Pù  eh'  el  bè  de  san  Giovàn. 
Comenzànd  ,  a  la  matina 
Ghe  darèm  de  colazión 
0 1  caffè ,  0  la  polentina , 
0 1  sùppén  cól  fórmàj  bón  ; 
^  sarà  al  disnà ,  e  a  zena 
U  scidela  sèmper  piena.   • 


Preparai  gh'  ò  ón  leti  polit 
In  cùsina  per  la  noti , 
Che  de  penne  r  è  imbottii 
De  capón  e  d^  anedòtt , 
Perché  el  possa  fag  la  fopa , 
E  sta  cald  come  na  topa. 

Che  la  gh^  abbia  no  pagura. 
Che  ghe  dàghen  pò  de  gross; 
Che  per  mi  la  fo  sicura , 
De  ciapàl  de  spess  in  scoss , 
Carezzai ,  UÀ  cónr  adrè , 
Tal  e  qual  che  la  fa  lo. 

Ghe  prometti  e  fo  reguàrd 
De  iasè^  d' avèg  pazienza , 
S^'el  robàss  quài  toc  de  lard, 
Quai  polpetta  in  la  cardenza  ; 
Ghe  sarà  proibizión 
De  pezzade  e  scopazzón. 

In  persona  a  f^  rappòrt 
Vegnarò  na  volta  al  mes , 
Se  r  è  viu ,  0  se  r  è  mori , 
S' el  vèn  bel ,  s' el  cress  de  pes , 
S' el  sia  in  cà ,  0  s'ia  tovaja 
Per  i  tecci  a  la  la  sija. 


IM 


PkVft  PMSA 


Per  r  inflùss  deta  contrada 
Me  figuri ,  che  sto  gatt 
El  farà  quài  bardassada  ; 
EI  (ara  fors'  aoca  el  matt; 
Sant'Aotoni  !  figuràss  1 
Là  de  savi  gh^  en  poi  nass  ? 

E  per  quest  on  cert  pensér 
Me  ravana  in  del  cervèl  ; 
E  son  quasi  de  parer 


De  eianiàl  el  maiUarèl  ; 
Che  sto  nom  el  spiega  ben , 
La  capisa?  de  dove  el  ven. 
Se  la  gh^  à  gnente  da  di. 
De  gióntàgy  o  de  tò  vìa , 
Che  la  disa  dono  de  sì , 
Che  mi  M  gati  el  porti  via , 
Elngraziàndola  de  cor 
Intratànt  del  so  favor. 


I  due  sonetti  segaeati  ^ono  di  Gio.  Batista  Fugazza,  chini 
maggiore  dell'Ospitale  di  Lodi,  ed  autore  di  molte  poesie  ano 
inèdite. 

//  Poeta  paragona  sé  stesso  a  S.  Gwqohhì  Batista. 

Predlcheva  al  desèrt  san  Gioàn  Batista , 
E  anca  mi  cole  done  ò  fai  l' istèss  ; 
Fra  tati  i  sant  l' è  mess  in  cap  de  Usta, 
El  saréss  anca  mi,  se  ghe  n^avéss; 

Là  el  leggeva  in  del  cor  a  prima  vista , 
GogDOssi  an^  mi  i  cojón  del  me  paés  ; 
Per  na  dona  Tà  fai  figura  trista, 
E  mi  r  ò  fai  almén  per  ^-ot  o  des. 

La  el  batteseva  in  riva  del  Giordàu , 
E  ne  gh*  era  per  lu  mai  dì  de  festa, 
Battesi  an'mi,  lavori  come  ón  cani 

A  lù  perfén  i  gh'  àn  tajàt  la  testa , 
A  mi  pò ,  speri ,  che  m"*  la  lassarim .... 
Pùcciasca,  ijut!  ghe  calaràn  an^  questa! 

Contro  un  cattivo  poeta. 

Qappèl  su  in  brai,  tirèghe  giò  i  calaón, 
Alzèg  su  la  boUetU,  e  fèl  setta 
Su  una  pigna  de  rùsche  de  melón , 
Che  quest  a  T  è  M  Pamàs  che  a  là  ghe  va. 

Quattègbe  el  co  de  foje  de  zuccòn , 
Che  sta  verdàra  a  là  la  se  confà; 
E  per  cetra  al  poeta  ciólattón 
Deghe  in  man  el  braghe  de  nonobà. 

Fé  pò,  che  i  biricchìn  i  vègnen  vìa 
Con  càccàmeri  marzi,  ungin  de  bò , 
Pettazz  de  zucca  e  ogni  altra  porcaria  ; 

F^hii  tra  in  del  móstàzz,  e  vose  :  >iò, 
E  disighe  :  A  infama  ta  poesia 
Atnm  rnazéng  ghe  (ómartt  anmò  ? 


MAURTI  UNttAaiH.  145 

i%M.  Poesie  di  Gioseppe  Ribolli. 

In  moriM  di  Dmma  Elma  Crùdohni 
moglie  delFaowoato  Giuseppe  Fisamii  amko  delf  autore. 

Sunra* 

Se  M  tris!  pensi  gh^avéss  de  rArelén, 
Disaréssi  de  quel  che  sta  ben  no  ; 
Perfén  la  tacaréss ...  ma  P  è  destén  ! 
E  col  destén  mia  propri  sbassa  1  co  ; 
Qaand  che  lassa  gh^è  scritt:  ineò  Pi  fora, 
V  è  inùtil ,  la  se  passa  mlga  fora. 

Lìber  essènd  però  '1  pensa  de  ròm 
(E  qoest  Pò  vist  mi  scritta  ién  miga  lappe. 
Sa  la  lege  de  Dio,  né  so  in  che  tòm), 
A  còst  de  ftm  brasa  6n  brls  pu  le  ciappe, 
Vói  dila,  che  Té  chi  che  la  mMngossa: 
Signor,  cossa  avi  Al?  LM  (al  pur  grossa! 

Pòvera  dona  Lena  !  Perché  mal 
A  mei  dola  sòa  vita  l'avi  tÒi? 
Perché  giòvena  e  spòsa  Pavi  fai 
Tant  brava,  e  rara  màder  de  nòv  fiòi? 
E  perchè  ghe  Pi  tolta  sul  pu  mèi, 
LassàndiJ  cole  man  in  di  cavèi? 

Podevo  pur....  ma  no:  ve  clami  scusa, 
O  Signor,  s*ò  passat  voltra  i  conién; 
L'è  quest  ón  pari  cas  de  quela  busa, 
E  de  quelPàngiol  de  sanrAgostén; 
Si,  sì:  perché  Pi  tolta  d  savi  vu! 
Sul  perché  mi  la  pianti,  e  parli  pu. 

Miga  però  a  nega  me  sentirò. 
Che  possa  decanta  le  sòe  virtù; 
E,  se  Pé  morta  le,  che  viva  anmò 
La  memoria  de  quel  che  on  di  la  fu  ; 
Musa  de  Lod,  te  preghi,  dam  la  lena 
De  scriv  e  vita  e  mort  de  dona  Lena. 

In  Lod ,  e  in  fén  del  sécol  chi  passàt 
Da  bon  pàder  e  màder  Pè  nassnda; 
Da  fiòla  dei  bon  segni  n'à  pur  dat, 
E  dei  pu  mèi  n'à  dat  dopo  cressuida; 
Braviira,  co,  prudenza,  spirlt,  flemma, 
Dona  Lena  la  gh^éva  tùtt  insomma. 

i3 


144  Pàxn  PUMA. 

Bell'asta,  ógi  parlanti  e  eavéi  aégker 
La  gh^  aveva  Tistèss  come  ón  velài; 
Brunetta  ti,  ma  d^dn  mottài  alèglter, 
Miga  de  sto  gran  bel;  ma  bela  In  tut; 
Jcren  tute  de  lè  grazia  e  manera. 
Bona  de  cor,  e  ghe  T aveva  in  cera. 

Ai  primi  tic  e  toc  de  quel  flolètt 
Che  tenta  e  mett  sott-sora  tùtt  el  mond, 
Da  franca  dona  Lena  dar  e  nètt 
Al  sfazzadèi  la  gh'à  savùt  rispóod, 
Disèndeg:  Nel  me  cor  se  ò  da  fiat  sit , 
Vói  miga  dei  glngén;  dame  ón  marit! 

E,  o  ti  ben  fortùnàt,  che  te  sé  stài 
L'ùnic,  Viscónt,  che  al  cor  te  gh'è  fai  plaga; 
E  se  per  lè  del  sospira  t^è  tìd. 
Col  tóla  infén  a  te  gh'è  avfi  la  paga; 
Perché,  se  fra  de  mila  e  pu  mójé 
La  bravissima  ghiera,  Tera  le. 

Se  qualcun  ghe  fuss  stài,  che  pur  ghe  n'ò. 
Che  tenta  in  dele  cà  de  mett  el  morbo. 
La  feva  el  sórd,  e  se  quaicòss  an^  lè 
Caso  mai  Tavèss  vist,  la  feva  Porbo; 
Quel  che  a  Tom  gh'era  car  lè  tùtt  la  feva; 
Pù  per  ròm,  che  per  lè,  lè  la  viveva. 

Per  quei  so  cari  fiói,  Gesùs  Maria! 
La  se  saréss  perfén  cazzada  In  tocchi; 
A  di  pu  pòc  faressi  la  bosia. 
In  pónt  de  cà,  la  feva  andà  coi  fiocchi; 
A  flnila,  e  di  tutt:  a  l'era  rara! 
0  mort,  o  mori,  te  sé  stài  trop  avara! 

Ma  rè  mond!  De  contenti  per  ón  pò 
S^en  trova,  e  per  ón  pezz  miga  ghe  n'è: 
Sente,  o  lettor,  che  briitt  passai  chi  fo, 
Dala  vita  ala  mort  passi  de  lè  ! 
On  sospir,  óna  làgrima,  se  dur 
Come  ón  sass  no  te  sé,  ghe  rè  sieùr. 

In  quindes  ani  e  ón  terz  Vk  fai  dés  fiói; 
Nóf  san,  bei 9  de  vegnùda  e  de  talènt, 
Vun  sol,  né  so  in  che  temp,  a  ghe  n'à  tói 
La  mort;  ma  in  dés  tón  viin  Tè  poc  o  niént; 
E  dal  penùltim  pàrt  a  sto  pàrt  chi. 
Cine' anni  senza  fan  l'era  stài  lì. 


\ 


DIAUm  UHDAftDI.  Ift5 

Poverina!  pariiMi,  eh'el  «ò  eér 
El  ghe  disèss:  in  cfueét  t'ò  da  mori; 
La  gh'éva  pù  quel  so  graa  M  nmir^ 
La  sosplreva  sèmper  noti  e  di» 
Figùràndes  denàin  Pultiaa  tèa 
De  la  mójé  de  so  fradèl  OeoeliéB. 

Por  ttnettnty  per  graiia  de  rAltìsaiB, 
Ai  venilsés  de  sto  Ubnt  VkBA, 
Oh!  che  bela  floUna!  e  pò  beaissliii 
Le  pù  care  sperarne  la  n^  à  did. 
Fina  ai  cine  di  benón  se  fa  passada, 
E  pò  nei  sés  rà  dat  óna  Toltada. 

Nei  seti,  nei  volt  l'è  stai ,  né  si,  ne  no. 
In  pericol;  nei  nóf  l'à  peiòràt; 
A  sègn,  ch^el  scior  dotòr,  soortènd  d  eò, 
Sikbet  i  sacramenti  el  gh'à  ordlnàt. 
Chi  dal  prèt,  chi  de  li,  de  là  Corriva; 
Che  a  piani,  che  a  sospira  ne  se  sealiva. 

Don  Pepo  pò...  sì,  poverénf  A  vèdel 
L'avaréss  miss  ai  sassi  eoaqpassiÒQ; 
A  dil,  e  vèdel  no,  se  pòi  no  crédei! 
L'era  li  li  per  dass  a  perdislòn; 
E  mi ... .  e  mi,  ne  Tatt  ch^el  eonforlevi , 
Fasèndeg  cor,  squas  piti  de  lu  pioieri. 

Quand  s'è  sentìt  el  mormora  lontàn 
De  le  vós  dei  devoti  che  vegnèven , 
E  tramezz  quei  dlen  dlen,  de  man  in  man, 
Del  campanén,  che  al  cor  frè^  I  mettèvea. 
Vegnudi  in  córt,  a  pian!  gh^èm  dil,  e  al  lètt 
Ne  n'èm  lassai  vegnì  che  sés  o  sett. 

A  vèdela  a  ricév  Dio  per  ria  tic. 
Con  tuta  quela  santa  eòmpònziòn. 
L'era  na  roba  de  resta  la  estàlic; 
Pò,  de  destàss  nel  planz  per  còmpassiòn; 
Con  giònt  le  man,  eòi  ògi  alsadl  in  sa , 
H'è  pars  che  la  diséss:  Signor,  fé  w! 

Bela  rassegnaziòn  !  Se  ò  da  «ort> 
Pazienza!  In  fiaca  vòs  dopo  Pè  dlt; 
La  assira  santa  man.  Signor,  iegni 
In  siii  me  cari  fiói^iii  me  mmit; 
Quest  V  è  V  urne  confòrt,  neghèmel  no  ! 
Dèmel,  Signor^  che  dop  contenta  a  vò  ! 


!%•  PARTE  ninu. 

Da  meza  moribonda  rè  stài  li , 
Lassànden  nel  sperà,  nel  disperà, 
Dop  del  viàtte,  squasi  quàter  dì; 
De  questi  In  viin ,  sebèn  eoa  del  da-fà. 
L'à  prononiiàt  sfe  do  parole  anmò: 
yói  9ède  me  marit;  mgkimeino! 

Sfil  siy  sol.no  Sem  stai  li  ón  bris;  se.oór 
Là  pò  da  lu,  cbe  Tera  squas  che  le 
Morìbònd  de  passión,  e  ghe  fèm  cor. 
Andèm,  andèml  Lù  Tè  levàt  in  pè^ 
E  li,  quasi  porlàt  da  ses  o  selt. 
Ècco!,  tei  là!  da  la  sóa  part  del  leU. 

Letór,  guàrdeg  al  cor,  e  miga  al  ógi; 
Te  vedarè  che  làgrime  ghe  gronda  ! 
Guàrdel  là  miss  in  tera  in  sol  lenógi 
A  fàg  le  scuse;  e  le,  da  moribonda 
A  dighe:  I  fiùil...  mi  morire  U te re$UI 
0  Dio,  0  Dio!  Signor,  che  passi  lén  questi! 

Lù  rem  tòi  via,  che  pù  el  podeva  ré^; 
El  pur  respir  a  le  ghiera  restàt, 
E,  sèmper  s&via  là,  de  mal  in  pej. 
Ai  dés  de  marz,  apena  el  di  spontàt. 
Senza  squas  pu  speranza,  le  rà  dai 
D'óna  sicura  mort  tot!  i  segnai. 

Gòmit,  sangót,  la  làgrima  e  lusenta 
Le  la  gh"* aveva  del  mostàz  la  peli; 
E  Pans  de  man  in  man  al  se  ghe  lenta. 
A  le  dés  ore  gh'era  za  el  carèll; 
Sónen  i  botti,  e  del  so  lett  ai  pè, 
E  piansènd  e  pregànd  stèvem  per  le. 

E  mentre  proferiva  el  Reverendo 
Don  Luigi  queir  ultlm  CiiMwìa, 
E  Vin  manus'imu,  DòmiM,  commendo... 
Si ,  dona  Lma^  «t . . .  Gent  e  Maria, 
Le,  trand  la  bóca  in  sbièss,  e  òn  pioool  sghìi, 
L^'è  morta;  ahi!  vegni  frèj  anmò* nel  dil. 

Alter  che  pianti  e  che  desolaziòn 
Se  sentiva,  e  sott  vós  a  di:  Té  andai! 
Ve  disi  niente  in  che  disperaziòn 
A  sta  nova  Don  Pepo  Pera  mai! 
Letòr,  tei  pòdi  figura  chi  ti; 
Vita  e  mort  de  le  ò  scritt,  mi  lassi  li! 


DUUMTI  UMIBARDf. 


ì%7 


Per  nozze  di  Gwnondo  AlberUnieon  Luigia  Franchini. 


Od  pezz  là  te  mei  disevi, 
Che  sposala  te  vorevi 
La  Luisa,  e  n'el  credevi. 
Il  perchè  vòt  che  tei  diga? 
Me  pensevl  propri  miga.. 
Che  t'avésset  de  sta  in  riga. 

VI  però  con  gran  piasè 
Senti  adèss,  che  te  la  fé 
Dop-domàn  jier  tòa  mòjè. 

"Te  fé  ben,  Glsmónd,  a  t6la! 
L'è  na  b^na,  bòna  Héla, 
E  che  spuixa  niént  de  ciobu 

I«'è  belina  a  me»  a  meiz; 

Ma  el  trop  bel,  Glsmónd,  rè  pes; 
Mal  sicur  V  è  U  piati  de  meu. 

Verna  cà,  tei  disimi, 
Es'eldisi,  tei  póss  di. 
Da  perle  la  fa  per  tri; 


Le'sóé  maa  san  A  del  tutt, 
U  sa  fti  gràliès'e'l  brutt. 
Parla  in  létop,  e  in  temp  fa  'I  mQt; 

A  flnila,  e  dita  darà, 
L*è  na  fldU  ilngolara, 
E  che  a  tanti  sarése  cara! 

Se  sta  perla  rè  per  ti, 
Tag  de  cor  a  di  quel  si, 
Che  a  sentii  ghe  v^gni  an  mi. 

Dòpo  pò  tòà  cClra  sfa. 
De  fèg  bòna  carapagnia, 
E  A  no  da  testa-via; 

Ctopa  co  d'ÒB  de  giodiii; 
Hettde  pai4  òn  qoai  caprili; 
Schiva  Poli  e  certi  vizi; 

Senaa  stiiia  e  senaa  fel. 
Fa  tuttcòss,  e  va  bel*bel; 
Mi  te  parli  da  fradèl. 


Pò,  regòrdet,  0  Glsmónd, 
Che,  per  gode  ón  pezz  sto  mónd, 
Mia  cercigbe  mlga  el  fónd  ! 


Sestine 

in  morìe  della  eignora  marchesa  Sofia  Sonmariva 

nata  Seghizzi. 

Vittoria,  portinaia  della  Cau  Soflunarita,  racoonla  al  marchese  Bntflio  suo  padrone 
i^Tiskmeda  lei  aToUnelh  notte  del  sa  anno  iSta,  gionio la  cai  la  marchesa 

Stringàt  el  cor,  gh^evi  ón  pugn  d^  ógi  e  ón  gróp 
A  la  gola;  dà  tóm  quasi  el  resoit, 
E  con  la  Hort  danada  cóme  ón  tsóp 
Mi  seri  injér  da  sira,  per  quelUr 
Che  rè  fatt  inànz  temp,  a  portàm  vìa 
La  me  padróna  e  sóa  mójé,  Sofia; 

Quand,  dop  la  mezanòtt,  intèrs  de  ròra, 
Senza  pQ  forze  In  corp,  per  la  passión , 
Coi  pagnl  a  mezz  a  mezz  cavàdf  fora, 
A  me  son  trai  s&l  lett  a  traversòn; 
Ai  brazzi  in  eros  gh'ò  mettut  sora  el  co, 
Savènd  scjiias  p&,  -^  fOdéss  viti ,  -  »  no. 


4%8  Pàxn  noma. 

Nel  barlam  dei  pensér  che  me  vegneva 
Però  de  trall  in  Irati  a  ne  pwriva 
D^avèU  anmo  li  inani,  che  la  me  feva 
L^ùltim  parla  dM  la  »'à  fai  da  viva, 
DiaèBd:  PriwM  ée  Dio,  dopo  de  ti. 
Pò  de  Sofie  regòrdit  tHU  i  di! 

Dop  qnest.  Inani  a  m^è  vegnùt  d  qnàder 
De  r  ultime  óre  de  la  so  angonia; 
Ghe  diaèven  i  fiòl:  ahi  cara  màder! 
Lu,  pòver  slór  marchés:  cara  Sofia! 
Spirit!  E  Ih,  $i,  si ,  la  respondeva^ 
Basànd  quel  Crist,  che  strett  in  man  la  gh^eva, 

Sqvaai  tà  Crisi  ghe  déss  fiat;  pò  in  haaaa  vóa 
8te  parole  che  chi  Vk  dit  anno, 
Dal  sangòi  sollégade  e  da  la  ios: 
O  EndU!  0  fi&i!  0  cor!  o  cari,  a  vò; 
Smperneleórf  tèmpor  denànz  pe  aia... 
Chi  Vk  tasod,  e  l'è  spirada  via. 

Tutt  che  in  vision,  in  qnel  moment  provevi 
On  gran  dolor ,  nei  vèdela  a  spira; 
El  cor  slraisàd  de  tal  manera  a  gh'evi. 
Che  s'eri  rulilm  hòf  an^  mi  per  tra; 
Quand  che  me  senti  vun  come  a  scorlim , 
E  pò  na  vòs:  cordj»  ipirit!  a  dim. 

El  co  levànd,  òn  òm  li  insi  me  vedi, 
E  vosi  a  punepòss:  Genu  Maria! 
La  '1  me  prevègn,  disènd:  E  che  te  credi? 
Fbn,  che  ón  botasi,  én  malfatór  mi  sia? 
Som  óm  amti/  Con  sta  parola  el  m'anima; 
Lu:  son  FOgazza;  e  mi:  et  doler  bon'àmiwsa? 

Si, propri  quetj  de  lù  pò,  siòr  marchés, 
Ciamànd,  el  me  vegn  fora  a  dim:  do9*èlì 
Che  se  Ve  in  teU,  tàiseghetpir^  ch'è  istèu; 
A  ti.  Vittoria^  tepossditutt  quei 
Ch'ó  de  dig  dola  quòndam maretoina. 
Col  patt  de  rifarighel  domatimi 

Prima  de  mi  però  mia  che  te  disa, 
Che^  dop  quatr*ani  e  pu  de  fóg  ardènt. 
Da  conzàm  brOsaiàt  in  mata  guisa, 
Per  9ia  d^  intereessión  «fon  me  paréni, 
Et  me  ziomanegiàn  de  Voratori, 
Son  rieeitàr  de  poriù  al  purgatori; 


mkVBm  uNnARDi.  140 

/#  porla  Europa  ^  eri  de  speztón 
Jer  a  9e  ^pÈàlmr  dopo  M  meet^di . 
E  insi  come  mfàsper  ^tei  Hredon 
Oie  gh*è  in  féùia  fuahiànà^  ndi  et  vtfgnA 
Vuna  de  ffOMiìbae^  uomini  eiXmtà^ 
Squois  n»  «  pmày  ma  Is  pe^néee  a  f^Éa. 

Aprèts  de  U  a  hen  poc  le  la  me  riva; 
Le  la  guardeva  mi,  mi  la  guardevi; 
Èia!  non  èia?,,,  si:  la  Sommariva! 
PÒI  jèss  che  fola. ..  aPiz  trami  diievi; 
Lì  in  quela  ee  cónóssem  HUi  dH, 
Senza  podè  parla,  te  bràzzem  sii. 

Chi  ne  so  miga  diiiOU  el  trmpàrt 
Che  gh'èm  wui;  asOyChedop  ctmlòl 
TSU  qtteil  che  n'è  success  dop  la  mia  mori. 
La  sóà  sentenza  in  man  ti  tà  m'à  dai. 
Mi  gh'ò  mettai  et  Hst,  e  gh'ò  fai  scorta 
dnquantm  pa9si  e  pA  deni  da  la  porta. 

Qu&l^atti  d'impazienza  da  pUtgà 
la  flfft'cvOf  elfelH  d'én  simoèr  mrnàr; 
Ménkr  per  qualche  tradizión  se  gh*à. 
Che,  quand  a  Ve  statòm,  anca'l  Signor 
L'è  pegnùt  verd  come  ón  peston  de  veder  ^ 
A  la  voltada  che  gh'à  dai  san  Péder. 

Fcit  ère  dop  (quest  l'era  *l  Urmen  flss 
J  Ueóe  fime)  fera  Ve  tomaia; 
Dai  Angioli  li  pronti^  al  paradis , 
Sqmm  de  V  Assunta  istiss^  l'è  stài  por  loda, 
Presnid§iàónL..E  ohi,  dopo  arem  dit: 
yitloria,  addio!  Fogana  el  m*è  spuri t 

Cara  vision!  fùdèsseC,  Dio  voréss? 
In  scambi  de  vision  la  verità  ! 
Si,  che  la  sia,  sperèmd,  siór  marchés. 
Mentre,  póss  dil,  che  ne  ghe  ne  sarà 
Dona  pù  brava,  e  pù  dabèn  de  iè. 
Tuta  Dio,  tuta  màder  e  mojé! 

Sonetto  contro  i  catUoi  poeti. 

La  tém  al  dì  d^incò  gh'àn  I  nowén , 
E  tón  se  dan  e  Ilaria  de  cantànl; 
Cérchen  i  gri  de  fa  la  s&mniia  a  Dant; 
De  fa  da  prfm  In  sai  Pamàss  i  «snéii. 


i50  PAftfl  PMflA. 

Ma  se  ne  aooòi^geB  nò  sii  poverén. 
Che  chi  nass  oaa  Inèr*  oan.»  «  iii«f  flgèBi? 
E  che,  per  qmnt  te^òneOy.tanelànt 
Sèmper  sarìui  amétty  OMMaén,  grillénl 

Con  qnest  y/(A  di,  che  I  naMen  i  poeU> 
E  a  i&l  chi  è  no  eianàt  da  la  nalira. 
Fa  irop,  se  al  quarto  el  riva  de  la  meta. 

Quand'èsfer  naturai  ne  gh^avi  no, 
Brùsè,  pivèly  la  penna  aderitura; 
Ciappèl,  quest  Tè  M  parer  che  mi  ve  dò. 


Le  sole  prodimoni  èdite  in  dialetto  eomasoo,  essendo  T  opù- 
scolo in  prosa  rustica  del  canònico  Gattoni,  e  le  poesie  per  vesti- 
zione monacale  della  signora  Francesca  Carli,. da  noi  indicate 
nella  Bibliografla,  ambedue  appartenenti  alla  seconda  metà  dello 
scorso  sècolo,  porgiamo  in  Saj^o  un  piccolo  brano  del  primo 
ed  un  sonetto  tratto  dalle  seomde,  avrerlendo,  che  questo  dia- 
letto, pel  frequente  commercio  colla  capitale,  va  tottogiomo  ac- 
costandosi al  linguaggio  volgare  della  medérima. 

jÌ  ol  Franzésc  Olive  ai  UUlrìstemi  so  sdor  patron^  ec, 

Gh'a  domandi  sciisa,  so  anca  a  scrif  a  lor  sdori  Itetrìssemi  dopri  a  ol 
linguàio,  che  s^a  sèrvom  nun  aeigoiàt  che  lavora  la  fera  in  di  Corpsanti. 
Qutj  poc  paròl  polii  che  m^éran  Insegna  a  scola  ol  pret  Braga,  ol  curai 
vet  de  san  Martin,  adèss  no  so  piii  ona  strasela..CoaieDil  a  rapresentòg, 
che  son  pien  de  dlsgilsi  e  de  dolor,  perché,  la  maggior  pari  de  lor  sdori 
lusirissemi  m^àn  leva  quda  protexiòn,  che  con  tanta,  carità  àn  sempro 
irata  a  ol  me  pàdar  e  mi,  par  squasi  cinquanVan;  ec.  ec  ec. 

Sonetto  per  Mànaca. 

m 

In  del  so  stai  ogniin  se  può  salva; 
L'è  minga  necessari  andàss  a  scònd 
Tra  quairo  mùr;  in  Ciél  per  tu((  gh^è  cà; 
Basta  portàss  da  ben;  ma  quest  rè  ''1  póni! 

£1  póni  rè  quest,  de  regordàss  d^arà. 
Come  la  geni  da  ben.àren  al  mònd; 
E  quest  rè  fA  prim  boitòn  da  no  CÙà. 
Chi  fila  d  prim  boltàn,  f^a  e^  segéod. 


DIAUEin  UMOUEDi.  4Ki 

El  póni  rè,  regordaM,  che  so  s'può  viv, 
E  se  fa  magri  i  ven  e  eativ  tpéa 
Dove  gh^è  del  paltàn,  e  ari  cativ; 

E  regordàaa,  che  de  ciiiqeènt  sdrés 
Càschen  la  magftór  pari,  quaad  in  fiorìv, 
E  rè  Olì  miràool,  s^en  madura  dèa. 

O  toaàn,  iv  inlis? 
Se  al  ve  strangola  el  fià  a  sta  sarà  su, 
Stè  fó,  are  drla,  ve  aalvarì  anca  vu. 

Dialetti  Orientali. 


Tra  i  più  antichi  monumeiiti  èditi  di  questo  dialetto  che  ci 
Tenne  fiitto  rinvenire,  distìnguonsi  alcune  poesie  di  Giovanni 
ftressani,  inserite  nell'opera  da  noi . mentovata  col  titolò:  7\i- 
nmli,  tum  laiinaf  lum  etnuca^  ium  bergomea  lingua  compositi. 
Sebbene  privi  di  mèrito  poètico,  pure,  in  Saggio  dell'antico  dia- 
letto, abbiamo  scelto  i  due  componimenti  che  seguono,  appar- 
tenenti alla  prima  metà  del  sècolo  XVI. 

Epilafio  di  Francesco  Petrarca. 

Al  fó  sotràt  chilo  'n  sto  muiimét 
Quel  chi  fé  per  amor  taft  hel  soné^ , 
E  chi  sentiva  a  meza  stat  ol  fréj, 
£1  cold  al  tép  ch^ol  nas  gota  a  la  zét; 

E  chi  da  lonz  brasava,  e  da  redét 
daziava  y  ol  volt  vedièd,  la  gola  e  1  pé^ 
De  quela  csi  stinada,  chi  n'avéj^ 
Ma^  compassiù  per  fai  impò  contét. 

Ivi  pensàt  d"*  volìl  a^  mi  loda, 
E  faga  con  sti  vers  impò  d^onór; 
Ma  veg,  ch^a  i  è  piatòst  da  fa  grignà; 

Iesi  ch^a  vqi  lagà  sta^mprisa  a  clór 
Chi  se  delecta  sno  parler  zentilo. 
Che  qnest  lenguèt  non  è  cosi  sutiio. 

Conlro  un  maUioente. 

Gh^à  àgher  in  bocca  no  pò  spudà  dolz; 
A  s^sul  di  per  proverbi; 
E*chl  spi  8omna/no  f  vaghi  deseòlz; 
fliediè«ki  dia  pait>U  strani  e  «erlM, 


iBt  PkKTE  PtnA. 

E  chi  inguri  quac  mal , 

Mostra  quel  étCÈ^M  dèt, 

E  spess  fa  gni  talét 

Ai  óter  d^desladm  ol  barbouàl. 

Per  mi  no  àveg  per  mal 

Di  paroU  d'alsira  pieni  d' lèi. 

Perché  a  s'dis^  che  ra|  d'àsen  no  va  in  celi 

1600.  Per  mancanza  di  miglior  modello,  porgiamo  in  Sagi 
del  dialetto  bergamasco,  in  sul  principio  del  XVII  sècolo,  un  bn 
dell'opùscolo  anònimo  intitolato:  yita  e  costùm  de  Memr  1 
Tripii. 

Astròloghi  la  no}»  e  scrif  ol  di 
Le  fantesì]  che  mMntra  In  do!  oervèl, 
E  m^ò  pensàt  de  Av  un  pò  vedi 
(E  chi  no  VÓI  vedi  vaga  al  bordèl) 
La  vita  d^un  valente  paladì. 
Dm  chi  à  cercàt  el  mond,  e  chi  a  cervèl, 
El  qual  el  si  domanda  Zan  Tripù, 
Cb^aràf  mangi&t  na  vacca  in  fùn  boccù. 

Costu  fu  un  sitadi  tat  generòs; 
Chi  '1  clama  da  Comàf,  chi  da  Mila, 
Chi  dis  che  V  è  nassut  fó  d' una  nós, 
E  chi  gh**  dis  Bergamàsc,  chi  Venessià; 
Diga  che  voja,  ch^el  fu  un  òm  braòs. 
Mi  ^1  credi  da  Cremona,  ovir  Bressà, 
Che  dapò  past  Pavia  csi  per  iisassa 
De  mangia  un  àsen,  per  impiss  la  passa. 

Zan  Tripù  Pera  un  òm  de  quei  ricàzz 
De  possessiù,  de  casi  e  de  danér; 
E  no  r  pensò,  ch^el  voléss  tuss  Pimpàzz 
De  andà  fò  a  cazza,  gnac  a  sparavér; 
Ma  lu  tendlva  a  impiss  ol  so  corpàzz, 
Dagànd  guadàgn  a  ini  i  tavemér  ; 
E  de  sto  mond  noi  vòss  ma*  òter  da  fa , 
Se  no  mangia  e  bif,  e  pò  chigà,  ec. 

1670.  A  quest'epoca  appartiene  la  versione  in  dialetto  rùsti 
bergamasco  della  Germalemme  liberata  del  Tasso,  òpera  i 
dottor  Carlo  Assònica.  Da  questa,  e  propriamente  dall' episod 


DIALRTf  UNUtARDI.  4W 

di  Olindo  e  Sofronia,  abbiamo  tratto,  per  Saggio,  le  seguenti 
stame: 

Al  gh'era  tra  de  lòr  seria  lovnaa 
I>e  desnàv  o  Yint  agn  fifiga  drét; 
Bela,  ma  che  de  «piest  no  gh^  pensa  straia; 
Savia,  che  mai  vardava  in  volt  la  set; 
A  bisigà  per  cà  sèmper  la  s' caza , 
E  la  gòggia  e  la  rocca  è  M  so  eontét; 
Gnè  mai  negu  la  ve  Iarde,  o  a  bon'ora. 
Parla  co  la  fomera,  o  la  sertora. 

Ma  no  Toceór  a  di,  no  Tè  sfazada, 
Gnè  s^  la  ve  sul  balcù,  gnè  per  i  strade, 
Ch'ù  pùtt  0  gh'a  tire  una  baleslrada. 
Al  despèt  di  fenestre  csé  serade; 
Ora  Amor  Tà  la  vista  imbarbijada. 
Ora  ch^a  la  trapoftsa  f  balconade; 
E  qoand  a  s^cré,  che  I  putte  sia  segure. 
Al  riadiccia  dal  bus  di  clavadùre. 

L^à  nòm  Sofronia,  e  OUndQ  è  sto  morós: 
CattòUc  tuU  dò,  tùt  dò  da  u  lue; 
Le  bela  féss,  e  lù  tal  vergognòs. 
Che  per  tasi  M  va  in  sénder  ol  so  fuc  ; 
No  Tolsa,  e  no  rà  cur,  rè  senza  vós; 
Questa  sen  grlgna,  o  no  la  s*corz  dol  zuc; 
A  sta  foza  sto  pòver  turlurù 
L^è  inamoràt  ch^al  mur;  ma  noma  lu. 

1770.  Il  Saggio  seguente  è  un  brano  del  Capitolpìim  contra 
I  SfÀrij  for§  di  don  Giuseppe  Rota. 

Costar  che  sfogia  ^I  nom  de  SpiriJ  For^, 

E  che  i  fa  al  di  d^anco  tata  fortiina, 

Hi  no  i  vói  lassa  sta  gnè  vif,  gnè  mor^; 
So  quat  a  i  pfsa,  e,  a  dlfle  seni  In  d^  una. 

Fora  de  quatei;  baje  e  u  bu  mostàss . 

In  del  resi  i  è  mlnciù,  come  la  luna. 
Ch'a  i  vegni  inà^  sii  autùr  che  fa  tat  class, 

SU  bnU  de  bergnif,  sii  Rodomón^, 

Balù  de  veni  de  scartesà  eoi  sass; 
Ch'  a  i  vegnl,  e  quel  che  sta  de  là  di  rnont» 

E  serti  bu  Italia  che  ghe  cor  drè. 

Come  la  bocla  al  dal,  tonf  e  blrónt. 


IW  Pkvn  PtraA. 

Fora  di  butlighét  e  dai  caffé 

Costar  elle  parla  a  ù  mod  de  Dio,  de^  Sai4, 

Che  propi  al  par  chM  li  abbia  fa|  coi  pè; 
Stampa  de  temerari  e  de  birbànf , 

Ch^al  par,  che  vojè  al  del  dà  la  tcalada 

Coi  Toste  alture,  eom^al  fé  i  GigaBl; 
Per  mostrai  quat  a  sìef  §ò  &*  caresada. 

No  gh^  voi  miga  ol  savi  de  SahMOÙ, 

Gnè  qoac  gran  testa  Una  e  trapanada; 
Basta  u  barlam  ch^a  s^gh^abbi  de  rasa. 

Basta  eh' un  òm  noi  sia  mail  de  Ugà; 

E  per  quest  m'aschl  a  di,  che  a^  mi  so  bu.  ec.  ec. 

1850.  Finalmente  dopo  una  lunga,  ma  pòvera  e  stentata  esi- 
stenza, la  poesia  bergamasca  venne  rislaurata  per  òpera  del  be- 
nemèrito scrittore  Pietro  Ruggeri  tuU'ora  vivente,  autore  d'un 
gran  nùmero  dì  poesie  di  vario  metro  e  stile.  Dalla  raccolta  deOe 
medésime  abbiamo  scelto  le  seguenti,  per  dare  un  Saggio  cosi 
del  moderno  dialetto,  come  della  perizia  dell'autore  nei  vari  gè- 
neri di  componimento. 

La  mort  d'i  vèé  wxxro. 

ÌJ  tal  Missér  Anione  de  montagna 
Pie  come  on  ov  de  solò  e  de  pecàd. 
Che  a  montunài,  per  fan  pò  ù  de  cocagna, 
L^a  fai  de  onge  per  sinquanta  gai. 
Passai  i  caméài  settantasètt. 
L'era  visi  al  momél  de  tra  sgarlètt. 

Vale  a  di,  che  ristava  mal  de  mor, 
E  che  in  vlrtiì^  no  so  de  qual  Beat, 
El  Siur  ol  gh'  ia  toccai  u  tanti  n  cor; 
Ma  sessanragn  noi  s'era  confessai; 
Onde  vedi  'n  quel  co  che  ingarbojù 
De  ladrarée,  d'iisure  e  Irasgressiu! 

El  fé  dama  U  curai  del  so  pais. 
Che  Fera  de  quei  òm  che  ghe  n'è  pòc, 
Miga  de  quei  ch'i  vend  ol  paradis. 
Che  sol  pecàé  di  slore  i  fa  de  ioc 
Per  ol  caffè»  per  ol  diane,  o  la  sena, 
Per  god  in  santa  pas  ta  Madalem 


DULItn  LOMBAEDI.  199 

La  Madalena,  sé:  eos^ài  eapit. 
Ch'i  resta  le  coiiè  seaiidaUxàè? 
I  faràv  miga  csé  sM  gli*aés  sit» 
Perchè  y  se  aUnàne  no  parie  oon  di  ma^. 
Per  Madalena  telende  la  boecala. 
Che  s'vèd  Indi  ostarée  la  pio  badlala. 

Dunque,  per  god  In  pas  la  IfMlalena 
Piena  de  i,  magare  d^  trentadù; 
né  no  ghe  tròe  nissona  roba  oscena 
ChM  diriv  lur,  de  fa  quel  sgnersigBà! 
I  scuse,  mal  ma  par  broU  naturai 
Quel  sobet  vardà  sblès  e  pensa  mal. 

In  somma  Pera  òn  òm  frane  comèdi  sol. 
Con  tat  de  cor  per  toé  de  fii  sgnanètl; 
Pacclòt,  alégher  come  ù  fra  d?  san  PoL, 
Stimàt  e  brao,  ma  dmel  come  u  s£ètt, 
D^agn  sol  dò  anta,  e  stat  come  IMo  51, 
Con  tote  I  protesslu  fò  del  baol. 

Ma  andèm  col  pret  al  lèè  del  morlbònd , 
Che,  dopo  conféssàt  in  quae  manera, 
El  dis  a  olta  us:  Dovrò  *ndà  in  fmd^ 
Se  no  iume  la  roba  de  chi  Vera? 
Padrù  de  $ento  e  paesa  mèla  tcuÒ, 
Do^nv  laisà  i  me  sèèè  che  nuè  e  cruèì 

—  No  gh*  dighe  d*  loMeài  nuè;  ma  de  paga  » 
De  comipen$à  chi  gh*  f^anea  e  i  danegiàc; 
Jnfi  vergota,  o  toni  ghe  reeiarà; 
Coti  r<tcAta  de  *ndà  zóin  di  danàS; 
Dis  ol  curàt:  o  la  resUtiusiù^ 
O  zò  a  V  inferno  eensa  remittiù  ! 

E'\  moribónd:  El  latte  s  che  u  moment 
En  foghe  almànc  parola  eoi  mi  tèòi;  . 
Che  vide  *l  tò(m  cor,  comi  i  la  tent;    , 
/  9igne  por  chilo  'ntùren  al  IH, 
E  Iucche  forte  a  cata  ergU  i  Patpeila^ 
El  PoflfAe,  el  twme  che  de  che  on*  ureita, 

El  tuma  a  cà  '1  curai  gnèc  e  intrognét ,   . 
Perché  rà  capii  bé,  che  quel  ladrù 
Óna  quac  balossada  1  vói  fa  dèi, 
Òna  quac  di  so  bune  transassiù. 
Col  guadagnaga  almànc  ol  seni  per  seni, 
E  negossiè,  s'el  poi,  al  Sacramént. 


Tra  lù  '1  disiai:  HMmàgiiie  i  célisèi 
ChM  ga  darà  quei  8Ò  tri  fiur  de  irlù; 
Balòss,  canàe,  i  par  tri  Agnos-Dei  ,^ 
E  se  i  podès»,  i  è  forse  pès  de  lu; 
I  mei  cassa  a  T  inferno  qnel  margnoc, 
S'el  Siùr  noi  la  té  sald  per  i  peloet 

Ma  lassèm  ol  curìit,  e  via  de  voi 
Tùrnem  al  lèé  de  Pavarà  dHel  sòr; 
Che  za  col  caronòt  diM  à  tolt  a  noi 
I  Taspeta  i  diàoi  con  tat  de  cor; 
Ch'el  clama  amò  i  so  séèé  tòt  ditperàt. 
Per  vi  d' dà  fb  tòt  quel  die  Tà  robàt. 

Col  co  bass  e  coi  òé  impetolàé 
De  làgrime  e  de  ì,  soé  bu  fidi. 
Sa  e  là  'ntùren  al  lèé  i  ve  quaé  quaè; 
E  lu  'I  ga  dis:  Me  $ièi,  gh*ò  un  imgaràèi 
De  fa9  sai ,  che  fors*  H  topri  za; 
Che  per  i  onge  me  no  m'pouaaM, 

El  salta  sd  U  magiàr:  Taia,  teff  « 
Che  m'fè  infwrmàé  xàtòidne  Ve  qu&e  agn; 
Per  me  dift,  fé  por  idi  quel  che  oU; 
Ma  no  tre  fò  i  fattóde  di  caieàgn; 
De  miga  scoli  ai  bùzzere  de  tòf, 
Per  lassàm  nu  pitòe  i  mez  ai  ptóè; 

Vedi ,  che  nu  m*  sé  tri^e  vu  siH! 
Biséièla^  tata,  cor,  dis  ol  segònd; 
EI  terz,  ch'el  gb^ìa  dna  ciera  de  ciicù, 
El  par^  el  dis,  ehel'abede  *ndà  'l  momd! 
Àndèm^  risèièla,  in  fin  pò  de  le  f%^ 
A*  s'onde  zó,  ala  longa  9*ùsarì.  • 

f^u^  che  pati  esé  féss  sèmper  ol  firéé. 
Che  stè  a  caàl  al  foe  tòt  quant  ol  de. 
Che  fena'l  nUsde  ìàHpì  seoldi  i  lèé, 
Do^ssev  anze  stagapiùtòst  bè; 
E  9' mari;  risala,  ..ehi  gh?n*è  zó  tace 
Ch'i  gh'ia  $6i  dèé^  perdio!  onge  ceé  fiteei 

BisHéla,  cor,  de  brao,  spetè  che  p*  poff  ; 
Lassèm  fa  nu  a  scusàp  col  siór  cdràt; 
Si  bass  de  co,  aidémel,  alza  so  té... 
Fardo  ch'el  mar!  l'à  quase  i  óé  seràt! 
E  lù  n  dis  sotU  us:  Fò  del  de  bu; 
E  lur:  Addio  nò,preghèH  Siùr  per  nu. 


\ 


DULim  LOMBARDI.  |||7 

Avrì  vési  sui  banchéd  di  brotte  stampe 
Ch'i  fa  vedi  la  mori  del  peeadnr, 
I  mez  a  quei  d'iaoi  eVel  par  cbM  rampe 
Fò  de  per  tot,  per  iiiga  grand^onùr; 
Figùrèvla  de  lato  in  de  sto  lèé, 
E  che  i  diàoi  I  séa  aeé  tri  btt  sèèè. 

E  cose  rè  erapàt  I  sto  avarù , 
Abandonàt  e  maladèt  de  tod. 
A  vóter,  maé  per  i  speciilassiù. 
Che  oli  fa  sole  sd  in  d'ona  peli  de  plòè, 
Preparèv  a  sta  mort  buzerunassa^ 
Se  mai  gh'i  daé  de  onge  a  fa  robassa ! 

Sonetto  contro  un  barbiere* 

Gran  telescopi  e  canocclàl  ghe  séa, 
Spècùle  olte  fena  cbM  di  lur, 
1  è  to£  insèma  dna  mincionaréa.. 
A  la  scoperta ,  de  la  qual  so  antàr. 

Chi  di  studia  e  chi  stddla  astronoméa; 
Chi  rà  stddiada,  e  i  è  za  professar; 
Chi  sa  diletta  co  la  fantaséa 
A  contempla  del  siél  f  bel  laùr; 

Chi  luna,  sol  e  stele  i  voi  vèd  bé, 
Fòssei  a'  Galilei,  senza  spetli, 
1  vaghe  de!  barbér  che  gb^  dirò  me  ; 

Che  la  minùr  di  so  abilità 
L'è  '1  fa  vedi  I  pianèé  ac  al  mez-dc; 
Figùrèv  pò  de  noè  cosa  '1  farà  ! 

Canzone, 

0  Margì,  salta  fò  del  balcù^ 
Che  d'amùr  chilo  crèpe, per  tè; 
No  poss  pio  majà  pà  de  melgù. 
La  polenta  la  m' par  toc  de  fé. 

1  tò  dò  i  è  dn  dò  de  sietta, 
Du  balcù,  dò  lanterne  del  siél; 
Se  i  osèi,  0  1  farfale  i  saetta, 

I  è  Servio,  no  I  ga  lassa  pid  pél. 

01  tò  nas  rè  ù  gropi  che  consula. 
La  tò  bocca  ù  bechi  de  coràl. 
Dove  i  grazie  I  basi  i  ga  ridula^ 
C  i  fa  ròm  diventa  ù  siforàl. 


IttS  PARTE  PRUA. 

I  cbeél,  che  iiitoi^࣠ e  fai  trasse 
1  ta  fa  so  la  crappa  a  taèll 
De  gogiù^  de  spadlne  osé  spesse. 
Del  tò  co  i  la  del  sol  u  fradòll. 

Se  pò  adòss  e  s*  la  féss  P inventare. 
Dighe  me  che  sostansa  s'ta  troa! 
De  granate  e  corài  on  armare, 
E  diamine  iscondi£  in  da  boa. 

Che  brassòi,  che  spalotte,  che  éta. 
De  copa  U  faochinù  pio  robostl 
Ohi  che  timpane,  che  calaméta. 
Oh!  che  pòm  in  tei  sarei  dei  boat! 

Té  sé  léssa,  lostrada,  losenta. 
Come  '1  mànec  de  vanga  o  l>adél. 
Te  fé  gola  come  ona  polenta 
Con  Idanga,  o  sarda  de  iMréi; 

Ma  quat  bela  de  fò  té  sé  tota. 
Té  sé  brotta,  crùdela  de  dét. 
Come  pom  che  ùl  schéfe,  el  riliota 
Soto  rosea  che  ingana  la  aét. 

Per  quat  corre,  che  dighe  e  che  faghe 
Con  tot  me,  té  sé  sémper  i'istessa; 
Té  sé  té  «  che  té  vo  porta  i  braghe, 
E  té  m"  fé  de  priora  e  l>adessa. 

Coi  gogi  t'ò  compràt  i  sta  fera 
Sic  ferree,  dna  rócca  e. tri  fùs; 
E  té  sémper  té  m' fé  brosca  dera, 
A  te  m^  vàrdet  con  tanto  de  mus  ! 


"\ 


1712.  Il  più  antico  Saggio,  che  ci  riuscì  rinvenire  in  questo 
dialetto  ^  è  la  seguente  poesia ,  per  monacazione  della  con- 
tessa Medea  Griffoni  S.  Angelo,  in  dialetto  ràstico,  stampata  in 
foglio  grande  volante,  in  Crema  dal  tipògrafo  Mario  Gàrcano. 

j4  la  lùstristema  signora  corUessa  MedOa  Gr^ona  SanfAnzol, 
in  del  fàs  monèga  nel  nobeléssem  Conoét  de  S,  Maréia  de 
Crema  ^  col  nom  baratàt  in  sora  Maréia  QuintUia.  Poeseia 
de  Zooàn  Méneg  Ottollàv  de  Gabiàj  fiiàgol de  cade  so  signo- 
réia  liistrissetna. 

Me,  eh' a  so  ùs  a  tend  la  vacaréia , 
Mé^  che  de  tetra  n'ò  stndiàt  nagòt. 
Cross  de  legnàm ,  de  tengua  rustegòt 
Vegn  chilo  per  deseòr  in  poeséia  ! 


MALÉm  LOMBARDI.  Itf9 

Ch'òi  da  fa?  Ch'òi  da  di7  Dfsimel  tu, 
Muse  bele,  ch*'ilò  da  press  al  Sere 
Bescantè,  sfloreiè  per  quele  gere, 
E  sonè  issé  blsare  1  calJssà. 

Indichièm  quatre  bele  serimonie, 
De  fa  un  preste!  a  qoela  Signorina, 
Ch^a  s^è  faccia  monèga  stamatlna; 
Se  no,  per  Bac,  me  dig  de  li  fandonie. 

Sente  'I  me  cor  ch^al  dis,  di  sn  Menèg; 
Almàc  aviss  la  boca  insfielierada  ! 
Orsù,  la  vós  sia  druscia,  o  delicada. 
Se  tase  un  bòt,  a  m^  voi  crapà  ^1  stomèg. 

Doca,  con  tntt'amór  e  reverensia, 
Lùsirìssema  signora  me  Patrona, 
E  col  respè^  eli' a  porte  a  Cà  Griffona, 
Scomenzarò  con  vesta  e  so  liseniia. 

L^i  faccia  pò  mazenga  in  fi  di  fa^ , 
I  lagàt  a  cà  vesta  li  carole, 
i  dàt  di  pè  de  drè  a  li  galofO, 
Or,  e  mantù,  e  montére  i  tutt  desfa{^; 

Conteta  v^  trovari;  f6  di  bodé, 
Fò  di  perigei  dell  vanitit. 
In  sto  convét  ari  la  Ubert&t, 
Che  god  chi  sa  servi  Domenedé. 

Sa  poi  fa  bé  per  tùtt;  ma  fò  del  mond , 
Per  serv^  a  Dio,  gh'è  più  comoditàt. 
Chi  capiss  sta  metifola,  biàt! 
So  bé  gnorànt;  ma  quel  cb^ò  di{^,  i'à  fònd. 

Proverbe  vegnit  fò  da  un  vertiivòs, 
Ch'in  zezlaU  remirava  la  fònsiù; 
Oh  !  quat  descòrs  l^à  Ai  sera  de  vù , 
Parlind  a  un  otre  siòr  issé  sot  vòst 

Inzenociada  zò  a  la  fenestrela 
Quand  a  sérev  ilo  coi  oj;  Inissì  , 
A  la  (àza  di  Padre  Capùssi, 
L''à  dìi  subùt:  Vardè  na  santarela; 

Vardè  quei  Crosefiss  chM  gh'à  portai; 
L'è  una  bandera  centra  i  diavoiàs; 
De  li  pompe  l'insegna  a  fi  strepàz. 
D'obedienzia  model,  e  d^umiltàt. 

Ma  quel  ch'ai  diss,  sui  benedi  li  veste, 
Per  tegn  a  mét,  gh'oliva  un  òm  de  tetra; 
Manco  mal  ch'ò  na  gnùca  che  penetra, 
E  tra  tate  parole  poss  dif  queste: 


i€Q  PARTE  pftnu. 

Li  veste  benedete  i  è  ornamét 
eh' a  mostra  la  vertut  de  chi  li  porta; 
Qucle  i  è  ùn^armadura,  che  conforta 
Contr'al  demone  brìilt  e  invlperét. 

Qoei  eh' a  i  v'à  méss  in  co  snévet  xendài, 
I  è  segn  de  cor  sogèt,  morti  fldit 
Dal  vestimét  modèst  de  Tonestàt, 
Che  spiega  al  Crosefiss  d  so  travài. 

Su  la  candela  ch'i  v^à  dàj^  impixza 
Un  t>el  segniflcàt  al  gh^à  fa^  séra; 
eh* a  Ve  na  los  intema  che  spiandóra, 
E  a  la  strada  del  siél  T ànima  indrixxa. 

Al  desfa  de  li  trcxze  incadenade, 
Deslassà^  fó  del  co  i  Impedimétr 
Pensér  del  mond  i  salta  fò  rabici^. 
Nel  daga  jefre  quele  sfort)tiiide. 

Amò  n'àl  d^  san  quele  bete  trexxe; 
Starév  trop  dina,  se  voléss  repètl 
A  m'vé  sut  al  gargàt,  sa  m^  strénz  al  pèt^ 
Gh'an  saràv  de  cùntà  de  li  bclczze! 

In  quela  li  monèghe  tutt  a  un  trà^ 
Li  s'è  messe  a  canta  de  li  orassiù; 
I  ìètre  i  à  fàj  la  santa  vestistiù  | 
E  'I  vertuvès  de  zezia  fó  l'è  anà^. 

Kestàt  ilo  me  cola  boca  verta; 
Li  monèghe,  chi  s'miss  a  scampana, 
Chi  nava  atorne  al  Coro  a  bescantà. 
Piene  d'una  legréia  tata  sperta... 

Oh!  oh!  so  dàt  in  succia;  b^a  fornìla  ; 
Al  vertùvós  da  bé  gh'ò  fafe  xó  i  fùs; 
Laghe  '1  talér  de  pari,  e  so  confùs. 
Perché  no  gh'ò  più  fll  de  fa  sta  tila. 

Inà^  perzò  de  mett  in  sac  la  piva, 
M'angurarò  la  lengua  de  Pitìigola, 
Per  compì  slu  descòrs  ch'ò  mèss  in  tégola. 
De  grazia,  dèm  de  scólt  una  faliva: 

O  mond,  chi  fa  seguita,  i  è  pur  mà^l 
De  rose  impè  t'a  de  di  gratacùi; 
Trìboi  e  spi  i  è  sempre  i  tò  trastui. 
Amar,  e  più  del  tèsseg  renegàt* 

Resta  fó  nò  con  tanto  de  barbazza 
Sbcfàt  da  una  zovnina  vertùosa  ! 
Col  lagàt  té,  de  Crisi  Tè  faccia  s|H)sa. 
Ciapi,  de  rabia  mì^el  la  lenguazza. 


DIALOn  LOMBAaDI.  151 

A  vói  cridà  di  viva  sento  milia: 
Viva  quel  spirit,  viva  quel  amor. 
Che  rà  dki  a  Gesù  tùt  e!  so  cor! 
E  viva  sempre  sor  Marèa  Quintina! 

ì.  Sonetto  in  lingua  rùstica  del  canònico  Antonio  Maria 

Per  Mònaca. 

Ta  pò  fà^  ta  pò  di,  ta  pò  briga, 
Ciappi,  bergnìf,  demone  desgraziàt; 
Che  più  lòc  no  ta  gh^è  de  sgraflgnà 
Ste  bel  tesòr,  che  Tè  de  ma  scapàt. 

Mastéga  por  la  rabia  per  bngà, 
Come  'n  cagnàss  d'inferne  scadenàt. 
Come  ^n  luf  che  spaventa  a  lodolà , 
Come  ^n  drag  che  sigòla  despiràt  ! 

Za  l' è  franca  in  convént  la  moneghina , 
E  de  té  no  la  gh^à  miga  fllù. 
Se  ta  la  scombattiss  sera  e  matina; 

Desséda  temporài,  saette  e  trù; 
L''è  con  Crist,  no  Tà  pura,  e  issò  zoenina 
Contra  de  té  l'à  un  ànem  de  liù! 

K  Sonetto  di  don  Giacomo  Inzól,  in  lingua  rùstica,  per 
èdica  sul  Gitidizio  Universale, 

Sonett, 

Che  prèdica,  pùtàrdia!  sta  matina 
£1  nost  predicatòr  i'à  petàt  li! 
L^è  prope  jòna,  per  na  smalandrina! 
Da  queie  che  fa  slrènz  el  péeri  ! 

Angei,  profete,  e  pò  aca  la  Regina, 
E  quel  ch^  à  faé  ei  mond  in  soi  sés  di , 
L'à  faè  parla  toÒ  scorazà^,  per  brina. 
In  sta  manera  come  disc  mi: 

A  la  vai  d' Giosafàt  zòegn  e  vèÒ, 
I  bu  da  quei  cattiv  i  séa  divìs, 
GiCista  come  i  agnèi  fò  dai  cavrèé; 

^o  rè  pò  quest  el  temp  d^alzà  i  barbis! 
Vòtre  ch'i  faé  del  mal  zò  coi  folèò; 
Vòtre  eh'  i  faè  del  bè  so  'n  paradis. 

».  In  Saggio  del  dialetto  e  della  poesia  cremasca  dei  nostri 
porgiamo  un  sonetto  dell'  abate  Felice  Màsperi 


tot 


PAETE  PRUA. 


e  la  versione  di  dae  Anacreòntiche  del  VittoreHì  fatta  dal  pro- 
fessore Rocco  Rocchetti  nel  dialetto  men  rozzo,  proprio  della  cittì.! 

SonelL 

Nane,  tmpéssa  la  lom,  che  rè  za  sera; 
Ga  di8  8Ò  dèda;  e  Nene,  che  rè  n'oca, 
eoo  tota  flaca  la  mett  zò  la  reca, 
E  la  n^  fa  jona  che  par  gnaca  vera. 

La  va  e  Timpéssa  la  so  I5m,  che  l'era 
Tacada  a  'n  clòd^  Tal  tol  an  mh,  fa'!  moca. 
Pò  gira  e  gira,  senza  derv  la  boca. 
Che  la  paria  na  stàtua  da  sera. 

La  varda  da  per  tot,  da  bass,  da  sarà, 
Fina'n  quel  bus  dee  f  té  ròle  e  H  rls. 
L^avrà  spindlt  ansomma  p5  d'*nn'ura; 

E  dopo  aiga  dàt  tòte  le  próe. 
La  sa  volta  a  la  dèda,  e  la  ga  dls: 
L'ala  té  le  la  lom?  Me  no  la  tróef 

jénacreòntiche. 


f. 

Varda  che  bianca  luna. 
Che  nott  spassada  e  netta! 
No  tira  un  pò  d^  arietta , 
No  trema  d'erba  un  fil. 

El  rosignòl  gh'è  doma 
Che  se  lumenta  e  vosa; 
E  par,  che  la  morosa 
El  ciame  con  un  tril. 

Le,  che  Tal  sent  a  pena. 
La  ve  de  foja  in  foja, 
E  la  rispònd  de  voja^ 
Poci,  no  pianz,  so'  che. 

Che  spass,  o  Dorotèa, 
Per  quele  do  bestiole! 
Ma  té  con  ste  parole 
T'è  mal  respèst  a  me! 


2. 

L' insògn  de  stamatina 
Sent,  sent,  o  Dorotéa: 
Ghiera  con  me  la  stréa, 
Sérem  in  d'un  ponciù; 

La  veccia  stréa  rampina. 
Che,  qnand  ghe  ve  la  stéssa, 
El  sumèlec  Pimpéssa, 
E  la  desséda  al  tru. 

Marna,  gh'ò  dét,  le  coste 
Me  brusa  una  gran  flama; 
Con  quac  rimede,  o  mama, 
Guaréssem,  per  pietà! 

Tacca,  la  dis,  le  poste. 
Impianta  una  fùrbetta-. 
Sta  sert,  che  mèi  risetta 
Per  té  la  stréa  no  gh'à. 


BreMclano* 

ittttO.  La  più  antica  produzione,  pervenuta  a  nostra  notizia , 
ia  questo  dialetto,  è  un  opùscolo  intitolato:  La  Massera  da  bij 
perdrUta  Jom  Fior  da  CobUU^  stampata  in  Brescia  nel  A554,  c^ 


DULVin  LOMBAEDl.  165 

lìstunpata  poscia  più  Volte.  In  questo  poemetto  una  Serva  insegna 
alla  Padrona  le  varie  maniere  d' apprestare  e  condire  le  vivan- 
de. Ed  è  seguito  da  una  Canzone  villereccia,  intitolata  :  Jlfa(t- 
fiada,  Uest  Slratnbòg  che  fa  il  Gian  alla  Togna.  In  fine  dell'  o- 
pùscolo  stesso  lèggesi spianto  segue:  «Questo  libretto  s'è  havuto 
da  Messer  Galiazso  dagli  Ond,  già  Cancelliere  delli  Magnifici 
Signori  Martinenghi  della  Palada  in  Brescia ,  0  quale  disse  ha- 
Terlo  trovato  a  Cobiato,  in  un  camerino  del  palazzo  del  clarissimo 
signor  Cavallìero  Mariotto  Martinengo  buona  memoria,  al  tempo 
del  sacco  di  Brescia  «. 

Essendo  noi  pervenuti,  dopo  molte  inàtili  ricreile,  a  possedere 
questo  rarissimo  libretto,  ed  avendolo  sottoposto  a  scrupoloso 
esame,  in  onta  ad  una  congèrie  di  errori  tipogràfici,  che  ne  rèn- 
dono malagévole  la  lettura,  e  sovente  oscuro  il  significato,  vi  ab- 
biamo rinvenuto  molte  forme  esclusivamente  bergamasche,  fram- 
miste ad  altre  esduaivamente  bresciane.  Onde  siamo  d'avviso,  che 
questo  dialetto,  anziché  bresciano,  dèbbasi  riguardare,  come  un 
misto  di  bergamasco  e  di  bresciano,  appartenente  a  qualche  villag- 
gio intermedio,  ove  i  due  dialetti  si  fóndono.  In  tale  supposizione, 
potrebbe  èssere  per  avventura  il  dialetto  di  Onmovi,  patria  di 
quel  Messer  Galiazzo,  dal  quale  s'è  avuto  il  libro  stesso,  e  che 
n'è  forse  l'autore. 

Onde  gli  studiosi  possano  proferirne  più  maturo  giudicio ,  ne 
produciamo  in  Saggio  la  Mallinata^  ed  un  brano  del  mentovato 
Poemetto. 

MatinadQj  idest  Strambò^  che  fa  el  Gian  a  la  Togna, 

ElPrim. 

Madona,  Amor  si  m^à  condùt  chilo 
Sbrìet  ad  alta  vos  canta  strambò^, 
Chiloga  stravacat  al  vent  la  not 
Per  daf  piasi  »  Madooa^  quant  am'  pò. 
Vó  stè  in  del  let  al  cold,  mi  m^  sta  de  fò. 
Perchè  Tamór  si  m^à  brusàt  e  cot; 
Am^  fa  di  matlnadi  per  piasi 
Co  la  gringa,  el  siiblul,  el  tamburi. 

El  Segànd, 

Quand  a  f  sguàitl»  Madona^  quel  bel  mùs  ^ 
Ch'a  gh'ì  casàt  ol  06  fò  dot  balcù. 
L'è  lesi  litsél  Godsèla,  ch'ai  sberius 
Da  la  ceiosia  fina  sul  cantù. 


154  PARTE  nmu. 

AI  ve  tamàgii  splendpr  fò  per  quei  buf  > 
Che  manda  quel  vos  pèt  con  quei  tettt, 
Cli^a  i  m'ii  passat  ol  car  co  li  rais, 
Cb^al  par  cbe  siagbi  après  al  tò  bel  tÌs. 

El  Terz, 
Oh!  quant  senti  d^amòr  quel  Yeretù, 
Gh^a  mWegn  con  tal  furor  in  dot  ttomècl 
E  fo6  rè  a  quel,  Madoua,  la  caaù 
Cbe  m^à  fai  tage  no^  selà  de  frèt; 
Alora  quand  a  m'dèssef  quel  sgnaitù, 
Cun  quel  snspir  d'amor  ch^af  del  bagèt, 
A  m^  senti  al  cur  taj(  rasp ,  piche  e  rastèi , 
Ch'a  gh'ò  lassai  la  miola  di  bùdèi. 

El  QuarL 

Quand  ò  moli  bé  comprìs  el  vos  faciù, 
Cb'a  V*  ò  smina  dal  co  fin  ai  calcagn. 
Quei  u^  che  par  do  bus  lazzabotù , 
Gun  la  maseherpa  in  seri  per  dò  compègn, 
El  nas  che  m' fa  somià  1  cui  d^  un  capù , 
Casù  de  mia  achigitta,  e  pena  e  lagn, 
Cun  quel  odor  aprèss  de  scalmani. 
Che  m^à  mess  in  angossa  de  muri; 

El  Sic. 

Quand  consideri  bé  quel  vos  slomèc, 
A  m^s'a  cumàf  ol  sang  al  Ira^  plùmér, 
Ch^a  rè  icsi  blan,  lesi  sgùràt  e  net, 
Cbe  m' spreghi  el  fos  el  cui  d'un  carbonér; 
Cun  quele  beli  spalli  da  zerièt. 
Ch'il  fa  giazzà  le  predi  di  zenér; 
Quel  bochi  zavatù,  doja,  malàn, 
Ch'à  icsi  ferul  d^amór  la  Togna  e  '1  Gian. 

ElSes. 

A  m^à  cantàl  fin  sfora  taj(  canzù, 
Ch^a  gh'um  sfit  la  lunèla  in  dol  magù. 

El  Set 

O  bé,  mo  za  ch'a  m' dig  ol  bojamét, 
Sherpa  mo  in  p6  i  orè^  al  me  salmù , 
A  la  presezia  de  sta  bela  zél. 
Qui  circumspèi  ruzà^  in  d' ù  montù. 
So^ol  Gian,  che  Tò  servida  fedelmét, 
Quand  che  no  l'abi  breca  compassi  ù. 
E  rè  di  agn  sés,  e  riva  aprèss  a  set 
Ch^  a  m*  cala  per  tò  amor  su  sto  cantù  ; 
Tu  m' vedi  sobrlnàl  dillo  dol  firèt, 
B  ti  no  f  fé  dol  Gian  cas  d'fin  marehèt. 


DiALrrri  lombardi. 


105 


vpn  Strambò^, 
Togfia  rè  fosc,  rè  ol  tep  d'andà  a  dormì; 
M^ora  nò  no  bui  vìa  i  me  parai; 
9ò  piir,  Togna,  el  tò  Gian,  e  a^nol  vù  cri. 
Fa  la  sperienaa  de  qua!  bé  ch^a  Tvoi^ 
Pota  de  rantecùr,  scùgne  pur  di. 
Tu  vu  Inquarna  the  volli  earla  o  foÌ , 
E  so  bé  mi;  che  poss  erapii  e  muri , 
Per  té,  strìazza,  de  l'afàn  ch'a  m' toi. 
L'amor  dol  tò  bel  goss  blan  e  tamàgn 
M'à  Cat  brusà  dal  co  fin  ai  calcàgn. 
S' tu  vu,  Togna,  ch'am  canti  ù  l>el  «anxù^ 
Sporz  fura  ol  co  de  russo,  o  dal  balcù. 

Elfi. 


La  Massera  da-bé. 


Afosi. Brigada,  za,  za  lu^, 
Faméi,  masséri  e  pij(. 
Corri,  corri,  corrét. 
Corri  za  prestamét. 
Che  vói  di  una  cani ù  ; 
Za  tùj(  in  d'un  montù. 
Na  m' derumpì  ol  parla , 
Conzèf  qui  tufi  da  ma. 
Che  la  posse  sentì; 
Orsù  più  no  fmovi. 
Note  bé  el  zanzum. 
Che  impari  un  costùm 
De  quei  che  no  sen  somna. 
El  fò  un  trat  una  fomna 
Che  cercava  guadàgn; 
Strazzada,  senza  pagn. 
Brutta  come  un  zavàtt, 
Pelosa  come  un  gatt , 
La  pari  va  in  del  volt 
Ù  mesorèi  de  polt; 
L'era  pò  tal  più  accorta; 
La  vegn  batti  a  la  porta: 
Che  zós  de  eà,  dò  nfT 


E  n'  respónd:  che  voHf? 

Ptmltès  eazùf  in  cà. 
Mad.  Bondi,  madona  mia. 
Um.  Che  siff  che  andè  fazàt.^ 
Bioé.  B  80'  Fior  da  Cobiàt; 

Vigne!  icai  de  dét, 

El  m'è  v^sAul  talét 

De  vegnif  a  trova; 

Ó  Intés  che  (è  fila; 

Vegn  mi  da  vó  per  quel. 

Ò  tolt  ac  sto  sacchèl 

Da  logài,  se  m'en  de. 
Mas,  Perché  no  so  che  f  sic 

No  vorìf  quas  falà; 

Che,  quand  l'ò  fò  di  ma. 

Che  no  foss  pò  scottada  ! 
Mad,  Oh!  quand  m'ari  pruada, 

Vedri  le  mie  bontàt; 

Si  bé  foss  da  Cobiàt , 

E  so'  perzò  fideta; 

L'è  bé  lu  ver  eh' a  m'  steta 

Nu  m'^vul  perzò  roba; 

oc*  4  e&  •  eo*  %  6c. 


1820.  Non  avendo  potuto  rinvenire  veron' altra  produzione  in 
^esto  dialetto <)  balziamo  d'un  salto  dal  XVI  al  XIX  sècolo,  nel 
t]uale  il  solo  Quaresimale  dell'avvocato  ìiOltieri,  distribuito  in 


100  PAATB  PMMA* 

• 

quarantaquattro  sonetti,  comparve  alla  luce.  Mentre  por| 
uno  di  questi  in  Saggio^  cosi  della  lingua,  comedi  tutta  Vi 
del  Lottieri,  godiamo  di  potar  soggiùngere  una  versione  tal 
inèdita  della  Paràbola  del  Figliuol  Pròdigo  in  sestine  hres 
del  celebre  scrittore  Cesare  Arid,  nella  quale  è  miràbile 
gegno  col  quale  seppe  accoppiare  alla  versione  letterale  la  ! 
taneità  del  verso  e  la  pureiia  del  dialetto! 

//  Mercoledì  dette  Céneri. 

901fBno. 

Memento  homo  quSa  puMs  et 
Encu  sui  polpe^  tuna  i  onitùr: 
Parole  che  mett  frèd,  spaènt,  orrùr 
A  chi  no  pensa  giusta  ai  brut  strambés! 

E,  ascoltante  se  ghe  féssem  su  riOès, 
No!  regnarèf  el  maladètt  umùr 
De  tuss  nel  canioàl  I  sonadùr» 
E  la  qual  dora  Pan  tutt  a  la  pès. 

Pur»  rè  pòc  rèss  de  pólver  ampastàt, 
El  più  importànt  a  l'è  quel  reverUris, 
Col  qual  flniss  el  test  sura  sitèt! 

Oh!  tristo,  Oh!  avaro»  oh!  òm  spropositit! 
Che  diset  a  sto  oolp  de  reverteris? 
Ne  èl  forse  on  laùr  de  dienti  mat? 

El  fiól  di89ipù. 

SERINB 

Ghiera  dna  otta  5n  òm  eh^el  gh'ìa  da  sèèé: 
On  de '1  pi5  tàen  el  dis  al  so  bobe: 
Boba,  dèm  quel  che  m' tocca;  e  1  pòer  vè£ 
El  ghe  fa  la  so  part»  e  '1  ghe  la  dà. 
Poe  de  dopo»  con  tot  quel  ch'el  gh'ia  it. 
Dai  so  boba  '1  pio  zùen  rè  partit. 

E  rè  nat  bé  de  lonz,  e  là'l  vivia 
En  d'dn  gran  lusso»  e  1  v^Jò  ma  M  fatt  so. 
Entànt  l'è  ignida  dna  gran  carestìa» 
Ghe  ac  ai  pio  ree  la  fàa  grata  sol  co; 
Pòer  flol  !  pensèga  ,oàlter  che  pati  ! 
ÌJ  Iscé  bé  no  iga  pi5  ù  quatri! 


MAUm  LOMBARDI.  1117 

La  fam  la  cassa  '1  lof  zó  dia  montagna; 
EI  pòer  zùen  l'è  nai  a  fà'l  famèi, 
E  da  on  patrà  ch^el  la  tignia  ^n  campagna 
Pefché'l  menéss  a  pasoolii  i  porsèi; 
Dóe  spess  el  s^engoràa  ^  d''dn  porc  a'  lii, 
Per  sassiii  co  le  glande  el  so  dlzu. 

On  de  che  squase  no  1  podia  sta  'n  pè 
De  la  fiachessa,  el  gh'è  saltai  in  ment: 
En^«asa  del  boba  i  gbe  mangia  bé 
Ta£  servi  tur»  e  no  gbe  manca  niént, 
E  me  sto  cbé  a  mori  de  fam  !  Ab  !  no: 
Naro  del  me  boba  e  gbe  disarò: 

Boba,'*!  so  cb'ò  fai  mal,  p5r  Irop  el  so. 
Che  v'ò  offendit  vò  e  pò  a^  el  Signur; 
Me  no  mèrete  pio  de  sta  cbé  amò 
Come  vosi  flòl!  tegnim  per  servllùr  ; 
Abl  boba,  issé  sfinii  e  issé  sblndù» 
Disim  y  no  ve  lo  miga  compasslà? 

E  l'à  Ioli  s5,  e  rè  nat  del  so  boba; 
E  Tera  amò  de  Ioni,  qnan  cb'el  pòer  vèè 
Cb^el  ria  podit  appena  figura, 
El  gb'  è  corril  enconira,  e  col  brasa  sirèé 
El  rè  dapàl,  e  per  èl  gran  contèni 
El  rè  base,  e  noi  podia  di  niénl. 

E  lu  1  disia:  bobe,  por  trop  el  so. 
Che  v'ò  offendit  vò  e  pò  a'  el  Signor; 
Me  no  mèrete  pio  de  sta  cbé  amò 
Come  vosi  fidi;  tegnim  per  servitùr. 
Ma'l  bobè'l  clamò  subet  i  famél, 
E  'l  gbe  dlsè:  Porte  1  vestii  pio  bel; 

Porte  Panel,  le  scarpe;  lò  consèl 
S5,  come  l'era  ^n  prima  ch'el  néss  via; 
Né  a  lo  on  vedèl  bel  grass,  fé  presi,  copèl; 
Voi  che  mangiome  e  steme  en  alegrìa; 
El  m^era  mori,  e  Tè  resòssitèt, 
Gh'ie  perdii  5n  me  fidi,  e  Tò  trovai. 

El  tome  intani  dal  ciòss  el  fiol  pio  grani. 
Che  i  era  zè  rM  a  mes  desnè; 
E  a  sta  de  I5ra,  che  s'sinlia  tòt  quant 
El  gran  bodéss  de  quel  sona  e  canta. 
No  n  sia  capi  gna'  lu  quel  ch'el  fodera; 
E  '1  domandò  a  5n  famèi  cosa  i  se  féss? 


H8 


PARTI  ntUIA. 


QvAiid  ri  saalH»  che  de  mangiàa  fin  veder, 
E  eh'el  tiobà  Tera  cose  contént. 
Perché  Tera  tornii  el  so  f radei, 
Enrabiàt  fiol  velia  piò  gna'  nà  dént; 
E  quand  ch'el  aò  hobà  per  quietai 
L''è  leàt  so  e  rè  egnii  lù  a  ciamàl. 

L'è  dal  fora,  e  '1  gh'à  dit:  a  i  è  taè  agn 
Che  ve  obedesse,  e  no  mM  dal  gnamò 
Gna'  òn  cavrìt  de  mangia  coi  me  compàgn; 
E  a  lù ,  che  l' à  fat  fora  iott  el  so 
'N  le  fomne,  adèss  ch'el  ve,  ghe  fé  eopà 
Òn  vedcl ,  e  ghe  de  de  sto  disnà  ! 

E  '1  hobà  el  gh'à  respòsi:  Ma  té  to  sé 
Sèmper  con  me,  car  el  me  fiol;  la  mia 
Roba  rè  roba  tò;.ma  me  gh'ie  bé 
De  fa  òn  bel  past  e  sta  'n  santa  alegrìa , 
Che  me  gh^ìe  pers  òn  fidi,  e  P  ò  iroàt, 
El  m'era  mori,  e  Tè  resdsaiiài. 

Cremonese* 


Nell'assoluta  mancanza  di  produzioni  letterarie  in  questo 
letto  meritévoli  d'essere  prodotte,  trascrìiriamo^  per  Saggio 
lingua,  un  brano  d'una  stucchévole  Bosinada  publicata  neir 
no  1800  coiitro  i  Giacobini,   ed  un  brano  del  Diàlogo  ma 
scritto,  e  da  noi  testé  mentovato,  fra  due  Serve. 


a- 
di 


0- 


1800. 


Bosinada  Cremonesa, 


Me  mei  vòs  imaginà. 
Che  la  ladra  libertà 
LMva  pò  d' andà  a  feni 
Con  di  guai  da  fìi  mori. 
Ecco  adèss,  ecco  el  bel  fén 
Dei  fanàtic  Giacobén , 
Che  se  fiva  rispetà 
Come  tanti  podestà! 
Pari  bandii,  pari  in  presòn. 
Sarai  so  come  i  capòn 
A  spetà  la  soa  sentenza , 
Per  fa  pò  la  penitenza 
Dele  soe  iniquità; 
Vel  possìves  figura! 


Vòster  dan,  se  gh'i  di  guai! 
Imparò,  toc  de  sonai, 
A  fa  meni  a  di  birbóni 
Che  fa  guera  fina  ai  Sani; 
Imparò  a  fa  i  prepotèni, 
A  roba  Por  e  l'argèni 
Ale  case  del  SÉgnòr, 
E  levaghe  anca  Tonòr; 
Toc  d'ind^,  senza  pietà 
Andò  adèss  a  venera 
Quel  bel  vòster  capital. 
La  briola  In  sima  al  pai. 

Ande  adèss  a  despojà 
Le  famiglie,  e  fave  dà 


DIALETTI   LOMBARDI. 


4  00 


Le  camise  e  i  Ictt  fenit; 
Paghe  adèss  quel  ch'i  godit. 
Se  in  galera  crepari , 
Vòster  dan,  ve  torni  a  dì; 
Se  ne  si  cumpassìonàt 
Da  nessijn,  i^i  roeritàt. 


Che  n^abbiè  anca  da  Ani 
TanU  e  tanti,  son  per  dì, 
Con  vergogna  e  confiisiòn , 
Tacca  sùsa  a  pindolòn, 
Come  I  lard ,  come  i  salàm , 
A  mori  col  nom  dMnfàm! 
ec,  ec,  ec. 


Diàlogo  fra  due  serpe. 


Teresa,  Margherita. 


7>r.  Ve  saluti^  Margarita! 
Mar,  Oh!  ve,  ve!  la  mia  Teresa! 

Ve  saluti;  andè  fa  spesa? 
7>r.   Tùtrel  de  me  fo  sta  vita, 

La  mia  cara  Margarita  ; 

Sèmper  curri  inànz,  indrè, 

Fo  tnittade  da  lacchè 

Per  la  strada  e  per  la  piazza, 

E  ne  so  cume  me  fazza 

A  sta  In  pè 4  che  ne  me  mala; 

E  vò,  flola,  come  vaia? 
Mar,  0*r  gh'è  mal;  insé,  via  là; 

Ma  vò  pòc  fora  de  cà; 

Ma  fò  miga  la  pujana; 

Mangi  ben,  e  me  sto  sana; 

Adèss  vò  cussé  pian  pian 

Da  Fatùtt  a  tó  del  pan. 
Ter,  E  me  vò  sul  MercadèI 

A  tò  '1  ris  da  Sìgnorèl. 
Mar,  Andòm  donca,  flola  mia. 

Se  pudùm  fass  cumpagnìa; 

L'è^n  gran  pèzz  che  ne  v'ò  vista; 

Stè  amò  là  col  siur  Batista? 


Ter,  Pensè  mai!  Se  me  ghc  stavi 
N^ alter  mese,  me  malavi. 
Quell'avaro,  per  risparmi, 
El  me  fava  sta  a  dormér 
In  na  stalla,  in  s'ùn  pajàzz; 
Senza  gnanca  en  materàzz. 

Mar,  Oh!  che  can!  oh,  che  padrón 
Oh  che  basa-tavelòn  ! 
Sti  co  bass,  che  fa  '1  beat 
Jén  avari  renegàt; 
I  fatt  ben  a  licenziave. 
Se  ri  fatt  per  ne  malave; 
Stari  mèi  dove  stè  adèss? 

Ter.  Fiola  cara.  Tè  Tistèss; 
0  saltàt,  come  dis  quela 
Dal  lavéz  in  la  padela. 
Che  gh'  è  trop  da  fadigà. 

Mar,  Sì  ben  matta  a  seguita; 
Licenziève,  barattève; 
Ma  disime:  cun  chi  stè? 


w 


aB<^' 


CAPO  VI. 


Bibliografìa  dei  dialetti  lombardi. 


lflUIII9l. 

Fflolaaro.  Solasiiosa  comedia  d'un  atto  solo ,  senia  dfoUniione  di  scene» 
^  vario  metro,  e  mescolata  di  molto  linguaggio  lombardo.  —  Bologna , 
^  CMS  di  Maestro  Girolamo  de*  Benedetti ,  imo,  in-8.^ 

Opera  jocunda  nob.  D.  Joliannis  Georgii  AUoni  Astensis,  metro  madia- 
'^co,  materno  et  gallico  composita.  Impressum  Ast  per  Franclscom  de 
^^.  anno  Domini  imi.  —  In  quato  Udrò  fròpostf  la  Farsa  del  Bracbo  e 
^^  Milaneiso  Inamorato  in  Ast,  nella  quale  il  Milanese  parla  il  proprio 
dialetto.  Fk  ristampalo  due  volle  coi  seguenti  tìtoli  :  V  opera  piacevole  di 
^rgio  Allione.  Asti,  per  Virgilio  Zangrandi,  leoi.  In-tt.^  —  L^ opera 
piacevole  di  Georgio  Allione  astegiano  di  nuovo  corretta  et  ristampata  In 
^ti ,  el  ristampata  in  Torino  per  Stefano  Manzolino,  i6S8.  Queste  due  edi- 
zioni per  allro  non  contengono,  né  i  componimenti  francesi,  ne  I  quattro 
^limi  piemontesi  della  prima  edizione,  già  fatta  rarissima,  e  la  lingua  fu 
^  atnbedme  ritoccata  e  rimodernata.  Scrissero  intomo  a  questo  libro  An- 
^i^ta  Bassotti,  nel  Syllabus  scrlplorum  Pedemonti! ,  CMesa  Agostino  nel 
^tàlogo  di  tutti  gli  scrittori  piemontesi.  Grassi  Serafino,  nella  Storia  della 
^ttà  d'Asti,  f^aUauri  Tommaso  nella  Storia  della  poesia  tal  Piemonte ,  ed 
^^'.  Un  esemplare  completo  della  prima  edizione  fu  venduto  in  Ingioi' 
's^ro  700  franchi, 

11  Muratore.  Gomedla  Busticale  Lombarda ,  nella  quale  si  eootiene 
^^e  un  Villano  e  un  Muratore  si  partono  da  lavorare  per  voler  diventar 
>^eehi,  e  eome  furono  fatti  ricchi;  ed  itaa  Epistola  d*Amore.  In  Slena,  ad 
^starna  di  Giovanni  di  AlessandroLibraro;  adi  «8  di  settembre,  laai^in-e.* 
Tonio  e  Pipo ,  il  Contadino  e  V  Oste.  Comedia  In  dialetto  lombardo. 
^enza  veruna  indicazione  tipogràfica, 

Varon  Milanes,  de  la  lengua  de  Milan,  e  Prissian  de  Milan,  da  la  par- 
vtoazia  mMifina.  —  Milano,  f  aoa,  per  Giacomo  Coma  Ivi  sono  eoiOmuti 
*arìi  Sonati  del  Capti  e  del  Biffi.  Parecchie  edizioni  furono  publicaU  del 


i79  PARTE  PRIMA. 

Varon  Milanes,  delle  quali  la  prhna  in  Pavia,  pel  BàrMi;poi  fu  riproàttl 
colle  annolazioni  ed  aggiunte  di  Giuseppe  Milani;  la  terza,  col  TVollol 
della  pronunziacela  tette  indicata  del  isos.  Una  quarta  vide  lahieeinM\ 
anoj  per  Giuseppe  Marcili,  nel  i76o;  e  la  quinta  nella  Collezione  delle  m 
gliori  òpere  scritte  in  dialetto  milanese.  —  Milano,  per  Giovanni  PlroUi 
1816.  Voi.  I. 

Nova  cipollata  in  lingua  rustica  milanese.  —  Milano,  1616,  per  PandoU 
Malatesta. 

Navarineida.  Descors  intorno  a  la  resa  de  Brada  in  despresi  di  Navarì 
nostran,  dà  in  lus  da  Batista  de  Miran,  16SS. 

Bradaineida.  Ragionamento  fatto  in  lode  di  Bredà  di  porta  Nuova,  te 
composto  da  Andrea  da  Milano.  —  Milano,  per  Pandolfo  Malatesta,  scai 
r  anno. 

Il  Lamento  del  contadino  sopra  diverse  arti ,  ec.  »-  Milano,  per  Pandol 
Malatesta.  Senza  data  (i62«-S7). 

Lamentatone  che  fanno  Baltramm  de  Gagian  e  Bauscion  de  GorgoniÉ 
sopra  1  presenti  tempi  calamltofl,  ec.  —  MUano,  teso,  per  T erede  di • 
B.  Colonna. 

La  Cena.  Milano,  per  G.  B.  Malatesta,  less.  —  M  iràfmui  dm  tanfi 
di  Beddassare  Migliapocca  in  dialetto  niiUme»e, 

La  mascherata  fatta  in  lingua  villanesca,  per  Tallegreiza  dèi  re  dei  A 
mani  contro  a^Navarrlnl.  —  Milano,  I6S7,  per  Dionisi  GarlboldL  QiMiÉi 
ima  ristampa. 

Raccolta  di  sviscerati  aCTetti ,  e  breve  racconto  delle  allegrene  fÉMe.i 
Milano,  ec.,  per  la  resa  di  Vercelli.  —  Milano,  fesa,  per  G.  B.  nai^f^B^ 
Questa  rruxoUa  amliene  varie  poesie  milanesi, 

Discors  faa  da  Marfori  e  Pasquin  sora  l'assedi  de  Lerida,  sooorsa  dal  al 
Marches  de  Leganes  e  i  so  soldaa,  con  la  rotta  delParmada  franaesa.  —  ■ 
lano,  per  Lodovico  Monza,  1647. 

Girolamo  nemico  della  fatica.  Gomedia.  —  Milano,  in-ia.**  SesuM  éÈh 

La  Superbia  umiliata  ,  con  Girolamo.  Comedla.  —  MilaMS  tiHii 
Senza  data, 

11  Segreto,  con  Girolamo.  Comedia.  —  Milano ,  In-ie.^  Senxa  data, 

lie  feste  dell'Adda  per  T  Ingresso  di  D.  Francesco  Maria  Siona  IFiaeai 
ti,  ce.,  al  marchesato  di  Caravaggio.  Racconto  di  D.  Adanlro  Joruu^ 
(AdrUmo  Majoraggio).  —  Bergamo,  i6«i,  per  Mare'Antonlo  RosaL  M  a^ 
vasi  una  poesia  milanese. 

Poema  in  lingua  milanese  per  Tiirrivo  della  serenlssinui  Infuita  Martli 
rita  d'Austria  moglie  di  Leopoldo  Cesare.  —  Milano ,  pel  GhiMlll ,  !•• 
Questo  poema  anònimo  è  di  Onofrio  Busserò. 

Terzetti  nuovi  per  ogni  stato  di  persone. —  Milano,  per  Gina. 
Malatesta.  Senza  data. 

Gkl  lui  Donna  ha  Danno.  Opera  di  Tomaso  Sant'Agostini.  — «^ 
il  Honaa,  tevo,  lo-is.^ 


DlALem  LOHBARDI.  4  75 

/onaflionui  In  villa,  iiensand  d'ess  correspost ,  se  Iroeuva  ingannaa.  So- 
nfUo  di  I.  M.  —  Milano,  pel  Randellati;  tenza  data. 
Poesie  Tarie  toeeane  e  milanesi  di  Carlo  Maria  Blaggi.  —  Venexia,  1 700. 

Voi.  »,  ill-8.* 

Commedie  e  rime  in  lingua  milanese  di  Carlo  Maria  Maggi.  —  Milano , 
i7df .  Voi.  4  In-ta.^ 

Lo  stesso.  —  Venetia,  i708,  e  Milano,  if  il. 

Kuova  aggiunta  di  varie  poesie,  sì  in  lingua  milanese,  come  eroiclie»dl 
Carlo  Maria  Maggi.  —  Venezia,  f  70i. 

Sora  la  noeuva  sparsa  dal  Navarin  che  tomen  i  Franzes,  Sonett.  —  Mi- 
lana, t70«,  per  Pandolfo  Malatesta. 

La  Sala  degli  Incanti.  Opera  di  Sottoginio  Manasta  {Tomaso  Samfjitfo* 
ilìNo).  —  In  Cremona,  nella  stamperìa  del  Ferrari,  t7oa. 

La  Tartara  milanese ,  o  sia  il  Navétto  di  Baltrame  da  baggiano.  Alma- 
oaeeo  per  Tanno  1714. 

Bosinade  di  Gaspare  Fumagalli,  stampate  separatamente  in  Milano,  verso 
il  itm;  per  Francesco  e  per  Carlo  BolianL 

Raccolta  copiosa  dMntermezii,  parte  in  lingua  milanese.  —  Amsterdam, 

ITU.  Voi.  t  iB-lt.^ 

Due  Sonetti  di  Giuseppe  Clerici  Rossi.  —Milano,  pel  Montano,  seiua  dolo. 

La  2aiiforgna  infreglada  in  boca  a  un  pegoree  de  quii  nostran,  ec.  Lu- 
nari per  rann  biscstil  1794.  —  In  Milano. 

Relazione  nuova  sopra  la  pace  fatta  tra  la  Francia  e  rimperatort.— -Mi- 
lano, pel  Selonloak  Sinza  data. 

Lacrime  in  morte  d'un  gatto.  —  Milano,  pel  Marcili,  flf4f .  Qiinròpera 
ptèlicata  da  Domenico  Balestrieri  contiene  alquante  poesie  di  vari  autori 
in  dialetto  milanese. 

Umm  milanes  de  Meneghin  Balestreri  acadeyech  trasformè.  —  Milano. 
H44 ,  pel  Ghisolfi. 

lime  per  la  professione  religiosa  di  donna  Giulia  Sorniani.  —  Milano , 
1748,  per  C  Giuseppe  Ghislandi.  Ivi  trÒQonsi  sei  Sonetti^  del  Tanzi,  del 
BekUrieri,  del  Simonella  e  d'aUri. 

Il  flgUool  Prodigo  {di  Domenico  Balestrieri),  — Mììajìo,  17 47,  pel  MareUi. 

Lo  stesso,  oolla  versione  in  verso  toscano  di  G.  B.  Calvi.  —  Milano,  i7aa, 
pei  Ghislandi. 

Poesie  per  le  Nozze  Luvini-Barbavara.  ^  Milano ,  §748,  per  Giovanni 
Montano. 

U  Borlanda  impasUcciaU  {tniblieala  dal  conia  Pieiro  Verriy  —  Mila- 
no, 1781,  per  Antonio  Agnelli.  Contiene  un  Sonetto  in  diaietto  milanese. 

Poesie  per  le  Nozze  Durini-Rufflni.  —  Milano,  I78fl  ,  per  Gius.  Ridilno 
Mnlatesta.  M  trovasi  un  Sonetto  del  Tanzi  ^  ed  uno  del  Bakstrieri,  in 
dtsIeClo  wUUmese. 

n  Menegliln  Decan  {Pietro  Cesare  Larghi  decano  dei  tegrttarii  di  Co- 
^^tnio)  a  soa  zellenza  el  sciur  cont  Gio.  Lucca  Pallavisin ,  ec  —  Milano  » 


17%  PAETK  PRIMA. 

per  Gtos.  Richino  BlaUtesla.  Senza  data  (i75t-ii4).  Jtame  feitfne  te  dfc 
/el/o  miUmne. 

Versi  per  la  signora  Archilde  Naturani ,  che  veste  r  aMIo  relIffoM.  - 
Milano,  17 US,  per  Antonio  Agnelli.  M  iròposi  un  Sonetto  del  TknzL 

Versi  per  la  vestizione  monacale  della  signora  Archilde  NataraBÌ.-*-H 
lano,  17114,  per  Antonio  Agnelli.  Tt  $i  trovano  quattro  Somiii  del 

Poesie  per  monacazione  della  signora  Agudi.  —  M  pure 
Sonetti  in  dialetto  milanese. 

Alegreza  fatta  da  Beltramo  da  Cagiano  sopra  la  bondanza»  ec,  in 
rustica  milanese.  —  Milano,  per  G,  B.  Malatesta.  ^eiiza  data. 

Alia  virtuosissima  signora  Caterina  Gabrielli.  — *  Milano,  itm, 
tonlo  Agnelli.  Poeeie  raccolte  dal  Tanti ,  fra  le  quali  trò^atui  ira  Semaio 
del  medèiimo  in  ditUetto  mitanese. 

Le  due  eeguenti  poeeie  del  Baketrieri  e  dMOltoUna,  fiurono  eariUe  ma 
tro  il  P,  Branda  barnabita  che  leste  unapùbUea  Dissertaziene  coniru 
che  icrhono  in  diaietto. 

Brandana ,  ossia  la  Badìa  di  Meneghitt ,  ec.  Poesie  di  Domenieo 
strieri.  —  Milano,  I760,  per  Antonio  Agnelli. 

Baltramina.  Sestinedi  GarPAndrea  Oltolina. — Milano,  pei  Malatesta,  if  «i 

Le  cinque  poetie  teffuenti  furono  dettate  da  un  certo  dMer  Gamàkti 
in  difesa  del  P.  Branda^  contro  te  precedenti  di  Balestrieri  e  li'OftoliM. 

Meneghin  Gambus  del  Poslaghett  a  la  Badìa.  —  Milano,  per  Giat.  ■■ 
zuechelli,  I760. 

Sposa  Luganega  miee  de  Gambus  a  Baltramina.  —  lfliaiio»per  Gioten 
Mazzuochelli,  1760. 

Meneghin  Boltriga  del  Borgh  di  Goss  a  la  Badìa.  Sestine.  —  MUano^  pi 
Mazzucchelli ,  fl7eo. 

Meneghin  Sgraffigna  del  Pont-Veder,  al  meret  Imparegiabel  de 
Tandoeuggia,  Sonetto.  —  M, 

Meneghin  Tandoeuggia  a  Meneghin  Gambus.  —  Milano ,  per  Gius. 
ganza,  1760. 

Ottav  milanes  recitaa  a  Mombell  da  Meneghin  Balestreri ,  ec.  — 
I76S,  per  Federico  Agnelli. 

Poesie  per  vestizione  monacale  della  nobile  Regina  Godognola.  — 
senza  data.  Ivi  tròpansi  alcune  Sestine  del  Balestrieri  in  dialetto 

Poesie  milanesi  e  toscane  di  CarPAntonio  Tanzi.  —  Milano,  ifom,  pt 
Federico  Agnelli. 

Poesie  in  morte  del  rev.  don  Giuseppe  Ciocca.  —  Milano,  1766.  M  Irì 
vansi  diverse  poesie  vernàcole, 

tHmùSL  Perla.  Gomedla  in  tre  atti  di  MolarlgoBarigo(G<ró(aiiio  Almio)^* 
Milano,  pel  Nava. 

Strambott  de  Meneghin  Foresetta ,  in  occasion  del  matrimoni  de  la  li 
strissema  sdora  donna  Carolina  Carchena  col  scior  don  IseppGiteh.— V 
lano,  «768,  pel  Bianchi. 


DIAUttl  LOMBARDI.  175 

GonpooimenU  in  morte  del  conte  Gius.  Maria  Imbonati.  —  Mliaiio,  per 
Gius.  Galeazziy  1769.  Kt  si  Iròmno  due  Sonetti  ed  una  Canssem  di  Dome» 

Poesie  per  la  professione  religiosa  della  signora  Claudia  Folli.  —  Mila* 
no,  fiWB,  per  Antonio  Agnelli,  f^i  $i  legge  un  Sonetto  diGhu,  Bouari  in 
diaieiio  «rfldnete. 

La  GemsaleBBie  liberata  travestita  In  lingua  milanese  da  Domenico  Ba- 
lestrieri.—  Milano,  1772,  perG.B.  Bianchi.  Voi.  4.  La  «fessa  fu  ristampala 
nd  weffuaUe  anno  it78. 

Poesie  In  lode  di  Rosa  Brambilla  che  si  fa  monaca. —  Milano ,  pel  Mon- 
tano. Senstm  data,  M  tròoami  due  Sonetti  in  diatetto  nUlanese. 

Et  prim  Cant  deirorland  fùrios  deirAriost  tradott  In  lenguace  de  bu- 
seeoon  da  Master Linoeuggia  (fVoncefco  Pertusaii)  ficsu  della  eomaa  Seiam- 
pana.  —  Milano,  per  Giuseppe  Maixucchelli ,  1775.  tfel  prineipio  del  libro 
irèptati  UH  IMaiegh  tra  el  Llmmiggia  e  la  eomaa  Sciampana. 

Rime  toscane  e  milanesi  di  Domenico  Balestrieri.  —  Milano ,  i774.  Vo- 
lianl  a  fn-s.* 

11  Meneghino  critico.  Mmanacco  publieato  da  un  certo  Sommaruga  per 
q^^dsuUei  eÈmi  conseeuUpi,  cioè  dal  t77S  al  1789.  ConUene  molte  pregévoli 
jBoet te  milanesi. 

Poesie  per  le  none  Talenti-Castelli.  —  Milano,  i77e,  per  Antonio  Agnelli. 
GmlUne  alcune  Sestine  milanesi  dell'  ab.  6.  B.  Grossi. 

Et  Mlrabdl ,  Deliiia  sontuosa  del  cardinal  Durini ,  Ottave.  —  Milano , 

1778.  Stamp.  Malatesta. 

La  Rateila.  Intermezzo  diviso  in  due  parti.  Senza  data,  né  stampatore. 

Componimenti  poetici  per  vestizione  monacale  di  suor  Marianna  Bellasi. — 

Lugano,  1778,  per  gli  Agnelli  e  C.  /W  tròn^ansi  due  Sonetti  in  dialetto 

mianese. 

Per  nozze  Anguissola-Stampa.  —  Milano,  per  Gaetano  Motta,  1779.  Com- 
pmimasii  poètici,  fra  i  quali  due  sono  in  dialetto  milanese. 

Lyra  fnnebris,  in  morte  del  Balestrieri.  M  trovasi  un  componimento  mi- 
ftmese  intitolato:  La  mort  de  Meneghin  Balestrer  scritta  a  l'abbaaCarPAn- 
dreja  Oltoilna  d'Amsterdam,  in  d'ona  lettera  del  17  giugn  1780.  Questa 
poesia  è  di  Carlo  Grato  Zanella. 

Sei  Sonetti  milanesi  di  Giuseppe  Carpanl  sul  soggetto  della  comune  tri- 
stezza (la  morte  dell'imperatrice  Maria  Teresa).  —  Milano,  1780. 

Bora  la  mort  de  la  fu  augustissema  nostra  patrona  {l'imperatrice).  Can- 
zon  milanese  di  L.  M.  B.  —  Milano,  per  Giuseppe  MareUi,  1781. 

Notizie  Letterarie,  Giornale.  NelVanno  ii 94  trovami  lef^ersioni  in  dia- 
UUo  milanese  d*un  epigramma  di  Catullo  e  d'una  fàvola  di  Marmontel , 
per  òpera  delPab.  Morondi. 

L'inganno  in  casa  dell'ingannatore.  Commedia  per  Tanno  i78i(.  —  Mi- 
Uno,  per  G.  B.  Bianchi.  Ivi  i  personaggi  parlano  varii  dialetti. 
Pel  ritorno  delle. LL.  AA.  II.  RR.  l'arciduca  Ferdinando  d'Austria  e  i'ar- 


47ff  PARTE  PRIMA. 

ciduchessa  Maria  Beatrice  d'Este,  Ottave  milanesi  d'un  milanese  {GHuqiipe 
Carponi),  —  Milano,  pel  Marelli,  1786. 

Al  pìttor  Pietro  Gonzaga.  Sonett  sora  on  scenari  che  rappresenta  ona  co- 
sina. —  Milano,  per  G.  B.  Bianchi,  1788. 

Giudizj  de  Meneghin  tra  i  do  Lill.  Sonetto  alla  danzatrice  Cateriiui  vy- 
leneuve.  —  Milano,  G.  B.  Bianchi,  1788. 

I  Gonscj  de  Meneghin  a  Cech  e  Betta.  Almanacco  per  ranno  itm.  — 
Milano. 

Sonetti  per  gli  sponsali  dei  figli  di  Ferdinando  arciduca  d^Austrla.  — 
Milano,  1789,  pel  Pirola. 

Sestine  sulla  macchina  areostaUca  alzatasi  In  Milano  11  i9  giugno  I79i, 
di  Giuseppe  Garpani.  —  Milano,  pel  Marelll,  f  7»i. 

Poesie  per  le  Nozze  Saluzzo-Belcredi.  —  Pavia ,  1799.  M  frÒMicl  tdMi 
poaia  milaneie  di  Giuseppe  Bemankmi. 

Quadro  della  caccia  generale  data  in  occasione  d' una  fiera  cbe  Inietta 
le  campagne  del  ducato  di  Milano.  —  Milano,  1 799. 

El  Lavapiatt  de  Meneghin  ch''è  mort.  Almanacco  per  gli  anni  t799-#9w— 
Milano. 

Le  glorie  delle  armi  Austriache.  Versi  milanesi  con  note.  —  Mltano ,  per 
Francesco  Pogliani,  i79s. 

La  Batracomiomachia  d^Omero.  Parafrasi  in  Ottave  milanesi  del  P.  Ale»- 
Sandro  Garioni.  —  Milano,  pel  Motta,  1799. 

Per  el  sposalizi  Gaccia-Martignonl,  quatter  vers  alla  sposa  {di  Carlo  Gr§io 
ZaneUa),  —  Milano,  per  Gaetano  Motta,  1798. 

Rime  milanesi  e  toscane  pel  ritomo  delle  gloriose  armi  Auslriache  In 
Milano.  —  Per  Luigi  Veladini. 

II  B9rgo  degli  Ortolani.  Almanacco  per  Panno  1794.  —  Milano. 

Per  Laurea  in  filosofia  e  medicina  d'Angelo  Martinelli.  Versi  milanesi  di 
Giuseppe  Bemardoni.  —  Pavia,  1794,  stamperia  Cominiana. 

La  gran  torr  de  Babilonia.  Almanacco  per  Fanno  1799.  —  Milano. 

Poesia  per  Laurea  in  ambe  le  leggi  di  D.  Gabriele  Tosi  SiuHMielta.  — 
Pavia,  1799,  per  Baldassare  Cominl. 

Ode  a  Silvia  di  Giuseppe  Parini ,  colla  versione  milanese  di  FTanceseo 
Bellati.  —  Milano,  1798. 

Quattar  quarUnn  per  el  sposalizi  Ricci-Ceruti  (dt  C.  Grolo  ZaneUa).  — 
Milano,  per  Qio.  Bemardoni. 

Rime  mUanesi  di  Domenico  Balestrieri.  —  Milano ,  1799 ,  colta  stampe 
del  monlstero  di  s.  Ambrogio  Maggiore. 

El  Verzee  de  Milan.  Almanacco  per  Tanno  1799.  —  Milano. 

Invid  a  la  Malizia.  Componimento  pregévole,  senza  data,  ni  sfamjNUIorv. 

Lodi  alla  nazion  francese.  Versi  di  Francesco  Nava.  —  Milano ,  pel  8ir- 
tori,  1796. 

Quatter  rimm  de  Martin  Tacoogn ,  per  el  sposalizi  della  zittadina 
fletta  Besozia  coni  el  sdur  don  Francesco  Grass.  —  Ulano,  1797. 


DIALETTI   LOMBARDI.  177 

Alla  sdurt  D.*  Carolina  Pertusada  Sertoli,  miée  del  sciar  D.  Zèser  Sertoli, 
d  IO  papa  {Francesco  Pertusati).  —  Novara,  f7a7,  tip.  Vescovile  CaTalU. 

La  setlimaiia  grassa  con  la  prima  domlnega  de  Quaresima.  Almanacco 
per  Tanno  1787.  —  Milano. 

Versi  milanesi  di  Girolamo  Costa,  in  occasione  delfinnaliamento  delPal- 
bero  della  libertà  in  Piazza  Fontana.  —  Milano,  1797. 

Invid  al  popol  de  Milan  per  la  festa  della  resa  de  Mantova.  —  Milano , 
I7a7. 

Per  el  matrimoni  Giani-Pertusati,  Sestinn  milanes  del  pader  della  sposa 
(fVancefco  Pertutaii).  —  Milano,  1798,  per  Gius.  GaleaiiL 

Il  trionfo  democratico,  di  Girolamo  Costa.  Senza  data,  né  tiampatore. 

Versi  milanesi  di  Girolamo  Costa  per  la  festa  della  federazione  della  re- 
piil>blica  Cisalpina.  Senza  daia. 

La  piazza  di  Hercant  cont  on  poo  de  coin ,  ec  Almanacco  per  r  anno 
1799.  —  Milano. 

Meneghin  sott  ai  Franzes.  —  Milano,  1799 ,  per  Antonio  Guerini. 

Haccolta  di  rime  milanesi  e  toscane  pel  ritomo  dei  Tedeschi  in  Milano 
del  1799.  —  Milano,  per  Luigi  Veladini. 

Ultem  avis  che  dà  el  Bosin  a  chi  va  vestii  de  Giacobin,  ec,  1799.  Senza 
data,  né  stampatore. 

Qoader  bernesch  e  naturai  de  la  guardia  nazione  —  Milano,  1799. 

Veritaa  vera  e  real  del  circol  ditt  costituzional.  —  Milano ,  pel  Bolza* 

Di,  i799. 

El  diavol  coi  pee  dedree  eh'  an  faa  in  Milan  in  di  trii  ann  i  Republi- 
can,  ec.  ec.  —  Milano,  1799. 

L**  ombra  del  Balestreri  in  cerca  de  la  veritaa.  Almanacco  per  Iranno  laoo^ 

Collezione  di  poesie,  iscrizioni  e  prose  publicate  nel  reingresso  delle 
armate  imperiali  in  Italia.  Milano,  isoo  —  in-8.^  Risono  alcuni  sonetti  in 
dialetto  milanese, 

Bosinada  sui  Franzes  —  Che  fan  di  tutt  el  paes.  Milano;  senza  data  — 
in-i«.** 

Ottave  milanesi  per  la  festa  della  riconoscenza  della  repubblica  italiana 
(16  giugno,  1802  ).  Senza  data. 

£1  servitor  de  la  bon^  anema  del  pover  poeta  Balestreri.  Almanacco  per 
Panno  1804. 

I  Conti  d'Agliate.  Commedia  in  prosa  milanese.  —  Milano,  laotf ,  per 
Giacomo  Pirola. 

El  Caffè  de  la  reson.  Almanacco  per  Tanno  180«. 

Gomponiment  in  Milanes  faa  sui  fest  chi  del  paes  per  la  gran  coronazion 
del  re  d'Italia  Napoleon.  —  Milano,  iao8. 

Dialegh  tra  Pasquin  e  Marfori  sul  proverbi, oA  dess!  — Milano.  Senza  dala. 

Dialegh  tra  Taccola  e  Mar  fisa  sora  i  mpd  del  temp  prcsent.  —  Milano , 
pel  Tamburini,  1R06. 

Relazion  de  la  descesa  del  Ballon,  ec.  —  Milano ,  pel  Tamburini,  1807. 


178  PARTE  PRIVA. 

Il  Tobia.  Parafrasi  in  sesta  rima  milanese  del  P.  Alessandro  GarkNi{.  - 
Milano,  pel  Pirotta,  1808. 

Gomponimenl  per  Toccasion  di  zerìoMmi  e  di  fonzion  per  ^  battesoi  d 
la  bambina  de  la  nostra  vize-regina.  —  Milano,  pel  Tamburini,  iMS. 

Dodes  Sonett  d^on  Meneghin  del  Credo  vece  {di  Franeuco  ParitumU) 
sulla  moda  del  vestiss  di  donn  del  dì  d'incanir  —  Milano ,  I809,  pel  F 
rotta. 

Meneghin  Pccccnna.  Commedia  ridotta  ad  uso  d'Almanacco  per  V  wam 
1 809.  BUtampata  più  volte, 

Brindes  de  Meneghin  a  V  Ostarìa,  per  el  sposalizi  de  Napoleon  con  lùnri 
Luisa.  —  Milano,  pel  Destefanis,  I8f0. 

iUs  e  fasoeu.  Taccoin  per  Tann  I8ii.  —  Milano. 

Versi  milanesi  sulle  feste  datesi  in  Milano  per  la  nascita  delP  augvil 
primogenito  di  Napoleone  il  Grande.  —  Milano,  I8fli,  pel  Tamborìnl. 

Conversazion  d'on  quart  d'oretta  sul  propose t  della  cornetta,  ira  VeM 
ghin  Tirafuston  e  Marc'Astronem  Pelandon.  — Milano,  pel  Tamburini,  IMI 

Per  le  Nozze  Keysler-Sala.  —  Milano ,  per  Fusi  e  C.  M  trovami  $ei  S§ 
netti  in  dialetto  milanese  di  A.  A.  D,  {Ab,  Aneelmo  DefUippi). 

Dialogo  comico-crìtico  fra  un  servitore  ed  una  cameriera,  ec.  —  llflaac 
pel  Pulini,  1812. 

Per  el  matrimoni  Berz-Pertusati ,  Rimm  milanes  d' on  MeiM^hin  de  m 
eresila.  -»  Milano,  pel  Pirotta,  1818. 

La  Diesirs,  la  DiesiUa,  se  scoltee,  son  chi  per  dilla.  —  Milano,  pel  Tam 
burini,  isis. 

Dialogh  tra  Dondazia  e  Vigonzon.  —  Milano,  1813. 

Strambott  de  Meneghin  Foresetta  {Tommaso  Grossi) ,  in  occaslon  de  I 
Laurea  in  legg  del  sur  Pepin  Viglezz ,  ec.  Sestine.  —  Milano ,  pel  PnU 
ni,  f8i8. 

El  Testament  del  Carnovaa.  —  Milano,  pel  Tamburini,  i8fs. 

Meneghin  Peccenna  servitor  de  trentatrii  padron  e  mezz.  Almanaceo  pe 
Tanno  1814.  —  Blilano. 

I  GarbuJ  del  fioeu  de  Meneghin  Peccenna.  Almanacco  in  dialetto  mileam 
publicato  dall^anno  ibi 4  «ino  al  1827.  —  Milano. 

Vocabolario  Milanese-ItaHano  di  Francesco  Cherubini.  —  Milano,  stami 
reale,  1814. 

Le  due  Gemelle,  ossia  il  seguito  delle  Avventure  di  Meneghin  PeoeemM 
Commedia.  —  Milano.  Senza  data. 

Pel  faustissimo  arrivo  in  Milano  delle  LL.  MM.  II.  RR.  Francesco  I  e  Mni 
Lodovica.  Ode  in  dialetto  milanese  di  Gius..  Carpani.  —  Milano ,  per  do 
vanni  Pirotta,  I8i». 

Meneghin  Peccenna  impresari  de  tajater.  Almanacco  per  ranno  iste.— 
Milano. 

Quatter  vers  per  Tarriv  in  Milim  di  So  Maestà  Timperator  Francese  I  < 
rimperatris  Maria  Luvisa.  —  Milano,  per  Sonzogno  e  C.  lai 8. 


DIALETTI   LOMBARDI.  |79 

Brindes  de  Bleneghia  a  Postarla  per  Tentrada  in  Milan  de  80¥a  Majstaa 
Franxesch  I,  ec.  —  Milano,  per  Ant.  Fortunato  Stella,  isis. 

Mnui  in  alegria  per  Tariv  de  sova  Majstaa  I.  R.  A.  Franxesch  I.  —  ifl. 
lamo,  pel  Tamburini. 

Il  Nuovo  Sigillara.  Almanacco  per  l'anno  isi».  —  Milano. 

Vita  di  Ciarlatan.  Sestine  milanesi.  —  Milano,  isie. 

Per  le  Nozse  di  S.  M.  r  imp.  Francesco  1  con  S.  M.  r  imp.  Maria  Luigia 

fl^Ausiria.  Anacreontica  milanese  di  Giuseppe  Carpani,  scritta  Panno  I8O8. 

Milano,  per  Gio.  Pirotta,  iste. 

Terzine  ndlanesl.  —  Milano,  iste,  pel  Destefanls. 

L'*ultem  a  compari  Pè  Gambastorta,  o  sia  Giornal  e  Lunari  per  Pana  M- 
sesUl  1816.  —  Milano. 

Collezione  delle  migliori  opere  scritte  in  dialetto  milanese.  —  Milano  » 
per  Gio.  Pir0tta,  I8i«-i7.  Voi.  xn. 

RImm  scemii  del  Balestrer.  Tacooin  per  Pann  blsestil  I8IB.  —  Milano, 
per  Ferdinand  Baret. 

Commentario  sopra  un  Sonetto  scritto  in  dialetto  milanese ,  ec.  —  Ml- 
ìmno,  1816,  per  Gio.  Plrotta.  Qttesto  ognueslo  è  di  Domenico  Soldati  ,  ed 
il  Sonetto  illuitrato  è  quel  rinomato  del  Porta  che  incomincia:  i  paròU 
d^on  lenguà^,  car  sir  Manèl,  ec 

Meneghln  Peccenna  garzon  de  cusina.  Taccoin  per  Pann  t8i6.  -^  Milano. 

In  morte  del  conte  Ignazio  Sforza  del  Bbjno,  Ottave  milanesi. — Milano, 
pel  Buccinelli,  1817. 

Meneghln  Peccenna,  che  col  lanternon,  ec  Taccoin  per  Pann  1817.  >• 
Milano. 

Versi  milanesi  in  morte  del  sacerdote  Gio.  Antonio  BonanomL  —  Mila- 
no, 1817. 

Rime  milanesi  del  conte  Francesco  Pertusatl.  —  Milano,  I8I 7,  pel  Pirotta. 

El  di  del  san  Michee,  taccoin  tutt  da  rid  per  Pann  i8i7.  —  Billano. 

La  fuggitiva.  Novella  in  dialetto  milanese  di  Tommaso  Grossi,  colla  Ira- 
suzione  Ubera  italiana  dello  stesso.  -—  Milano,  i8t7,  pel  Pulini. 

Pel  fausto  ingresso  in  Milano  di  S.  A.  I.  R.  P  arciduca  Raineri.  —  Milano, 

1818 ,  per  Gio.  Bernardoni.  M  trovasi  una  poesia  milanese,  intitolata:  - 
Bositt  de  Milan. 

Meneghln  Peccenna  medegh,  avocat,  ec.  Taccoin  per  Pann  1  ai 8.  — Mi- 
lano, pel  Buccinelli. 

Sogn  de  Meneghln  in  Poccasion  che  Monscior  Carla  Gajtan  de  Gaisrouch 
e|  fa  la  sova  Intrada  in  Milan,  I8i8. 

Per  el  matrimoni  Verr  e  Borromeo.  Sestine  di  G.  e  V,{Tomtnaso  Grossi 
«  Carlo  Porta),  —  Milano,  t8i9. 

il  Romanticismo.  Sestine  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Porta.  —  Milano, 

1819,  per  Vincenzo  Ferrarlo. 

L^  eredi taa  del  matt  fachin  che  sta  sul  pass  de  s.  Martin.  Taccoin  per 
Pann  I8f9.  —  Milano,  pel  Tamburini. 


186  PARTE  PRIVA. 

Amor  di  figlio  e  avidità  delForo.  Novelletla  in  ottava  rima  niluM» 
Milano,  1819. 

Per  la  Laurea  in  legg  de!  sur  marcbes  Yitalian  d'*Adda  e  del  sor  Dl  Ai 
toni  Citteri ,  on  Torototella  de  Porta  Renza.  —  Milano ,  per  Giovuini  H 
vestri,  f8ss. 

I  Stagion,  di  Volonteri  Carlo.  —  Milano,  i  ess ,  pel  Plrotta. 
Raccolta  de  Proverbi  milanes.  Almanacco  per  Tanno  istt.  —  MIUdM 

pel  Yallardi. 
Meneghin  soffistec.  Tacco! n  per  Tann  noeuv  1 8ss. — ^Milano,  pel  TamlMurtai 

II  figliuol  prodigo.  Parafrasi  in  sesta  rima  di  Domenico  Balestrici.— ->■ 
lano,  18S8,  pel  Rivolta. 

Poesie  edite  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Porta ,  colP  aggiunto  di  4i 
componimenti  di  Tommaso  Grossi.  —  Italia  (Lugano),  18S8. 

Per  ona  Messa  noeva.  Strambo! t  (di  D.  Giulio  Batti).  —  Milano»  tt« 
per  Angelo  Bonfantl. 

Le  donne  non  han  torto.  Almanacco  milanese  per  Tanno  i8t».«— Mbn 
per  Giovanni  Silvestri. 

Fantasie  di  bestie.  Almanacco  milanese  per  Tanno  isso.  —  Mbmo»  pi 
G.  B.  Bianchi  e  C. 

Pasta ,  Rubini  e  Galli  al  tempio  della  Gloria.  Visione  in  sesta  rima  ■ 
lanese  di  G.  F.  M.  —  Milano,  issi ,  per  Pasquale  Agnelli. 

La  Galleria  De-Crìstoforis.  Sestine  milanesi  di  Carlo  AnglollnL— Iffitn 
pel  Crespi  (1882). 

IBottegh  della  Gallarla  De-Cristoforis,  Sestine. —  Milano,  pel  DovR(f  MS 

Sont  de  Carella.  Taccoin  per  Tann  1855.  —  Milano,  perOmobono  Maail 

Lettera  de  Meneghin  a  Cecca  sul  cunt  de  M.*  Malibran-Garcia.  SesUi 
milanes  de  Carlo  Angiolin.  —  Milan,  per  Giuseppe  Crespi  e  C,  18«4. 

Meneghin  de  Pavia  el  va  a  Milan  per  senti  a  canta  la  Malibran.  8est 
rime  In  dialetto  milanese  di  Carlo  Cambiaggio.  —  Pavia,  pel  Blzsoni,  tM^ 

Per  T  arrivo  delT  esimia  artista  cantante  Maria  Garcia*MalÌbran  in  Vmm 
zia.  Seste  rime  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Cambiaggio.  —  YeneziRy  MfN 
grafia  di  Commercio  (i8S«). 

Poesie  in  dialetto  milanese  di  CarT Alfonso  Pelizzoni.  —  Milano,  ilpogrtl 
de^ Classici  Italiani,  isss. 

L^amls  di  donn  ;  taccoin  per  Tann  blsestll  I8S6.  — >  Milano,  per  Sani 
Bravetta.  Questo  almanacco  continuò  per  sei  anni  comeeutiH,  dal  tti 
al  1841. 

Miscellanea  de  poesii  milanes  de  C.  B.  Almanacch  per  Tann  bisestll  t8M*- 
Milano ,  per  Cavalletti. 

L^arte  poetica  di  Q.  Orazio  Fiacco  esposta  in  dialetto  milanese  {dai  io 
tor  Gioponni  Baiberti),  col  testo  a  fronte.  —  Milano,  per  Sambnuiiod-V 
smara,  18S6. 

LUvarizia,  Satira  prima  di  Q.  Orazio  Fiacco  esposta  in  dialetto  milaass 
{dal  dottor  Giovanni  Baiberti),  —  Milano,  iss?,  per  Sambrunlco^Vismtr 


DIALKm  LOMBARDI.  481 

Poesie  scelte  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Porta  ^  eolla  comi-tragedia  ed 
altre  poesie  di  Tommaso  Grossi ,  del  Larghi ,  Balestrieri ,  Bossi ,  Zanoja  e 
Bertani.  — Jlilano,  1837,  pel  Ferrarlo. 

Carolina.  Novella  in  dialetto  milanese  con  altre  poesie  di  Ferdinando  Val- 
camonica.  —  Milano,  1888,  pel  Rivolta. — Ivi,  i84i,  per  Placido  Maria  Vis^g. 

n  Lamento  di  Cecco  da  Varlungo  In  dialetto  milanese,  tentativo  di  C.  P. 
<C.  Partutati).  —  Como,  pei  figli  di  CarPAnt.  Ostìnelli,  1858.  Estratto  dal 
II.*  14  della  Gazzetta  PrcHnciale  di  Como, 

Penser  de  Meneghin  ch^  el  ven  a  Mllan  per  ved  Timperator ,  per  sbatt 
i  man.  Sestinn  mllanes  de  A.  A.  — •  Milano,  per  Felice  Rusconi,  1888. 

EI  vott  settember  18S8.  Poesia  in  onor  de  S.  M.  rimp.  Ferdinand  L  — 
Milano,  pel  Malatesta,  1858. 

La  sarà  Cecca  di  birlinghitt,  proverbio  milanese.  Almanacco  per  Panno 
tB89.  — >  Milano,  per  Tamburini  e  Yaldoni, 

L^arte  di  ereditare.  Satira  V  del  libro  II  dì  Q.  Orazio  Fiacco, esposta  in 
«Ualetto  milanese  dal  medico-poeta  {Gio,  Raiberti).  — Milano,  t8S8  ,  per 
Sambnmico-Vismara. 

n  Boote  parturiente,  favola  di  Fedro  esposta  in  dialetto  milanese  da  G. 
F.  M.  —  Milano,  pel  Manlni,  1859. 

Vocabolario  Milanese-Italiano  di  Francesco  Cherubini.  —  Milano ,  I.  R. 
stamperia,  1840-44.  Voi.  4. 

Poesie  scelte  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Porta  e  di  Tommaso  Glossi , 
illustrate  con  disegni  originaH.  —  Milano,  per  Guglielmini  e  RedaeDI,  i84e. 

Le  strade  ferrate,  sestine  Milanesi  del  medico-poeta  {Gio,  Maiberti).  — 
Hilano,  per  Guglielmini  e  Redaelli,  1840. 

Descrizione  della  strada  ferrata  da  Milano  a  Monza,  ec.  Ottave  milanesi 
tii  Tommaso  Magistretti.  —  Milano,  per  Boniardl-Pogliani ,  1840. 

La  cucagna  per  1  Omnibus,  col  fanatismo  di  Milanes.  Sestinn  de  Leopold 
llarziQ;1i.  Milano,  per  Tamburini  e  Valdoni. 

CarTAmbroBUS ,  versi  milanesi  di  Giovanni  Ventura.  —  Milano ,  per  Gu- 
^lietmlni  e  Redaelli,  i840. 

Amicizia  e  Tolleranza, Satira  di  Q.  Orazio  Fiacco  esposta  in  dialetto  mi- 
lanese dal  dottor  Gio.  Raibertl.  —  Milano,  per  Giuseppe  Bernardoni,  1841. 

Poesie  edite  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Porta,  con  due  componimenti 
dì  T.  Grossi.  —  Italia,  1841  (Xn^afio^  per  Giuseppe  Buggia  e  C). 

DiciarJ  e  narrazion  su  Tecliss  del  8  luj  184S,  Sestinn  de  Leopold  Bar- 
zagh.  —  Milano,  1842 ,  per  Tamburini  e  Valdoid. 

t^ratter  sestinn  su  recCss  del  i84t  de  R.  G.  — Milano,  pel  VlsaJ,  i84t. 

Desmenteghet  minga  de  mi.  Strenna  meneghina. — Milano,  per  Giuseppe 

Chiusici  845. 

Lo  stesso,  per  Tanno  1844.  —  Milano,  per  Giuseppe  Chiusi. 
I>escrÌzione  e  ragionamento  sulla  strada  ferrata  da  Milano  a  Venezia , 
rime  milanesi  di  Leopoldo  Barzaghi.  —  Milano ,  per  Tamburini  e  Valdoni. 

1S45. 


189  PAETE  PRmA. 

Una  notte  d'inferno  y  Sestine  in  dialetto  milanese  di  Carlo  Cagnoni. 
BNlano,  per  Tamburini  e  C,  IIU4. 
Poesie  Italiane  e  Milanesi  di  Giovanni  Ventura.  —  Milano,  tM4. 


LoDKum. 

La  Sposa  Francesca,  Commedia  del  conte  Franeeseo  de  Lemeiie.  —  Lòdi , 
per  C  Gius.  Astorino  Sevesi,  1769. 
Lo  stesso.  —  Lodi,  per  Giovanni  Pallavicini,  isis. 

Comasco. 

Rimm  in  lengua  comasca ,  per  vestizion  de  la  sdora  Cecchina  CarUa. 
Senza  data,  né  stampaiore, 

A  ol  Franzesch  Olivee,  par  numerada  dit  a  ol  Colombee,  al  cerca  de  toma, 
in  grazia  ai  lustrissim  so  scior  patron,  ec.  —  Como,  isoa,  per  Carl^Antonii^ 
Ostinelli.  Questo  componimentQ  in  prosa  cowuuca  è  del  ctmànieo  OaUonf 
di  Como. 

TicniBSB. 

Rabisch  dra  Academiglia  dor  Compà  Zavargna  Nabad  dra  Val!  d^Brega 
e  dHucch  i  su  fidlgl  soghit,  con  ra  ricencigiia  dra  Valada.  Or  cantò  di. aver- 
sarigl  sdanscia.  —  In  Milano,  per  Paolo  Gottardo  Pontio,  laM,  iii-4.*  ^-> 
Lo  stesso  in-i6.  Milano,  per  G.  Batista  Bidelli,  l«S7. 

VlABARBSB. 

L' invenzione  della  Santa  Croce.  Tragica  rappresentazione  posta  in  atto 
scenico  da  Michelangelo  Fantini  da  Colla.  Operetta  non  men  devota  che 
curiosa.  —  Fiorenza,  nella  stamperìa  Masi  e  Laudi,  less ,  in«8.^  /fMTMh 
naggi  di  questa  bizzarra  rappresentazione  sono  24  ;  ^a  i  quali  tm  Cialh 
baftino  parta  il  dialetto  dei  facchini  del  ijago  Maggiore  »  ed  un  Capitam 
Francese  tm  gergo  francese-italiano, 

Statut  dia  gran  Bedie  antighe  dol  Fechin  dol  lagh  Mejò,  fondò  in  Mllan , 
amplificò  in  tol  ann  present  ìhù,  —  Senza  nome  di  stampatore^  che  fu 
G,  B.  Bianchi. 

La  legrie  che  ven  in  Milan  con  la  Bedie  doi  fechin  dol  lag  Mejò.  —  Mi- 
lano, per  Federico  Bianchi,  17S5. 

AI  Zelentissem  sior  Gucrnetó  ol  sior  cont  Colleres ,  ec;  quattro  Sonetti 
in  dialetto  della  Valle  Intrasca.  —  Milano,  per  Federico  Bianchi»  A7S8. 

Compagnie  d' fechin  dol  lagh  Mejò,  in  tol  nà  a  cà,  despò  jess  stagg  a  A*l 
Camevaa  chilo  a  Milan,  Sonett.  —  Milano,  per  Federico  Bianchi,  i7S8. 

L'Abbaa  con  tutt  la  so  megnifiche  Badie  doi  fechin  dol  lagh  Mejò  fa  re- 


DIAUm  LOMBARDI.  185 

ynrenie  a  ol  Guernetò  d' Harrach ,  Ottave.  •—  Milano ,  per  Giuseppe  Ma- 

1748. 

Looeiade  dot  Compaa  Struse  Polente^  par  Jess  nagg  in  tla  foppe  ol  com- 
Besbili,  e  defese  dia  lengue  fachine,  Ottave.  Ifilan ,  per  Togn  Agnell, 
CT«o.  —  Questo  componimento  fu  scritto  contro  il  P,  Branda^  per  la  Bis- 
werUszione  da  lui  letta  contro  la  letteraiura  vernàcola. 

La  megnifiche  Bedle  dei  fechin  dol  lag  Mejò  V  a  fagg  rissulvizion  da  gni 
ligia  a  Ifilan  a  fa  ol  chernevaa ,  17«4.  Quattro  Sonetti.  —  Mlano,  per  G. 
B.  Bianchi. 

Ol  compaa  Merlin  entich  con  doi  elt  so  compagn  par  sV  agnade  o  vò 
iSmnass  in  Milan.  —  Milano,  per  G.  B.  Bianchi,  ^^^nza  dala. 

A  soe  Eltene  Serenissime  el  sior  Duche,  la  Badie  doi  fechin  o  fa  ringre- 
Kiement.  Due  Sonetti.  —  Milano,  per  G.  B.  Bianchi,  1704. 

La  roaee  doi  marasg  vergoo  sgiù  a  trova  ei  so  tà  ,  o  teu  pertenie  dai 
sior  d^ Milan.  Sonett  —  Milano,  per  G.  B.  Bianchi,  i7««. 

La  Balle,  leoeojn  par  la  guade  del  I7e«.  — Milano,  per  G.  B.  Bianchi. 

BnCAMASCO. 

Lanento  di  pre  Agustino,  messo  in  Cheba^  e  condanato  a  pane  et  acqua. 
Smxa  data  (lais).  M  fine  di  questo  piccolo  componimento  trovasi  una 
^arzeUetta  in  diaietto  bergamasco. 

Frottole  nuove  de  Lazaro  da  Crusola.  Con  una  barxeletta  et  alcune  stanze 
%  la  schiavonesca  et  due  Barzelette  a  la  Bergamascha.  Senza  dola,  in  8.^ 

Egloghe  Pastorali  di  Andrea  Calmo.  —  Venezia,  per  Gio.  Battista  Bertaca- 
Sno,  1583,  in-8.^  Questo  libro  contiene  quattro  farse  giocose,  nelle  quali  i 
penonaggi,  oltre  al  dialetto  veneziano,  parlano  il  rùstico  padovano Jl  ber- 
gamasco e  l'italiano  corrotto  dei  Dàlmati,  Furono  ristampate  più  volte, 
ttgè;  in  Venezia  1888,  in-8.®—  Venezia  1889,  in* 8.^;  Venezia,  per  il  de 
Warri  i88i,  in- 8.^  eneUa  raccolta  intitolata:  Opere  diverse  di  messer  An- 
drea Calmo.  Trevigi,  per  Fabrizio  Zanetti,  1600,  Ìn-8.^ 

La  Spagnola.  Comedia  di  Scarpella  bergamasco  (Andrea  Calmo),  —  Vi- 
DegU,  al  segno  di  S.  Mosè,  1840.  in-e.®  Ivi  pure  i  personaggi,  oltre  al  ve- 
meziano,  parlano  i  didUtti  rùstici  padovano,  bergamasco  e  tedesco  corrotto. 
Se  fu  fecero  varie  ristampe,  cioè:  Venezia,  per  Stefano  degli  Alessi,  1888, 
l^ft.® —  Trevigi,  per  Domenico  Cavalcalupo,  i888,ln*8.^ — Venezia,  1861, 
Itt-ft.**;  Veaezia,  18^8,  In-e.®  —  Trevigi,  per  Fabrizio  Zanetti ,  laoo,  in-a."* 

La  Pozione.  Comedia  facetissima  in  diverse  lingue  ridotta  da  Andrea 
Calmo.  —  Venezia  per  Stefano  degli  Alessi,  184S.  —  Ivi ,  1860.  — Trevigi, 
pel  Zanetti,  looo. 

n  Salluzza.  Commedia  {di  Andrea  Calmo).  —  Vinegia,per  Stefano  degli 
Aie88l,  1881 ,  in-e.°  È  scritta  in  prosa  ,edi  personaggi  vi  parlano  varii 
^iaUtU,  tra  i  quali  eziandio  il  bergamasco. 

La  lodiana.  Coaimedia  {di  Andrea  Calmo,  attribuita  a  torto  da  alcuni 


184  PAETB  mnu. 

ai  Anodo  Aeolw).  —  Yaaeiia  pef  Stefuio  ctagli  AtaitiyfMt»  ÌHpS»*  -'^IMr- 
9onaggi  vi  pàrkmo  parti  dialetti^  fra  i  quali  il  bergamoieo.  Fk  HM^^pola 
più  9oUe;  in  Venesla,  per  DoBienico  Farri ,  mai ,  in-a.**— Teneri^  taas, 
in-a.** — VeDeiia,  tasa,  in-ia.®  —  Vioenia  ia84,  in-ia.*  —  VioenjEay  laaa, 
In-a.o 

n  Travaglia.  Commedia  (di  Andrea  Calmo),  -^  Veiieiia,per  Sielano  de- 
gli Alessl,  f  aaa ,  in-a.^  Come  nelle  altre  j  fra  i  varii  dialeiU  td  ti  parta 
da  un  pedante  il  bergamatco,  e  fu  riitampata  in  Yenexla ,  per  Doneoioo 
Farri,  nel  laai,  in-9,^  e  nelle  opere  diverse  del  Calmo.  Trevigi  laoo  iii-a.'' 
JHeeitette  tono  gli  Attori  in  quetta  Oomedia,  che  9i  partano  vari  tinguaggi, 
cioè,  bergamatco,  veneziano,  trevigiano,  itaJUhgrecOs  itaUhUato  ^  ronnteo» 
ed  un  latino  pedantetco.  Indeterminato  è  il  ninnerò  delle  comeUe,  che  fk^ 
rono  rappresentate  e  pMicate  nel  corto  del  tecolo  Xyi»  e  nette  queM  il 
diatetto  bergamatco  unitamente  ad  altri  dialetti  d'Italia  Me  parte.  Batterà 
avvertire,  che  il  Burattiti,  i  dìie  Zanni,  Arlocchino  e  Soaptno  irono  i 
pertonaggi  che  lo  parlavano,  e  che  a  vicenda  furono  introdotti  nella  tnag^ 
ffior  parie  delle  produzioni  di  questo  gènere.  Tra  gli  scrittori  di  tùnili 
eomedie,  oltre  ai  già  mentovati,  ti  dittinte  Antonio  Molin  veneaiano  ^ 
it  quale,  rappresentandole,  contraffaceva  si  bene  i  linguaggi  greco-vèneto, 
dèimato-vèneto  e  bergamasco ,  che  fu  denominato  il  BotcUf  dett^aià 
tue  produzioni  furono  publicate  sotto  il  mentito  nome  di  ManoU 

Le  bizzarre ,  faconde  et  ingeniose  rime  piscatorie  di  Andrea  Calmo, 
due  Comedie  in  varii  dialetti,  fra  i  quali  anche  il  bergamatco»  — 
sia,  taaa. 

n  Sergio.  Comedia  nuova  e  piacevole  di  Ludovico  Fenarolo.  •*-  Vi 
per  Bolognino  Zaitieri,  taea.  —  Ivi ,  per  Franco  Ziletti ,  laaa^sa.  —  ivi  ^ 
per  Lucio  Spineda,  leoi,  in-s.*  Fenti  tono  i  pertonaggi  di  quetta  Ctmedia^^ 
ateuni  dei  quali  parlano  i  dialetti  bergamatco  e  veneziano. 

Vocabolarium  breve,  in  quo  continentur  vocabuia,  qun  in  frequentìor^K 
Qsu  versantur ,  cum  italica  voce ,  Gasparini  Bergomensis  magistrf .  — 
diolani,  lae».  /avvertati,  che  invece  della  voce  italiana  è  quivi 
atta  latina  la  vernàcola  bergamatea. 

Commedie  del  famosissimo  Ruzante  {Angelo  i^eotoo).  — yeneiia,per  Gle. 
Bonadio,  taea,  in-a.®  Sebbene  tcritte  in  dialetto  rùtUco  padeivano^ 
Comedie  racchiisdono  talvolta  pertonaggi  che  partano  dialetti  ettrènet 
ira  i  quali  il  bergamatco.  Furono  ttampate  da  principio  teparatamenie^ 
rittampate  unitamente  ad  orazioni,  ec.  dello  ttetto  autore.  ^->  la  Yloanaa, 
per  Giorgio  Greco,  1084,  in*8.^  e  ptii  volte  ancora. 

La  Vedova.  Comedia  di  Gio.  Batista  Cini,  rappresentata  alFhonare 
Serenissimo  Arciduca  Carlo  d'Austria,  fìorenza  pel  Giunti,  latt,  lo-a.* 
OH  attori  in  quetta  Comedia  tono  dieci,  fra  i  quali  it  Burchietto  emviÈort 
parla  il  dialetto  bergamasco,  Francesco  Otta  il  napolitano,  Marimit^ 
^ano ,  Fiacca/vento  il  siciliano. 

Sopra  la  presa  de  Margaritin,  con  un  dialogo  piacevole  di  un  Greco  e< 


MAurm  LonAEDi.  I8K 

di  OB  ftehlnoii  operetta  di  Manoli  Blessi  (jHUfmio  Moiin).  —  Venezia ,  per 
Àmànm  MbmIiIo,  f  nri ,  iii-4.*  M  il  Facchino  parla  il  dialetto  bergamasco. 

Tanoll,  tum  Ialina,  tum  etrusca,  tum  bergomea  lingua  compositi,  cara 
r.  Bmaani.  —  Brixias,  i«74. 

Le  due  Persilie.  Comedia  di  Giovanni  Pedini.  —  flrenie,  itfss. 

Opera  nuova,  nella  quale  si  contiene  il  Maridazzo  della  Brunettina,  so- 
letta di  2an  Tat>ari  Canaja  de  Val  Pelosa ,  e  una  Villanella  Napoli  tana  in 
Hmìogo,  oon  un  Sonetto  sopra  TAgio.  —  In  Verona^  per  Bastiano  e  Giovanni 
laile  Donne.  Senza  data,  QuaVòpera ,  oltre  cU  dialetto  bergamasco  ,  roe- 
Mide  eÀtiemaii  i  linguaggi  francene^  tpagnuolo,  napolitano^  romano,  fUh 
ttUino,  botognacs  mantovano  e  veneziano.  Fu  ristampata  in  Brescia  nel 

IMI,  ill-8.* 

Aurora ,  Favola  pastorale  di  Ottavio  Brescianini  Bresciano ,  detto  il 
adBMflco.— Padova,  per  Lorenzo  Pasquati,f«88,  Ìn-8.*  Un  dottore  berga- 
mmtco  nel  Pròlogo,  e  Zamàerlino  personaggio  della  Fàvola,  vi  parlano  il  dia- 
ìeUo  berffoenateo, 

n  terao  libro  delle  Canzonette  a  tre  voci  di  Adriano  Banchieri  Bolognese, 
MItoiato  :  Studio  dilettevole  nuovamente  con  vaghi  argomenti  e  spasse- 
rM  intermedj  fiorito  dall' Amfipamato.  Comedia  musicale  dell' Eccellen- 
lastaio  Horatio  Vecchi. —  Milano,  per  r Erede  di  Simon  Tini  e  Glo. 
nraneesco  Besozii,  i  eoo.  M  gli  attori  pàrkmo  e  cantano  nelle  varie  faivelle 
Uattana,  bergamasca,  veneziana,  bolognese,  spagnuola,  ed  italo^ebràiea. 

n  Tradimento  amoroso,  Comedia  nova  non  meno  piacevole,  che  ridi- 
«loaa  di  Biagio  Maggi.  —  Padova,  pel  Bolzetta,  1 604,  in-8.®  Kif  si  parlano 
wtUdisdeUi. 

La  Silvia  errante.  Arcicomedia  capricciosa ,  morale,  con  gli  intermedj  in 
di  Bernardino  Cenati.  —  Venezia,  180«.  Ristampata  pel  Combi,  nel 
/  personaggi  sono  ventisei,  due  fra  i  quali  parlano  il  dialetto  ber- 
mosco, 

1  Maritarsi  per  vendetta.  Opera  di  Giacinto  Andrea  Cicognini,  dedicata 

ligBor  Ludovico  Piccini.  —  Venezia.  Sema  data.  Ivi  un  domèstico  ehiar 

\»  Passarino  parla  il  dialetto  bergamasco,  ed  Arlecchino  il  veneziano. 

\  Farinella.  Inganno  piacevole  di  Giulio  Cesare  Croce.  —  Bologna,  per 

irlo  Baldini,  leoo.  Ivi,  pel  Cocchi,  tesi.  Jl  facchino  Stramazzo  vi 

1  tt  dialetto  bergamasco. 

spiro.  Tragedia  di  Pietro  Ingegneri.  —  Vicenza,  1 808.  Fi  sono  iniro- 
i  éUUetti  bergamasco,  veneziano,  ed  un  gergo  vèneÌo4edesco, 
dilna.  Favola  di  diletto  di  Fortunio  Balli.  —  Vicenza,  I808.  Fi  sono 
V  i  dialetti  bergamasco,  veneziano  e  padovano. 
4irleeio,  Favola  boschereccia  di  Giacomo  Guldozzo  da  Castel  Franco, 
•ente  data  in  luce  da  Lodovico  RiccatodaCastel  Franco. -^Venezia 
•èomo  Vincenti,  leio,  in-8.^  Ivi  un  Buraitino  parla  il  bergamasco. 
Imipala  in  Venezia  da  Alessandro  Vincenti,  nel  fOSi. 
li  Dei ,  Favola  pastorale  piacevolissima  di  Ercole  Cimilotti  Estuante, 


180  PARTE  PRnU. 

AGcademieo  Inquieto.  —  Pavia,  perGiambat.  Roaai,  f  «f 9,  in  it.**  Um  i 
raiUmo  e  il  Zanni  9i  parlano  il  dialetio  bergamateo.  Fk  ri$lampa9m  i 
IMO,  in  Venezia ,  da  Alessandro  de  Vecdd. 

La  Magìa  d'Amore.  Favola  pastorale  di  Matteo  Pagani  Sonano, 
mico  Unito,  detto  il  Vigilante. —  RoneigUone,  appresso  Lndovieo 
Lorenzo  Lupi,  laio,  in-is.*  /  prindpaU  aUorim  parlano  i  dfoisftf  èm% 
mosco,  veneziano  e  napoliiano.  Monsù  Ghiliel  parla  tm  gergo  ilakhfnmm 

Sonetto  de'  Ungoaggi  rìdicolosi  di  Veggi  Alanio,  detto  Zan  Itattnfrìi^ 
Venezia,  taso.  Immenso  è  il  nomerò  dei  componimenti  d* oecosiofM  In  é 
letto  bergamasco,  publicati  nei  corso  del  sècolo  Xyi ,  dei  quali  trim 
doviziosa  raccolta  nella  Biblioteca  Marciana. 

Canzonetta  in  Bergamasco  di  Veggi  Alanio.  —  Venezia,  iato. 

Il  Scacciasonno  di  Camillo  Scaligeri.  —Bologna,  pel  Magnani,  tMS»!»^ 
Onesto  libro  contiene  una  Comedia  in  varii  dialetti,  tra  i  guatt  «sitfM 
il  bergamasco. 

I  Trastulli  della  villa  disUnU  in  sette  giornate,  ec.  di  Camillo  SeaUgnrL 
Bologna ,  pel  Mascheroni ,  laav ,  in-8.*  QuesV  òpera  fa  ristatnpmin  te  1 
nezia,  pel  Giuliani ,  nel  i «a?,  e  contiene  alcune  Novelle  con  varil  éMM 
fra  i  guati  il  bergamasco. 

V  Inavvertito,  ovvero  Scapino  disturtiato  e  Mezzettino  traTagUaUlu  I 
media  di  Nicolò  Barbieri  detto  Beltrame.  —  Torino,  tato,  in-tt.*  -*  1 
nezia,  per  Angelo  Salvadori ,  taso. 

Ragionamento  sopra  la  poesia  giocosa  d'un  academico  Aldeano  (  Om< 
lomòono  Bresdanini).  —  Bergamo ,  leso.  M  trovati  un  Saggio  della  à 
tamòrfosi  d'Ovidio  tradotte  in  lingua  bergamasca  dallo  stesso  BmdmKà 
mòna/co  cassinense  e  gentiluomo  bresciano. 

La  Pirlonea.  Commedia  in  dialetto  bolognese,  bergamasco,  napoUtOM 
veneziano  di  Lazzaro  Agostino  Cotta.  —  Milano,  1066.  Fu  ristampoÈn 
Milano,  nel  1708. 

n  Lippa,  ovvero  il  Pantalon  burlao.  Comedia  in  prosa  ed  in  vani 

Domenico  Balbi.  Venezia,  pel  Lovisa,  1678.  Terza  edizione  IVeiT^lllo 7%r 

ed  iatimo  di  questa  comedia,  Vautore  inseri  alcuni  componimenti  ffuiMi 

nei  quali  il  Pantalone  parla  f^eneziano;  il  Dottore,  Bolognese;  adii  mg 

'  Baqaltino,  Bergamasco.  Fu  ristampata  più  volte. 

La  Fint^  Verità  nel  medico  per  amore.  Comedia  di  Fabrizio  Nani.  •— J 
logna ,  1705.  yi  sono  parlati  i  dialetti  bergamasco  e  bolognese.    . 

II  Padre  accorto  della  Figlia  prudente.  Comedia  del  DorigisU.  -*  I 
logna ,  1718.  n  si  parlano  i  dialetti  bergamasco  e  bolognese. 

n  Fanciullo  eroe ,  ovvero   l'Artemio  all'imperio.  Opera  tragicòariM 
Gio.  Domenico  Pioli.  —  Bologna,  pel  Longhi,  1718,  in-is.*  M  SBgluÈH 
parla  il  dialetto  bergamasco. 

La  Cleonice ,  ovvero  la  Costanza  nei  tradimenti.  Comedia  di  Gio.  ùm 
nico  Pioli.  —  Bologna,  per  il  Longhi ,  I7i6  ,  in-ii.''  Ivi  SegketUm  p« 
il  dialetto  bergamasco. 


DIALrm   LOMBARDI.  187 

La  Prudenza  nelle  donne.  Comedia  del  Dorigista.  —  Bologna,  171g.   f^i 
si  pàrUmo  i  diatelli  bergamasco  e  bolognese. 

Il  Paggio  Fortunato.  Comedia  di  Domenico  Laffi.  —  Bologna,  pel  Pisarri, 
f  716.  Kg  si  parlano  i  dialetti  bergamasco ,  bolognese  e  veneziano. 

La  libertà  nociva.  Opera  Scenica.  —  Bologna ,  pel  Longbi,  senza  r  anno 
(1718).  F)ra  gli  otto  personaggi  di  questo  Dramma ,  Taccolino  parla  il 
diaìelto  bergamoico. 

Il  Goffredo  del  signor  Torquato  Tasso  travestito  alla  rustica  bergamasca 
dal  dottor  Carlo  Assonlca.  —  Venezia,  i67o,  in-4.® 

Lo  stesso  y  ristampato  in  Bergamo  nel  1674 ,  e  nel  1G78,  per  Antoine. 
Voi.  1  in-16.® 

01  fachì  fedel,over  ol  Pastor  a  la  Bergamasca.  Opera  de  Persia  Melò,  ec. 
Stampat  a  Cardò  apruf  a  Zanfoiada.  Setiza  data.  QuesVòpera  è  una  tradu' 
zime  del  Pastorfido  del  Guarini. 

Orland  Furlus  de  Misser  Lodovic  Ferraris ,  compost  dal  Gob  de  Vene- 
sia.  —  Venezia,  per  Agostino  Bindonl. 

Bacco  usurpatore  di  Parnaso,  ossia  Arlecchino  poeta  tràgico  aHa  moda 
e  (U  buon  gusto ,  bergamascante  giurato  per  la  vita ,  riformatore  delle 
Tragedie;  in  risposta  al  signori  Tragici  moderni.  —  Venezia,  per  Angelo 
Geremia,  17S4,  in-8.® 

La  Colombina.  Zingaresca  nuova  di  sei  personaggi ,  recitata  con  molto 
applauso  In  diverse  citta ,  e  indirizzata  dai  Comici  che  stanno  al  servizio 
deirAnonimo  a' suoi  amici,  acciò  sia  universalmente  divulgata.  —  Milano, 
I7S7.  Comedia  rarissima  in  versi,  colle  figure  di  sei  personaggi.  Una  Zin- 
9ora  vi  parla  italiano;  Zanni  il  dialetto  bergamasco;  Pantalone  il  vene- 
iiano,  ed  un  Capitano  Napolitano  il  Norcino. 

Lagrime  In  morte  d' un  gatto.  —  Milano ,  nella  stamperia  di  Giuseppe 
Marelli,  1741.  IH  tròvansi  dite  sonetti  in  dialetto  bergamasco. 

La  Bella  Negromantessa.  Comedia  breve,  onesta  e  piacevole,  composta  e 
<lata  In  luce  dall'Anònimo  per  divertimento  de'  Curiosi.  —  Bologna,  per 
n  Longhi ,  178S ,  in-is.®  Tre  attori  9i  parlano  i  dialetti  bergamasco,  ve- 
gliano e  tiopoUtano. 

Stanze  in  stile  bergamasco  per  le  nozze  Caleppio-Resini.  —  Bergamo , 
*788,  per  Pietro  Lancellotti. 

Vita  e  oostum  de  Messir  Zan  Tripo,  con  un  capitolo  de  Messir  Francescho 
^etrarcha  trasmutat  In  lengua  de  Berghem.  —  Milano,  per  Gratiadio  Fe- 
>totL  Senxa  Panno. 

Capitol  prim  centra  i  spirigg  forgg  fagg  da  don  losep  Renda ,  ec.  Ber- 
Bbeni  per  Francesch  Locadel,  1779. 

RimeBortoliniane  del  Rugger  de  Stabell.  Berghem,  dalla  stampareaCressì. 
*^aiza  i^amìo.  Sono  varii  fasàooli  stampati  successivamente  nelVanno  1834 
«  Megnenti  ,  e  compóngono  un  solo  volume  di  so4  pag.  in-8.° 

Pel  fansto  Imeneo  Gout-Ponti.  —  Bergamo,  pel  Sonzogni ,  1888.  Questa 
^QccoUa  di  poesie  contiene  un  Madrigalù  Bortolinlà  del  Rugger  de  StabelL 


188  PABTE  PRIMA.   DIALETTI   LOMBARDI. 

Rime  Bortolìnìane  di  Pietro  Ruggeri  da  Slabello.  —  Milano,  pel  Crespi, 

1840. 

Rime  Bortoliniane  di  Pietro  Ruggeri  da  Slabello.  —  Milano,  pel  Crespi, 

1841. 

Rime  Bortoliniane  di  Pietro  Ruggeri  da  Slabello.  —  Blilano,  pel  Crespi, 

184S. 

Rime  Bortoliniane  di  Pietro  Buggeri  da  Stabello.  —  Bergamo ,  pel  Mai- 
zoleni,  184S.  FatàcoU  due. 

01  Viazadur  d'Alcmagna ,  ec.  Poemett  delettevol  descrecc  del  Marc'^An» 
Ione  Franch,  si  tabi  bergamascb.  —  Berghem,  stamparea  Sonzoga,  1841. 

Miscellanea,  o  sia  ol  neuv  taccui  screcc  del  Bonfant  Pasti,  per  ranno 
bisestile  1844.  —  Bergamo,  pel  Sonzogni. 

Cremasco. 

A  la  lustrissema  signora  contessa  Medeja  Griffona  Sant'Anzol,  in  del  fas 
monèga  nel  nobelessem  Convèt  de  S.  Marcia  de  Crema,  col  nom  baratat 
in  Sor  Marcia  Quintina.  Poeseia  de  Zuvann  Menegb  Ottollav  de  Gabia'. 
In  Crema,  dal  Torchici  di  Mario  Carchan  stampador,  I7is. 

Fasti  istorici  di  Crema  di  Gio.  Batt.  Cogrossi.  —  Venezia,  17S8.M  Ir^ 
vasi  un*  ègloga  in  dialetto  rùstico  cremasco. 

Saggio  di  poesie  in  dialetto  cremasco.  —  Milano,  per  Gogllelmlni  e  Ra- 
daelll,  18S8. 

Sestine  ^n  Cremascb  per  al  sposalesse  del  slor  Dumenegh  Seergni  co  la 
siora  Angelica  Maltemp,  ec.  —  Milano,  1889.  È  dell' ab.  Felice  Masperi 
Battajni, 

Bresciano. 

La  Masscra  da  be,  per  dritta  lom  fior  da  Coblat. — Brescia,  18S4. — Ve- 
nezia, 1888. 

Lo  stesso.  —  Brescia,  per  Francesco  Comincini,  laao. 

Squaquaranta  Carnevale  e  Madonna  Quaresima.  Tragicommedia  piace- 
vole da  Intendere  con  i  suoi  avvocati ,  che  parlano  per  T  una  e  V  altra 
parte ,  come  leggendo  Intenderete.  Senza  data  veruna.  In-8.®  FU  risttmr 
poto  in  Brescia ,  per  Policreto  Turlino ,  1714.  In-8.® 

Operette  varie  del  canònico  Paolo  Gagliardi  bresciano.  —  Brescia ,  pél 
Paclnl ,  1789.  Nel  voi.  II  a  pag.  8  trovasi  una  Lezione  intorno  alle  origini 
ed  alcuni  modi  di  dire  della  lingua  bresciana. 

Vocabolario  Bresciano  e  Toscano,  premessa  la  lezione  di  Paolo  Gagliardi 
intomo  alle  origini,  ec  •—  Brescia,  pel  Pianta,  1789. 

Vocabolario  Bresciano-Italiano  di  Pietro  Melchiorri.  —  Brescia,  pel  Fran* 
zoni',  1817.  Con  una  (appendice  publicata  nell'anno  isso. 

Quaresmal  de  TAocat  Piero  Lotlieri.  — •  dare  ,  per  Gaetano  iJiloiie  Te 
larul,  1886. 


PARTE  SECONDA. 
DIALETTI    EMILIANI 


\ 


CAPO  I. 

%.  i .  Divisioiie  e  pomioìie  dei  dialetti  emUoiu  (*). 

BtTlsl^ae*  Quantunque  suddivisi  in  nùmero  indeterminato^ 
i  dialetti  emiliani  non  pòrgono,  come  i  lombardi,  quella  precisa 
partizione,  che  abbiamo  testé  osservato  nei  due  gruppi  orientale 
ed  occidentale,  mentre  le  precipue  loro  distinzioni  sono  fondate 
]iiatto6to  nella  pronuncia,  che  nella  forma.  Ciò  nullostante  queste 
dissonanze  di  pronuncia,  congiunte  al  vario  modo  d'inflèttere  al- 
cune parti  del  discorso,  sono  abbastanza  notévoli,  perchè  pos- 
siamo ripartire  tutti  questi  dialetti  in  tre  gruppi,  che  dal  rap- 
presentante principale  di  ciascuno  abbiamo  denominato:  Bo- 
lognese, Ferrarese  e  Parmigiano.  Ognuno  è  composto  d'un 

(*)'Siccome/[dopo  aver  gìk  stampati  alcani  lògU  di  quest^ òpera,  d  fà- 
roDO  comunicati  da  vari  dotU  corrispondenti  preziosi  materfaU  intomo  ti 
dialetti  emiliani  ed  alla  loro  letteratura,  materIaU  che  d  fùrrao  di  spedale 
glivamenlo  nel  compiere  U  preaeate  lavoro,  eoA  non  possiamo  intraiasdare 
di  rèndere  pùbUche  grazie  ai  chiari  signori  dottor  Carlo  Frolli,  conte 
inallMde  Ranuzzi,  Camillo  MlnarelU»  RaflaeUo  Buriani,  Giuseppe  AcquisU 
e  professor  Domenico  Chinassi,  per  importanti  notizie  e  poesie  Mite  ed  ine- 
iOle  procor&teci  nel  dialetti  bolognese  e  romagnolo;  agli  fllnslil  signori 
eonte  SeiiasUano  Salimbenl ,  conte  Giovanni  Galvani ,  Carlo  Borghi,  eanònieo 
Ferrante  Bedogni ,  avvocato  Gaetano  ParenU  e  dottor  Cario  Ciardi ,  per  co- 
pia di  materiali  inviàUd  ad  illustrazione  dd  dialetti  modenese,  reggiano, 
frignanese  e mirandolese;  all'egregio  bibliotecario  abate  Giuseppe  Antondli 
per  alquante  notizie  intorno  al  dialetto  ferrarese;  ed  al  chiaro  bibliotecario 
cavaller  Angelo  Pezzana ,  per  alquante  notizie  e  poesie  nd  dialetti  parmi- 
giano, piacentino  e  borgotarese.  Né  meno  graU  d  dichiariamo  agii  altri 
motti,  che  d  veliero  coa^jovare  in  questa  Impresa,  e  dd  quali  al»biamo 
Bslalo  I  nomi  a  luogo  opportuno,  ad  seguenti  Capi. 


102  PARTE  SeCONDA. 

maggiore  o  minor  nùmero  dì  dialetti  più  o  meno  tra  lóro  affini^ 
a  norma  della  posizione  rispettiva,  vale  a  dire,  della  loro  HUtong^ 
dal  centro  comwie,  o  dell'immediato  contatto  con  altri  dialetti. 

Il  gruppo  Bolognese  è  il  più  nmneroso,  ed  esteso  sopra  maggior 
superficie;  esso  compònesi  del  dialetto  Bolognese  propriamente 
detto,  del  Romagnolo,  del  Modenese,  del  Reggiano  e  del  Frigna. 
nese. 

Il  Ferrarese  consta  del  Ferrarese  propriamente  detto,  del 
Mirandolese  e  del  Mantovano. 

Il  Parrnigiano  comprende,  oltre  al  Parmigiano  proprio,  il  Ber- 
gotarese,  il  Piacentino  ed  il  Pavese. 

Peslmlone.  La  cresta  dell' Apennino  compresa  fra  le  sor- 
genti dell'Enza  e  della  Foglia,  il  corso  di  questo  ftme,  le  rivo 
deir Adriatico  racchiose  tra  le  due  foci  della  Foglia  e  del  Pò 
di  Primaro,  l'alveo  abbandonato  di  questo  prolungato  tino  «Bla 
foce  dell'Enza,  ed  il  corso  di  questo  fiume,  segnano  con  bastè^ 
vole  preddone  la  regione  occupata  dal  primo  gruppo. 

Lo  stesso  alveo  di  Primaro  prolungato  sino  alla  foce  ddPEnfl^ 
le  rive  dell'Adriatico  dalla  foce  del  Primaro  a  quella  del  Po  di 
Haestra,  l'ultimo  tronco  del  Po  dalla  sua  foce  sin  presso  ad  OMf^ 
glia,  e  quindi  una  breve  curva,  che,  insinuandosi  nel  territotio 
loinbardo  oltre  Po,  raggiunge  e  segue  i  confini  da  noi  tracdalK 
dei  dialetti  Bresciano  e  Cremonese,  segnano  le  estreme  emana» 
lioni  del  secondo  gruppo,  cioè  del  Ferrarese. 

Per  ùltimo  il  Parmigiano  è  conterminato  ad  oriente,  dal  oonoL 
dell'Enza;  a  settentrione,  dal  Po  fra  le  due  foci  dell'Ensa  e  deDa 
Sesia,  tranne  un  piccolo  seno,  che  nel  territorio  lombardo  ab^ 
braccia  la  città  di  Pavia  e  i  vicini  distretti  dalla  foce  del  LandHN^ 
al  tèniàne  del  Naviglio  di  Bereguardo;  ad  occidente  e  a  meaun 
giorno,  da  una  linea  trasversale,  che  dalla  foce  della  Sesia ^  o^ 
meglio  da  Valenza  sul  Po,  raggiunge,  serpeggiando,  l'Apenniao 
presso  Bobbio,  d'onde  segue  la  cresta  dell' Apennino  sino  aDi 
sorgenti  dell'Enza. 

Queste  linee  peraltro,  come  abbiamo  altrove  avvertito,  s^puo6 
il  diàmetro  d'una  z(ma,  in  cui  i  dialetti  d'una  fandgUa  o  d'  od 
gruppo  vanno  assimilandosi  al  gruppo  limitrofo,  partecipando  in 
grado  minore  delle  proprietà  distintive  d'entrambi,  dappoiché^ 


DIAUOm  EMIUANI.  105 

(K  mano  in  mano  che  c'inoltriamo  su  per  l'erte  gole ddl'Apen- 
nino^  gli  a^rì  suoni  emiliani  cèdono  il  posto  alla  doke  pronuncia 
toscana  ed  alla  genovese;  in  quella  vece,  procedendo  verso  mez- 
aogiomO)  il  Bolognese  ed  il  Romagnolo  vanno  fondendosi  nei 
dialetti  marchigiani;  come,  verso  settentrione,  dall'una  parte  si 
manifestli  Tiniluenza  della  vèneta  famiglia,  dall'altra  quella  della 
lombarda  e  della  pedemontana.  Gontnttodò  talvolta  V  alveo  del 
Primaro  e  la  cresta  dell'Apennino  s^poano  un  preciso  oonfine 
linguistico. 

Qò  premesso,  il  dialetto  Bolognese  propriamente  detto  è  par- 
lato in  tutta  l'attuale  legazione  di  Bologna,  con  poche  varietà, 
fra  le  quali  distìnguesi  sopratntto  il  riutko  dall' urAoiio. 

Il  RoimagHùìOj  alquanto  più  esteso,  occupa ,  oltre  alle  due  le- 
gazioBi  di  Forlì  e  di  Ravenna,  quella  parte  lAeridionale  della 
legazione  ferrarese,  eh'  è  separata  dal  corso  del  Primaro.  Esso  è 
piattosto  un  gruppo  di  dialetti  afiBni,  che  non  uno  solo,  mentre, 
aon  che  ogni  città,  ogni  borgo  e  separato  castello  ha  pronuncia 
e  flessioni  speciali.  Siccome  peraltro  la  distintiva  impronta  è  in 
tutti  la  stessa,  e  le  proprietà  più  normali  tròvansi  riassunte  nel 
dialetto  Faentino,  cosi  possiamo  riguardar  questo  come  rappre- 
sentante comune,  sebbene  ripartito  in  molti  suddialetti.  Fra  questi 
i  più  distinti  sono:  il  Ra^ennate^  V  linoleie^  il  Forlivese,  il  Ce- 
^senate  ed  il  Riminesej  parlati  nelle  città  e  territorj  rispettivi. 

Il  Modenese  parlasi  nella  città  di  Modena  e  nel  suo  territorio 
alino  alle  falde  dell'Apennino,  distinto  in  urbano  e  riistko. 

Il  Reggiano  ristretto  in  più  angusto  confine  occupa  la  sola  città 
^  Reggio  e  parte  del  suo  territorio,  distinto  pure  in  riistico  ed 
mrtfano. 

Il  Frignanese  è  parlato  nella  parte  più  elevata  dei  territorj 
jDodenese  e  reggiano,  ossia  nella  regione  abitata  dagli  antichi 
J'riniateSj  dai  quali  trasse  il  nome.  Un  tempo  Sèstola  ne  era  il 
capoluogo,  ed  ora  è  Fiumalbo. 

11  Ferrarese j  oltre  alla  legazione  d'egual  nome,  dal  Po  sino 
all'alveo  del  Primaro,  occupa  ancora  i  distretti  lombardi  diSèr- 
mide,  Ròvere  e  Suzzara ,  non  che  le  città  e  territorj  di  Mirandola 
e  di  Guastalla,  sino  alla  foce  dell'Enza.  Esso  è  quindi  racchiuso 
ira  Je  rive  dell'Adriatico  intersecate  dalle  due  foci  del  Po  di 


f1)4  PAmTB   SBtXUIDA. 

Prìmaro  e  <K  Maestra,  rùlUmo  tronco  del  Po  sino  all'Enza,  ed 
il  còrso  del  Primaro  prolungato  sino  alla  foce  di  quel  fiume. 

Il  Mantomno  è  parlato  nella  città  e  contomi  di  Mantova,  fra 
il  Po  ed  i  confini  già  descrìtti  dei  dialetti  Cremonese,  Bresdino 
e  Veronese. 

11  Parmigiano  è  pure  ristretto  alla  città  e  territorio  di  Parma, 
sino  alle  falde  dell' Apennino;  ed  è  quindi  parlalo  nella  plooob 
regione  compresa  fra  il  Po,  l'Enza,  le  falde  dell'Apennino  e  il 
territorio  di  Piacenza.  Le  sue  varietà  sono  leggiere. 

Il  Borgoiarese  è  diffuso  lungo  i  monti  e  le. vallate  parmigiane 
e  in  parte  delle  piacentine,  in  molte  varietà,  delle  quali  è  rap* 
presentante  comune  il  dialetto  di  Borgotaro,  che^  né  è  capohic^. 

Il  Piacentino j  oltre  alla  città  di  Piacenza  e  suo  territorio,  in- 
vade ancora  colle  sue  molte  varietà  quella  estrema  parte  orien- 
fele  degli  Stati  Sardi,  che  è  racchiusa  fra  il  Po  sino  a  Valena, 
ed  una  linea  serpeggiante,  che  da  Valenza  raggiunge  l'ApenHiiiio 
presso  Bobbio,  radendo  Alessandria  e  Tortona,  e  peroorrendo  la 
valle  della  Stàfbra. 

Per  ùltimo  il  Pavese,  in  più  angusti  limiti  racxihiuso,  è  par« 
lato  nella  città  di  Pavia  e  nei  vicini  distretti  posti  tra  la  foce  del 
Lambro  ed  il  Naviglio  di  Bereguardo,  confinando  coi  dialetti' Mi- 
lanese,. Lodigiano  e  Piacentino. 

^.  S.  Proprietà  distintii;e  dei  ire  gruppi 
Bologneeej  Ferrarese  e  Parmigiano. 

Le  proprietà  distintive  sulle  quali  abbiamo  fondata  T  esposta 
divisione  sono  le  seguenti:  Primieramente  il  gruppo  Bolognese 
situato  nel  centro  dell'emiliana  famiglia,  e  diviso  da  ogni  altra 
per  mezzo  dell' Apennino  e  del  mare,  serbò  più  intatte  le  primi- 
ttve  sue  impronte;  mentre  il  Ferrarese,  surto  più  tardi  dalla  com- 
mistione di  vari  pòpoli,  ed  esposto  all'immediato  oontalfo  colla 
vèneta  famiglia  e  coi  dialetti  lombardi  orientali,  assunse  parec- 
chie proprietà  di  quelli,  perdendo  o  modificando  le  proprie.  Si- 
milmente il  gruppo  Parmigiano,  esposto  da  tre  Iati  al  contatto 
coi  dialetti  lombardi  occidentali,  coi  pedemontani  e  coi  liguri, 
smarrì  in  molti  luoghi  le  nazionali  impronte,  assumendone  ddle 


DIALim    EMILIANI.  IM 


stnniere.  Per  modo  cte  il  Bolognese  è  il  flòlo  nppMfleotante  del 
nmù  emiliBno,  perchè  più  puro,. e  gli  altri  se  ne  alhmtànano 
precipuamente  per  varia  commistione  estema. 

Per  tacere  delle  mìnime  varianti,  che  accenneremo  a  suo  luogo, 
nel  gruppo  ferrarese  dinaro  del  tutto  il  suono  a  distintivo  dei 
dialetti  emiliani,  e  in  quella  vece  vi  si  trovano  in  qualche  parte 
diffusi  i  suoni  ù  ed  o^  affatto  ignoti  al  Bolognese.  E  qui  noteremo, 
come  questi  medésimi  suoni,  distintivi  della  fiemiiglia  Gallo-itàlica, 
e  propri  quindi  di  tutti  i  dialetti  lombardi  e  pedemontani,  pe- 
netrassero neir Emilia  «olo  dalla  parte  occidentale,  inoltrandosi, 
nella  pianura,  sino  a  Borgo  S.  Donino,  e  nella  montagna,  sin 
per  entro  gli  Apennini  reggiani  e  modenesi,  nel  Frìgnanese,  Per 
modo  che  il  gruppo  parmigiano  è  distinto  dal  bolognese  per  Tin- 
serzione  <fi  questi  suoni,  dei  quaH  il  solo  ti  manca  al  dialetto  di 
Parma,  avendo  esso  pure  una  leggera  gradazione  dell' o.  Nel 
gruppo  ferrarese  essi  contradistlnguono  il  solo  dialetto  mantovano, 
mentre  il  Ferrarese  proprio  ne  è  affatto  immune,  e  solo  Q  sud- 
dialetto  di  Guastalla  possiede  il  suono  o.  Dal  che  pure  si  vede, 
che  quanto  più  i  dialetti  si  discòstanò  dal  rispettivo  loro  centro, 
pèrdono  della  loro  purezza,  assimilandosi  ai  limìtrofi. 

Inoltre  il  gruppo  ferrarese  distìnguesi  dagli  altri  due,  serbando 
in  tfi  la  desinenza  italiana  inOj  che  gli  altri  gruppi  volgono  co- 
stantemente in  étn^  ovvero  éiìj  ovvero  èi: 


Italiano 

{fkino 

cammino 

biricchino 

latino 

ciltadino 

Ferrarese 

OQmn 

camin 

birìchin 

latin 

sitaiin 

Bolognese 
Parmigiano 

ì    • 

camèin 

birichèin 

latèin 

zitadèin 

Modenese 

■ 

avsén 

carnea 

biriclién 

latén 

zitadén 

IHacentino 

avsèi 

carnei 

birichèi 

latèi 

zittadèi. 

Così  ogniqualvolta  la  e  è  seguita  dalla  n  nella  stessa  sìllaba, 
viene  permutata  nei  (fialetti  bolognesi  e  parmigiani  in  et,  maitre 
nel*  Ferrarese  rimane  inalterata  : 

llalianó        vento     sente     solafnente   fnentre     bene      sereno 

Ferrarese    vent      eent      mlamènt    montar     ben       eerétf 

Boloffnese    i  *.  .      < .  > « . 

n^     .  .       }r)€tnt     setnt     sulameint  niemtr      beta      seretn. 


498  PAIITB  SBOONDA. 

U  Bolognese  sopprìme  la  vocale  a  nella  desinenza  italiana  tu, 
ehe  il  Ferrarle  volge  in  iè^  e  il  Parmigiano  serba  sema  allera- 
noae  veruna: 

Italiano        carestìa  compagnia  eresia  malattìa  ustoria 

Bolognese    caristi  cumpagm  eresi  malati  ustari 

Ferrarese     carestie  cumpagniè  eresie  malatie  ustariè 

Parmigiano  carisma  cumpagnia  eresia  malatìa  ustaria. 

U  Bolognese  ed  il  Parmigiano  risòlvono  d'ordinario  in  òn  le 
vocali  0  ed  ti  nelle  desinenze  italiane  ane,  cna,  ima^  are^  ora, 
le  quali  rimangono  inalterate  nel  Ferrarese. 

Italiano       padrone    persona     luna         dottore     figrMra 

Bolognese  J     ,  %  ,        ,*  ,  ^.  , 

p^     .  .      )paaroun  persouna  louna       duUmr     sgnouru 

Ferrarese    padron     persona    luna         dut&r       ignara. 

n  Ferrarese  cangia  in  ar  disaccentato  la  desinenza  ere  dei  verbi 
italiani,  che  il  Bolognese  termina  in  er  pure  senza  accento,  e  fl 
Parmigiano  sovente  tronca.  Lo  stesso  avviene  in  tutte  le  voci  ter- 
minanti in  drej  droj  trej  tro,  pre  e  slmili: 

Italiano       pèrdere  vedere  padre  ladro  mentre  vostro  $easpre 

Ferrarese    pèrdar  ^Mbir  pàdar  lodar  méntar  vostar  sèmpar 

Bolognese    pèrder  veder  pader  lader  mcintr  vòster  sèimper 

Parmigiano  perdr    i?èdr    padr  làdr    mèintr  vòster  sèmper. 

Nei  verbi  italiani  dì  prima  conjugazione  il  Parmigiano  termina 
fl  passato  perfetto  dell'  indicativo  in  i,  che  il  Bolognese  e  Ferra- 
rese fiidscono  in  ò: 

Italiano     1«"J'       ^'      V^*V      onctórwu»    portànm 
(andò         bacio        porto 

Ptanigiano  ondi         basi         porti        andìn         porAn 

Bolognese    andò         basò         purtò        andòn        purtàn 

Ferrarese     andò         basò         purtò        i  andò       i  purtò. 

Le  poche  eccezioni  da  farsi  a  queste  generali  osservazioai,  e 
parecchie  altre  proprietà  distintive,  che  qui  onmiettiamo,  per* 
che  meno  generali  in  ciascun  gruppo,  verranno  enumerale  più 
avanti  fra  le  proprietà  dei  singoli  dialetti.  A wertirenM»  ftttkltiito 


k 


DIAUCni  EMIUAKI.  107 


dbe^  come  ogni  gruppo  ha  distinta  pronuncia  e  flettioni  speciali, 
iOil  distlnguesi  ancora  dagli  altri  per  copia  di  radici  proprie, 
iome  apparirà  manifesto  dall'unito  Saggio  di  Vocabolario. 

J.  3.  Proprietà  dùtintive  dei  singoli  dialetti. 

Essendo  il  Bolognese  rappresentante  principale  di  tutto  il  ramo 
■dUano,  e  possedendo  quindi  in  grado  eminente  alcune  prò- 
«lelà  distintive  del  medésimo,  è  diiaro,  che  la  sua  distindoDe 
■agli  affini  deriva  sopra  tutto  dalle  divergenze  di  questi  dalla 
lorma  comune.  Questa  norma  ecmsta  precipuamente  dèDe  se- 
pienti  proprietà,  che,  sebbene  in  parte  altrove  mentovate,  ripe- 
iamo  ora  per  maggiore  chiarezza,* costituendo  la  vera  impronta 
lei  dialetto  bolognese. 

h  esso  le  vocali  si  succèdono  con  minore  frequenza  che  in 
(oalslasi  altro  dialetto  italiano;  e  quindi  più  fitto  vi  è  l'accozza- 
muId  aspro  e  difficile  di  più  consonanti  riunite;  del  che  porge 
m  diiaro  esempio  il  noto  detto  piacentino:  Gfiìss  eh^s^fisSj 
fnf  &r?y  che ,  letteralmente  tradotto,  significa  :  fremisse  chi  si  fosse j 
ioti  aprite j  e  dal  quale  si  vede,  come  T Emiliano  sopprima  otto 
MHe  ùndici  vocali  italiane  componenti  questa  frase,  esprinèn- 
kme  Èclle  tre. 

Quasi  a  compenso  di  questa  frequente  elisione  di  vocali,  il 
lolognese  suol  proferire  le  rimanenti  oltremodo  aperte  e  strasd- 
iale,.ciò  che  lo.  distingue  da  tutti  gli  altri  dialetti  itàlici.  Da 
pesto  prolungamento  avviene,  che  sovente  risolve. in  dittonghi 
Hurecchie  vocali  sémplici,  come  la  e  e  la  t  in  èi^  nelle  desinenze 
taBane  enaj  ene^  etiOj  ino,  ùwj  enta^  ente^  entOj  ese^  esa  e  slmili^ 
Scendo:  i?èina,  bèin,  serHnj  lèifij  cantèinaj  pulèintajfnèintjfnìih 
mèinty  spèisj  difeisa,  per  ^na,  bene,  sereno j  linOj  ec.  ;  risolve 
le  vocali  0  ed  fi  in  òu,  neHe  desinenze  one,  ona^  una,  ore,  oroj 
some  abbiamo  più  sopra  dimostrato;  e  cosi  altre  vocali  in  altri 
littonghi;  per  modo  che  sembra,  che  tolga  le  vocali  ad  alcune 
lUlabe  per  riunirle  in  altre,  vagheggiando  quasi  T accozzamento 
li  parecchie  consonanti  riunite  da  un  lato,  e  quello  di  parecchie 
Micali  dall'altro.  La  qual  proprietà  lo  distingue  sopratutto  dagli 
dtri  dialetti  del  medèsiaio  gruppo,  nei  quali  i  mentovati  ditlopghi 
non  hanno  mai  luogo. 


i9%  PARTE    SBOOIfDA. 

Con  tutlodò  il  Bdognese  evita  per  lo  più  racconamento  deBe 
conaenanU  r/^  m^  assai  frequente  nell'italiana  (avella,  non  che 
nelle  altre  famiglie  vernàcole  d'Italia,  e  vi  frappone  la  vocale  a^ 
oppure  Ve: 

Italiano       pregarlo    merlo     corno     giorno     eiemù'  inferno 
Bolognese   pregami  mèral    còren     gióran     etèren    inferen, 

Esso  manca  affatto  dei  suoni  o  ed  u^  e  in  quella  vece  possiede 
il  suono  àj  ignoto  a  quasi  tutti  gli  altri  dialetti  italiani,  e  diibso 
con  poca  varietà  in  tutto  il  ramo  emiliano,  tranne  il  minor 
gruppo  ferrarese.  Questo  suono  occupa  il  posto  dell' a  nelle 
desinenze  dei  verbi  italiani  terminanti  in  arcj  e  dei  loro  partt 
cipj,  non  che  in  molte  altre  ^oci. 

Suole  invertire,  e  con  esso  pure  tutti  i  dialetti  emiliani^  più 
o  meno,  le  sillabe  iniziali  loj  le^ in  alj  e  le  ra^  re^  ri^  ro>  ry  in 
arj  del  che  abbiamo  dato  altrove  parecchi  esempi. 

Procedendo  alle  proprietà  speciali  del  dialetto  bolognese^  esso 
termina  per  lo  più  in  ànd  i  gerundi  dei  verbi  irregolari  e  di 
quelli  di  seconda  e  terza  conjugazione,  che  negli  altri  dialetti 
finiscono  in  èndj  come: 

Italiano       enendo  dicendo  facendo  togliendo  ^?emendo    • 

Polognese    9iànd  digànd  fagànd  tulànd  vgnmgimi 

Ferrarese    essènd  disènd  fasènd  tulènd  vegnènd 

Paimigiano  essénd  disènd  fasènd  tulènd  fpgnmd. 

Pèrmuta  l't  in  é  in  molte  voci  e  nei  participj  terminanti  d'< 
dinario  negli  altri  dialetti  in  ìj  dicendo  :  rézz^  réCj  reliquia^ 
iupéj  nbidéy  per  riccio j  ricco ^  reliquia^  assopito  j  obbedito. 
Cangia  talvolta  in  sti  il  suono  italiano  schij  che  gli  altri  dialetHB 
volgono  generalmente  in  sti: 

Italiano       schioppo   schiuma    scoppiare  schiantare  schiaiia 
Bolognese    stiòp         sliuma     stiupar     stiantar     stiaita. 

ferrarese    I 

n      .  .      [sèiòp        sèiuma      sHupàr     stiantar     siiala. 

Parmigiano  I      ^  '^ 

Il  Romagnolo  è  tanto  diverso  in  apparenza  dal  Bolognese  s 
quanto  in  sostanza  ne  è  affine.  Basta  confrontare  il  vocabolario 
romagnolo  col  bolognese  e  la  rispettiva  struttura  graiiuuitiflrie, 


NAUffn  BMIUANI.  499 

per  èsMTO  persuasi  della  fondamentale  loro  consonanza.  Eppure 
fisoArdano  talmente  nella  pronuncia,  che  sovente  Tuno  con  diffi- 
colti è  inteso  dall'altro;  e  siccome  questa  differenxa  di  pronuncia 
ìarìa  oltremodo  nella  stessa  Romagna  propriamente  detta  da 
hiogo  a  luogo,  cosi  il  Romagnolo  settentrionale  intende  appena 
il  meridionale  e  viceversa ,  sebbene  parlino  in  sostanza  un  solo 
Caletto.  Avuto  riguardo  appunto  a  queste  dissonanze  di  pronuncia, 
fldaletto  romagnolo  suddìvldesi  in  molte  varietà,  delle  quali, 
eooe  accennammo,  le  più  distinte  sono:  il  FaentmOy  che  ne  è 
nppresentante  comune,  il  Ravennate^  Vltnolese^  il  Forliveiej  U 
Cnenate  ed  il  Riminese.  I  due  primi  sono  più  puri  ed  indipen- 
denti; rimolese  tende  al  Bolognese  per  modo,  che  gli  stessi  Faen- 
tini Acono  che  gli  Imolesi  parlano  bolognese;  gli  ùltimi  tre  si 
aecdataiM)  al  Marchigiano. 

Tutti  questi  dialetti  distlnguonsi  dagli  altri  emiliani  per  Tar- 
tteolo  maschile  é,  dicendo  :  é  fiòl^  é  paderj  é  sgnòr  e  shnili;  e 
pd  ptùoùand  personale  Uj  come:  ti  déss^  u  vléva^  u  witè,  per 
egli  diise^  egli  voleva^  egli  sentìj  i  quali  negli  altri  dialetti  sono 
rappresentati  entrambi  dalla  voce  o/^  dicendosi  generalmente  al 
fiòl^  al  pSdoTj  al  dé$$j  al  sintè. 

Il  Faentino  ed  il  Ra^?ennale  disthiguonsi  dagli  altri  romagnoli, 
e  dallo  stesso  Bolognese,  per  firequenza  di  suoni  nasali  nelle  de- 
9ÌLeaie  an^  ^j  ^s  on^  un. 

Èvitanala  collisione  delle  consonanti  ^fiij  rtiij  Im  nella  me- 
désima sillaba,  firapponèndovi  T ùltima  vocale  che  scambiano 
d*  ordinario  in  u  muta. 

haliailo        enhisiaemo     enorme     infortne    elmo     infermo 
faentino      entusiàmm    enòrum     infònim    èlum     infèrum. 

Similmente  evitano  l'accozzamento  delle  rn  frapponendovi  un'a 
>Uuta,  a  differenza  del  Bolognese  che  vi  frappone  un'e^  come: 
^^roHj  etèrany  gvèranj  per  comoj  etemoj  governo. 

lì  Faentino  termina  in  é  stretto,  come  i  Francesi,  T indefinito 
dei  verbi  italiani  in  arej  che  il  Bolognese  suol  terminare  in  àrj 
^  gli  altri  Romagnoli  per  lo  più  in  a  ; 

Italiano       cogitare     entrare     trovare     portare      mangiare 
emUé        àilré         (ni<«        purté         magne 


300  FARTB  SECONDA , 

Bolognese    cantar      intràr      iruvàr     puriar       mùgnàr 
Ravennate  ) 

Imolese      \  canta        intra        truva       parta       mmgà& 
Forlivese    ] 

È  speciale  proprietà  dello  stesso  dialetto  il  vòlgere  sovente  la 
d  in  g,  come: 

Italiano  tedio  bandiera  insidia  misericùrdia  discordia  obbedienle 
Faentino  ategi  batigera  invigia  ndsericorgia  dùcorgia  ubiffènL 

Pèrmuta  il  snono  i  italiano  in  z  aspra: 

Italiano        fàcile        domicilio   cernilo     faceto       acddia 
Faentino     fàzil         dumizeli    zervèl       fazèt         acsùdia. 

II  Baifennate  è  distinto  dal  Faentino  per  nna  pronnod»  Hwllt 
(nù  aperta,  per  maggiore  frequenza  di  suoni  nasali  protungaftl  e 
pel  concorso  di  doppie  consonanti.  Inoltre  suol  permutare 
la  s  in  i^  dicendo:  niéónj  veniy  sa^uriij  impié^  per 
venncj  eempiacersij  empiersi  e  slmili. 

V Imolese  s'accosta  più  d'ogni  altro  nefla  pronuncia  al  Bah' 
gnesej  dal  quale  peraltro  è  distinto,  si  perchè  è  privo  ddle^pi^ 
prietà  speciali  di  questo,  si  perchè  partecipa  delle  mentovate 
comuni  ai  Romagnoli,  Inoltre  esso  ha  un  particolare  Allflng»4tt>- 
verso  del  Bolognese,  mentre  la  vocale  o  accentata ,•  die  queste 
risolve  in  òuj  è  permutata  dair  Imolese  in  iid^  dicendo:  /hio^ 
muòrt^  puòcj  paòrzj  tuòlsj  cuòssaj  per  figlia^  morto  j  fot»s 
porcij  tolse j  cosa. 

Volge  in  éja  la  desinenza  italiana  ia^  che  il  Bolognese  #  gK 
altri  R(»nagnoli,  come  accennammo ,  imlsoono  in  i^  il  Feff»me 
in  tièj  ed  il  Parmigiano  in  iaj  dicendo:  malattia j  carestéjaj  ntfo- 
r^j  per  malattia j  carestìa j  osterìa.  —  Cangia  sovente,  taoÉd  il 
Ravennate,  la  s  in  /^  come  nelle  voci:  oQsinSij  arifpMdi'^  Ènóts 
perij  per  aìwicinarsij  rispose j  tolse j  perduto. 

Lo  stesso  suono  é  gli  vale  di  pronome  reciproco  e  di  parti- 
cella eufònica  tra  il  pronome  ed  il  verbo,  dicendo:  n  ì'm^^ 
e  tdésSj  e  i'andarò  e  slmili,  per  si  mise^  e  disse^  e  andrò;  «vé^- 
la  i  corrisponde  ora  al  pronome  reciproco  se  o  itj  ora  al 
pitivo  toscano  ci,  che  in  alcuni  dialetti  toscani  vioie 
protìunciato  come  sci. 


Duurm  BUUANi.  tot 

Termina  le  viid  àtà  passati  perfetti,  nei  verbi  di  prima  conju» 
guione,  in  é  stretta ,  ehe  gli  altri  Romagnoli  pronunciano  più  o 
■eno  Imrga,  dicendo:  inUéj  prinzipiéj  bcàéj  per  $enAj  principiò, 
tadò.  Similmente  pronuncia  alquanto  strette  le  desinenze  én^  omì 
iU,  che  in  tutti  gli  altri  sono  larghe,  tranne  il  Faentino;  per 
nodo  che  Tfanolese  partecipa  delle  proprietà  di  tutti  i  dialetti 
die  lo  circondano,  ciò  che  lo  collega  e  lo  disgiunge  ad  un  tempo 
fa  dascmo. 

n  Cetenate  ed  il  Forlivese  depongono  a  poco  a  poco  l'ai^reEsa 
dd  Bamagnolo  settentrionale  diminuendo  T elisione  delle  vocali, 
e  quindi  il  frequente  accozzamento  di  più  consonanti  unite,  ed 
3  concorso  dei  suoni  nasali.  Ivi  all'aspra  sibilante  z  viene  sosti- 
tnita  per  lo  più  la  s^  non  solo  in  quelle  voci  che  i  Romagnoli 
wttmtrionalL  esprimono  con  z^  permutando  la  6  italiana,  come 
wnèls  ftsBU*  azzalèn,  dunazzij  ma  in  qudle  altrert  che  in  ita- 
liiao  rielèggono  la  z^  dicendo  del  pani  etarvèlj  fàseil^  amUènj 
dwmtiij  che  eemas  ragàss^  amastàj  soeiàmùj  per  eenza^  ragaz- 
^j  ammazzare j  sostanza.  Dal  che  si  vede  che  laddove  i  Roma- 
guU  eettentiìonali  volgono  in  s  il  snono  italiano  i^  i  meridionali 
ìUgono  la  £  e  la  stessa  zia  s. 

hi  inoltre  incomincia  a  sentirsi  racconto  marchigiano  nella 
eadoiza  delle  frasi,  nelle  quali  ancora  appàjono  alcune  radici  e 
torme  italiiMie,  sebbene  corrotte,. ignote  agli  altri  Romagnoli,  e 
ivoprìe  della  fiEuniglia  toscana,  come:  giè^  hab,  per  gire,  babbo; 
•  mlmor^u  srsari  magnàj  per  io  mi  muqjos  e*  si  sarebbe  man- 
giato e  slmili. 

Sono  poi  esclusive  proprietà  del  Forlivese:  il  terminare  in  p 

Il  tena  persona  singolare  nel  perfetto  di  molti  verbi,  quando  è 

Hgolta  da  vocale,  dicendo:  ondèp^  mandèp^  damèpj  fop^  per 

^sM,  mandòj  cltiamòy  fuj  ed  il  permutare  in  e  muta  Va  finale 

^kf^  imperfetti,  come  pure  di  parecchi  nomi  ed^  avverbi: 

Italiano        era    voleva     veniva  robba   festa    allora   senza 
pQrliTese     ere    vleve       vneve    robe     feste     aliare    sense 

B  fialétto  Biminese  s'accosta  ancor  più  al  Marchigiano ^  die 
i  preeed^iti,  sopratntto  nell'accento  e  nella  pronuncia ,  per  modo 
<)ie^  pfMedendo  sin  oltre  a  Cattòlica,  il  Romagnolo  si  fonde  nel 


90f  PARTI  sbdorda;  ' 

Marchigiano.  In  onta  però  a  questa  conformitìi  di  pronimóia,  ed  a 
malgrado  dell'asserzione  dei. Romagnoli  stessi^  che  rìgùàidaiio  il 
dialetto  di  Cattòlica  come  Marchigiano,  esso  non  porta  meiM^le 
impronte  distintive  del  Romagnolo,  che  sì  estende  sino  a  Pèéàraj 
Che  anzi  ivi  si  ripètono  molte  proprietà  del  Ravennate  die  ab- 
biamo veduto  dileguarsi  nei  Romagnoli  centrali,  quali  sodo:  k 
permutazione  del  è  italiano  in  z  a^ro,  dicendo:  donazztj  fèsUj 
pznéfij  zél^  zénZj  per  donnaccÌ€j  fàcile j  piccino  ^  cielo,  cenei^s  b 
più  frequente  elisione  delle  vocali;  la  permutazione  dell' a  io 
molte  desinenze  dei  verbi  in  è  aperto,  dicendo:  magtwoa^.mi^ 
dèvGj  entrè,  salvè^  spreckèj  per  mangiavaj  andtwa,  aitrare,  ml^ 
vare,  eprecarej  la  desinenza  dei  perfetti  di  pareocbi  veribi  in  i 
aperto^  come:  riflitè,  ave,  risolvè,  ^&t  rifletté,  ebbe,  rtaobe/  VHm 
del  pronome  personale  u,  dicendo:  u  fase,  u  s*  mou,  u  Um$i,f» 
egli  feccs  egli  si  mosse,  egli  la  vide.  Dal  che  appare,  come  qoeslt 
dialetto  partecipi  delle  principali  proprietà  degli  EmiliaiiL     >>  -.il 

Tra  quelle  che  ne  lo  distfaigoono  e  lo  assimilano  alJlawifc 
giano,  oltre  all' accento  ed  alla  scelta  di  molte  voci^  notenne: 
la  desinenza  dei  participii  maschili  in  ed,  e  dei  femminili  ìnidiu 
dicendo:  stèd,  pechèd,  informèd,  ritrovèd, per  stato, peeoaio, Uh 
formalo,  ritrovato,-  stèda,  spreehèda,  tratèda,  per  stata,  qtreceàa, 
trattata. *-^\o\ge  il  suono  italiano  §  in  i,  dicendo:  tustiaa,.ti^ 
loM,  tomo^  per  giustizia,  gelona,  giorno.  —  Non  pèrmuta  aHi 
la  o  in  ttj  come  sogliono  sovente  tutti  gli  Emiliani*  -r^  Cangia J!i 
finale  in  e^  in  molte  voci,  come:  vostre,  conlre,  numre^  p^co- 
slro,  contro,  nùmero  e  simili.  '  -.  »  s 

II  Modenese  è  più  afiSne  d'ogni  altro  al  Bolognese^. per  latfdo 
che  si  può  riguardare  come  un  suo  pròssimo  soddialeClo*'  BmI 
partecipa  di  presso  che  tutte  le  proprietà  mentovate  del.Boie* 
gnese,  e  la  principale  sua  disscmanza  consiste  nella  prononriÉi] 
della  quale  toma  assai  malagévole  descrivere  la  varia.  gradatziiMh 
cui  solo  può  distintamente  discèmere  un  orecchio  abituato. al 
suoni  dell'uno  o  dell'altro  dialetto. 

Vi  sono  però  meno  frequenti  i  dittonghi  àu,  òu^  in  cui  veee 
sovente  il  Modenese  pronuncia  la  prima  vocale  aperta: e  st^af|S- 
nata^  dicendo:  dutòr,  sgnòr,  fortuna,  padrona,  consulaxiàm^^m 
luogo  di  dutàur,  sgnòurj  furtòìma,  padròma,  qonfulwfimm.  ,  .. 


DiJliLEm  BVILUifl.  305 

Similmente  cangia  per  lo  più  nel  suono  nasale  én  la  desinenza 
ino  italiana  che  il  Bolognese  risolve  sempre  nel  dittongo  èìnj  o 
serba  la  forma  italiana  ès  nelle  voci,  che  il  Bolognese  strascina 
fa  èUj  come: 

Modenese     ragazzèn     ben       meni     Mudnès    cortes    paès 
Bolognese    ragazzèin    bèta      mèint    Mudnèis   curtèis  pajèls. 

Inoltre  il  Modenese  distinguesi  per  l'articolo  femminile  che  nel 
plurale  fa  iV^  come  :  il  don^  stil  vHcij  dil  sa  tir  j  per  te  donne j  que- 
fk  vecchie j  delle  sàtire^  laddove  gli  articoli  bolognesi  sono  t  o  a/. 
Solo  di  mano  in  mano  che  ci  allontaniamo  dalla  pianura  mo- 
<leiiese  quel  dialetto  assume  un  aspetto  diverso  dal  bolognese. 

n  Reggiano  distinguesi  dal  Modenese  p^  una  pronuncia  al- 
IDanto  più  stretta,  specialmente  nelle  vocali  che  sono  precedute 
<h  doppia  consonante;  ed  è  pure  distinto  dal  Bolognese  per  la 
mancanza  dei  dittonghi  èij  àu^  óti^  come  il  Modenese,  di  cui  è 
pAsMmo  suddialetto,  e  dal  quale  diverge  solo  per  varietà  d'ac- 
cento, e  per  alcune  espressioni  che  tèndono  alla  forma  parmi- 
giana. Esso  però  varia  alcun  poco  da  villaggio  a  villaggio,  e  nella 
tosa  città  di  Reggio  il  dialetto  del  centro  ha  pronuncia  diversa 
'iqueDo  del  quartiere  di  porta  Castello,  come  pure  da  quello 
d^li  altri  quartieri  di  S.  Croce,  di  S.  Pietro  e  di  S.  Stefano, 
^ocedendo  poi  verso  la  montagna,  la  favella  vi  prende  accento 
^  forme  assai  diverse. 

Il  Frignanese  è  chiaramente  distinto  fra  gli  emiliani  per  al- 
<^e  proprietà  che  lo  assimilano  ai  dialetti  lombardi.  Ivi  infatti 
^^miamo  i  suoni  ile  i  mancanti  nella  màssima  parte  degli  emi- 
liani. Meno  frequente  vi  è  T  elisione  delle  vocali ,  e  tra  queste 
Solo  alcune  vengono  pronunciate  aperte  e  prolungate  in  fine  di 
Pttnola.  Ivi  non  troviamo  i  dittonghi  èij  duj  òu  propri  del  gruppo 
principale,  né  molto  meno  il  nasale  èn^  che  il  Modenese  ed  il 
Reggiano  sogliono  sostituire  airitallana  desinenza  inoj  ed  in  vece 
M  troviamo  in  alla  foggia  lombarda. 

Manca  affatto  del  suono  emiliano  àj  e  si  nei  nomi  che  nei  verbi 

Wrba  d'ordinario  le  flessioni  lombarde;  per  modo  che  potrebbe 

ancora  considerarsi  come  un  dialetto  lombardo,  tinto  leggermente 

d'enillaiio.  in  esso  è  da  notarsi  la  conghmiioDe  es  corrispondente 


904  wàxn  noomià. 

air  italian  ej  ed  un  speciale  pronimeia  aperta  em 
sua  propria. 

Di  mano  in  mano  che  s' avvicina  alla  vetta  dell' ApeaninOi  qa»^ 
sto  dialetto  assnme  accento  e  forma  toscana,  del  che  porge  m 
chiaro  esempio  il  Diàlogo  in  dialetto  di  Fiumalbo,  inserito  ndla 
Corografìa  Italiana  del  benemèrito  Zuccagni-Oriandini,  i 

11  gruppo  Ferrarese  è  meno  puro  e  meno  originale  degli  altri 
emiliani,  non  solo  pel  continuo  suo  contatto  eoi  Vèneti  e  .coi 
Lombardi,  dai  quali  trasse  notévoli  impronte;  ma  perdiè  sane 
posteriormente  dalla  mistura  di  varie  nazioni,  che  nel  oofso  delle 
nòrdiche  invasioni  si  rifuggirono  nei  paludosi  polesini  convertiti 
più  tardi  nella  fèrtile  pianura  ferrarese.  Fra  le  varie  favelle  lao» 
chiuse  in  questo  gruppo,  la  sola  che  serba  vestigia  originaUòed 
antiche,  si  è  quella  del  pescatore  di  Gomacchio,  di  quella  priaea 
Comaculas  che  molto  prima  della  fondazione  di  Ferrara  aom- 
stava  alle  paludi  ond'  era  attorniata,  e  per  le  quali  ebbe  aenpit 
diffìcile  e  scarso  commercio  coi  pòpoli  circostanti.  Di  questo  dia- 
letto parlato  appena  da  qualche  milliajo  di  rozzi  valligiani,  sa- 
rebbe molto  ùtile  impresa  il  raccorrò  le  più  distinte  radici  e  le 
forme  primitive,  ciò  che  invano  abbiamo  chiesto  ad  akaiii  dadi 
corrispondenti,  non  avendo  noi  potuto  fermar  qualdie  dnaoraia 
quelle  lagune.  .  . 

Prima  che  il  Po,  deviando  dall'alveo  abbandonato  di  Priaaro, 
ed  ora  percorso  dal  Reno,  imprendesse  Y  attuale  suo  eano^  wdù 
solo  doveva  èssere  il  dialetto  parlato  nella  provincia  mantovana) 
allora  molto  più  estesa  a  mezzogiorno,  diffuso  eziandio  nel  Immo 
Modenese  e  Parmigiano,  situati  allora  sulla  riva  sinistra  di  qad 
fiume.  Ma  dappoiché  esso  mutò  il  suo  corso,  comecché  i'aalieil 
àlveo  rimanesse  poi  sempre  confine  etnogràfico,  il  Mantovano  • 
divise  in  due  dialetti,  dei  quali  quello  che  pàriaà  lungo  la  itt^ 
destra  del  fiume  si  conservò  più  puro,  mentre  l'altro,  èioè.  ^ 
MankK>ano  propriamente  detto,  ristretto  dalla  sinistra  in  bra^ 
territorio,  ed  attorniato  dai  dialetti  vèneti  e  lombardi,  eoi  quinta 
più  tardi  ebbe  comuni  le  vicende  politiche,  ritrasse  pareec^ 
suoni  e  forme  distintive  di  quelli,  rimanendo  cosi  disgiunlo  4^ 
Ferrarese. 

Questo  fra  gli  emiliani  è  il  meno  aspro,  avendo  esso  pure  ra^l' 


DIALRTI  EWLIARI.  )06 

dolcita  la  pronahcia  al  contatto  coli'  accento  scorrévole  del  Vè- 
neti^ e  dìstlngnesi  da'  suoi  afCni  per  la  mancanza  del  suono  à  e 
€Ìet  dittonghi  et»  òn  propri  di  questo  ramo.  Al  primo  sostituisce, 
come  il  Vèneto,  un' a  alquanto  aperta,  specialmente  nell'indefi- 
nito e  nei  participj  dei  verbi,  dicendo:  dedderdrj  magnar j  portar ^ 
mmà^  votàj  nuinedj  ed  in  luogo  dei  secondi,  serba  le  desinenze 
itailMie  doitàTj  onoTj  rasónj  padrón  e  slmili. 

Inveee  di  sostituire  la  z  aspra  al  suono  è  italiano,  esso  lo  pèr^ 
muta  in  s  alla  foggia  dei  Vèneti,  dicendo:  prmsipiàrj  iUtadins 
mii,  per  principiare j  cUtadinOj  civile. 

Volge  in  ar  breve  le  deanenze  italiane  dre^  drOj  pre^  tre,  irOj 
MI  die  gli  infiniti  dei  verbi  terminanti  in  ere: 
haliaoo    padre    ladro    sempre   mentre  dentro  godere  leggere 
FflRvesa  pddor  lodar    eèmpar  mintar  dentar  gòdar    lézar. 

Volge  la  desinenza  italiana  ìa^  e  talvolta  ancora  la  io  in  tè, 
(Keeodo: 

italiano        compagnia        eresia  osteria         mio 

Ferrarese     cumpagniè        eresie  ostarle         mie. 

Ha  meno  frequenti  le  elisioni  delle  vocali  nel  mezzo  delle  pa- 
role e  le  Inversioni  delle  consonanti,  ciò  che  ne  rende  la  pro- 
nuncia più  scorrévole  a  confronto  di  quella  dei  dialetti  affini,  e 
6  oso  di  parecchie  voci  tolte  ai  vèneti  dialetti. 

le  sue  varietà  poco  dissimili  sono  i  linguaggi  dei  distretti  man- 
tovani cispadani,  il  Mirandotese  ed  il  Guastallese. 

Rei  primi,  il  continuo  commercio  coi  dialetti  dell'opposta  riva 
dd  Po  introdusse  una  leggera  gradazione  dei  suoni  lombardi  o 
^  ii^  ed  un  accento  misto  di  vèneto  e  di  lombardo.  Nel  Miran- 
dolese  sèrbansi  miste  alle  proprietà  del  Ferrarese  alcune  tracce 
del  Modenese  e  del  Parmigiano,  nella  desinenza  aperta  òn^  nella 
iHBmmt&zione  del  i  in  Zj  ed  in  alcune  flessioni  dei  verbi,  come 
Wtpflr^  tgniva  e  simili,  che  il  Ferrarese  termina  in  evaj  prinzi- 
pian,  dmandòn^  ove  il  Ferrarese  sopprime  la  n  finale ,  ed  altre 
4  tal  sorte. 

Nei  Guastallese  distlnguonsi  pure  i  suoni  e  ed  u  dei  Lombardi 
in  molte  voci,  come /ogfj  zog^  piitinj  tutj  per  foco,  giuoco,  barn* 
^tno^  dillo.  Talvdta  volge  alla  foggia  parmigiana  la  t  in  é  in 


Ì06  .  rAin  saGOMDA; 

alcune  voci,  come:  gallimìa^  cantinna,  per  gailtM^  eamHM. 
Suole  terminare  in  t  i  nomi  femminili  plurali  che  in  italiano  ii- 
niscono  per  e,  come  :  li  cosiy  li  belli  donni^  per  te  cofe^  le  beU^ 
donne.  Questa  proprietà  vi  fu  introdotta  pel  commercio  continuo 
col  vicino  dialetto  parmigiano^  del  quale  ò  distintiva.  In  gene- 
rale peraltro,  sili  GnastaUese  che  il  Mirandolese, serbano  molta 
afiSnità  col  Ferrarese  e  col  Mantovano,  dissonando  così  nella  formsi 
come  nell'accento  dagli  altri  vicini  dialetti,  ai  quali  sono  poli* 
ticamente  congiunti. 

Il  Mantovano  ha  in  maggiore  o  minor  grado  le  proprietà  men- 
tovate del  Ferrarese,  del  quale  in  origine  fu  prihdpale  fiittore; 
e  solo  ne  dista  per  la  frequente  inse^ione  dei  snoni  lombardi  o 
ed  ii,  e  per  la  forte  alterazione  subita  negli  ùltimi  tempi,  .mercè 
il  contatto  coi  dialetti  vèneti  e  lombardi.  Perciò  esso  è»  parlato 
con  qualche  purezza  appena  n^llà  città-di  Mantova  e  liei'Tidni 
sobborghi ,  mentre  a  qualche  miglio  verso  oriente  prevale  i'  ac* 
cento  e  la  forma  del  dialetto  veronese,  che  in  più  luoghi  s! insi- 
nuò al  di  qua  del  Mincio;  e  alla  distanza  di  poche  miglia  verso 
occidente  e  settentrione,  è  rimarchévole  l'influenza  dd  dBaletti 
lombardi  orientali,  nei  quali  il  Mantovano  gradatamente  ai  foade. 

Il  dialetto  Parmigiano  distlnguesi  da  tutti  i  suoi  drcoatanli 
per  una  serie  di  proprietà,  fra  le  quali  basterà  notare  le  seguenti: 

Esso  abbonda  in  dittonghi,  e  fra  questi  1  più  frequenti  tNmo 
aij  eij  ou.  Sostituisce  ai  alla  vocale  a  ogniqualvolta  in  italimo 
trovasi  il  dittongo  ia^  oppure  ie^  o  io  nella  sillaba  seguente,  di- 
cendo àiraj  oàiroj  per  aria,  vario  e  slmili.  Risolve  nel  dittongo 
et  la  e^  in  tutte  le  desinenze  italiane  enaj  ene,  eno^  enia^,  eittei» 
ese^  ina^  ino  ed  in  parecchie  altre  voci,  dicendo:  vHna,  bèmj  . 
serètn^  contémto^  numièintj  mèis^  piasèintèinaj  farèkia^  vèin^  Mi- 
guaj  amrj  per  vena^  befiCj  terenoj  cantenta^  tnomenio, 
piacentinaj  farina^  vinOj  lingua^  avere.  Risolve  poi  nel 
òu  le  vocali  o  ed  u  nelle  desinenze  italiane  ana^  one,  umi^  are. 
oraj  osOj  osa^  dicendo  :  persòunaj  rasòun^  lòunaj  fortàunaj  fiàwr, 
sgnòuroj  ascòus^  niorònsa^  per  persona^  ragione^  luna,  foriima^ 
fiorej  stgnoraj  ascoso^  amorosa. 

Volge  d'ordinario  in  ó  il  dittongo  italiano  uOj  dicendo:  fioC 
scólaj  vìily  polj  per  figliuolo^  scuola,  imole^  può. 


DIALETTI  EMILIANI.  S07 

Strascina  oltremodo,  quasi  a  guisa  dì  vocale  raddoppiata,  le 
aj  e,  0,  quando  si  trovano  in  principio  di  parola  e  sono  accen- 
tate, dicendo:  mata,  bélj  cóto^  per  matta^  bello j  colto. 

Volge  la  e  in  «3  e  l'a  in  àj  ogniqualvolta  sono  seguite  da  r 
nella  stessa  sìllaba,  come:  ctiarta^  satra^  invàretij  per  coperta^ 
torva,  inferno  j  ed  arma.  Partita,  màrtir,  per  arme,  Parma, 
fnàrUre. 

Nelle  terminazioni  plurali  femminili  invece  pèrmuta  la  ^  in  i, 
dicendo:  il  beli  doni,  il  mali  piti,  cioè  le  belle  donne,  le  male 
^ile;  così  pure  in  tutti  gli  imperfetti  dei  verbi  al  congiuntivo, 
^one  tgnu,  pudiss,  alziss,  varìss,  per  tenesse,  potesse,  leggesse, 
colesse. 

Anlopposto  degli  altri  dialetti  emiliani,  non  volge  mai  la  o  in 
-mi,  ma  bensì  talvolta  la  u  in  o,  dicendo  on,  coìia,  cost,  per  uno, 
^^mlla,  questo.  E  meglio  ancora  distlnguesi  dagli  altri  emiliani , 
^lenmitaiido  sovente  la  t  in  u,  pronunciando  prum,  fastudi,  prtm- 
^^upiar,  per  primo,  fastìdio,  principiare.  La  quale  proprietà  ac- 
^raompagna  quasi  tutti  i  dialetti ,  che  all'occidente  del  parmigiano 
^  estèndono  lungo  le  rive  del  Po  e  del  Ticino,  sino  alla  Sesia  ed 
«1  Verbano.  E  qui  gioverà  avvertire,  come  il  corso  de'  grandi 
^und,  che  d'ordinario,  arrestando  il  conunercio  frequente  fra 
^&  abitanti  delle  opposte  rive,  segna  una  precisa  linea  etnogrà- 
Qea ,  giovi  all'  opposto  alla  diffusione  delle  schiatte  lungo  le 
W*ive  medésime,  per  ragguardévoli  distanze.  Cosi  lungo  la  riva 
4el  Po,  da  Valenza  discendendo  sino  all'Adriatico,  troviamo  pa- 
i^ecehie  voci  e  forme  comuni  a  tutti  i  differenti  dialetti  che  vi 
^  parlano.  Valga  d' esempio  la  strana  voce  cminzipiàr^  la  quale 
appare  composta  della  prima  metà  della  voce  equivalente  italiana 
^^mninciare,  e  della  seconda  metà  dell'altra  corrispondente prtn^ 
eipiarej  essa  è  comune  del  pari  al  Valenzano ,  che  al  Ferrarese 
^d  al  Ravennate.  Cosi  lungo  l' opposta  riva  dello  stesso  fiume , 
Hon  che  lungo  quella  de'  suoi  principali  affluenti,  cioè  del  Ticino  e 
^Ua  Sesia,  vediamo  rinnovarsi  un  simile  fenòmeno  pel  corso  dì 
molte  miglia ,  sebbene  frattanto  differiscano  fra  loro  i  dialetti  in- 
termedi. 

Oltre  alle  proprietà  surriferite,  il  Parmigiano  suole  evitare  la 

17 


I  I      ir;n  I  :i   I 


208  PARTE  SBCONDA. 

<H)lUsione  delle  consonanti  cr,  Im^  rlj  rm^  ni,  rv^  fra 
d' ordinario  la  vocale  e: 

Italiano        crepare    salmo    orlo     uniforme    giorno     nerro 
Parmigiano  cherpar   sàlem   òrel     unifórem   gióren     ncrev. 

Pèrmuta  sovente  la  6  italiana  in  z  aspro ^  dicendo:  fizil,  aih 
prizij  zercàr^  per  fàcile ^  capriccio ^  cercare. 

Termina  le  terze  persone  singolari  dei  passati  perfetti  di  prima 
eonjngazione  in  t^  come:  andì,  basi,  mandi,  consumi j  per  ondi^ 
baciòj  mandòj  constmiò, 

il  Borgotarese  è  alquanto  distinto  dal  Piarmigiano ,  cosk  neHa 
pnxiuncia,  come  neir accento  e  nelle  flessioni,  accostandosi  ai 
dialetti  toscani  e  genovesi.  Esso  manca  presso  che  dei  tutto  del 
suono  emiliano  a  che  proferisce  assai  debolmente  in  poche  vod; 
e  in  quella  vece  ha  comuni  coi  dialetti  lombardi  i  suoni  o  ed  «^ 
come  vedrassi  in  alcune  voci  della  seguente  versione  della  Pa* 
ràbola,  p.  e.:  /ijó,  lógOj  scode j  vii,  lUj  tùlo  e  simili. 

Sc^ra  tutto  distinguesi  dagli  altri  emiliani ,  terminando  eoo 
vocale  la  maggior  parte  delle  parole,  che  quelli  troncano  sempre; 
valgano  d' esempio  i  nomi  :  pde/o^  fradeto^  ainOy  pajésej  i  plorali: 
ser^itoriy  porcili,  canti;  ì  partidpj:  morto,  fatto,  dito,  pensoi  ^ 
verbi  :  disse,  mèrito,  K>gnìsse.  essendo. 

Fa  uso  degli  articoli  u  ed  ar,  il  primo  dei  quali ,  come  nel 
dialetto  genovese,  dal  quale  sembra  derivato,  fa  più  spesso  rat- 
fido  di  pronome  personale.  Cosi  nelle  frasi  u  disse,  u  saltò,  • 
respondi,  significa  egli  disse,  egli  saltò,  egli  rispose. 

Talvolta  sostituisce  la  j  al  suono  molle  gì  italiano,  e  le  m  al' 
r  italiano  gn,  come  :  fijo,  foja,  voja,  in  luogo  di  figlio,  foglia,  vor 
glia;  maniof^,  Campania,  per  maingiaioa,  campagna. 

Nei  nomi  plurali  femminili  serba  non  solo  1*  articolo  italiano  b, 
ma  ancora  la  terminazione  e  che  il  Parmigiano,  come  acceo' 
nammo,  cangia  in  t.  Dal  che  si  vede,  come  il  Borgotarese  vada 
accostandosi  ai  dialetti  toscani  e  genovesi.  Queste  prcqnrieti  per 
altro ,  che  sempre  più  vanno  sviluppandosi  nelle  valli  superiori, 
vengono  meno  di  mano  in  mano  che  si  discende  nell'ima  valle 
del  Taro;  giacché  nell'Agro  parmigiano,  come  altrove,  i  dialetti 
variano,  non  che  da  valle  a  valle,  da  distretto  a  distretto  e  d» 


DIALRTI  EMIUANI.  300 

villaggio  a  villaggio.  In  un  opùscolo  manoscritto  sui  dialetti  di 
Parma,  Piacenza  e  Guastalla,  di  Luigi  Uberto  Giordani,  apprestalo 
sin  dall'anno  i804,  peir  inchiesta  di  Moreau  Saint-Mery,  allora 
amministratore  di  quegli  Stati,  e  comunicatoci  dalla  gentilezza 
del  chiaro  bibliotecario  della  Farnese  cavalier  Angelo  Pezzana , 
tròvansi  distinte  cinquantanove  varietà  di  pronunda,  che  T  as- 
tore rappresenta  nel  vario  modo  di  proferire  la  voce  andaf. 

Il  Piacentino^  comecché  strettamente  affine,  e  quasi  suddia- 
letto  del  Parmigiano,  ne  differisce  notevolmente  nella  pronuncia 
ed  in  alcune  flessioni  per  modo,  che  frequenti  sono  le  gare  fra 
quelle  due  popolazioni,  avvezze  da  sècoli  a  deridersi  a  vicenda 
per  r  affettazione  dell'  accento  e  di  alcuni  'modi  peculiari.  Questa 
irarieti  di  pronuncia  consta  primieramente  nell'uf^>  che  il  Pia- 
<entiiio  suol  fare  del  suono  ùj  e  nel  vario  modo  di  strascinare 
le  vocali  accentate,  cui  solo  può  ben  designare  la  viva  voce. 

faMdtre  esso  risolve  sovente  nel  dittongo  òin  la  terminazioiie 
italiana  inOj  ed  in  ùin  la  finale  unoj  per  la  qual  proprietà  di- 
•tingoesi  non  solo  dal  parmigiano^  ma  da  tutti  i  dialetti  emiliani, 
Iranne  il  solo  Pavese  che  ne  è  suddialetto.  Goii  in  luogo  di  be- 
mMj  signarinoj  Carlino jAnUminOs  il  Piacentino  proferisce:  bi- 
■  nàia,  iioròinj  CartòiUj  Tolòmj  ed  in  luogo  di  tino^  venl^  tmo  ^ 
aieffunOj  pronuncia  vurn^  ptnl'tim^  nsiiin. 

All'opposto  dei  Parmigiani  che  proferiscono  sempre  le  conso- 
nanti sémplici ,  eziandio  quando  sono  raddoppiate  in  italiano ,  i 
Piaeentini  sogliono  raddoppiarle,  altresì  quando  èsser  dovrebbero 
sémplici,  e  pronunciano:  multa j  pappa j  costa j  iella j  per  «itila» 
papaj  cosa^  telaj  nel  che  il  Piacentino  differisce  pure  da  quasi 
tutti  g^  altri  dialetti  emiliani  e  lombardi. 

Nei  nomi  femminili  plurali,  che  il  Parmigiano  suol  terminare 
per  i^  il  Piacentino  tronca  d'ordinario  la  terminazione,  dicendo: 
U  donHj  il  portj  il  vàè,  cioè,  le  donne ^  le  porte ^  le  vecchie. 

Suol  terminare  in  a  gli  indefiniti  dei  verM  di  prima  conjuga- 
lione ,  die  il  Parmigiano  termina  in  àr^  e  gli  altri  dialetti  in  or, 
0  in  èr^  o  in  dr^  come:  ama^  portàj  andàj  per  amare^  portare, 
mudare,  in  quasi  tutti  gli  altri  verbi  poi  l' indefinito  è  eguale  alla 
(Nrima  persona  del  presente  indicativo;  cosi  mor,  sèntj  lèZj  piànZj 
lignlfiraiiff  monne,  eentires  lèggere^  ptàngere.  Ed  in  ciò  pure  esso 


240  PARTE  SKONOA. 

dìsUnguesi  dal  Parmigiano ,  il  quale  d' ordinario  snoie  fiormare 
r  indefinito  dei  verbi  ^  troncando  daUa  voce  italiana  l'ùltinia  vo- 
cale ,  come  :  murir^  sintir,  lèzer^  pianzèr,  parer. 

Laddove  il  Parmigiano  cangia  in  a  la  e  seguita  da  r  nella 
stessa  sillaba,  il  Piacentino  la  pronuncia  si  stretta,  da  ooofihi- 
derla  quasi  colla  tj  proferendo  :  séppoj  cover  la j  invémo.  TmlvoMa 
ancora  pèrmuta  la  e  in  o^  dicendo:  vad^  cravóttj  per  cecio^  cth 
pretto j  la  qual  proprietà  estèndesi  ancora  lungo  il  Po  sino  a  Va» 
lenza. 

Di  mano  in  mano  che  questo  dialetto  si  estende  verso  ocei- 
dente ,  varia ,  assumendo  alcune  proprietà  dei  dialetti  lombardi^ 
pedemontani  e  liguri,  coi  quali  confina.  Perciò  fra  le  sue  va- 
rietà più  distinte  abbiamo  notato  il  Bobbiese^  il  Bromese  ed  fl 
f^alenzano^  il  primo  dei  quali  partecipa  di  tutti  i  mentovali 
dialetti,  il  secondo  si  confonde  col  Milanese,  ed  il  terso  col  Ver* 
banese ,  sebbene  in  tutti  emèrgano  le  proprietà  distintive  de|^ 
emiliani. 

li  Bobbiese  infatti,  mentre  possiede  il  suono  a,  ed  elide  JO- 
vento  le  vocali  nel  mezzo  delle  voci,  fa  uso  ancora  dell'  articola 
genovese  Uj  de' suoni  lombardi  ò  ed  u^  e  di  alcune  forme  e  vod 
piemontesi,  quali*  sono  i  futuri  terminanti  in  o^  andare^  alvro^ 
dirój  l'indefinito  esse  per  èssere  edaltretali.  Situato  sull'estremo 
confine  di  stirpi  diverse,  è  ristretto  alla  sola  eittà  ed  agro  di 
Bobbio ,  mentre  i  mandamenti  di  Varzi  e  ZavattareUo  poeti  al 
Nord-Ovest,  che  un  tempo  formavano  parte  del  Ducato  di  MiialMi 
sentono  ancor  più  del  lombardo,  ed  il  mandamento  d'Ottcme  tt- 
tuato  a  mezzogiorno,  già  feudo  imperiale  dei  principe  Doria, 
maggiormente  s'accosta  al  dialetto  ligure,  il  quale òdesi distinto 
nel  Comune  di  Corte  Brugnatella ,  fira  Bobbio  ed  Ottone. 

U  Bronese  depone  quasi  interamente  le  proprietà  emiliane  per 
assùmere  le  lombarde,  già  radicatevi  da  sècoli,  mercè  la  lungi 
soggezione  di  quella  .terra  alla  Signoria  Milanese.  E  perciò  po- 
trèbbesi  con  egual  ragione  classificare  fra  i  dialetti  lombardi  oor 
ddentali.  Se  non  che,  la  frequente  elisione  delle  vocali  nel  men» 
deUe  parole,  che  abbiamo  posto  come  proprietà  distintiva  in 
questi  due  rami,  V  inversione  di  alcune  lèttere ,  come  ad^  ahèt, 
arsussUàr^  per  d^  koarej  risuscitare^  e  la  sua  posizioiie  luqf» 


MAumn  mniANi.  311 

r estremo  lembo  dei  dialetti  emiliani^  ci  determinarono  a  collo* 
cario  piuttosto  in  questo  ramo. 

Il  F'alenzano  coUégasi  agli  emiliani  per  l'elisione  frequente- 
delle  Tocali  intermedie ,  pel  suono  àj  e  per  alquante  radici  con 
essi  comuni.  Ciò  nullostante  esso  partecipa  ancora  in  modo  par- 
ticolare delle  proprietà  distintive  del  gruppo  Verbanese,  permu- 
tando sovente  la  u  italiana  in  t^  dicendo  ìHj  inna  per  uno^  una; 
«  inversamente  la  t  in  Uj  proferendo  priimma,  viisto  per  prtma, 
wUtOy  ciò  che  ha  pure  comune  col  Piacentino;  sostituendo  la  6 
alquanto  aspra  alla  t  finale  in  parecchie  voci ,  màssime  nei  par* 
Yidpj  ,  come  in  tue,  dUj  fai^  andàè  e  simili.  Per  modo  che  non 
si  saprddie  stabilire,  se  la  popolazione  della  città  ed  agro  vaì> 
lenzano  appartenga  piuttosto  allo  stìpite  emiliano,  o  al  veite- 
nese;  e  tanto  più  ciò  riesce  difficile,  ove  si  consideri,  che  Valenza 
C3  suo  territorio  fu  per  sècoli  e  sino  agli  ùltimi  tempi  aggregala 
^dk  Diòcesi  Pavese,  e  che  trovasi  presso  la  foce  della  Sesia,  il  est 
Xxidno  forma  sede  principale  del  gruppo  verbanese;  giacché  non 
cl<Abiamo  lasciar  di  notare ,  che  un  tempo  questo  fiume  metteva 
Hi^Po  alcune  miglia  al  disotto  dell'attuale  sua  foce,  come  atte* 
stano  traode  evidenti  dell'antico  suo  àlveo  abbandonato. 

Per  ùltimo  il  Pavese  puossi  risguardare  come  un  suddialetto 

del  Piacentino,  alquanto  misto  di  lombardo.  G)munque  notévole 

peraltro  sia  questa  inserzione  dì  lombardi  elementi  nel  dialetto 

pavese^  non  reca  meno  stupore  l'osservare,  come  esso  abbia 

potuto  conservarsi  cosi  distinto,  dopo  tanti  sècoli  di  continuo  ed' 

immediato  commercio  còlla  vicina  capitale  lombarda,  anzi  dopo' 

èssere  stato  nel  centro  della  lombarda  dominazione,  alla  quale' 

ha  sempre  politicamente  e  geograficamente  appartenuto. 

L' influenza  del  dialetto  milanese  sul  pavese  appalesasi  princi- 
palmente nel  lèssico  e  nelle  forme  e  flessioni  grammaticali,  che 
in  màssima  parte  concordano  colle  lombarde,  mentre  nella  prò-, 
mmcìa  sertn  molta  simiglianza  col  Piacentino,  col  quale  ha  al- 
tresì comune  il  distintivo  dittongo  oi^  il  prolungamento  delle  vo- 
cali e  l' accento.  E  ciò  valga  a  nuovo  documento  di  quanto  adi- 
biamo nell'Introduzione  asserito  (I),  che  cioè  un  dialetto  sottoposto 

(i)  Vengasi  nriPIntrcKlBzkMie,  pag.  xn. 


i 


diS  PAETE  flKONIMU 

alla  preralente  inflaenza  d'un  altro,  depone  anzitaUo  il  proprio 
lèssico  ed  alcune  forme  peculiari,  non  mai  la  primitiva  pMóimcity 
la  quale  trapassa  indelèbile  dall'una  all'altra  genenudoiie. 


2  4.  Osserfpazkmi  granitnaticali  in  generale. 

Comunque  strani  e  in  apparenza  diversi  dagli  altri  itilid 
letti,  gli  emiliani  sono  tuttavìa  costituiti  sopra  un  medèsiflio  si- 
stema grammaticale ,  che  perciò  appunto  possiamo  denomiiiafé 
itàlico^  essendo  più  o  meno  diffuso  su  tutta  la  Penisola^  con  fù^ 
che  eccezioni  e  lievi  modificazioni  neUe  forme  esteme,  dipendaalt 
per  lo  più  dalla  pronuncia. 

1  nomi  sono  sempre  retti  da  un  articolo»  o  da  ima  prepori^ 
zione,  o  da  un  pronome.  L' articolo  per  lo  più  vale  a  deCenal- 
name  il  gènere  ed  il  nùmero.  Due  sono  i  gkieri ,  maechUe  dol^ 
e  femmmUes  due  i  nùmeri:  angolare  e  plurale.  Pei  nomi  mi- 
schili l'articolo  determinato  singolare  varia  ne'varii  diateli,  mh 
sondo  rispettivamente  al^  or,  elj  l\  e^  Uj  che  nel  plurale  cAnglai» 
tutti  indistintamente  in  t.  Pei  femminili  ogni  dialetto  adopera  Vesf^ 
tlcolo  determinato  italiano  la,  che  alcuni  nel  plurale  cingiamo 
in  le,  altri  in  elj  al,  i,  il.  L'articolo  indeterminato  mascdiile  è 
fin,  orij  thj  che  nel  femminile  fa  una,  na,  óna,  tutta. 

Talvolta  però  in  alcuni  dialetti  la  sola  desinenza  vale  a 
traddisUnguere  il  gènere  ed  il  nùmero  dei  nomi,  ed  allora, 
in  italiano ,  la  terminazione  a  dinota  il  gènere  femminile, 
le  t  ed  e  Indicano  il  nùmero  plurale  maschile  e  femminile.  Si 
eccettuino  il  dialetto  parmigiano  e  qualche  romagnolo,  die, 
terminando  in  a  U  singolare  di  parecchi  nomi  femminili,  danno 
al  plurale  la  terminazione  i .  Innumerevoli  poi  sono  a  tal  pn- 
pòdto  le  irregolarità  dei  nomi ,  dei  quali  la  maggior  parte  ri- 
mane inalterata  in  ambi  i  nùmeri,  e  parecchi  ricévono  specUi 
flessioni. 

Le  preposizioni ,  come  in  tutti  i  dialetti  e  in  tutte  le  lingae 
d'Europa ,  valgono  a  determinare  i  rapporti  che  collègano  i  noni 
alle  altre  parti  del  discorso,  provvedendo  all'assoluto  difetto  dd 
casi  ;  e  sono  le  comuni  italiane  de  o  ad,  a,  da,  per  o  pr^  corno 


DiAunn  ismuANi.  Si 5 

cim,  ifiy  ec.  Quest'ultima  per  lo  più  va  unita  alla  I»  che  fa  Taf- 
fido  di  lèttera  eufònica,  dic^dosi  generalmente  in  Val ^  o  in 
tUoj  per  nello j  nella ^  ciò  che  pure  si  osserva  nella  maggior  parte 
de'  dialetti  italiani.  Solo  noteremo,  come  i  dialetti  piàcentùÉo  e 
valeniano  sostitniscano  la  s  in  luogo  della  1,  proferendo  invece 
in  s'alyin  s' la.  E  qui  ò  pure  a  notarsi  la  strana  prepoóxione  m* 
esclusiva  del  dialetto  Riminese,  che  vi  tien  luogo  ddla  preposi- 
zione ttj  dicendosi  m^e  su  babj  ni*  un  fiól^  per  esprimere:  a  euo 
foére,  ad  un  figlio. 

Tutte  queste  preposizioni  contràggonsi  d'ordinario  oog^i  arti- 
coli in  una  sola  voo«,  come  suol  farsi  in  italiano,  formando  così 
dij  del,  dalj  davj  dle^  dela,  dele^  dilj  di^  oppure  ae^  alj^  ar^  ai, 
ala],  ale,  e  così  di  sèguito.  Con  esse  declìnansi  i  nomi  propri,  i 
quali  pure  nell'Emilia  pòrgono  ampia  messe  d'osservazioni  al 
linguista,  per  l'originalità  delle  loro  forme  e  per  le  frequenti 
omonimie  che  s'incontrano,  ponendoli  a  confronto  coi  nomi  di 
luoghi y  monti,  fiumi  e  torrenti  della  liombardìa,  del  Vèneto., 
della  Rezia,  del  Piemonte  e  di  parecchie  straniere  regioni. 

Gli  aggettivi  non  òffirono  alcuna  particolare  osservazione  y  do- 
vendo concordare  coi  loro  nomi ,  mercè  le  poche  mentovate  fles- 
sioni ,  che  in  essi  pure  distìnguono  talvolta  i  gèneri  ed  i  nùmeri. 
Quanto  alla  loro  formazione,  non  differiscono  pimto  dai  lombardi, 
0  dagli  italiani,  assumendo  le  terminazioni  én^  èij  èin^  in^  énuj 
èinoj  inaj  o  élj  ttj  iUij  pei  diminutivi;  òn^  àss^  àzZj  òna,  assa^ 
azzaj  pegli  aumentativi  e  peggiorativi;  issenij  issema  pei  super- 
lativi; come  pure  gli  avverbi  più  e  menoj  pei  comparativi. 

I  pronomi  derivano  dalle  stesse  radici  degli  italiani,  e  sedo  vi 
sono  variamente  corrotti  dalla  pronuncia.  Si  declinano  ora  colle 
sole  preposizioni  ed  ora  cogli  artìcoli,  e  persino  le  anomalìe  loro 
sono  comuni  cogli  altri  dialetti.  Così  p.  e. ,  nei  casi  obliqui  gh* 
oppure  t  corrispóndono  all'  italiano  a  lui^  a  leij  a  loroj  nCj  o  n* 
all'italiano  ne^  o  a  noij  v*  2l  vij  o  a  ^oij  e  così  di  sèguito.  Lo 
stesso  dicasi  degli  altri  pronomi,  i  quali  propriamente  sono  f^ 
italiani  corrotti  dalla  varia  pronuncia. 

I  verbi  si  conjùgano  d'ordinario  sulla  norma  degli  italiani,  dei 
quali,  comecché  alterate,  serbano  per  lo  più  le  flessioni  carat- 
lerislicfae.  Perciò  il  verbo  ausiliare  avere  seguito  dal  participio 


su 


PARTE  SECONDA. 


vale  a  formare  le  voci  passate  mancanti,  mentre  il  verbo  èssere 
collo  stesso  participio  provvede  all'assoluto  difetto  della  voce 
passiva.  Con  tutto  ciò  molte  sono  le  varianti  in  ogni  dialetto,  per 
la  formazione  delle  voci  in  ogni  modo  e  tempo,  ed  a  pòrgerne 
un  Saggio  soggiungiamo  la  conjugazione  attiva  dei  due  verbi  ùrth 
vare  e  tenere  nei  tre  dialetti  Bolognese,  R^;giano  e  Parmigiano. 
Abbiamo  preferito  questi  due  verbi,  poiché  in  tutti  i  dialetti  pos- 
sono rappresentare  il  modello,  su  cui  la  maggior  parte  degli  altri 
si  conjuga;  non  lasceremo  però  d'avvertire],  che  innumerèv<di 
sono  le  irregolarità  dei  verbi  in  ciascun  dialetto,  il  notare  distin- 
tamente le  quali  sarebbe  assai  difficile  e  forse  inùtile  fatica. 


BOLOGNESE 


REGGIANO 


PARinGIANO 


Tempo  preiente 
Tempo  panato 
Tempo  futuro 
Gerundio 
Participio  (a) 


me  a      port  (6) 
té  V        port 
la  a'I     porta 

na  a       purtèln 

vu  (e)  a  parta 
lòur        pòrten 


me  a 
ter 
lua'l 
nn  a 
va  a 
lòur 


jlfodo  i$ìde finito. 


purtar 
avèir     parta 
èssr  pr  parta 
partand 
parta 


purtàva 

partàv 

part&va 

partàven 

portivi 

purtàven 


partar 
aver         parta 
èsser  per  partar 
partànd 
parta 


portar 
avèlr        porti 
èsser  per  portar 
portimi 
porti 


jlfodo  Indkatwo. 

Tempo  Pretente. 


me 
té  V 
16 

nò 

vò 
lòr 


port(d) 

port 

porta 

ipartèm 
i  partòm 

parta 

pòrten 


mi  a 
UslV 
col  el 

na  a 

va  a 
lòri 


port 
port 
porta 

portèm 

porta 
pòrten 


Tempo  Panato  Pròmimo. 


me 

portava 

mi  a 

portiva 

ter 

portav 

tiar 

portiv 

lo 

portava 

loel 

portiva 

nò 

portavem 

no  a 

portivem 

vò 

portavev 

va  a 

portavev 

lor 

portiven 

lòri 

portiven 

DUUmn  BUUANI. 


)IB 


tèwv.Jò 

Iftsl  Va 

tò     à 

lÒBDairftin 

iMtlavi 
òonàn 

avèra 

avèv 

aveva 

avèven 

avevi 

avèven 


■g 


pnrtarò 
partara 
partarà 

portarèin 

portali 
partarin 

arò 
ara 
are 

arèin 

ari 
aran 


Toqpo  PMMtO  PttftltO. 

^  Jrpurtéssel     *  * 
nò 


parie 
purtò 


à 


•§ 


pur»u  #  111 

purtéssev   J^  avi 


purtam      ^ 
purtòm 


v6 
lòrj 

Tempo  Passato  Rimoto. 
me      II 


mi  a  porti  opp.  Jò 
UaVportiss       Va 


la  el  porti 


rà 

Jema 
avemai 


e 


j' iva 
V  aviva 


té 
16 
nò 
vò 
lòr 


I  r  ivet 
ì  V  avivet 


riva 
aviva 


J'ivem 
avivem 


Vv 

I  j' ivev 
}  j*  avivev 

Ir 


i'iven 
aviven 


nu  a  portissem  | 

va  a  portissev    j^avi 

lòr  1  portin         kn 


miar    l*''* 
*     ì aveva 


2£ 


i 


U'ar 
la  r 

vaf 
lòrr 


iav 
Javév 

fava 
aveva 

tavem 
avèvem 

lavev 
)  avévev 

taven 
avèven 


Teapo  Fataro. 

me  partarò 
té  V  partara 
lo  a  ^1     partara 


nò 

vò 
lòr 


I  partarèmm 
Ipartaròmm 

purtari 

partaràn 


•a 

0 


Tempo  Fntnro  Passato. 
me 

ter 

Io  1' 


nò 

vò 
lòr 


arò 

ara 

ara 

|arèm 
iaròm 

ari 

aràn 


mi  a  portarò 

ti  a  t'  portara 

la  el  portare 

na  a  portarèm 

va  a  portar! 

lòr  1  portaran 

mi  J**  arò 

ti  V  ara 

la  r  ara 

na  j^  arem 


va  j' 
lòrr 


ari 
aran 


? 


916 


PAETB  8B0ONDA. 


pòrU  té 
eh'  lu  pòrta 

purtèln 

parta 
chM  pòrten 


eh'  me  a  pòrta 
eh'  té  t'   pòrt 
ch^  lu       pòrta 

ch^  nu      purtàmen 

ch^vu      purtadi 
ohMòar  pòrten 


eh*  me  a  purtàss 
eh^  té  V  purtàss 
eh'  lu      purtàss 
eh'  ni|  a  purtàssen 
eh'  vu  a  portassi 
eh'  lòur   purtàssen 


»Ki»A  java 
eh'  me   \  - 

lapa 

eh'  té  t'  àv 

eh'  lu     I  !^* 
lapa 

eh'  nu      avamen 

eh' vu      avadi 

eh' lòur  1^^*" 
^apen 


0 


Modo  Imperatilo, 

porta  fé 

eh'  al  pòrta  lo 

I  purtèmm 
ì  purtòmm 

purta 

ehe  pòrten  lòr 

Modo  Congiunlwo. 

Tempo  Pretcìite. 

ehe  me  porta 
che  tè  t' pòrt 
che  lo    pòrta 

che  nò    »P"'-J?'»°» 
)  purtomm 

ehe  vò   purtadi 

che  lòr  pòrten 

Tenpo  Pasiato  Pròsnino. 

che  me    iP"""*?»» 
^"®™®    *  purtàss 

che  nò    }P«"-tés8em 
J  purUssem 

chevó    |P«»'-Jf»ev 
f  purtassev 

che  lòr  }  P"tó'««'» 

t  purtàssen      I 

Tempo  Pamlo  Perfetto. 

che  me     àbia 
chetét'jj^l^, 

che  lo       àbia         i  ^^ 

.  I  abiemm  f  "X 

^'"«"o    iabiòmm  l  ^' 

che  vò      abiàdi 
che  lòr   àbien 


ch'el 


chM 


porta 
porta 

portèma 

porta 
pòrten 


eh'  mi  a  porta 
ch'tiat'port 
eh'  lu  el  porta 

cb'nu  a  portèma 

eh'  vu  a  porta 
eh'  lòr  i  pòrten 

eh'  mi  a  porlass 
eh'  ti  a  t' portass 
eh'  lu  el  portass 
eh'  nu  a  portassem 
eh'  vu  a  portassey 
eh'  lòr  i  portissen 


eh'  a  j'  àbia 

ch'at'  àbi 

eh'  r  àbia 

eh'  j'  avèma 

eh'  i'  avi 

eh'  j'  àbian 


DlALim  imUANI. 


Tempo  PMMto  Biaiolo. 


'^ 


di'  me     avèss 


eh'  té  V  avte 


eh'  lu       avèm 


eh'  nii      avèssem 


«h'  vu     avessi 


:hMòur   avèasen 


sue  a 


ipurUré 
I  purtarév 

.,      4  purtarèsi 
1  purtarèss 


u  a'  1  portare 

30  a  purtarèn 

1^  a  purtarèssl 

^^ur  purtarèo 


«né 

ter 

lu 
lòor 


are 
arèss 

are 

area 
arèssi 

arèn 


che  me  \^. 
faviss 


che 


lér  I 


ISS 

aviss 


8»! 


Che  lo     }  '^^ 
}  aviss 

che  nò    ì"^^ 
ì  avissem 

chevó    M*?^ 
ì  avissev 

chelòr   1^^" 
I  avissen 


Modo  Condizionale. 

TemiM  Presente* 
me         partarév 

^  o     4  purterìss 
I  purtarisset 

Io  al  purtarév 

nò  purtarissem 

vó  purtarissev 

lòr  purtaréven 

Tempo  Passato» 
me         are 


ch'i'  1^*^ 

ch'I'  l'"?* 

'  ^avissev 

^^  J  }  avissen 


,1 


ter 
lòr 

nò 
vò 

lòr 


larìss 
)  arìsset 

jaré 
i  arév 

arissem 

arìssev 

iarén 
9  aréven 


Ut 


mi  a  portare 

ti  a  V  portarìss 

lu  el  portare 

nu  a  portarìssem 

vu  a  portarissev 

lòr  i  portarén 

mi  a  J'  are 

ti  a  V  arìss 


lur 


are 


nu  J'      arissem 
vu  j'      arissev 

lòr  j'      arèn 


Modo  Indefinito. 


7eatpo  pmenie 
Tempo  pattalo 
Tempo  fiUwro 

Gerundio 

Participio 


tgnir 
avèir  tgnù 
èssr  pr  tgnir 


tgnagànd 
tgnù 


tgnir 

aver  tgnù 

èsser  per  tgnir 

itgnènd 
) tgnànd 

tgnù 


tgnir 
aver  tgnù 
èsser  per  tgnir 

tgnèind 

tgnù 


MB 


me  a        tègn 
té  r        tèin 
lu  a"*  1      tèlo 


nu  a 


tgnèin 


vu  a        Igni 
lòur  i      iéinen 


PARTB  SaCORDAé 

Modo  Indkatwo, 

Tempo  Prcteote. 
me         tègn  (e) 
té  V       tin 
lo  al       tin 


né 

vò 
lòr 


|tgnèm 
itgnòm 

tgni 

tinen 


mi  a      tèign 
ti  a  r     tèlo 


luel 

nu  a 

vu  a 
lòri 


tèin 

tgnèima 

tgni 
tèinen 


Tenpo  Passato  Pròssimo* 


me 

tèi' 

lu  aM 
nu  a 
vu  a 
lòur  i 


tgnèva 

tgnév 

tgnèva 
tgnèven 
tgnèvi 
tgnèven 


me 
tét' 


tgniva 
Itgniv 


me  a    teina  op.Jò 
tét*      tgness  Tà 
lu  aM   tgné      à 


nua     tèinsen  avèinj 


vua     tgnéssi  avi 


D 
C' 


)  tgnivet 
16  al       tgniva 
nò  tgnivem 

vò  tgnivev 

lòr         tgniven 
Tempo  Passato  Perfetto. 

me  tgni  of>p.  Jò 

té  r  tgnìs         V  a 

lo  al  tgni  à 

nò  lgnissem|j^;j^| 

vò  tgnissev    J  avi 


mi  a       tgnèiva 
ti  a  V     tgnèiv 


lu  el 
nu  a 
vu  a 
lòri 


tgnèiva 
tgnèivem 
tgnèivev 
tgnèiven 


e* 


•*'ignr  - 


^..  .  t  tèinsen    iVem 
I  tgnissem  \  j  av 


«..  «  Itèinsev      ,,    » 
vu  a  < .     «  j  avi 

)  tgnisaev    * 


lòri 


\  tèinsen 
Itgnin 


an 


me 

té  t' 

lu 

nu 

vu 

lòur 


aveva 

avèv 

aveva 

avèven 

avevi 

avèven 


(3? 

p 
e* 


Tempo  Passato  Ilìmoto. 

S  y  iva 
\  Y  aviva 

t' ivet 
avivct 


me 

té 

lo 


no 
vò 
lòr 


i  t' ivel 
}  t' avi^ 

\  r  iva 
}  V  aviva 

\  j,  ivem 
V\  avivem 

{j'Ivet 
n' avivct 

(flvan 
Jj'avivan 


(3? 


miar    1*''* 
*     ì  aveva 


tiat' 
lu  r 
nuf 
vu  j* 

I 

lòrr 


Iav 
avév 

lava 
\  aveva 

lavem 
)  avèveml 

Jàvev 
)  avévev 

lavèn 
ì  avèven 


DIALETTI  EMILIANI. 

919 

Tempo  Faturo. 

i 

tgnerò 

me         fgnirò 

mi  a 

tgnirò 

tgnera 

té  t*       tgnirà 

ti  a  t' 

tgnira 

1 

tgnerà 

lo  al       tgnirà 

luel 

tgnirà 

tgnerèln 

„ ,         )  tgnircm 
°^        }  Ignlróm 

nu  a 

tgnlrèlma 

tgnerì 

vó          tgnlrì 

vu  a 

tgnirì 

i 

• 

tgneràn 

lòr         tgnlràn 
Tempo  Fotnro  Pattalo. 

lòri 

tgnlràn 

arò             \ 

me         arò             \ 

mlj' 

arò            \ 

ara             j 

té  V       ara            i 

ur 

ara            j 

arèln          /  s:» 

lo           ara            [ 

„ .        1  arem          )  g 
«^^        laròm            *=" 

luP 
nuf 

1  B 
arem            S' 

ari             1 

vó          ari 

▼ur 

ari 

aràn           / 

1  lòr         arìin           J 
Modo  Imperatilo. 

lòri' 

aràn 

lèln 

tin  té 

tèln 

1 

tègna 

ch^  al      tègna  lo 

ch'el 

tèigna 

tgnèin 

Itgnèm 
itgnòm 

tgnèma 

tgni 

tgni  vó 

tgni 

tègnen 

che        tègnen  lòr 
Modo  Congiuntilo, 

Tempo  Pretente. 

chM 

tèignen 

éa 

{  tégna 

che  me  tègna 

eh' mi 

tèigna 

tégn 

che  té  V  tègn 

eh'  ti  t' 

tèign 

lal 

tégna 

che  lo    tègna 

eh'  lu  el  tèigna 

1 

tgnàmen 

che  nò  tgnèm 

ch'nu 

tgnèlma 

1 

tgnàdl 

che  YÒ   tgnìdi 

eh'  vu 

tgni 

or 

tègnen 

1 

che  lòr  tègnen 
rempo  Pattato  Pròttimo. 

eh'  lòr 

itèinen 
1  tègnen 

6a 

tgné»R 

che  me  tgnéss 

eh' mi  a 

tgniss 

tgnéss 

'=-«'^''  & 

eh'  ti  te 

tgniss 

al 

tgnéss 

che  lo     tgniss 

eh'  lu  el  tgniss 

i 

tgnéssen 

ohe  nò    tgnissem 

ch'nu  a 

tgnissem 

i 

tgnéssi 

che  vò    tgnisscv 

ch'vu  a 

tgnbsev 

ir 

tgnéssen 

^''«"«'ItJmS^? 

eh'  lòr  i 

tgnissen 

290 


PARTE  880OIII1A. 


eh' me  1!^« 
lapa 

eh'  le  V  àv 


ehMu 


lava 


)apa 
eh"*  nu      avàmen 

« 

eh' vu      avadi 
I  apen 


eh'  me     avèss 


t;h'  té  i'    avèss 


eh'  lu       avèss 


eh'  nu      avèssem 


eh*  vu      avessi 


eh'  lòur   avèssen 


me  a 

té  l' 

lu  al 
nu  a 
vu  a 
lòur  I 

me 
té  l' 

lu 

nu 

vu 

lòur 


tgnera 

tgneréss 

tgnera 
tgneràn 
tgneréssl 
tgneràn 

are 

arèss 

are 

arèn 
aròssl 

arèo 


f 


Tenpo  PmmIo  Perfetto 

che  me  àbia 

rhptpt'*^*^' 

chetcl^jj^j^j 

che  lo     àbIa 

^K«  «A  S  abièm 
^^«  "«  )  abióm       . 

che  vó    abiàdi 
che  lòr   àblen 
Tempo  Passato  Rimoto* 


9 


ch'aj»  àbU 
eh'  a  t'  àU 


eh'  l 
eh' j 
ch'i 
ch'i 


f 


che  me  \  '*®, 
^aviss 


\ 


che  té  t'}^**, 
^avi 

che  lo   1'", 
.favi 

.       '  )  issem 
che  no  5  ^  «^ 


aviss 


aviss 


D 


avissem 


me 
té  t' 


chevòl»»^?^ 
9  avissev 

chelòr}'«*" 
)  avissen 

Modo  Condizionak, 

Tempo  Presente. 

tgnircv 

)  tgniriss 
i  tgnirisset 

lo  tgnirév 

nò  tgnirisscm 

vò  tgnirissev 

lòr  tgniréven 

Tempo  Passato. 

me         ara 

. ,  .,     I  arìss 
^^      larisset 

lòr 


ch'j 
ch'i 
ch'I 
ch'j 
eh'j 
ch'j 


àbia 
avèffla 
avi 
àbian 


\  188 

j  aviss 

liss 
i  aviss 

liss^ 
}  aviss 

pssem 
iaviasem 

lissev 
iavissev 

lissen 
iavissen 


f 


nò 
vò 

lòr 


iare 
)arév 

arìssem 

arissev 

lurén 
farèven 


(3? 

D 


mi  a  tgnirè 

ti  a  te  tgniriss 

lu  el  tgnirè 

nu  a  tgnirissem 

vu  a  tgnirissev 

lòr  a  tgnirèn 

mi  a  j'  are 

ti  a  t'  arìss 


lu  1' 


are 


nu  j'      arìssem 
vu  j'      arìssev 

lòr  J'     arèn 


D 
6> 


DULim   EXIUAHI.  %%i 

Osservazioni,  (a)  1  participj  degli  aliri  verbi  variano  indefini*^ 
tamente  di  forma,  cosi  nel  Bolognese,  come  o^li  ailrì  dialetti^ 
assumendovi  le  desinenze  à< ,  t(,  àt\  é,  ed  altrettali ,  ciò  che  solo 
si  può  distìnguere  col  hmgo  esercizio. 

(6)  Si  noti,  come  la  vocale  eufònica  a  ò  comune  eziandia  a 
quasi  tutti  i  dialetti  emiliani,  in  quasi  tutte  le  voci.  Similmente 
è  a  tutti  comune  l'uso  di  ripètere  i  pronomi  nella  maggior  parte 
delle  vod,  come  abbiamo  osservato  parlando  dei  dialetti  lom- 
bardi. Questa  ripetizione  è  ancor  più  manifesta  in  tutte  le  per- 
sone del  futuro  interrogativo  in  tutti  i  dialetti  emiliani  poco  di- 
verso dal  bolognese,  del  quale  porgiamo  un  esempio: 

purlaròja  me?  purtarènia  nu? 

purtaràt  té?  purtarw     vuàter? 

purtaràl  elfi?  purtaràni  clur? 

Ove  si  vede  manifesto,  che  le  terminazioni,  o  meglio  i  suf- 
Cssi  ja^  tj  Ij  nia,  v,  t,  equivalgono. ai  pronomi  io,  tu,  egli,  noi, 
^^,  èglino,  ripetuti  separatamente. 

(e)  Per  brevità  abbiamo  scritto  in  tutti  i  verbi  il  pronome  vu^ 
^3  vó,  invece  di  vmter,  o  vujàter,  i  quali ,  come  abbiamo  più  so- 
fra  osservato,  valgono  a  contrassegnare  il  plurale,  usandosi  vu 
<Iuando  si  parla  con  una  sola  persona.  Cosi  abbiamo  preferito  per 
la  terza  persona  i  pronomi  lu  o  là,  lòur  o  lòr,  sebbene  nei  vari 
dialetti  facciasi  altresì  uso  delle  voci  equivalenti  clù,  col,  quél, 
«cpè/  pel  singolare ,  clùr,  clòr,  qui,  aqtiéi  pel  plurale. 

(d)  Quando  il  verbo  incomincia  per  consonante,  il  Reggiano 
suol  dare  ancora  un'altra  forma  al  pronome  in  quasi  tutti  i  tempi, 
nel  modo  seguente:  e'  pori,  e^  fport,  a  *l  porta,  e'  purtém, 
€*  parta,  e*  pòrteti.  Per  brevità  poi  abbiamo  ommesso  nel  mo- 
dello parecchi  modi  o  flessioni  usate  dal  Reggiano,  oltre  alle  in- 
dicate. Cosi  nella  prima  persona  plurale  di  tutti  i  tempi  presenti 
e  futuri  fa  ancora  purtémma  e  purlòmma,  tgnèmma  e  tgnòmma. 
Egualmente  nel  passato  perfetto  composto,  oltre  a  jmm  ejòmm^ 
fa  altresì  èmm,  òmm^  èmma^jémma,  òmma,  jòmma,  aoèmni^ 
iwènima,  a^rnnm,  avòmma, 

(e)  Questo  verbo  riceve  flessioni  diverse  fuori  della  città.  Cosi 
nel  piano  reggiano  V  indicativo  presente  fa  :  mi  a  tign,  ti  a  i'  tcn. 


3SS  PAETB  SBOOmiA* 

lo  aU  teHj  no  a  tgntmm  o  tgnìmmaj  po  a  Igni^  lór  a  iènen 
Nelle  colline  e  sulle  alpi  reggiane  invecenel  plurale  fa  :  no  ^gftMMi 
o  (gnàma.  E  lo  stesso  dicasi  di  parecchi  altri  tempi  e  di  tutti  : 
dialetti,  i  quali  più  o  meno  variano,  non  che  dalla  città  alfa 
campagna,  da  luogo  a  luogo. 

Per  dò  che  risguarda  la  sintassi,  ripetiamo  quanto  abbinM 
accennato,  parlando  dei  dialetti  lombardi,  e  per  pòrgerne  ^i 
diiara  idea,  soggiungiamo  la  versione  della  riferita  Paribola  é 
s.  Luca,  in  tutti  i  ]^ù  distinti  dialetti  emiliani. 


CAPO  IL 

f^ersione  della  Paràbola  del  Figliuòl  Pròdigo^ 
tfxuta  da  S,  Luca^  Cap.  AFj  nei  principali  dialeUi  emiliani. 

Per  la  lettura  delle  seguenti  Versioni^  non  che  dei  Saggi  di 
Vetleratora  emiliana  che  succèdono,  invìtianio  i  lettori  a  rivedere 
i  segni  convenzionali  da  noi  preferiti,  onde  rappresentare  nel 
modo  più  sémplice  i  suoni  disparati  di  tante  fevelle  diverse,  e 
meglio  chiariti  a  pag.  55. 

Perchè  poi  lo  studioso  che  vorrà  lèggere  questo  libro  pc^sa 
Toa  maggiore  fiducia  fondare  i  propri  giudidi  sopra  le  stesse 
Versioni,  avvertiamo,  essere  tutte  òpera  de'  più  distinti  cui- 
lori  de'  rispettivi  vernàcoli,  come  appare  dai  nomi  che  ab- 
biamo apposto  in  calce  d'ogni  versione,  onde  attestare  nello 
«tesso  tempo  ai  medésimi  la  nostra  più  viva  riconoscenza.  Per 
^elli  che  non  fossero  per  avventura  abbastanza  versati  nelle 
letterature  vernàcole  emiliane,  accenneremo  ancora,  come  il 
•chiaro  signor  Camillo  Minarelli  goda  riputazione  di  valente  poeta 
fra  i  suoi  concittadini,  pei  molti  pregévoli  ccmiponimenti  da  lui 
dati  alla  luce  in  dialetto  bolognese;  come  il  chiaro  Antonio  Moni 
«ia  autore  dell'importante  ^oca6o/ano  BonéognoiO'ItalianOj  ed  il 
prof.  Domenico  Chinassi  di  vari  componimenti  inèditi  romagnoli; 
t!ome  il  canònico  prof.  Ferrante  Bedogni  s' abbia  il  primato  fra  i 
poeti  vernàcoli  reggiani,  il  chiaro  signor  Landoni  fra  i  Ravennati, 
Il  professore  Siro  Caratti  fra  i  Pavesi;  e  come  tutti  gli  altri,  che 
gentilmente  ci  apprestarono  qualche  versione,  non  esclusi  coloro 
che  per  sola  modestia  non  ci  permisero  pubblicare  i  loro  nomi, 
abbiano  tutti  ben  meritato  della  loro  patria,  mercè  un  prezioso 
corredo  di  studj,  così  sulle  clàssiche,  come  sulle  nazionali  favelle 
rispettive. 

18 


234 


PARTE  SECONDA. 


Dialetto  Bolognese. 


II.  Un  zert  òm  ave  du  (iù; 

is.  E  al  più  pzèin  d^  questi  déss  al 
pader:  Pà,  dam  la  mi  part  dia  roba 
che  m^  tocca;  e  lo  i  parte  la  roba. 

13.  E  dop  nen  pur  assà  de,  mess 
Insèm  agn  cosa  »  V  andò  vi  in  t^  un 
pi^is  lantan,  e  li  al  strussiò  la  so 
roba,  vivènd  da  trop  rourbèin. 

14.  E  dop  ch^  l' av  stnissià  tatt,  al 
vgnè  una  gran  caresti  in  quel  pajèis, 
e  lo  cminzò  a  tnivàrs  in  bisògn. 

f  K.  E  Pandò,  e  al  s'  méss  al  servezi 
d^un  ztadèin  d'  quél  pi^èis,  e  quest 
al  mandò  in  V  un  so  lug  a  badar  ai 
purzi. 

16.  E  r  aveva  vuja  dMmpìrs  la  so 
pinza  d'  quél  jand  eh*  i  purzi  magna- 
ven ,  e  ensnn  j' in  dava. 

IT.  Intlint  pensànd  mèi  ai  fatt  su^ 
al  déss  :  Quant  garzòn  in  c^  d"*  mi 
pader  i  àn  dal  pan  d*  avànz ,  e  me 
què  inlànt  a  mor  d*  fami 

18.  A  turò  su,  e  s' andare  da  mi 
pader,  e  ai  dirò:  Pa,  a  Jò  fatt  un 
gran  tort  al  zìi  e  a  vò; 

19.  Za  a  n*  son  più  degn  d*  èsser 
clama  vòster  fiòl;  tulim  cm*  un  di  vò- 
ster  garzòn. 

so.  E  tulànd  su,  al  vgnè  da  so  pa- 
der. Hèinter  l'era  anc  luntan,  so  pa- 
der al  r  i  vést,  e  al  s*  muvè  a  cum- 
passiòn,  e  currend*  j  incontra,  al  sM 
ire  al  col,  e  s'al  basò. 

SI.  E  al  fiòl  I  déss:  Pà,  a  jò  fatt 
un  gran  tort  al  zil  e  a  vò;  za  a  n'  son 
più  d^gn  d*  èsser  clama  vòster  fiòl. 


ss.  Allóra  al  pader  déss  al  sa  80i 
vitùr:  Prèst,  tuli  fora  Pàblt  mlér 
vstìl,  e  mtii  in  did  Panel,  e  I  sdur 
in  ri  pi; 

ss.  E  condusi  què  un  videi  Ingras 
sa,  e  ammazzai,  e  fèln  tantara; 

B4.  Perchè  sr  mi  fiòl  era  inoii^  • 
s'è  arsussita;  l'era  pèrs,  e  s'è  trova 
e  i  cminzòn  a  far  tantara. 

stt.  Intani  al  fiòl  più  grand  era  li 
campagna,  e  vgnind,  e  vnUàaA 
a  cà,  al  sin  tè  la  sinfuni  e  I  caotùr. 

se.  E  al  clamò  un  aervUòr,  e  8*1 
dmandò:  Cosa  fuss  quèsi. 

57.  E  lo  i  déss:  L^è  vgnu  vèiin 
fradèl ,  e  vòster  pader  Vk  fati  amnai 
zar  un  videi  ingrassa ,  perchè  al  Vi 
iurnà  avèir  san  e  sveli. 

58.  Allóra  Io  s^instizzè,  e  a  q^  vlevi 
andar  dénter.  Al  pader  d*  lo  doaei 
vgnù  fora,  cminzò  a  pregarci. 

S8.  Ma  lo,  arspundèndy  déss  «.ai 
pader:  Guarda,  l'è  tant  an  ch^a  v 
screv,  e  mai  a  jò  dsubidé  a  un  vésta 
cmànd ,  e  vu  mai  a  n*  mi  avi  di  ai 
cavrètt ,  da  far  una  sirlva  cod  I  ■: 
amig; 

30.  Ha  subii  pò  eh'  è  arriva  si'  ^• 
ster  fiòl,  chi  s'è  magna  iuii  al  8^ 
con  del  dunàzzi,  avi  ammazza  un  irl- 
dèi  ingrassa. 

SI.  Ma  lo  i  déss:  Fiòl  mi,  I&  t'i 
sèmper  mig,  e  iuii  la  mi  roba  è  tOi 

38.  Intani  cunvgnéva  far  tantara] 
e  goder,  perchè  si'  tò  fradèl  era  laorC, 
e  s' è  arsussita;  l'era  pera,  es^  IrafL 


Camillo  BliiiAaiui. 


DIALETTI  EMILIANI. 


^3» 


Dialetto  Faentino  (Bomagnolo). 


il.  U  i  fo  un  sgnór,  ch^  aveva  <lu|     22.  Ma  su  pédar  alora  e  dess  ai  su 


raghèi; 

iS.  Un  de  e  piò  pznén  u  i  dess: 
Bab,  dem  la  mi  pért  dia  roba  eh' a 
in'  loca;  e  e  pédar  e  fé  sóbit  a  e  mód 
de  flól. 

is.  E  quand  che  V  eb  bèli  e  die 
ava  tot  quel  che  oléva,  e  tés  so, e  u 
s^  mesa  a  viaièr  e  mond ,  e  a  divari 
Usta  a  piò  non  poss. 

u.  B  sa  Taveva  orainéi  de  Fonda 
a  tot  e  so,  quand  ch^u  i  arlvé  adòss 
ani  carst^  acsè  granda,  che  se  vós 


is.  U  i  Uicehè  d^andér  a  sarvi,  e  e 
fe  mandé  in  campagna  per  guardiàn 

da  pére» 

16.  E  a  là  e  quignéva  magne  dal 

gènd,  e  pa  i  in  fosse  stè. 

17.  Siche  on  de  pinsènd  ai  chés 
su ,  e  prinzipiè  a  di  :  Che  sa  mèi  quént 
sarvitàr  adèss  in  cà  d'  mi  pédar  1  fa 
salàcqv  de  quell  da  magne,  e  me  aqué 
u  m^  tocca  a  murim  da  la  fan  1 

18.  A  voi  aviém  da  qué  e  turnér 
a  cà  d^  mi  pédar,  e  ai  dirò:  E  mi  bab, 
me  a  cnòss  ch'ò  falle  prema  cun  e 
Signor,  e  pu  cun  vò; 

it.  A  n^  so'  piò  degù  d' èssar  cla- 
mò vòstar  fiòl,  tném  aqué  par  vò- 
star  aarvitòr. 

te.  E  dett  e  fatt  u  s'incaminè  par 
tumésn'  a  cà;  e  za  u  i  era  tant  vsén, 
che  ss  pédar  u  H  vési ,  e  sòbit  u  i 
cane  incontra ,  e  u  n  prinzipiè  a 
abrazsé  e  basò. 

SI.  E  fiól  u  1  dess:  E  mi  bab,  me 
a  cnòss  eh'  ò  falle  prema  cun  e  Si- 
gnór,  e  pu  cun  vó;  a  n'  so'  piò  degn 
d' èssar  ciamé  vòstar  fiól. 


sarvitùr:  Prest,  purté  aqué  e  piò  bel 
èbit ,  e  vslil;  mettj  un  anèl  in  fai  di- 
da,  e  i  schèrp  in  Vi  pi; 

93.  E  amazsé  e  piò  videi  grass,  cb'a 
vlém  stèr  alegramént  ; 

94.  Parche  stu  me  fiòl  l'era  mort, 
e  u  rè  risussité;  a  Pera  péra  e  u  4 
s'è  truvé  d'  l>el  nòv;  e  acté  i  cminzè 
a  magne. 

9a.E  fiòl  piò  grand  Teraandéin  cara* 
pagna;intevnis  a  cà,  e  prema  d'intré 
dentar,  e  sintè  sta  grand  algréja; 

96.  E  ciamè  on  di  so  sarvitùr,  e 
u  i  dmandè  quel  ch'era  tot  cl'annór. 

27.  E  e  sarvitòr  u  i  dess:  L'è  tur- 
no su  fradèl,  e  su  pédar  u  z'  à  fatt 
amazzé  e  piò  bel  videi,  parche  u  l'à 
vest  turné  san  e  séluv. 

98.  Ma  lo  d'  ste  qué  o  s' l'eb  tant 
a  e  nès,  eh'  u  n'  vleva  gnanca  intrér 
in  cà  ;  e  su  pédar  u  l'andè  fora  a  pre- 
ghél  parche  eh'  l'intréss. 

99.  E  fiòl  piò  grand  u  i  dess:  Bra- 
vo; me  che  da  tant  énn  in  qua  ò  sèm* 
par  fatt  tot  mèi  quel  eh'  am'  avi  cman- 
dé,  a  n'  ò  mèi  bsù  ave  da  vò  gnanca 
un  cavrét  da  magném  cun  i  mi  amig; 

80.  E  adèss  eh'  l'è  turné  st'  étar 
d'éssas  strascinò  gni  cosa  cun  dònn, 
a  i  avi  fatt  amazzér  e  piò  bel  videi 
eh'  a  z'  avéssum. 

81.  Ma  su  pédar  u  i  arspòs:  Te,  e 
mi  flól,  t'  sé  sèmpar  cum  me,  e  tot 
quel  eh'  è  e  mi ,  l'è  anca  e  tu  ; 

32.  Mo  adèss  e  bsugnéva  ben  mu- 
stré  tota  mèi  la  cuntintezza,  parche 
tu  fradèl  ch'era  mort,  l'è  novamcnt 
risussité;  a  Tavemì  pérs,  e  l'avén 
truvé  d'  bel  nòv. 

Antonio  Moaai. 


Ma 


PARTE  SECONDA. 


Dialetto  Ravennate  {Romagnolo). 


II.  Un  òm  l'aveva  du  fluì. 

is.  E  e  piò  sóvèn  d^  lor  dess  ae 
pader  :  Baby  dasim  la  mi  pari  eh' a  vi* 
tocca;  e  Io  e  fase  al  pari. 

is.  Dop  a  poc  de  e  piò  zòven,  fatt 
e  fagòt ,  u  s' n'  andò  in  f  an  paés  lon- 
ìàn,  e  dasè  food  a  tot,  vivènd  da  gran 
sgnorìuEX. 

14.  E  qoand  eh'  l'ave  struscia  tot 
quel  eh'  l'aveva^  e  venS  una  gran  ca- 
risii  in  che  paés,  e  lo  e  prinzipiè  a 
soffrì  la  miseria  ; 

lE.  E  l'andò  da  un  abftint  d'  che 
paés,  eh'  ul  mandò  hi  t' una  su  cam- 
pagna a  bada  al  pure. 

16.  L'arébvlu  almàne  ImpìS  la  pan- 
ia del  giànd  eh'  magnava  i  pure,  e 
niftón  u  in'  daseva. 

1 7.  Pensònd  allora  ai  cas  su,  e  dess  : 
Quant  servitùr  In  eà  d'  mi  pader  à 
de  pan  a  crepa-panza,  e  me  iquè  a 
mòr  d'  (am  ! 

18.  A  toro  so,  e  andarò  da  mi  pa- 
der, e  ai  dirò:  Bab,  a  jò  pea  eontr'  e 
zìi,  e  contra  d'  vò; 

it.  A  n'  so'  piò  degù  d'esser  cla- 
ma vòsier  fiòl;  Uiim  oom'  on  di  vò- 
ster  servitùr. 

to.  U  s'alzò  so,  e  l'andò  da  su  pa- 
der. L'era  ancora  lontan  da  eà ,  che 
su  pàder  ul  vest,  e  u  s'  sintò  eom- 
mòss,  e  u  i  curro  Incontra,  e  u  s'i 
buttò  ae  col,  e  ul  basò. 

Si.  E  flòl  alora  u  1  dess:  Bab^ajò 
offés  e  zìi,  e  jò  fatt  mal  contra  d' vò; 
a  n'mòrit  piò  d'esser  eiamà  vòster  fiòl; 

fts.  Ma  e  pader  dess  al  su  servitùr: 


Portò  iqvà  sòbit  e  piò  bel  vsti,  e  net- 
liei  in  doss,  mettìi  l'anòll  in  dM,  e 
al  scarp  In  t'  I  pi  ; 

SE.  E  andò  a  to'  un  vldòll  e  pie 
grass,  e  ammazzòl,  e  eh^  a  flC  nigin^ 
e  eh'  s'  staga  in  gazzovigUa; 

S4.  Parche  st'  mi  flòl  Tera  bmmì, 
e  l'ò  arsussità;  Pera  perde, e  1% Eli 
truvii;  e  1  eminzò  a  magiifi. 

SE.  Intànt  e  fiòl  piò  grand  l'em  te 
campagna,  e  tomònd,  qvaiid  e  h 
vsén  a  ea,  e  sintò  a  soni  e  canti; 

se.  E  clamò  un  di  servttàr,  evi 
dmande  cosa  eh'  l' era  suzòss. 

57.  E  servitùr  u  1  arspondè:  L^è 
toma  vòster  fradòl ,  e  vòster  pider 
rà  fatt  ammazza  e  vidèll  e  piò  grEES, 
parche  r  ò  toma  san  e  salov. 

58.  Alora  e  piò  grand  as'fnElial^ 
e  u  n'  vleva  Intra  In  cà;  B  veni  Atra 
su  pader ,  e  cmlnzlpiò  a  pregbel. 

59.  Ma  lo,  arspondònd,  e  dess  t 
su  pader:  Ecco  iqvà,  I  ò  tant  ami 
eh' a  v'  sòrov,  e  a  n'ò  manca  am 
volta  d' ubidì V,  e  vò  a  n*  m'avi  mal 
da  un  cavròtt,  dagodòm  can  I  mi  wmHg; 

so.  Quand  però  l'ò  turni  si'  vòster 
fiòl,  eh'  t'à  struscia  tot  e  su  col  dlw> 
nazzl ,  vò  avi  fatt  ammazzi  e  vldòll 
e  piò  grass. 

Ei.  U  i  arspondò  allora  e  pid«rr 
Flòl  mi,  te  t'  si  sòmper  cun  me,  e  Itti 
quel  eh' a  jò,  l'ò  e  tu; 

ss.  L' era  trop  giòst  d' la  allegri  • 
d' fa  banehòtt,  parche  ste  to  fradòl 
r  era:  mort,  e  T  è  arsusslta;  l'era  ptn, 
e  u  s' ò  truva. 


Jacopo  Landom. 


DIAURTI  BMlUAlfl. 


»7 


DiALiTTo  Lnottsi  {Bomagnoio}. 


if .  6ii  om  r  aveva  du  fluì. 

ia.  B  pi6  pmén  e  déss  a  su  pèdar: 
B«b,  darim  la  pirt  diami  robach'a 
m**  tocca;  e  lo  e  fase  al  p&rt  tra  d' lo 
dal  su  sdatani. 

fa*  Da  li  a  pne  da,  mess  inaèa  ch^ 
r  ivéi  ogni  còsa,  u  s^  n'  andèin  i^un 
pafés  luntiiiy  e  e  straaclnè  tot  quel 
eh'  Pavera  in  tM  vési. 

14.  £  quand  eh'  Pavét  cansuma 
ogal  edaa»  e  vena  una  gran  carast^ 
in  V  cbe  pi^»  e  lo.  e  prinalpiè  a 
tnivèa  In  di  teòga. 

la.  Vandè  e  u  s*  intrudusò  da  un 
littadéo  d^che  pi^^  ch^  ^  *1  mandè  in 
fiaipagna  a  cundùsar  in  camp  di  pure 

la.  B  r  aveva  v6]a  d' impis  la  pùir 
a  dal  giàndy  ch^  magnèva  i  pure;  e 
ant&D  a  i  In  diva. 

17.  Turni  che  fo  in  sé ,  e  deaa: 
Quani  servitur  in  cà  d'  mi  pèdar  i  à 
de  pan  In  abnndanza ,  e  me  aqua  a 
m^  mar  da  la  firn  I 

I  a.  A  m' aliarò  so,  andrò  da  mi  pè- 
dar ,  e  al  dirò  :  Bah,  a  jò  pca  contra 
e  Signor,  e  contra  d'  vò; 

it.  A  n^  ao^  piò  degn  d^  èssar  cla- 
mi, vòatar  fiòl;  tratèm  cum  a  fasi 
an  di  vòster  sarvitùr. 

te.  B  aliàndas  so,  rande  da  su  pè- 
dar. V  era  ancora  luntan,  quand  che 
su  pèdar  u  U  vési,  e  muvèndas  a 
compasalòny  u  i  currè  d' incontra,  u 
I  hnliè  al  brasza  a  e  coli,  e  u  '1  base. 

ti.  E  su  fiòl  u  i  déss:  Bah,  a  jò 
pei  contra  e  Signor ,  e  contra  te  ;  a 
n^  so*  piò  degn  d' èssar  clama  tu  fiòl. 

sa.  E  pèdar  e  déss  ai  su  sarvitùr  : 


Prèst,  andé  a tó  fora  e  vsti  e  piò  bel, 
e  mltt^l  adòa,  e  mitUi  r  anèl  In  te 
did,  e  al  achèrp  In  tM  pi; 

2s.  Cundusi  aqui  e  videi  piò  grass, 
amaaièl ,  ch^  a  vlèn  magne  e  a  vièn 
fé  prins  ; 

«4.  Parche  ste  mi  fiòl  Pera  nort, 
e  u  s^  è  arsusclti;  Tara  pera^  e  u  s"è 
tmvi.  E  I  prlnii|dè  a  fé  guanveglia. 

aa.  E  flòl  piò  grand  Intint  IVsra  in 
campagna,  e  in  te  Uumèr  a  ci,  quand 
e  fo  vsén,  e  slntè  i  son  e  I  bil  ; 

ae.  E  clamò  on  di  au  aervitùr,  e  u 
i  dmandè  coaa  ch^  foaa  quel. 

«7.  E  lo  n  I  arspundè:  L^è  turni 
vòstar  fradèl,  e  vost  pèdar  rà  amai- 
ai  un  videi  gras ,  parche  u  P  i  avù 
san  e  saluv. 

a  a.  Alora  u  s' instlxiè,  e  u  n^  u  vleva 
andò  dentar;  parò  e  pèdar  e  vena  fo^ 
ra,  e  e  cminzè  a  preghèl. 

29.  Ma  lo  u  i  arspundè,  e  e  déss  a 
su  pèdar  :  L''è  tant  ann  che  me  a  v^ 
sèruv,  e  a  n^  ò  mai  trasgradi  un  vò- 
star cmand,  e  vò  a  n^  m^  avi  mai  da 
gnenca  un  cavrèt  ch^a  me  gudèss 
cun  I  mi  amig; 

so.  Ha  dop  ch^  è  vnù  ste  vòstar 
fiòl ,  ch^  r  à  cunsumà  tot  e  su  cun 
dal  don  d^  mond,  avi  amaazi  par  lo 
un  videi  grass. 

SI.  Ma  e  pèdar  u  i  déss:  E  mi  fiòl, 
te  V  si  sèmpar  cun  me,  e  tot  quel 
ch^  a  jò  r  è  e  tu  ; 

sa.  Ma  r  era  gióst  eh'  a  fasèss  gua- 
zuveglia  e  festa,  parche  tu  fradèl  Fera 
mort ,  e  r  è  arsuscita  ;  V  era  pers ,  e 
u  s'  ò  truva. 


Prof.  Domenico  Chinassi. 


US 


PARTE  SBOOflDA. 


DiALirro  iMousB  (Bomagnolo). 


il.  Un  òm  r aveva  du  fhiò; 

f  t.  E  è  piò  mvnhxz  u  i  déss:  Bab, 
dèm  la  pari  dia  ròba  eh"*  n  m!*  tooea; 
e  lo  a  I  fé  la  partlziòn  dia  ròba. 

f  8.  Dop  paóe  de ,  cstó  e  tuoi  aó  la 
s6  part ,  e  u  s^  n'  andò  in  viaa  kmtàn- 
lonUm ,  e  é  de  é  fóm  a  tòlta  la  so  rò- 
ba, fasènd  na  vita  da  scaustra. 

14.  Dop  ch^  P  ave  stroscia  ni-coós- 
sa,  é  veni  na  gran  carestéfa  in  i'  che 
pi^és,  e  lo  é  prlnzipia  a  n*  savé  eom 
s'fa. 

f  s.  E  tuoi  só^  e  u  ft^  mitté  per  gar- 
zòn  con  on  da  là ,  ch^  ul  mandò  V  la 
so  pnssiòn  a  mnar  alla  paStura  1  puòrz. 

i«.  Lo  P  arév  tnòtt  pr  Impìl  la  pan- 
ia a  roagnSr  i  corneo  d**  fiva,  cb^  ma- 
gnava i  puòrz;  ma  nsòn  1  In  dava. 

17.  Allora  è  mitté  é  zervèl  a  parti, 
e  I*  déss  :  Quanl  garzòn  d'  me  pa  s 
botta  dré  é  pan,  e  me  aqué  a  crép  d' 
fami 

f  8.  A  turrò  so,  e  1^  andarò  da  me 
pa ,  e  IM  dirò  :  Bab ,  a  jò  fatt  pei 
oontra  é  Sgnòr  e'contra  d'  vò; 

18.  A  n^  so  piò  degn  ch^  a  m*  eia- 
miva  vost  fiuò;  tgném  com  òn  di  vost 
garzòn. 

80.  E  é  tuoi  so ,  e  ft'  veni  da  so  pi; 
e  so  pi,  cb'  ul  vést  d*  lontàn,  u  1  savé 
d^  mal ,  u  i  curré  incontra,  u  V I  but« 
té  a  é  coli ,  e  S' é  baie. 

81.  E  allora  é  fiuò  u  i  déss:  Bab , 
a  jò  fatt  pei  centra  é  Sgnòr,  e  centra 
d^  vò  ;  a  n'  so  piò  degn,  eh*  a  m*  cia- 
miva  vost  fiuò. 


88.  Ma  r  arzdòr  é  dé88  al  8Ó  fBr- 
con  :  So,  porte  aqué  é  piò  bel  vsliaéiily 
e  mittéja  ;  mittél  V  anèi  in  t*  é  di, 
seirp  In  tM  pé. 

85.  E  tuie  é  videi  d' fn  Ttai' 
ammaiaél,  emagpéntel  eféneoeeiVB^ 

84.  Perebé  sr  me  fiuò  V  era  oniérl» 
e  P  è  arsnsciti;  u  l' era  peri»  e  o  iPè 
attruva  ;  e  I  cminzé  a  agnani. 

88.  Ma  é  fiuò  piò  grand  ch^  vgMin 
dMn  ré  camp,  t'  ravsliiai  «lacl^v 
é  Unte  iunar  e  cantir; 

86.  E  é  ciamé  fòraiuiian6oy8ÌM 
dmandé  eòssa  eh*  I  era  d*  dòv. 

87.  E  lo  u  I  déss:  Pè  vgnè  ^kà 
fradèi,  e  vòst  pi  Pi  amnaoi  é  vi* 
dèi  grass ,  pr  avél  turni  a  vdé  aaa  e 
svèlt 

88.  Allora  u  i  veiJ  la  stéiEa,  e  i*  «i 
vréva  gnanc  andi  dénter,  doBca  é  de 
fora  so  pi,  e  acminzé  a  sconrariiL' 

88.  Ma  lo  V  arlpandé ,  e  I*  déas  a 
so  pa  :  T' aqué,  me  eh'  a  ▼*  serv  eh*  Tè 
lant,  e  eh'  n*  ò  mai  sgarra  da  é  fisi 
cmand,  a  n*  m*  avi  mal  di  un  eaTiélt 
da  (a  baracca  con  i  me  amig  ; 

30.  Ma  quand  P  è  vgnù  aqué  at*  tèsi 
fiuò,  eh*  s*  è  magna  la  so  pirt  con 
sgualdrén,  avi  ammazzi  é  videi 

SI.  Ma é  pi  u  i  arlpundé:  Ffoéai, 
tè  V  sé  sèmper  con  me,  e  tòt  quelcia 
me  a  Jò ,  P  è  é  tò  ; 

88.  Bisognava  donca  sguazzi,  e 
allégher ,  perché  sP  tò  fradèi  P 
muòrt,  e  P  è  arsusciti  ;  u  i*  era  peii^ 
e  u  1*  è  attruva. 


Conte  Avv.  Antonio  MAiicimTi. 


DIAUrm  BMILUNI. 


M9 


Dialetto  Foilivbss  {Bcmagnolo). 


11.  U  i  fop  un  òm  ch^  Pavé du  unì; 

is.  E  e  piò  pèccol  e glè  a  esu  bab: 
Bsb ,  eh'  a  no  m' dasi  la  parte  d' quel 
eb'u  m^  loehe?  E  lo  u  i  la  dasè. 

13.  Dop  a  qaèlc  de ,  e  piò  pèocol, 
raeòlt  €k*  V  -avo  tot  quel  che  e  su  bab 
0  i  aveva  di,  e  tuss  eo,  e  l'andèp  In 
ViM4iaiè8  luntèn,  e  ilo  u  e^  slrusciè 
igiMMioèl,  mnand  una  vite  da  baraccòn. 

u.  E  quand  e  fop  armàst  senso 
ignìnl»  è  rivi  adòss  a  che  paiès  una 
fim  canti,  e  eoa  armane  senso  Telmo. 

li.  U  é"*  andò  a  nettar  a  iS  e  sar- 
vitòr  In  r  na  cà  d' un  sgnór ,  eh*  ni 
Bindòp  in  campagne  a  badar  1  pure 

16.  E  u  8^  sari  magna  la  gènde  di 
pare;  na  intsùn  I  in  daseve. 

17.  B  lo  e  prinsipiè  a  méttar  e  sar- 
?èl  a  partì ,  e  odsò:  Oh  1  quent  sar- 
vitur  eh'  rà  e  mi  bab,  eh'  i  ò  e  pan 
a  mesa  gambe ,  e  me  Iqué  a  m'  mor 
d'fan! 

i8.  Ma  me  a  m^  cavare  d' iqué ,  e 
andarò  da  mi  pa ,  dsendl  :  Bab ,  me 
a  Jò  pei  contre  e  sii,  e  a  v^  ò  uffés  • 

19.  A  n^  80^  piò  degn  d**  ess  ciamà 
e  vost  flòl  ;  tnim  sol  com'  un  d' chii- 
tar  voel  sarvitàr. 

90.  Dot  e  fat ,  e  tus  so,  e  Q  s' n'  an- 
dò de  so  bab  ;  e  avanti  ch^  u  s' ari- 
vòss  a  cà ,  e  so  bab  ul  vést  da  lun- 
tàtt ,  a  6^  muvé  a  cumpassiòn ,  u  i 
cnrs  inoontre,  e  ul  abrassé. 

ai.  E  e  llòl  sóbit  u  i  déss:  Bab , 
me  ò  pca  contre  e  sii,  e  a  v'  ò  uffés; 
a  ou  m*  mèrit  d'cssar  clama  piò  e 
vost  fiòl. 

ta.  Allorc  e  bab  e  déss  ai  so  sar- 
vitàr: Anden  prest,  e  tuli  i  mei  àbii, 


e  sóbit  amanel,  e  purtòi  un  anòl  e  ml- 
tial  In  did,  e  mitii  al  scarp  In  fi  pi; 

aa.  E  a  javi  da  tò  un  bel  videi grass, 
e  amassél  par  putò  magna  e  sta  ali- 
gramént; 

94.  Parche  sto  mi  flòl  T  era  mort , 
e  P  ò  arvivì  ;  a  V  aveva  pera,  e  adéss 
a  P  ò  truva.  E  sóbit  i  cminsò  a  ma- 
gna e  sta  allgramént. 

99.  E  ragàs  piò  grand  die  vneve 
alloro  d^  in  té  camp,  tumiind  e  avsi- 
nands  a  cà,  e  sintò  a  eanta  e  a  sona; 

96.  E  a  ciamòp  un  di  su  garinn,  e 
u  I  dmandò  quel  eh^  P  ere  cP  alegrì. 

97.  E  gariòn  P  arspondò  :  L^ò  tor- 
na e  vost  fradòl,  e  e  vost  bab  Vk  fai 
amassi  un  videi  grass,  par  avòl  tro- 
vi san  e  siluv. 

98.  E  lo  u  s' sdignò  tant, ch^u  pi*  vle- 
ve  intra  gnanche  inP  cà.  In  die  mon- 
tar e  su  bab  e  dasé  fura,  e  o  'I  pre- 
ghé  ch^  P  antréss  dentar. 

90.  E  lo  u  I  arspundò,  e  u  i  déss: 
Yo  a  savi ,  eh'  P  é  tint  in  che  me  a 
v^  ò  servi,  e  a  n"*  ò  fat  mai  ignint  cen- 
tra a  tot  quel  ch^  a  m^  i  cmanda,  e  a 
n^  m^  avi  da  mai  un  cavrét  da  magnim 
cun  i  mi  cumpign  ; 

so.  E  sP  étar  vost  fiòl,  eh'  Pò  tor- 
ni, e  eh'  P  ò  quel  eh'  s' ò  struscìi  la 
robe  cun  dal  dunàssi,  ai  par  lo  anuis- 
si  un  videi  grass. 

SI.  Ma  e  bab  u  i  déss  :  E  mi  flòl , 
ti  P  sì  sèmpar  cun  me,  e  tot  quel  eh' a 
jò ,  P  é  e  tu  ; 

ss.  Ha  adéss  e  bégne  fai  feste  e  sta 
in  alegrì  ;  parche  ste  tu  fradél  P  era 
mort,  e  Pé  risuscita;  Pera  pers,  e  u 
s*è  truva. 


Dott.  Antowo  MATTBUca  di  Forlì. 


)30 


PAftTB  SBQOHDA. 


Dialetto  Riiiihbsb  {Romof/noloy 


f  I .  I  era  tin  ieri  òm  ch^  l'aveva  dò 
flól; 

is.  B  pia  pfnèiii  d' lòr  e  déss  m'e 
pèdre  :  Bab ,  dasun  la  pòrta  dia  roba 
che  m^  tocca  ;  e  e  so  bab  e  sparté  la 
roba,  e  ei  desé  su  pèrta. 

13.  E  dop  poc  giòroe  e  roane  tòt 
ni  còsa  sV  fiól  piò  peccai  e  s' mite  in 
viaz,  e  Pandasé  V  una  zitta  da  lun- 
tan ,  e  Uà  e  strusciò  tòt  la  su  roba , 
vivènd  cun  gran  luss. 

14.  E  dop  ch^  l'ave  lugrè  ogni  co- 
sa,  e  vné  una  gran  cristQa  a  Tebe 
paé8;e  Io  e  pranzipiò  andò  In  misèria. 

la.  E  l'andasé  e  s^  racmandò  m'nn 
sgnòrtd'  che  sit,  eh'  el  mandò  m'una 
su  pussiòun  a  bade  i  baghin. 

16.  E  dala  gran  fama  e  zarchèva 
d' rimpis  d' eia  gianda,  eh*  magnèva 
chi  baghin  ;  ma  nissòn  ei  deva  quàl. 

17.  E  pranzipiò  allóra  a  pensò,  e  e 
gè  da  par  Io:  Oh!  quent  sarvitùr  a 
t' chèsa  de  mi  bab  i  k  de  pan  quànt 
chM  vòy  e  me  iquè  a  m'  mor  da  la 
lama! 

18.  A  turò  so,  artumarò  da  mi  pè- 
dre, e  a  i  dirò  :  Bab,  a  jò  nfés  e  Si- 
gnor, e  a  v'  ò  ufés  a  ma  vò  ; 

18.  A  n'  so'  più  degn  d'ess  cJamèd 
voel  fiòl;  tulim  cumè  un  di  vost  sar^ 
vitùr. 

so.  E  tuie  so,  e  Tandò  de  su  bab. 
L^  era  za  ancora  da  luntan,  quand  el 
vèst  e  su  pèdre,  che  za  e  s' muvè  a 
cumpassiòun,  e  ei  curré  incòuntre,  e 
l'abrazzò  me  col,  e  el  basò. 

SI.  E  ei  gè  allora  e  flól  :  Bab,  a  jò 
fat  mèi  in  fazza  Iddio  e  in  fazza  vò  ; 
a  n^  mèrit  più  ch^a  m'  ciammcva  per 
vost  flól. 


ts.  E  pèdre  allóra  ei  désa  gniM, 
mo  e  gè  mi  su  sarvitùr:  Fé  piial, 
purtè  ólta  e  vsiid  più  boa  eh'  I  ili, 
e  vsta,  mittil  un  anèi  t'el  déda»  *d 
calzèt  ri  pild;  t 

85.  Ande  a  to  un  videi  bèlo  gfMi^ 
mazzèl,  e  magnamma,  e  famaia  farti; 

84.  Perchè  sV  mi  iòl  l'era  bmcI»  • 
r  è  risuscitò;  Tera  pers,  e  a  Pò  trmk 
E  i  pranzipiò  a  là  festa. 

85.  E  flól  più  grand  Pera  aotfèAi 
campagna;  e  turoànd  in  tìttk,  qamà 
e  fò  vsèln  a  chèsa,  e  sante  I  tu  •  1 
chènt  ; 

86.  E  clamò  un  di  sarvilàr,  •:! 
dmandò  cus  eh'  Pera  auièss.      .   ] 

87.  E  lo  e  igé:  L'è  tome  • 
e  vost  fradèl ,  e  voet  bab  Vk 
un  videi  grass,  perchè  eVk  anrà  ali 
e  sélve. 

88.  Lo  allora  e  s' n'  ave  per 
e  en  vulèva  gnènca  antro  a  V 
E  vens  fora  e  pèdre,  e  i  pmiipiàj 
preghèl. 

88.  E  lo  Tarspundè,  e  e  dèa*  afi 
su  bab  :  L' è  tenti  ann  eh'  a  v*  aarve^ 
e  a  n'  v'ò  mèi  manche,  e  vò  a  n'  ai^^fi 
mèi  dò  un  cavrèt  da  fé  un  ImbranÉi 
cun  1  mi  amìg; 

so.  E  vèin  a  chèsa  si'  vost  fi^eh^  Pi 
strusciò  tut  la  su  roba  cun  del  dtmm 
zi,  a  1  avi  mazze  sòbit  un  videi  bèli 
grass. 

51.  E  bab  e  i  déss:  Sèint,  llòl»  U 
V  sé  sèimpre  cun  me,  e  tut  la  ail  i» 
ba  rè  roba  tua; 

38.  La  jèra  d' giósto  eh'  s' taaM 
festa  e  alligna,  perchè  e  to  fraéèi 
eh'  r  era  mort ,  l'è  arWvid;  e  a^én 
pers,  e  s'è  truvèd. 

N.  N. 


DIAUm  EMIUANI. 


951 


DiALSTTo  CitvisB  {Romognolo), 


il.  Un  ieri  òm  aveva  da  fiùl  ; 

fli.  E  più  fóvan  dess  a  e  pàder:  0 
hmib,  daaim  la  pari  ch^a  m' loca  d^mi 
poniòfl;e  lo  e  fei  al  parli  fra  i  du  fiùl 

is.  Dop  poc  glóran  Dasè  fogòt  e  più 

■6van  d^  tot  al  su  ooss ,  e  u  s^  portò 

vagànd  in  lontàn  paés,  dov'  e  strus- 

siò  tot  al  8Ò  soetanai,  tnend  una  vita 

UntorkMa. 

14.  E  dop  aver  airussiè  ogni  cosa, 
è  sQiès  in  V  che  paés  una  gran  care- 
ttìt,  eh*  a  s*  ridóss  in  miseria. 

1».  Aosé  ardóty  u  s'andò  a  racman- 
dir  a  un  d^  ehi  benestànt  d' clie  lug, 
die  ul  aandò  a  una  su  terra  a  badar 
iporc 

f  a.  E  Pavrèss  volù  magnar  1  legòm 
di*  magneva  anche  i  pure  ;  ma  nis- 
9Òn  gh*  an  deva. 

17.  Alora  e  pensò  a  la  so  situaziòn, 
e  e  deas:  Ohi  quant  servènt  eh'  è  in 
efacsa  d^  mi  pèder,  e  eh'  i  magna  in 
abondasia;  e  me  a  m' mòr  dia  fam  1 

f  a.  Andarò  da  mi  pàder,  e  a  i  di- 
rò: E  mi  bah  9  a  Jò  pchè  centra  e  zil, 
e  alla  presenxa  vostra; 

i«.  A  cnòsSy  eh'  a  n'  so'  più  degn 
d^  èsser  damò  vòstar  fiòl  ;  ma  fasim 
èsser  un  vòstar  servitór. 

te.  E  s'andò  da  su  pàder.  Ed  es- 
sènd  a  lerta  distanza ,  e  pàder  u  '1 
vist  y  e  u  s' moss  a  compassióne  e  cor- 
rèad'i  lacontra,  u  s' lasco  caschè  so- 
vra e  su  ooUy  e  u  '1  basò. 

ai.  E  flòl  alora  u  i  dess:  E  mi  bab, 
a  Jò  pchè  contra  e  zil,  e  avanti  d' vò  ; 
e  a  n*  so'  più  degn  d' èsser  ciamè  vo- 
ltar fiòl. 


aa.  E  alora  e  pàder  e  dess  ai  su 
servènt:  Prest,  porte  e  prim'àbit,  e 
pò  vstil;  mittj  l'anèl  in  did,  e  al 
scarpi  in  t' i  pi  ; 

a  a.  Ciapè  un  bel  videi  grass^  amaa» 
lèi,  eh'  a  vlèm  far  allegria,  e  magnèl  ; 

24.  Perché  st'  mi  fiòl  l'eramort,e 
l'è  tome  in  vita;  u  s'era  pers ,  e  u 
s' è  trovò  ;  e  acsé  i  cminzò  a  magnò. 

SK.  E  fiòl  piò  grand  eh'  1'  era  in 
campagna  ,  vnènd  e  aceostànds  a 
casa ,  e  sintè  i  son  e  fcant. 

a  a.  E  clamò  un  di  servi  tur,  e  u  1 
dmandò  eoa'  era  che  firacàss. 

27.  E  servitór  i  arspòs  :  L'  è  vnù 
vòstar  fradèl ,  e  vòstar  pàder  l'è  (alt 
amazzè  un  videi  ben  grass ,  perché 
u  l'è  riievù  in  casa  san  e  sàluv. 

a  8.  Alora  u  s'inchietò,  e  u  n'  vleva 
entrar  in  cbèsa  ;  e  pàder  u  s' n'  ac- 
còrs,  e  sorte  de  chèsa,  e  u  '1  pregò 
d' entrar. 

a  a.  Ma  lo  e  rispòs:  L'è  tant'an  che 
me  a  v*  sèruv ,  a  n'  v'  ò  mai  disubi- 
di  ;  ma  vò  a  n'  m' avi  mai  de  nianca 
un  cavrèt ,  perchè  a  putèss  far  alle- 
grìa cun  i  me  amìg; 

so.  Ma  st'  ètar  vòstor  fiòl  eh'  l' à 
stnissiè  ogni  cosa  con  al  donazzi ,  e 
l' è  tornò,  a  1  avi  fatt  par  lo  amazzàr 
un  grass  videi. 

ai.  E  pàder  alora  u  i  dess:  E  mi 
fiòl,  té  t' sé  sèmper  con  me;  tot  quel 
eh'  a  jò  l' è  e  tu  ; 

sa.  E  però  u  s' doveva  far  allegrìa, 
perché  ste  tu  fradèl  1*  era  mort ,  e 
u  s' è  arvivi  ;  u  s' era  perdù,  e  u  s'è 
trovè. 

N.  N. 


fSt 


FAETI  SBCaORIMI. 


Dialetto  pi  Cattòuca  (Bommgnolo)  (i). 


Un  òm  ch^  aveva  du  fiòl  ; 

E 1  pxnén  d' gnist  u  8^  fase  de  tata 
la  sa  ponión  dal  bab; 

E  Tandò  a  dissipèie  in  birbarì  eoo 
die  doDaxzi  in  paés  lontèn. 

Dopo  eh'  r  ave  sprechèda  tota,  a 
li*  rido»  a  pare  i  bagbin ,  per  poter 
viv. 

▼edènds  in  qoest  stèd,  el  rìflitè 
ala  sa  miseria; 

E  s^  risolvè  d' tome  dal  sa  bab , 
da  contèi  omilmént  el  sa  pechèd,  e 
dmandèi  per  grèzia  d' èss  tratèd  co- 
ni^ un  di  so  servitòr  d**  chèsa. 

Snbt  che  su  pèdre  al  vist  da  lon- 
tèn, u  s*  moss  a  compassión,  e  s^  ral- 
legrò In  rristèss  temp,  e  1  cors  in- 
contre,  e  s^  butò  al  col,  e  M  basò; 

Mentre  eh*  el  fiòl  u  i  dzeva  :  Bab , 
ò  fat  el  pchèd  contre  el  lél  e  centra 
v6;  e  n''so'  più  degn  d^èss  ciamèd 
vost  fiòl. 

8t^  ùmi!  conisiòn  la  fni  da  guada- 
gnèr  la  grèzia,  e  s' rinconzigljò  col  su 
bab. 

E  quest,  dop  d**  avèl  fat  spojè  di  su 
zenz,  el  fasi  vsti  con  di  pan  nov  e 
beir  àbit; 


El  died  órden  ancora,  cbe  s^ tmk 
on  gran  daraagnè,  pò  fé  festa  ch^  fan 
ritomèd. 

Sta  cosa  la  dlspiasè  mei  sa  flèi  fli 
grand  ;  perchè,  quand  el  tome  dffia 
campagna,  e  fu  informèd  del  titt^  « 
n*  vos**  entrò  in  t' chèsa  ; 

Perchè  per  un  fradèi,  ch^  Peni  Ma 
cativ,  s' faseva  quel  eh**  en**  s'era  ali 
fatt  per  lu,  ch^  r  era  sempr  sièd  ìM- 
diènt  mi  su  dvér. 

Su  pèdre  ci  dìss:  Fiòl  mi,  y/rnH 
stè  sempr  con  mi ,  e  fot  quel  eh^«  jò 
è  vostre. 

Ma  bisogneva  pn  fé  un  prèmy^ 
ralegrès,  che  vost  fradèi,  eh' Potè 
mort ,  e  s^  è  risussitèd  ;  e  da  perdàd 
eh*  r  era,  a  s**  è  ritrovèd. 


La  cosa  è  (èzll  P  aplichè  sta 
bla ,  e  s' cnòs  In  V  la  zllosia  del 
più  grand  gP  inzùst  dia  meni  débili- 
risei ,  eh'  i  s**  sdegnève  oontre  el  Si- 
gnor ,  perchè  ei  riziveva  con  dolMidM 
i  pecaiór,  e  con  quist  el  oonTerfléfH, 
perchè  lu  e  n'  era  nud  al  mond  che 
per  salvèi. 

N.  N. 


<i)  Non  afoido  pototo  procurarci  h  yersione  letterale  dclb  Paràbola  la  quctlo 
la  ofleriamo  tal  quale  d  fu  inriata  da  un  cortese  corrispondente ,  scmbràBdod 
a  pòrgere  un  Saggio  del  medésimo,  e  ad  essere  confrontata  colle  altre,  la  prota 
ser? axkmi  da  noi  prcnesae. 


DIALETTI  EHIUANI. 


953 


Dialetto  Modenese. 


il.  Un  seri  òm  r  iva  da  fio  ; 

it.  E  al  pio  lòven  al  déss  a  so  pa- 
der:  Papa,  dam  la  purzlòo  d^  sus^n- 
n  die  m^  loca;  e  lu  al  gh^  divide  la 
nstania. 

is.  E  dop  poc  giorn,  tolt  so  la  so 
roba,  al  ftòi  più  zóven  al  i*  n*  andò 
Yla  in  paés  lontàn ,  e  là  al  consumò 
ineossa  vivènd  in  goxovali. 

14.  E  dop  eh'*  r  ave  consuma  tutt, 
<B  quel  pais  a  vins  una  gran  carestia, 
•  ia  al  eminciplò  a  tnivars  in  bisògn. 

u.  E  r  andò  vla^  e  al  s^  méss  sotta 
t  on  d**  qm  sgnòr  d^  quel  paés;  e  lu 
al  le  méss  in  V  un  so  slt  a  badar  ai 

POK. 

la»  E  al  se  stativa  voja  d^  impires 
Il  pansEa  d**  da  gianda  eh'  magnava  1 
porc;  ma  nissùn  gh'  in  dava  brisa. 

17.  Allora ,  torna  in  se ,  al  déss  : 
Ooant  servitór  in  ca  d^  me  pader  i  àn 
dal  pan  fin  chM  n**  vólen,  e  me  che  a 
■or  d**  fam  1 

18.  A  m^  turò  de  d'  che,  e  andarò 
^  me  pader,  e  a  gh^dlrò:  Papa,  a 
Jè  fai  pca  contra  al  zél ,  e  de  dnànz 
a  vù; 

19.  Za  me  a  n'  son  più  degn  d'es- 
ser eiami  vòster  fiòl;  tulim  almànc 
com'  on  di  vòster  servitór. 

ao.  E  tolt  su,  al  vins  da  so  pader. 
Ma,  esaènd  anca  dalla  lontana,  so  pa- 
der al  le  vést,  e  Pin  slnté  cumpas- 
siòn;  e  al  gh'è  cors  incontra,  al  se 
f  h'  batto  al  col,  e  al  le  basò. 

ai.  Al  fiòl  al  gh'  déss  :  Papà,  a  jò 
fat  pca  contra  al  zél,  e  dednanz  a  vù; 
xa  me  a  n'  son  più  degn  d' èsser  cla- 
ma vòster  fiòl. 


88.  Allora  al  pader  déss  ai  so  ser- 
vitór: Porte  che  sùbet  al  più  bèi  àbit, 
e  vestii  ;  e  mtig  on  anèl  in  di,  e  al 
scarp  in  t' i  pè. 

ss.  E  pò  andò  a  tor  al  videi  grass, 
e  amazzèl,  eh'  al  magnarèm  e  a  Harem 
tolliana; 

84.  Perchè  si'  me  fiòl  che  Tera  mort, 
ere  risoscita  ;  V  era  pers,  e  T  è  sta 
trova.  E  i  principiòn  a  nmgnar  ale- 
gramènt 

8tt.  Intànt  al  fiòl  più  grand  l'era  pr  1 
camp,  e  in  Val  tornar,  e  in  t'Tavsi- 
nàrs  a  cà,  al  sintè  a  smiar  e  a  cantar. 

86.  E  al  clamò  on  servitór,  e  al 
dmandò  cessa  viiva  dir  sta  roba. 

87.  E  Io  gh'  rispòs:  L'è  vgnù  vò- 
ster fradcl,  e  vòster  pader  Tà  maua 
al  videi  grass,  perchè  a  Tè  toma  san 
e  salv. 

88.  A  gh'  vins  l'arila,  e  al  n^  vliva 
brisa  Intràr  in  cà  ;  ma  so  pader  vins 
fora,  e  al  prlnzlplò  a  pregarci. 

29.  E  lo  j  rispondènd,  al  déss  a  so 
pader:  Ecco,  rè  tant  an  che  me  a 
v'  serv ,  a  n'  v'  ò  mai  dsobdi,  e  vo  a 
n'  m' avi  mài  dà  gnanc  on  cavrèt,  da 
gòderm  con  i  me  amig  ; 

50.  E  sùbet  eh' è  vgnù  a  cà  st' al- 
ter vòster  fiòl,  eh'  à  magna  tot  la  so 
roba  con  del  dunazzi,  a  i  avi  mazsa 
al  videi  grass. 

Si.  Ma  al  pader  gh'  déss:  Fiòl  me, 
té  t' è  sèmper  m^ ,  e  tot  qoel  eh'  me 
a  jò,  rè  too; 

58.  Ma  l'era  giost  d'far  on  poc 
d' bandoria  e  star  alégher ,  perchè 
sto  tò  f radei  che  V  era  moct,  e./  è  tor- 
na viv;  al  s'era  pcrs,  e  l'è  sta  Iruvà. 


IH.  N. 


334 


PAITE  SBOamUL. 


Dialetto  Riggumo. 


11.  Ilo  lért  òm  avi  du  flò; 

ìt.  Al  più  pinén  d'*  stl  du  diss  a 
90  pader:  Papà,  dam  la  me  parzlón 
dia  ròba  che  m' sta  a  me  ;  e  al  gh^  di- 
vide al  8Ò. 

is.  E  n'  passò  miga  tant  de,  che, 
moccla  sa  tutt,  al  fiól  più  eie  andò 
In  Tuo  paés  lantàn-lantàn ,  e  là  al 
strussiò  la  so  roba,  vivènd  in  d^i  viszl. 

1 4.  E  quand  V  eh  consuma  tuU ,  a 
véns  in  cól  paés  una  gran  caristia,  e 
la  cminzlpiò  a  patir  ktfam. 

is.  E  Pandò,  e  1  s'*aflermò  con  un 
ziltadén  d^  còl  paés,  ch^  el  mandò  a 
una  so  pussiòn  a  pasclar  i  nima. 

16.  E  Taviva  voja  dMmpirs  la  pan- 
ca tl^cbél  glànd  ch^a  magnava  i  porc; 
e  nsùn  ghMn  dava. 

17.  Alora,  lumànd  in  sé,  al  diss: 
Quant  servitór  in  cà  d'  me  pader  e 
sgoazzn  in  Tal  pan,  e  me  che  e  m' in 
mòr  d'  neclénza! 

18.  Bm^  turò  su,  e  s^  j  andarò  da 
ine  pader,  e  se  gh*  dirò  :  Papà ,  me 
Jò  peci  dnanz  al  zél ,  e  dnanz  a  vó  ; 

19.  En  son  ormèi  più  dègn  d'esser 
clama  vòster  fiól;  tgnim  come  un  di 
vóster  servitór. 

so.  E  tuléndes  su,  al  véns  da  so 
pader.  Ho  guand  incora  Pera  luntàn, 
so  pader  le  vdi ,  e  M  s'  moss  a  cum- 
passlón,  e ,  sbalzàndegh'  incontra ,  a 
gh'  trò  i  brazz  al  còl,  e  al  le  basò. 

81.  E  'i  fiól  gh'  diss  :  Papà,  me  jò 
peca  contr'  al  zél,  e  contra  d' vó;  me 
n'  son  più  dègn  che  m' ciamàdi  vó- 
ster fiól. 

82.  Alora  al  pader  dsì  ai  servitór: 


Presti,  cavàc  fora  al  più  bel  àbii,  • 
vestii,  meltigh'un  anèi  in  di,  e  tic 
schèrp4n  pé. 

SI.  E  mna  che  un  videi  wpfM^t 
mazzal,  e  che  magnèm,  e  che  Mi  « 
prans; 

84.  Perché  si'  me  iól  era  nort^n 
rè  risussita;  al  s*  era  péra,  e  rè  il 
cata.  E  s' prinsipiòm  a  fir 

88.  A  8*  dà  mò,  che  so  flòl  iMÀ 
era  pr  i  camp,  e  vgnénd  la  sa,  e^uil 
nànds^  a  la  cà,  ai  sinti  IHNrekesla9#  1 
ball. 

86.  E  n  clamò  un  servitór,  e  1 1^ 
dmandò  cosa  vriva  dir  si'  tèi  eòÉk 

87.  Al  qual  gh'  rispós:  L'è  riviiri 
ster  fradèl ,  e  vóster  pader  k 
un  videi  apasta ,  In  grazia  d' 
tumà  a  aver  san  e  salev. 

88.  E  lo  sMnstizzò ,  e  1  ne  nlvi 
brisa  andar  dénter.  Donca  so  pita 
send  vgnù  fora ,  al  s*  fò  a  peighèM 

89.  Ma  lo  in  risposta  al  disi  141 
pader:  Ecco,  tant'ann  che  v^sèrtv 
e  mèi  Jò  manca  d' ubdirev,  e  mèi  dà 
m' issi  dà  un  cavrèt  da  magaiir  en 
i  ma  amig. 

so.  Mo  da  dòp  che  si*  vòster  tèi 
ch^à  magna  tutt  al  so  con  del  saaiàn 
è  vgnù,  j  avi  amazza  per  lo  ua^iil 
apasta. 

SI.  Ma  lo  gh'  diss:  Al  me  Mr  * 
rjà  sèmper  még,  e  tutt  qaeà  cl^ji 
me  rè  anc  tò; 

38.  Mgnàva  ben  fèr  un  pranzetti 
allegrìa;  perché  st*  tó  fradèl  eniJBMrl 
e  r  è  risussita  ;  al  s' era  péra,  e  Tè  Iti 
cata. 


Prof.  D.  Ferrante  Bedogni. 


DIALCTTI  EMILIANf. 


33» 


Dialetto  Fkignanbse  {di  Sèstola). 


11.  Al  ghiera  un  òm  eh**  Fava  da 


it.  E  al  più  ióvn  d^  lor  diss  a  so 
pidr:  Papày  dam  la  pari  d**  robba  che 
n'  tocca;  e  la  gh**  divis  la  so  robba. 
U.  E  da  li  a  qualch  di,  al  fiól  più 
iofn,  quando  Tai  ammucclà  tuU  al 
9&>  8^  tt'  andò  farra  dia  patria  in  fun 
piés  lontàn;  e  qui  al  strusciò  tutt 
4|Ml  eti*  r  ava,  vlTcnd  in  ri  bagórd. 
14.  E  dop  ch^  r  ai  consuma  gnl  co- 
sa, a  8*^lè  una  gran  carestìa  in  quel 
paés;  e  la  principiò  a  sentir  la  mi- 
sèria. 

la.  Allora  Tandò,  e  a*  ès  miss  con 
DB  eltladin  d^  quel  paés,.  ch^  al  man- 
dò in  T  na  so  villa,  perchè  al  dass  da 
■anglàr  ai  porco. 

la.  E  al  desiderava  d^  ampìrs  la 
pana  d^  quella  glanda,  chM  porcè 
Banglàvn;  e  ngun  ghMn  dava. 

17.  Allora  al  tornò  In  si,  e  s'diss: 
Quant  ganòn  èn  in  co  d' me  padr , 
ch^abòndan  d^pan,  e  mi  e  m' in  stag 
qn  a  marìr  d^  fom  ! 

18.  Torrò  sii  9  e  s^  tornarò  da  me 
padr,  es  egh^  dirò: Papà,  jò  offés  DiJ, 
es  v'  ò  offés  vii  ; 

19.  Già  en^son  più  degn  d^  èsser 
danà  Toslr  fiól  ;  ma  tolim  cmud  un 
di  voatr  ganòn. 

so.  E  al  toss  su ,  es  s^  in  vins  da  so 
padr.  E  mentr  ch^  r  era  ancamò  dalla 
lontana,  so  padr  al  vist,  es  s^  moss  a 
ndserioordia,  e,  corrèndgh'  incontra, 
«1  se  gfa^  batto  al  coli,  es  al  baso. 

ti.  Al  fiól  a  gh^  diss:  Papà,  jò  fatt 
pcà  contr^  al  del ,  e  alla  vostra  pre- 


senza; e  n'son  più  degn  d'esser  cla- 
ma vòstr  fiòl. 

st.  Al  padr  damò  I  servitòr,  e  al 
gh'  diss  :  Prest,  porta  al  più  bel  àbit, 
e  vestii;  mtigh'un  anèi  in  did,  e  '1 
scarp  In  pè. 

8>i.  Gondusl  un  videi  grass,  ammaa* 
zàl,  manglèn  e  fon  invìd; 

84.  Perchè  st'  llòl  era  mort ,  ere 
toma  in  vita;  al  s'era  pèrs,  e  Tè  sta 
arcata.  E  i  dén  prindpli  al  banchètt 

aa.  Al  fiól  pia  grand  Pera  mò  In 
campagna;  e  in  Tal  tornar  a  cà,  e 
avsinànds,  al  sinti  di  son  e  di  ball. 

80.  E  al  clamò  un  servitòr,  e  gh' 
dmandò  cosa  gh'  era  d' nuv. 

87.  E  lu  gh'  respòs  :  L' è  toma  vo- 
str  fradèi,  e  vostr  padr  Vk  mazaà  un 
videi  grass,  perch'  l'è  torna  a  cà  san 
e  svelt. 

88.  Al  s'istizzi  allora,  es  n'  vreva 
gnanc  andà  r  dentr  in  cà  ;  bsognò  eh'  ve- 
gnissa  furra  so  padr,  e  eh'  al  prgassa. 

80.  Ma  quell  al  gii'  respòs ,  es  gh' 
diss  :  I  èn  tant'an  che  v'  serv,  e  mal 
e  v'  ò  dsCibdì  ;  e  vu  mai  e  m' i  dà  un 
cauréz  da  mangiar  con  i  me  amìg. 

so.  Ma  adèss  eh' è  vcgnu  a  cà  st' vo- 
str fiól,  ch'à  divora  tùtt  al  so  con 
del  donn  d' mala  vita,  i  mazza  un 
videi  grass. 

Si.  Ma  lu  gh'  respòs  :  Fiól  me,  vii 
e  si  sempr  con  mi,  e  tutt  quel  eh'  è 
me  r  è  anc  vostr. 

S8.  L' era  pò  necessari  star  allégr, 
e  far  banchètt,  perchè  st'  vostr  fra- 
dèi  era  mort,  e  l'è  arsùscità;  al  s'era 
smari,  e  i  l' àn  artrovà. 


Avv.  Gaetano  PAaEHTi. 


236 


PARTE  SBC07VDA. 


Dialetto  Ferrarese. 


11.  Un  òm  aveva  doi  fio; 

18.  E  al  più  piccul  d'  questi  diss  a 
8Ò  pàder:  Papà,  dem  la  mie  part  di 
ben  ch^  a  m' tocca  ;  e  lu  gh^  divìs  al 
patrimoni  tra  d' lor. 

15.  E  da  li  a  poc  dì,  muccià  tati 
al  80»  al  fiòl  minor  a  'I  s*  n'  andò  in 
luntàn  paés^  e  a  '1  strusciò  tutt  quell 
eh'  r  aveva,  vivènd  In  mezz  al  bagórd. 

14.  E  dop  ch^  Tavi  strascina  tutl  al 
so.  In  cai  paés  a  s^  gh^  è  fatta  na  gran 
carestie,  e  lu  prinsipiò  a  penuriàr. 

18.  L^andò,  e  s'intrudùss  press  a 
un  sittadin  d^  chi  sÌt,ch'aM  mandò  In 
t*  na  so  campagna  a  custudìr  di  poro. 

1 6.  E  P  iera  rldùtt  a  desiderar  d^ 
pntérs  saziar  dil  giànd  ch^  magnava 
i  porc ,  e  nsun  gh'  in  dava. 

1 7.  Torna  in  se  stess,  el  diss  :  Quan- 
ta uperarl  in  cà  d' mie  pàdar  gh^à  pan 
da  magnar  in  abundanza,  e  mi  a  son 
chi  eh' a  mor  da  la  fam  ! 

1 8.  A  saltarò  su ,  e  andarò  da  mie 
pàdar,  e  a  gh^  dirò:  Ah!  papà,  a  Jò 
pecca  contra  al  del,  e  in  fazza  a  ti; 

19.  A  n^  son  più  degn  d^  èsser  cla- 
ma tò  fiól;  tràttam  come  un  di  tò 
uperari. 

80.  E  a  U  s^  toss  su,  e  Tandò  da  su 
pàdar.  Intànt  eh'  r  iera  ancora  da  lun- 
tàn ,  so  pàdar  al  vist ,  a  '1  s'  muvi  a 
pietà,  e  a  U  gh**  cors  incontra,  e  a  '1 
8^  a  gh^  buttò  brazz-a-coll,  e  aM  la  basò. 

81.  E  al  fiól  a  '1  gh'  diss:  Ah!  papà, 
a  ]ò  pecca  in  fazza  al  del  e  contra  a 
ti;  e  a  n'  son  più  degn  d'esser  dama 
per  tò  fiól. 

88.  E  al  pàdar  diss  ai  servltór: 
Prest ,  tire  fora  la  vesta  la  più  bella, 


e  mtigh'  la  adòss  ;  e  mtigfa^  un  saèl 
in  dida,  e  di  scarp  in  V  l  pie. 

88.  E  mnè  chi  un  vdèi  graas,  an 
mazzèl,  e  eh' a  s' magna  e  ch'a#^8ii9 
allegramene 

84.  Perchè  st'  mie  fiól  Tieni  flSirl 
e  rè  arsusdtà;  al  s'iera  pera»  e  alt*] 
truvà;  e  i  prinsipiò  a  BMgiiàr  •  fel 
var  alla  ricca. 

88.  A  gh'  iera  mò  al  fradèl 
in  campagna  ;  e  in  l'ai  larnàr» 
stàndas  a  casa,  a  '1  senti  a  auoàr  ei 
cantar. 

88.  E  al  damò  un  di  servltór,  Al 
gh'  dmandò  cossa  iera  sta  rolla. . . 

87.  E  quest  a  gh'  diss;  L'è  tuftà  A 
fradèi,  e  tò  pàdar  l'à  faUammattè 
al  vdèl  grass,  perchè  al  Tà  rie«p8i 
san  e  salv.  » 

88.  Lu  però  montò  in  furia,  e  ii?iAi 
va  più  andar  dentar.  Al  pàdar  dsM 
andò  fora,  e  prinsipiò  a  pregerai* 

89.  Ma  quel  arspós,  dsè&d  a  aè  pi 
dar:  L' è  tant'  ann  che  mi  a  TaaH 
e  eh'  a  n'  ò  mal  manca  una  vottaaal 
ai  tò  órdan ,  e  t'  a  n'  m' a'  goane-é 
un  cavrètt  da  gòdarm  in  eumpagnl 
coi  mie  amig; 

80.  Ma  adèss  eh'  è  tumà  sV  tò  Ìó 
eh'  à  struscia  iutt'al  so  con  dil  4m 
d' mala  vita ,  t'  à  ammana  al  mli 
grass. 

81.  Ma  al  pàdar  al  gh'  dlaa:  Ilei 
ti  t' iè  sèmpar  con  mi ,  e  tuli  ^M 
eh'  a  jò  r  è  tò  ; 

88.  L' jera  ben  giust  però  d^  far  §81 
zoviglia,  e  d' far  ghirigagna,  perah 
st'  tò  fradèl  l'iera  mori,  e  Pè  ana 
scila;  riera  pers,  e  a  'I  s'è  trova. 


Conte  cav.  Framcbsco  Avbhti, 
colonnello  in  pentUme. 


DIALETTI   EMILIA:^!. 


237 


Dialetto  Gomacchiisb. 


li.  Un  òm  aveva  du  fiù ; 

«t.  D^  qaesii  el  più  piccul  diss  a 
a«ie  pader  :  Papà,  dèm  le  mie  purziòn 
che  m*  tocca.  E  U  pader  fé  la  divi- 
slÒD  tra  lór  dMa  sue  roba. 

is.  Passa  pùec  giórn,  el  più  pznin 
miss  aasièm  quel  eh**  V  aveva ,  e  el 
parti  per  no  paés  luntàn,  dov^  el  dsi- 
pè  el  sue  in  dono. 

14.  E  ifiiand  el  n^  ave  più  niént,  e 
vlo8  una  gran  carestie ,  cminsipiè  a 
Arog  sentir  le  miserie. 

is.  Allora  Pandè,  e  '1  s'  miss  el 
servisi  d^  un  d*  chel  paés,  che  '1  man- 
dè  in  r  una  sue  campagne  a  dèr  da 
■agnèr  ai  porc. 

16.  E  mènter  Pera  là,  l'avrìe  pur 
via  magnèr  d^  chil  scors,  ch^  magna- 
va i  porc;  ma  e  n^  Jere  ensùn  gh'ln 
dèssen. 

17.  Gnu  in  lu,  el  diss:  Quant  ser- 
vitùr  e  Jerain  cà  d^  mie  pader,  ch^  avè- 
ven  del  pan  in  abundanza,  e  mi  e  son 
cbi  die  mner  d^  fam! 

18.  E  m^  muvrò,  anderò  de  mie 
pider,  e  egh'  dirò:  Papà,  e  jò  pcà 
eontre  el  siel  e  contre  d^  vu; 

19.  E  n^son  d^n  d'esser  clama 
vòster  llòl  ;  fèm  com*  un  di  vòster 
aervitùr. 

flo.  Pue  el  s^  tols  su,  e  el  vins  de 
sue  pider.  Quand  Pera  ancor  luntàn, 
d  pider  el  vist,  e  moss  da  compas* 
Sion ,  el  gh*  eors  Incòntre,  el  gh'  saitè 
ai  od ,  e  P  el  base. 

91.  El  flòl  e  gh'  diss  :  Papà ,  e  Jò 
pcà  contr**  el  siél ,  e  contre  d?  vu  ;  e 
n'  mèrit  d' èsser  clama  vòster  fiòl. 


88.  AUòr  el  pàder  diss  ai  sue  ser- 
vltùr:  Sùbit  purtèi  el  sue  àbit,  e 
vsUl  ;  mettìgh  el  sue  anèl  in  dide,  e 
il  sue  scarpe  in  pie  ; 

85.  Pue  condusi  un  videi  grass, 
mazzài,  magnèmel,  e  sten  allègher; 

94.  Perchè  stel  mie  fiòl  Pera  mort» 
e  l' è  ersusdtà;  el  aveva  pers,  e  P  ò 
truvà  ;  e  i  cminzè  a  far  feste. 

85.  Ere  mo  in  tei  camp  el  flòl  più 
grand,  e  mènter  el  gniva  a  cà,  e  el 
s' evzinava,  el  sentì  a  sunèr  e  a  ballar. 

86.  El  ciamè  un  di  servitùr ,  e  U 
gh'  dmandè  cosa  P  era. 

87.  E  stu  rispòs:8uefradèich'era 
vgnù ,  e  che  sue  pader  aveva  mazza 
un  videi  grass,  perchè  el  Paveva  avù 
salv. 

98.  Sta  cosa  el  fé  muntèr  in  còle- 
rà, e  en  vieva  più  endèr  in  cà;  ma 
sue  pàder  essènd  gnu  fùere,  P  el  pre- 
ghè. 

89.  E  U  fiòl  e  gh'  rispòs  :  Ece  ;  dop 
tanPann  che  v'  serv,  e  che  n'  v'ò 
mai  dsubdi  in  quel  eh'  m'  avi  cman- 
dà ,  en  m' avi  mal  dà  un  cavrèt  per 
stèr  in  allegrie  coi  mie  amig  ; 

30.  Ma  sùbit  che  stel  vòster  fiòl , 
eh'  à  consuma  quel  che  ghe  avi  dà 
cun  dil  donn,  P  è  gnu,  avi  mazza  un 
grass  videi. 

SI.  Ma  el  pàder  e  gh'  diss  :  Fiòl,  ti 
ti  è  sèmper  cun  mi ,  e  quel  ch'ò  Pè 
tue; 

ss.  Ma  bsugnava  fèr  feste,  e  stèr 
allègher,  che  stel  tue  fradèl  Pera 
mort,  e  Pè  ersuscità;  Pera  pers,eel 
avèn  truvà. 


338 


PARTE  SBOOHDA. 


Dlurto  Mwamoolese. 


il.  Un  ieri  om  r  avi  va  do  fio; 

it.  Al  più  pìocQl  diss  a  fò  padr: 
Papà,  dam  dia  vostra  robba  la  pari 
ch^am^  vèn;  e  la  aidivìs  lasòsustaiisa 
tra  i  du  fio. 

is.  Da  li  a  poc  dì ,  al  fiól  piceni , 
fati  figòll,  rande  via  imtàn  lontàn, 
e  al  consamò  tati  in  slraviizi. 

14.  E  qoand  an  n'  avi  piò  od  sòM, 
a  8*  fé  slalir  la  tua  In  cai  paéa ,  in 
canscfaenza  d'una  carestia,  e  acsi 
al  pavrètl  priniipiò  a  védar  ch^  a 
^h'  mancava  al  neiessarf . 

f  s.  Al  8^  loia  d^  li,  e  al  s'arenando 
a  an  iltladin  d*  cai  sii ,  e  qaesl  al 
miss  in  campagna  per  gaardiàn  di 
porc 

16.  A  gh^  vgniva  voja  infinna  dlm- 
pirs  la  pama  d**  chll  glandi  eb^  ma- 
gnàvan  i  porc;  ma  a  n**  gb'  era  aniùn 
gh*  in  dass. 

17.  Tisi  donca  la  matèria  cbM' ave- 
va fall,  al  diss:  Quant  sarvitór  in  cà 
d^  me  padr  i  àn  dal  pan  in  abandan- 
za,  e  mi  a  mór  cbi  d**  fam! 

18.  A  m^  turò  so,  e  a  tamaro  da 
me  padr ,  e  a  gh'  dirò  :  Papà ,  a  jò 
manca  e  vers  al  zél  e  vers  d^  vu  ; 

19.  A  n*  a  m**  mèrit  più  d^èssar  cla- 
ma par  vòstar  fiól;  tgnim  invéz  cum 
un  di  vòstar  sarvitór. 

flo.  E,  alvànds  su ,  Pandò  dritt  fil 
da  so  padr.  E  quand  al  gh^  era  anc 
luntàn  un  poc,  al  padr  el  visi,  al 
s^  moss  a  cumpasslón,  al  gh*  cors^  In- 
contra, e  al  gb^  bullo  1  brazi  al  coli, 
e  al  la  basò. 

SI.  E  so  fiól  al  gh'  diss:  Papà, a  jò 
manca  vers  al  zél  e  vers  de  vu  ;  a  n"* 
son  più  d^n  d^  èssar  clama  vòstar 
fiól. 


ss.  E  so  padr  cmandò  ai  sarvllèi 
Presi,  tira  forni  la  più  bella  ymlk 
e  giaslàgla  adòes,  mlig  Paaèl  ted 
e  il  scarpi  ai  pè. 

ss.  E  andà  a  tor  dalla  stalla  alle 
più  grass,  e  maziàl,  eeh^nt^Bip 
e  eh'  a  s^  slaga  allegar  ;  * 

«4.  Parche  si*  me  flòl  Fera  wmU 
rè  lama  al  mond  ;  al  É*en  p«%  «^ 
s^  è  trova.  E  I  priniipiòn  al  dkakr 
gli  alegreni. 

sa.  El  fiól  più  grand  Vnm  la  tm 
pagaa,  e  in  T  al  dar  volta ,  e 
al  fa  avsin  a  cà,  al  sfati  a 
a  sonar. 

te.  Al  clamò  on  df  aanrilèr»  # 
dmandò  coss^  era  mo  sta  eosaa*   -. 

fl7.  E  qoesl  al  gh^arspòa:  Vk  ta 
nà  vòstar  fradèl,  e  vòelar  padfìf 
fati  mazzàr  un  vdèl  grass  par  !»«■ 
sulailón  d^  avèral  visi  san  e  aahr* 

ss.  Ha  al  fradèl  grand  a  fh^iw 
hi  stizza,  e  a  n'^a  viiva  briaa  IntR 
In  cà.  Al  padr  donca  vena  forra  li^ 
al  la  prinziplò  a  pregar. 

so.  Ma  qoai  tgniva  ditt:  L' è  la 
i'  ann  eh'  a  v'  serv ,  e  a  n^  vVA  ■ 
dsubdi;  ma  vu  a  n'm^avi  aial^i 
gnanc  un  cavrèll  da  psèisal  gai 
in  cumpagnia  di  me  amìg. 

so.  Però  dop  ch^  è  torna  nV  IH 
vòstar  fiól,  eh'  V  à  consuma  fattali 
con  dil  donni  d^  cattiva  villa,  ai  a 
mazza  par  lu  al  vdèl  più  giaai. 

SI.  So  padr  gh'diss:  Vu,  ali 
fiól ,  a  si  sèmpar  con  mi,  e  laltfu 
eh'  a  jò  r  è  vòstar. 

ss.  Ma  l' era  glosi  d' goder ,  e.fi 
digli  allegrczzi,  parche  vòstar  frad 
Pera  mori,  e  T  è  arsusdtà  ;  al  s'ei 
pers,  e  al  s'è  turnà  a  Iruvàr. 
DolL  GAato  GuaM* 


DIALETTI   EMlLUrCU 


SI39 


Dialetto  Ma:<tovaM) 


II.  On  òm  al  gh' aveva  dù  fiòi; 

it.  £1  più  ióvan  d^  lor  Vh  dit  a  so 
IMI  dar  :  Papà,  dam  da  pari  de  patri" 
moni  eh**  àm^  foca;  e  lù  ai  g*  k  di  vis  la 
roba. 

is.  E  dop  pochi  giòran,  mueià  sii 
%«ty  e!  1161  più  sóvan  V  è  andà  in  t'Ita 
terra  lontana,  e  là  r  à  struscia  la  so 
sostanza,  vivènd  da  iiissùriós. 

14.  E  dop  c^  rà  vii  consiiinà  tut, 
è  gnu  in  quel  sit  na  gran  carastìa,  e 
\n  stesa  rà  prinslplà  a  aver  de  bisògn. 

is.  £  rè  andà,  e^  M  s^è  miss  a  servir 
on  sittadin  de  eia  terra ,  ch'el  r  à 
manda  in  t^la  so  campagna,  perchè  ^1 
condiisèss  (9ra  i  porzèi. 

le.E  Tavrìa  volii  Impinìras  lapansa 
cole  glande  che  mangiava  i  porch; 
ma  nissfin  g^an  dava. 

17.  Alora,  tomànd  in  lu  stess,  l'à 
dit:  quanti  servitór  in  casa  d^  me  pa- 
ttar i  g^à  del  pan  in  abondansa,  e  mi 
clii  a  mori  d'  fam  ! 

19.  A  m^  farò  spiri t,  e  andare  da 
me  pàdar,  e  a  gh'  dirò:  Papà ,  ò  ofés  al 
Signor  e  ti; 

19.  Za  n^  son  più  degn  d^èssar  cla- 
ma tò  fidi;  tom  come  on  tò  servitór. 

to.  E  al  s'ètoltsù,  erèandàvers 
io  pàdar.  Quand  Pera  ancora  bntàn 
lò  pàdar  el  Pà  vist,  el  s'è  moss  a 
compassiòn,  e  corèndagh'  incontra,  el 
l' gh'è  butà  a  brazz  a  col, e  el  l'à  basa. 

ti.  E  n  fidi  ci  g'a  dit: Papà,  ò ofés 
ti  Signor  e  ti  ;  za  n'  son  più  degn 
4'  èssar  dama  to  fidi. 


ss.  Ma^l  pàdar  Vk  dit  ai  so  servi- 
tór: Prest,  portègh  chi  la  più  bela 
vesta  e  vestii,  metigh  Tanèl  In  dit  e 
le  scarpe  ai  pé; 

83.  E  mene  chi  on  vedèi Ingrassa, 
e  mazzèl,  e  magnémal,  e  stém  slegar; 

S4.  Parche  sto  me  fluì  Pera  mort 
e  rè  resùssità,  Pera  pers  e  Pè  sta 
trova;  e  i  s'è  miss  a  magnar. 

ts.  Intant  so  floi  più  rèe  Pera  in 
t^  i  camp,  e  quand  Tè  toma  e  Pè  sta 
darènt  a  casa,  Pà  senti  chM  sonava  e 
i  cantava. 

te. E  Pà  ciamà 'n  servitór,  e  'I  g^à 
dmandà  coss'era  eia  roba. 

87.  E  quest  el  g'à  diti  É  tivà  tò 
fradèl,  e  tò  pàdar  Pà  mazza  'n  vdèl 
grass ,  parche  P  è  torna  san  e  salv. 

88.  L' è  andà  sùbit  In  còlerà,  e  noi 
voleva  andar  dentar;  so  pàdar  donca 
Pè  vgnù  fora,  e  Pà  cominzià  a  pre- 
gerai. 

89.  Ma  quel,  rispondèndagh ,  Pà 
dit  a  so  pàdar:  Ecco  tanti  anni  che  t' 
servi,  e  a  n'ò  mal  trascura  i  tò  órdin,  e 
n*  a  t' m' è  mai  dat  on  cavrèt  da  ma- 
gnar coi  me  amich; 

."SO.  Ma  sùbit  rivk  sto  tò  fidi, che  P  à 
struscia  tùtt  el  so  con  die  sgualdrine, 
te  gh'è  fat  copàr  on  vdèl  ingrassa. 

SI.  Ma  quel  el  g'à  dit:  Fidi,  ti  t'sè 
sèmpar  con  mi,  e  tùtt  el  me  Pè  tò; 

ss.  Ma  Pera  ben  giùst  magnar  e 
star  alégar ,  parche  sto  tò  fradèl  Pera 
mort  e  Pè  resùssità ,  Pera  pers  e  P  è 
sta  trova. 

AVV.  PUBRàlt. 


19 


240 


PAKTB  SGCO^TDA. 


Dialetto  Parmigiaiio. 


11.  Un  òm  gh'avì  du  fio; 

it.  E  'I  pu  zóven  d' lòr  el  dziss  a 
so  pàder:  Papà ,  dàm  la  parta  ch^  m^ 
vèn;  e  M  pader  al  ghe  spartì  la  roba 
tra  d' lur. 

II.  Poe  gióren  dop,  el  pu  zóveo  el 
fé  fagòtt  e  1  8'  tòs  su  e  V  andi  in  Tun 
paèis  lontan,  dova  el  consumi  tutt  col 
ch^  el  gh^àva  in  bagordi. 

14.  E  dop  eh'  Tavi  da  fein  a  tutt, 
a  véns  una  gran  carestìa  in  col  paèis; 
e  lu  el  emina  a  trovàrs  in  bsògn. 

18.  El  s"*  n'  andi^  e  '1  s' miss  a  ser- 
vir un  litadèin  d^col  sit,  ch^al  la 
mandi  in  r  na  so  possiùn  a  far  pa- 
scljir  i  gozèin. 


servitùr  :  Porta  chi  sùlilt  ei  pu  bel 
visti,  e  visti! ,  e  mtìg  T  aneli  in  dld, 
e  1  scàrp  ai  pè; 

81.  E  condusi  chi  al  vitell  pugrass^ 
e  ammazzai,  e  magnama  allegramént; 

14.  Perchè  sV  me  fidi  era  mort,  e 
rè  arsussità  ;  Pera  pers,  e  ^1  s^è  tro- 
va; e  i  s^missen  a  magnir  allegra- 
mént 

tu.  A  gh^  era  mò  al  so  fidi  pa  grand 
In  t'  I  camp,  e  in  tei  tornar»  qoiiid 
el  fa  vsén  a  la  ca,  al  alnti  a  aonir  • 
a  cantar; 

sa.  E  M  clami  vòn  di  serriiàr,  e  'I 
ghe  dmandi  cos'  er^.  chii  eoiL 

S7.  El  servitòr  al gh' rispondi:  Tò- 


te. E  Tare  vu  voja  d'  Umpìrs  la'ster  fradél  Té  torna  a  ca,  e  vòsCer 


panza  dil  glandi,  ch^  magnava  1  ani- 
mai; e  nissón  gh^  in  dava. 

1 7. Toma  in  se  stèssaci  dziss  :  Quant 
servitùr  in  ci  d'  me  pàder  a'  bùtten 
adrè  el  pan,  e  mi  a  son  chi  ch*a  mor 
d'fam! 

18.  A  m'alvarò  su,  e  andarò  da  me 
pader,  e  a  gh**  dirò  :  Papi ,  a  jò  fati 
pca  centra  al  zél  e  centra  d'  vu; 

19.  A  n'  son  pu  dègn  d' èsser  da- 
ma vòster  fidi;  tolim  per  vòn  di  vò- 
ster  servitùr. 

so.  E  tolènds  su  al  véns  da  so  pà- 
der. Mentr  Fera  ancora  lontàn,  so 
pàder  el  r  à  vist,  e  al  s'  moss  a  com- 
passiòn,  e  corèndgh'  incontra,  el  s' gh' 
butti  con  I  brazz  al  còli,  e  '1  la  basi. 

81.  El  fidi  el  ghe  dziss:  Pipa,  a  jò 
offèis  al  zél,  e  a  v*ò  offèis  vu  ;  a  n"*  son 
pu  dègn  d^  èsser  clama  vòster  fiòl. 

2S.  AHura  ci  pàder  al  dziss  ai  so 


pàder  rà  fatt  mazzàr  al  vlt^l  Ingrat» 
sa»  perchè  r  è  toma  san  e  ailv. 

88.  Alura  a  gh'  véns  la  sliiza  e  1 
ne  vreva  pu  intrar  in  eà  ;  dooca  m 
pàder,  gnènd  fora  lu»  al  lacmlnta 
pergàr. 

so.  Sfa  lu ,  per  risposta,  al  gh'  dziss 
a  so  pàder  :  Guarda:  V  è  tant  ign  ch'a 
V'  serv ,  senza  mài  dsobdirv»  e  va  a 
n'  m^  i  mài  dona  un  cravèti  da  goder 
con  1  me  amig; 

30.  E  dop  che  st'  àter  vòster  fiòl, 
eh'  à  consuma  tutt  al  aò  con  dil  deal 
d' mònd,  r  è  torna  a  ci,  a  J^  avi  mazza 
per  lu  al  vitèll  ingrassa. 

81.  Ma  lu  al  gh'  rispòs:  Fidi  me, 
ti  V  è  sèmper  sta  mèg^  e  tutt  col  eh* jò 
rè  lo; 

ss.  Ma  bisognava  magnar  allegra- 
mént, perchè  sf  to  fradèi  era  mori,  e 
r  è  arsussità  ;  V  era  pcrs,  e  1  s*è  trova. 


>.  N. 


DIALETTI   EMIUAMI. 


344 


Dialetto  Boiìco-T*iìe»c. 


II.  Uo  omo  u  gb'ava  dù  fijò; 
it.  £  u  pù  lòven  u  diss'  a  sé  par; 
Opiy  dèm  la  part  che  m'pertoca: 
e  s6  par  u  fé  le  pari. 

is.  E  da  lì  a  pochi  dì  M  piì  zóvcn 
u  pie  su  la  pari  sogga,  u  andè  lontàn, 
eia  u  la  sconsumè  tuta  inalaméot. 
14.  E  dop  ch'u  l^avi  sconsùmà  tu» 
lo.  In  t' colo  logo  gh'  è  vgni  la  eale- 
ftrìa;  e  là  a  iscommenzè  a  pati  de  fam. 
u.  B  u  8^  è  misse  in  cà  d' un  sior 
de  eòi  pi^léae^  ch^  u  ar  mandè  in  Cam- 
pania a  scode  i  porchi. 

16.  B  u  gh^  vgniva  voi^a  d'impisse 
la  pausa  colejande  eh'  manjàv'  i  por- 
chi;  BU  ne  gh'in  dava  guissùn. 

17.  Ma  pò,  essèndose  misso  a  più* 
li,  o  disse:  Quanti  servitori  in  cà  de 
me  par  i  mànjan  dar  pan  quant  i  n'àn 
Toija  ;  e  mi  chi  mòro  de  fam  1 

18.  Starò  su,  e  audrò  da  me  par, 
e  ghe  dirò:  0  pà,  ò  fato  ma  contro 
ar  Signor  e  contro  vù  ; 

IO.  E  mi  n'  mèrito  pù  d'esse  cla- 
ma per  vostro  fijo;  tratème  com'  un 
vostro  lamijo. 

so.  E  aiora  u  stè  su,  e  l'andò  da 
so  par.  L^era  anca  lontàn^  che  so  par 
Q  ar  viste;  e  u  s' è  movi  a  compasclón, 
e  u  gh*  andè  Incontro,  u  ghe  saltò  ar 
col,  e  u  ar  basò. 

fli.  E  ar  4j5  u  ghe  disse:  0  pà,  mi 
ò  fato  peci  contro  ar  Signor  e  contro 
vù  ;  mi  n*  mèrito  pù  d'esse  clama  per 
vostro  fijd. 

st.  Ma  so  par  u  disse  ai  servitori  : 
Fé  sito,  portò  chi  ar  vesti  pù  belo,  e 


metiglo  adosso  ;  metìghe  l'anelo,  e  le 
scarp; 

25.  E  piò  ar  vdelo  pù  grasso^  e  mai- 
zèlo ,  e  raangiòmlo,  e  stóma  alegri; 

84.  Perchè  sto  me  fijo  Tera  morto, 
ero  resùssita;  u  s' era  perso  e  u  s'è 
trova.  E  i  scomeniòni  a  gòdesla  a  tà- 
vola. 

tu.  Ma  ar  fio  pu  vocio  l'era  in  canv- 
pània,  e  quand  u  vena,  e  u  s' aeostè 
a  cà,  u  senti  i  son  e  i  canti. 

86.  E  u  clamò  Jòn  di  servitori,  e  « 
ghe  disse:  E  coss'  i  fan  ? 

57.  E  còsto  u  ghe  disse:  V ò  vgni 
vostro  fradelo,  e  vostro  par  l'à  fato 
mazza  un  vdelo  grasso,  percbò  u  Tò 
riva  san  e  salvo. 

80.  Gh'ò  vgni  stizia»  e  ar  ne  vo- 
reva  andà  in  cà.  Ma  vgni  idra  so  par, 
e  u  rà  scomenza  a  prega,  ch'u  vgnis- 
se  drento. 

st.  Ma  lù  u  gh'  respondi  a  so  par: 
Mi  r  è  da  tant  ani  che  ve  ser\'o,  e  ò 
sempre  fato  tùto  colo  che  m'avi  dito, 
e  ne  m*  avi  mai  dato  gnanca  un  era- 
veto  da  god  coi  me  amighi. 

so.  M' adesso  eh'  V  ò  vgni  me  fra- 
dèlo,  eh'  rà  sconsùmà  tùto  con  le  pù- 
tanne,  i  avi  mazza  per  lù  ar  vdòlo  pù 
bon. 

ai.  Ma  lù  u  gh'  respondi:  ti,  o  me 
fijo ,  ti  t' ò  sta  sempr  con  mi;  e  tùto 
collo  che  gh'  ò  l' ò  ar  tò  ; 

58.  Bsognava  ben  che  stàssem  ale- 
gri i  ned,  che  tò  fradèlo  eh'  l'era  morto 
r  è  resùssità  ;  u  s' era  perso,  e  u  s'è 
trova. 

Lazuso  Cornazzani, 
con  approv.  di  parecchi  studiosi  diBorgotaro. 


IH'I 


P\RTK  5n(.0.M>A. 


|)|\LRTro  PlACENTIMO. 


II.  Vn  ÒHI  ttl  gh'  uva  dii  liò; 

Ili.  E  M  |tu  gióvun  al  disH  a  so  pi- 
dnr:  l*a|il,dòni  lu  proilòn  di  me  bèin 
cb^u  m*  tòcaii;  «  'I  |MÌdar  al  ga  fé  la 
l>àrt  a  tOtt  da. 

I  a.  i:  dft  le  a  por  de  al  pò  gióvan, 
iiilM  IniAni  li)l  al  to,  al  s' n'andé  via 
lu  d'un  |uiU  lontàn,  0  laiiiò  al  dsOpé 
tilt  ttl  «0  lu  slravliil. 

t4.  E  dop  d'avìl  i^AusOmi  tQt,  vèins 
una  gran  t^laHtria  in  d*  còl  pais,  e  lu 
al  priuilplé  a  trovin  In  sin  sulla. 

I  «.  E  r  andé,  o  '1  a'à  nil»$  con  volo 


a  d' còl  pai*,  eh' al  la  niandé  In  d^na     «o,  E  H  clamò  vdio  di  sé  om,  è  1 


no  fauiikfigua  a  mné  fora  1  mimai. 

I  «.  V  lU  V  aritia  vori  l^impas  la  pan- 
kii  dll  glkud  cVmanglavan  i  grèin; 
UHI  imóhi  gli*  In  d&va. 

19.  Hualui^lut^  mlèlnd  là  testa,  al 
dUftì  Quanta  aarvitòr  iacà  d'mé  pa- 
ttuì' I  gli'àu  dui  |i&n  da  trassn  adré, 
it  iiié  non  chò  eh*  a  niòr  ad'  lam  ! 

I  a.  Ma  uiò  a  m*  lodrò  sdsa,  e  andrò 
da  iiié  iiàdar^  ^  gh*dirò:  Papi,  me 
\òil  eh'  a  jò  falli  conira  Dio,  e  dnant 
u  vói 

IO.  Mò  ili  a  ir  «o»  pò  dfgn  d'Ièss 
riama  voA  ilo;  Ignim  cm<^  vòin  di  \ò- 
Htar  sarvllòr. 

tu.  E  U  Si'  toì»  so,  e  *1  vèins  da  so 
padar;  o  l'era  ancamò da  lontàn, che 
dò  padar  el  l' à  visi,  e  "1  s' à  gomi,  el 
gh'à  com  incontra,  e  M  ga  tré  i  brass 
al  col  e  'i  la  base. 

ti.  E  M  fio  al  ga  diss:  Papà ,  a  jò 
fulà  incontra  al  Signor  e  incontr"  ad 
vò;  e  u'  son  ik>  dego  d'  iè«^  eia  ma  vos 
Ilo. 


88.  Ma  al  padar  ai  diss  ai  sarvitór 
Svelti ,  tire  fora  al  visti  pu  bèi  e  mtì 
gal  so,  e  dèg  l'anèl  in  man,  e  mtì| 
il  scarp  in  pc; 

ts.  E  todi  un  videi  grass  e  manél 
eh'  a  v5i  eh'  manglòm  e  eh'  fÒm  allolé 

t4.  Parche  al  me  flò  eh'  l'era  mort 
l' è  risùssita;  d'  a  s' sa  va  dòv'  «1  flaa. 
eM  s'è  trova;  e  i  prlnslpién  a  sganaaitf 

sa.  Ma  al  fio  pò  grand  P  era  pr  i 
camp;  e  cm'  al  vèlns  Indro,  qaaad  al 
fé  arànd  a  ce,  al  alntì  ch*l  sodìvh 
e  I  cantavan. 


ga  dmandé  coss  Vtnu 

17.  E  còst  al  ga  risponde;  ck'ot 
gni  sé  fradèi ,  e  so  padar  Tara  mam 
un  videi  grass,  patelle  al  Ì8  Tcn 
toma  a  ci  san  e  silav. 

t8.  £  lu  al  vèins  nòe,  e  1  n^a  vif 
va  pò  andi  in  eà;  e  '1  pidar  dòBCt  al 
gnì  fora  IQ,  e  '1  coiiDsè  a  imboBÌL 
'  to.  .Ma  al  fio  al  risponde  a  aò  pi- 
dar: Tòl;  rè  tant  an  eh' a  T*aèi«T,e 
eh'  a  fag  tutt  a  \^6lar  and,  e  ■*  a'i 
mai  dal  gnan  an  cravòl,  tanl  ch'i 
podìss  gòdal  coi  né  conqiàcn. 

80.  Ma  pena  eh'  è  gai  si  vòsiar  io 
che,  ch'ai  s'è  aiangii  ttt  aiateÒB 
dil  >*aràn,  i  bèln  manà  par  la  an  vi- 
dei grass. 

SI.  Ma  al  pidar  al  gadfas:  Alae 
fio,  té  taslé  sèimpar  céa  ai.  t  cil 
eh*  è  me  r  é  anca  la; 

3f  .Donca  Torà  bèin  d'gìiit,ck*ft»- 
sam  festa  e  slàsna  alègar,,  pache  si' 
lo  fradèi  eh*  Fera  bwH«  Tè  litèniti, 
al  s'era  i^er*.  e  '1  *> 


V  \ 


DIALETTI    EMILIANI. 


«245 


Dialetto  Bobbiese. 


II.  Un  ÒDI  11  gh'  aviva  dù  fio; 
it.  Al  pu  giùvan  d^  lur  V  h  dit  a 
90  pàdar  :  Papà  ^  dem  la  part  di  ben 
eh' a  m^  tocca;  e  lu  u  gh*  à  spartì  la 
VMfanza. 

is.  Da  Ir  a  pochi  dì,  miss  lùlt  in- 
vai, al  fio  miniir  n  s^  n^  n  andnt  an 
l*tMi  pai»  lantàn ,  e  Pà  consuma  lutt 
al  fai  aò  in  bagùrd. 

14.  E  canà  r  è  stat  nett  dal  tfiU,  u 
gh^è  vnu  na  gran  caristìa  in  t'  quel 
ptis,  e  a  lA  a  gh^ò  cmensà  a  manca 
al  nesessari. 

i«.  E  rè  andàt>  e  u  s'è  miss  con 
un  paistin  d**  quel  paìs,  ch^  u  T  à  man- 
da a  la  so  campagna  apriss  ai  pursè. 
!•.  B  u  dessiderava  dMmpiniss  la 
pània  die  glande  ch^  t  mangiàvan  i 
gagnén;  ma  ns5n  gh'  in  dava. 

1 7 .  Intani  u  dslva  da  par  lù  :  Quanti 
servii ùr  in  cà  d^  me  pàdàr  1  gh'  àn  dal 
pan  in  abondania;  e  mi  chi  a  mòr 
d*  fam  ! 

18.  A.  m'  alvro  su^  e  andarò  da  me 
pàdàr.  e  a  gh'  diro:  Papà ,  mi  o  pcà 
eontr*  al  elei  e  conlra  d'  vù  ; 

19.  Mi  a  n'  son  pu  dàgn  d'esse  cla- 
ma vòslar  fid;  trallèm  cmè  un  di  vò- 
slar  scrvilùr. 

f  o.  E,  Iva  su ,  rè  andai  da  so  pà- 
dàr; e  quand  lu  l'era  ancùr  da  lon- 
tàn,  so  pàdàr  u  Tà  travisi,  u  n' à  senti 
pietà,  u  gh'è  curs  incontra,  u  gira 
campa  i  brass  al  col ,  e  u  r  à  basa. 

il.  E  al  fio  u  gh'à  dit:  Papà ,  mi 
ó  pcà  conlr'al  ciél  e  contra  d*  vii;  e 
a  n'  son  tosi  pù  dàgn  d' esse  clama 
vòslàr  fio. 

tv.  E  al  pàdnr  r  à  dit  ai  so  servi- 


lùr:  Pràsl,  lire  fora  la  vesta  pfi  pre- 
ziusa,  e  mligla  adòss;  mtigh  in  did 
Panel,  e  i  stivalén  an  IM  pè. 

83.  E  mnè  al  videi  al  pii  grass  , 
massèi,  eh'  u  s'  mangia  e  ch'u  se  sta- 
ga  allegar. 

«4.  Parche  si'  me  fio  l'era  mori,  e 
l' è  risussìlà;  u  s' era  perdù,  e  u  s'ì* 
trnvà.  B  i  àn  prinsipià  a  dagh  drenlA 
allegramént. 

2S.  Ma  al  prim  fid  Pera  in  campa- 
gna, e  tu  manda,  e  avsinàndas  a  cà, 
Pn  senti  i  concert  e  i  bai; 

8tf.  E  Pà  ciamà  un  di  servitur,  e 
u  Pà  inlerugà  coss^  P  era. 

87.  E  cul-là  u  gh'  à  rispòsi  :  L' è. 
turnà  to  f radei ,  e  to  par  P  à  amassà 
un  videi  grass,  parche  u  gh'  è  turnà 
san. 

88.  E  lù  Pc  andai  in  coirà,  o  u 
n'  vuriva  gnanca  andà  drenla;  e  don- 
ca  al  pàdàr  P  è  surlì  fora,  e  Pà  prin- 
sipià a  pregai. 

89.  Ma  cul-là  Pà  rispòsi  e  dita  so 
pàdàr:  I  son  già  tanti  an  che  mi  a  t' 
servy  e  a  n'  ò  mai  manca  a  nsùn  di 
lo  cmand ,  o  a  n'  te  m' è  mai  dal  un 
cravàlt  da  gòdmal  con  i  me  amis  ; 

xo.  Ma  dop  eh'  P  è  vnu  sto  lo  fio, 
eh'  P  à  smangiazzà  Itili  al  so  con  don 
d'mala  vita,  l'è  amazzà  al  videi  al 
pù  grass. 

SI.  Afa  al  pàdàr  u  gb'  à  dit:  O  fio, 
li  V  è  sèmpàr  con  mi,  e  tùli  quel  eh' è 
me  e  to; 

58.  Ma  Pera  giùst  d' fa  na  tavulada 
e  d' sta  alégàr ,  parche  sl"to  fradèi 
Perù  mori,  e  l'è  risùssità;  u  s'era 
perdù,  e  u  s'è  truvà. 

Canònico  Giacinto  Pbza. 


n4 


FABTC  SECONDA. 


Dialetto  Bronese. 


li.  Un  òm  al  gh'aviva  dù  fio; 

it.  E  al  secónd  Vk  dit  a  so  padr: 
0  pà;  dèm  la  pari  dia  roba  ch^a  m' toc 
ca;  e  lu  al  gh'  à  sparti  intra  lor  la  so 
sostanza. 

13.  E  da  li  a  poc  di,  avènd  miss 
tfitt  coss  assenta,  al  fio  dardè  al  s^  n*è 
andàt  in  paìs  lontàn,  e  là  l'à  consu- 
ma tutt  al  fatt  so  a  bagurdà. 

14.  E  quand  al  gh'à  avùpu  gnént, 
in  col  pais  a  gh^  è  stai  una  gran  ca- 
risila ,  e  r  a  cominsà  a  manca  d' tutt 
al  necessari. 

IJS.  E  rè  andai,  e  M  s'è  miss  gió 
aprèss  d'  vun  di  abitànl  ad'  cui  pais, 
ch'ai  Pà  manda  a  una  so  pussión  a 
cura  i  gugno. 

16.  E  al  sarcava  de  cavàss  la  fam 
coi  giand  eh'  mangiàvan  i  gugno;  e 
nsun  a  gni  dava. 

1 7.  Ma  pò  pensànd  a  la  so  sltùazión, 
al  s'è  miss  a  di:  Quanti  ser>'ltùr  in 
cà  d' me  padr  i  gh'àn  dal  pan  a  brass, 
e  nio  chi  crep  ad  la  fam  ! 

1 8.  Saltare  su ,  andare  a  ci  d'  me 
padr,  e  gh'dirò:  0  pà,  ò  fai  di  pcà 
contra  dal  Signor  e  incontra  d' vu  ; 

19.  Ah!  eh' a  son  pù  degn  ad  vèss 
clama  vos  fio;  trattém  tarequài  vun 
di  vos  scrvilùr. 

20.  E,  saltànd  su,  al  s*è  porta  da 
so  padr;  e  in  col  mentr  eh' l'era  an- 
cor lontàn,  so  padr  al  l'à  sgosì,al  s*è 
miss  a  compassión,  el  gh'è  andai  In- 
contra, e,  tràndagh  1  brass  al  coli,  al 
l'à  basa. 

SI.  El  fio  al  gh'  à  dit  :  0  pà,  gh' ò 
fai  di  mancamcnt  contra  dal  Signor 
e  contra  ad  vu;  son  più  degn  ad  vèss 
ciamà  vos  fio. 


22.  E  alora  subii  al  padr  Pi  co- 
manda ai  servi  tur:  Presi,  tiri  a  man 
al  pu  bel  vesiid ,  e  metìgal  adò« ,  e 
matiègh  in  did  P  anè  e  i  scarp  ai  pè. 

25.  Mnè  chi  al  videi  grass  e  mas* 
sèi,  e  eh'  a  s' mangia  e  cfa^  s'a  staga 
in  gran  llgria; 

24.  Parche  stu  me  fio  Peramortye 
adcss  l'è  arstissilà;  Pera  pera,  e  al 
s' è  trova.  E  i  àn  cominsi  a  mangia 
e  bev. 

28.  Intani  al  prim  fio  Perm  in  etn- 
pagna,  e,  tornanda  per  vnìssn'aciy 
P  à  senti  a  sona  e  balli. 

26.  E  Pà  clama  a  von  dliòsenri' 
tur,  csa  Pera  sto  bordèl. 

27.  E  lu  al  gh'  à  rispósi  :  È  arrivi 
so  fradè,  e  so  pàdar  Pi  fai  massi  fio 
videi  grass,  parche  a  '1  Pi  torni  a 
vèd  san  e  salv. 

28.  E  Ili  sùbei  Pè  andai  in  ooidn, 
e  *1  voriva  pù  andi  In  ei  ;  el  pidar 
Pè  gnu  f5ra ,  e  Pà  cominsi  a  pregi!. 

29.  Ma  lù  P  à  risposi,  e  Pi  dii  a 
so  pàdar  :  I  èn  giamo  tanti  in  che  mi 
a  i'  serv ,  e  n'ò  mai  manca  d^obdi  ai 
tò  comànd;  e  mai  una  volta  a  l*m'è 
dal  un  cravcn  da  podi  god  col  me 
amis. 

30.  Ma  dop  eh"  è  vno  a  ci  sto  io 
fio  eh'  Pi  consuma  ititi  al  fati  so  con 
di  vaccàss  ad  donn  d' mala  vfta>  i*è 
amassi  al  videi  grass. 

51.  Ma  al  pàdar  al  gh'i  dit:  0  al 
me  fio ,  ti  i'  è  sèmpar  con  mi,  e  luti 
quel  a  eh'  gh'ò  P  è  tò. 

32.  Ma  Pera  giùsi  da  sii  allégre 
fa  festa,  parche  sto  tò  fradè  l'era  mori, 
e  P  è  arvistà  ;  P  era  pers.,  e  al  s^è  trevi 

N.  N. 


DIALETTI   KHILIAM. 


245 


Dialetto  Valbm/.\?I(>. 


II.  In  òm  a  Tava  dói  Hòi  ; 

tt.  E  1  pu  giovo  d' lór  a  l' à  die 
al  pari  :  0  papà^  dèmi  la  pari  dia  rò- 
ìki  eh' a  m' partocca;  e  lù  a  J'à  spartì. 

ffS.  E  dopo  pochi  di  al  fló  pu  giovo, 
Cita  su  tut-còss,  a  rè  andai  an  fin 
pais  ionlàn^  e  l'à  irà  via  al  fat  so, 
rivénda  dia  pù  bela. 

14.  E  dopo  che  lu  a  1*  avi  va  da£ 
fónd  a  tutt,  a  J'è  vnu  Inna  gran  ca- 
ristia  an  V  cui  pais ,  e  la  Tà  cminzl- 
ptà  a  stantà. 

18.  E  a  rè  andàò  da  Jun  d'cul  log, 
ch'^a  r  à  miss  a  fora  a  mnà  an  pastu- 
ra I  parse. 

I G.  E  lù  a  r  avrèissa  vulù  podcls 
impt  la  pansa  con  al  gianduii  eh*  a  i 
mangiava  i  parse;  ma  'nsun  gh*  nMn 
dava. 

17.  Pensanda  pò  ben  a  lu,  a  l'à 
die:  Quanti  servi  tur  a  cà  d**  me  pari 
a  J  nn  del  pan  a  saulàsi,  e  mi  csi-chi 
a  mor  dia  fam  ! 

18.  Su:  andrò  da  me  pari,  e  a  J  di- 
rò: Papà,  a  J  ò  manca  contr^al  Signor 
e  contr'  a  voi  ; 

19.  Za  n'  mèrit  pù  eh'  a  m'  digghi 
vòster  fio;  pièm  cmè  s'a  fùissajùn 
di  vostr'òm. 

so.  E  drlò  a  l'è  andàt  da  so  pàder. 
L^  era  ancora  lontan  che  so  pari  a  T  à 
vùst ,  e  i  n'  à  avù  compassiòn ,  e  cu- 
rìndii  àncontra,  a  Tà  brassà  su,  e  a 
rà  basa. 

21.  E  'I  fló  a  j  à  dii  :  Papà,  a  j  ò 
manca  contr''  al  Signor  e  contr'  a  voi; 
za  n'  mèrit  pù  eh'  a  m"*  digghi  vò- 
ster fio. 

S2.  Aniora  al  pari  a  l' à  die  ai  ser- 


vilùr  :  D'  ióng,portèi  chi  al  pù  bel  vi- 
sti ,  e  buttèili  adòss  ;  dèi  J  V  anòl  an 

V  al  so  man,  e  buttèl  I  al  scarpi  àn 

V  i  so  pè. 

ts.  E  mnè  chi  in  boccìn  bel  grass, 
e  massèli ,  eh'  a  niangrumnia,  e  <  la 
gudrumma. 

24.  Parche  ist  me  fio  Tera  mori,  e  a 
l'è  resùssità;  a  l'era  pers,  e  a  Tè  stat 
truvà.  E  a  j  àn  cmensà  a  sta  alégher. 

20.  Antànt  al  prim  fló  a  Pera  a  fora. 
e  vninda,  arriva  vsin  a  cà,  a  Pà  santi 
*1  son  e  M  bai  ; 

20.  E  rà  sercà  in  di  servitiìr,  e  a 
]  à  clama,  csa  j  ero  sti  robi. 

27.  Ist  a  J  à  di£:  So  fradè  a  Tè 
turnà  a  cà ,  e  ài  so  papà  a  l' à  massa 
ài  boccin  grass,  parche  al  Pà  vdù 
san  e  salv. 

28.  A  i  n'  à  avù  disgùst ,  e  ài  vo- 
tiva gnanca  antrà  ;  ma  ài  so  papà , 
sortinda  fora,  Pà  cminzlplà  a  pregali. 

29.  E  lù,  rispondinda,  a  P  à  die  a 
so  pari  :  A  P  è  zamò  tanè  ani  che  mi 
a  v'  serv ,  eh'  n*  à  j  ò  mai  manca  ai 
vostr'  ordu ,  e  voi  n'  mi  éi  mai  da£ 
gnanca  in  hèè  da  gudèlmlt  coi  me 
amis. 

so.  Ma  dopo  eh'  vòster  fló  ist^  ch'Pà 
mangia  tùt-coss  con  del  scarusi,  a  Pè 
turnà,  voi  a  Pél  tratta  coi  pù  bel 
boccin. 

81.  Ha  lù  a  J  à  die:  0 M  me  fio,  ti 
a  t' è  sèmper  con  mi,  e  tùt  cui  ch'a 
Pè  me  a  Pè  tò. 

82.  Ala  bsognava  gudèisla  e  sia  alé- 
gher adèss,  parche  ist  lo  fradè  eh'  Pera 
mori,  a  l'è  resùssità;  e  eh' s'era perdù, 
a  Pè  stai  truvà. 

Conte  Lorenzo  De  Cardenas. 


946 


FAITE  SfXMUOA, 


Dialetto  Pavese. 


II.  Gh*eni  ona  volta  on  òm.  ch'ai 
ghMva  dìi  Ilo; 

it«  E'I  minor  rà  dit  a  so  pàdir: 
Papà,  ch^àl  ma  daga  quii  ch*àm  loca 
d' me  pari;  e  lù  rà  sparii  la  sostanza 
intra  i  dù  05. 

I  s.  E  dà  li  a  poch  dì,  dopo  ave  fai 
su  tagòt ,  il  minor  Tè  ^ndàl  pr  ài  mond 
in  t'on  pais  lontàn,  e  là  rà  trai  via 
tùtcòss  in  Vi  vlzj. 

14.  E  dop  che  rà  \ù  Irasà  1  fat  so. 
in  quài  pais-là  gli*è  gnu  la  calestrìa, 
e  IO  rà  cmlnslà  a  Ve  da  bsogn. 

is.  E  rè  *ndàt  a  sta  con  vói  dà 
quii  sit-lày  ch^àl  Vk  manda  alora  a 
pascola  i  pone; 

16.  E  Tavaràv  mangia  i  lùèl  che 
mangiava  i  pone;  ma  ghiera  ^nsòi 
ch^àgh^nin  dass. 

17.  Alora  l'à  vèr!  i  o«,  e  rà  dlt: 
Quinti  salaria  In  cà  d*mè  pàdar  g'àn 
dil  pan  da  tra  vìa  e  mèi  di'*  insìcìiì 
mori  dia  fam! 

1 8.  Piarò  su ,  e  ^ndarò  da  me  pà- 
dir, e  gh^  dirò:  Papà,  ò  pecà  vcrs  el 
sièi  e  vers  IQ; 

18.  Adèss  son  ninca  pQ  degn  di 
vè$s  clama  so  fio  ;  ch*il  mi  Irata  come 
voi  di  so  salaria. 

88.  E  rà  pia  su,  e  le  ndàt  da  so 
pàdir;  e  so  pàdir  il  rà  vìst  da  kmtin 
^ia ,  il  g*à  vù  compassioni ,.  e  gnin- 
digh*  incontra  il  g'à  tràt  i  braz  al  còl 
ci  rà  basa  su. 

fi.  E 1  fiò'l  g^  dit:  Papà,  ò  pecà 
vers  el  sièl,  e  vers  lù;  adèss  son  ninca 
pù  dcgn  di  vèss  clama  so  fio; 


88.  afa  I  pàdàr  là  dit  ai  so  sirvi- 
tòr:  Porte  chi  sQbit  il  vistid  id  gran 
gala,  e  mitighel  su.  e mitigbe ranèi 
in  dit,  e  calièmil  sii  bèi  ; 

8S.  E  mnè  su  an  videi  ingrassa,  e 
mazzèl  e  mingióma,  e  fóm  baldòria; 

84.  Pircbà  sto  me  fio  chi  r  era 
mort  e  rè  rIsQssità,  rera  pèrs  e  rè 
stai  trova;  e  i  s*èn  miss  a  far  baldòria. 

88.  Al  fio  magiór  Intint  V  era  In 
campagna,  e  tomind  indiò,  qnaiid 
rè  vQ  stai  arèlnl  a  cà ,  Kà  sintì  a  soaà 
e  canta. 

88.  E  l'^à  dama  %'di  di  servilér,  el 
g*  à  domanda  ,  cs*  il  voréss  di  q«il 
bacan. 

87.  E  lù  rà  dlt:  È  toma 80 fradè^ 
e  '1  so  papà  rà  flit  mazià  on  Yidel  is* 
grassa  pr^avèl  ricupera  sin  e  aàliT* 

88.  E  lù  gh'è  salta  la  moaen  al  1188, 
e  1  \-oriva  nò  Mdà  'n  cà;  doocaaò  pà- 
dir rè  gnu  fora,  e  *l  s'è  miss  a  ciaiML 

88.  Va  lù  rà  rispósi  à  so  pàdir; 
Ecco,  rè  chi  tinti  an  ch'il  servi  e 
ò  mai  trasgredì  on  so  comand,  e  *l 
m'à  ninca  mai  dat  on  cravél  da  god 
coi  me  amb; 

30.  Ma  apena  eh' è  toma  sto  so  fio 
chi ,  c^Vk  consuma  tùtcòss  adrè  ai  t»> 
rabàcol,  rà  fit  mazza  oa  videi  in- 
grassa. 

31.  Ma  lui  gh'à  dit:  o  1  me  fio,bd 
pir  ti  Tsè  sèmpir  con  mei,  e  ^iiil 
ch'è  me  è  tò  ; 

ss .  Ma  bsognava  slnoctàla  e  8là  alè- 
gir,  pirchè  tò  fradèl  rera  mori,  e  rè 
rìsùssità .  rera  pèrs,  e  rè  slat  trovi. 


Prof.  Siao  CjkaATTt. 


r.-.rr: 


CAPO  III. 


SAGGIO  DI  VOCABOLARIO  EMILIANO. 


Spucaziomb 
DelU  abbreviature  impiegate  nel  tegnente  ^Vocabolario. 


A.  8.  — Anglo-Sàssone. 
Berg. — Berf  amasco. 
Boi.  —  Bolognese. 
Ere.  —  Bresciano. 
BreL — Bretone. 
Coni. — Cornovàtlico. 
Cren.* — Cremonese. 
EbÌL  ^-Emiliano. 
Fer. — Ferrarese. 
Fig. — Figurato. 
Fr. — Francese. 
Caci.  —Gaèlico. 
Gen.  —  Generale. 
Got. — Gòtico. 


Ingl.  —  Inglese. 
Isl.  —  Islandese. 
It. — Italiano. 
L.  —  Latino. 
Lod. — Lodigiano. 
Lomb.  —  Lombardo. 
Mant. — Mantovano. 
Mil.  —  Milanese. 
Mod. — Modenese. 
Parm.  —  Parmigiano. 
Pav. — Pavese. 
Piac. — Piacentino. 
Pieiq. — Piemontese. 
Reg.  —  Reggiano. 


Rom.  —Romagnolo. 

Sien. — Slenese. 

8v.  —  Svezzese. 

Tras.  —  Traslalo. 

Ted. — Tedesco. 

V.  — Vedi. 

V.  Cont. — Voce  Conta- 
dinesca. 

V.  Fanc.  — Voce  Fanciul- 
lesca. 

Ven. — Vèneto. 

Ver. — Veronese. 


A  ba  I  a  sa.  Bom,  Cotticciare,  rosolare. 

Abbagarà.  SoL  Ombreggiato,  f^. 
Bagùr. 

Abubana.  Boi.  Acciaccato. 

Abgujàr.  Boi,  Mescolare,  confón- 
dere. 

Abrasér. /feg.  Raschiare. -£.  Abra- 
dere, abrasum? 

Abri^hèrg.  Beg,  Tardare ,  indu- 
giare. 

Accuccìrs.  Beg.  Acquattarsi,  acco- 
sciarsi. 


Adarcàr.  ^o/. -Adarcii.  Bom.  Va- 
gliare. 

Adorni.  Beg.  Intorpidito. 

Adrachèrs.  Beg.  Indebolirsi.  -  A- 
dracàrs.  Boi.  Appoggiarsi  di  pe- 
so. -  Ken.  S  t  r  a  V  a  e  a  rse.  Sdrajarsi. 

Adungiàrs.  Boi.  Sforzarsi,  sbrac- 
ciarsi. 

A  d  u  p  à  r  s.  Boi,  Méttersi  dietro.  -  For- 
se da  dopo? 

A  fina.  Bom.  Puzzare. 

A  g  a  p  u  n  a.  Bom.  lacarccraro.  -  Lomb. 
Mctt  in  caponcra. 

Ag  beri  ir.  Beg*  Intirizzire. 


248 


PARTE    SBCO.>DA. 


A%hlè.  licfj.  Pùngolo.  Mìmolo.  /. 
Ghia  e  Gojadèl. 

Agórd.  Piac,  Pav.  e  Mil.  Aboiidantc. 

Agrundàrs.  Boi.  Contristarsi. 

Agucciàr.  ^o/. Palificare, palafittare. 

Aguflàrs.  i9o/.- Cufolàrse.  rer. 
Accoccolarsi,  accosciarsi. 

Alb.  Boi.  e  Fer, 'Xlbl  Mod,  Truo- 
golo, y.  Arbi,  Ibiòl. 

Al  ape.  Req.  Assetato. 

AI  base  n  (all').  Heq.  A  bacìo. 

Algiior,  àlgur.  Fcr.  Ramarro,  y. 
L Igor  e  Lùgar. 

A I  m  a.  Pine.  -Ma,  doma.  Lomb,  So- 
lamente.  E  da  notarsi,  come  questo 
mh  lomb.  corrisponda  esaltamente 
al  but  degli  Inglesi j  equivalente 
al  ma  italiano. 

Al  va.  Boi.  Filare  di  viti,  anguillare. 

Amana.  Forlivese,  Vestire. 

Amniagulàrs.  Boi.  Rappigliarsi, 
coagularsi. 

Ammaruzzèrs.  Beg.  Ammontic- 
chiarsi. - Ccm.  Mar.  Molto. 

Ampi.  Piac.  Smania. 

Ancona.  Gen.  Nicchia. 

Ancroja.  BoL  Tristanzuolo,  mala- 
ticcio. 

Anghirola.  Fer.  Truogolo. -Gof/. 
Angar.  Orcio,  l>ottc. 

Angia,  Anza.  Mant.  Serpe. - iL.  A n- 
guis. 

Auguanìn.  Beg.  Giovenco,  vitello 
da  uno  a  due  anni. 

A  n  i  s  s  0.  Parm.  Amo  da  prender  pe- 
sce.-Ani  s  so  la.  Lungo  filo  armato 
di  molti  ami. 

A  n  q  u  a  n  a.  Boi.  e  Beg.  Pigro,  tenten- 
none. 

Anser.  Boi.  Castagne  secche. 

Antàg.  Piac.  Androne. 

Antan  a.  Gen.  Vedetta;  la  parte  su- 
pcriore di  alcuni  ediflcj. 

Anvèin.  Parìn,  Lupino. 

A  n  zana.  (^en.  Alzaja,  grossa  fune  che 
servi»  a  tirare  le  barche. 


Apalugòs.  Rom.  Dormigliare. 
A  p  i  s  1  è  r s.  Beg.  Sonnecchiare,  ad 

mentarsi.  F.  Pi  sol. 
Api  ine.  Beg.  Malaticcio. 
Appaniràrs.  Boi.  Adagiarsi,  o; 

do. 
Appiè t.  Beg.  Allatto. 
A p ponte.  Beg.  Appresso,  vieto 
A  p  r  o  V.  Piac.  Rasente,  vicino.* £ 

prope? 
Araburn.  Bom.  Rabbujare. 
Aragajà.  Boi.  Fioco,  ràuco. -j 

avocare,  y.  Argaìr. 
Arava  ce.  Bom.  Infangare. 
Aram«^r.  Boi.  Raccògliere,  ni| 

nel  lare. 
A  r à  n  d.  Piac.  Vicino ,  rasente,  a 

da.  y.  Arèint. 
Arbèr.    Bom.   Canapiglia.  •   i 

streperà. 
A r bèga.  Bom.  Piètica;  strunenl 

falegname. 
Arbi.  fioc.-Aib.  Boi  Truògola 
Arbinàr.  Mant.  e  f^«r.  Adwi 

mettere  insieme.-/^  Bloara' 
Arblàr. ^ol.  e  fer.-  Arblèr. 

Ribàttere,  rlcoltare. 
Ar b u rd ì  rs.  Boi.  e  Fur,  Rlaven 

farsi. 
Arcar  ve.  Bom.  Rifare. 
A  r  e  a  t  ó  n.  Top.  Rivendùgllolodi  : 

ta,  erbaggi. 
Archèst.  Fer.  Scegliticcio,  man 
Arcòst.  Beg.  e  Piac.  Solìo,  sola 
Ardlnsàr.  Parm.- Ardi nièr. 

-Resentà.  MiU  Rlsdaqnare 

Arsintà. 
Ardinzadura.  Beg.  Stoppa. 
Ardònd.  Piac.  Cruschello. 
Arèint.  Gen.  Vicino ,  accanto. 
Arella.  Gen.  Canniccio. 
Argaìr.  Boi.  Divenir  fioco,  rà» 
Arggnàr.  Boi.  Raggrinsare.  - - 

gnì.  Bom,  Ringhiare. 
A  r g  h  è  Ib.  Boi.  Rigògolo.  •L.Ot 

lus  Gal  buia. 


DIALETTI  BMILIANI. 


949 


Argiolèr.  Porm.  Rabbellire.  Forte 
dalla  radice  comune  francete  Joli , 
vezzoso? 

Argoz.  Pidc,  Mondiglie,  vagliatura. 

Arguajumàr.  Parm.  Gestire. 

A  r  g  u  m  b  I  a.  Rom,  Rovesciare  la  bocca 
d^nn  sacco,  o  simile. 

Argute.  Boi.  Rannicchiato. 


Arrengàr.  Boi.  Rivollare, rovesciare 
(dìcesi  degli  àbiti). 

A  r  s  è  1  g  a.  Boi.  Membro  sporgente  ne- 
gli edifizj. 

Arsintà.  /Vac-Arsintàr.  Parm,- 
A  r  z  e  n  t  à.  Pa^. -A  r  z  a  n  z  4  r.  Jlfanl. 
e  /^er.  -  R esentar.  Fer.  Riscia- 
cquare.-^rm.  Rinsa,  rinsadur. 


Ariana.  Parm. -Rigàgnolo.  /Yac.  A  rsin  te  Ila.  Parm.  e /?«9.  Lucèrtola. 

Fogna,  cesso  e  sterco  umano.  Arsùi.  Boi.  e  Fer,  Avanzaticelo. 

Arietèln.  Parm.  e  Boi.  -  Reatin.  Arsuràr.  Boi.  e  Fer.  •  Arsordar. 

/>wit6.  Scricciolo. -I.  Sylvia  tro^      /Virm.-Arsorcr.  /T^gr.  -  Assura. 


glodytes. 
Ari  ut.  Hom.  Rlnfrescamento,  nuova 

provvisione  di  viveri. 
Arie,  arlòn.  Bom.  Incannucciare, 

canniccio,  f'.  Are  11  a. 
Arlia.  Parm,,  Piac,  e  Afonf. -Arli. 

Boi.  Ubbia,  superstizione.  -  Mod. 

Mal-umore. 


Bom.  Svaporare,  sfiatare,  intiepi- 
dire.-f^en.  Soràr. 

Arughè.  Bom,  Ammori>are. 

A  r  v  è  j  a.  Boi.  Piselli.  -  A  r  v  i  a.  Parm. 
e  Beg.  Rubiglia.  -  Lat.  £  rv  i  I  i  a.  - 
A  r  vèj  a.  Bom.  tign.  Pisello  di  pra- 
to.-!. Lathyrus  pratensis. 

Arviòtt.  Reg.  Piselli. 


A  r  1  ò  t.  Boi.  <3bo  e  sostanza  schifosa.  -Arvsària.  Beg.  Versièra.  Ente  Infer- 


Bom.  Arlòt,  arluta.  Rutto,  rut- 
tare. 

Armàteg.  Parm.  Sito,  fetore. 

Arm  e1  a.  Piac.  e  Mani.  Nòcciolo,  gra- 
nello, àcino.  -  A  rm  èl.  Pav.  Semi  di 
popone  e  simili. 

Armila.  Mani.  -  A  r  m  i  I.  Ver.  Albi- 
cocca. 


naie,  riguardato  dal  volgo  come  la 
moglie  del  diàvolo.  In  dialetto  Ve- 
ronese chiamasi  Rosaria  qualun- 
que leggenda  favolosa  che  le  don- 
nicciuole  raccontano  ai  fanciulli.  In 
cui  Torco,  la  strega  o  la  moglie  del 
diàvolo  hanno  sempre  la  prima 
parte.-  /'.  Rodsa. 


Armnàr.  Parm.  Boi.  e  Fer.  Contare,  Arzclla.  7?om.  Terra  da  pignatte, ar- 


numerare.  V.  Romnà. 
Armoccia  (air).  Fer.  Di  nascosto, 

di  sopplatto.-^er.M ucci!  Zitto, 

zitto! 
Arm  US  è  j  a.  Bom.  Rosume,  tuorlo. 
A  r  m  n  s  s  i.  Bom.  Spurgarsi  il  catarro. 


gilla. 

A  r  z  d  ò  r  a.  Beg  e  Fer  Padrona,  ni(as- 
saja  di  casa;  reggitora ? •  ilft/.  Re- 
mora. 

Arzil.  Boi.  Cassa,  armadio.  -  Lai. 
Arca,  arcella. 


Arnghè.  7?om. -Tarn egà r. /*arm.-  Arzolin.  Afan<.  Vìcolo. 
Tarnegà.  Mil.   Ammorbare. -f.  A  sa,  àsola,  asett  a.  Gen.  Occhiello, 


Tarnegàr. 
Arnòc.  Parm.  Sciocco,  scimunito. 
Arpa  rei  la.  Fer.  Molla-Vite. 
Arquesta.  Afrmf. -A  rchèst.  Boi." 

Requesta.  Ver.  Cassero  del  polli; 

stia.-X.  Està. 
Arranzinàrs.fo/.-Ranzlgnarse. 

Ver.  Arrondgliarsi ,  raggrinzarsi. 


fermaglio,  femminella. 

Asaquàrs.  Parm.  Atterrarsi,  cur- 
varsi al  suolo.  Dtceti  delle  biade , 
dell'erba  e  timi  li,  altefrate  dahento. 

Ascher.  Boi. -Ab erti.  Beg.  Rincre- 
scimento, rammàrico. 

Asiàr.  Boi.  Girare,  andar  su  e  giÌK- 
À^ià.  Bom.  de*  Contad.  Andare. 


S50 


PARTE  SECONDA. 


Asiol.  Afoni.  VMfNi.*  A  violar.  Ve- 
spajo e  roniare.- Asini.  Ifeq.  e  Fer. 
AMino^  tafano. 

Asnèr.  Beg.  Asinelio,  Iravc  princi- 
pale dei  telli  a  un*aqua  sola. 

Assaina.  BoL  Bilenco,  bistorto. 

Asteria.  Boi.  Allibito,  appassito. 

Astia.  BoL  SI  i molo ,  pù  ngolo.  -  T. 
Stómbol. 

A 1 1  è i s.  BoL  e  Fer,  Accanto,  appresso. 

Attnmbàrs.  Boi,  Abbujarsi,  oscu- 
rarsi. 

Aventadura.  Beff,  Ernia. 

Avincàr.  ^o/.- Avi  noè.  fìom.  Pie- 
gare, incar^-are,  torcere.  -  /..  Vin- 
ci re. 

Avintars.  BoL  e  Fer.  Allentarsi,  di- 
venir ernioso. 

Avniandra.  Imolese,  Stella. 

Azaccars.  ^ol. - Azaquèrs.  Beg. 
Sdn^arsi.  >  K  Zaquar. 


Babaràr.  Fer,  Ciaramellare,  chiac- 
chierare. 

B a  b i.  Piafi,  Bravo ,  buono.  •  ManL , 
Fer,  e  BoL  Muso.  -  Airm.  e  Beg. 
Faccia.  -  Piem,  Rospo. 

Babllàn.  Bom,  Anafrodisìaco. 

Ba bilia.  Piac,  Baldanza. 

Ba biada.  Piac,  Scempiàgine. 

Bac.  Beg,  Passo. -Fer.  Bastone  (in 
questo  senso  //.  Bacchio.-  L.  Bacu- 
lus).- Bacchèr.  Por  piede,  far 
passi. 

Ba£.  Boi.  Guazzabùglio ,  confusione. - 
Fer.  Agnello,  -Ba^lòc.  Acciarpa- 
tore. 

Bacajir.  Parm.,  Piac.  e  Fer,  Cin- 
guettare, ciarlare.-B  a  e  a  j  a  r.  Mani, 
e  A>l.-Bacajèr.  Beg.  Strepitare. 

Baccalir.  Gen.  Lucerniere,  porta- 
lucerna. 

Baccerla.  /Voc.  Scempia,  scimunita 
(  dicesi  di  donna  ). 


Baeeiar.  #0/.  Bastimane, bMPeliiare.- 
r.  Bac. 

Baci  oc.  Gm,  Balordo. 

Bada.  Piac.  Socchiùdere  e  socchiu- 
so. -  /Vip.  B àg a.  -  f^.  S bad àè. 

Badalùc.  Beg.  e  Fer,  Chiasso»  bac- 
cano. -  j4rm.  Bad.  Stordimento. 

B  a  d  a  n  à  i.  Boi,  Ciarpe,  intrighi.-/loiii. 
Parapiglia. 

Badèin.  Piac.  Bracciante,  giorna- 
liero. 

Badiàl.  Beg.  Squisito,  perfetto. 

Badìnèr.  Beg.  Scherzare.-  Fr,  Ba- 
dili e  r. 

Baga.  Gen,  Otre. 

Bagài.  Gen.  Ragazzo. 

B  a  g  a  j  à  r.  Boi,  Lavorare,  mane^iare. 

Baga  rè n.  Bom,  Fantino. 

Bagarón.  Bìmh,  Piàttola.  •  f^.  Bar- 
digón,  fuzlón. 

Bagarunàr.  BoL  Balbeilare.  -  F. 
Tartajàr. 

Baghìn.  Bom.  Majale. 

Bagiàn.  Gen.  Balordo. 

Bagola.  Piac.  Cacherello ,  stereo  di 
lepre  e  simili.  -  ManL  e  Fer.  Zàc- 
chera. 

B a  g  u  1  è  n.  Bom.  Schiribilla,  gallinella 
palustre  pìccola.-^.  Rallus  pa- 
sti 1  u  s. 

Bagùr,  bagura.  fio/. Ombra. -A ba- 
g u r a.  Ombr^giato. - Mil.  Paura, 
pagùra,  tign.  jpmf  Biliorsa,  be- 
fana, ombra. 

Bais.  ManL,  Fer.  e  Boi.  Lisca,  ca* 
pecchie  ;  branchie  del  pesci. 

Balandràn.  Gem.  Scempione. 

Balatròn.  Bom.  Sclopentone. -  £. 
Balatro. 

B al cà.  Piac.  e  MiL  Cessare,  scemare. 

Balcàr.  Fer,  Guardare,  osser\'are. 

Baléing.  Piac.  Bieco,  stravolto.- 
Parm.  Scemo. -Bai éng.  If oal. - 
B  a  I  e  n  g  o.  Fer,  significano  Bande- 
ruola, sciocco. 

Baligàr.  Fer.  Muòversi;  dimenarsi. 


DlALErri  EMILIANI. 


m 


Il  a  I U  r  ^  r.  Heg.  Succiolajo ,  venditor 
di  sùcciole. 

Ballétt.  /r«||r.  Vaglio,  crivello. ^Bai- 
tè  r.  Vagliare* 

Ballètt.  Piac.  •»  Bàller.  Purm,  e 
fteg.'BsileìÌB,'Pw,  Balos. -Ba- 
tti s  s.  Bid.  e  Mod,  -  Ba  1  o  s  a.  Mani, 
e  Fer.  Sùcciola. 

Bai  oc.  Gen,  Grumo. 

Baiò  ss.  Farm.  Tristo,  cattivacelo. 

Balt^r.  Parin,  Vagliare.  In  qualc/ie 
dialetto  piemontete  chiamasi  B  à  1 1  i  a 
r  alta-lena. 

Balucchèr.  Beg,  Calpestare. 

Balz.  Fer.  La  treccia  di  paglia  colla 
quale  1  mietitori  legano  1  covoni.  - 
rartn.  Lembo,  falda.  -  Goal.  Balt. 
Lembo,  cìngolo. 

Barabén.  B(fm,  Pupilla. 

Ha  n  a  s  t  r a^  Piac,  Cesta. 

Banda.  Parm.  Làmina  di  ferro  sta- 
gnato. Latta.  Questa  9oce  è  anche 
ftropria  dei  dialetti  vèneti. 

Bandèga.  tìom.  Regalia,  dono. 

Band  or  la.  Mod,  Allegrezza,  festino. 

Banzól.  Barn,  Sgabello. -Banzo la. 
Boi,  Panca,  panchetta. 

Bar.  Boi,  Ciocca  (Dìcesi  dei  capelli),' 
V.  Ber,  Bral  e  Barnèl. 

Baracca.  Gen,  Gozzovigliare. 

Bar  acuì  a.  Bom.  Piccola  specie  di 
raja.-A.  Raja  asperrima. 

Barba.  Gm.  Zio. 

Barbo] a.  Piac.  Borbottare. 

Barbonàdag.  Viac,  Anònide.  -  L,  A- 
nonis  arvensis. 

Barcàr.  Fer,  Piegare,  stòrcere. 

Barcliessa.  Parm,,  Bol.eFer,  Tet- 
to] a. 

B  a  r  e  i  a  e  1  à.  Piac.  Ganciare,  cinguet- 
tare. 

Bardassa.  Gen,  Ragazzaccio,  giovi- 
nastro. 

Bardavella.  iiom.  Falda,  sostegno 
del  bambini. 

Bardiigà.  Piac.  Formicolare. 


Bàreg.  Beg.  Agghiaccio;  prato  ocam^ 
po  In  cui  viene  rinchiuso  li  greg- 
ge. Da  qui  forse  deriva  il  nome  di 
Bargamèin  o  Bergamìn,  dato 
ai  pastori?  Questa  è  forse  ancora 
la  radice  primitiva  della  voce  par- 
co, di  quel  recinto  cioè  destinato  ad 
imprigionare  la  selvaggina  per  la 
caccia. 

Bargamèin.  Gen.  Mandriano. 

Bàrghem  (Dar  el).  Parm.  Imbec- 
care, dar  rimbeccata. 

Bargnif,  bargnìc.  Piac.  Diàvolo. 

Bargós,  brigós.  Piac,  Neghittoso^ 
pigro,  impacciato. 

Bari  e  od  a.  Bom,  Galla,  gallozza. 

Bar  le  ine.  Piac,  Chiàvica,  cateratta. 

Barliròn.  Piac,  Guercio. 

Bario  e  a.  Bom,  Gran  fame.  -  Pèdi 
Sghessa. 

Bàrnàs.  Pav,  Paletta  da  fuoco.  Qiie- 
sta  voce  è  lombarda, 

Barnèl  d'cavi.  Fer,  Ciocca  di  ca- 
pelli. Diminutivo  di  Bar.  P. 

Bar  ni.  Piac,  Assiderare,  agghiac- 
ciare. 

Bàrnisà.  Puv.-Burnìs,  Boi,  Cini- 
gia, cenere  calda. 

B a  ronda.  Gen,  Confusione,  intrigo. 

Bar  san.  Piac.  Trifoglio.  -  L.  Trifò- 
lium  incarnatum. 

Bartavèll.  Gen,  Bertovello,  sorta  di 
rete. 

Bartavlar.  Parm.  e  Piac,  Ciarlare, 
cinguettare. 

Bar  ti  né  n.  Bom,  Clnerògnolo. 

Bartinòn.  Bom,  Bigione. -I.  Syl- 
via horteusis. 

Baruffa.  Gen,  Contesa,  rissa. 

Bar  uva.  Bom,  Drizzato]o.  Poe.  de" 
cappellai, 

Bascavozz.  Piac.  -  Cave zz.  Lom.. 
Scampolo.  '  y.  Scavèzz. 

Basia.  Boi.  •  Baslètt.  Beg,  -  Ba- 
sicità. Pav.  -  Tafferia. 

Bàsola.  Parm,  e  Pk'ac.  •  Baslètt. 


Wì 


PARTE  SfiCONOA. 


Heg.  e  Mod,  Catino ,  vaso  di  terra. 

Basta.  Gen,  Sessitura,  piega  fatta 
nelle  vesti  lunghe,  per  accorciarle. 

Bastorlir.  Parm.  Abbronzare. 

Satana.  Bom.  Schifetto,  pìccolo 
schifo. 

Ha  libò i.  Bom,  Zafferuglio. 

B  a  t  i  z  i  a.  Piac.  Molestia. 

Batla.  Bom,  Cicalare.  Forse  dal  L. 
Blatero? 

B a  1 0 1  a.  Mani,  e  Fer,  Cicalone.  - B  a- 
tolà.  Cicalare. 

Battod.  Boi,  Serbatoio  d'acqua. 

Bàura.  Beg,  Giogaja,  soggólo. -f^. 
Bronza. 

Ba  vaja.  Bom-  Pioggerella,  nevischio. 

Bar  le  in.  Parm,  Cenciajuolo. 

Baza.  Gen,  Buona  ventura,  buon 
prezzo. 

Bazurlòn.  Bom,  Baderlo. 

Bazz.  Pana,  e  Piac,  Vizzo,  appassito. 

Bàzol.  Mani,  e  Pi'oc. -Bàzel.  Beg, 
Bilico,  legno  alle  cui  estremità  ap- 
pèndonsi  due  pesi  e  si  soprapone 
alle  spalle.-  Bàzel.  Boi.  eBàzul. 
Fer.  significano  Randello.-  L,  B  a  j  u- 
lum(^)  (Bajulus  facchino,  por- 
tatore). 

Bazòtt.  Gen,  Di  mezza  cottura. 

Bazurlòn.  Bom»  Baderlo. 

Bdòlla.  /?oni. Pioppo. ' £.  Populus 
nigra. 

Bd  òst.  Boi.  Maggese,  maggiàtico.  Ter- 
reno lasciato  sodo,  nel  quale  Tanno 
precedente  fu  segato  il  grano. 

Bdùlén.  Bom,  Alberini;  funghi  na- 
scenti presso  i  pioppi  detti  B  d  è  1 1  a. 

Bécca.  Piac.  Malescia,  cattiva  (Dicesi 
di  noce  ). 

Beg.  Airm.,  Mant  e  Piac.  Lombrico 
terrestre.-B  e  i  g  a.  Beg.-  B  è  i  g.  Mod, 
Nome  genèrico  del  bruchi  e  delle 
larve  di  molti  insetti.  -  Bèi g.  Baco 
in  generale. -  f^.  Big. 

Bega.  /7of»i. Briga, intrigo. 

Bégra.  Beg.  Lója,  melma. 


Beina.  Piac.  Mena  intrigo. 

Bel  sa.  £o/. -Bèls.  Fer,  Batlècola, 
bagatella. 

Bellurde.  Bom,  Torta,  sorta  di  vi- 
vanda. 

Bèi  za.  Beg,  Pastoja. 

Bemba.  Bom.  Epa,  pancia. 

Bendla.  Beg,  ^  BeaìSL,  Parm,  Dòn- 
nola.-JL.  Bellula. -f^  Boria. 

Ber.  l^arm.  e  Fer.  Ramo, ciocca.  Neiia 
frasi:  Un  ber  d'mattèrla,  uà 
be  r  d' e  a  V  ì.  -  Un  ramo  di  pazzìa, 
una  ciocca  -di  capelli. 

Bergagna.  Beg,  Cestone. 

Beriaschèin.  Boi.  Bravacelo  «  nll— 
lantatore. 

Be  r  I  è Id a.  Boi.  e  Beg,  Greto  del  fiu- 
mi ;  la  parte  del  letto  che  vien  ba- 
gnato nelle  grandi  eecreacenae. 

B  e  r  I  i  e  à  r.  Bel,  Civettare, 

Berr.  Bom,  Montone. 

Ber  SÒL  Beg,  Tubercollno. 

Berte  in.  Boi.  Bigio,  color  domo. 

BescàL  Beg.  Broncone,  palo  groaso. 

Besiàr.  Parm,  Pùngere.  -  Bea lar 
V  i  a.  Scomparire.  •  f".  Ba  la* 

Bgarèr.  Beg.  Guazzare. 

Bghéng.  Beg.  Scemo,  scIooool 

BgòL  Boi.  Miscuglio,  confusione. - 
Bom,  Moltitudine.  -  (Bgòi  d'ani» 
maL  Pecuglio). -  ^.  Abgujar. 

Bgòi.  Boi.  Chiasso,  frastuooo. 

Bgòt.  Afanf. -Bgòn.  Fer,  CrlaàUdt 
morta,  in  Ispecie  del  filugello.  •  F» 
Beg. 

Biallèiua.  Piac.  DiminuUvo  di  Te- 
game; da  Biella.  Tegame. 

Bicocca.  Gen.  Catapecchia. 

Bicoclà.  Piac.  Buffetto. 

Bicuclàr.  Fer,  Accarezzare. 

Bida.  Boi.  e  Hac.  Biètola.-/..  Beta 
vulgaris.  -Bida  inParm.€Be§, 
significa  Bovina ,  sterco  di  bue.  • 
F.  Binda. 

Bietta.  Boi.,  Mod.  e  Beg.  Pìccolo 
cùneo. 


niALEITI  eMlUA.>il. 


355 


Bacalo.  Dicui  delle  fruUa  Bisiàc.  Gen,  Inconsiderato  «  trascu- 

Ì0  larva,  rato. 

.  Bùi,  e  Piac,  Ciondolare^  B  i  s  o.  Po»,  -Biadi.  Parm.  Arnia  delle 

re.  api,  sciame. 

Ol.  e  Piae.  Filugello  ed  aiw  Bisolfa,  Piac,  Nùvolo,  subisso. 


me.  Forse  da  B  e  g  ?  -  K. 
lac.  Agitarsi,  dimenarsi. - 


Biuda.  BoL  Bovina,  sterco  di  bue.- 
Bom.  Chiara  d'aovo. 
*.  Parm.  Arrovellarsi,  sUz-  Bla  e  Boi,  Cencio.  -  y,  Straférl. 

Biada.  Piac.  Inezia,  bagatella. 
Me.  -  B  u  g  n  ó  n.  Gen,  Cic-  B 1  a  n  g  u  r i  a. Aom.ConUgio,altillalura. 


•róncolo. 

.  Amn.,  Piac,  e  Piem,  Mer* 

Parm.  e  Fer,  Trifole,  Irè- 

1.  Parm,  Piccola  incudine.- 

trnis. 

San.  -  Bixòc  Boi,  Bacchet- 

.    Piac.-  BelegòU.  Atil, 

• 

na.  Parm,  Pisdarello,  vino 

Ito. 

irm.  Scegliere. 

Barn,  Nugolone. 

»m.  Jùgero.-Z.  Bubulea. 

,  bólc.   Bifolco.-/..  Bu- 

u  Bifolco.  -  Boi,  Kudo,  spol- 
t«g.  Disadorno.  -  f^.  B  i  ó  L 
t^-Sbiót.  Aoc-Sbiòss. 
gnudo. 

tg.  Birraccbio,  vitello  dal 
1  teoondo  anno, 
/lom.  MontonceUo;  piccolo 
I. 

m.  Tacchino. 

i0.-Birichèin.  Parm,  Mo- 
itUvello,  biricchino. 
L  e  Mil,  Bischero. 
il.  Zaffo. 

od.  Torso  del  grano  turco. 
[flc.-Bischèr.  Beg.^bi' 
Arrovellarsi,  ródere 


ic.  Vespa.- f.  Bsià. 


Blédeg.  Beg,  e  Mod,  SoUéUco,  dilé- 
tico.-Bledghòr.A«9.-Bledgar. 
Parm.  Solleticare. 

Blicter.  Ifan/.e/'Ìpr.-Blictri.^o/. 
Dappoco. 

Blisghèr.  Jkg,  e  f<rr.  •  Bllsgar. 
Parm,  Scivolare,  sdrucciolare. 

Bloc.  Gen,  Masso,  ceppo. 

Boba.  Bom.,  Parm.  e  BoL  Uinastra.* 
Bobba.  Piac,  e  Piem.  Sterco. 

Boc  Beg,  Spino. -f^  Boxa. 

BoÒ.  Bom,  Trucchio. -Bòccia. (»en. 
Pallòttola. 

B  òcc  a  1.  BowL  Riccio,  clndAno.  -  PY. 
Boucle. 

Bechi làr.  Piac,  Andito. 

Bochinchèr.  Bom,  Pesce  prete. •  L, 
Uranoscopus  scaber. 

Boc  in.  Pa9,  e  Piem,  Vitollo. 

Bòdega.  Mani,  Crogiuolo. 

Bodéinfi.  Man/,  e  P/oc.-Bud enfi. 
Fer,  Gonfio,  cnfiato.-Bodi2.  foriti. 
Atticciato,  polputo. 

Bòdiga.  Piac.  AlUlena. 

B od  riga.  Piac,  Oire, 'Fig,  Ventre. 

Bògn.  BoL  Tumore,  enfiatura. -K. 
Bignòn. 

Bòi.  Piac,  Arnia,  alveare. 

Bòja.  Piac,  Contesa,  lite. 

Boj acca.  Piac,  e  Mi/.  Pappolata,  be- 
verone. 

B  0  j  a  d  a.  Piac,  Cruscata,  pastocchiata. 

Bolladòr.  Piae,  Frugatoio,  bastone 
de"*  pescatori. 

B  0 1  %  ò  I  a.  Piac,  Stagnata  ;  vaso  desti- 
nato a  coutoner  ogiio. 


3»4 


PARTE  SBCOJIDA. 


Bouavìsè. /Virm.,  hoc,  e  Fer,  Al- 
tea. -  £.  Altbea  officinalis. - 
Quoti  diceue:  Buona  a  far  vischio. 

B  0  n  d  ó  n.  Pav.  cMil.  Cocchiume  delle 
botti. 

Bora.  Mant  Vento  di  greco,  tramon- 
tana; Borea.  -  Bora.  Fer.  e  yen. 
Pianta  scortecciata  ad  uso  di  co- 
struzione. 

Boracela.  Gen,  Bariletta. 

Borea].  Hoc,  Turàcciolo.  -  Beg.  Al- 
largatolo. -  F.  B  u  r  e  à  J. 

Bordana.  Parm.  e  fìeg.  Borda,  Be- 
fana.-A///.  Borda,  bòrdassètt, 
bordo.-  f^.  Bòurda. 

Bordlgar.  Parm.  Frugare. 

Bordigliòn.  Piac.  e  Hem,  Filo  di 
ferro  grosso. 

Bordlèln.  Hoc,  Ragazzino. 

Bordò n.  Piac,  Crisalide,  bacacelo. 

Bore  in.  A'oc. -Borìn.  MiL  Capéz- 
zolo. 

Borga.  Bom,  Bagna,  vaso  composto 
di  cordoni  di  paglia  legati  con  ro- 
ghi per  tenervi  le  biade. 

Borlanda.  Piac,  Pappolata,  beve- 
rone, «f^.  Bojacca. 

Bo  r n isa.  Parm,,  Beg,  e  /Voc.-Bo u r- 
nisa.  Afod.-Burnisa.  Aom. -Bur- 
nì s.  Boi.  Cinigia. -f^.  Bar  ni  sa. 

Bornisòtt.  Piac,  Ritrovo, conversa- 
zione piacévole. 

Bórr.  -Woc. -Burri  r.  -fio/.  -Bar- 
re r.  Beg.  Scovare,  sfrattare  il  sel- 
vagiume. 

Borrìc.  Gen,  Ciuccio,  àsino.  -Spagn. 
Borrico. 

Bosgàt.  Mant,  Majalc.  -  Bosgat- 
tèl.  Diminuì, 'GaeL  Boscat.  Ab- 
bietto gatto  ? 

Boslèin.  Piac.  Buccllo,  piccolo  bue. 
Si  avverta,  come  il  suffisto  lein,  che 
vale  a  formare  il  diminutivo  de'  no- 
mi,  9ia  comune  ai  dialetti  emiliani 
ed  alla  lingua  tedaca. 

Bosòtt.  Parm,  Quaccino,  focaccia. 


Boss  (a).  Bom.  A  bizzeffe. 

Bòtt.  Boi.  Rospo. 

Bòttel.  Beg.  Nome  genèrico  di  tal 

I  pesci  nati  di  fresco. 
Bottièr.  Beg,  Vinàocolo,  vino  cui 

tivo. 
Bòttola.  Parm.  Fascio  di  flcoo  li 

gato  che  può  bastare  per  cllio  < 

un  giorno  ad  un  cavallo. 
Bòurda.  Boi,  e  A#od. Befiaiia,  orea. 

f^.  Bórdana,  arvsàrla. 
Bourga.  Mod,  Gabbione. 
Bo z  1  à n.  IHac,  Ciambella.  -  Fm.  Bai 

solào. 
Bòzzul.  Fer.  Bòssolo.-  Ker.  One 

chio,  circolo  di  persone  aduMtèi 
Boria.  Piac.  Dònnola. -f^  Béndla 
Bosca.  Piac,  Favo. 
Bòzz.  Piac,  Pruno,  spino.  Dieeiim 

Cora  per  TOla,  ouia  quello  «Irì 

tnento  die  serve  a  dirómpere  U  M 

coagulato,  y, 
Braja.  Fer,  Poderettl. 
Bràina.  Boi.  Sodaglia»  inculto»  tli 

rile. 
Bral.  Boi.  Ciocca.  (Dicefi  dei  Cipd 

li).-f^.  Bar  e  Ber. 
Brama,  fiac.  Muggire,  proprie  di 

bue. 
Braso,  bresc.  ito/.-Brasca.  Beg. 

Bresca.  Mani,  e /'^r. •Breiai 

Bom,  Fiale;  favo. 
Bravar.  Boi.  Sgridare,  riprèiMktt. 

Bravèda.  Beg,  Riprensioiie. 
Brazzadella.  Boi.  e  Fer,  Ciambelii 
Bréc.  Boi.  Agnello  castrato,  brioeo. 
Bréga.  Piac. -Briga.  Pomi.  Pigri 

zia,  svogliatezza. -Brigòs.  Hfrà 

neghittoso. 
Brègula.  BoL  -  Frégola.   Fer» 

Scheggia,  bricciola. 
Bréll.  Boi.  Sorta  di  vòtrioe  per  pi 

nieri  e  simili. 
Br  e  n  d ,  b  r  e  n  t  (Èsser  ).  Pier.  Scntin 

male,  star  chioccio. 
B  r  i  e.  Piac,  Greppo.  -  Beg,  e  Fer.  Noi 


DIALEm   EmUAfll. 

tone.  -  Boi.  B  r  e  q  u  e  l ,  dimmutivo 

di  Greppo. 
BricTÌ-v.  Beg.  Capriccio. 
Briccia  (a).  Piac,  A  bizeffe. 
Briogna.  Hom,  Zocca  selvàtica.  -  !.. 

Bryonia  dioica. 
Brindào.  Fer,  Sciocco,  babbeo. 
Bri nd Bài.  Piac.  Capifuoco,  alare.  - 

Ted.  Brand.  Tizzone. 
Brit,  brisèin.  Boi.  e  Piac.  Pocoli- 

no.  -  Briaci.  Mani, ,  Beg, ,  Mod,  e 

Fer,  llica,  non,  ponto. 
Briscula.  Bom,  Zombare. 
Broi.  Piac,  -Bruà.  Fer. Scottare,  bi- 

lessare.-7*0d.  B  r  u  k  e  n.-f^.  B  r  o  Y  a  r. 
Broja.  Bom,  Giunco  pungente.  -  JL. 

iuncus  acutus. 


mn 


B8ac(a).  Boi.  Sossopra,  alla  rinfusa. 

Bscantìr.  Boi,  Correnti,  travicèlli 
che  sostengono  I  tetti. 

B  SCO  e  e  a.  Bom.  Battlsoftla. 

Bsè.  Bom.  Aver  possanza.-!..  Posse? 

Bsèin.  fVoc. -Bsèi.  Pav.  Agnello. - 
Bsèi  in  Boi,  -Bsè  fn  Fer.  -  Bai 
in  Parm,  significano  Pangiglione.  - 
Bsèi.  Bom.  Frégola.  -  y.  Baia. 

Bsià.  Piac,  -  Bsièr.  Bég.  Pùngere. 
IHceei  degli  inselli.  Quindi  h9ÌÌ, 
Manl.'Bskl.  Boi,  «Bai.  Parm,  - 
Bsè.  Beg.  e  Fer.  Pangiglione.-Bsìa. 
AtP.  Ortica. 

Bsodi.  Fer,  Sporco,  lercio. 

Bsolla.  y^om.  Uva  bianca  di  gràppoli 
radi  e  àcini  grossi  e  mostoaf. 


B  re  e,  brocca.  G^.Pollone.-Broc-  Bsòtt.  /*iac.  Tassello,  rattoppamento. 


càm.  Sterpi. 
Brocca.  Gen,  Mezzina,  vaso  d^aqua. 


Bsùgà.  Pfatf.-Bi8igàr.  f^en,  Fni< 
gare;  prnrire. 


Brófel,  brùfel.  Gen,  -  Brufolo.  Buarèlna.  Gen,  Cutréttola. -£.  Ho 

Fer,  Bolla,  pùstula. -f^. Brùguel. 
BróL  Gen.  Frutteto,  pomiere. 
Brombla,  brómbal.  Bom,  Frasca, 

rimeseiticcio,  piccolo  rampollo. 


tacilla  barula. 
Bubana.  Bom,  Magona,  abbondanza. 
Bnbba.  Piac.  Bàmbola,  fantoccio  di 

cenci. -i[..Pup pus,  puppa.  Fan- 


Brómbula.  Fer.  Bottiglia  di  vetro,      telino,  fantolina? 
Bronza.  Piac.  Giogaja,  soggólo.-^. 

Bàara. 
Brott.  Jìom.  Cantino;  carta  tra  la 

perfetta  e  lo  scarto. 
Brovir.  Parm,  e  iVac.  Sboglientare, 

bilessare.  -  F,  Broà. 
Broli.  Gen,  Biroccio,  carro  dapog- 

gio.-Brozza.  Carretto  a  due  ruote. 
Brogla.  Piac,  Bolla,  pùstula. 
Brùguel.  Boi.  Pùstula,  bolla. -f^. 

Brófel  e  Brugla. 
Brume!.  Beg.  Codióne,  codrióne. 
Brus.  Piac,'  Brug.  lom.  Scopeto. - 

£. Erica  communis.-DiQuide- 

nVanoBrùsèiaeBrùsdìn.  Spàz- 
zola e  spazzolino. 
Brusa.  Bom.  Proda,  orlo,  estremità. 

'  Mii,  Brùsa. 


Bubla.   Beg,  e  Boi.  Bagatella.  -  f^. 

Zcrra,  Giiàcchera. 
Bublàr.  BoL  Ingannare,  frodare. 
Bùé.  Parm,  Nodo,  nocchio. 
Bù  d  a  r  i  è,  b  u  d  r  i  è.  Bom,  Bandoliera. 
Bud lén. ^om.  Funghi  che  nàscono 

a'  piedi  de'  pioppi.  •  K.  Bdulén. 
Budenfi.  Bom,  Impolminato. 
B  u  d  r  i  ò  n.  Mod,  Fogna ,  pozzonero. 
Bufferla.  Boi,  Averla.- JL.  La  ni  us 

coUurio. 
Bu  gag  nói.   Boi.    Pesciaiuola.  -  L. 

Mergus  albellus. 
Bugàn.  Bol.^L,  Anas  clangula. 
Bujaca.   ^om.  Vernice  e   simile. - 

Mil.  Bojaca. 
Bullìr.  Boi.  Buscare. 
Bullo.  Piac.  -Bui.  Beg.  e  Bom.  MIN 


Brusacùl.  Bom,  Cuscuta.  -  L.  Cu-      lantatore,  bravaccio. 
senta  europaea.  JBuldèzz.  Bom.  Caldura. 

M 


W6 


PAan  tEOONDA* 


Bnìk.ilom.  Cespo  di  grano,  fleoo  elButtlghèr.  Rtg.  Fn19art.-r.Bvr- 


$imiU. 
Buliròn.  Bom.  Catarrone. 
Bunaga.  J9ol.-Bugnèga.  i^eflf.  Ano- 

nide.-f^.  Ligabò. 
Bunastrèn.  fìom.  Mediocre. 
Bur.  Boi.  Bujo,  oscuro. -Zr.  Burus. 
Buràix.  Bom.^  Beg,,  Boi,  e  Fer,  Ca 

Dovacelo. 
Buraizena.  Bom.  Traliccio. 
Burattèl.  BoL  e  f«n.  Cirluoia,  pìc- 
cola anguilla. 
Bure,  Parm.  Piccolo  cavallo,  ronzlno.- 

f>r.  B  u  r  e  i  0.  Battello. 
Burcà].  Boi.  Allargatojo;  stromento 

che  serve  ad  allargare  i  tmchi  nelle 

làmine  di  metcUlo,  -  Afod.  Zìpolo.  - 

K.  Calltvhr. 
Burchètta.  BoL  Zìpolo,  turàcciolo 

dello  botti.-  K.  Borea]. 
Burdigàr,  i9o{.«Bu9tlghòr.  Beg, 

Frugare,  raiiolare. 
Burdigòn.  ao{.-Burdòc.Afi7.Piàt- 

tola.-X*.  Blatta  orlentalis.-f". 

Fusòn  e  Luilòn. 


digar. 
But,  butella.  Barn,  CuuMmt»  ole* 

rattino. 

B  u  1 1 1  à  r.  Boi,  Borbottare,  lamentar- 
si.-Ter.  Putì  far. 

Butriga.  Bom,  Epa,  buazo. 

Buvlnèll.  <0O/. Imbuto. •  K.  Svina. 

Buzra.  Gen.  Còllera.  •  itom.  oncAe 
Corbellerìa. -Buzrèn.  Bom,  Kac- 
cberino.  -  Afi7.  Bózze r a,  /i»  onifto 
t  tigni ficati,  e  Bozzerin. 

Bvida.  Mod,  Pipita. 

Bvina.  Mod,  Pévera. -B  vi  nel.  Im- 
buto. -  y.  Pìdria  e  Lodfa. 

C 

Cabrò  ss.  Beg,  Bovistlco,  ligustro. 
C  a  e  i  a  v  e  r.  Parm,  Tristanzoòlo,  oo- 

mlclàtiolo. 
Cadnazza.  ^.  Coni.  Bom.  Tralcio, 

sermento. 
Cagnara,  Gen. -Cagnara.  Bom." 

Cag n er i a  Mil,  Corbelleria, inetta. 
Cagnola.  yoc,  de* eeUaf.  Bom.Uw» 


hVLTg.Beg.  Cestino. -Burgagnola;     sa. -lomft.  Cagna  per  mòrdere. 

brocca.  -  f".  Bu  r g ò 1 1.  iC a I b ine 1 1 a.  Bom,  Calvello. 

Burgàt.  ^0^  Gergo.  Calabriisa,  galaverna.  Mwni,- 

Burghò.  Bom,  Frugare. 
Burghignòn.  Fer.  Viburno. 


Scalabrùsa.  /'loe,-  G  a  labrna  a. 
Beg,  Brina. 


Burgòtt.  £0l.eFer.Cestelloovenl-  Calane.  A>/.  Frana. -Cai àncb.  iloti. 


dificano  le  colombe.  -  f^.  Burg. 
B  u  r  ì,b  u  ri  dò  n./7om.Garrire,rabuffo. 
Burida.  Bom,  Avversità. 
B u  r i r.  Fer,  Assalire,  adirarsi.  -  Bu  r» 

rir.  Boi,  Scovare.  -  V,  Borr. 
Bur  laro.  Piac,  Zàngola,  vaso  nel 

quale  si  fa  il  burro. 
Buròn.  Fer,  Cocone. 
Busagbè,  buscare. /^om.Giunta  re. 
Busca.  Gen,  Fuscello,  pagliuzza. 
Buscaròl. /?om.  Stopparola,  uccello. 

'L,  Motacilla  Sylvia. 
Bus  san  a.  Mani,  e  Fer,  Burrasca. 
Bussar.  Bnl,^  f^er,  e  Fer,  Stagnare, 


tcndole  neir^iqua. 


yoc.  Coni,  Burrone.  F,  Darvèn  e 
Lubia. 

Calenza.  i7om.- Calè  zen.  llol,«Ca- 
lézna.  Beg,^  Mod.  e  Airm.-Cali-' 
sna.  Poi^.-Calùzna.  /Yae.-Ca- 
rlsna.  Mil,  Fnliglne. 

Calghòr,  calgareja.  iTom. Coneia^ 
pelli,  concia. 

C a  1  i s v à r .  Piac,  Allargatojo.*^. Bor- 
ea!. 

Cai  mi  r.  Gen.  Tariffa,  calmiere. 

Calsella.  Boi.  -  Caldaella.  Beg, 
Scriminatura.  Forse  daUa  9oee  ita' 
/Zana  Calle,  cailicella. 


ristagnare  le  botti  e  simili,  met- Calze  dar.  Bom,  -  Cai  tèi  dar.  Boi. 


Secchia  di  rame. -Gr.  Calc'vdor? 


MALETTI  CMILlÀftlI. 


S57 


Cambràs.  Piac.  e  Pann,  -  Cam- 
brèrs.  7?«g.-€ainbràrs.  Fer.  Coa- 
galarsi,  rapprèndersi.  Dicesi  prò- 
priammie  del  tego ,  del  brodo  e  si- 
miU. 

Camedri.  lUmt.  Erba  querciuola. - 
L.  Chamadrys. 

Càmola.  Parm,,  Piac,  e Lomb,  Tarlo 
in  funere.  -  Ca molar.  Tarlare. 

Campar  et  t.  Parm,  Raganella,  rana 
terrestre. 

Canari.  Boi,  Capecchio. 

Canàr.  Piac.  Colimbo ,  tuffetto,  uc- 
cello aquàtico.- fV*.  Canard.  Ani- 
tra. 

Cangi òtt.  Bom,  Uzzato. 

Cangé.  Bom,  Bàttere  alcuno. 

Cana.  Pmrm,  Pugno. 

Cantarà.  lYac.el^mi^.-Cantaràn. 
Boi,  e  Beg,  Cassettone,  armadio. 

Cantinella.  A'oc.  Corrcntino  o  tra- 
vicello. I>a  Canti r  Lomt.T  •  f^edi 
Bscantir. 

Cintir.  K.  Coni,  Bom,  Aquajo;  solco 
trasversale  che  riceve  Faqua  dagli 
altri  solchi.-  f".  Dugàl. 

Capa.  Pitie,  Ammucchiare,  far  biche. 

Caraffa.  Gcn.  Bottiglia. 

Carampana.  Fer,eLomb.  Donna  o 
bestia  vecchia,  inguidalescata. 

Caragnar.  Parm,j  Piac.  e  Lomb,  - 
Ragnar,  ^aiif . Piagnnccolare. 

Carcàss.  Parm.  e  Piac,  Catriosso. 

Carcòss.  7?0gr.Tor8O. -f^. Margòss. 

Carda.  Beg,  Chiudenda;  riparo  che 
si  fa  al  campi.  -  Parm.  Cancello. 

Cario  Pav,  Rigàgnolo. 

Card.  Ptao,  e  Lomb,  Pólvere  prodotta 
dal  tarlo  -£.  Carlos. 

Caro f fai.  Piac.  Coda  di  volpe.-  L. 
Motacilla  modularis. 

Carpla.  Piac.  e  Lomb.  Ragnatella. 

Carpògn.  Piac.  e  £om6.  Pottinicclo. 

Caruga.  Parm.  Bruco.  -  Ter.  Ruga. 

Carvaja.  Bom,  Fessura;  l'intermezzo 
fra  due  assi  o  pietre  commesso. 


Carzòl.  Mód,  Pennecchio,  luteignolo. 

Casp.  Boi.  e  Fer,  Cesto-  -  Caspi r, 
caspàr.  ffer.  Cestire.  -  F,  G lu- 
strar. 

Cass.  Piac.  Vizzo,  mézzo. 

Cassar.  Piac,  Tettoja.  -  Cassar  d' 
terra.  Bom.  Presa  di  terreno,  una 
quantità  determinata. 

Castagnola.  Mod.  Saltarello. 

Catana.  Bom.  Carniere  del  farsetto. 

Catar.  Gen.  Ritrovare,  cògliere. 

C  a  t  a  p  è  è.  Boi.  Catapecchia ,  edlfizie 
rovinato. 

Callèin.  Piac.-Catamléini. /Virm. 
Vezzi,  moine. 

Catlinòn.  Piac.  Picchio.- £.  Picus 
major. 

Catt.  Fer.  Cura. 

Gattabói.  Piac,  Tumulto,  tafferu- 
glio. 

Catamli  n.  Fer,  Moine.- K.Catlèin. 

Catuba.  Boi.  Timballo.  «  Beg»  Tarn- 
burrone,  gran  cassa. 

Cavàgn.  Gen,  Canestro. 

Cavajòn.  Beg,  Bica  di  covoni. 

C  a  valer.  Beg.,  Lomb,  e  Fen,  Filu- 
gello. 

Cavar  zia  n.  Fer.  Cursore. 

Cava  ss.  Bom.  Capitozza*  F,  Ceffa. 

Cavastartèin.  ìiac.  Cardellino. 

Cavdagna.  Boi, j  Beg.  e  Piac,  Ci- 
mossa:  pertimil,  Capezzàgine,  via- 
le 0  lembo  inculto  del  campi,  che 
serve  di  passaggio  ai  carri.  •  L. 
Caudanea. 

Cavdana  Bom.  •  Cavdòn.  Bom,j 
Boi.  e  Beg,  Alari. 

Cavdòn.  Bom,  Chiusa;  àrgine.  - 
Cavdèl.  Cisale,  ciglione. 

C  a  v  e  r  i  ò  1 .  Beg,  e  Mod.  Viticcio,  pàm- 
pino. 

G  a  V  i  1  u  t  a.  Bom,  Barbatella;  magliuo- 
lo che  si  trapianta,  allorché  ha 
messe  le  radici. 

Cavrera.  Bom.  Scabbiosa.-/..  Sca< 
blesa  arvcnsis. 


S50 


PARTE  SECONDA. 


A  s  1 0 1.  Mant,  Vespa.  •  A  <«  i  o  1  à  r.  Ve- 
spajoe  ronzare.- Asini.  Peq,  e  Fer. 
Assillo^  tafano. 

Asnèr.  Heff.  Asinelio,  trave  princi- 
pale dei  tetti  a  un'aqua  sola. 

Assainìi.  Boi,  Bilenco,  bistorto. 

Asteria.  Boi,  Allibito,  appassito. 

Astia.  Boi  Stimolo,  pùngolo.  - f^. 
Stómbol. 

Attèls.  BoL  e  Fer,  Accanto,  appresso. 

Attnmbàrs.  Bo!.  Abbajarsi,  oscu- 
rarsi. 

Avontadura.  Beg,  Ernia. 

Avincàr.  ^o/. -Avincè.  Bom,  Pie- 
gare, fncurvare,  torcere.  -  /..  Vln- 
cire. 

AvintSrs  .90/.  e  Fer,  Allentarsi,  di- 
venir ernioso. 

Avulandra.  Imoiesc,  Stella. 

Azaccars.  ^o/.  -  Azaquèrs.  Beg, 
Sdraiarsi.  •  K  Zaquar. 


Babaràr.  Fer,  Ciaramellare,  chiac- 
chierare. 

B  a  b  1.  Pi(y\  Bravo ,  buono.  -  Man  f. , 
Fer,  e  Boi,  Muso.  -  Parm,  e  Beg. 
Faccia.  -  Piem,  Rospo. 

Babllàn.  Bom,  Anafrodisìaco. 

Babilia.  Piac,  Baldanza. 

Ba biada.  Piac,  Scemplàgine. 

Bac.  Beg,  Passo. -F(rr.  Bastone  (in 
questo  senso  It,  Bacchio.-  i^.  B  ac  u- 
lus). -Bacchèr.  Por  piede.,  far 
passi. 

Baò.  9o/.  Guazzabùglio ,  confusione. 
Fer.  Agnello,  -  B  a  é  1  ò  e.  Acciarpa- 
tore. 

Bacajar.  Parm,,  Piac,  e  Fer,  Cin- 
guettare, ciarlare.-B  a  ca]  a  r.  Mant, 
e  ^o/. -Bacajèr.  Beg,  Strepitare. 

Bacca  la  r.  Gen,  Lucerniere,  porta- 
lucerna. 

Bac  ce  ri  a.  jPtoe.  Scempia,  scimunita 
(dicesi  di  donna). 


B  a  e  e  i  a  r.  Boi.  Bastonare,  ba€chiaro.- 
f.  Bac. 

Raciòc.  (u'n.  Balordo. 

Bada.  Piac.  Socchiùdere  e  socc4iiu- 
so.  -  Pav.  Bàg  a.  -  f^.  S  bad  à6. 

Bada  lue.  Beg,  e  Fer,  Chiasso^  bac- 
cano. -  jérm,  Bad.  Stordimento. 

B  ad  a  n  à i.  Boi,  Ciarpe, intrighi.-/tom. 
Parapiglia. 

Badèin.  Piac,  Bracciante,  giorna- 
liero. 

Badi  al.  /^flr.  Squisito,  perfetto. 

Badinèr.  Beg,  Scherzare.-  Fr.  Ba- 
diner. 

Baga.  Cen,  Otre. 

Bagni.  Gen,  Ragazzo. 

B  a  g  a  j  à  r.  Boi,  Lavorare,  maneggiare. 

Baga  rèo.  Bom,  Fantino. 

Bagarón.  Bom,  Piàttola.  -  K.  Bur- 
digón,  fuzlón. 

Bagarunàr.  Boi,  Balbettare.  -  T. 
Tartajnr. 

Raghin.  Bom.  Majale. 

Raglan.  Gen,  Balordo. 

Bagola.  Piac,  Cacherello,  sterco  di 
lepre  e  simili.  -  Mant,  e  Fer.  Zàc- 
chera. 

B  a  g  u  1  è  n.  Bom.  Schiribilla,  gallinella 
palustre  piccola. -£.  Rallus  pu- 
sillus. 

Bagùr,  bagura.  ^o/.  Ombra.  -  A  ba- 
g  u  r  a.  Ombreggiato.  -  Mil.  Paura, 
pagùra,  »ign,  pure  Biiiorsa,  be- 
fana, ombra. 

Baìs.  Mani,,  Fer.  e  Boi,  Lisca,  ca* 
pecchio  ;  branchie  dei  pesci. 

Balandràn.  Gen.  Scempione. 

Balatròn.  Bom,  Scioperatone.  •  iL. 
Balatro. 

B alca.  Piac.  e  Mil,  Cessare,  scemare. 

Balcàr.  Fer,  Guardare,  osservare. 

Baléing.  Piac.  Bieco,  stravolto. - 
Parm.  Scemo.  -  B  a  1  é  n  g.  Afoni.  - 
B  a  1  e  n  g 0.  Fer,  significano  Bande- 
ruola, sciocco. 

Baligàr.  Fer.  Muòversi;  fUmeparsi. 


DIALETTI  EMIUANI. 


^»l 


B  «  I U  r  ^  r*  ÌI09.  Sneciolajo ,  vetiditor 
di  sàecloU. 

Ballétt.  /Teflf.  Vaglio,  crivello. -Bat- 
ter. Vagliare. 

Ballètt.  Piac.  -  Bàller.  Parm,  e 
/?tfflr.  «Baletta.-rap.  Balos. -Ba- 
lùss.  j9o/.  e  Afod.- Bai  osa.  Afon/. 
e  Fer,  Sùcciola. 

Balòc.  Gen.  Grumo. 

Bai  òsa.  Parm,  Tristo,  cattivacelo. 

Baltàr.  Parm.  Vagliare.  In  qualche 
dialeilo  piemontese  chiamasi  B  à  1 1  i  a 
r  alta-lena. 

Balucchèr.  Beg,  Calpestare. 

Balz.  Fer.  La  treccia  di  paglia  colla 
quale  I  mietitori  legano  1  covoni.  - 
Parm.  Lembo,  falda.  -  Gael.  Balt. 
Lembo  ;  cingolo. 

Barn  ben.  Bom,  Pupilla. 

Banastra^  Piac.  Cesta. 

Banda.  Parm.  Làmina  di  ferro  sta- 
gnato. Latta.  Questa  9oce  è  anche 
^propria  dei  dialetti  vèneti. 

Bandèga.  tìom.  Regalia,  dono. 

Band  or  la.  Mod,  Allegrezza,  festino. 

BanzóL  Bom.  Sgabello. -Banzo la. 
BoL  Panca,  panchetta. 

Bar.  Boi.  Ciocca  (Dicesi  dei  capelli).- 
V.  Ber,  Bral  e  Barnèl. 

Baracca.  Gen.  Gozzovigliare. 

Baràcula.  Bom.  Pìccola  specie  di 
raja.-!..  Raja  asperrima. 

Barba.  Gen.  Zio. 

Barbo] a.  Pine.  Borbottare. 

Barbonàdag.  Piac.  Anònide. -  L.  A- 
nonis  arvensis. 

B  a  r  e  àr.  Fer.  Piegare ,  stórcere. 

Bar  eli  essa.  Parm.,  Boi.  e  ^er.  Tet- 
toja. 

Bar  e  la  e  là.  fVoc.  Ganciare,  cinguet- 
tare. 

Bardassa.  Gen.  Ragazzaccio,  giovi- 
nastro. 


Bàreg.  A^.Aggbiaceio;  prato  0  cani' 
pò  in  cui  viene  rinchiuso  il  greg- 
ge. Da  qui  forse  deriva  il  nome  di 
Bargamèin  0  Bergamìn,  dato 
ai  pastori?  Questa  è  forse  ancora 
la  radice  primitiva  della  voce  par- 
co, di  quel  recinto  cioè  destinato  ad 
imprigionare  la  selvaggina  per  la 
caccia. 

Bargamèin.  Gen.  Mandriano. 

Bàrghem  (Dar  el).  Parm.  Imbec- 
care, dar  rimbeccata. 

Bargnìf,  bargnìc.  Piac.  Diàvolo. 

Bargós,  brigós.  Piac,  Neghittoso, 
pigro,  impacciato. 

Bari  e  oda.  Bom.  Galla,  gallozza. 

Bar  lèi  ne.  Piac.  Chiàvica,  cateratta. 

Barliròn.  Piac.  Guercio. 

Barlòca.  Bom.  Gran  fame.  -  ^edi 
Sghessa. 

Bàrnàs.  Pav.  Paletta  da  fuoco.  Que- 
sto voce  è  lombarda. 

Barnèl  d'cavì.  Fer.  Ciocca  di  ca- 
pelli. Diminutivo  di  Bar.  F. 

Bar  ni.  Piac.  Assiderare,  agghiac- 
ciare. 

Bar  ni  sa.  A(v. -Burnì  s.  Boi,  Cinì- 
gia, cénere  calda. 

Ba ronda.  Gen.  Confusione,  intrigo. 

Bar  san.  Hoc.  Trifoglio.  -  L.  Trifo- 
lium  incarnatum. 

Bar  lave  11.  Gen.  Bertovello,  sorta  di 
rete. 

Bartavlàr.  l'arm,  e  Piac,  Ciarlare, 
cinguettare. 

Bartinén.  Bom.  Cinerògnolo. 

Bartinòn.  ^om.  Bigione. -I.  Syl- 
via hortensis. 

Baruffa.  Gen.  Contesa,  rissa. 

Bar  uva.  Bom,  Drizzatojo.  f^oc,  de' 
cappella*. 

Bascavozz.  iVac.  -  Cave zz.  Lom. 
Scampolo.  -  y.  Scavèzz. 


del  bambini. 
Bardiigà.  Piac.  Formicolare. 


Bardavella.  Bom.  Falda,  sostegno.  Basi  a.  Boi.  -  Baslètt.  Beg.  -  Ba- 


sirla. Alt?.  -  Tafferia. 
Bàsola.   Parm.  e  Piac.  -  Baslòtt 


993 


PAETI  SKOflVIà. 


Beg.  e  Moi.  Catiao,  vaso  di  lem. 

Basta.  Gtm.  SeMitan,  piega  fatta 
nelle  vesti  huighe,  per  aceordarie. 

Bastorlir.  Form.  Abbromare. 

Satana.  Bom.  Schifetto,  pìccolo 
schifo. 

Ha  libò i.  Bom.  Zafferaglio. 

Batizia.  Piae.  Molestia. 

Batlà.  Bom.  Cicalare.  Forte  dal  L. 
Blatero? 

Bàtola.  Mani,  e  f^er.  Cicalone.-Ba- 
tota.  Cicalare. 

Battod.  Boi.  Serbatoio  d'acqua. 

Bàura.  Beg.  Giogaja,  soggólo. -f^. 
Bronza. 

B  a  va  ja.  Bom-  Pioggerella,  nevischio. 

Bar  lèi n.  Parm.  Cenciajuolo. 

Baza.  Gen.  Buona  ventura,  buon 
prezzo. 

Bazurlòn.  Bom,  Baderlo. 

Bazz.  Pàrm.  e  Piae,  Vizzo,  appassito. 

Bàzol.  Mani,  e  Pk'oc. -Bàzel.  Beg. 
Bilico,  legno  alle  cui  estremità  ap- 
pèndonsi  due  pesi  e  si  soprapone 
alle  spalle.-  Bàzel.  Boi.  eBàzul. 
Fer,  significano  Randello.-  £.  B  a  J  u- 
luni(?)  (Bajulus  facchino,  por- 
tatore ). 

Bazòtt.  Gen,  Di  mezza  cottura. 

Bazurlòn.  Bom.  Baderlo. 

B dò  Ila.  /?oin.  Pioppo.  -  £.  Popuius 
nigra. 

Bdòst.  Bo/.  Maggese,  maggiàtico.  Ter- 
reno lasciato  sodo,  nel  quale  Fanno 
precedente  fu  segalo  il  grano. 

Bdùlén.  Bom.  Alberini;  funghi  na- 
scenti presso  i  pioppi  detti  B  d  è  1 1  a. 

Becca.  Piac.  Malescia,  cattiva  (Dicesi 
di  noce  ). 

Beg.  Parm.,  Mani,  e  Piac.  Lombrico 
terrestre.-B  è  i  g  a.  Beg.-  B  è  i  g.  Afod. 
Nome  genèrico  dei  bruchi  e  delie 
larve  di  molti  insetti.  -  Bèig.  Baco 
in  generale. -  f^.  Big. 

B  cga.  Boni.  Briga,  intrigo. 

Brgra.  Beg.  Lòja,  melma. 


Belsa.  A»!.- Béla.  Een 


Bellurde.  Bom.  Torta,  aorta  di  vi- 
vanda. 

Bèi  za.  Beg.  Pastoja. 

Beraba.  Bom,  Epa,  pancia. 

Bendla.  /ìegr.  -  Ben  la. /Wm,  Dòn- 
nola. •£.  Beilula. -K  Bòria. 

Ber.  Parm. e  Fer.  Ramo, ciocca.  rìéUt 
frasi:  Un  ber  d'mattèria,  uà 
ber  d**  cavi.-  Un  ramo  di  pazzìa, 
una  ciocca  di  capelli. 

Ber  gag  na.  Beg.  Cestone. 

Berlaschèin.  Boi.  Bravaeclo,  ali» 
lantatore. 

Berlèida.  BoL  e  Beg.  Greto  dei  Ho- 
mi ;  la  parte  del  letto  che  vien  ba- 
gnato nelle  grandi  eaereaeenaa. 

Berlicàr.  BoL  Civettare. 

Berr.  Bom.  Montone. 

Bersò L  Beg.  TubercollBO. 

Berte  in.  Boi.  Bigio,  color  cioéreo. 

Bescài.  Beg.  Broncone,  palo  grosso. 

Besiàr.  Parm.  Pùngere.  -  Besiar 
V i a.  Scomparire. •F.EbììL 

Bgarèr.  Beg.  Guazzare. 

Bghéng.  Beg.  Scemo,  aciocoou 

Bgòi.  Boi.  Miscuglio,  eonluaione. - 
Bom.  Moltitudine.  -  (Bgòi  d'ani» 
mal.  Pecuglio). - f .  Abgujar. 

Bgòi.  BoL  Chiasso,  frastuono. 

Bgòt.  A/oitf. -Bgòn.  Far.  Crisàlidt 
morta,  in  Ispecie  del  filugello.  -  F* 
Beg. 

Biallèiua.  Piac.  Diminutivo  di  Te- 
game; da  Biella.  Tegame. 

Bicocca.  Gen.  Catapecciiia. 

Bicoclà.  Piac.  Buffetto. 

B  i  e  u  ci  à  r.  Fer.  Accarezzare. 

Bida.  BoL  e  Piac.  Biètola.-/^  Beta 
vulgaris. -Bida  inParm.€Be§^ 
significa  Bovina ,  sterco  di  bue.  - 
F.  Binda. 

Bietta.  BoL,  Mod.  e  Beg.  Pìccolo 
cùneo. 


DIALETTI  £MlLlA.>il. 


^»5 


Big.  lieg.  Bacalo.  Dicai  delle  frutta  Bisiàc.  Gen.  Inconsiderato ^  truscu- 

guoi/e  da  larva,  rato. 

Biga ràv.  ito/,  e  Piac,  Ciondolare^  Biso.  Pof.- Bisol.  Pan».  Arnia  delle 

indugiare,  api,  sciame. 

Biga  ti.  BoL  e  Piac.  Filugello  ed  ai>-  Bisolfa,  Piac.  Nùvolo,  subisso. 

Binda.  BoL  Bovina,  sterco  di  bue.- 
ftom.  Chiara  d' uovo. 


che  Verme.  Forse  da  B  e  g  ?  -  K. 
Bignà.  Piac,  Agitarsi,  dimenarsi.* 
Bignir.  Parm,  Arrovellarsi^  siiz-  Bla  e.  Boi,  Cencio-  y,  Slraféri. 


zirsi. 

BigQÒn.  A'oc.-Bugnón.  Gen,  Cic- 
cione, furóncolo. 

B i go lo  1 1.  Parm,^  Piac.  e  Piem,  Mer- 
dajiiolo. 

Big  ordì.  Parm.  e  Fer,  Trifole,  trè- 
faoo. 

Bigorgna.  Parm.  Pìccola  incudine.- 
L,  Bicornis. 

Bigòtt  Gen.-Bixòc  i9oi.  Bacchet- 
tone. 

Biligòii.  /Voc.  -  Belegòtt.  Atil. 
sùcciola. 

E  i  m  b  I  è  i  n  a.  Parm,  Plsciarello,  vino 
sdolcinato. 

Binar.  Parm.  Scégliere. 

Bindòn.  Barn.  Mugolone. 

Biólca.  Gen,  Jùgero.-Z.  Bubulea. 
-Biólc,  bólc.  Bifolco.-I.  Bu- 
bulcaa. 

Bios.  Piac.  Bifolco.  -  BoL  Nudo,  spol- 
pato. -  Beg.  Disadorno.  -  ^.  B  i  ó  L 

Biót  Afoni. -Sbiót.A'ac-Sbiòss. 
Parm.  Ignudo. 

Biràé.  Beg.  Birracchio,  vitello  dal 
primo  al  secondo  anno. 

Biradèn.  i2om.  MontonceUo;  piccolo 
muechio. 

Birèn.  Barn.  Tacchino. 

Birié.Piac-Birichèin.i\irm.  Mo- 
nello, cattivello,  biricchino. 

Biro.  Piac.  e  MiL  Bischero. 

Bi  ròn.  Boi.  Zaffo. 

Birùc  ifod.  Torso  del  grano  turco. 

Bisca.  Ptac.-Bischèr.  i^flr. -Bi- 
sca r.  Parm.  Arrovellarsi,  ródere 
il  freno. 

Bisia.  Piac.  Vespa. -K.  Bsià. 


Biada.  Piac.  Inezia,  bagatella. 

Bl  a  n  g  u  r  i  a.y?om.Gontigio,attillatura. 

BIédeg.  Beg.  e  Mod.  Sollétieo,  diié- 

tico.  -Bledghòr.  Beg.»  Bledga  r. 

Parm.  Solleticare. 
Blicter.  Afon/.  e /-br.* Bile tri.^o/. 

Dappoco. 
Blisghèr.  Beg.  e  f<rr.  -  Blisgàr. 

Parm.  Scivolare,  sdrucciolare. 
Bloc.  Gen.  Masso,  ceppo. 
Boba.  Bmn.,  Parm.  e  BoL  Minestra. - 

Bobba.  Piac.  e  Piem.  Sterco. 
Boc.  Beg,  Spino. -K  Bòzz. 
BoÒ.  Bom.  Trucchio.-Bòccia.(ven. 

Pallòttola. 
Bòcc  a  1.  Bom,  Riccio,  ciuciano.  -  PY. 

Boucle. 
Bechi làr.  Piac.  Andito. 
Bochinchèr.  Bom.  Pesce  prete. -  L. 

Uranoscopus  scaber. 
Boc  in.  Pav.  e  Piem.  Vitello. 
Bòdega.  Mani.  Crogiuolo. 
Bodéinfi.  Man/,  e  Piac.-Budenfi. 

Fer.  Gonfio,  enfiato.-BodìÒ.  Parm. 

Atticciato,  polputo. 
Bòdiga.  Piac.  Altolena. 
Bod riga.  Piac.  Otre. -  Fig.  Ventre. 
Bògn.  BoL  Tumore,  enfiatura.  -  A^. 

Bignòn. 
Boi.  Piac.  Arnia,  alveare. 
B ó j  a.  Piac.  Contesa,  lite. 
B  0  j  acc  a.  Piac.  e  MiL  Pappolate,  be- 
verone. 

B  0  j  a  da.  Piac.  Cruscala,  pastocchiata. 
Bolladòr.  Piac,  Frugatoio,  bastone 

de**  pescatori. 
B  0 1  z  (i  I  a.  Piac.  Stagnata  ;  \  aso  desti- 
nato a  contoner  oglio. 


'^n  rAan  sbqoiida. 

Faorcattròa.  M§é,  Capestro,  ci 


FottTènt.  ilom.  Falco  cuculo  -  L. 

Falco  vespertinus. 
Fràina.  Boi,  Maggese.  -  F.  Bdost. 
Frata.  Rom,  Filare  d'alberi.- Fra t^ 

ta.  IL  «fgnt/lca  Siepe,  borroncello. 
Frégna.  i7om.  Fracidome,  carogna. 

(Dieeii  d'uomo  fastidioio).  -  MiL 

Frigna. 
Frisar.  Fer,  •  Sfrìzir.  f^en.  Rasentare. 
Frizz.  Parm.  e  Piac.  Vispo,  ardito. 
Fròld.  Afant,  Àrgine  che  sovrasta 

alPimmediata  corrente  del  fiume. 
'Fròn.  Mant,  Specie  di  fungo.  -  £.. 


Galana.  B9L,  JM. e  Jfm^. Teslìig- 
gine.-lrr.  Chelon. 

Galavrina,  /vrr.  -  Galavrèlna. 
Mod,  Ribeba,  scacciapensieri. 

Calaverna.  BoL,  Mod.,  MtmL  e 
Fer.  Brina,  f^.  Calabrùsa. 

Gaibédcr.  Afoni.,  Parm.  e  Beg.  ^ 
G  a  I  b  e.  ^///.Rigògolo.  -  £.  O  r  i  o  1  o  s 
gal  bui  a.  -  f^.  Arghèib. 

Gaietta.  Gai.  Bòzzolo. 

Galsanara.  Fer.  Nuvolaglia. 

Galfipp.  Piace  Lama.  Scimunito. 

G  and  di.  Pann.  Stampone.  Pannoc- 
chia del  grano  turco  sgranata.  •  F. 
Mol  e  Tóto. 

Ganz.  Bom.  Broccato. 


Boletus  conscriptns.  j 

Fròsna./?om. Fiòcina. -Aff7.  Sfron-  Ganzàiga,  gazàita.  Afanl. Meren- 
da, gozzoviglia  dopo  il  lavoro. 
Garabàttel.  Beg.  Bazzicature,  cian- 
frusaglie. 
Garapena.  Beg.  Cispa. 


sa. 

Frugn.  Boi.  Sodo,  serio. 

Frullòn.  Boi.  Libèllula -I.  Libel- 
lula cancellata. 

F 


ruzza.  Fer.  Lama  di  coltello.  Quasi fG aratònd'tera.  Air.  Zolla, ghiova. 
dicesse:  ferr'  aguzza?  G  a  r  a  v  è  1 1.  Boi.  e  Bom,  Raccmolo ,  ra- 


Fruzna.  Beg.  Ceffo,  visaccio. 
Fudghè.  Bom.  Grufolare. 
Fu  Ice  Ita.  Gen.  Inganno,  baratte- 
rìa.-jlftTFo  Ice  tt.-K.Fustigna.l     staccio. 
Fumana.  Grn.  Calìgine,  nebbia  den-  Gargalla.  Beg.  Galla,  gallozza. 


spoIIo.-G  a  r  a  V I  è.  Bom.  Racimolare 
Gara  volta.  Fer.  Cavità. 
Garba.  Parm.  Cascino.  Cerchio  dello 


sa.  Da  Fumo? 
Fu  s a z n a.  Bom.  Arboscello  verde  co- 


mune ne' boschi. -£.  E  vonymus      Z..  Anas  querquedula. 


Gargàm.  Beg.  Scanalatura. 
Garganèll.  Piac.  Specie  d'anitra. - 


europaeus. 

Fusligna.  Gen.  Inganno,  baratteria. 

Fuzòn.  Bom. '(/mot.)  Piàttola,  luc- 
ciolato. L.  Blatta  orientalis.  - 
F.  Burdigòn  e  Luziòn. 


G 


Gab,  gabós.  Bom.  Lezj,  lezioso. 

Gaba.  Piac.  e  Lomb.  Capitozza. 

Gadàn.  Piac.  e  lomb.  Meschino,  sto- 
lido. 

Gàjen.  Boi.  Bugiardone,  gran  men- 
titore. 

Gajoffa.  Gen.  Saccoccia. 


Gargantclla.  Boi. Chiappolerìa, co- 
succia. 

Garibòld.  Piac.  Grimaldello. 

Gariòn.  Piac.  Tonchio;  bruco  de' 
legumi. 

Ga  r  I è.  Piac.  Aggranchiato,  intormen- 
tito. 

Ga  fòt  tei.  Gen.  Giova,  zolla. 

Garsé.  Bom.  Brizzolato. 

Garzò.  Piac.  Pennecchio. 

Gassa.  Piac.  e  Lomb.  Cappio. 

Gatòzzol.  Bom.  -  Galtòuzzel. 
Mod.  -  Garìzzoke.  />r.  -  Gal- 
tùzz.  Fcf*.  SollèUco.  -  r.  Blcdef, 
ghcttel  e  glòlt. 


IMALBTTI  MIUA?II. 


965 


*•  Aqoldotto. 
Far,  Sparniclata. 
f.  Grossa  fune.  •  f^.  Ga- 

^Vcc.  -Cavell,  fieg.  Pa- 
I  da  focolare.  F.  Barnàs. 
Mmti.  Prima  diraniaiione 
o« 

L  6  tìeg.  -  Cavi.  Fer,  - 
Som,  Quarti  della  circon- 
«lle  mote, 
kr.  Seeltume  (proprio  del- 

Mani.,  Piac.  e  f^er.  Cor- 
ipago.  -  Boi,  Matassa.  -  f^. 

Mani.,  Beg,  e  £om6.  Acer- 
Falco  tlODunculus. 
v.  Punzone  9  pugno. 
UN.  Bacchettone,  pinz(>c- 

e. Puzzole.  - 1.  Tagetcs. 
l.->GeDìo.  ^en. Gomìtolo. 
^jàc.  Mugherino  -  L.  Co  n- 
majalis. 
a.  Beg.  Ciurmaglia. 
ni. Grembo. -Ghcde  de 
la.  Gheroni. 

Tom.  Principio  o  fine  del 
sicché  contenga  ancora 
D  filo. 

unm.  Busse,  percosse, 
r. Gallòria,  gavazzamene 
ringoia. 

Boi,  Viscarda.  •L.  T  u  r- 
Ivorus. 
ol.  Increspare. 
m*  Melensa.  {Diceti  di 

il,  Dilético,  sollético.  -  f^ 

e  Mil.  "  Ghiado.  Pav, 
logo  stimolo  che  i  bifol- 
nino  coir  aratro.  -  Gia- 
mpllce  pùngolo.  -  Mani. 
e  GojdI.  r. 


Ghia  da.  Fer,  Paletta  di  ferro,  onde 
si  pulisce  il  vòmere  nell' arare.  - 
F',  Ramiòla. 

Chiana.  Fer,  VincigliOy  vinco. 

Ghigna.  Gen.  Ceffo.  -  f^.  Gr cinta. 

Chignon.  Emil,  e  iunnò.  Dispetto, 
ira. 

Ghin.  Bom,  Smanceroso,  lezioso. 

G  h i  nà  Id.  Piac,  e  Farm,  ilstuto^  scal- 
trito. 

China,  ghinè.  Bom.  Sdrùcciolo, 
sdrucciolare. 

Chi  rèi.  Purm,  Gonnella,  guarnello. 

Chiringagna.  Fer,  Gozzoviglia,  fe- 
sta,  allegria. 

Chissà.  Fer,  Gara. 

Ghizz.  Parin,  Covàcciolo,  letto. 

Giamanla,  giaverda.  //om.  Sgual- 
drina, donna  di  mal  affare. 

Giànden.  Mod,  Lèndine. 

Gianvàn.  Boi,  -  Giavàn.  iMmb, 
Sciocco,  balordo. 

Già  vasca  ra.  Fer,  Chioma  d'alberi. 

Giavòn.  Bom,  e  f'er.  Pànico  selvàtico.  - 
L,  Panicus  crus  galli. 

Ci  avrà.  Beg,  Gragnuola  minuta. 

Giggiàr.  Parin,  Quadrare,  calzar 
bene. 

Ci  Iarde  ina.  Piac,  Sutro,  gallinella 
aquàtica.  -  !..  Uallus  porzana. 

Girne.  Bom,  Mugherino.  -  £.  Jasmi- 
num  sambac. 

Giòa.  Mani.  Granchio.  Slrumenlo  di 
ferro  col  quale  i  falegnami  assicih 
rano  le  tàvole  da  piallare, 

elogia.  Bom,  Basóffia. 

Ci  ór.  Bom,  Grullo,  mogio,  malaticcio, 
melanconico.  -  1  ng  i  u  r  ì  s.  Comin- 
ciare ad  ammalarsi.  (  Dicesi  degli 
animali.) 

Giova.  Boi.  e  Fer,  Bastone  lungo  e 
forcuto  per  cògliere  fichi,  ce. 

Giova.  Piac,  Pannòcchia  {frullo  del 
grano  turco),  -  K.  M  ò  v  I  a. 

Ciurginèl.  Bom.  Morettone.  -  I. 
Anas  clangula. 


)5«    ' 

Giorgiól.  /hm,  Sambeccio,  uccello 
pflIuMre. -£.  Trlnga  minuta. 

C  i  u  II  t  r  è  r.  lìeff.  Cestire,  far  cesto  (Pi- 
ceti  delle  piante  ). 

Cinti.  Barn,  Squittire. 

G I  u  t  u  r.  Bom,  Turàcciolo  di  sóghero. 

Giù  vada.  Fer.  Ingraticolato. 

Glótt.  Pine,  -  Galitt.  Lomb.  Sollé- 
tico, dilético.  -  f^.  Ghèttel  e  Ga- 

tÒEXOl. 

Gin  ir  a.  Bom,  •  Gumiér.  Fer,  Vò- 
mere. 

G  ni  i  8  s  &  1 1.  (yen.  Gomitolo.  -  f^.  G  é  m  b. 

Gnàcchora.  fìoL  Bagatella.  •  K 
Zcrra,  Gnecsa,  Gomra. 

Gnacra.  Beg,  Squarcio,  piaga. 

Gnaff.  Bom,  Camuso. 

Gnaflèn.  Bom,  Sorgozzone;  colpo 
che  si  dà  sotto  il  monto. 

Gnàgn.  RoL  Minchiono,  babbeo. 

Gnécch.  Bom,  Lamento.  •  Afi*/. 
Gnccch.  DI  mal  umore. 

G  n  e  e  s  a.  BoL  Bagatella.  •  f  .  G  n  à  c- 
chera,  lerra. 

Gn^s.  A?om.  Bufonchino,  malcontento 
di  tulio.  -  Gnest.  Parm,  Svogliata. 

f>ì<y.ii  (fi  iMi»w. 

Gnic,  gtt !<*<*«'*.  Fer.  Scricchio, 
scricchiolare;  ««<?'*«  Gèmito,  geme- 
re.-i?o»i.  Gnlchè,  gnicadùr. 

Gnlff^li^A.  Pnrm.  Lernia,  leziosa. 

Gnig netta.  Fer,  Febbretta. 

Gnfgn^i**  Bom,  Babblone. 

cnf  sena. /7om.  Innocenti  na,  melensa. 

Gnogno.  P»*ac.  Eccellente ,  squisito. 

Gnorgna,  gnola.  Beg.  Cantilena. - 
Gnorgna.  Boìn,  Mattana,  sopore. 

(tò.  Bom.  Ventraia. 

nobla.  Bom,  Mallo. 

Goghctta.  Gen.  Gozzoviglia. 

Gogn.  Piac.  Majale. -Gogglo  e  go- 
g  n  ì  n.  Majaletto.  -  Parm,  Gogne I  n 
e  Gozcin.  Porco,  raajale. -  J/an/. 
G  og i  n.  -  Fav,  G  0  r  a n  è i.  Majale  da 
latte. -Gogi di.  Majale  d^un  anno 
in  circa,  r.  G  u  t  è  n.   • 


FAftTE  SICOflIKA. 

Gói.  Bom,  Ebreo  {prtuo  t 

Cristiano  (preMO  gU  Ebrei). 
Gojadèl,  gojdl.  Arafil.-Gajadèft 

Mod.  -  Gujèl.  Fer,  Pùngolo.  -  V, 

Ghia. 
Golena.  Gen.  Spano  di  terra aga- 

mergibile  tra  la  ripa  del  ìobm  • 

r  àrgine. 
Gomàrs.  Atrm.-Gomia.  /Voe.  Ae^ 

corarsi,  rattristarsi. 
Gomra.  Boi.  Corbellerìa, bagateik. - 

y,  Zerra,  gnàccheray  goecta 
Gonz.  Gen.  Balordo,  scloceo. -  JM. 

Gans.  Oca;  /ior.  Sdocoo.  -  7WL 

Ganz.  Oca. 
Gor.  Bom,  Rossiccio,  rossigoo  (IK- 

ceti  del  Pino). 
Gora.  Bom.  BuflTetto. - Afil.  Gòga. 
Goranèl.  Pop.  Uajale  da  latte.  -  r. 

Gogn. 

Gorbiàn,grùbiàn,gruzÓD.  Meni. 

Villanacclo,  zoticone. 
Gorgnàl.  Piac.  acòria,  radicUt.- 

L.  Cichorium  intybua. 
Górra.  Piac,  Vétrice.-£.  SalU  vi* 

minalis.  -  Gor  rèin.  Vimine. 
Gramìl.  Afod.  Maciulla,  scòtola. 
Granf.  Gen,  Granchio,  contraiieoe 

de'  mùscoli.  -  Ted.  Kram  ff. 
Grappe  ila.  Bom.  Làppola,  barda- 
na. -  £.  Arctium  lappa;  caaea- 

lis  latifolia. 
Grapiola.  i?om.  Verònica  maschia. • 

L.  Galium  aparine. 
Grèln.  Piac,  -  Crin.  Piem.  Porco.  ♦ 

Grcina.  Troja.-Grinèin.  Maja- 
letto. 
Gre  in  gol.  Piac,  Granchierella.  •  X. 

Cuscuta    curopaea.    -    Moiif. 

Gringa.  y, 
G  rèi  n  la.  Beg,,  Par  ni.  e  Piac.  Ceffo, 

cipiglio.  -  Gre n la.  Bom.  Rogna; 

flg.  Ceffo. 
Griglia.  Piac,  Persiana  ;  serramento 

esterno  delle  finestre. 
Grimà.  Pav,  Abbronzare  eoo  ierr» 


DIAUETTl 

eai4Q.  -  L,  Cremare.  •  Mil.  Gra- 
mi. 

Grioga.  Mani.  Granchierella.  -  y. 
Grèingol. 

Cri  ng  al  a.  EmiL  e  yen.  Giùbilo, 
gfoja.  -  y,  Ghelsa. 

Grò  vi.  Piac.  Rannicchiato,  raggrup- 
pato. •  Pr,  Groupl. 

Graie.  Rmn,  n  vociare  del  tacchino. 

Gru  II.  Boi.  Rùvido,  scabro. 

Graz  za.  Beg,  Bolgia  da  calderajo. 

GDiJàm.  BoL  e  Mod.  Guaime,  erba 
che  rinasce  nei  prati .  -  BreL  G  u  i  m .  - 
L,  Gramen. 

Guarnassa^guarnèll.Af ani.  Gon- 
na, gnamacca. 

Goatra.  IHae,  Zolla,  gleba. 

Cadàzi.  Geli.  Padrino  -  Goda  zza. 
Iladrina.  *  Si  dice  in  Mil.  anelie 
Ghidazz  e  ghidazza. 

Guèindol.  /Vac. -Guindel.  Reg.  - 
Guindan.  Pw.  Arcolajo,  guìndo- 
lo. -  Ted,  Windc. 

Guèinta.  Piae,  Agguato,  Insìdia.  - 
Gointa.  Stare  in  agguato. 

Guerz.  BoL,  Afod.  e  fìeg.  Arpione, 
càrdine. 

Gaett.  Bùi.  Vile,  abbietto,  guitto. 

Ga  f  1  a.  Boi.  Fiòcine.  -  Nel  dialetlo  del- 
la Franca^Contea  C  o  u  f  I  e  s,  signi- 
/Ica  Sacello  e  fiòcine.  -  Gael.Cwfl 
Mantello,  invòlucro. 

Cam  i  é  r.- Ter.  G  m  i  r  a.  i7c»ii.  Vòmere. 

Gutèn.  fìom.  voc,  coni.  Porcellino. 

Guvlres.  Parm,  Accovacciarsi. 

Gvicè.  Boin.  Agguatare. 


Iblòl.  Boni,  Beveratoio,  trincarello. 
Ilza.  Boi.,  Fer.  e  yf/aii/. Slitta,  tràino. 
Inbabbiàrs.  Fer,  Imbrodolarsi. 
Imbèls.  Boi,  Impaccio,  imbroglio.- 

Imbelsàr.  Impacciare.  -  Fer.  Im- 

balsàr.  -  y,  Belza. 
laibagul.àr.  Fer,  Inzaccherare. 


DUUANI.  SOB 

Imbazzuiìr.  Fer,  Imbalordire. 

I  m  b  a  e  i  è.  Bom.  Incarcerare,  abbin- 
dohire. 

I  m  b  è.  Bom.  Si. 

I  m  b  o  g  è  r.  Beg.  Imbisacclare. 

Imboghì.  Piac.  Infagottare,  ravvol- 
gere con  molle  vesti. 

Im  bom  bar.  Mani,  e  yer.  Inzuppa* 
re,  imbevere. 

Imbòran.  Bom,  Nero.  -  For$e  da 
Eburneo? 

Imbrès  (sumnèr  ad).  Bom.  Semi- 
nare a  sovescio. 

I  m  b  r  u  m  b  1  è.  Bom,  Infrascare.  •  F. 
Brombla. 

Imburdunàr.  Fer.  Imbacuccare. 

1  m  b  u  s  g  n  è  r s.  Beg.  Accoccolarsi,  ac* 
coscia  rsi. 

Immaltè.  Bom.  Infangare. 

I  m  m  u  r  ì  s.  Bom.  Oscurarsi. 

Immusarlès.  Bom,  Imbrodolarsi, 
Insudiciarsi. 

Immutarìs.  Bom.  Imbronciare. 

Impapiàr.  Parm.  Impiastricciare. 

I  m  pa  t  a  e  h  è.  Bom,  Figgere;  dare  ad 
intendere. 

Impiadura,  implè,  impÌès./rom. 
Cagliamento,  cagliare,  cagliarsi. 

Impiàr.  Boi.  -  Impièr.  Beg.  -  Im* 
pissàr.  Afan/.  e  yer,  -  Pissàr. 
Mil'  Accèndere,  appicciare.  -  Sp, 
Limpiàr. 

Impirulès.  Rom,  Cincinnarsi. 

Impitarìs.  /?om. -Imptàrs.  Pann. 
Imbizzarrirsi. 

Impizzàda.  Paì^ìn,  Imbeccata. 

In  ari.  Bom.  Inasprire,  irritare. 

Inascarìrs.  Beg.  Entrare  in  uzzolo. 

I  uà s i à  r.  Mani,  e  Fer.  Allestire,  prc-« 
parare. 

Inbadajà.  Piac.  Confuso. 

Inbicucàrs,  incucàrs.  Fer.  Tar- 
tagliare. 

I ncam pi r. /^rm.  Intristire,  disec« 
carsi.  Dic&ti  delle  biade  e  simili, 
che  ditfccano  per  nebbia  o  iiecilL 


266  rAKTs  sKomà. 

I  oc  and  ir.  Fer.  Arsicciare.-  L.  lo» 
caodescere? 

Incalmàr.  ManL  e  f^er.  looestare.  - 
f^.  I  n  s  d  ì  r. 

in  ci  a  che.  Rom,  Appiccicarsi. 

Inciziàrs.  Fer,    Biosciare  ,    esser 
bleso. 

Incó.  Rom.  -  Incd.  Fiac  e  Lomb. 
In  cu.  Boi.  Oggi. 

Incurnicè,  incurniceda.  Rom 
Inconocchiare,  pennecchio. 

Incoznis.  Rom,  Chiocciare,  èsser 
malescio. 

I nericar.  Fer.  Grommare. 

I  n  e  r  ò  s.  Piac.  Profondo ,  cavo.  •  />. 
Creosé. 

Indèvs.   Boi.  Malaticcio.  «>  f^.  In- 
guànguel. 

Indsena.  Rom,  Anici  in  camicia,  piz- 
zicata, ànici  coperti  di  zùcchero. 

Indsmìs.  Rom.  Istupidire. 

Ine  ré.  Boi.  Adirato. 

In  fai tr  ir.  Fer.  Intrìdere,  imbrat- 
tare. 

Infézan.  Rom.  Mostro.  Animale  ge- 


nerato con  membra  imperfette. 

Ingamurdìr.  Boi.  Ingannare. 

Ingal sanar.  Fer.  Annuvolarsi. 

Ingargnmàr.  Fer.  Intrigare. 

Ingatiàr.  Gen.  Intricare. 

Ingazzarìs.  Piac.  Incapricciarsi. 

Ingermàr.  Parm.  Ammaliare,  fa- 
tare.- F,  Inzermà. 


fermicelo.  -  Gael.  Gw«o.  l>èlMlc 

infermo.  -  Bret,  Gwan.  Garogaa. 
Inguéra.  ManL  Truogolo.  •  F,  !■ 

ghiro  la. 
In  la  vis.  Rom,  Inghiottonire,  ìm 

ingordo. - Mil,  Mangia  com^èn 

lava. 
I  n  1  u  z  z  i.  Rom.  Far  lercio. 
Inparnigàr.  fhr.  Screziare. 
Inringhi.  A'oc.  -  In  ranghì.lMià 

Aggranchire. 
Inrimulè.  Rom.  Incruscare.  •  F, 

I 

Rèmel. 
In  r  US  le.  Rom.  Imbrodolare,  imbnl' 

tare. 
Insamnir.  Fer,  Stordire. -L.  lata- 

nire? 
In  san  tur  ir.  Fer,  Intristire,  Imboi- 

zacchire. 
Insbulzir.  Boi,  Impinzare. 
Insburgnè.  Rom.  Avvinazzato. 
Inscalàs.  Piae.  e  Mil.  Arrìschianii 

azzardare. 
Inscambrutirs.  Fer.  Turbarsi. 
Insclis.  Rom.  Intirizzire.  -  K.  la* 


giaris. 

Insdìr.  iBo/.  -  Insùdi.  Aoc.  -  In- 
sedi. iLom6.- Insdè.  Rom,  Ione* 
stare.-  L,  Insitare? 

Insdott.  Rom,  Innesto. 

Insfulzgnìr.  Boi.  Impinzare,  rieol- 
mare. -K.  Insbulzir. 

In  si  mi  rada.  Fer,  Spia,  spionaggio. 


Inghiróla.  Afod.  Abbeveratojo,  pie-  Insmà.  Parm,  Solamente.  F.  Almi 


colo  truogolo.  F,  Inguéra. 
Ingiaris.  Rom,  Intirizzire,  aggrez- 

zirsi. -  F,  Ingiarunàr. 
Ingiarunàr.  Fer,  Indurare. 
Ingrillè.  Boi,  Intirizzito.  -  F.  In- 

giaris. 
I n  g  r  i  t  n  i.  Rom.  Mozzare,  aggrezzare 

le  mani,  le  dita;  assiderarsi.  -  F. 

Ingiaris. 
Ingrullirs.  Fer.  Aggranchirsi.  -  F. 

Ingritni,  ingrillè,  ec. 
Jnguànguel^  inguangulà.  Boi.- 

Ingàngul.  Rom,  Concafessa,  in- 


I n s V ci t i s.  Rom.  Riaversi ,  Imbric- 
conire. 

Intambucès.  Rom.  Intozzare,  di- 
venir tozzo. 

Intatarè.  Rom,  Ingomberare. 

Intavanè.  Bom,  Brillo;  allegro  pel 
vino  bevuto. 

Intgnosir.  Parm.  Intristire,  imb«- 
zacchire.  •  K.  Incampir,ed  Ini- 
gugnis. 

Intignis.  Rom.  Istizzirsi. 

Inlivàr.  Fer.  e  Fen.  Cògliere  nei 
segno,  colpire. 


DIALETTI  BMILUNI. 


5107 


fotalty.  BoL  e  Mil,  A  riguardo.  - 
Z.  Intuita? 

loTéll.  Rom,  In  nessun  luogo. 

iDungiàs.  Piac,  Accòrgersi^  subo- 
dorare. 

Invarnì.  Bum»  Importunare,  torre 
il  capo,  addormentare.  Tra», 

In  vari  r.  Reg,  Invajare,  divenir  nero. 
DieeH  ddVupa  e  d'altre  frutta, 

Inzalaburdi.  Bom,  Torre  gli  orec- 
chi, assordare. 

iDzanchè.  Bom,  Inginocchiare.  Di- 
cefi  dagli  artigiani  quando  le  cose 
piegano  e  fanno  gómito, 

Inzarbèi.  Bom,  Barelle,  ànima  del 
pagliaio. 

Intermi.  ^om.  -  Inzarm è.  Piac, 
Ciurmato,  fatato. -fV.  Charme? 

Inzghì.  Bom.  Acciecare. 

Inzgugnis.  Bom,  Intristire.  Dicesi 
delle  piante  die  créscono  a  stento 
per  qualche  difetto,'  K.  I  n  e  a  m  p  i  r. 

Inzolàr.  Mani,  e  f^er.  Allacciare, 
legare. -f^  Daszulàr. 

Inzorlàrs.  Parm.  Inzaccherarsi. 

Inzutis.  V?om.  Ammezzarsi,  stivarsi. 

loia.  Parm.  Cantilena  delle  nutrici 
per  addormentare  i  bimbi.  -  Pia- 
gnucolamento de*  bambini. 

Irò  la.  Bom,  Tègghia,  vaso  di  rame 
a  cuòcer  torte,  ec. 


Ladèin.  Boi.  e  /feg. -Ladin.  Lomb. 
Scorrevole,  fàcile,  corrivo.  -  Brel. 
Ledua.  Largo. -Z.  Latus. 

Laga,  lagàr,  Fer,  Solco,  solcare. 

Lagòtt.  Bom.  Valligiano. 

Lama.  Parm.,  Mani.,  Mod,  e  Beg. 
Mallo. 

Lam  breccia.  Beg.  Pianella,  matto- 
ne sottile.-/?.  Lambris. 

Lamp.  Fer,'  Lampo,  i^er.  Lembo, 
falda,  nìcesi  propriamente  delle 
^^etli. 


Lanca.  Mani,,  Parm,  e  Piae,  Seno  di 
fiume. 

Landra.  Boi,  -  Slandra,  lomb,  e  Fen, 
Donna  sudicia.  •  Tras,  Meretrice. 

Lanlìr,  lantiaiòn.  Fer.  Languire, 
languore. 

Lapàr.  Parm,  Lambire.' 

La  zzò  in.  Piae,  Treggia,  tràino. -f^. 
Lena. 

L azzera.  Bom.  Angulllare;  lungo  e 
dritto  filare  di  viti  legate  insieme 
con  pali  e  pèrtiche. 

Lebga.  Piac,  Moccicija.  -  Leb* 
ghèint.  Moccioso. 

Lébur.  Bom,  Giusquiamo. -*£.  Hi o- 
sciamus  niger. 

Lecca.  Bom,  Melma,  belletta. - Afod. 
Le  zza.  •  //.  Lezzo.  Sucidume.  K. 
L  i  d  g  a. 

Léch.  Fer,  Utilità,  frutto,  avanzo. 

Le  fa.  Fer.  Melenso,  melensàginé. 

Lega.  r.  coni,  Bom,  Solco.  K.  Laga. 

Lem.  Fer,  Piac,,  Parm,  e  ixmtb.  Le- 
gumi in  gènere.  -Lemm  lemm. 
Adagio,  lemme  lemme. 

Lenz.  Bom,  Cimossa,  vivagno  del 
panno  lano. 

Leonzèin.  Piac,  Mughetto.  - /^.  C o n- 
va Ilaria  majalis. 

Loppa.  Bom,  Coda,  striscia  di  panno 
che  è  cucita  alla  serra  de'  calzoni 
per  affibbiarli. 

Lergna.  Mani.,  Piac.  e  Lomb.  So- 
pore, febbricciàltola.  -Lergnòtta^ 
lergnetta.  Vale  lo  stesso. 

Letta,  f^.  de'  Tessit.  /i odi. Parete;  le 
due  metà  dei  fili  deirordito,  che 
si  distìnguono  in  fili  della  parte  in- 
feriore e  in  fili  della  parte  supe- 
riore, perchè  neir  azione  del  telajo 
si  alzano  e  si  abbassano  a  vicenda. 

Lev.  Mani,  e  Beg,  Polmone. 

Le  zza.  Parm.  e  Beg,  Treggia,  tràino 
senza  ruote.  -  T,  L  a  z  z  è  i  n. 

Libia.  Parm.  Frana. -Libi iìr.  Fra- 
nare. 


dOS 


Lidga,  Beff.  e  Parm,  Belletta,  mel- 
ma.- K.  Lecca. 

Lif.  fieg.  e  Pcurm,  Ghiotto,  goloso.  - 
LI  fg  nari  a.  Ghiottonerìa.  -  A#i7. 
Luf.  Ghiotto.  Significa  lupo. 

Llfròn.  Piac.  Dolcione,  sciocco. 

Llgabò.  ^o/.  Anòiìide. -/^.  Arréte- 
b  0  e  u  f.  £*  rimarcìihole  questa  con» 
ionanza  fra  le  due  voci  francese  e 
bolognese,  V,  Bunaga. 

Llgabósch.  ManL,  Pop.  e  Piem, 
Edera.  -  Boi,  Lonicera  caprlfoglia. 

Ligòr.  Piac,  e  Fer.  -  Ligùr.  Boi.  - 
Lùgar.  Mani,  -  Llgadòr.  f^er. 
Ramarro.-  K.  Àlguor,  Mar. 

L  i  m  g  h  è  r.  fìeg.  Trapelare.  Dicesi  de* 
liquidi. 

Lindòr.  Beg.  Aspo,  incannatojo. 

Linzàr.  Parm.,  Piac»  e  Iom&.  Mano- 
méttere, sboccare. -Linzèr.  Beg, 
Rompere,  dhìdere. 

Li  sa  8.  Gen,  Logorarsi,  ragnarsi.  Di- 
cesi  dei  pannilini  e  pannilani. 

Lisca.  Piac.  e  Lomb.  Alga,  càrice.  - 
y,  Pavlra. 

Lispulè.  y.  de*  fabbr.  Bom.  Acceca- 
re, fare  T  accecatura. 

Livrcr.  TJegf. -Llvràr.  f^er.  Finire. 

Lizz.  Piac.  Elee. 

Lo  e.  Boi.,  Mani.,  Parm,  e  Piac.  Lolla, 
pula.  -  Mil.  Folle,  cervello  balzano. 

Lòdan.  Parm.  Ontano. 

Lodra.  Beg.  -  Lora.  Parm.  e  f^er. 
Pévera. -Lodr è  tt.  Imbuto.  -  Fer. 
Tortór.  -  r.  Pidria,  Svina  e 
Buvlnèl. 

Lòffi.  Gen. Floscio,  fiacco. -  f^.  Zèin- 
guel. 

Logia.  Pav.  e  Mil.  Troja,  scrofa. 

Lòja.  Piac.  Tentennone,  irrisoluto. 

Loie  a.  y^er.  Lentezza. 

Los.  Parm,  e  Piac.  Appannato. 

Lopa.  Parm.  Scoria. 

Losla  (Fé  la).  Bom.  Dar  la  baja. 

Losna.  Boi.  e  Beg:  Lampo,  baleno.  - 
Lusnàr,  losnér.  Balenare.  •  M^/. 
Lusnada.  Baleno. -T.  Slosna. 


PARTE  SECOIfDA. 

Lòtag,  lòdeg,  lòlleg.  Piae.  e 
Lomb.  Molleca;  granchio  di  fascio 
tènero. 

Lott  lott.  Bom.  Lemme  lemmei 
quatto  quatto. 

Lovartis.  Mani,  e  Fer.  -  Varftiti 
Piac.  -  Vertis.  Pop»  **  Lòvertis. 
Mil.  Lùppolo.  -  £.  H  u  m  11  1  u  8  Iv- 
pulus. -^0/.  Lu vertis,  sigftifka 
Ligustro. 

Lubia.  Piac.  Frana.- Lubii.  Cade- 
re, scoscéndere.  -  £.  La  ber  e? 

Luchélna.  Boi.  BaJa,  fandonia. 

Lùdàl.  Piac.  Ululato.  -  Lùdla.  mo- 
lare. 

Lùgar,  lùgher.  Mani.  Ramarro. - 
f^.  Ligòr,  alguor  e  mar. 

Lumàdeg.  Mod.  Stantio. 

Lùmdòn.  Piac.  Sorbone,  gattone. 

Lune  la.  Parm,  Ùgola. 

Lussa.  Piac.'  Luzza.  Parm. -8Iu- 
scia.  Mil.  Aquazzone,  rovescio  di 
pioggia. 

Lussi,  mussi.  Piac.  Pigolare»  pia- 
gnucolare. 

Lu  vertis.  Boi.  Ligustro. 

L  u  V  s  è  n.  Bom,  Pasto  ;  il  polmone  do- 
gli animali  piccoli,  che  si  macéUan<^* 

Luzlòn.  Bom.  Piàttola.  -  F,  Burdi-^ 
gòn  e  Fuzòn. 


in 

Macobà.   Boi.  Ceràmbice.  -  L.  G( 

rambyx  muscatus. 
Ma  dira.  Boi.  Corrente;  aorta  di 

ve  ne'  ietti. 
Madòn.  Boi.  Zolla,  gleba  attaccai 

alle  radici  delle  piante. 
Maga.  Boi.  Fischione.  -  £.  Anaa  p( 

nelope. 
Maga.  Piac.  e  Parm.  Astio,  rancore.  — * 

Magòn.  Gcn.  Patema d' ànimo.  F.^^ 
.^lagulòss.  Fer.  Malescio. 
.Maga ss.  Bom.  Moriglione,  -  L.  Aoai^ 

ferina. 
Magassòn.  Bom,  Fischione  torco.  * 

A.  Ana9  rufina. 


DIAUTTI 

Iif  bèii.  Beg,  Grazio ,  grùzzolo.  - 
K.  Molséna. 

Mzf  nàn.  Gen.  Caldenjo.  -  Fig.  Scal- 
trito. 

NagÓD.  Gen.  Ventrìglio.  -  Fig.  Pa- 
tcflui  d^inimo.  -  Ted,  Uagen?  - 
iBioagonars.  Gen.  Accorarsi. 

Nagonàr.  Far.  Ammassare. 

Mal.  Piae.  Prepoeto  ai  nomi,  dinota 
perfezione,  eccesso.  -  Una  mal 
donna,  un  mal  cavai,  sigHifi" 
cono:  una  bellissima  donna,  un  ve- 
loeìaaiaM  cavallo. 

Halàn.  Piae.  Mallo. 

Mal  ci  par.  Fer.  Malmenare. 

Mal  è  1 1.  yiofii.  Sacco,  sacchetto,  -  Fr, 
Malie.  Taligia. 

Malga  zz.  Bom.  Sagginale.  -  Mil. 
Melg4&. 

Malis.  Bom,  Sorta  d^uva  bianca. 

Mal 08 sé  r.  Piac.  Sensale.  -  Af//.  Ma- 
rossé. 

Marna  lecca.  Bom.  Succiamele,  fuo- 
eo  selràtico.  Erba  parassita,  flagel- 
lo dei  legami.  •  L.  Orobanche 
major. 

Mamién.  Ffr.  Manieroso,  affàbile. 

Man g aneli.  AtanL,  Piac.  e  Lomb. 
Randello,  grosso  bastone. 

Man  sa.  Piae.  Pannocchia.  Spiga  del 
grano  turco.  -  f.  Nòvla.  -  Man- 
sarèina.  Granata. 

^anvàr.  Ffr.  y.  cont.  Ammanire. 

Manvìn.  Fer.  Mìgnolo  (dito).  -  f^. 
Varmlìn. 

Var.  Bom.  Ramarro.  •  K.  Ligór. 

Varag na.  Beg. - Maro'g na.  r«r.  Bi- 
ca, mucchio.  -Maragnol.  Mant. - 
Ha  rag  nói.  Fer.  Mucchio  di  biche, 
pali  od  altro,in  nùmero  determinato. 

^arangòn.  Boi.  Carpentiere,  fab- 
bricatore di  carri.  -Marangón. 
Jieg.,  Mod.^  Mani,  e  f^er.  -  Ma- 
ringòn.  Piac,  Falegname. 

Maratona,  maroca.  f'er. Quantilà 
e  marame. 


EMILIANI.  369 

Maràzz,  marazza.  Par.,  Piac.  e 
Beg.  Roncone,  falcione. 

Maregna,  marogna.  BoL  e  Piae. 
Scòria  del  ferro. 

Ma  re  zar.  Mant.  Ruminare. 

Margòss.  Beg.  Torso.  Ciò  che  rima* 
ne  del. frutto,  dopo  averne  levata 
la  polpa,  y.  Carcòss. 

M arietta.  BoL,  Fer.,  Mod.  e  Beg. 
Saliscendi.  -  Piac.  e  Mani.  Mar- 
ldtta.-K.  S&pè. 

Mar  tinga.  Piac.  Rabescato. 

Marmlìn.  Afan/.-Marmlèin.  A'ac. 
Dito  mìgnolo. - /r(.  Marmmear. 

Maroca.  Gen.  Marame. 

Marò  Ila.  Parm.  e  Piac.  Midolla. 

Marùc.  Fer.  Vitello. 

H  a  r  t  ù  f .  Gen.  Baccellone ,  scioccone. 

MartùrclL  A'ac.  -  Mar  tlnèll.  fer. 
Calabrone. 

Marzana.  Fer.  Terreno  molle,  che 
cede  sotto  il  piede. 

Masaròn.  Piac.  Ranno,  rannata. 

Maséiarpèin.  Piae. -Mascherpa. 
Lomb.  Ricotta. 

Ma  so  e.  Boi.  Mézzo,  vizzo. 

Mas  citò  n.  Piac.  Paffuto,  grasso. 

Massa.  Pa^.  e  Piac.  Vòmere.  -Mas- 
setta.  Mani.  Ferro  simile  alla  man- 
naja,  col  quale  si  taglia  il  fieno 
sulla  tettoja. 

Mazzòn.  Piac.  Romano,  marchio  del- 
la stadera. 

Matarèl.  Fer.  -  Batarèll.  Éjomb. 
Bacchio. 

Meda.  Piac.,  Lomb.  e  Bom.  ^Mieda. 
Fer.  Catasta,  mucchio.  Dicesi  delle 
legna,  -  M de.  Bom.  accatastare. 

Mena.  Fer.  Allora,  in  quell'istante. 

Mésa,  msòtta.  Piac.  Màdia. 

Wésero.  Piac.  e  Sien.  Velo  o  panno- 
lino, onde  s^  acconciano  il  capo  le 
donne. 

Micatlàr.  Boi.  Indugiare,  tirare  in 
lungo. 

Milo.  AVfC. -Milord,  smilordòn. 


570 


PARTB  SfiCOIfOA. 


Lomb.^L.  Col uber  milo. -MIO. 
Parm.  Biscia,  serpe.  -  Miotèin. 
Clriuola,  pìccola  anguilla. 

BI  i  ò  t.  Rom,  Tèmolo ,  pesce  marino.  - 
L,  Salmo  thymallus. 

Misàn.  fìom.  Scioperone. 

Mfscèl.  Mod,  Gomìtolo.  •  Mil»  Re- 
missèl.  K.  Gemb. 

Missirà.  Rom,  Giuntane,  fraudare. 

M  i  s  t  a  d  è  1 1.  Piac,  Tabemacoletto  , 
cappella. -Majstaditt.  Mil.  Imà- 
gini  di  santi,  figure  sacre. 

Mlzzè.  Bom,  Brancicare,  mantrug- 
giare,  stazionare.  •  RI  i  z  z  ò  n.  Bran- 
cicatore. 

Mléna.  tìeg,  »  Mlèina.  Parm,  Lin- 
gua. Fungo  che  nasce  ne^  pedali  e 
ne'  tronchi  degli  àlberi. 

Mlicàt.  Fer,  KconL  Sofistico,  fasti- 
dioso; anche  lento,  pigro. 

Mlòsc.  Piac,  Gorgoglione.  Insetto. 

Mlum.  Boi,  Pioggia  adusta  in  tempo 
esttvo.-Afo(i.  Golpe,  volpe.-KV  1  u  m. 

Mnaca.  Boi.  Volpone,  finto  sémplice. 

Mnacia.  Bom,  Corvo. -1.  Corvus 
frugilegus. 

Mnadura.  Fer,  Congiuntura  delle 
membra. 

H^nèin.  Boi,  e  Beq,  Vezzeggiativo  di 
gatto. 

Moca.  Piac,  e  L()//i6.  Smorfia.  -  Fa  la 
m  oc  a.  Far  le  fiche.  -  M  o  e  a.  7fi  Fer, 
vale  uncìie  per  Danaro,  danaroso. 

Mocciglia,  mucciglia.  Beg,  - 
Zàino.  Baule. -A^^.  M  uzze  glia. 

Moff.  Bom.  Pàllido.  Dicai  d'uomo, 
V,  Mufarlèn. 

M  0 1.  Mani,  e  Crem.  -  M  i  o  1 1  ò  n.  Piac, 
Cornòcchio;  torso  sgranato  del  gra- 
no turco.  -  K.  Tóto  e  Gandòi. 

Mòliz.  Parm,  Semplice,  modesto. 

Molséna.  Beg,  -  Mozina.  Lomb.  - 
Grùzzolo.  Sai  vadanajo.  A^.M  a  g  h  è  1 1. 

Monàtt.  Piac,  Becchino. 

3!  0  n  d  ò  i  t.  IHac.  Porcino.  Fungo  man- 
gereccio. -£,.  Boletus  eduli s. 


M  ó  r  a  b  ù  t.  Bom.  Pieebio  miiratilre.  •> 
L,  Sitta  europaea. 

.H  0 r  g  n  ò  n.  A'ae.  Mucebio  d'un  de- 
tcrminato nùmero  di  covodì.  •  y. 
Maragna.  -  Mòrgnòo.  Reg.^at» 
bone,  lumacone.  *  In  Parm,  ngni' 
fica  Cércine,  paracadute  pei  bim- 
bi; for$e  da  Morione? 

Morseli.  Beg.  Ròtolo. 

Mota.  Piac,  Fango, poltiglia. -Mola- 
re in  t.  Fangoso. 

M  ò  u  r  I  ò  n.  Af<id.  Pinolo. 

Mrell.  Bom,  Aquerello,  vinello»  vino 
assai  inaquato. 

M  t  e  z  z  a.  Bom,  Divelto,  scasso.  Terra 
profondamente  lavorala,  in  cui  le 
radici  delle  piante  penetrano  aisai 
meglio. 

Muè.  Boi.  Cheto,  quatto,  mògio. - 
Beg,  e  f^er.  Zitto! 

M  u  f.  Mod,  Broncio. 

Mufarlèn.  Bom.  Pallidetlo.  -  f. 
Moff. 

Mugnàc.  Bom,  Toppo;  peno  di  pe- 
dale d'albero,  o  legno  grosso  ed 
informe. 

Muladùr.  Bum,  Luogo  ove  i  concia.- 
tori  tengono  le  pelli  in  concia. 

M  u  m  i  è  r.  Beg.  -  M  u  m  i  à  r.  fW*.  ìk^^ 
secchiare ,  deutecchiare. 

M  u  n  d  u  r  a.  Fer.  Molenda  ;  pagameo.^^ 
che  si  dà  in  farina  al  mugm^o. 

Murèl.  Fer.  Rocchio,  pezzo. 

Murgàj.  Boi,  Moccicaja. •  Afii.  Ma  ^^' 
gàj. 

Muss,  mussa.  Fer,  Asino,  àsin^^ 
miccio,  miccia.  -  Figwr,  Vhlai^^ 
cbezza. 

Mussa.  Piac,,  Lomb,  e  Pitm. 
meggiarc.  - />.  Mousser. 

Mussi,  lussi.  Piac,  Pigolare ,  pl^ 
gnucolare.  -  it/ii.  L ùccia.  -  ^ 
Lugere? 

Mùtarja.y?om. -Mùtria, m ùteri  ^^ 
Gen,  Muso,  cipiglio. 

Mutèn.  Bom.  Beccaccino  reale,  fr» 


Dl.VLblTI    EMILI.4?II. 


871 


Uno;  uccello  palaslre,-  L  Scolo- 

pix  gallinula. 
ìfiif zeglia.  Boi,  e  Hom,  Zkìiìo,  va 

ligia. -K.  Bfocclglia. 
Mien.  itom,  Slajo. 


W 


Nadeccia.  Hom,  Ellèboro  nero.  •  L. 

Helleborus  niger.  •  Lo  $tes8o 

nome  $idà  pure  a/m  elleboro  s 

vf  ridia, hlemalls,  edalCheìì- 

donium  majus. 
Katta.  Boi,  Burla,  beffa. 
Ifavès.  Botn,  Fare  air  altalena. 
Nebiàzz.  Fer,  Ébulo,  erba. 
Il  e  e   Piae,  Sdegnato ,  Incollerito.  - 

Affi.  Gnèc.  Svogliato,  triste. 
Necléoza.  Beg,  Fame,  miseria. 
Uè  in.  Piae,  Nido. 
Kevla.  /?€|flf.  e  Arnif.  -  Névola.  Fer. 

Ostia,  cialda. 
N  è  z  z.  Boi,  -  N  i  z  z.  Parm,  e  LonUt.  Li- 
vido, mezzo.-  Mzzir.  Avvizzire. 
Nibbi.  Piae,  Sùghero.-/..  Qoercus 

saber. 
K  i  e  I  i  z  i  a.  Parm.  Dappocàggine.  Pare 

/II.  Ni  hit  iOitantipato, 
Kinèin.  Boi.  Porco,  majale. 
Nispiilè.  Accecare.  K.  Lispulè. 
NIspulena.  Bom, Sninfla ,  donna  af* 

Iettata,  o  aflTettatamente  attillala. 
Ritta.  Piae.  Limo,  melma  deposta 

da^  fiumi. 
Mód rigar.  Prtrm.  e  /'me.  AsI èrgerò, 

nettare ,  ripulire.  •  Mfl.  IN  ii  d  r  1  g  à. 
K5vla.  PtrcKT.  Pannocchia;  spiga  del 

grano  tnrco.  F,  G\ò v a. 
Kugul.  Fer,  Piuolo. 


O 


Or  cella.  Beg.  Sempreviva;  inalila 
che  pf gela  sui  letti,  -  £.  Semper- 
vivum. 

f>rta.  Piae,  Sagaci  là,  perspicacia. 


Orza.  Bom.  Brocca ,  mezzina ,  òrciao> 
\o,*Jlift.  Orzd.  •  L.  O'reeolus. 

09Vì,Porm,  -  Osdèi.  Piae.  -  Usa- 
dèi.  Mil.  Utensili,  masserizie.  F, 
Usvèl. 


Paciana.  ilfod.  Botta. 

Padì.  Beg,  e  /^.  Digerito,  digosto 
(aggiunlo  a  dbo).  •  Conietto,  ricot- 
to {aggiunto  a  terreno  oietaàie). 

Pad  ir.  Digerire,  stagionare.  Fi  Pai- 
dìr. 

Padól.  Bom.  Fràddo. •  K  Padì. 

Pad  se  in.  Piace  fVirm.  Lobo  dell  V 
reccliio. 

Padùm.  Parm,  e  Piae,  Quieto,  tran- 
quillo. -  Padùm.  Feri  Soggetto; 
sottomesso.  -  Métter  a  padòm. 
Acquetare,  cavare  il  ruzzo.  -  MiL 
Padimà. 

Pag  èst.  Bom.  Scenario. 

Pa  i  d  i  r.  Parm,  Smaltire,  digerire, in- 
cuòcere. -  Fen,  Pai  r.  DieesidelVu- 
briachezza  e  simili. 

Pajarèzz.  Bom,  Zìgolo  giallo.  «  /*. 
Emberiza  citrinella. 

Pajin,  pajnareja.  Bom,  Zerbino, 
vagheggino.  Zerbinerìa. 

Painàg.  Parm,  Villano,  rozzo. 

Pajòl.  Mod,  elogila. 

Pajolà.  Piae,  -  Pajlèda.  ileg.  Puèr- 
pera ,  impagliata.-  ^/i(.  Pajora. 
Puèrpera. 

Palandrona.  Fer.  Guarnacca; 

Pai  astra.  Bom.  Chiazza,  efèlide. 
Larga  macchia  che  viene  in  pelle 
per  troppo  calore. 

Palerà.  Piae.  Specie  di  càrice.  L, 
Carix  major. 

Paliròn.  Bom,  Acoro  falbo  ;  piatela, 
L.  Iris  pscud-acorus. 

Palurì.  Bom,  Imporrare. 

Pampe gna.  Boi.,  Parm,  e  Moèit.-  L. 
Scarabeus  meloloulha. 


n  à 


S79 

Panar.  Fer,  Incidere. 
PanarÒB.JIfanl.  e/Vac-Pasaròtl. 

Airm. Blatta,  iMàttola.- 1.  piatta 

orienlalis.  y.  Bnrdigòn. 
Pane.  ErniL  e  Lomb.  Lenl^giai. 
Panerà^  panìra.  Bul.eReg.  Màdia. 
Panna.  Gen.  Crema;  fior  di  latte. 
Pancnc.  Fer.  Galla. 
Panlziòn.  Hom,  Pentolone;  uomo 

gratsoeehe  difficilmente  si  moove. 
Panò.  Heg,  e  Fer.  Riquadratura. 
Panllón.  Beg.  Ansamento.  -  Pan- 

tegàr.  f^en.  Ansare. 
Papi.  Bom,  Consòlida  tuberosa.  •  L, 

Symphytum  tuberosum. 
Paragàlul.  Bom,  Lazzcruolo  di  bo* 

sco;  ciavardello.  -  L.  Cratoegus 

lorminalis. 
Pareaniuva.  /tom.  Cantafera,  can- 
tilena. 
Pardghir.  Bom,  Aratro.  -  Perga. 

Ago,  freccia,  stiva  dell'aratro. 
P ardir.  Bom.  Braviere;  strillozzo; 

uaello  di  pasio,  -  L.  Em  beri  za 

minarla. 
Parèin.  Parm.  Capannuccia. 
Parfil.  Piae.  Tralcio  di  vite. 
Pargàtt.  Bom.  Gabbiano  reale.  -  L. 

Larus  marinus. 
Paro.  Piac.  -  Paról.    fìeg,  e  fer. 


PARTE  SECONDA. 

Patòc.  Emil.^  LoiiUt.  e  Fcen,  FràcMio. 
Pa  tur  ni  a.  Gen.  Malinoonia«  noja, 
Patzòn.  Piac.  Ginestra.  -  L,  8par* 

tium  junceum. 
Pavana,  fìom.  Bazza,  mento  alloa» 

gato.-ilf/7.  Baslèta,  geppa. 
Pavaréna./?f(7.-Pavarèina./VAC» 

P  a  V  a  r  i  n  a.  Te/*.  Centonchio.  -  L, 

Aisine  media.    -    Pavarena. 

Bom.  iignifica  Laluca. 
Pavira.  Bom.  -  Pavira,  pavèra. 

Boi.  e  Beg.  Alga;  specie  di  carice 

onde  s' intèssono  le  sèdie.  •  L.  Ca- 

rex  muricata. 
Pazzètt.  Bum.  Alzavola,  beocallco 

di  palude.-  JL  Anas  crocea. 
Poca..  Airm.  e  Beg.  Scaglione»  sca* 

lino. 
Peccar.  Mani.  -  Pècber.  Pu»,  9 

Bcg.  -  Peccherò.  Bicchlero  grande.* 

Ted.  Uecher. 
Peccia.  Boi.  lUaccbia. 
Poggia.  Boi.  Svazzo.  •  L,  Colym« 

bus  crislatus. 
Pèin.  Boi.  Fanciulla.- Pipe In^  Fan^ 

clullino.  -  Mil.  P  i  n  i  n  per  fanciul- 

lino  e  piccino. 
Pentcgùn.  Boni.  Allargalojo;  $4ro^ 

mento  per  allargar  i  òmhi  di  pim 

grossezze. 


Caldajo.  -  Parlotta.  Beg.  Calde-  Peoden.  Afod.  Pizzi,  favoriti, 
mola.  -Parlitena.  Bom.  Calderot- j  PercànteL  Beg.  Cavilli,  softsticlierie. 

Perori.  Piac.  Villanie,  ingiitrl^  -ò'pr 


Perrerla. 
Pessacàn.  Bom.  Taràssaco,  dente  di 
leone.  -  L.  Leontodon  taraxa- 
cum.  'Boi,  Pessatètt.*Fr.  Pis» 
senlit.  Omonomia  rimarckéwle .* 


tino,  pajoolo. 
Parsarèn.  F.   Coni.   Bom.  Campi- 
cello. 
Pastanè.  Piae.  Dissodare,  rompere 

Il  terreno. 
Pataja.  Piac.  e  Mani.  Camicia. -^eflr. 

Lembo^parte  inferiore  della  camicia.  Pés.  3/an/. -Pesafèrr.  i^iae4  Cervo 
Patàn.  Bom,  Uomo  a  pigione,  cer-     volante.  -Z.  Lucanus  cervus.* 

vellone.  K.  Cornabò. 

Patarlòn.  Piac.  Bozzacchiuto,  gros-  Pessondà.  Piac.  Sobillare,  suscita* 

solano.  re.  -  L.  Possumdare? 

Patèl.  Parm.  Parapiglia,  baccano.     Pett.   Bom.  Vigliatura,  semènzolo. 
Paterlcnga.   Fer.  Còccola  di  rovo     Specie  di  mondiglia  0  nettatura  di 

canino.  -  è\»rm.  P  a  1 1  e  n  g  a.  frumento. 


DiALfrrri  EmuA:ii. 


275 


Piadanazza.  /^om.  Farfara ,  lussila- 
gioe.  -  L.  Tassilago  farfara. 

Piada  Della.  liom.  Favagello.  -  L, 
Ranunculus  ficaria. 

Piadaana.  Barn.  Fegatella ,  erba  trl- 
Dltas.  •£.  Anemone  hepatlca. 

Piadèn,  pladena.  Bum,  Focaccia , 
focaeciuola. 

Pladàtt  ifoiN.  Nome  cbe  si  dà  al 
pane  di  farina  di  formentone. 

Piagna,  ilrg.  Lastra;  pietra  da  co- 
prire I  tetti.-  ÉMmò.  Pi  od  a. 

Pia  dura,  ihm.  Capestro  per  anima- 
li, apeciahnente  bovini. 

Piar. Parm.  Accèndere,  f.  I m p i à r. 

Piar  da.  Gen,  Riva  bassa  dei  fiumi  ai 
pie  degli  àrgini.  -  K.  Golena. 

Pie.  Piae»  Tènero,  molle. 

Vìcetì,  Beg,  Lentiggini;  macchie 
delta  cute.  f^.  Pane,  Spé£. 

Pidrla.  AiP.  -  Pirla.  Pùic.  -  Peve- 
ra. -  Pidrlo,  piriò.  Loinb.  Im- 
buto. -  f^.  Bvina,  Lèdra. 

Pie.  Bom,  Focaccia,  scb lacciaia. 

Pi  ella.  Parm,  e  Beg,  Abete. 

Pi  gal.  Farm*  Pannocchia;  spiga  della 
saggina,  del  miglio,  dei  pànico  e 
simili. 

Pighèl.  Beg,  Lucìgnolo. 

Pigne.  Barn.  Tarchiato. 

Pignòn.  Bom.  Gregna,  bica. 

Pilula.  Bom,  Mazzocchio,  cignone; 
capelli  delle  donne  o  de'  fanciulli 
legati  tutti  Insieme  in  un  mazzo. 
^indaoa.  PUtc,  Tettoia  iu  campagna 

per  ricòvefo  del  bestiame. 
>*inià.  Piac,  Rannicchiato,  raggrup- 
pato. 
Pinza.  Ftr,  Focaccia.  - 1\  Pie. 
Piò.  Boi,,  Parm.  e  3falt^  Coltro,  vò- 
mere ad  un  taglio.- /^fi<&.  Aratro. - 
Pi  od.  /tog.  Aratro.  -  A,  S,^  Sv,  ed 
/si.  Plog.  -  Ted,  Pflug.  -  Ingl. 
Plough  (leggi  Piò). 

Piòc.  Bom*  V,  coni.  Pollo,  pollastro. 

Pioca.  Friggibuchi  ;  certo  /iom.  ram- 


marichio che  sògUono  fare  le  per- 
sone infermicele. 

Pi  ola.  Fer.  Lezia,  smorfia. 

Piòta.  BoL  e  Mani»  Zolla,  gleba. 

P  i  r àr.  Fer.  Difficoltare. 

P  i  r  1  e  1  ò.  Fer,  Gallozza ,  bollo. 

Pirla.  Gen,  Girare,  rotare.  -  Pi  r  u- 
Ictta.  Bom,  Ciurlo.-  Pirla.  Fbr^ 
Mucchio. 

P  i  s  i  n  e  n  a.  Bom,  Gallinella. 

Pisol,  pislèin.GiYi.Sonnetto.- Pi- 
sola, pislèrs.  Sonnecchiare. 

Pi  ss  ir  a.  Bom,  Pettégola.  Forse  (Ut 
Pescivèndola. 

Pi  Stein.  Piac,  Forno  ove  si  cuoce  il 
pane.-Pistinàr.  P/ac.-P restine. 
Mil,'  Pislór.  Fer,  Foraajo.  -  t. 
Pistor. 

Pistòn.  Gen.  Fiasco,  vaso  di  vetro. 

Plta.  Piac.  Manipolo  di  lana  cardata 
da  filare. 

Pi  tane  Ila.  Bom,  Sterpazzolina;  ucr 
celMlo  che  abita  le  siepi.  -  L,  Sy  I- 
via  leucopogon. 

Pitàr. /2om.  e  Fen.  Vettlna,  acetà- 
bolo; vaso  di  terra. 

P  i  t  a r a  n.  Bom.  Pettirosso.  -  £.  Sy I- 
vla  rubecula. 

Pi  tèi  n.  Piac,  Bucciuolo;  cannello  di 
corteccia  verde  per  innestare. 

P  i t m a.  Beg.  e  Mani.  -  P é t m a.  Boi- 
Pi  t  i m  a.  Fer.  Uomo  cavilloso,  schi- 
filtoso, fiemmàtico. 

Pizz.  Parm.  Punta,  estremità. 

Pizzàcara.  ^o/.  e /^cf/.-Pizzacra. 
Parm,  e  Mod.  -  Pzàcara.  Bom, 
Beccaccia,  acceggla.  -  £.  S  e  o  I  o  p  ax 
rusticoia.  -  Pizzacarcn.  Bec- 
caccino sordo,  frullino. -i!«.  Scolo- 
pax  gallinula.  -  Pizzacaròn. 
Beccaccino  maggiore.  -  £.  Scoio- 
pax.  Major. -Pizzacaròt  t.  Bec- 
caccino, y.  Sgneppa. 

P  i  z  z  è  r.  Beg.  e  Mod.  -  P  ì  z  i  a  r.  Parm . 
Beccare,  piluccare.  -  P  i  z  z  e  d  a.  Im- 
beccata. 


27» 


PARTE  SECO.XDA. 


Pizzèr.  liom,  Blgherajo. 

P 1  a  d  ó  r.  Bcg.  -  P 1  a  d  ii  r.  Fer.  Cf calìo, 
fracasso. 

Plein,  /ieg.  Gallinaccio,  tacchino. 

Plèlt.  Boi.  e  3fanf.  Litigio,  contesa.- 
fV.  Plalde. 

Plent.  fysr.  Ardente,  pungente. 

P I  !  n .  fer.  Ugola. 

Plioa.  Mant,  Rastrello  grande  e  flt- 
to.  -  P 1  i  n  à  r.  Rastrellare. 

PIÒ.  Bom.  Broda;  il  superfluo  della 
minestra  che  levasi  davanti  a  co- 
loro che  r  hanno  mangiata. 

PIòn.  Bom,  Viluppo  (Dicevi  di  mate- 
He  filate). 

Plot.  Fer.  Ramo  (  Pìcexi  pg  di  pazzia). 

PI  une.  Boi,  Bosco  céduo. 

Poccla.  Parm.j  l'iac.  e  f  cn,  -  Puc- 
clàr.  /Ifr. -Puccià.  MiL  Intìn- 
gere. 

Podèin.  Piac.  Capinero  {uccello). 

Po  Jan.  Parm.  Affaccendato,  giròva- 
go.-Pojanar.  Andar  girone.  Tra- 
sluto  fone  da  Pojana,  uccello  di 
rapina  che  s*  aggira  intorno  alla 
preda? 

Pòlag.  Piac.  e  Airoi.-Pòlcg.  Beg.- 
Pòles.  Afil.  Càrdine,  perno. 

P  0  f  é  z  z  a.  Beg.  Spicchio  (  Dicesi  dei- 
Vaglio). 

Polga.  Parm.  Pollone. 

Poligàn,  poligana.  Gen.  Soppiat- 
tone, sorbone.  f^.  Pojàn. 

Poi  là s  ter.  Beg.  Manella;  parte  del 
covone. 

Pois.  Bol.-Vhìsa.  /7oi)i. Bilico; perno. 

Póndga.  Boi.,  Beg.,,  Parm.c  AfanL- 
Pòfìdcg.  Mod.  Sorcio.  -  L.  Pon- 
ti cu  m  mns. 

Ponga.  Piac.  e  Loinb,  Esca,  formala 
dal  Bolelus   fomctarius. 

Porg.  Boììì.  Confetto  (lytcesi  terre- 
no confetto  quello  cìie  è  ben  collo 
0  dui  sole  0  dai  ghiacci). 

Postrign.  Pann.  Garbuglio. 

Potign.  /Vtfc.  Tenero,  molle. 


Po  t  i  ò  n.  Parm,  e  liae.  Ciar|ioiM,  goa- 
stamestierl.  -Pollar.  Acciabbtt- 
tare,  pottinicciare. 

Potlà.  Piac.  Piagnocofare. 

Pradacùl.  Bom.  Pruno  gaikerìno. -^ 
L.  Mespilus  pyraeanlha.  - 
Lorna.  GratacS. 

Pradaròl.  /?of)i.Muttoniere.-Pradfa. 
Mattoncello.  -Pradulena. PI etr*- 
lìna.  Da  Pietra? 

Pré.  Bom,  Mattone.  -  KPradnròl. 

P  r  é  i  1.  Bom.  Roteamento. 

Prólla.  Bom.  Mucchio,  stipa  (Getie-' 
raliuenle  diceti  di  fauci  di  cànapa 
a  foggia  di  piràmide). 

Prcsòt.  Mani,  Porca.  -  f.  Prdsa. 

Prllc.  Bom.  Rotare,  gfrjre.  -  Pri- 
lón.  Girlo;  tròttola.  -  Aforf.  Pri- 
lòn-  Mil,  Birlà,  blrlo.-Prll- 
làr,  prillcr.  Boi.,  Beg,  e  F^.  - 
P  r  i  I  è  1 1.  Fer.  Blulinello  per  conó- 
scere la  direzione  del  \'«nlo^  usato 
dai  villici. 

Prolg.  /?om.  Friggibuchi.  -  F.  Pio- 
ca.  -  P  r  u  1  g  h  e.  Rammaricarsi,  la- 
mentarsi. 

Prosa,  proso.  Aip.,  Punii,  e  IVoc. 
Ajuola,  porca.  -  Prosa.  Imporeare^ 
fare  i  solchi.  F.  Presòt 

P  r ò  zz.  Bom.  Zòtico ,  zoticone. 

Psacói.  Bom.  Molinme.  -  Psacnjè. 
Diguazzare.-  Psacnjòn.  Imbratta— 
mondi  e  guastamestieri.  ' 

P  s  è  i  r.  Boi.  e  Bcg.  -  P  s è.  Barn.  Potere^* 

P  t  à.   Piac.  -  P  t  è  r.  Beg.  Appoggiare  ^> 
applicare.  -  Fen,  Petàr. 

Piazze.  Bom.  L^aqua  raecolta   per* 
far  macinare  a"*  mulini. 

Ptòn.   Piac.  Beniamino;   pfedllett 
{dicesi  di  figlio). 

Pua.  Pai-m.  Ubriachezza.  -  K.  Pura 

Pudalèn  gròss.  /^om.  Cincia, cin^- 
ciallegra   maggiore.    -  A.   Paru^ 
major.  -  .i/il.  Parascldla. 

Pudalcn  mzan.  Bom.  Monachina.- 
L,  Parus  cterulens. 


OULETTl  BMIUANI. 

Fuena.  i?^!;.  -  Puveiia. /^om.-Pui- 
ni.  f^'cr»  RicoUa. 

PttidU.  Boi.  Pipila.  -  MìL  Paida. 

Puigula.  tìol.  Cinciallegra.-  L.  Pa- 
rat  iD«Jor«  y,  Pudalèn. 

Puligè.  Bom,  Dormire. 

PulsèlL  Piac,  Scàpolo,  pulcello. 

Papi  a.  Fur,  Papavero. 

Puretta.  Jkm,  Ornitògalo.  Latte  di 
gallioa.-/..  Ornithogaluni  uni* 
beltalam. 

Purzana.  Bom,  Gallinella. - £.  R al- 
ias aquatieus.  -  Purzanòn. 
SchiriMUa.  Gallinella  palustre.  - 1. 
Rallos  pasillu».  -  Purzanòn. 
Sciabica. -i^  Rallus  chloropas. 

Parznacia.  Bom,  Portulaca.  -  L, 
Porlnlaea  oLeracea. 


37» 


R 


^1 


Rabàc.  Botti.  -  Rabò^  Piac,  -  Ra- 
bótt.  LoitUf,  Rabacchio,  marmoc- 
chio,  bricconcello. 

R  a  b  i  è  1. /}om.  Mazzuolo  da  terra.  Quel- 
lo con  che  si  schiàccian  le  zolle.  - 
Rabièl  da  fòran.  Rastrello. 

Rabièlla.  fiom.  Saliscendo.  •  Ra- 
bióL  ^oUolino.-l^.  Ma  riatta. 

R  a  b  u  r  è.  Bonu  Abbujare.  f^.  B  u  r. 

Racca.  Piac,  Vinaccia.-  Racchètt 
Àcino.  Di  qui  fone  deriva  la  9oce 
Mil,  Raccagna  per  aquatile. 

R  a  e  i  u  m  d  è.  Bom»  Compitare. 

R  a  g  a  g  n  è,  Bom.  Piatire,  contènderà. 

Ragajèra.  Beg.  Raucèdine. 

Ragajòn  d*car.  Bom.  Arganello  di 


Pa  te  a  le  1 1  a.  Bom»  Ciuqoefoglio,  fra- 


goiaria.  -  L,  Potentina  rep- 
tana. 
Potèas.  Bom.  Sacciuto,  saputello.  • 
Potèssa.  Sapulona,  cinguettiera.- 
Putisse.  Salamistrare,  far  il  sac- 
cente. 

pQva.  Beg.  Ul>briachezza.  1^.  Pua. 

Piancùl.    Bom,  Ballerino.    Còccola 
rossa  che  fa  II  rosajo  o  rovo  canino. 

^zètt.  Bom.  Fogna. -Al  Pozzetto? 

^zez.  Bom.  Cispa. 

i^zón.  Fer.  e  Bom.  Cannicelo. 


Qua  e.  Pav.  Airone  cenericcio.  •  Bmn. 

significa  Covacelo. 
Q  u  a  r  z  ò  1  a.  Bom'.  Specie  d'uva  bianca 

di  gràppolo  assai  raro  e  Matricale 

della  Cbiiia.-X..  C  h  r  y  s  a  n  t  h  e  m  u  m 

indicum. 
^ariòn.  J^oin.  Capitozza.  Quercia 

scapezzata. 
Quatta.  Piac.  e  lomb.  •  Quaccèr. 

Beg»  Coprire. 
Quéi.  Bom.  Alveare;  coviglio. 
Qaignè.  K.  QmL  Bom.  Bisognare , 

èsser  mestieri.  -  P'en.  Cognàr. 


carro. 


Raganella.  Bom.  Elee.  -  L.  Quer- 
cus  ilex. 

Ragion.  Bom.  Tordella.-/..  Turdus 
viscivorus. 

Ragn.  Bom.  Anigella.-I.  Mg  ella 
damascena. 

Ragn.  Beg.  Ragghio,  raglio.  -  Ra- 
gne r.  Ragghiare. 

Ragna.  Bom.  Fuoco ^  per  Discordia o 
mal  ànimo. -Rag né,  esser  in  ra- 
gna. Non  avere  la  pace  in  casa. 

Ramazzcda.  ftom,  Rammanziua , 
rabuffo. 

Rambèll  (de).  Bom,  Dar  la  bertay 
apporre  qualche  difetto  ad  alcuno. 

Ràmed.  Beg.  Chioccio^  mesto. 

Raméng.  Beg.  Randello,  bastone. 

R  a  ra  z  ò  t.  Fer.  Cruschello,  f^.  R  o  m  I  a. 

Rane.  Bom,  Arcato. 

Rand,  randa.  Bom*  Sesto  delle  vòl- 
te e  degli  archi. 

Rangià,  raugiòr,  rangè.  Gen. 
Accommodare,  rassettare.  -  Fr, 
Ranger. 

Rangiòn.  Fer.  Sterpo. -iK.  Raza. 

Rangòl.  Parm.  Ramarro.-  f^.  Al- 
guor,  ligÓr  e  rìgol. 


278 


PARTE  SIUCOSBK, 


Rangogiitìi,  rangognèr.  Loinb.  ed 
Emil.  Brontolare.  borboMarc. 

Ranzaja.  Parm,  e  Piac,  Bazzècola, 
rlurasugiio. 

Ranzgnàr.  Parm.  e  Piac.-  Ranzi- 
gkiàr.  P'er,  Arroncigliare,  raggrin- 
zare. 

Ranzòn.  (uM.  fiom,  Impolmlnate. 

Rapi.  Piac,  e  tornò.  Grinzo, rugoso. 

R  a  pa  r  è  n./7oiii.Rampicchlno;a{;9^tiii* 
io  di  alcune  pian  te  che  arrampicano, 

R)ì8.  Pfotf.- Rasoi.  MiL  Magliuolo; 
sermento  di  vite. 

Rasa,  rasèr.  Gen,  Rabl>oeeare;  em- 
pire un  Taso  fino  alla  l>occa. 

Raganèfll.  fVoc. Splceblo  (d'tm  gràp^ 
polo). 

Ra8((.  Nùc.  Ratto.  {Dicesi  di  quella 
porle  del  lello  d*un  fiume,  dov^è  pc- 
ehi$$inia  aqua  e  molla  corrente). 

Rasp.  Piac.  Rùvido,  scabro,  aspro. 

Ras  pei  n.  Piac.  Colofonia,  pece  greca. 

Rassada.  Fer.  e  Lomb.  Sgridata. 

Rata.  Rom.  e  ^Vr.  Erta. 

Rattavola.  Pav.  -  Rattavolòira. 
Piem.  Pipistrello.-  Prov.  R  a  t  a  pe  n- 
nada. 

Rivàgn.  Piac.  e  Beg.  Vernio  (  Agg. 
di  Uno). 

Havijàr.  Boi,  Scassare,  vangare  il 
terreno. 

R  a  volò.  Piac.  Ciarpame. 

Raza.  Mant.^  Piac.,  Parm.  e  Beg. 
Rovo. -£.  Rnbus  fructicosuso 
i  d ae u  s.  -  R  a  Zè r.  Spineto,  roveto. 

Razd6r,  rezdór.  Piac.  e  Beg.  Capo 
di  casa,  reggitore.  -  Mil.  Reió. 

Razèr  de  f  iom.  Bom.  Greto,  renajo. 
terreno  ghlajoso  e  pieno  di  sassi 
fuor  del  letto  del  Rome. 

Razza.  Beg,  Scrofa,  troja. 

Razze.  Bom.  Raschiare. 

Réba.  Bom,  Bullmo.  Specie  di  fame 
cosi  grande  che  è  malattia. 

Rebsa.  Boi.  Nulla,  nessuna  cosa. 

Règan.  Bom.  A  varacelo. 


Reglétt.  Beg.'  hùgleìi.  Pime.  dee 

chic,  adunanza  di  persone  In  twig) 

pùbiico. 
Ré  la.  Parm.  Stia,  capponila. 
Rclla(mnèr  U).  Bom, MenàMiVt 

gresto,  dondotarai. 
Rèmel,  romei.  Boi.  e  Beg,  ^  %è 

ni  u  I.  Bom,  Sémola,  cmca.  -  Bè 

m  u  I.  iM  Bom,  significa  anche  Lan 

tiggine.  -    Remzòl^     reail^ftt 

Afod.  Cruschello.  -  #^.   R 6 ni  la 

Ramzòl. 
Reni.  Bom, Scardiocionc^ barìMi 9» 

tlle;  spedite  di  eardo.  •  L*  flient/* 

mas  hispanicna. 
Rèpeg.  Beg.  Incubo,  aoffaeanieBlo. 
Resta.  Piac,  Pèttine  da  leaaitora.^ 
R  e  z.  Piac,  Quello  spazio  che  ala  dia- 

nanzl  alla  facciata  della  ehieaa.   - 
Rezza.  Bom.  Spago. 
Ribiola.  Piac.'  Robiòl.  Bofh^tìt 

bidla.  Airm.  •  Robl6l.  Brian,' 

Cacio  caprino. 
Rigol.  Parm,  Ramarro. -f".  Llgér. 

àlguor,  rangòl. 
Rlngussàr.  Boi,  Intonacare  le  w» 

raglie. 
Ri  ozi  nel  la.  Bom,  'Gattoecio;  aorta 

di  sega  a  mano;  eollello  n  aega. 
Risia.  I*iac.  e  Lomb.  Utignre,  allc^ 

care. 
R  i  V  i  a.  Pioc.  -  R  i  v  i.  Iom6.  Scotolai» 

ra,  lisca. 
Riviòlt.  Piac.  Pisello.  -  £.  Piaan 

sativum. -^''.RvviònfRoifdèa 
Rizzai.  Bom.  Aocollellaio.  Lavoro  di 

mattoni  messi  per  coltello. 
Rò.  Bom,  Anda.  Poee  onéeé*  imeiitm 

t  buoi  a  lavorare. 
Rodsa.  /'/oc.  •Rosaria.-»  I^ar.  M0> 

velia,  fandonia.  -  f^.  Arvsàri& 
Rófia.  Bom.  -  Rufla.  Fer,  -  Rafn 

^er.  Fórfora.  K.  Sgaramufla. 
Rota.  Boi.  Tegghia. 
Rolla,  /br.  Focolare. 
Roméint.  Piac.  Tritarne,  pula  di  He- 


no.  -  £.  Ramenluin.  -  Ltn,  Ba- 

mùnza.  Rumlént.. 
Roilifa.  Rom,  Rómice  salvatlca,  ace- 
tosa maggiore.-£.R umex  acuto s. 
Rómla.  Pimc,  -Romei.  Reg.  -  Rè- 
mo 1.  AiriN.    Crusca,    sémola.    - 

Rònitòl.  Cruschello,   tritello.    - 

y,  Rèmel  e  Ramzòf. 
Roml&tz.  Mie. -Remolàxc  Zom6. 

Ripano. -LRaphan US  sativus. 
Romnà.  Piace  JLomfr. -Rumnar. 

Barm.  Numerare,  contare. 
Rène.    Piae.   Terreno   dissodato.  • 

Rocca.  Dissodare.-  Rónc.  Lomb, 

tifflùflea  Collina  coltivata  a  poggio. 
Ronchètt.  Piac.  Radici  e  sterpi  da 

abbruciare. 
Ronfi,  rohfir.  Gen,  Russare. 
Rosa  pel  la.  Bom»  Risipola.  Questa 

9oee  romcignola  porge  spiegazione 

éelViUOiana. 
Roscb.  Re/m,  Soovfgiia,  spazzatura.- 

A#ff.  Ruf. 
Ròssol.  Hom.  Fragolino;  pesce  di 

mare  di  color  rosso  di  fragola.-  L 

Sparus  erytrynus. 
Rotta.  Bof.,  Parm,  e  Piem,  Strada.  - 

Fr.  Route. 
Ròvdèa.  Afod.  Piselli.  K  Riviòtt. 
Rozz,  rozz.  Gen,  Penzolo,  fascio  di 

rami  con  frutta  appese. 
Hubèga.  Moé.  Harame,  sceltume. 
Rùd,  rud.  Gen,  Letame,  pattume. 
Rada,  rudèr.Letamare.-r.Rosch, 

rusc. 
Ru ffa.  Beg,  Malpiglio,  cipiglio. -  Mil, 

Rufàld.  Di  modi  sgarl>ati  e  un  tal 

poco  prepotenti. 
Huf  ì,  Bom,  Leppare.  Tògliere  di  na- 
scosto e  prestissimo. 
itaga.  Beg.,  Ver,  e  Bom,  Bruco  («pe- 


DIALErri  BHIUANI.  977 

Rum&r.  Per,  Grufolare. 

Rumdón  (seminar d^). /^r. Semi- 
nare a  sovescio. 

Rumghi.  Bom,  Mucido;  agg,  della 
carne,  quando  vicina  a  putrefalli 
manda  cattivo  odore. 

Rum  ma.  Boi,  Catargo,  Mucidume.- 
K.  Crécca. 

Rundèn.  Bom,  Cece,  baccellino. 

Rungión.  Boi,  Sprocco;  peziò  di  le- 
gna da  àrdere. 

Rusc.  Boi.,  Per.  e  Beg.  Spaithtara, 
pattume.-  Rusc  aja.  ilOffl.Tfittodò 
che  il  fiume  porta  a  galla  e  dopo* 
ne  sulla  riva.  Lavarono.  -  Rli aca- 
ro L  Boi.  e  Beff.  Paladino,  spaiiui'' 
turajo. 

Rùsca.  Bmii.  e  Lomb.  Cortéccia  d^ld- 
bero  macinata. 

Ruvighè. /tom.  Rasloiiare.«RttTÌ- 
gòtt  Corpiixdo,  càrico  di  basto- 
nate. 

Rùviòn.  Afan/.-Ruviòt.  Pàrm.  Fi« 
sello. •£.  Plsum8atlv«m.-ffer« 
Ruvià.  •  ^//.  terblón. 

Rdvzòl.  Bom,  Cruschello,  staccia- 
tura. 

Rùzzul.  Per.  Curro. 


Sa.  Per.  Abbastanza. •  I.  Sai. 

Sacarièda.  Bom.  Rraverìa,  smar- 
giasserìa. 

Sacussèr.  F^r,  Concussare. 

Sadòc.  Boi.  Floscio,  fiacco.-F. Loffi. 

Sagagni.  Parm. Malaticcio,  tristan- 
zuolo. 

Sagatè.  Bom,  Clarpare,  acciabatta- 
re. -Sagatòn.  Acciarpatore. 

Sagàtt.  Piac.  [Stormo,  subisso,  di- 
luvio. 


didmenie  della  verdura),  -  ^  E-  Sagattà,  sagattèr.  fW*.,  Piac.  e 


ruca. 
Rugàrs.  Per,  Spennarsi, 


Beg,  Trabalzare,  dibàttere,  dlme- 
nare.-Sagatar.  I^orm.  Brancicare. 


Rugnir.  Beg,MiT\re.  Proprio  de*  ea'  Sàgoma,  sagma.  Gen,  Fbrma,  mo^ 
^//.  '    dello.  -  Gr.  Sa g ma. 


378 


PARTE  SKUO.XUA. 


Sagrarne,  /ioin.  ArriìoUio,  Jgg,  che 
»i  dà  ai  mntloni  ripuliti  e  riqua- 
drati. 

S  a  g  r  ì  n  è  r.  Beg,  e  Piein.  Vessare,  1  ra- 
vagliare.  - /*>*.  Ch a g r i ne r. 

Sajòn.  Bom.  Sùcido. 

Sajugla  (Andar  in).  Fer.  Inuszo- 
lire. 

Saldòn.  ìiom,  Brania.  Pezzo  di  terra 

incolga. 
Sai  don  a    snst,    lìom,   Dicesl    della 

fènuDiiia  del  bestiame  cbe  va  alla 

.mpiiUi  e  npn  resta  pregna. 
8|i.loDa  (fò).  Rom,  Scialare,  ed  on- 

cAfpfosipare. 
Salvavèina.  Boi,  Pevera.  -  y,  Lo- 

dra,  pidria^  bvina. 
Sani.   Reg^   Sl>occato ,    manomesso. 

Scemo? 
Sa  atonie,  i^oifi.  Stècade;  tlgnàmi- 

oa«  Erba  tempre  verde  e  comune 

ne*  monti  àridi.-  L,  G  n  a  p  h  a  li  um 

stpechas. 
S  $  p  è.  Pv^.  Saliscendo.-^.  M  a  r  1  è  1 1  a. 
Saracca.  A'ac. -  Saracca.  Lomb. 

]le8temmia.-£o/.  Staffilata.  La  frase 


Sa V azza.  Hoc,  -  Savazzèr.  Beg,  - 
S  a  V  a  z  a  r.  Fer,  Diguazzarsi,  dibàt- 
tersi dei  liiiuorl  entro  vasi  mano- 
messi.-A^.  Stom.bazzcr. 

S  a  V  ó  r.  Piac.  Prezzémolo,  pelrosello.- 
A.  Apium  petroselinum. 

Savurezza.  Bom,  Santoreggia.  -  !.. 
Saturcja  hortensis. 

S  a  V  u  s  e  r.  Bcg.  Frugare  di  soppiatto. 

Sazz.  Parm,  Anitrotto. 

Sbablòn.  Fer.  Ciarlone. 

Sbac  (a).  Fer,  e  Lomb,  A  crepapelle. 

S  baca  rè.  Bom,  Sgh  ignazzare.- Sba- 
ca rè  da.  Scroscio  di  risa. 

Sbacciucar.  Fer.  •  Sbaciuchè. 
Bom,  Scampanare. 

Sbadàò.  Mani,  Spiràglio. -S bade. 
Bom,  Sfiatare.  Passar  Tarla  per  fes- 
sura 0  simile  da  banda  a  iNunda.  - 
S badar.  Matit,  e  Fer.  Socchiude- 
re. -  F,  Bada. 

Sbagajèr.  Beg,  Sbarazzare. 

Sbajuchè.  Bom,  Lavoracchiare. 

S  b  a  j  a  fa  r.  Boi,  Millantare.  -  Parm. 
Sgridare. -Sbaj afe r.  Beg.  Ciara- 
mellare. 


lombarda  é :  Tra  di  saràc.  Be-,Sbalbattàr.  Fer.  Svolazzare. 


stemmiare. 

Saràc.  /?om. -Scarà e.  fio/.  Sornac- 
chio.  -Saracc.  Sornacchiarc.  -  Fr, 
Cracher. 

Saranèn.  ì2o#a.. Tagliolini.  Fili  di  pa- 
sta per  minestra. 

S  a  r  a  V  a  1 1  à  r .  Boi,  Sgomi  narc,  scom- 
pigliare. 

Sarga.  Bom.  Farsetto,  casacca. 

S  a  r  n  é  r.  Bom,  Ponente  maestro.  Nome 
di  vento  assai  freddo, 

Sarsìgna.  Parm,  Sudiciume,  un- 
tume. 

Sàrzi.  Piac.j  Pav.  e  Mil,  -  Sàrzir. 
Parm,  -  Sarrasì.  Piem,  Raccoo- 
djire,  r^ignare. 

Sa  vana  r.  BoL,  Fer,  e  AJant,  Agita»- 
re,  dibàttere. -r.  Saga tt a,  Sa- 
vazzà,sbarlottàr. 


S  b  a  1  d  è  r.  Beg.  Spalancare,  sbarrare. 
F,  Sbandar,  Sbarlàr. 

S  b  a  1  d  e  r  i  e.  Fer.  Cibo  dannoso,  mal- 
sano. 

Sbalergàr.  fio/.  -  Sbalincii.  IVac. . 
Sbiecare,  storcere.  -  #^.  Sbavar. 

S  b  a  1  u  s  à  r.  Fer,  Sparnicclare. 

Sbalusè.  Bom,  Cinguettare,  tatta- 
mellare.  -  f^.  Sbraghi  ràr. 

Sbambulàr.  Fer,  Esser  diseguale, 
non  combaciarsi. 

Sbambanà.  Picic,  Tentennare. 

Sbandar,  sbarlàr.  Mani.,  Parm, 
e  Fer,  -  S  b  a  1  d  è  r.  Beg.  Spalancare. 

Sbarbègula.  Fer,  Ciarliera ,  petu- 
lante. 

S  b  a  r  g  «ì  r.  Ftr,  Squarciare,  f-'.  S  b  r  a- 
ghèr. 

Sbarguttàr.  Fer.  Pillottare. 


PI.VLfiTTI   EUlMA^'l*  370 

Sharia,  sbar  da  là. /Vac.  Spaccare^  Sborda.  Piac,  Dibrucare^  dibuscaro. 


sfeodere,  «palancare.  -  Sbarlàf. 

Parm,  Sqoaceia.  -F,  Sbragbèr. 

Sbarlottàr.  Mani,  e  Fer,  Dimenare, 

agitare.  •'S  bar  lòti.  Uovo  stantìo. 

Sbarlucè.  Bom.  Sbirciare ,  aliuc- 

eiare. 
Sbarussè.  i7om.  Scuòtere.  Pt'opria' 
menu  tignilUa  lo  scuoUmcnio  prò- 
4qUo  dal  biroccio,  a$9ia  carro  a 
due  ruote,  senza  molle,  posto  in 
molo  sopra  etrada  toisosa.  Tal  car^ 
ro  chiamu^i  nei  dialeUi  emiliani 
Broiz.  f^. 
S  b a  r  lè  1 1.  iVoc.  Pinolo;  gradino  delle 

scale  %  mano.  •  MiL  Ba  s  è  I. 
Sbafili,  Po»,  Maciullare;  dirómpere 

il  Unoi  la  cànapa  e  simili. 
Sbavar.  JRrr.  Tòrcere.- f^.S baie r- 

gàr. 
S b  a  ¥  1 A  i.  Piae,  Piovigginare. 
Sbaiós.  /Vac  Cisposo.- Sb  e  za.  Ci- 
spa. 
SberlAt  Gen.  Manrovescio. 
Sberle ff.  Heg,  Sfregio,  taglio. 
Sberlocciiiy  sberlucciàr.    Gen. 

Sbirciare.-^.  Sbarlucè. 
Sbertanàr.  Gen.  Scapezzare. 
SbgàzB^apegàzz.  Gen,  Sgorbio. 
Sbindacà.  iVirm.  Làcero. 
Sbindacòn.  Piac.  Gretto,  balordo. 
Sblòt.  /Vfic.  Mudo. -r.  Biòt. 
Sbisi.  Bom.  -  Sbris.  tornò.  Scusso, 

arso,  ridotto  al  verde. 
S  b  1  a  e  b  è.  Bom.  Cenciajuolo.  -  S  b  I  a- 

còn»  Cencioso. 
Sblisciàr,    sblissiàr.    Mani,    e 


Sborghcr.  Beg, Slurare^ schiùdere. 

S  b  0  r  g  n  a.  Boi.  e  Bom,  Ebbrezza,  ìm« 
briacatura. 

Sborzaclòn.  Beg. Sciamannato, su- 
dicio. 

Sbragbèr.  Beg,  -Sbregàr.  F'^,  - 
S  b  r  a  g  h  è.  Bom,  Stracciare,  squar- 
ciare. -  Sbrég.  Squarcio.  -  Ted, 
Brechen. 

Sbraghiràr.  Boi,  -  Sbraghirè. 
Bom.  -  Sbragassàr.  Fer,  Cicala- 
re ,  treccolare.  Dire  e  ascoltare  gli 
altrui  segreti.-S  b  rag  as  s  ò  n.  Smarr 
glasso,  spaccone. 

Sbrajà,  sbrajèr.  Gen,  Gridare.  - 
Sbrair.  Fer.  Mtrire,  ringhiare. 

Sbranculè.  Bom.  Divincolare,  tòrr 
cere  in  qua  e  in  là  a  guisa  di  vinco. 

Sbràr*  Fer,  Spelazzarc. 

Sbric.  Fer,  Spavaldo,  petulante. 

Sbris.  Emil,  e  Lomb,  Scusso,  bruir 
lo.  '  f^.  Sbisì. 

Sbròfol,  sbròzzoi.  Pjoc.  Bitòrzoli, 
bernòccoli. 

Sbrómbai.  Bom,  Aquazzone. 

Sbrucbè.  Bt)m,  Arramatare,  broc- 
care;  percuòtere  con  ramata  o 
brocca. 

S  b  r  u  m  b  1  è.  72of»i.  Sparopinare,  sfron- 
dar le  viti. 

Sbrumblòn.  Bom,  Lombàgine. 

Sbsòstra.  Bom,  Stamberga.  Casa  o 
stanza  ridotta  in  pèssimo  stato. 

Sbujòuz.  Mod,  Afa. 

Sbulfrir.  Beg,  Starnutire. 

Sburdaclè.  Bom.  Imbrodolare. 


/Voc.- Sblisgàr.  Fer.-Sbrisciè.  Sbùriar.  Parm.  e  Piac.  -Sburlu- 
itom. -Sbrissiàr.  Fer.  Scivolare,      nàr.  Fer.  Urtare,  spìngere, 
sdrucciolare.  K.  Sfuz}è.  Sbuzza.  Boi,  Aspetto,  lucbera. 

S  bòc  la.  itoiii.-»S  b  à  u  e  i  a.  Piem.  Com-  Se  a  ce  d  a.  Bom,  Smarglasserla ,  gua- 
blbbia.  Bevuta  fatta  all'osteria  o      sconeria. -S caci n.  Uomo  di  com- 


altrove  con  più  persone. 
Sbólla.  Bom,  Radura.-  F.  agr.  Pìc- 
colo spailo  vuoto  d'alberi,  d'erba, 
di  biade ^  ec. 


parsa  chesipaooeggia.-Scaciòn. 
Smargiasso;  millantatore. 
Scadòur.  Boi,  -  Scader.    Fer.  e 
Bom.  Prurito,  pizzicore. 


980  PABTB  Sf£OXDA. 

Scaflàrs.  Boi,  Dimenarsi,  contòr-IScaravujàr; /^r.  Corrodere. 


cersi,  aver  prurito. 
Scagn.  BoL  Vuoto,  rilascialo. 
Scài.  Bom.  Danajo;  moneta  del  minor 

valore. 
Scalabruza.  Piac,  Brina.  -  K.  Ca- 

labrfisa. 
Seatàmpia.  Beg,  Assito.  Tramezzo 

d^assl  commesse. 
Scalastra.  Boi.  Sgangherato. 
Scaltrizàr.  ^o/.  Mantruggiare. 
Sealv,  scalf.  Gen.  Cavo,  incavato.- 

Scatvar.  Scapezzare. 
Scamón.  Piac.  Bravaccio,  tagliacan- 

toni. 
Seamùf.  Beg,  Grimo. 
Scandaja.  Bom,  Sgualdrina, 
àéanfognèr.  Beg,  Beffare, 
dcfahs.  Beg,  Smilzo. 
Scantalufàr.  BoL  Rabbuffare. 
Scanio ssàr.  fhr.  Bàttere, 
^c  à  n  z  u  1  a.  f^,  cont,  Bom.  Aratro.  - 

y,  Pardghir. 
Sca  pigile  da.  Bom,  Nigella,  comi- 
nella.-1.  Nigella  satlva. 
Scapi ól.  Bom,  Frantumi. 
d<iaracài.  -  Metts  in   scaracài. 

Bom,  èssere  in  sulla  bella  foggia , 

lindo,  attillato. 
Scarafunè.  Botn,  Impiaslrlcclare , 

scombiccherare.     Pitturar    mala- 
mente. 
Scaraja.  Bom,  Stipa.  Sterpi  tagliati 

e  legname  minuto  da  far  fuoco. 
Scaramài.  7?om. -Scar mài. /Virm. 

Parafuoco.   Forse  dalla  poee  Hai, 

Schermo.-   Ted.  Schirm.  -  f . 

Scrimàl. 
Scaramplana.  Bcg.Vn^  via  rotta.- 

Carampana.  Fcn,  Grima. 
Sèaramuzziè.  Bom,  Il  trabalzare 

che  si  fa  in  carrozza  passando  per 

una  via  rotta.  F,  Sbaruzzè. 
Scaranèll.  Bom,  Testìcolo  di  cane. 

Pianta  comune  ne'  prati,  -  i^.  0  r* 

chis  morio. 


Scaréz.  Boi,  -  Scarezza.  Ftr,  e 
Mani.  Ribrezzo,  brivido,  -tngt.  To 
scare. 

Scarfulla.  Parm.  Pelllcota,  favèlu. 
ero  della  cipolla,  detragifo  e  sinfli. 

Scarlòss.  Fer,  Inciampo,  scrolio. 

Scarlussàr.  Fer,  Goncnsaare.  -  V, 
Scaramuzzlè,  sbaruitz.è. 

S cartata] àr.  Fer,  Titubare.  Ittfan- 
nare,  tradire. 

Scarmana.  Piac,  Lampo,  btletio. 

S  e  a  r  m  I  i.  Piae,  RabbrFridfre,  nieea- 
pricciare. 

Scardgn.  Piae,  Clabattifiacdo. 

Scarpa.  Pine,  e  Lomb.  -  Bgarbàr. 
Fer,  Strappare,  sradicai.      • 

Scarsù.  Bom,  Sfioratore.  Diversivo 
a  fior  d'aqua.-  F.  Idràuliélt. 

Scartlar.  Parm,  Scassare,  rònpere. 

Scarvajès.  ilom. Screpolaral.  Iliees/ 
di  muro,  pietra  e  «tm/At,  Ma''  quaU 
ti  scoprano  sottilissime  crepùfure. 

Scarzgnfir.  Parm,  CItioeciare,  di- 
grignare. 

Scasse.  Bom,  Posticcio.  Terra  divel- 
ta, dove  sieno  piantate  molte  piante 
gióvani. 

ScatafróU.  Bom.  Ohiriblxio. 

Se  a  ti  a.  Piae.  Arruffare, scannlgliare. 

Scaverete.  Beg,  Tràmpoli. 

Scavèzz.  y?om.-Cavèzz.  6eii.8càn — 
polo,  avanzo. 

Scazzignè.  Bom,  Rovistlare,   fru^ — 
gacchiare. 

S  e  a  z  z  ò  1  a.  Bom,  y,  de*Mwr,  Puntello  — 

Scazzujèr.  y?fi7.-8cazzujàr.  />r— - 
Acciarpare. 

S  e  h  è  e  a  r .  Bom.  Moine,  carezze  allet- 
tale, smorfie. 

Schermir'  Parm,  Allappare^  alle- 
gare (  Dicesi  dei  denti,  dopo  opet 
masticate  frutta  immaiur^),   «• 
Spàder. 

SchermlézE.  Boi.  e  Mod,  Brivido, 
raccapriccio.  F,  Sgriiol. 


X 


OlAkCTTI 

S e  f  u  n  à  r.  Boi.  Motteggiare ,  beffare. 

Scbervèinf.  Boi,  Aquazzone. 

Se h fòli,  sfòn.  Fer,  Calza. - y7om. 
Calzerotto. 

ScbicarS.  Bom,  Sbevazzare. 

Schitàr.  Mani,  Spàrgere.  -  Ingl, 
Se  after.  Spàrgere,  versare.  - 
Jrm,  Skign.  Dispersione,  sparpa- 
gliamento. 

Sèbltna.  Mani,  Scintilla.  Zàeeliera.- 
8  e  b  i  t  n  à  r.  Iniaccberare.  Parm,  - 
Sélatrir.  -  f^.  Sciattar. 

Scbnàja.  Bom,  Schizzo,  zàcchera.  - 
Se  h  n  a ]  è.  Schizzare  il  fango adosso 
ad  alcuno.-  K  Schitna. 

Sèiadàr.  Bom,  Matterello,  spiana- 
toio. Legno  lungo  e  rotondo  su  cui 
s^aTTolge  la  pasta  per  {spianarla  e 
aMotllgliarla. 

8  ò  i  a  f  1  è,  8  é  i  a  f  è.  Barn,  Scaraventare, 
spiattellare. 

Sèi  irne.  Ptae,  Làcero,  misero.- /^eg. 
e  Lamb,  Stracciatura,  squarcio.  - 
Sélancà,  sóiancar.  Stracciare, 
squarciare.  -  f^.  Sbraghèr. 

S  £  i  a  p  i  n  è.  Bom.  Acciabattare.  -  Mil, 
SCeplnà. 

Sftiapona.  Pfoc. Sciògliere, sfibbiare. 

Sélàssag.  Piac,  Serrato,  stretto,  sti- 
vato.-A/t7.  Sòiàssar. 

S£iàttar.  Pine,  Scintille,  -  Sòia t- 
tèin.  Spruzzo,  zàcchera.  -  Sóia- 
tinà.  Spruzzare.  -  f^.  Schitna. 

Séiavaròl.  Beg.  Piuòlo. 

Sèiòeal  Botn,  jigg,  Schiantcreccio. 
Jgg-  di  legno  fràgile, 

S  è  i  ò  e  1  a.  Fer,  Gonfiezza. 

S  £i  0  n  s è.  Ptae,  Soffocare. 

Sèi  òr  bai.  Bom,  Bircio,  losco. 

Séiuclir-  Fer,  Scrosciare. 

Sdlnnclèn.  Bom,  Ceppatello,  scheg- 
giuola. 

Sé  iu  ss  ir.  Boi,  Dlscèrnere.  -  Ingl, 
Chose  (leggi  eluse).  Scégliere. 

Séiuviè.  Bom,  Slocare. 

Scòli,  in  scòli.  Bom.  Grembo,  in 
grembo.  -  F,  Scòss. 


eviLiA^i.  981 

Sconi.  Piae,  Appassire,  intristire. 

Sconìr,  scu n ir.  yiej;. Scolare (Fer- 
6a). 

S  con  sa.  Beg,  Grembo.  -  Scossò  da. 
Grembialata.-  f^.  Scòli  e  scoss. 

Sconzùbia.  Mani,  e  Beg,  Moltitùdi- 
ne, gran  copia. 

Scopa  zza.  Beg.  Fionda,  fromba.  • 
Scopazzòr.  Frombolare. 

Scorbata.  A'oc. Tartassare,  percuò- 
tere. 

Scordi.  Bom,  Erba  querciuola,  co- 
mune ne'  monti  Stèrili.  •  !..  Teu- 
crium  chamaedrys. 

Scornuzla.  Piae,  Lùcciola. 

Scoss.  Gen,  Grembo.  -  K.  Scensa  e 
Scòli. 

Scotmal.  Mani,  e  Parm,  Soprano- 
me. -  Berg,  Scott  uni. 

Scotta.  Gen,  Sleroi 

Scozz.  Beg.  Coccio,  greppo.-  Fig, 
Conca  fessa.- Scozz  è  r.  Rompere, 
spezzare. 

Scravà.  Gen,  Scapezzare.  F.  Sealv, 
scalvar. 

Seriche.  Bom,  Spremere. 

Scrinar.  Fer.  Aver  la  diarrea. 

Se  rimai.  Boi,  -  Seri  mài.  Piae,  - 
Scrimàj.  /7«fif.-Scaramài.  i7om. 
Parafuoco,  f^.  Scaramai. 

Scrofàls.  Piae.  •  Cufolarse.  Fer, 
Accosciarsi,  accoccolarsi. 

Scrozla.  P/oc.-S  eros  sol.  lomb. 
Gruccia. 

S  e  r  u  e  le  n.  Bom,  Tenerume.  Sostanza 
bianca  e  pieghevole,  la  quale  è 
spesso  unita  airesiremità  delle  ossa. 

Se r ufi  a.  Beg,  Fórfora. -K.  Ròfia. 

Scura  tè.  Bom,  Arsicciare,  abbron- 
zare. 

Scurnèccia.  Afod.  Baoello,  siliqua. 

Scurniccia.  Bom,  Sbacellare,  sgra- 
nare. 

Sd russi.  Parm,  Aspro,  rùvido.- 
Lomb.  Darùi.  Di  qui  fùr$e  Vllal. 
Sdrvscito. 


S9^  PARTE  SECONDA. 

S4ainaciàr.  Fer.  Dirozzare,  scoz-jSg a gn a,  sgagoàr.  Piac,    •  il»0. 

zollare. 
Sé  ber.  Pav.  e  Mil,  Afaslello. 
Séppa  r.  Bom.  CèspHa.  Pianta  conm- 


ne  lungo  i  fiumi,  -  I.  Erigeron 

■    VÌ9C08UID. 

Seriola.  AfanL  e  Br,  Gora,  canale 
di  derivazione.  -  £,.  Seriola.  Stt' 
riolae  mettient  velerem  deradei'e  li- 
mum.  Peasio»  Sql  IV,  vers,  S9. 

Sevézia.  Bom,  Crudeltà.  -  ìL., Sae- 
viUes. 

Sfar  (ài,  s  fra  robe  j.  Bom.  Persona 
magra  e  sparuta.  Segrenna.  -  Fém- 
mina di  mal  affare. 

SfióbaL  Bom.  Piuoli  che  coogiùn- 
gono  Ta^o  col  ceppo  dell'aratro. 

Sfiòpla.  Bol,^  Mod.  e  Beg,  Cocci uò 
la,  pìccola  enfiatura. 

Sflàr.  Fer.  Fiaccare,  sfracellare. 

Qflezna.  Bom,  Favilla,  scintilla.  - 
Sflizné.  Sfavillare. 

Sframbài.  Mod,  Stipa,  sterpaglia. 

Sfrassena.  Bom,  Fiotto.  Figur,  Im- 
peto, furia. 

S  fra  zza.  Bom,  Lancia.  Spranga  di 
ferro  >  con  che  si  rimena  la  terra 
da  far  mattoni.  -  Sf razze.  Rime- 
oare  o  mestare  con  la  lancia. 

Sfrindàri.  Piac,  Spauracchio. 

Sfrogn.  Bom.  Mattone  ferrigno ;fa(e 


I     Scuffiare,  pacchiare. 

Sgai.  Piac.  -  Sgari.  MiL  Strìdere, 
gridare. 

Sgalbèrt.  Piac.  Rigogolo.-  f.  Gal- 
béder,  argbéib. 

Sgalèmbcr.  Gen.  Sghembo. 

Sgallér.  Beg,  Cavar  di  mano  altrui 
checchessia. 

Sgalmedra.  iie(;«  •  Sgaliaiedra. 
Fen  Garbo,  grazia* 

Sganga  (dia).  Bom,  Dappoco. #^oee 
di  disprezzo,  €ome:  Signor  dia 
sganga.  Signor  da  burla. 

Sgangàgn.  Bom*  Viluppp, cerfuglio. 

Sgangàr,  Boi,  <•  Sgangbè.  Jhm, 
Stentare,  stirare. 

Sganghignà.  Piac.  Scricchiolare. 

Sganghìr  (dalla  voJa)./lw*.  Lan- 
guir di  voglia, 

Sgaràmp.  Piac,  Tràmpqlp, 

Sgaramufta.ao/.Fòrlortt.  K^Eofia. 

Sgaràr.  Boi.  Sbagliare,  errare.  - 
Sgaràda.  Parm. Millanterìa. 

S  g  a  r  a  V 1  à  r.  Boi.  e  Fer,  RaspoUare. 

Sgarblà.  Oen,  Graffiare. 

Sgargnàpolàr.  Parm,  Ridere  a 
scroscio. 

Sgariòl.  ^o<.-Z.  Totanus  ochro- 
pus. 

Sgarlatón.  Fer.  Calcagnq. 


eccessivamente  cotto. -Sfrugnà.  Sg art àr  il  vid.  Fer,  Recidere  la 


Sferruzzato. 

Sfrova.  Airm.   Frutto  annuo  rica- 

•  -.  vaio  da  una.  vacca,  unendo  il  latte 

,    Al  vltellp.      ^ 

Bfulgnaoàr.  i9o/.  Rarbuglìare. 

3fiiqdròn«  Bom,  Strambotto,  ril>ò- 
bolo. 

S f u z le.  Bom.  Sdrucciolare.  -/^.  S  b  I  i- 

.   sciar,  9gujà. 

ftgadè.  Bom,  Sgheronare,  tagliare  a 
5ghiml>escÌo.  -  K.  Gheda. 

Sgagià,  sgagié.  Emil,  ePiem,  Lu- 
tto ,  accorto.  -  Bom.  S  g  a  g  é  signif, 
anche  Lindo,attillato.-/TJ[)égagé. 


vite  al  piede. 
Sgarudàr.   Fer,  Sgusciare  (dic^i 

pròprio  della  noce).  Sgberigliare. 
Sgarzetta.  Bom.  Pavoncella  di  pa- 

dule.  -  L,  Ardea.nyoticprax. 
Sgàss.  Partn,  Baccelli  cotti. 
Sgatià,  sgatièr.  6c^  Districare, 

disciòglierp.    , 
Sgavagnàr.  Boi.  Scuòtere ,  dibìtt- 

tere  qualcuno.  •  Parm.  Svivagnare, 

allargare  di  troppo. 
Sgavagnc.  Bom»  Sgruppare.  Rav- 
viare cose  disordinate,  comeina- 

tasse,  eo. 


DIALETTI  BMILIA.M. 


285 


Sgavalè.  Bum,  Andare  a  sciaqua- 

barili.  Andare  a  gambe  larghe. 
Sgavètf  a.  Mod,  Slalassa.  ^,  Gav, 

gavetta. 
Sgaviòtt.  lìeg.  Bilenco. 
Sgaviulè.  Jiom.  Sgambettare. Guiz- 
zare; lo  scuòtersi  dei  pesci  per  aiu 
tarsi  al  nuoto. 
Sgazaris.  Parm.  Sbizzarrirsi. 
Sgdòzs.  Boi,  Coccio,  vaso  di  terra 

rotto.  -  Fig.  Conca  fessa. 
Sgberza.  ^o/.-Sgorbia.  £om6.  Ai- 
rone. -  L,  Ardea  cinerea. 
Sghessa.    Boi.  -  Sglilsa.  Bom.  - 
Sgussa.  Bcg.  .  Sghissa.  Fer.  - 
Sg  ajósa.  Lomb.  Gran  fame.-P'.B  a  r- 
lòca^  Sgrisa. 
8g  i  à  n z  u  I.  Bom,  Friàbile ,  frangibi 

le.  -  Lomb,  Sgiandós. 
9g  i  à  V  e  d.  Beg,  Fràgile.^.  S  g  i  à  n  z  u  1. 
Sgiavòn.  Airtn.  -  Giàón.  Ter.  Pà- 
nico salvàiico. 
8giorla.  Piac,  Dappoco,  moccione. 
Sgiòrz.  77om.  Fischione,  morigiana, 
capo  rosso. -£.  Anas  penelope. 
Sgius.  Piac,  Colatura  o  deposizione 
del  concime.  -  l\irm.   Sugo.   -   L. 
Jus?-  r,  Ziss. 
Sgiutè.  Ilom,  Sturare. 
Sg  i  V ì.  Piac.  Scollare. 
Sgizulena.  Bom.  Scbeggiuzza. 
^gnacàr.  /'wn/i.-Sgnicà.  \JH.  Am- 
maccare, schiacciare. 
S^nacoln.  l'iac,  e  /'orm.  -  Sgnoc- 
co là  r.  yer,  -Sgniculc,  sgnu- 
culè.  Bom.  Scuffiare,  pacchiare. 
Sgnadùr.  Fer,  Matcrclio,  spinatoio. 
Sgnàss.  Piac.  Canile. 
Sgneppa.   Gen.   Beccaccino.  -  Tcd. 
Sc1inepfe.-/ft(7.  Snipe.  y.  Piz 
zàcara. 


SgnoTla.  Boi.  -  Sgneff.  fVr.  Ceffa- 
ta, schiaffo. 

Sgnuflìr.  Fer.  Piagnucolare.  -  F. 
Fifàr. 

Sgobla.  Bqìil  Stròbilo.  Pericarpio  le- 


gnoso della  pina  scussa  de^pinoccbl. 
Sgorzella.  Piac,  Uva  spina.-!,.  Ri- 
bes uva-crispa. 
Sgourbi adura.   Mod.    Scaifltura, 

scorticatura. 
Sgravis.  Piac,  Torso;  mallo  sgra-- 

nato  del  sorgo  turco. 
Sgrégn.  Bom,  Ghigno. 
Sgrèngola.  ^om.  Zurro,  uzzolo, al- 
legria, y,  Gringoia,  gheisa. 
Sgrinzlà.  Piac.  Digrignare,  dirug-^ 

ginare. 
Sgrisa.    Bom.    Gran    fame.  'Fedi 

Sghessa,  barlòca. 
Sgrllni.  Bom.  Sgranchiare;  far  pèr- 
dere rintorpimento  delle  mani, 
dei  piedi,  ec. 
Sgrizol.   Mani,  -  Sgrisul.  Fer.  - 
Sgrisol.  MiL'  Sgrisòur.  ^of.  e 
Beg.  -  Sgrisór.  Parm,  Brivido. - 
Ing.  Grisly.  F,  Schermiczz. 
Sgrófia.  Parm,  e   Piac.  Forfora. - 

Sgrufiós.  Rùvido,  forforaceo. 
Sgroz.  Bom,  Crudo. 
Sgualmidra.  Boi.  Ripiego,  espe- 
diente. 
Sgualzìr.  Boi.  Pigiare  Tuva. 
Sgublè.  Barn.  Smallare.  F.  Sgaru- 

dà  r. 
Sgudcvol.   Boi.  Disadatto,  incòm- 

niodo. 
Sgucgn.  Boi.  Vizzo,  appassito. 
Sgugiól.  Bot.  Solazzo,  gozzoviglia. 
S  g  u  g  n  à  r.  h\r.  Far  le  bocche.  -  Fer. 

Sgognàr.  Far  le  sgogne. 
S g  u  j  a.  Piac.'9^% h  i à.  Mil,  Sdruccio- 
lare. 
Sguinguagna.  Boi.  Floscio,  snervato. 
Sguinzajòn.  Boi.  Giròvago,  vaga- 
bondo. 
S g  u  n  à  r.  Fer,  Segare. 
Sgu  n  è.  Bom.  Arrocchiare ,  far  rocchi 
(  Rocchio  9ate  pezzo  di  legno  o  di 
sasso  di  figura  cilindrica,  spiccato 
dal  tronco,  senza  eccèdere  una  certa 
lunghezza). 


^u 


PAETE  SECa^DA. 


Sganxobt  fi9(.  Fraifente. 

Sguràr.  Ail.eA'.-Sf  urèr.  Rag,' 
S  g  u  rà.  Mant'  e  Piac.  Pulire,  astèr- 
gere. 

Sgorbia.  fW*.  Fame.-F.Sgliessa. 

Sgu8Ì,sgvarzì.  Jiom.  Scòrgere,  ve- 
dere. 

Sgùtas.  Piac.  Sdrajarsì. 

Sia.  Beg.  e  JUod,  Porca,  ajuola. 

Siàn'd.  Boi,  Essendo  (Gerundio), 

Sia rs.  Farm.  Rappigliarsi ,  assevare. 

Sibra.  Farm,  Zòccolo,  specie  di  cal- 
zare.-Afi/.  Sibrèt.  Pan  tòltola. 

Si  g  a  mata.  Parm,  Capriola,  salto. 

Si  là  e.  Parm.  Lividura^  macchia. 

8imlrada(Far  la)  Fer.  Far  la  spia. 

Simitón.  Bum,,  Per.  e  Farm.  -  Si- 
mun a  r  i  è.  Fer,  -  Smorfie ,  moine. 

Sinighella.  ^0/.  Crisalide;  il  filu- 
gello nel  bózzolo. 

Siòl.  Form,  Assillo,  tafano.-Siolàr. 
Smaniare  per  puntura  d'assillo. 

Siòla.  Farm,  Porca,  i^uola. 

Siria.  Farm,  Modo  di  salutare,  che 
mol  direi  Buon  giorno,  o  buona 
sera.  -  //  Piem,  dice:  Ci  area. 

Sitòn.  Beg,  Libèllula. 

Siv.  Bom,  Siepe;  ghirlanda. 

S 1  a  g  n.  Boi,  Arrendévole,  pieghévole. 

Slamadura.  Fer. Sedimento, abbas- 
samento ,  sprofondamento.  -  r. 
Slat. 

S 1  a  n  d  r  ò  n.  Emil.  e  LomO.  Sciaman- 
nato, sudicio.  •  Fer.  Siandrar. 
Patire. 

S  i  an  f  a g  n  a.  Piac,  Spilungone  :  assai 
lungo  della  persona. 

Siapón,  sleppa.  Gfn.  Schiaffo,  cef- 
fata. 

Slat.  Boi.  Scoscendimento.  -  Slat- 
tar. Franare,  scoscéndere. 

Slenza.  /l/anl.-Slùscia.  A/i7.  Piog- 
gia dirotta. 

SI  epa.  Gen,  Schiaffo. 

SI  ice.  Barn,  Mangiacchiare.  >langiar 
poco  e  senza  appetito.  -  Siicìu. 
Mangiator  da  burla. 


Slipadura.  Barn.  SpiuiUtim,  IN- 
rèbbeei  d^ìm'aeiiceiuoki  4à  hjjjtf y^ 
do  allorcliè  balte  la  palla  da  /Icni- 
co.  -  Sii pès.  Sbiecare,  scbiandre. 

Slofi.  Gen.  Lonzo,  snervalo. 

Sion.  Piac,  Siero. 

Slosna.  Fer.  y,  coni.  Baleno. -SI a- 
snàr.  Balenare.  -  A^.  Losna. 

Slumbergàr.  Boi.  Albeggiare. 

Sluvzòn.  Fer,  Ingordo. 

S 1  u  V  z  è.  Bom,  Lordare. 

Smadunàr.  Boi.  Rompere  le  zolle. 
Da  Madón,  zolla. 

Smagunè.  Bom,  Sciocco. 

S  m  a  l  V  i  r .  Beg.  Gualcire ,  mantrugia- 
re. -  S  m  a  l  v  i  n.  Fer,  Svenimento.  - 
Smal  vtrs.  Scolorire.- itom.S mal- 
vén,  smalvis.  -  I.01116, SmalTà. 
Scolorito. 

1 

S  m  a  m  1  à  r.  /"er  .Fiaccare,  ammaccare. 
Smanè,  Bom.  Spogliare,  svestire. 
S  m  a  n  è  z.  Beg.  Movimento,  agitailpne. 
Smanie.  Bom.  Dimenar  la  coda. 
Sm  arguì  è.   Bom,  -  Smergulàr. 

Boi,,  Beg.  e  Farm,  Plagnueolare.- 

S  m  è  r  g  u  I  a.  Bom.  Piagnone,  plan- 

gisteo. 
S  ma  rune.  /?om.  Svesciare;  dir  senza 

riguardo  ciò  che  si  deve  tacere. 
Smasé.  Bom.  Sconciare,  scomporre, 

sgominare. -S masi.  Piac,  Imjior- 

rare,  ammuffire. 
Smazzarina.  Fer,  Pannocchia. - F» 

Mansa. 
8 mèco.  Boh  Vernice,  belletto  e  si* 

niili. 
Smela.  Farm.  Scintilla,  favilla. 
S  m  e  r  s.  Piac.  Goffo ,  vizzo. 
Smicé.  Bom,  Tirare  frequenti  colpA- 

di  archibugio,  cannone,  ec.,  e  ge^^ 

neralmente  spesseggiare  In  qualche 

altra  operazione  di  braccia  e  d^ 

forza. 
Smingunàr.  Fer,  Zonzare,  vagare» 

oziando. 
S  m  oj  a.  Fer.  •  S  m  ò  j.  £.01116.  Ranno.  ^ 

Smojàr,  smòjà.  Inibucatare. 


DIALETTI 

Smoimón.  Rtg^  Pigolone,  malcon* 

Snòlga.  Rom,  Sciamannala;  donna 
icoBcifi  negli  àbiti  e  nella  persona. 

Smorgàgn,  smorgògn.  Piac.  Su- 
«liciooe,  porcone. 

Snalè.  Rum,  Sciògliere,  scìngere. 

SBulgbò.  Rom.  Stropicciare  i  panni 
sporchi  con  ranno  e  sapone. 

S  no  re  ài.  Far.  Cosa  cali  iva,  abbietta. 

Smarfgnòs.  Ftr,  Moccolone,  sgua- 
iato. 

SBQrnò.snurfiòn.  i?om.  Piagnu- 
colare »  piagnone.-  Da  Smorfia ?- 
1^.  Snarguiè. 

Smusgna.  Hae.  Piagnucolare. 

Smuslaiiè.  i}om.  Rimbrottare, rln- 
fÌMXIara.-Mu stali.  Faccia. 

Snullàr.  Fer.  Mugghiare. 

S  naia  a.  Mo^  Scriatello,  ammorba- 
tene. 

Snéng.  Pa9,  Insipido ,  scipito, 

Soca«  Afanf*,  Pwnm,  e  Lomb,  Gonna ^ 
gODBella. 

Soghèl.  Form.  Capestro.  Da  Sega. 
Fune. 

Sol.  Gen.  Mastello,  bigoncia. -So jn. 
Bigoncino.  *y.  S  è  b  e  r. 

Sol.  Boi.  e  ttr.  Fango.  -  Rom,  Scola- 
tura di  concime. 

Sóld.   Rom,  Specie  di    truogolo.  - 

So  Iddi  strazz.  Marci  tojo.  Truogolo 
dove  si  fanno  marcire  i  cenci. 

9oii.  Gca.  Uscio,  levigato.  -  Solià. 

Lisciare,  levigare. 
SoDC.  iiOf II. Cicerbita.- Ir.  Sondi us 
oleraceus. 

Sòr.  ìTIoc.  e  Liìmb,  Sòffice. -Sor à. 

Siatare,  prènder  aria. 
SorallsègD.  Rom.  Sido,  ghiado, 
brezza.  Vento  gelato. 

Sorazéng.  Rom.  Anguilla  salata  ed 
aperta  per  io  lungo. 

Sera  zza.  Reg,  e  Pavm.  Gufo,  bar- 
bagianni. 

Sorghèr.  Reg*  Spillare^  riuvergare. 

Souvràn.  Afocf.  Vitello  adulto. 


sviUA.^1.  S80 

Sozzò*  Piao.  Ricotto  4  confetto  (agg* 
Ai  terreno). 

Spàder,  Boi,  «Spadir.  ilom.,  Reg, 
e  Fer.  -Sparir,  f^er.  Allegare,  a» 
spreggiare  (  Dieesi  de*  denti).  -  K. 
Schermir. 

Spagàzz,  spegàzz,  sbgàzz.  Gol. 
. Sgòrbio. -Spegazzà.  Sgorbiare. 

Spagògn.  Rom,  Stiticazzo«  selvàti- 
co; che  mal  volontieri  s*accòaiffloda 
alle  voglie  ed  alla  compagnia  altrui. 

Spajàrd.  Gen,  Zìgolo  giallo.  -  L. 
Emberiza  citrinella. 

S  p  a  1  u  t  è.  Rom,  Brancicare,  mantrugi 
giare. 

S  p  a  n  è  s  z.  Boi.  Comune }  facile  a  tro« 
varsi.  -  Fer,  Spani  zza. 

Spani.  Fer,  Appassito. 

S pan  izze.  Rom,  Scofacciare,  schiac- 
ciare, brancicare. -f^.  Spalutèe 
Spargnàc. 

Spant.  Rom,  Immantinente,  tosto.- 
Armane  spant. Rimanere  morto, 
ateso  a  terra. 

Spanucina.  Rom,  FlenaroUi  de' 
prati.  -  L,  Poa  prateneis. 

Spara,  sparèr.  Emil,^  Lomb.  e 
yen.  Risparmiare,  sparagnare. 

Sparagàgn.  Rom,  Spavento  di  bue. 
Grossezza  che  viene  nella  parte 
inferiore  del  garretto  del  cavallo, 
la  quale  lo  fa  zoppicare. 

Sparazisum.  Boi.  -  Sparacism. 
Fer.  Brama  ardente.  -  Rom,  Ghiri- 
bizzo, capriccio. 

S  p  a  r  d  à  r.  Fer,  Lanciare. 

Spargnàc.  Pi(^.  e  Crem.'  Scofac- 
ciato,  schiacciato.  -  Spargnacà. 
Schiacciare,  k',  S  pan  izze,  spa- 
tazzà. 

S  p  a  r  1  ù  z z.   Piac,  Peluria,  lanùgine. 

Sparto.  Rom,  Disperazione. 

Spartura.  Ool.  e  Fer.  Màdia. 

S  par  za.  Boi,  Spalliera,  appoggiatojo 
{Dicesi  deW  appoggio  proprio  deUe 
sedie). 


986 


PIATE  SECO^M. 


ftpatazzà.  A'ac.  •  Spelasela.  MiL 
Schiaceiato,  infranto.- 8 patagnè. 
Hom,  Scoracefare.  #^.  Spargnàe. 

Spatozzar.  ^of.  Ragionare,  discór- 
rere bene.  -  Spaluzzèr.  fieg. 
Sbrattare,  nettare. 

Spéè.  Mod.  Lentìggine,  r.  Piccel. 

Spèdula.  fìom.  Scotolo.  Specie  di 
coltello  senza  taglio,  col  quale  si 
batte  II  lino. 

Speli.  Boi.  Cangiamento  di  scena.  - 
Scambietto.  -  ingl.  Speli.  Incanto, 
prodigio. 

Spèpla.  Ad/. -Spèppola.  y?oiM.  Pi- 
spola. -  L.  Antus  pratensi s. 

Spèrt.  Piac,  Gioviale,  faceto. 

Spinèin.  P/ac. «Splnèl.  lìeg.erer. 
Zipolo.-Spinòn.  ZalTo,  turàcciolo 
delle  botti. 

Sp  in  tace.  Bom.  Scapigliare,  scar- 
migliare. 

Spiòn.  itom.  Cardo.  Erba  spinosa  di 
più  specie. 

Spiònz.  Piac,  e  Lomb.  Zigolo  nero.- 
L,  Emberiza  clrius. 

Spira.  Mani,  e  yer.  -  Sp  i  u  ra.  Fer., 
Mod,  e  fìeg.  -Spurèina.  Parm. 
Prurìto,  prudore.  •  S  pi  u  r ì r.  Reg.- 
Spuri.  Piac.  Aver  prurito. 

Splrlimpena.  7?o/?i.Sninfia,  attila- 
tuzza.  Donna  afTettatamente  attillata. 

Spiutlir.  Fer,  Piagnucolare. 

Spizgbìr.  Fer.  spuntare,  sbucciare. 

S  p  i  z  z  à  r.  Fer.  Smussare,  scantonare. 

Splatunàr.  Fer.  Scapitozzare. 

Sploja.  iìeg.  Grìllaja,  catapecchia. 

Sp  I u n è.  Bom.  Scapigliato. 

Sprachèrs.  iìeg.  Allargarsi. 

8  prò  e.  Bom.  Bordoni.  Le  penne  non 
ancora  spuntate  che  si  vedono  in 
pelle  agli  uccelli.  -  JlcU.  Sp  rocco 
signif.  Rampollo. 

Spròcan.  Mani,  e  /-'er.  Pescivendo- 
lo; pescatore. 

Spu d  u r è.  Hom.  Svergognato,  fìa  P  u- 
dore  con  t  S  privativa. 


Spultàr.  Hol.  Inzuppare. 

Spurbiella;  essr  a  la  sparbfèi' 
la.  Barn.  Esser  al  verde»  esMr  Ci» 
dotto  a  mal  tèrmine  petr-tai  ^ 
verta.  '»   ' 

Squacciarlàs.  Piac.  SpappòMrij 
disfarsi,  accosciarsi. 

Sqnajòn.  Bom.  Svesciatone»  fiartta^ 
ro,  disvelatore. -Sq a aj Olia.  Ciar- 
liera, vesdona. -SqaajSr.  AvM 
e  ^en.  Scovare,  scoprire. 

Squas.  Boi.  Smorfie. 

Squezz.  Boi.  Specie  di  oocòalenb  - 
L.  Momordicum  etaterlÉA. 

S q u  i  bes.  Parm.  Quantità  gruidé  di 
checcbesia. 

S  r  ò  d  a  n.  Bom.  Seròtino ,  tanfiòi 

Stabi.  Bom,  Concio,  oonclnra,  MI*- 
me.-  Gen.  Porcile.- 1.  Sta  bui  atti 

Sta  bla.  Fer.  Steccone,  palancai    * 

S  t  a  b  i  à  r.  Boi.  Digrossare ,  plalltflB  il 
legname. 

Stacunè.  Bom,  Splilaccherare;      '- 

Stalossar.  i\irm.eAft/.8iratainn, 
scuòtere.  F.  Sbaruziè. 

Stamarlàr.  Fer.  Abbacchiare»  ttàt^ 
terc. 

S  t  a  m  z  è.  Bom,  Calpestare,  sealpilére. 

S  t  a  m  z ò  n.  Bom.  Agg.  d^  uomo  grette 
che  difticilmente  si  muove. 

Stanlèin.  ^of.*Stanela. ^/od.Cetf^ 
nella.  -  S la n  I  òn.  Boi.  e  Bom.  Dea- 
najuolo.  -  Fer.  Faccendiere. 

Starlaca.  Bom.  Allòdola.-^.- A  lau- 
da ar  vensis. 

Stargnòn.  Piae.  Sterpo,  sterpoue.' 

Starne.  Bom.  Secco  ;  quasi  esleiroato 
per  magrezza.  F,  Sternlccii.' 

Statare.  Bom.  Sgomberare  del  latto 
una  stanza,  oppure  metterla  la  as- 
setto ,  levandone  gli  inùtili  Ingofl' 
bri. 

Stcla.  Fer.  e  Mod.  Scheggia.-  Ste- 
la zòc.  Mani,  e  T^e^.-SIclalèfB- 
Boi.  Spac'calegne.  -  SI  ter.  Beg.  - 
S 1 1  à  r.  Fer.  Spezzare. 


8  le  r  1  i  r  a.  BoL  Pereossa.  ^ 

SterAieoii.   BoL    lDlFÌ9tito«  •   F. 

Star  A  è. 
Slésa.  Rom,  Batacchiala,  baatoMUa. 
SllSaem.  BoL  Strido  di  pianto. 
Sliattèliu  Boi,  Spruzzo.-  St tatti- 
li ir.-  Schinare.  -  /^.  S  e  li  t  tàr. 
Stilèot  Fer.  Sciatiilantc,  limpido, 

traspareat^. 
SU  m  1  ì  a.  Fer.  Moscardino ,  cicisbeo. 
Stiòss.  Boi.  Vampa  di  calore. 
Stiassir.  ^1.  Raf/igurarc;  discèr- 

nere. 
Slómbal.  Piae.  -  Slómbel.  BoL  - 
Stómbio.rcr.Ptingolo,  la  punta  di 
farro  duello  stìmotob^S  t  o  m  b  I  à.  Sti- 
molaire, 
Stonbaaaar.  Beg.  Sciaguattare.  - 

r.  Savazzà. 
Stonpèr,  sto.par.  ^eii.  Turare. 
Sto  péli.  Piae,  Metadella;  misura  di 
grano  equivalente  alla  sedicèlima 
parte  detto  stajo. 
Storci  a.  Piae,  Strofinare. 
Stosaiìr.  fVinn. Dilombarsi,  flaccarsii 
Strabghè.  y7ofii.-Strapegàr.  Fer. 

Strascinare. 
Strabfzèint.  Beg.  Cencioso,  làcero. 
Strablzzèr.  Beg,  Carpire. 
Stràc.  Gen.  Stanco. 
S  Ir  a  e  a.  Bom,  Mazzacavallo,  altale- 
na; specie  di  leoa  per  attinger  aqua 
dai  pozzi. 
Strafa  lari.  BoL  Sciamannato,  su- 
dicio. 
Strafantà.  /Vac.  Svisare. -S tra  (an- 
ta r.  BoL  Smarrire,  pèrdere.  •  Fer, 
Trafugare. 
Straferi,  strafiiscri,  strafusa- 
r  i .  Piae.,  tornò,  e  Piem,  -  S I  r  a  f  i  r  1. 
BoL -Strafièr.  Fer.  Ciarpe,  cenci. 
^tral^ugnà.  Gen,  Gualcire,  mantru- 
giare. 
;>traguaUàr.  BoL  e  Fer,  -  Stra- 
gualzè.  Bom,  Ingojare,  trangu- 
giare. 


DIALETTI  EMILIANI.  387 

Strajàr.  Piae,  e   Pùrm,   Versare > 


spàndere. 

Stralancà.  Fìsr.  Sbilenco. 

S  t  r  a  m b  i  n.  fer.  Àndito. 

Stramiìs.  Hoc,  Rabbrividire,  racr 
caprlcciare. 

Strampill,  stràfp.  f^r.  Gratto^ 
floscio  >  rozzo. 

S tran 8 ì.  i?o{.,  Beg.  e  Pian,  Àrido, 
adusto.  -  />.  Transi. 

Strappar.  £fo/.-Strapegàr.  fVti. 
Strascinare. -St rape n.  ilDm.  Ron- 
zino, brenna. 

Stravinàr.  Fer. Strofinare, stropic»' 
dare. 

Strazigar.  Parm.  e  Hoc.  Scintil- 
lare, sfavillare. 

Strén.  Aom. -S  tré  In.  Parm.  e  iYac. 
Abbruciaticelo.  -  Flé  d'  strén. 
Odore  che  mandano  le  cose  aiibni- 
ciate. 

Strina.  Gen,  Abbronzare,  arsicciare. 

Stribiàr.  Parm,  Dipannare. 

Strichèr.  Beg,  •  Struccàr.  f^en. 
Strìngere,  sprèmere. 

S  t  r  i  f  I  à  r.  Fer,  Fiaccare ,  schiaccia- 
re. 

Strinar.  Fer,  Abbronzare,  abbm-: 
stolire.-  F.  Strén. 

Stri  va.  BoL  Gozzoviglia. 

Stroppa.  Gen.  Vincastro,  vimine. 

Stroppia.  Pidc.  -  Star  pia,  s  tra- 
pela. MiL  Làcero,  meschino. 
Stros.  Piae,  -  Trosa.  iBr.-Strosa; 
Fer,  Rocchio,  sezione  di  pedale, 
d'anguilla,  ec.  -  Fr.  Tron^on.  « 
S  t  r  ò s  à.  Troncare ,  tagliare  per- 
pendicolarmente in  pezzi.-f^.T  r  u  s, 
TòrfTròcal. 
Str ubidir.  BoL  Consumare. 
Struma.  Fer,  Fatica,  stento. 
Strumnàr.  Parm.  Rovesciare,  ver- 
sare. 
Strusa, strusièrs.  Gai.  Stroflnarvj 

sofTregarsi. 
Strusci.  Piae,  -  Strùzi.  MiL  Fati- 

33 


9W  FARTE  KCWiÙM. 

ca,  stento. -Sf  ràscia,  struzià. 
Affaticare. 

Strussiàr.  ^o/.eiUcui/.-Sirusciè. 
Rom.  Dissipare^  scialaquare. 

)^  tr  u  V  i  I  z  è.  Rom*  Slroflnare ,  stro- 
picciare. 

S  tufi  là  r.  ifol.  Fischiare,  xuflolare. 

S  tu  gì  è.  Bom.  Coricare,  sdrajare.  - 
Stoglès.  Coricarsi,  porsi  agiacere. 

Stuinàr.  Fer.  Stuzzicare,  frugare. 

Starter.  Beg.  e  Airtn.  Cozzare,  dar 
di  cozzo. 

S  t  u  r  l  òn.  Bvg.  Csiparbio,  testereccio. 

Stussìr.  iteg.-St u ss àr.  Fer.  Scuò- 
tere, slNittaccliiare. 

S  v  b i  «  1  a  r. Fer. Appassire  per  séceità. 

Suòli.  Gen,  Acciarino;  fermaglio 
delle  ruote  dei  carri. 

Suiann.  /Tom.  Traveggole,  abl>ari>a- 
glio,  caligine  di  vista. 

S u ifanà r.  BoL  Cencioso.  -  Fr,  Cli i f- 
foMier  (?) 

Sunàr.  Fer,  e  f'tr.  Cògliere,  spa- 
Bocchlare. 

Su  ne.  Barn,  Grembiafa. 

Sunsir.  BoL  -  Sussi.  3tit.  Agogna- 
re, bramare  cupidamente. 

Su  razza.  A#od.  Upupa. 

Surena.  Bom,  Cinciallegra  pìccola 
turcbioa.  -  Dim.  di  Suora,  per  Mo- 
nachina, cmne  in  Lomb,  simile  tic- 
ce/to  dkesi  Mon egli  ina.  -  A.  Pa- 
rus  coeruleus. 

Suraieè.  Ttom.-Surnaceiàr.  Fer, 
Ronfare,  russare. 

Susanòu.  Bom.  Bajone,  iNijonaccio. 
Uomo  leggiero  che  si  trattiene  in 
cose  fanciullescbo. 

Sussi.  Bom.  Lìcnide  della  China.  - 
L.  Lycbnls  coronata. 

Sustachina.  Bom.  Piana,  pianone. 
Trave  un  poco  più  lunga  dei  cor^ 
rente. 

Suvàzz.  Bom,  Romlio.  fesce,  -  L, 
Pleuronectcs  rhombus. 

:lvadttrcs»  /toni. Spettorami, sciori- 


narsi. Sfibbiarsi  1  paimi  davaaH 
Svagliè.  iVom. Sgorgare, traboMWi 
Svaids.  Farm,  e  Piac.  SbadalOy  A 

alleato. 
Svàmpul.  Fer.  Spazio,  diferaon; 

S  V  a  m  p  u  I  à  r.  Esser  discfiiale. 
Svarzella.  Piae.  Lividura,  livid». 
Svél.  Bom,  Foce  mata  ad  inrfietr 

cota  of sai  grande,  aUmmo  rHaUm 

menie  al  bi$ogno, 
Svergna.  Piac.  Modo,  via,  ver». 
Svè  rgo  I.  Piae.  e  ijomh.  Sbieco,  tior 

to.-Sv  e  rgo  là.  Sbiecare,  stòreeic 
Svòtula.  /W*.  Bastonala. 
Svi  dar.  Barn,  Èssere  gelato  con 

marmo.  •  Svìdar.  Pioggia  come 

lata  che  pare  minutissimagrìiiidllc 
S  v  u  I  ò.  ilom.  Ripescare;  ritrovar  dtoe 

chessla  con  fatica  e  Industria. 
S  V  u  ruL  Bom.  Scaltrire,  scofw— w 


Tabalòri.  C^eii.  Baggèv,  babbiOM^ 
Tabbia.  Hoc,  Guscio,  scorza ddlt 

gumi. 
Tabena.  Hom.  Gozzoviglia. 
Tacagnàr.  Gem.  -  Tacagnè.  iliw 

Piatire,  litigare. 
Tàccola.  Gen.  S|>ecle  di  cor\'o. 
Taffiàr.  Boi.  Pacchiare.-  Taflida 

JUod.  Corpacciata. 
Tajè  r.  Beg.  e  Pioc.  Tafferia,  tagliere 
T  a  j  ó  I.  Beg.,  Parm,  e  Fer.  Magliuolo 

sermento  o  calmo  di  vile. 
Tamarèl.  Fer.  Bacchio.  -  MiL  Ma 

tarèll,  pattarèll. 
Tamìs.  ^IfaMl.  e  Fer.  Staccio,  criliro 
Tamisàr.  Fer.  Esplorare. 
Tamògn.   Boi.  Tanto  grande  •>  I 

Tam    magnus? 
Tamplàr.  Boi.  e  Parm.  llartetlan 

(  Diceù  dei  dolori).  -  T  a  m  p  1  è.  Urna 

Indugiare,  baloccare,  tcmpcllare. 
Tananài.  Gen.  Bisbiglio,  strèpile^. 
Tancl.  Fer.  Afla. 


nuuTH  e\iiLiANi. 


Tanz.  Piac.  Stuzzicare,  slimolure  il 
fooco. 

Tap.  Ainw.  Vestllo.-Tapar.  Vestire, 

invòlgere. 
Tarabàquel.  £ro/.  •  Tarabàllol.- 
Taribàcol.  Alti.  Bazzècole,  ciar- 
pe. 
Tarabùs.  Boi.  e  Row.  Ardea.  -  L. 
Ardea  stellaris. •  /n  Ilat,  dicesi 
pur  Tarabuso.  Trabuco. 
Taragbégna.  Boi,  CafKirbio^  osti- 
nalo. 
Taràgn.  Piac.  Stozzo;  scheggia  stac- 
cata dal  masso. 

Taràntolsi.  Piac.  e  Loinò.  Salaman- 
dra. 

Targò n.  Bot,  Impiasiricciamcnto. 

Tarif.  Beg,  -  Tarèf.  Ftr,  Fràcido, 
pùtrido. 

Tarlìs.  ter.  Gruma,  sucidunie. 

Tarlùc.  IÌM.,  Lomb.  e  Bcg.  Scimu 
nilo. -Tarlucà.  DiciTvcllarsi. 

Tarncgàr.  Pitie,  e  Punn.  Ammor- 
bare, appestare.  -  Tom egà.  Mil. 

Tarsantàr.  Fer.  l^acclictarc,  cal- 
mare. 

Tarsali  (A).  Boin.  Alla  rinfusa,  in 
mucchio. 

Tartarei.  Airm.-Dard  a  nel.  ^ofii^. 
Róndine  riparia. 

Tartlèint.  Pmc. Inzaccherato, sozzo. 

Tartiòn.  P/ac.  Gretto,  sciamannalo. 

Tartóf  f.  y7om.  Vescia  di  lupo.  Fungo 
velenoso.  •  A.  Lycoperdon  bo- 
vi si  a. 

Ta^isagnòl.  Boi,  e  Ponti.  -  Tassa- 
gnòn.  Piac.  Tarchiato. 

Tasse I.  Boi.  e  Parm.  Palco.  -  Beg. 
Solajo,  soffitta. 

Tasè.  Bom.  Grommalo. 

Tàlar.  Bom.  e  f'er.  -  Tàler.  .l/i7.  - 
Tàtare.  Boi.  e  Beg.  Ciarpe,  arredi 
logori.  -  Pig.  Baldracca,  merctrì- 
<*e.  -  Piac.  Taira. 

Tavarncll.  Piac.  Specie  di  pioppo. - 
A.  Populus  alba. 


Ta V èia.  Alani,  e  Per. Sìliqua;  guscio 

di  legume  In  generale.  ^BoLj  Btg.^ 

Mant,  e  Mit.  Matloncello^  pianella. 

Tavlcr.  Mod.  Semenzajo,  frutteto, 

bruolo. 
Taznà.  Piac,  Nettare^  pulire. 
Tee.  Bom.  Aggiunto  di  corpo  grasw, 
e  vuol  dire  Grasso  quartato;  tutto 
sugna. 
Tega.  Man  ^,  Parm  .^e  Aoc.  -  T  è  i  g  a. 
Beg.  Sacello ,  fruito  dei  legumi.  - 
L.  Tegere?  -  Ted.  Decken?  Co- 
prire, invòlgere.-^.  Tavola. 

Tcnca.  Fer.  Enfiatura,  bernòcoolo. 

Tepa.  Piac,  e  Loinb.  Borracina.  -  £.* 
Polytrlcum  commnne. 

Tera.  Gen.  Serie  di  varie  cose  unlle. 
Di  qui  Tiritera.  Filastrocca. Iiun* 
gàggine. 

T  e  r  I  ò  e.  Beg.  Baratto ,  carobio.-T  e  r* 
locchcr.  Barattare. 

Tcrnàs,  ternès.  Boi.,  Mod.eBeg. 
Serpentello,  fanciullo  vispo. 

Tcrs.  Beg.  Gromma,  tàrtaro,   tasso. 

Tèsse  ra.  Fer.  e  Lorna,  Tacca  per  me- 
moria e  riscontro. 

Ti  bòri.  Piac.  Catacombe,  sotterranei. 

T  i  e  m ,  limar.  Fer,  Coperta,  coprire 
(proprio  di  barca,  carro  e  simili  ). 

Timistòf.  Bom.  Schizzinoso,  schi- 
vo. -  Timistòf  a.  Monna  sehifal- 
poco,  cioè  donna  che  astutamente 
faccia  la  modesta  e  contegnosa. 

T i  m  p  io  n.  Bom.  Seggiola.  Quel  legno 
che  si  conficca  attraverso  sopra  Te- 
stremità  de'  correnti  per  coHegarli 
e  règgere  gli  ùltimi  émbrici  del 
tetto,  detti  Gronde. 

Tiogo.  Parm.  Squisito,  òttimo. 

Ti  za.  Boi.  -  Te  za.  Beg.  e  fcn.  Fe- 
nile.-Ticza.  Fer.  Capanna. 

Tivàr.  Fer.  Argilla,  terra  tenace. 

Tllznès.  Bom.  Arruginirsi,  ingial- 
lire (Dicesi  delle  foglie). 

Tobis.  Parm.  Avvinazzalo,  ebro. 

Toc,  tócca.  Fer.  Tacchino,  pilona. 


9M 


r4&n  sBxmoA. 


Tod  sa.  fkg„  Péme.,  Ftr.  e  ilo«i.  Teo-  Traquàì.  Boi.  Raggiro. 

tcBBOne. irre90lola.-|{o/. ScetatMv.  Trafora.  Mant.  e  #>r.  BarliateQa.- 
Tóft  IKofli.  Tmfo.  •  l#f7.  Tfif.  I    Tra t orar.  Propagioare. 

Tota.  EwdU,  Umh.  e  #Vhn.  Latta  ,<Travisa.  Piae.  Greppia,  nuBfiama. 

ferrostagoafoiolàiDiDe-f' Banda.  Tre  fora,  trinca  (de).  Gc».  J|f» 
Tolèr.  ilf^.  Màdia.  giunto  di  ?Simivo.-Kov  de  Ir  èia- 

Tornata  a.  Piae,  e  .l/i7.  Poaidoro.  -     e  a.  >'novo  di  zecca. 

^.  Solansin  LTcopersicam. -Trentacost.  /ÌOin.  Guffetto.  £/eoBlÌa 

5p.  Tonates.  I     di  rtfM.  -  £.  Ardea  ralloldes. 

Topi  Bara.  Mani,  e  P/ac- Topine- Tré  quel.  BoL  Treccone,  frattivèn- 


ra.  tkg.  Androne;  c/a  soilerràmea 
Mìa  iaipa. 

Top  pi  a.  Piac.  e  Fiem.  l*èrgoIa,  per- 
golato. 

Tdr.  Piac,  Pedale,  tronco,  f^.  Trus. 

To rizza.  Marni,  SXhiWe  (Aggiunto di 
Pacca), 

Tosta.  Piae,^  iUL  e  Mani,  .abbrusto- 
lire, alibronzare. 

Tota.  ilrg.  Sponda,  riparo  (l'roprio 
del  pozzo),  y.  Dalia. 


dolo. 
Trign.  Beg.  e  Parm,  Orcio,  ordao- 

lo. -f'.  Trago. 
Triòc.  Parm.  Accordo,  negozio. 
T  r  ò  e  a  l.  itoai.  Tocco,  tozzo,  r.  8 1  r  o  s. 
Tròl.  Beg,  Mazzuolo,  maglio.  -  fkr. 

Rostiatojo. -/^iN.  D'un  solo  peno. 

Dieeti  di  penosa  stinea  o  pingue, 

difficile  a  piegarsi. 
Trucia] a.  Boin.  i*ezzame,  rottane.- 

/  .  Tròcal. 


Toto.  Piae.  Torso,  cornocchio;  mallo  Trucca.  Gen.  Urlare,  cozzare. 


sgranalo  del  grano  torco.  -  /  '.  G  a  n- 
d»l  e  Mol. 

Tozla.  Fer,  Boccia,  gonfiezza. 

Tracagnòtt.  Parm.^  fìom.^  Fer,  e 
tomb.  TOnfacchlotto ,  tarchiato, 
piccolo  e  meiObruto. 

Traente.  77om. Traballare. 

Tra  dòn.  /Voc.  Gretto,  sciamannato. 

T  r'a  fi  r  i.  Bom,  Frùgolo,  frugolino (/>i- 
ce$i  di  fanciullo  vispo). 

Trafusàgn,  trafusòn.  Hom.  Bag- 
giratore,  sotlileingannatore.-Tra- 
fuse.  Ingannare  maliziosamente. 

Tragatta.  Piac.  Sciupare, dissipare. 

Tragn.  Mod.  Orcio.-  /'.  Trign. 

T  r  à  g  u  I.  !ìom.  Fèrcolo.  Stromcnto  vil- 
lereccio di  legno  a  guisa  di  forca 
assai  grande,  ma  senza  mànico  che 
per  via  tlen  sollevalo  da  terra  IV 
ratro,  acciocché  non  lógori  le  bure. 

Trago  a  Iz è.  /^oui.  Trangugiare. 

Traja.  Z^of.  Bilenco. 

Tram  ad  d'I  erra.  Fer.  CamiM). 

r  r a  n  t  a  1  ii,  IHac,  Trabiillare ,  barcol- 
lare. -  r.  Traculc. 


Trus.  Partn,,  Beg,  e  Fer.  -  Tro». 

Mod.  Fusto,  pedale.  -  F.  Stros, 

Tor  e  Tròcal. 
Trussiànt.   BoL  Accattone.  -  Fr, 

Trucheur. 
Tsèvd.  y?oin.  Scìpilo,  sciocco. -Tsl  V- 

dezza.  Insipidezza,  scipitezza. «f^. 

Dsévad. 
Tuba.  Boi.  Roroorc. 
Tucciar,  pucciar.  AVr. -Puccià. 

Lomb.  Intìngere. - /^  Pucci à. 
Tu  dna  r.  Boi.  Sobillare,  forzare. 
Tudnè.  //om.  Lellare,  ninnare:  olel- 

larla,  ninnarla.  Èssere  o  andar  lento 

neir operare.  -  Tu d non,  tòdna. 

Tentennone. 
Tufògn.  Roìn.  -  Tuff.  Gen.Tanio^W 

fetore  della  muffa.-  F.  Tóff. 
Tulliana.  Boi.  e  Fer.  Gozzoviglia. 
Tumàzz.  Bom.  Razza  bianca.  iVfct 

ìnarintì.  •  £.  R  a j  a   b  a  t  i  s. 
T  u  m è n.  Bom.  Squacclierato.  Agg.  di 

formaggio  tènero  e  quasi  liquido. 
Tundunùr.  Boi.'  Tindonàr.  f>r. 


DIALETTI  EMILUMI. 

Indugiare. -  Tundunàr.  Fer. vale 

Schernire. 
Td  reiò  n.  Bom,  Punteruolo  baco,  sea* 

rabeo  mangiaviti.  •  L  Cu  r cui  io 

bacchus. 
Tursgòn.  Rom,  Torso,  tórsolo.  Ciò 

che  rimane  delle  mele  e  timili,  le- 

9alo  loro  d'inlomo  il  pericarpio, 
Tarululù.  fiom.  Chiurlo,  allocco.  - 

Fig,  Balordo.  Di  qui  il  MiL  Tur- 

luru. 
Tusùr.  Bom,  Cesojc. 
Tuss.  Boi,  Colpo,  botto. 
Tuzz.  BoL  Sloppa. 


201 


13 

Ccarèlla,  Boììi,  Fermo,  fermaglio. 
Quel  ferro  che  impedisce  il  chiù- 
dersi alle  imposte  de|leflm*$l re  al* 
lorchc  si  tengono  aperte. 

Ucarina  (Far  V),  Fér,  Far  le  flche. 

Uelàr.  Fer,  Gridare,  esclamare. 

(ili  ve  il  a.  Bom.  Ligustro,  ruvistlco. 
L,  Liguslrum  vuIgare.-Pepe 
montano,  laureola.  -  L,  Daphne 
laureola. 

Ulz.  Beg.  e  Pann.  Penzolo  {D'uva  e 
timili). 

Urèz.  Boi.  Bacìo.  -  Bom.  Uggia.  Da 
Orezzo,  al  rezzo?  In  dialetlo  Tici- 
ne$e  A  u ri  z  i ,  u  r I z  1  sign.  Uragano. 

Urei n a.  Fer,  Erba  sempre  viva. 

Uss.  Bom.  y,  conlad,  per  fermare  il 

paséM)  de^  buoi. 
Usta.  Mani,  e  yer.  Odorato. 
Usvèi.  Boi.  •  Usvii.   Beg.  -  Usvì. 
Fer,  Utensili.  -  Usa  dèi.  Mil.  Mas- 
serizie. 
Uver.  Boi.  Poppa  della  vacca. -la/. 
Ubera?  -  Bom,  Uvar.  Poppa.  Ù- 
vero. 


Vales  tra.  Piac,  Cesta  piana  e  larga, 
l^alinti.  Piac,  Riaversi  dopo  malat- 
tia. -  L.  Val  esce  re. 


Vampa.  Piac,  Lampo,  baleno. 
Vana  1.  Fer, Inferigno (Agfi,di  pauC^. 
Vaniza.  Boi.  •  Vaneza.  Fer,^\a* 
niezza.  Fer.  Porca;   qjuola   più 
larga  del  sòlito. 
V  a  n  V  ò  n.  Boi.  Sotterfugio. 
Va rii n a.  Piac, Sgualdrina,  meretrice. 
Va r bèi.  Bom.  Processo. 
Vargh.  Frr.  Spazio;  quantità  di  case 

unite. 

Vargh  è.  Bom  Passare.  Diccti  degli 

uccelli  che  vanno  da  una  rogioiiu 

ali*  altra.  Forse  dalV  II.  Varcare. 

Va  rg  n ò n.  Bom,  Brontolone ,  queru- 

looe. 
Vargòt,  vergòt.  F.  cani.  Parm.  e 

Lomb.  Qualche  cosa. 
Vari  otta.  Bom.  Vette,  capra,  ver- 
ricello, maììneìlo.  "  Farie  Mpede  di 
màcchine  per  sollevare  o  smàvere 
enormi  pesi. 
Va r ter.  Bom.  Aggiunto  di  cappone 

ben  capponato. 
Vartìs.  A'oc.-Avertis. /Vinti. Lùp- 
polo. -  I.  II u mutua  lupultts.  - 
r.  Lovertìs. 
Vasi  a.  Beg,  Stèrile,  infeconda  (Di» 

cesi  di  fémmina). 
Vcina.   Bom,  Imtiozzaccbito,  acria- 
tello  {Dicesi  d*uomo  che  cresce  a 
slenlo). 
Vdéó.  Bom.  Fiiucchlo. - 1.  Convol- 

vulus  arvensis. 
Vedergiàzz.  Parm.    Brina,   gela- 

vernii. 
Vene.  Bom.  Salcio  giallo,  salcio  da 
legare.-  L.  Salix  vitellina.   - 
Da  Vinco? 
Vera,  vcira.  (ìen.  Ghiera,  cerchio 

di  metallo.  -  Bom,  Vira. 
Verdza.  Piac.  Scriminatura. 
Vergna.  ^o/.  Chiasso,  romorc^fìrr. 
e  Mil.  Modi  affettati  e  nojosi;  sdol- 
cinato stràscico  di  voce. 
V  e  r  r.  Piac,  Verro,  migale  non  castra- 
lo. -  ÌAit,  Verres.  -  Verr  chiù' 


Ì99  PARTE  SkXOXOA. 

filanti  ancora  quegli  .ipigoU  q  lembi      nUre.  •  Z  u  f  ù  I.  Impiastro  ;  fig.  Coih 

di  terra  levinoli  dall'aratro,  venzioue  conclusa  con  iabrogliò. 

Vèr  zar.  Fer.  e  Ter.  Aprire.  iZagajar.  lioL  Ciarpare,  acciabbai-' 

Viadana.  Pann.  Badile  e  scalpello. j     lare. 
V  i  d  1  a  d  11  r a.  ftom,  Scrè|)Olo ,  fendi-  Z a  g a  n  e  1  i  a.  Roin.  Crespello.  Frildla 

tura.  -  Vidi  a.  Crepaccialo.  sere-;     di  pasta  soda  che  messa  acuòetre 

potalo.  I     si  raecrespa. 

Vidra.  Pan».  Vctrice.  jZag  noli  a.  ^^«7.  Ciòtola,  coppa. 

Vincolòs.P/oc.Importuno,seccante.'ZallrÒD.  Ùol,,  Piac.  e  f^er,  Gr«it^, 
Vincàr.  Fer,  Piegare,  tòrcere. /^a      tritone.  - //a/. Ciallrone,  cialiron». 

Vinco? -Vincàrs.  PariN.  Piegarsi.  Zam arra.  /fcg.  Sgaaldrina. 
VI5.  PtaC'L.  Chenopodium  sco- Zambròtl.  Fer.  Fondaccio,  faBfblr 

paria.  !    glia.-Zarobruttàr.  Sciaguattare. 

Visenda,  ave  visenda.  F»om.   eZaropignàr.   Fer,  -  Ciampigoà. 

Mod,  Coni.  Affari,  aver  affari.        j     l.omb.  Lavoracchiare. 
Vivàgn.  Bùi,  Orlo,  lembo.  :Zana.  Parin.  Troja. 

Vivogna  (d'  roesza).  Fer.  Medio-'zancbe.  Mani.,  Fer.  e  Boi.  Tràfli- 

ere.  Oorrtiziontf  di  Vigogna.  6m.\     poli.- Ave  la  lanche. /toin.  Aver 
Vizòl.  Hom.  Doglio.  Vaso  di  legno  al     lagaml»ata;es8ergittatogià  di  sella. 

guisa  di  bariglione,  ma  assai  più  Zang.  fìtg.  Kandello. 

grande.-Vizulcn.Carratello. .Vpe.!zangarìn.  Fer.  Luccio,  pesce. 

eie  di  botte  lunga  e  tirella,  jZa n è i n.  lieg.  Tonchio,  gorgoglione.: 

Vlum.  Parm.- MI um./:oii}6. Pioggia!     Fer.  Zanìn. 

iZapal.  Bom.  Labbro. 


adusta,  dannosa  alle  piante. 
V 1  o  p.  Mod.  Sermento. 
V  ó  g  a  n.  /?om.Burbera,  carrùcola.  Siro- 

mento  intomo  a  cui  s*  avvolge  un 


Zapèn.  Boin.  Abete  di  Germania.  - 

L,  Piniis  picca.  •  fr,  Sapin. 
Zappèl.  Piac.  Varco,  passo. 


cànape  per  uso  di  tirar  pesi  in  allo  Za  piar.  Parm.  e  Piac.  -  Soppedà. 


0  ùqua  da*  pozzi. 
Vrign.  /^oc.  Acerbo,  immaturo. 


Z 


Za  bai.  JìOiìi.  Bagliore,  abbacina- 
mento. 

Zabié.  Hom.  Brughiera,  grillaja. 

Zaccagnàr.  /^o/.  -  Zacagna.  Boni. 
Frugare,  rovistare.  -  Z  a  e  a  gn  ar  i  è. 
Fer.  Bazzècola. 

Zac  là.  Bom.  Taccolarc,  berlingare, 
ciarlare. 

Zaf  t  ii.  Bom.  Basoiflare,  scuffiare. 

Zaffa  riì.  Piac.  Giumella;  quanto  può 
capir  e  il  vuoto  d*amòe  le  mani  av- 
v/ein  aie.  -  r.  Zemna. 

Zaf u là.    /?om.  Trambustare ,  trame- 


j     MU.  Calpestare. 

.Zaquàr.  Parm.  Coricare,  stèndere 

al  suolo.  Cosi  fa  il  vento  colie  biade 

e  simili. 
Zarbàc.  Bom.  Strapazzo. 
Zarbùn.  Fer.  Sterpo.  -  Zarbonàr. 

Sterpare.  -  F,  Zerbi. 
Zararaella.  FtT,  Brenna^  rozzo. 
Zara  (Dar  in).  Fer.  Dare  in  dam- 

panclle. 
Zara  II  dui.  Bui.  Sciamannato. 
Za  ri.  Fer.  Vègeto,  vigoroso. 
Za  ri  a.  Bom.  Stimolare  i  buoi. 
Z  a  r  1  ò  n.  Bom,  Capo  sventato ,  cervel- 
lino. -  Capriccio,  Stranezza. 
Zar  ma  eia.  Bom,  Screziare,  cbiai- 

zare. -Zarmaciadura.  Briiiola* 

tura,  screziatura. 


mALETTI  lkVlLT4?n. 


tos 


Zètnhì.  F^r,  Pieno. 

Zarzacla.  Parm.  Donna  ciarliera.  • 

Za  nadir.  Gironzare. 
Z a  ▼  à  i.  Boi.  e  Mod,  R igatf icre^-  Hòm, 

Baratto.  <-  Za  t  a J  ò  n.  Garbuglione. 
2airarii.  itom.-Zavarfllr,  zava- 

rièr.  Mmnt,  Beg.  e  Kfr.  Vacillare 

eoa  la  mente,  farneticare,  bariH)!'- 

lare. 
Zavarròn.  fiam,  Oorrentone.  Travi* 

cello  riquadrato  t^e  si  mette  ne' 

paludi]. 
Za  Ti  ri.  00$.  Ciarpa. 
Zdròn.  Jìom,  Malattìa  de'*  buoi    e 

m^JaH,  ^Ita  Setoloiie,  mal  dd  ric- 
cio. 
Zé.  B0t  Aa.  Cwritpwde  anche  a  Ma* 

donna,  signora. -Zé  Minghèlna. 

MadoMM  Doménica.  '  F.  Cié. 
Zeffa.  Per,  Capitozza.  -  r.  Cab  a. 
Zègar.  Bom,  Beocaflco  di  palude.  - 

L  Anas  crecca. 
Z  è  i  n  a.  Pattn.  e  Piac.  -Zina.  Mani. 

e  Fer.  -  Zen  a.  Bom.  Caprùgglne.- 


Zètt.  fìoin.  Sciame. 

Zèzzol.  /Voc.  Cércine;  cerchio  dì  fa- 
né, lisca  0  d'altro,  su  cui  vengono 
riposte  le  pentole. 

Zéxzola.  Pfae.  e  Mani.  Paletta  che 
serve  a  dispensar  la  farina.  -  Jn 
dial.  yen,  S  é  s  s  ol  a  dtnoia  it  mede- 
Simo  ttrmnehio  die  ierve  \a  'kPat 
faqfM  dal  fondo  deffe  barche. 

Zgugnis.  i?om.' Sbozzacchire,  uscir 
del  fifliicume. 

Zi  bega.  Pfae.  Lezioso,  ^dilflttoso  nei 
cibo. 

Zicorgna.  Parm.  Ceràmbice  mu- 
scato. 

Zig,  zig  a.  Bom.  Strtdo,  strìdere. - 
Z 1  g  a  r .  Bet.  •  Z 1  g  à  r.  Ten.  Gridare. 

Zigà.  /'/ae.-Iiizigà.  Mit.  Aiziare.- 
r.  Zig. 

Z  i  g  a  r  0 1  a.  Beg,  Aquilone ,  tramon - 
tana. 

Z i g  og  n  a.  Piac.  Scricchiolare. 

Z  i  g  0 1 1  li  r.  Parm.  e  Piac.  Dondolare, 
scuòtere. 


Zina.  Bom.  -  Zi  nàr.  Fer.  Caprug-  Zig  non.  Bom.  e  Parm.  Cignone;  cfuf- 


glnare. 
Zèinguel.  Boi.  floscio,  fiacco, 
^élga.  Bom.  Pàssera  montanina.  - 


fo  che  le  donne  si  fanno  In  lesta  per 
adornamento. 
Zimga.  Boi.  Sbirciare. 


ÌL.  Fringilla  montana.   -  Tf/i.' ZI ngulòn.  5o/.  Scioperato. 


Sélega. 


iZinzavrèin.  Piac.  e  Lomb.  Giùg- 


-Zemoa,  zimna.  Bom.  e  Boi.  Giù-      gioia.  -  L.  Zizyphus  vulgaris. 
mella.  Specie  di  misura  che  vale  Zinzaréll.  Bom.  Grumetto.  -  Fari 


quanto  la  capacità  di  due  mani  ac- 
costate insieme.  -  ^.Gemina? 

^en4ara.  Boi.  c;inepreto. 

^éran.  Piac.  Scégliere.-  iL. Cerne- 
re.-Zér  ni  t  a.  Scelta. 

^erla  {Fara).  Fer.  Fare  a  socio.  - 
Bom.  sign.  quel  pajo  di  buoi,  che 
9l  méttono  d'innanzi  a  quelli  del 
timone. 

^erbi.  Parm.,  Piac.  e  Lomb.  Soda- 
glia, grillaja.-Z  a  r  b  ó  n.  Fer.  Sterpo. 

2erra.  Boi.  Bagatella. 

iZesnéI.  Boi.  Pecorino,  caprino.  • 
Bom.  ZisnéIl. 


zinzaréll.  Formarsi  In  grumi;  rap- 

pigliarsi. 
Z  i  p  a  d  u  r  a.  Fer.  Crespamente. 
Ziribigola.  Piac,  Zanzara. 
Zisòn.  Bom.  Germano  o  Collo  verde. 

n  maschio  delle  varie  specie  delle 

ànitre  maggiori  domèstiche  «  sai- 

vàtichc. 
Zi  ss.  Bcg.  Sugo,  aqua  di  letame. 
Z  ì  V  u  I.  Bom,  -  Z  é  V  0 1.  Parm,  Cèfalo, 

mùggine.  Pesce  marino.'  I.  Mugil 

cephalus. 
Zizésca.  Bom.  Cesena,  tordella  gaz- 

zjna.  -  /».  Turdus  pilaris. 


Znèster.  Boi.  Mitro. 

Zoe.  Gen.  Ceppo.  -  Zoca.  fiom.  Cep- 
pila. 

Zolàr.  Mani.  Bastonare.  -  Zoièr. 
Beg.  Appoggiare ,  appiccare.  •  y. 
Znlla. 

Zornia.  Boi.  Stùpido,  t>aIordo. 

Zoita.  Partn.,  Beg.  e  Mod.  Imbrat- 
to; aqua  grassa  clie  si  dà  in  pasto 
ai  majali. 

Zózzal.  Bom,  Sciatto,  sciamannato. 
.  Onriiponde  quasi  a  Soazo. 

Ztarón.  Bom.  Rosciola.  Pianta  co- 
mune fra  le  biade.  -Z.  A  g  ro  s  t  e  ra- 
ma githago- 

Zlèr.  Beg.  -  Zetàr.  yer.  -  Ztàr. 
Fer,  Temperare ,  tagliare  (  Ditesi 
delle  penne  da  scrÌ9ere). 


PAITE  SECÙHDà, 

Zubbiàn.   Pav.   Scioperatou  -  Mil 

Gabbiàn. 
Zucara.  Boi.  •  Zuccherla.  Hòc 

Grillotalpa. 
Zuggnòla.  i9o(.  Aiolla  della  fsMdel 

pozzo.-<f  gagnó  la.f>r.Carrieolt 
Zugna.  /Voc.aarpare,acciabsltare 
Zulla.  Fer.  Percossa.*  Zuliàr.  Pier 

enotere.  •  r.  Zolàr. 
Zui  marèn.  Bom.  Zìgolo  nero.-  £ 

Emberiza  cirlus. 
Zulzèn.  Bom.  Rigàgnolo.  -  L^a^si 

che  corre  per  la  parte  più  bam 

delle  strade. 
Zurpa.  Bom.  Far  baje,  ruzzare. 
Zutà.  Bom.  Prèndere  a  sassi. 
Z  V  a  d  ga.  Boi.  Società ,  aeeoaièiMMi 

di  bestiame. 


:^S: 


CAPO  iv; 

Cenfti  istorici  sulla  letteratura  dei  dialetti  emiliani. 

t 

Groppo  Bolo^rte. 

heominciando  il  nostro  cenno  dalle  produzioni  letteràrie  del 
primo  grappo ,  che  abbiamo  denominato  bolognese ,  è  mestieri 
preméttere  alcime  osservazioni,  quali  sono:  l.°  Gbe  fra  tutti  i 
dialetti  componenti  questo  gruppo ,  il  principale ,  vale  a  dire  il 
Mogmu  propriamente  detto,  è  il  solo  che  veramente  possegga 
letteratura  propria  ricca  di  svariati  componimenti,  si  in  prosa  che 
In  verso,  di  autori  versati  nelle  scientìfiche  discipline  del  pari 
che  nelle  clàssiche  letterature  ;  mentre  quasi  tutti  gli  altri  dia- 
letti o  rimasero  perfettamente  inculti  sino  ai  di  nostri,  o  nove- 
rano appena  un  ristretto  nùmero  di  produzioni,  per  lo  più  d'oc- 
casione ,  cui  mal  s' addirebbe  lo  specioso  titolo  di  letteratura  ; 
S.'*  Che  eziandìo  nel  dialetto  bolognese  s' incominciò  a  scrivere 
assai  tardi,  vale  a  dire  sul  tramonto  appena  del  sècolo XVI, per 
nodo  che  la  sua  letteratura  conta  poco  più  che  due  sècoli  d' e- 
sistenza  ;  e  durante  questo  periodo  ebbe  anch'  essa  a  subire  le 
sue  fasi  e  le  sue  interruzioni  a  norma  delle  politiche  vicende , 
che  in  ùgaì  luogo  e  in  ogni  tempo  impressero  il  rispettivo  colore 
sui  vari  componimenti;  3.°  Che  mentre  gli  scrittori  lombardi, 
come  accennammo  superiormente ,  esordirono  coi  loro  componi- 
mmUi  vernàcoli  nei  rùstici  dialetti ,  alternando  successivamente 
quelli  di  Val  di  Blenio,  di  Valle  Intragna,  e  della  campagna.supe- 
riore  milanese,  togliendo  sempre  a  pròprio  rappresentante  l'uomo 
delle  infime  classi ,  i^  Bolognesi  air  incontro  si  valsero  .sin  ;  da 
principio  del  dialetto,  cittadino  non  solo ,  mi^  scèb^*o  a  prefe- 


396  PAITC  dlCO.'^DA. 

renza  a  loro  intèrprete  V  uomo  distinto  per  nàscila  e  per  sciema. 
dal  cui  grave  contegno  e  sentenzioso  diàlogo  traspare  ovunque 
il  motto  caratteristico  della  nazione:  Bononia  docci.  Il  primo 
personaggio  infatti  scelto  per  tipo  a  rappresentare  il  BolognMC 
nelle  più  antiche  commedie  si  fu  certo  Dottor  Graziano^  che  pei 
lo  più  cogli  arguti  consigli  prestava  la  chiave  allo  sviluppo  diri 
dramma  nelle  rappresentazioni  famigliari .  che  furono  assai  mi* 
merose  nel  sècolo  XVII.  Al  Dottor  Graziano  furono  sostitaiti  siifr 
cessivaraente  il  Dottor  Balanzòn  Lombarda  ed  il  Dottor  Tmvlèia, 
il  primo  de' quali  ^  come  mèdico  e  filòsofo  ^  prestò  lungamente  il 
sale  e  la  dottrina  ai  poeti  ed  agli  scrittori  di  commedie ,  ed  il 
secondo,  come  astrònomo,  prestò  il  nome  ad  una  lunga  sèrie 
d' almanacchi  ripieni  di  faceti  componimenti  poètici. 

Fra  i  più  antichi  scrittori  di  commedie,  che  introdussero yev 
la  prima  volta  il  Bolognese  Graziano  a  parlarvi  la  nativa  Ai^eiit^ 
meritano  speciale  menzione  Giulio  Cesare  Croci ,  Adriano  Bah 
chieri,  col  mentito  nome  di  CamWo  Scaligeri  dalia  FrailatìUt' 
chiorre  Zoppio,  Diofebo  Agresti,  Fabrizio  Mirandola,  Fulvio GHoi 
rardi  ed  altri  molti  che  arricchirono  di  componimenti  dramnà* 
tic!  la  patria  letteratura  ;  ma  in  tutte  queste  produsloni  inlete*! 
ricreare  gli  spiriti  fra  gli  ozj  autunnali  e  le  lunghe  sere  d'Ha^ 
verno ,  il  dialetto  bolognese ,  come  si  scorge ,  non  vi  ebbe  elM 
parte  secondaria ,  in  forma  di  diàlogo  domèstico ,  essendo  d' al* 
tronde  quasi  tutte  queste  commedie  scritte  in  lingua  italiana ,  e 
parlandovi  il  solo  Graziano  la  nativa.  Arrogo,  che  talvolta  Tao* 
tore  di  tali  drammi  non  era  neppure  Bolognese ,  e  che  pev 
conseguenza  ben  di  sovente  il  linguaggio  posto  in  bocca  al  6m« 
ziano  era  un  linguaggio  baslardo  ripieno d' idiotismi  divari  paesi, 
guasti  ancora  dair  ortografia  imperfetta  adottata  dai  tipògrafi  e 
dair imperizia  dei  copisli. 

Per  queste  ed  altre  slmili  considerazioni ,  il  primo  serìtlore 
che  dobbiamo  risguardare  come  fondatore  e  padre  della  lettera^ 
tura  vernàcola  bolognese ,  si  è  il  rinomato  Giulio  Cesare  Crodi) 
il  quale  fornito  di  vivace  e  fèrtile  immaginazione  e  di  poèlld 
talenti ,  dtre  ad  un  nùmero  ragguardévole  di  commedie,  sèfttH 
ancora  alquanti  componimenti  poètici  nel  volgare  dialetto,  e 


DULrrri  i  miuam.  297 

folU  iBcora  in  quello  deUa  campagna.  Tali  sono  Ara  gli  allri  : 
//  tomento  di  Barba  Poi  per  aver  perso  la  TogniìM  sua  tnas^ 
saja^  Il  BaUibecco  delle  laoandarej  II  lamento  dei  oillani  pel 
bando  che  intimala  loro  la  consegna  degli  schioppij  La  Tebia 
#  Barbfn  Poi  da  la  Livradga  fatta  dtU  Ca/pall;  La  Bossa  dal  Ver* 
90/  £a  Fleppa  combattùj  La  Simona  dalla  Sambuca  ;  Il  Festino 
di  Burba  Bigo  dtUla  Valle;  Vanto  dt  due  Villani;  La  gram 
grida  fatta  da  Vergon  dalla  Sambuca  per  aiper  perso  l*  àsino 
del  tao  patrone.  Rivaleggiava  col  Croci  Adriano  Banchieri^  il 
qoale  coUo  scopo  di  promuòvere  la  patria  letteratura  vernàcola, 
fobbUcò  nel  1636  in  Bologna  un  Discorso  sulla  precedenza  ed 
eeeedenxa  della  lingwi  bolognese  alla  toscana  j  così  nella  prosa 
tome  nel  ^erso.  • . 

Le  speciose  argomenlazioni  colle  quali  tentò  provare  l'assunto 
non  rìnisero  sena  effetto ,  dappoiché  due  anni  posteriormente 
il  pittore  bolognese  Gio.  Francesco  Negri  pubblicava  una  versione 
n  dialetto  bolognese  della  Gerusalemme  liberata  di  Torquato 
Tasso;  tentativo  per  verità  non  meno  àrduo  che  difficile^  col 
spiale ,  sebbene  a  suo  malgrado ,  il  traduttore  diede  una  solenne 
SMDtita  di  fatto  alle  ardite  asserzioni  del  Banchieri  rispetto  alla 
9operìorìtà  di  quel  dialetto  al  paraggio  dell'italiana  favella; 
^jaccbè  non  appena  ebbe  egli  pubblicato  il  duodècimo  Canto 
^ella  sua  versione,  che  i  principali  Signori  di  Bologna  gli  vio- 
larono di  continuarne  la  pubblicazione ,  per  non  palesare  il 
droppo  ridicoloso  effetto  della  loro  natia  favella,,  Co^  appunto 
^uona  mia  nota  apposta  in  fine  del  volume  contenente  il  fram- 
nnento  della  versione  suddetta.  Con  tutto  ciò  npn  lasceremo  a 
^esto  propòsito  di  avvertire  <,  che  se  ardito  e  men  fondato  ci 
parve  il  tema  proposto  dal  Banchieri,  non  possiamo  nemmeno 
INrender  parte  neir  opinione  dei  Signori  bolognesi  che  distòlsero 
il  Negri  dal  compimento  dell'impresa  versione  ;  mentre,  lasciando 
9  parie  qualsiasi  inopportuno  confronto,  egli  è  fuor  d'ogni  dub- 
bio che  il  dialetto  bolognese ,  al  pari  di  tutti  gli  altri  dialetti , 
ha  le  sue  peculiari  e  distintive  bellezae,  come  appare  da  al- 
^pianti  brani  della  versione  surriferita ,  e  meglio  ancora  da  una 
lunga  serie  di  componimenti  originali  di  scrittori  distinti  che  il- 
lustrarono quel  sècolo,  non  che  i  successivi. 


^98  PARTI  SEICdmiA. 

Procedendo  sulle  orme  del  Banchieri,  verso  la  meli  della sImi 
secolo,  Ovidio  Montalbani  si  fece  a  provare  rantichiti,  riaipoi 
tanza  e  la  bellezza  della  patria  lingua  in  due  òpere  8iiece«lv 
intitolate;  la  prima:  Dialogogxa,  orpero  delle  cagioni  e  deUmtm 
iuralezza  del  parlare j  e  spezialmente  del  più  anlico,  del  più  ijin 
di  Bologna;  la  3.'  Cronopròstasi  Fehinea,  owero  le  tgliimil 
vUìéicie  del  parlar  bolognese  e  lombardo.  Ambedue  queste  dpdn 
furono  più  tardi  dallo  stesso  autore  compenetrate  nel  libro  M 
telato:  Il  Vocabolista  bolognese,  nel  quale  sidimoslra  U  pmtim 
pia  antico  di  Bologna  lodewlisHmo.  '    t 

Questi  nuovi  sforzi  del  Montalbani  intesi  a  provare  la  noUH 
e  la  ricchezza  del  pròprio  dialetto,  furono  ben  presto  asaaeai* 
dati  dagli  scrittori  successivi,  che  in  buon  nùmero  si  fecero  ai 
illustrarlo  con  upa  serie  di  componimenti  originali.  Senza  soCv' 
marci  alle  poesie  di  minor  conto  di  Antonio  Maria  Acconi,  ehi 
sono  qua  e  là  cosperse  d'àtti(M>  sale  e  di  lèpide  immàgini,  aè* 
riia  onorévole  menzione  sopra  tutti  il  celebre  Lotto  Lotti  ^  cIm 
sollevò  pel  primo  il  pròprio  dialetto  air  onore  dell'  epopèa,  ode- 
brando  in  cinque  Ganti  in  ottava  rima  La  Liberazione  di  /^jeniw 
daW  assedio  dei  Turchi.  Sono  importanti  le  osservasioni  jhllt 
dallo  stesso  autóre  nella  prefazione  al  suo  poemetto,  cui  diede 
lo  strano  tìtolo:  Cli*  n'à  cervèll  àpa  gamù^  colle  quali,  mentre 
cerca  iscusare  l'improprietà  di  certe  voci  per  lui  adoperate, elH 
potrebbero  non  sembrare  a  taluno  prette  bolognesi ,  accenna  alla 
varietà  di  fraseggiare,  di  pronuncia,  di  accento  e  d'idiotìsiai 
esistente  a^  suoi  tempi ,  vale  a  dire  due  sècoli  fa,  nei  varii  quar- 
tieri della  stessa  città  di  Bologna,  cosi  appunto  come  noi  l'ab- 
biamo notata  oggidì,  non  solo  in  Bologna,  ma  in  tutte  le  grandi 
città  d' Italia.  Una  tale  testimonianza  essendo  di  gran  valore  pd 
linguista,  al  quale  somministra  novella  prova,  che  nemméno  li 
vicinanza  ed  il  quotidiano  commercio  tra  due  dialetti  comunque 
affini,  vale  coi  sècoli  a  fónderli  perfettamente  in  un  solo ^. né 
molto  meno  a  distrùggere  gli  essenziali  elementi  primitivi  che 
li  distinguono,  crediamo  opportuno  riportarla  verbalmente, Ande 
avvalorare  ancor  più  i  cànoni  principali  che  nel  corso  <B  qiMte 
penose  ricerdie  siamo  venuti  mano- mano  sviluppando.  ••  Tqiai 


DIALETTI   EMIUAM.  299 

dirai,  eosl  parla  il  poeta  al  lettore,  che  Y  elocuzióne  Boa  è  pu- 
rameiite  bolognese,  perchè  talora  per  ispiegare  una  ooea,  mi 
servirò  d'nn  tèrmine,  ora  d'un  altro;  che  il  parlar  bolognese  è 
un  solo,  e  che  deve  ancora  esser  sola  la  parola  e  la  maniera 
che  deire  spiegarlo.  In  questo  ti  voglio  avvisato,  che  il  parlar 
bolognese  è  un  parlar  misto,  e  che  varia  frase,  pronuncia,  ac- 
centò ,  proverbj,  al  variarsi  degli  ingoli  della  città;  perchè  chi 
ibita  verso  la  via  Romana  detta  Strà  maggiore^  pare  che  imiti 
il  Romagnolo  ;  chi  alla  porta  di  strada  S.  Stefano  fino  a  quella 
di  Saragozza,  s'accosta  al  Firentino;  chi  alla  porta  di  S. Felice 
sino  a  Galliera ,  mostra  un  non  so  che  di  linguaggio  lombardo  ; 
e  da  questa  sino  a  porta  Sanvitale  assomigliasi  un  poco  al  Fer- 
rarese; derivando  ciò  per  lo  commercio  che  hanno  più  vicino 
con  i  fiorestieri,  che  concorrono  dai  nominati  paesi  ;  osservazioni, 
che,  considerate  come  verissime,  ti  chiuderanno  il  passo  a  qual- 
che errònea  opposizione ,  che  forse  mal  avvertito  contro  mi  sca- 
gliaresti. 

n  ki  Bologna ,  per  lo  tràffico  delle  sete ,  ovvi  un  tal  parlare 
pròprio  dei  filatoglieri,  cosi  stravolto,  che  chi  non  è  ben  prà- 
tico di  questo  difficilmente  l'intenderà.  Fra  queste  ottave  vi  sono 
molte  formolo  che  a  lèggerle  pàjono  scipite,  ma  a  sentirle  arti- 
colare sono  assai  piacévoli  e  gustose;  però  quando  tu  nel  lèg- 
gerle non  vi  saprai  aggiùngere  la  pròpria  pronuncia ,  non  le  in- 
tenderai. " 

Oltre  al  citato  poemetto,  il  Lotti  pose  in  luce  altri  componi- 
menti ,  fra  i  quali  un'  òpera  divisa  in  sei  diàloghi  e  ripiena 
d'utili  ammaestramenti,  cui  diede  il  modesto  tìtolo  di:  Rimedi 
fir  la  sonn  da  lèzr  alla  banzola.  Rivaleggiò  con  lui  nella  spon- 
taneità e  grazia  poètica  il  bolognese  Geminiano  Megnani,  che 
col  mentito  nome  di  Zorz  Burlintòn  prosegui  sullo  stesso  argo- 
nento,  e  cantò  in  due  separati  poemetti  le  vittorie  dei  Cristiani 
contro  i  Turchi  dopo  la  liberazione  di  Vienna.  Frattanto  non 
mancarono  altri  poeti  che  coltivarono  con  onore  la  lìrica,  met- 
tendo in  luce  alquante  poesìe  d'  occasione ,  sebbene  per  la  te- 
nuità del  formato  e  per  la  poca  importanza  degli  argomenti  ^ 
solo  poche  giungessero  fino  a  noi.  Per  tal  modo  la  letteratura  e 


500  FAftn  MCOXDA. 

la  poesUi  ternioola  bolognese,  come  ebbe  principio  eoi  rteoloXVH^ 
fu  anceni  nel  eono  del  medésimo  solidamente  stabiMf  ed  isBai- 
zata  al  rango  delle  altre  letterature  vemàcole.  * 

Aperta  ed  agevolata  la  strada^  s*  accrebbe  a  dismisura  nel  sè- 
colo seguente  il  nùmero  dei  verseggiatori,  e  poiché  ncm  s'ebbe 
più  a  temere  quel  ridkoloso  vffelto  del  parlar  òolognnej  die 
vietò  al  Negri  la  versione  del  Tasso,  anche  le  imitazioni  dai 
clàssici  poemi  si  succèssero  rapidamente.  Vi  pose  mano  il  bene<^ 
mèrito  Giuseppe  Maria  Bovina,  voltando  in  ottava  rima  bolofoése 
il  rinomalo  poemetto:  Le  Dmjraiiv  di  Bertoldino;  ciò  cbe  in- 
vogliò le  distinte  sorelle  Zanetti  e  le  non  men  benemèrite  Man- 
fredi a  tradurre  dall'  originale  creduto  di  Pompeo  Vizzani^  in  ci- 
tava rima  bolognese ,  i  tre  poemetti  intitolati  :  Le  Di»graMk  di 
Bertoldo^  Bertoldino  e  Cacasenno.  Né  quivi  s' arrestarono  le  in- 
stancàbili Manfredi ,  che  fra  gli  studj  più  gravi  delle  dàasioba 
lèttere  nelle  quali  còlsero  tanti  e  si  svariati  allòri,  noniadegnih 
rono  di  scéndere  sovente  a  conversare  famigliarmente  ooUe  ìth 
fimo  classi ,  voltando  cen  singoiar  grazia  e  maestria  nella  loro 
prosa  domèstica  il  lèpido  libro  scritto  in  dialetto  napoletano,  eoi 
Utolo  :  Cunto  de  li  Canti.  Gli  è  questo  una  raccolta  di  novelle 
destinate  ad  ingannare  la  noja  delle  lunghe  serate  invernali^ 
cui  perciò  appunto  le  Manfredi  intitolarono  :  La  CiacUra  dht 
banzota ,  ossia  :  Fol  di^rs  tradotti  dal  parlar  napoliiàu  m 
lèingna  bulgnèisoj  pr  riuìedi  innusèint  dia  sonn  e  dia  nio/mctuii. 
Alle  medésime  sorelle  Maddalena  e  Teresa  Manfredi  suobi  attri- 
buire comunemente  la  graziosa  e  popolarissima  Canzone  per  alh 
brucdare  la  Fecchia  a  mezza  Quarésima.^  nella  quale  con  mi- 
ràbile semplicità  viene  svolta  T  orìgine  di  quella  bàrbara  usanza, 
e  di  cui  tutti  gli  anni  si  rinnovano  e  distribuiscono  fra  il  pòpolo 
parecchie  edizioni  (i). 

Mentre  queste  benemèrite  cittadine  assecondate  da  parecchi 
letterati  bolognesi  cercarono  avviare  il  pòpolo  alla  lettura  ^ed 
all'istruzione  con  gioviali  racconti  nella  lingua  nativa,  altri s* ade- 

(0  ^^ggasi  nel  Ca^H)  seguente,  ove  fra  i  Saggi  di  qnesfn  Iclleralura  ab- 
biamo riportalo  la  suddcUa  Canzone. 


OIALCTTI  miLIA.^I.  301 

perùtmo  a  Voltar  nella  stessa  graziosi  poemetti  Glissici  italiani, 
qaali  sodo:  La  Secchia  rapila  del  Tassoni,  e  V Asinata  di  Cle^ 
oieDte  fiondi.  Il  primo  venne  in  luce  nell'anno  1767,  per  òpera 
d'anònimo  autore,  col  titolo:  /fi  triónf  di  Mudnh  pr  una  sec" 
da  lolla  ai  Bulgnts^  ed  è  veramente  on  capo-lavoro  di  tradu- 
zione vernàcola,  per  la  fedeltà  colla  quale  seppe  serbare  lo 
spkito  faceto  ed  arguto  dell'  originale,  il  secondo  esperà  del  ce- 
lebre Anidbale  Bartoluzzi ,  le  cui  svariate  poesìe  lìriche  formano 
sonpre  le  delire  de'  suoi  concittadini.  Anche  il  Canònico  Longhi 
tradusse  con  singolare  grazia  e  maestrìa  le  fàvole  non  meno  istrut- 
tive d^  La  Fontainc;  per  modo  che  la  letteratura  l)oIognese  venne 
a  pQoo  a  poco  appropriandosi  alquante  gemme  delle  letterature 
italiana  e  straniera. 

Him  per  questo  venne  meno  lo  slancio  degli  scrittori  originali 
in  prosa  ed  in  verso,  dei  quali  vanta  gran  còpia  lo  scorso  sècolo. 
Per  tacere  dei  molti  autori  di  Commedie ,  fra  i  quali  emèrsero 
jwineipainiente  Pier-Jacopo  Martello  e  Pietro  Zanotti ,  accenne- 
remo all'  anònimo  poemetto  in  ottava  rima  diviso  in  sei  Canti , 
die  apparve  verso  la  metà  del  medésimo  sècolo  col  titolo:  F'éta 
cMa  Zè  Sambuga  naia  in  l'ai  cn^in  de  Ohij  ctm  (a  nàssitaj 
-wéla,  suzzùtfs  e  dsgrazi  d*  Zè  Rudeìla  «ò  /ló/a.  Dalla  popolarità 
^  cui  godette  per  qualche  tempo  questo  poemetto  bernesco,  pare 
che  derivasse  sin  d' allora  il  costume  di  denominare  Zìi  Rndelle 
certi  componimenti  lìrici  d'occasione,  per  lo  più  in  forma  dì 
Canzone  anacreòntica,  scherzosi,  ma  satìrici,  che  equivalgono 
in  molti  rapporti  alle  Bomiude  milanesi.  Faremo  ancora  onoré- 
vole menzione  del  grazioso  poemetto,  pure  in  ottava  rima  e  di- 
viso in  sette  Canti,  del  conte  Gregorio  Casali,  ove  descrive  con 
snolta  forza ,  con  vivaci  immàgini  e  spontaneità  di  verso,  le  fa- 
sdoni  e  le  guerre  civili  dei  Lambertazzi  e  dei  Geremei,  che  la- 
freràrono  Bologna  nei  sècoli  dì  mezzo.  Questo  poemetto,  che  ha 
per  tìtolo:  Bulogva  (raKajà  dal  giierr  rfpt/  di  Lambeì'tàzz  e  di 
4ieremi^  occupa  il  primo  volume  della  Raccolta  di  componimenti 
in  dialetto  bolognese,  che  doveva  constare  di  dodici  volumi,  e 
del  quali  soli  sette  videro  sinora  la  luce.  Tra  i  poeti  Urici  poi , 
che  meglio  illustrarono  la  patria  lingua,  oltre  ai  suUodati  Barto- 


303  PAaTB  SGC0310A. 

luzzi  e  Canònico  Longhì,  non  dobbiamo  ulteriormente  tacere*  1 
nomi  assai  celebri  in  palria  di  Giuseppe  Pozzi,  Giulio  Abmli:, 
Gian-Batista  Gnudi ,  Camillo  Tartaglia,  Claudio-Eteanno  Femri^ 
Angelo  Longhi  fratello  del  mentovato,  ed  altri  molti,  delle  eoi 
svariate  produzioni  a  buon  diritto  si  gloria  la  citt^  regina  hi 
tempo  degli  studj. 

E  qui  ci  sembra  opportuno  avvertire,  come  parecchi  fra  i  H^ 
stinti  scrittori  vernàcoli ,  mossi  da  pura  modestia  o  da  proprie 
considerazioni  a  noi  sconosciute,  volendo  calare  il  proprio  none, 
assumessero  talvolta  il  tìtolo  immaginàrio  di  accadèmico  del  7V> 
tei  lo  y  ciò  che  potrebbe  indurre  per  avventura  il  lettore  udì' er- 
rònea supposizione  dell'  esistenza  d' una  speciale  Accadèmia,  in* 
tesa  a  promuòvere  ed  ordinare  gli  studj  relativi  aUa  palria  Uè^ 
teratura  vernàcola.  Sebbene  propriamente  in  origine  una  shnìle 
denominazione  venisse  adottata  da  molti  quasi  per  ischeno,  onda 
contrapporla  all'  altra  comunemente  assunta  dagli  Accadènid 
della  Crusca,  ciò  nulladimeno  im  tentativo  di  shnil  iatla  ebbe 
pur  luogo  nel  principio  del  sècolo  presente,  col  nòbile  fine  ap«' 
punto  di  porre  un  freno  alla  crescente  licenza  degli  scrittori 
vernàcoli  e  dei  loro  tipògrafi,  fissando  un  sistema  ragionato  d'otr 
tografìa ,  e  compilando  un  vasto  Vocabolario  ed  una  Grammàtica 
del  dialetto  bolognese,  a  sicura  scorta  dei  linguisti  che  amàssera 
rivòlgervi  le  loro  speculazioni ,  non  che  ad  agevolare  agli  stra- 
nieri la  lettura  dei  componimenti  bolognesi. 

Ne  sia  lode  allo  zelo  ed  all'  ingegno  dei  distinti  scrittori  vi' 
venti  professor  Lucchesini ,  Camillo  Minarelli ,  Rafaello  Buriairf 
ed  altri  loro  colleghi,  che  primi  rivòlsero  le  loro  cure  a  qiie<^ 
st'  lìlile  insti tuzione,  e  pósero  mano  al  lungo  e  penoso  lavoro.  Se 
non  che,  mentre  questi  benemèriti  cultori  del  patrio  retaggii 
stavano  incalzando  con  perseveranza  i  loro  studj  preparatori,  al- 
tro distinto  filòlogo,  il  chiaro  Claudio  Ermanno  Ferrari  ^  precone 
in  parte  ai  loro  sforzi  ed  ai  loro  desiderj ,  pubblicando  nel  t8$i 
un  /Vocabolario  JJolognesc'Ualiaiìo  ^  al  quale  diede  ben  presto 
piti  ampio  sviluppo  nella  seconda  edizione^)  che  pose  in  luoe 
nell'anno  1835.  Frattanto  il  professore  Giovanni  Battista  Fakri 
propose  un  PèotjvUo  d*  orlofjralìa  ùolognvsc ,  che  Ignoriadla' 


DIALETTI  ENIUAM.  505 

Tenisse  generalmente  adottato.  Questi  lavori  interruppero  V  im- 
presa dei  gióvani  accadèmici ,  i  quali  ben  lungi  dal  rallentare  i 
loro  stodj  per  le  òpere  novellamente  apparse  ^  avrebbero  dovuto 
riguardare  il  Ferrari  ed  il  Fabri  come  proprj  collaboratori,  e 
(Hriggere  quindi  i .  loro  sforzi  a  riempire  le  lacune  e  rettificare 
le  mende  del  Vocabolario  del  primo ,  ad  esaminare  e  modificare, 
ove  occorra,  il  progetto  del  secondo,  ed  a  compilare  con  mag- 
gior agio  e  più  copiosi  materiali  la  Grammàtica,  la  quale  non  cessa 
d'essere  oggetto  di  desidèrio  per  gli  studiosi.  " 

Chiiideremo  questi  ràpidi  cenni ,  soggiugnendo  due  versi  di 
riconoscenza  ai  generosi,  cbe  olire  ai  mentovati,  illustrarono  coi 
loro  studj  e  colle  òpere  loro  ì)  sècolo  presente ,  coltivando  la 
patria  letteratura  vernàcola,  fra  i  quali  noteremo  D,  Giuseppe 
Zaiupieri ,  Luigi  Montalti ,  Carlo  Frulli  e  Biagio  Uccelli,  e  faremo 
voti,  onde  ridonata  ben  presto  la  calma  al  bel  paese,  possano 
tutti  riuniti  neirAccadèroia  del  Tritello  maturare  e  dar  pieno 
compimento  a  quegli  studj ,  ai  quali  nel  corso  di  queste  brevi 
pàgine  cercammo  apprestare  condegna  corona. 

Per  quanto  abbiamo  potuto  rovistare  negli  archivj  della*  Ro- 
magna e  nelle  raccolte  di  quei  cultori  delle  cose  patrie,  non  ci 
riusci  constatare,  se  alcuno  di  quegli  svariati  dialetti  venisse  nei 
sècoli  trascorsi  sottoposto  alla  tortura  del  metro.  Se  sì  eccettui 
qualche  scherzo  poètico  d'occasione,  di  cui  taluno  ricorda  aver 
udito  cenno,  e  che  scomparve  del  tutto  col  nome  del  rispettivo 
autore,  si  può  dire  che  i  dialetti  romagnoli  furono  per  T addietro 
interamente  trascurati.  Solo  negli  ùltimi  tempi,  dopo  che  quasi 
tutti  i  dialetti  itàlici  ebbero  una  letteratura  più  o  meno  copiosa, 
alcuni  fra  i  romagnoli  furono  sollevati  all'onore  del  metro,  per 
òpera  di  scrittori  distinti ,  i  cui  componimenti  vernàcoli  ottennero 
meritamente  gli  universali  suffragi.  Tali  dialetti  sono  propria- 
mente: il  Ftisignanese  ed  il  Forlivese.  Il  primo  fu  celebrato 
con  molta  grazia  in  una  sèrie  di  canzoni  vernàcole  dal  chiaro 
Don  Pietro  Santoni,  cui  Vincenzo  Monti  soleva  denominare  l*^- 
:iwcrtonte  di  Fusigtwno,  Il  secondo  fu  illustrato  solo  ai  di  nostri 
dal  benemèrito  Giuseppe  Acquisti,  poeta  fornito  per  eccellenza  di 
poètici  talenti,  e  dalla  cui  fàcile  vena  possiamo  riprométterci 

<K3 


set  PARTE  8CC0?IDA. 

ancora  noyelle  produzioni.  Una  serie  delle  composinoni  del  prioM 
fu  testé  pubblicata  in  Lugo^  col  titolo:  Scelta  (H  poesk  itatUmc 
e  romagnole  di  Don  Pietro  Santonv^  come  pure  venne  di  lu- 
cente in  luce  una  pìccola  raccolta  delle  brillanti  poesie  dd  se- 
condo, in  Forlì  sua  patria.  Ad  evitare  la  taccia  di  parzialità , 
sottoponiamo  al  giudizio  dei  nostri  lettori  nei  seguenti  Saggi  H 
letteratura  emiliana  luia  scelta  delle  une  e  delle  altre  ^  alle  qaili 
abbiamo  la  sorte  di  aggiùngerne  alcune  inèdite  graziosameoli 
largiteci  dal  chiaro  signor  Acquisti  medésimo.  Esìstono  altresì  ài* 
cune  poesìe  di  minor  conto  in  qualche  altro  dialetto  ronuigaelò, 
che  non  furono  mai  affidate  alla  stampa;  ma  non  gìà^  per  quanto 
d  consti,  verun  componimento  di  lunga  lena;  e  perciò  siaat 
ancora  lieti  di  poter  offerire  ai  nostri  lettori^  per  la  prima  ToIt% 
un  Saggio  dei  medesimi^  in  alcuni  Sonetti  Ravennati,  ed  ii|un 
Ottava  Rima  inèdita  nel  dialetto  dì  Lugo,  del  prof.  Chinassi, 
graziosamente  offertaci  dall'autore. 

Fra  tutti  i  dialetti  romagnoli,  come  altrove  accennamnovl 
Faentino,  pel  complesso  delle  sue  distintive  proprietà,  àovìM 
forse  alla  geogràfica  sua  posizione ,  venne  riguardato  da  alcuni 
siccome  il  tipo  rappresentante  i  dialetti  romagnoli,  e  perciò  H 
dotto  filòlogo  Antonio  Morri  da  Faenza  avvisò  opportunameoto 
di  compilarne  un  copioso  Vocabolàrio,  che,  arricchito  dei  priih 
cipali  idiotismi  della  Romagna  tutta  e  di  importanti  e  sòlida 
osservazioni,  fu  dal  medésimo  splendidamente  stampato  neiranoo 
1840,  in  4.^  grande,  col  tìtolo:  Fonaholario  Roinafjrìolo-Italiatio. 
il  valente  autore  si  rese  per  tal  modo  sommamente  benemèrilo 
della  patria,  riempiendo  così  una  grande  lacuna  niell'immeiMO 
campo  delle  lèttere  volgari  italiane,  ed  è  molto  a  desiderarsi, 
che  il  suo  nòbile  esempio  trovi  imitatori  fra  i  suoi  concittadiid^ 
giacché  nessun  altro  fuori  dei  nazionali  è  veramente  atto  a  pòr- 
gere una  compiuta  illustrazione  di  qualsiasi  dialetto,  e  spedal- 
roente  del  romagnolo,  per  singolari  forme  e  difficile  pronunda 
assai{distinlo^*da  ogni  altro  d'Italia 

Sebbene  Modena  da  varii  sècoli  sia  Capitale  d'uno  Stato  se- 
parato ed  indipendente,  ciò  nulladimeno  il  suo  dialetto  non  fu 
incn  trascurato  del  romagnolo  da  quelli  che  sinora  lo  parlarono» 


DiALerri  emiliani.  50tt 

b  onla  alle  ripetute  nostre  indàgini,  non  ci  riuscì  scoprire, 
eh'  egli  fosse  in  verun  modo  coltivato  dagli  scrittori  dei  sècoli 
traaooffti.  Le  sole  produzioni  che  ci  venne  fatto  rinvenire  gii 
INdMieate  colle  stampe,  sono:  una  lunga  ed  insipida  IConiadi" 
nmca  tu  lingua  rùslica,  delta  la  Menga  o  Zia  Tadeiaj  [alia  nri 
tftttH  per  intermezzo  delt  intinta  del  Tasso  j  ed  una  non  meno 
slaccbèvole  Canzòn  in  lengua  mudnèisa  sorra  la  gran  moda 
tq^iel  fémen  che  s*  dmànden  mezz  pataj^  eh*  a  vrèn  tgnìr  cU  basnl 
alla  barba  a  tunnel  dam,  pubblicata  neiranno  1778.  La  tenuità 
•  dappocaggine  di  slmili  componimenti  male  s' adAcono  alla  città 
patria  di  Muratori  e  di  Tiraboschi;  ciò  nulladimeno  noi  li  ab- 
biaaM>  eitati,  e  riproduciamo  nel  seguente  Capo  il  secondo  con 
uà  brano  del  primo,  non  già  come  Saggi  di  letteratura  vernàcola, 
■a  {Muttosto  della  lingua  parlata  in  Modena  e  nel  suo  contado 
al  tempo  in  cui  quelle  déboli  composizioni  furono  scritte,  po- 
tendo per  avventura  il  solo  confronto  colla  lingua  attuale  con* 
dorre  ad  ùtili  risultamenti. 

Priva  afEatto  di  componimenti  meritévoli  di  speciale  attenzione, 
era  naturale ,  che  la  favella  modenese  rimanesse  ancora  priva 
del  rispettivo  Vocabolàrio,  giacché  non  v'ha  dubbio,  che  uno 
degli  scopi,  e  forse  il  primo,  dei  lessicògrafi  si  è  quello  di  rèn- 
dere agevolmente  intesi  al  lettore,  màssime  straniero,  i  compo- 
ninenti  scritti.  Di  fatti  il  solo  tentativo  di  slmil  gènere  fatto 
linora  consiste  in  una  raccolta  di  mille  voci  modenesi  inserita 
ia  un  Almanacco  del  1830,  per  cura  del  Dottor  Ercole  Reggia- 
nini,  che  volle  serbàrvìsi  anònimo.  Mille  voci,  a  dir  vero,  sono 
assai  poco  per  un  Vocabolàrio  ;  ma  vogliamo  sperare  che  l' a- 
ridità  colla  quale  fu  accolto  quel  tènue  Saggio  dal  Pùbblico, 
che  in  pochi  giorni  ne  esaurì  l'edizione,  e  la  considerazione 
ormai  avverata,  che  la  compilazione  dei  lèssici  ha  dei  fini  ben 
più  elevati  e  più  nòbili  di  quello  di  agevolare  ai  lettori  l'inter- 
pretazione dei  libri  ^  spingeranno  quanto  prima  qualche  dotto 
nazionale  a  consacrare  le  proprie  veglie  a  sì  nòbile  impresa. 

Più  avventurato  del  modenese,  il  vicino  dialetto  reggiano,  se 
non  vanta  produzioni  di  lunga  lena^  fu  però  coltivato  con  buon 
successo  da  parecchi  scrittori  di  mèrito  sin  dal  sècolo  XVI,  e 


506  PARTE  8EC0?I0A. 

novera  lunga  sèrie  di  componimenti  lìrici  meritévoli  di  oBorati 
menzione. 

Già  sin  dal  Itf70  incirca  certo  conte  Dalla  Fossa  scrisse  uni 
Commedia  in  versi  reggiani^  che  fu  rappresentata  in  Reggk 
con  pieno  successo  ^  e  che  rimanendo  lungo  tempo  manoscritti, 
per  mala  sorte  scomparve.  Luigi  Lamberti  ne  deplora  la  pèrdili, 
ed  il  Terrario ,  in  tina  nota  alla  sua  Raccolta^  ne  fa  onorévole 
menzione.  Egual  sorte  toccò  pur  troppo  a  varie  alti*e  poesie  vo- 
lanti di  quell'epoca,  le  quali,  per  non  èssere  mai  state  pubbli* 
cate  colle  stampe,  dispàrvero  coi  nomi  dei  rispettivi  autori.  .Sole 
in  sul  principio  del  passato  sècolo  i  torchi  tipogràfici  accòlsen 
per  la  prima  volta  i  componimenti  vernàcoli  reggiani ,  e  ne  tm* 
misero  copiosa  serie  alla  posterità  inseriti  in  vari  Almanacchi. 
Pronostici  e  Diarii,  che  senza  interruzione  vennero  da  quel  tempc 
alla  luce.  Ne  perchè  formino  parte  d'un  gènere  di  libri  tinto 
meritamente  screditati  ai  giorni  nostri ,  si  giudichi  sinistrameali 
sul  loro  poco  valore  letterario;  che  anzi  taluno  fra  questi  si  acquisii 
il  pùbbUco  suffragio  e  la  patria  riconoscenza,  non  solo  per  II 
grazia  e  spontaneità  poètica,  ma  altresì  pei  morali  ed  ùtili  am 
maestramenti  che  racchiude.  Di  slmili  componimenti  è  HpieiM 
appunto  il  Pronostico  periodico,  intitolato:  Satulrùnda  Ruf^SlÈt 
stròleg  modem j  che  dal  1720  incirca,  per  lunga  sèrie  d'amii 
vide  successivamente  la  luce.  Esso  contiene  parecchie  poerti 
nel  dialetto  di  contado,  nelle  quali  Sandrone  sferza  di  continiK 
le  mode  muliebri  e  le  caricature  de'  suoi  giorni  con  molta  grazii 
e  brio.  Di  questo  Sandrone  appunto  così  parla  V  anònimo  auton 
della  Pandora^  pubblicata  in  Reggio  nell'anno  1741: 

vnian  non  è,  poiché  d{  quel  sa  scrivere, 

£  svelarne  appunlin  l'alta  mullsia, 

E  lutti  i  furbi  lor  giri  descrìvere. 
An/.i  Sandrone  è  un  uoiQ  cirha  più  perizia 

Dell' etèreo  molo  Impenetràbile 3 

Che  non  hanno  i  \illàn  dell'avarizia. 

Questa  sèrie  di  pronostici  offre  ancora  novello  interesse  alle 
studioso,  mentre,  come  si  può  scòrgere  dal  Saggio  che  inseriaiiMi 
nel  Capo  seguente,  osso  ci  porge  la  più  sicura  testimoniania. 


\ 


DIALETTI- emù AM.  SQJ 

che  il  dialetto  rùstico  reggiano^  da  oltre  un  sècolo,  non  ha  sn- 
Ufo  veruna  notévole  modificazione. 

Rivaleggiarono  con  Sandrone  da  Rivalta  altri  Almanacchi  pure 
scrìtti  in  lingua  reggiana  rùstica^  (ra  i  quali  noteremo:  yél  Con- 
iadén  antròlcg;  svartafdz  d*j4fnbrosònn  Sgarbazia^  e  qualche  ai- 
titi di  minor  confo,  intesi  tutti  a  far  rìdere  i  lettori  con  lèpèdi 
diàloghi  e  poesie  bernesche.  Per  tal  modo  i  Lmiari,  i  Prono- 
stici e  simili  continuarono  per  tutto  lo  scorso  sècolo  ad  èssere 
quasi  esclusivi  depositarii  delle  composizioni  vernàcole  degli  scrìt- 
tofri  reggiani;  dappoiché i,  se  si  eccettui  una  pìccola  raccolta  di 
poesie  pubblicata  nel  1733,  col  titolo:  Le  Nozze  di  Contado j 
nessun'  altra  produzione  di  simil  gènere  pervenne  a  nostra  iio« 
Usia,  pubblicata  colle  stampe. 

Questo  costume  d'inserire  nei  Lunari  i  componimenti  vernà- 
coli fu  conservato  anche  nel  sècolo  presente,  in  cui  il  Prevosto 
Rocca  di  Reggio  pubblicò  per  una  serie  d'anni  T anònimo  Zu- 
natH  jdrsàn  per  Tanno  i82tt  e  seguenti.  Ivi,  oltre  ad  una  prefa- 
zione  in  versi  reggiani,  conlèngonsi  varie  poesìe  vernàcole  di- 
rette a  corrèggere  con  lèpidi  racconti  i  costumi  ed  i  vi^  del 
[Mìese;  mailpoéta,  sovente  privo  della  vera  ispiradottOy  vi  prende 
per  lo  più  il  tuono  di  predicatore  pedante,  rivolgendo  talvolta 
le  sue  preghiere  alla  Vergine  ed  ai  Santi,  senza  mostrarsi  poi 
troppo  scrupoloso  nel  serbare  con  fedeltà  il  vero  tipo  del  dialetto 
nativol 

Morto  il  prevosto  Rocca,  la  pubblicazione  del  Lunari  Arsàn  fu 
interrotta,  sinché  ne  imprese  la  continuazione  con  assai  migliori 
auspicj  nel  184-1  il  chiarissimo  canònico  Ferrante  Bedogni,  autore 
anònimo  della  maggior  parte  delle  argute  e  brillanti  poesie.rac- 
chiuse  nei  volumetti  successivi.  Fornito  di  soda  dottrina  e  di  non 
comuni  poètici  talenti,  il  prof.  Bedogni  sollevò  co'  suoi  compo- 
nimenti ad  alta  rinomanza  il  Lunari  .^iraàn^  cui  appose  il  bene 
adattato  motto:  E  sferzo  il  vizio ,  e  chi  seii  duoi  s'accum.  ì\i 
rìnn)  una  scelta  raccolta  di  poesìe  originali  in  vario  nietro,  non 
solo.,  ma  eziandio  di  versioni  di  componimenti  clàssici,  segnata- 
mente déiVy^rte  Poètica  d'Orazio  e  della  Sàtira  suW  /Jmrizia^  In 
queste  versioni  non  si  può  abbastanza  conmiendare  la  fedeltà  del 


510  rARTE  SECONDA. 

Frignano.  Assai  più  ancora  ci  sorprese  il  riconóscere,  come  Im 
quel  tempo  medésimo  vivesse  in  Sèstola  un  rozzo  pastore,  deno- 
minato ^icola  Ga]b%  il  quale,  sebbene  privo  d*ogni  preparatoria 
istituzione,  rallegrava  e  tratteneva  sovente  i  suoi  'connaziondi 
colle  proprie  poesìe  vernàcole,  che  talvolta  improvvisava  in  ooca- 
sione  di  feste  villereccie.  Lieti  della  scoperta,  non  senza  difficoUè^ 
ne  abbiamo  spigolato  alcune,  e  ne  faremo  dono  ai  nostri  lettori 
nel  Capo  seguente. 

Groppo   FrrrarcHC. 

« 

Il  dialetto  ferrarese,  come  abbiamo  più  sopra  indicato^  è  di 
recente  formazione,  e  quasi  im  linguaggio  ibrido,  mentre  la  po- 
polazione cbe  lo  parla  emerse  dalla  miscela  di  varii  pòpoli,  dbt9 
nel  corso  delle  nòrdiche  invasioni  cercarono  ricóvero  nei  palo* 
dosi  polesini,  dai  quali  surse  più  tardi  la  fèrtile  pianura  ferraresi. 
Esso  non  vi  potè  quindi  èssere  del  tutto  stabilito,  se  non  dopo 
che  tanti  disparati  elementi  vennero  fusi  in  una  sola  lingoa^.e 
quando  questa  cominciò  a  vìvere  una,  vita  propria  sotto  gliaoi- 
picj  d'un  regolare  governo.  Inoltre  sembra  indubitato,  che  questa 
lingua  abbia  subito  notévoli  modificazioni,  variando  le  propor- 
zioni degli  elementi  stessi  cbe  la  compóngono;  dappoiché  eglift 
certo,  che  da  principio  vi  prevaleva  l'elemento  vèneto,  e  cbe 
in  séguito,  collegata  geograficamente  e  politicamente  all' Emilia, 
vi  prevalse  l' emiliano.  Ce  ne  prestano  vàlida  prova  le  òpere  di 
Pietro  fiagliani  pubblicate  sulla  fine  del  sècolo  XVI,  nella  cui 
lingua,  a  differenza  dell'odierna,  signoreggiano  ed  emèi^no 
sopra  ogni  altra  le  vènete  forme.  Queste  òpere ,  nelle  quali 
l'autore  si  nascose  sotto  il  finto  nome  dì  Dottor  Graziano  Forbe» 
soni,  sono  le  più  antiche  produzioni  conosciute  in  quel  dialetto, 
e  sono:  una  Traduzione  del  Caos  in  oltana  rirnuj  ed  un  altro 
poemetto,  intitolato:  Le  cetUo  e  quindici  conclusioni  in  oUwm 
rima  del  plus  quam  perfetto  Dottor  Graziano  Foròesoni  da 
Francolino^  ed  altre  manifatture  e  cow^wsizioni  netta  sua  òtiami 
lingua.  Se  non  cbe  la  divergenza  notévole  di  quest'ultima  dal* 
r  attualmente  parlata  indusse  i  Ferraresi  medésimi  a  risguardarla 
come  fittizia,  o  propria  d'altro  paese. 


DIALETTI    CVIll.lAM.  fli 

£  perciò  i  primi  fondatori  della  letteratura  vernàcola  ferrarese, 
riooDosdati  in  patria.^  sono  i  due  Baruffaldi,  Girolamo  cioè  ed 
Ambrogio.  Il  primo,  già  onorato  nella  repùbblica  delle  lèttere 
italiiune  per  la  sua  raccolta  di  poesìe  sèrie  e  giocose,  scrisse  in 
tal  principio  dello  scorso  sècolo  in  versi  di  varia  misjura  alquante 
poesie  bernesche  in  forma  di  Diàlogo,  colle  quali,  mentre  intese 
a  ricreare  le  brigate,  mirò  ancora  a  corrèggere  i  corrotti  co- 
stumi del  suo  tempo.  Sebbene  ripiene  di  sali  e  di  ùtili  ammae- 
stramenti, esse  rimasero  inèdite  sino  alla  fine  dello  scorso  sècolo, 
in  cui  vennero  per  la  prima  volta  in  luce,  inserite  nel  terzo 
volume  delle  òpere  pòstume  del  medésimo  autore.  Sono  divise  in 
dieci  diàloghi  famigliari,  in  ciascuno  dei  quali,  senza  risparmiare 
alcuna!  classe  sociale,  ne  mette  in  chiara  mostra  i  castumi,  i 
pregiudizj  ed  i  \izj,  con  verità  d'immagini,  finezza  di  sàtira  e 
severità  di  crìtica. 

In  queste  òpere  del  Baruffaldi,  racchiuse  nel  tìtolo:  La  Lnm 
dal  mànegj  e  col  nome  anagrainmàtico  di  Ubaldo  Magri  Farolfi, 
consiste  propriamente  tutta  la  letteratura  di  questo  dialetto,  poi- 
ché gli  altri  componimenti  che  videro  la  luce  di  poi,  non 
SODO  che  poesie  d'occasione  per  lo  più  in  foglio  volante,  delle 
quali  basterà  far  menzione  nella  seguente  Bibliografia  dei  dialetti 
emiliani.  Le  sole  operette  che  ancora  dobbiamo  notare,  sono:  / 
Pi^guòsiicli  per  l'atiu  1732  cumpunèst  da  Barba  Maureli  Slup- 
pión  arzdór  dela  KÌlla  d' Comi  ;  nel  qual  Almanacco  V  anònimo 
autore,  che  è  Ambrogio  Baruffaldi,  inserì  varii  componimenti 
poètici  in  dialetto  rùstico  ferrarese;  ed  un  Lunario  periodico, 
intitolato:  Chichélt  da  Frara^  che  venne  per  la  prima  volta  in 
hice  nell'anno  1826,  e  continuò  poscia  nei  successivi  senza 
interruzione  sino  al  presente.  Ivi  tròvansi  pure  racchiusi  molti 
graziosi  componimenti  vernàcoli  del  conte  Francesco  Aventi,  al 
quale  siamo  debitori  della  versione  della  Paràbola  neUo  stesso 
dialetto  inserita  in  uno  dei  precedenti  capi. 

A  malgrado  della  povertà  di  produzioni  letterarie,  il  chiaro 
abate  Francesco  Nannini  non  rifuggì  dalla  fatica  di  compilare 
un  Vocabolàrio  della  favella  nativa,  cui  pubblicò  in  sul  principio 
del  sècolo  presente,  premettendovi  la  spiegazione  d'un  progetto 


319  1»ARn  SECONDA. 

d'ortografia  da  lui  medèsiiuo  seguilo^  onde  rappresentare  più  con- 
venientemente i  suoni  speciali  del  patrio  dialetto.  Mentre  non 
possiamo  dispensarci  dal  benedire  le  buone  intenzioni,  le  core 
e  gli  studj  del  benemèrito  autore^  non  dobbiamo  at  tempo  sfesso 
intralasciar  di  notare,  cbe  il  lavoro  del  Nannini  è  piuttosto  un 
Saggio  di  Vocabolàrio,  mancando  esso  di  molte  voci  esclusiva- 
mente ferraresi,  màssime  della  provincia^  mentre  nello  scarso 
nftmero  complessivo  delle  voci  che  lo  compóngono  se  ne  trovano 
parecchie  affatto  supèrflue,  perchè  comuni  alla  lingua  generale 
della  penisola.  Speriamo  che  ormai  non  sarà  lontano  quel  giorno, 
in  cui  gli  studiosi,  convinti  della  somma  importanza  e  dei  rilevanti 
vantaggi  che  derivar  possono  dalla  diligente  e  ragionata  compi- 
lazione del  Dizionario  dei  rispettivi  dialetti,  non  tarderanno  a 
rivòlgervi  di  concerto  le  proprie  speculazioni. 

Se  pòvera  è  la  letteratura  vernàcola  ferrarese,  nulla  è  quella 
degli  altri  dialetti  appartenenti  a  questo  gruppo  ^  mentre  nessuna 
produzione,  per  quanto  ci  consta,  venne  mai  pubblicata  nei 
dialetti  mirandolese,  guastallese  e  mantovano.  Non  per  questo 
mancarono  talvolta  lèpidi  scrittori,  che  si  valessero  anche  di 
questi  in  alarne  poesie  d'occasione:  che  anzi  ci  venne  folto 
di  scaturirne  alcune  manoscritte  meritévoli  dell'  onore  della 
stampa .,  così  per  la  scorrevolezza  del  verso ,  come  pel  brìo 
e  per  la  forza  del  concetto.  Tali  sono  in  ispecie  certe  can- 
ioni  bernesche  in  lingua  rùstica  mantovana  di  Giovanni  Marìa 
Galeotti,  che  viveva  nella  prima  metà  dello  scorso  sècolo.  Furono 
scrìtte  dall'autore  per  èssere  recitate  da  una  màschera  di  con- 
tado nelle  feste  carnescialesche ,  e  passando  tradizionalmente  dì 
boeea  in  bocca,  sono  tutt'ora  gralo  passatempo  dei  connazionali 
ehe  le  imparano  a  niemòrìa.,  e  le  vanno  recitando  alla  nuova 
generazione.  Così  di  queste^  come  della  poesìa  mirandolese,  ci 
è  grato  di  poter  pòrgere  ai  nostri  lellorì  nel  seguente  Capo  quei 
Saggi,  che  slam  venuti  mano  mano  raggranellando. 

Quanto  al  dialetto  mantovano,  e'  pare  che  un  tempo  venisse 
di  propòsito  coltivato,  perocché  esiste  tutiavia  un  roaiMario 
fHanoscrilio  delle  sei  lingue  toscana ,,  inanto^rana^  latina,  greca, 
tedesca  e  francese.  Esso  fn  compilato  nel  sècolo  passato  dal  nò- 


DtALCTTl   EV1UA.M.  115 

iile  Biinlovaiio  Alessandro-  Felice  Nonio;  ina  per  mala  ventura 
rtBMe  soDDosduto  e  sepolto  fra  le  carte  dell'autore,  né,  passando 
mi  patrimonio  ai  successivi  eredi  che  ne  son  possessori,  rice- 
siiiora  destinazione  migliore.  A  riempire  questa  lacuna  a'  ae« 
fia  dall'anno  i8S7  il  benemèrito  nostro  filòlogo  Francesco 
che  pose  in  luce  un  Vocabolàrio  Maniovano^lialiano^ 
fan  con  molta  cura  compilato.  É  questo  il  solo  libro  pid)blicato 
ad  illustrazione  di  quel  dialetto,  e  come  tale  è  tanto  pii 
iaridnratn  dai  coltivatori  di  slmiU  studj;  con  tuttociò  l'esiguità 
ed  maieriali  racchiusi  e  gli. errori  trascórsivi,  forse  per  la  ra- 
fidità  eoa  cai  61  compilato,  non  lasciano  meno  desiderare  fia 
kororo  più  vasto  e  più  diligente  della  stessa  natura. 

Grappa  PttrmigiaiM* 

Gli  è  invero  doloroso  pel  filòlogo  che  va  in  traccia  di  materiali, 
Sade  BUitnrare  sòlidi  studj  sulle  origini  e  sui  primitivi  linguaggi 
M  propij  c(mnazionaIi,  il  rinvenirvi  talvolta  il  campo  affatto 
desaiio  ed  inculto,  senza  un  sentiero,  senza  un  minimo  filo  che 
valer  possa  di  guida  ad  indagarne  la  natura,  a  misurarne  la  di- 
•eaaione.  Tale  è  lo  slato  degli  studj  relativi  ai  dialetti  componenti 
fMSlo  grappo,  che  incominciarono  appena  negli  ùltimi  tempi, 
fiMeado  stati  aiiatto  negletti  nei  sècoli  precedenti.  E  per  verità, 
qaaato  abbiamo  di  scrìtto  e  pubblicato  nei  dialetti  parmigiano, 
piacentino  e  pavese^  che  sono  i  principali,  si  può  denominare 
Ifpena  leUeratura  d'iilwanacc/n,  essendo  gli  scarsi  e  leggeri 
eoBiponìmenti  che  vi  si  riferiscono,  con  poche  eccezioni,  inseriti 
ìa  libèrcoli  di  simil  falla,  senza  pòrgere  verun  interesse,  o  ma- 
teriale bastévole  a  fondarvi  uno  studio. 

Quanto  al  parmigiano^  se  non  andiamo  errati,  comparve  per 
la  prima  mAIa  scritto  in  un  Almanacco  instituito  intorno  alla 
metà  del  sècolo  passato  da  D.  Innocenzo  Sacchi,  col  seguente 
Molo  strano  ed  insignificante:  Strolgamént  dil  Slrel,  pr  tan .... 
mturàd  a  bràz  con  ei  forca  da  dti  branz^  dal  cafìoràl  Quat- 
lèrdes  Càzzabàl  dia  inlla  d'FigazzéL  Ivi  sono  racchiusi  alcuni 
Ciloghi  o  commediole  in  prosa  parmigiana  composte  all'oggettof 


5  ti  PARTE  SECONDA. 

di  divertire  le  popolari  brigate^  e  mercè  alcuni  sali  sparsi  qua 
e  là^  nel  descrìvere  costumi  o  fattarelli  municipali^  si  acquiate 
da  principio  qualche  rinomanza^  sicché  venne  successivamente 
riprodotto  ogni  anno  con  lievi  interruzioni  ^  e  continuò  aioo  al 
presente.  Che  anzi  talvolta  ne  vennero  in  luce  nello  stessojona 
due  e  persino  tre^  col  medésimo  tìtolo^  benché  in  sostamea  diveriil. 

Quasi  oello  stesso  tempo  comparve  e  rivaleggiò  col  Cazsabil 
altro  Almanacco  periodico,  contenente  qualche  breve  Gommeda 
in  prosa  parmigiana,  col  titolo:  //  Sirèl  compassad  con  la  ròeài 
dalla  Fodn'ga  da  Panoccia.  Con  buona  pace  de'  rispettivi  autóri^ 
né  questo  né  quello  sono  parti  letterarj  atU  ad  onorare  il  ptme^ 
o  il  dialetto  in  cui  sono  scritti.  Lo  stesso  dicasi  della  lunga  sèrie 
d'Almanacchi  e  di  Lunari  in-2/t.'',  o  volanti.,  che  nello  stesso  tenipo» 
e  dopo,  vennero  in  luce  con  istorielle  e  poesie  vernàcole,  e  dei 
quali  per  pura  notizia  abbiamo  trascritto  i  titoli  nella  seguente- 
Bibliografia. 

Il  solo  libro  atto  a  spàrgere  qualche  luce  sull'indole  del  dia» 
letto  parmigiano,  si  è  il  Dizionàrio  ParmiffiatìO'fialiano^  compi- 
lato e  pubblicato  nel  4828  in  due  volumi  da  Ilario  Peschieri. 
Sebbene  esso  non  sia  scevro  di  quelle  mende,  che  pur  troppo 
sono  comuni  più  o  meno  a  tutte  le  òpere  di  sìmil  gènere,  e  seb- 
bene lasci  non  poco  a  desiderare  cosi  per  la  quantità,  come  per 
•la  scella  dei  materiali.,  ciò  nulladimeno  contiene  un  nùmero  ab- 
bastanza considerévole  di  voci,  per  servire  di  guida  -allo  studioso, 
non  che  per  meritare  i  suffragi  della  pùbblica  riconoscenxa. 

Dopo  un  quadro  si  poco  lusinghiero  della  letteratura  parmi- 
giana, non  dobbiamo  nascóndere,  come  anche  Parma  abbia  a- 
vuto  ciò  milloslante  negli  ùltimi  anni  il  suo  poeta  alto.,  per 
distinto  ingegno,  per  forza  d'immaginazione  e  potenza  creialrice, 
a  sollevare  la  ])ropria  al  rango  delle  culle  letterature  vernàcole. 
Tale  si  mostrò  il  Calegari  nelle  molte  poesìe  satiriche  che  cir- 
colano manoscritte  fra  le  mani  de'  suoi  concittadini  e  che  noi 
pure  ébbimo  occasione  d' ammirare.  Ma  per  mala  ventura  questi 
.squarci  veramente  poètici,  anziché  rivòlgersi  astrattamente  contro 
il  vizio  che  reprimono,  o  si  scagliano  senza  màschera  contro 
persone  viventi  e  conosciuto,  p  sono  macchiati  di  lùbriche  im- 


DIAUTTI    EMILIA.Xl.  515 

migioi  e  d'osceni  concetti^  per  i  quali  non  solo  fii  loro  inter- 
detta la  luce,  ma  vèngon  meno  altresì  quelle  poètiche  grazie 
che  li  renderebbero  in  singoiar  modo  commendèvoli.  Poiché 
dunque  è  loro  vietato  di  formar  parte  della  patria  letteratura, 
valgano  almeno  a  provare,  che  il  difeUo  di  buone  produzioni 
fornioole  non  è  punto  da  attribuirsi  air  indole  del  dialetto  par- 
migiano, ma  bensì  piuttosto  alla  mancanza  di  coltivatori;  egli  è 
quindi  a  sperarsi,  che  Parma,  la  quale  ha  somministrato  tanti 
uòmini  illustri  alle  lèttere  clàssiche  ed  alle  scienze,  non  tarderà 
a  provvedere  a  questo  difetto  medésimo  con  una  sèrie  di  nuovi 
studj  sulla  lingua  sua  propria. 

Se  chiediamo  conto  alla  stampa  della  letteratura  vernàcola 
piacentina,  non  ne  abbiamo  più  favorévole  risposta;  e  qui  pure 
d  si  parano  innanzi  Almanacchi  e  Lunari  in  buon  nùmero,  con 
insìpide  storielle  e  comediole  in  prosa  ed  in  verso.  Se  non  che 
spingendo  le  nostre  ricerche  sino  agli  scrittori  dei  sècoli  passati, 
che  s'occuparono  delle  cx)se  piacentine,  vi  rinveniamo  alcune 
osservazioni  e  notizie  di  non  lieve  importanza  pel  nostro  argo- 
mento, è  che  quindi  fa  d'uopo  riferire  prima  di  procèdere  allo 
stèrile  annunzio  delle  poche  recenti  produzioni.  Rimontando  a 
Cicerone ,  troviamo  nel  Dialogo  de^  chiari  oratori  fatto  cenno 
dell' inferiorità  del  piacentino  Tito  Tlnca^in  fatto  di  proprietà  di 
Uogua,  a  confronto  dell'oratore  romano  Quinto  Granio;  e  di 
questa  inferiorità  ci  dà  poi  speciale  ragione  Quintiliano  nel 
Trattalo  delie  Istituzioni  Oratorie j  osservando,  come  il  Tinca 
pronunciasse  precula  per  pergula.  Questa  sémplice  osservazione 
basta  a  provarci  chiaramente,  come  quella  tendenza,  che  ab- 
biamo notata  nel  Piacentino  attuale,  a  trasportare  certe  lèttere, 
e  segnatamente  a  voltare  er  in  rej,  rimonti  niente  meno  che  die- 
cinove  sècoli  indietro.  Una  simile  testimonianza,  sebbene  di  pa- 
recchi sècoli  posteriore ,  ci  porge  il  conte  Federigo  Scotti,  giure- 
consulto e  poeta  piacentino  del  sècolo  XVI,  il  quale  ebbe  a  no- 
tare, come  il  volgo  a'  suol  tempi  permutasse  la  sillaba  ni  in  //, 
dicendo  .InUdhi  per  Antonino^  come  appunto  si  pràtica  oggidì, 
ed  aggiungeva,  come  per  questo  appunto  parecchi  Piacentini 
furono  un  tempo  dai  loro  nemici  uccisi ,  tosto  che  conosciuti 
/w  la  loro  sconvolta  pronuncia. 


516  PABTE  srCO>DA. 

Alla  testimonianza  degli  autori  suir antichità  di  alcune 
del  dialetto  piacentino^  possiamo  aggiùngere  alquante  prete  di 
fatto;  tali  sono  a  ragion  d'esempio:  un'antica  iscrizione  dd  XH 
o  tutto  al  più  del  principio  del  XIV  sècolo,  che  leggèvasi  bob 
ha  guari  scolpita  in  caràtteri  di  quel  tempo  sulla  porta  del  Gn* 
stello  di  Montechiaro  neir  agro  piacentino,  e  che  fu  riprodotta 
da  vani  scrittori.  Essa  era  del  tenore  seguente: 

Signori,  vu  slè  tuli  gi  ben  vegnu, 
E  zascaun  chi  ghe  vera ,  sera  ben 
Vegiiù,  e  ben  recevu.  -f* 

Noi  l'abbiamo  qui  riferita,  non  già  come  saggio  di  quel  dta- 
letto  a  quel  tempo,  mentre  siamo  d'avviso,  che  lo  scrivente  ha 
cercato  di  darvi  quella  miglior  politura  che  per  lui  sì  potevi; 
ma  bensì  piuttosto  come  prova  ineluttàbile,  che  il  dialetto anon 
aveva  le  medésime  fomie  che  lo  distìnguono  adesso.  Un'altit 
prova  di  fatto  ancor  più  eloquente  si  è  un'antica  poesia  del  sècolo 
XIII  conservata  in  un  còdice  piacentino  membranàceo  a  piedi 
degli  Statuti  latini  del  Consorzio  dello  Spirito  Santo,  eretto  1m 
Piacenza  da  Mussone  e  Novello  Colombo  piacentini  nell'anno  1)67. 
È  questa  scritta  non  già  in  dialetto  piacentino,  ma  in  qadla 
lingua  nascente  e  malferma,  che  appunto  nel  corso  del  dèciniih 
terzo  sècolo  può  dirsi  generale  d'Italia,  che  sorgeva  modellan- 
dosi sulle  forme  della  provenzale ,  da  cui  toglieva  mano  mano 
a  prestanza  alcune  voci ,  e  che  in  onta  agli  sforzi  contrarli  éeffi 
scrittori,  prendeva  tuttavia  in  ogni  luogo  la  tinta,  e  serbava  al- 
cune forme  del  dialetto  locale.  Un  sì  prezioso  monumento  oflEre 
troppo  importante  corredo  a  questi  ràpidi  cenni,  perchè  non 
abbiamo  ad  esitare  un  istante  a  pòrgerlo  ai  nostri  lettori.  Eccolo. 

Supra  ogni  sapienlia  e  ategnanza 

Tute  l'altre  cent  avanza 

L^om  che  à  sen  e  eognosanza 

Dominudé  del  Cel  inspira: 

Que  lucbessa  tempra  in  lira, 
L'oro  che  col  cor  ama  De 

Tuti  cossi  ven  in  pè. 

loàn  e  March  «  Lue  e  .^lalhr 

A  scrii  lui  lò  che  w  dis  de  De, 


DfALKTTI  EMILIAM. 


517 


Chi  quel  farà  el  alalèoder 
Ilio  regno  del  pater  al  ascénder. 
In  zò  ch'ay  dit  è  iut  el  sen, 
sì  che  noe  say  più  dir  ren. 

A  simili  iestinionianze  si  potrà  per  aweDtura  aggiùngerne 
altre  ancora,  esaminando  attentamente  i  còdici  supèrstiti  di  quel 
tempo  <)  0  meglio  le  òpere  pubblicate  di  poi.  Fra  queste  è  noté- 
vole un'operetta  di  certo  Antonio  Anguissola  piacentino,  stam- 
pata in  Piacenza  nel  1B87,  la  quale  racchiude  una  lista  di  vege- 
tabili, de' quali  è  della  la  natura  e  Tuso  mèdico.  È  invero  inte- 
ressante il  trovarvi  i  nomi  dei  vegetabili  espressi  nelle  varie  lin- 
gue latina,  greca,  italiana,  àraba,  spagnuola,  francese,  tedesca 
e  piacentina;  e  sebbene  si  vegga  chiaro,  che  l'autore  si  studiò 
dare  alle  voci  piacentine  forma  e  desinenza  italiana,  ciò  nuUo- 
itanle  non  vi  traspare  meno  evidente  la  consonanza  del  dialetto 
d'allora  coli' attuale  (1). 

Sin  qui  tutto  prova  l'antica  esistenza  di  questo,  come  d'al- 
tronde è  altresì  chiaramente  provata  la  remotissima  di  tutti  gli 
altri  dialetti  italiani;  ma  non  troviamo  alcim  cenno  il  quale  ci 
attesti,  che  il  piacentino  fosse  nei  sècoli  addietro  coltivato  e 
adoperato  dagli  scrittori.  La  più  antica  produzione  che  ci  riuscì 
rinvenire  in  questo  dialetto  rimonta  alla  metà  del  sècolo  XVII, 

(f)  In  prova  di  quanto  abbiamo  di  sopra  asserito,  non  che  in  saggio 
dell'  operetta  succitata ,  crediamo  opportuno  trascrìvere  le  seguenti  voci: 


Piacentino. 

lialiano. 

Piacentino. 

italiano. 

Asprella 

Rasperei  la 

Righigna  Tasen 

Eringe 

Bastonala 

Paslinaca  domcst.* 

Roveja 

Hobiglia 

Carugia 

Pastinaca  selvàtica 

Scarzòn 

Cardo  selvàtico 

0>nfalón 

Rosolaccio  (  papà- 

Speronella 

Fior  cappuccio 

vero  ) 

Siiarella 

Cicoria  dolce 

Erba  dal  corni 

Alcachlngi 

Taér  d'aqua 

Ninfèa 

Erba  dal  tdp 

Catapuzza  minore 

Tass-barbàss 

Verbasco 

Mirasòl 

Girasole 

Tavarnèll 

Pioppo  bianco 

Mlisern 

Celronella 

Turaméi 

Aristologia 

Nonghrina 

Battisuòrcra 

Tìmol 

Timo 

Kastòrz 

.Nasturzio 

Varnìspriscrìtór 

Gomma  di  gine[ 

PilàUr 

Piretro 

Vcrzól 

Artemisia 

Hednsùm 

Fior  cappuccio 

Zi 

Giglio 

54  8  PAnTE  SECONDA. 

c  consìste  in  due  brevi  poesie  di  Maurizio  Cortimiglia  (I),  cane* 
nico  penitenziere  della  cattedrale  di  Piacenza^  le  quali  si  Uròvano 
inserite  nella  Grillaja  di  Scipio  G larvano  (cosi  ehiamàvasi  l'A* 
prosio)^  e  che  noi  riporteremo  per  intero  nei  seguenti  Saggf. 
Queste  poesìe^  che  non  sono  del  tutto  prive  di  mèrito,  ci  damo 
a  crédere  che  in  quel  tempo  altri  scrittori  si  valessero  del  pàtrlÀ 
dialetto  nei  loro  componimenti;  ma  per  mala  sorte  non  se  ne 

• 

serba  traccia,  né  stampata,  né  manoscritta,  sino  al  principio  del 
sècolo  passato,  in  cui  troviamo  alcune  poesie  manoscritte,  inti* 
telate  !a  Paiiera^  e  ìa  Faltora  del  conte  Carlo  Scotti.  Sebbene 
dettati  con  grazia  e  con  molto  sale ,  questi  componimenti  non 
videro  mai  la  luce,  perchè  smoderatamente  osceni;  e  per  questo 
appunto  non  possiamo  impartirne  ai  nostri  lettori  che  quel  bnmo 
del  primo  poemetto,  in  cui  i  riguardi  dovuti  alla  decenza  furono 
bastevolmente  rispettati. 

Dopo  ciò  tutta  la  letteratura  vernàcola  piacentina  trovasi  rac- 
chiusa in  alcuni  Almanacchi  moderni,  tra  i  quali  i  meglio  accolli 
in  patria  sono:  La  Pillhjrvina  vodva  d'Isidori  FiccapartuU 
zavaltir  e  stròletjh,  Liinarl  tv  dialót  piasintcij  e  in  PiUigréitm 
jfnjaróla  ch'à  sposa  al  ròfj  Spéina- Carpati.  Lunari  in  dialSi 
ptasintèi.  Questi  due  Lunari  vennero  già  in  luce  da  parecchi  anni, 
e  contengono  alcune  poesie  in  dialetto,  che  talvolta  non  sono 
affatto  prive  di  sale.  Altre  produzioni  a  stampa  non  pervennero 
a  nostra  cognizione,  sebbene  fiorissero  negli  ùltimi  tempi  in 
Piacenza  due  distinti  poeti,  Gaetano  Ferrini  cioè,  e  Carlo  Bon- 
gilli^  le  cui  produzioni  vernàcole  formano  tuttavia  la  delizia  dei 
loro  concittadini.  Peccato,  che  gli  scrittori  meglio  atti  ad  iìla» 
strare  il  patrimonio  nazionale  siensi  abbandonati  sovente  ad  udo 
stile  troppo  libertino  o  a  sàtire  personali ,  degradando  cosi  i 
loro  componimenti  d'altronde  commendèvoli  pel  verso,  e  ren* 
déndone  difficile  e  pericolosa  la  diffusione!  Anche  delle  ]K>esìedi 
questi  ùltimi,  sebbene  inèdite,  per  buona  sorte  abbiamo  potato 

(I)  Questo  scrittore  fioriva  appunto  intorno  al  iG5o;  il  Cresccnzi,  nella 
Corona  deUt  nobfUà  d'Italia  ,  pubbliciita  urli' anno  lois  ,  dichiara  .  che 
Maurizio  Corteniiglia  era  stalo  >uo  proccllorc. 


DlALbTTl   EMILIANI.  319 

f:»re  opportuna  scelta ,  per  offerirne  un  Saggio  ai  nostri  let- 
tori (i). 

In  tanta  inòpia  di  materiali,  non  mancarono  frattanto  bene- 
xuèrìti  studiosi  a  Piacenza,  che  s'adoperassero  a  svòlgere  ed  or- 
ciÌDare  gli  elementi  del  patrio  dialetto  colla  compilazione  del  ri- 
spettivo Dizionàrio.  A  quest'utile,  comecché  di£flcile  impresa,  pose 
amano  la  prima  volta  il  Dottor  Carlo  Anguissola,  il  cui  diligente 
lavoro  è  rimasto  inèdito  sino  al  presente.   Quindi  il  canònico 
Francesco  Nicolli  fu  il  primo  che  pubblicasse  nel  1832  un  Catà- 
£4>go  di  voci  moderne  piacentinO'ilalìanej  per  verità  assai  ristretto 
onde  provvedere  al  bisogni  degli  studiosi.  Più  tardi  comparse  il 
^Vocabolàrio  Piactnlino- Italiano  di  Lorenzo  Foresti^  il  quale, 
sebbene  alquanto  più  esteso  del  lavoro  dell'abate  Nicolli,  è  tuttavia 
sbancante  di  molte  voci,  ed  abbisogna  di  alquante  mende.  Non 
xninore  pertanto  si  è  la  nostra  riconoscenza  verso  questi  bene- 
xnèriti,  che  soli  sostennero  le  lunghe  noje  e  le  penose  fatiche 
uidispensàbili  per  lavori  di  simil  fatta,  onde  illustrare  la  nativa 
favella. 

Relegati  fra  i  monti  in  breve  territorio,  e  parlati  da  scarsa 
«  pòvera  popolazione,  i  dialetti  borgotarese  e  bobbiese  non  èb- 
l)ero  in  verun  tempo  letteratura  propria,  né  furono,  per  quanto 
ci  consta,  mai  scritti.  Né  ciò  può  recare  alcuna  sorpresa,  tale 
essendo  la  sorte  delle  lingue  parlate  in  pìccole  terre,  e  non  es- 
sendo frequente  r  esempio  del  pastore  poeta,  com'ebbe  il  Borgo- 
tarese in  Nicola  Galli.  Bensì  reca  piuttosto  meraviglia,  come  il 
dialetto  pavese,  parlato  in  una  città  capitale  un  tempo  di  potente 
regno,  e  che  da  sècoli  é  centro  d'ogni  eulta  disciplina,  sia  stato 
negletto  sino  agli  ùltimi  tempi.  In  fatti  la  più  antica  produzione 
vernàcola  pavese  che  abbiam  potuto  rinvenire  giunge  appena 
alla  fine  del  sècolo  passalo.,  e  consiste  in  due  brevi  poesìe  inse- 
rite in  una  raccolta  di  componimenti,  per  l'elezione  in  Rcttor 

(i)  A  questo  propòsito  non  possiamo  dispensarci  dui  dichiarare  ,  clie 
la  iiiàssima  parte  dei  materiali  relulivi  al  dialetto  piacentino  ci  furono  som- 
ministrati dalla  gentilezza  del  conte  bernardino  Paliastrelli ,  dollìssimo 
cultore  delle  cose  patrie,  al  quale  allestiamo  pubblicamente  lu  nostra  ri- 
conoscenza. 

2/t 


590  PASTE  SBCOIVDA. 

Magnifico  di  quell'Università  del  celebre  professore  abate  Pieti 
Tamburini.  Né  prima ^  né  dopo  queste^  compànero  altre  prodi 
zioni  in  quel  dialetto^  se  si  eccettuino  le  graziose  poesie  deidn 
poeti  viventi  Giuseppe  Bignami  e  professore  Siro  Garatti,  d 
riscossero  in  patria  ben  molti  meritati  applausi.  Le  produzioni  A 
primo,  distinte  per  originalità  di  concetto  e  proprietà  di  lingii 
e  di  verso,  tròvansi  racchiuse  in  una  sèrie  d' almanacchi  pubblica 
successivamente  in  Pavia,  prima  col  titolo:  Un  nuo^ passatempi 
e  poscia  coir  altro  meglio  adattato:  Saggio  di  poene  pavesi.  R 
queste  sono  specialmente  commendèvoli  le  due  versioni  del  Là 
mento  di  Cecco  da  FarlungOj  e  dell'  Amante  scartato ^  per  1 
fedeltà  colla  quale  il  poeta  ticinese  seppe  trasportare  nel  propì 
dialetto  tutte  le  grazie  degli  originali.  Le  poesìe  del  professo! 
Caratti  furono  pubblicate  in  qualche  raccolta,  o  separatameotf 
fra  queste  meritano  lodévole  menzione  alcune  Ottave  col  titok 
I  dù  prim  més  del  Cholera  in  Pavia. 

Non  taceremo  per  ùltimo,  come,  anche  di  questo  dialetto,  ud 
nimo  autore  tentasse  pòrgere  un  Saggio  di  Vocabolàrio,  pobU 
cando  un'esigua  lista  di  voci  pavesi  nel  4829,  collo  spedos 
titolo  di  Dizionario  domèstico  pavese^italiano.  La  tenuità  peraltr 
di  questo  lavoro  è  tale,  da  non  meritare  punto  l'appóstovi  Utolc 
essendo  ristretto  appena  a  poche  centinaja  di  voci,  e  restand 
quindi  presso  che  intatto  il  campo  allo  studioso  che  osasse  pem 
trarvi ,  onde  far  raccolta  di  materiali  per  la  compilazione  de 
Vocabolàrio  pavese. 

Tale  è  lo  stato  attuale  della  letteratura  dei  dialetti  emiliani 
se  in  essa  non  sono  copiose  le  grandi  produzioni ,  si  scorge  per 
come  le  più  distinte  e  gli  stndj  meglio  diretti  appartengano  a 
sècolo  nostro,  ciò  che  ci  porge  fondata  speranza  di  vederli  quanl 
prima  confortati  da  migliori  successi. 


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CAPO  V. 

Saggi  di  letteratura  vernàcola  emiliana. 
Ramo  Bolognese. 

iOOO.  Non  avendo  potuto  rinvenire  alcun  monumento  ante- 
''iore  a  quest'  època ,  incominciamo  questi  Saggi  col  già  mento- 
^^to  poemetto  di  Giulio  Cesare  Croci,  fondatore  della  letteratura 
V'emàcola  bolognese  ^  intitolato  :  Lamento  dei  '  Fillanij  ec.  È 
fimesto  scritto  nella  lingua  rùstica  bolognese,  che  più  si  accosta 
^Ua  Romagna,  e  poiché  varie  forme  di  quella  diversificano  al- 
Vtianto  dalla  moderna  favella  urbana,  cosi  vi  abbiamo  apposto 
^  calce  le  corrispondenti  voci  bolognesi,  onde  rènderle  più 
^S^^olmente  intese,  non  che  onde  possano  i  meno  versati  in 
<I^esti  dialetti  fame  gli  opportuni  confronti. 

lamento  de* Fillanij  obbligati  da  un  Baiulo  a  consegnare  gli 
schioppi  alla  Munizione.  Di  Giulio  Cesare  Croce ,  stampato 
tfi  Bologna  da  Bartolomeo  Cochi  nel  K  6S0. 

Po  far  la  zuoba,  o  sé  che  queste  bella! 

0  vet  ch^adèss  la  va  da  gubbi  a  ssin: 

T'  par  a  ti  che  la  sia  uoa  bagatella  ? 
Ch'avènnia  più  a  far  nu  cuntadin. 

Che  rè  andà  al  band ,  eh'  a  purtèn  (i)  a  Hlògna 

Tùtt  i  sdiuòp  da  roda  e  da  azzarin. 

V<)  Purtàmen. 


392  PASTE  SEC05DA. 

Es  n'  i  è  liròtt,  parch'  a  Tè  cert  ch'ai  bsogna 

Portar!  tuli  a  la  Mullziòn  (i), 

S^an  vièn  far,  puvrèt  nu,  al  col  dia  zgogna. 
A  purtarèiQ  mo  in  spalla  un  pertegòn  ; 

E  quand  a  srèn  a  treb  ,  o  in  s'  una  festa , 

AI  bsuognarà  ch^  k  stemma  in  t' un  cantòn. 
Al  sangv  de  mi ,  che  V  è  ben  àsna  questa  ! 

E  sat  s^  avèin  nu  spis  di  quattrinèz 

eh'  I  z'  han  propri  cava  el  nus  din  V  la  zesta. 
Hosù  là  pur,  purtèmij  (s)  ora  in  palèz, 

Parch*  an'  caschèmma  (s)  in  la  cundannasòn  (4) , 

E  eh*  an*  lèmma  sunar  al  campanèz. 
An*  prèn  donca  più  andar  dop  un  macciòn 

Asptàr  e  quest  e  quel  con  1*  archibùs , 

E  fari  far  li  prest  al  perlindòn. 
An*  pren  mo  più  andar ,  cm*  a  i  èrn  a  us 

De  za,  de  là  per  tutt  stl  nòster  cmun, 

Inspaurènd  quest  e  quel  per  tutt  i  bus. 
Cosa  valra  più  i  nòster  ragazzùn , 

Ch*  iéran  csi  brèv ,  i  n*  valràn  più  negotta , 

eh*  r  è  mo  fini  i  plasir  a  un  a  un. 
L*  ièra  del  bot  («) ,  quand  nu  andièvn  (e)  in  frotta 

Ch*  a  stiroàvao  i>o  tànt  i  zittadin 

Quant  propri  s' fa  una  livra  de  recotfa  (7). 
Ch*adèss  al  tuccarà  a  nù  puvrin 

A  dar  al  càn ,  che  con  un  mattarèi 

Iz  faràn  tirar  su  fin  al  pustrìn. 
0  (M)  far  damn ,  quest*  è  al  gran  burdèl , 

A  èsser  priv  ad*  qui  nùstar  car  usvij 

Ch'  iz  fièvan  (s)  respettar  a  quest  e  quel. 
An'  srcvn  anda  descòst  magara  un  roij  (0) 

8enza  al  nòster  sélupèt  sovra  la  spalla  , 

Ch*adèss  mo  nu  a  parèn  tant  bta  (10)  cuiiij  (11). 
Al  sangv,  ch*  an'  dig  gnanc  d*  la  nostra  cavalla , 

Ch*  an'  prèn  più  far ,  cmod  prima  i  murusòt , 

Né  cumparìr  in  qui  lug  dond  cs*  balla. 
Ch*al  se  vedèa  (12)  del  bot  sii  bia  zuvnòt 

Al  fest  andar  in  ruga  tutt  arma , 

Cb*i  avrìan  (is)  per  fin  fatt  pora  al  tarramòt. 

(1)  Muniziòn.  (s)  purtcnia.  (3)  cascàmen.  (4)  cundanna.  (ft)  volt.  («)  9"* 
dèven.  (7)d'arcotla.  (a)  fàvcn.  (e)  mèi.  (10)  bi  (11)  cunei,  {ti)  Ch'«  *' 
vdèva.  (i5)arèn. 


i 


UALim  BMlLUiVI.  5d3 

1  avèan  sèmper  le  rode  caregà  (i) 

E  al  can  in  sei  fugÒQ  per  star  segùr  (s) 

E  In  le  (s)  blsàch  del  bon  ball  aramà; 
E  s' al  s' appresintava  di  rumùr , 

Avèan  sèmper  la  man  al  scattarèl , 

E  ch^  èl  che  n'  èl,  a  i  fièvn  (4)  andar  al  bur. 
E  con  i  bia  penùn  in  Tal  cappèl, 

E  i  bia  lighèz  con  tuli  le  (tt)  franz  Intòrn , 

Az  fièvun  respettàr  a  quest  e  quel. 
Ax  cavavan  acsì  el  busch  d' attórn , 

Ch'  adèss  al  prè  vgnir  un^  e  dàrzen  una 

Tra  la  tleza  (e)  e  '1  purzil ,  0  dop  al  fórn. 
Hosù  da  po^  ch'ai  voi  csi  la  fortuna, 

Al  bsògna  ubbidir  quaè  I  supiriùr , 

Ch'  al  n'se  po'  al  zert  pugnar  contra  la  luna. 
E  nu  eh'  sten  in  Tal  ca ,  eh'  a  iè  al  mur  . 

De  terra  tutt  quant  rott  e  squaderna , 

An'  srén  dal  zert  a  stari  più  segùr  (7); 
Ben  eh'  al  diga  la  crida  ch*  i  han  manda , 

Ch'  al  se  possa  cunzar  la  serpentina , 

Mo  ch'èl  che  n'èl  la  corda  sia  amurta. 
Mo  a  so  posta  s' avèn  sta  disciplina. 

Al  r  ha  né  più  né  mane  i  zittadìn  (a) , 

Segónd  che  da  per  tutt  al  se  busina. 
Ma  lor  i  van  ch'i  pàrin  paladìn 

A  cavai,  con  la  lanza  e  l'armadura, 

Ch'  an'  psén  mo  far  cusì  (9)  nù  cuntadìn. 
0  dund'  è  andà  la  nostra  gran  bravura  « 

0  dund'  è  andà  al  nóster  valimént  (10), 

Ch'  a  n'  savèvan  za  cosa  s' fus  paura  (11)? 
A  créz  (fls)  ch'az  dsparerèn  pruoprianamènt  (is) 

A  tegnir  arnunziàr  a  la  rasòn , 

E  a  quel  rod  che  nu  a  tnèvn  acsi  lusènt. 
0  tuo  mo  ti  dia  roba  dal  patron , 

Sgraffigna  mo  per  cumprar  un  bel  sèiuòp  : 

Tuo  mo  una  roda,  eh'  apa  un  bon  arcòn  ! 
Mo  la  z'  aggrièva  (14)  ben  un  poc  de  trop  ; 

Avèir  spes  i  quattrìn ,  e  sgrafTagnar , 

E  pò  purtarij  a  Blogna  de  galòp! 

(1)  el  rod  cargà.  (2)  sicùr.  (s)  in  t' el.  (4)  fòven.  («)  totti  el.  (e)  liza. 
')  sicùr.  (8)  ztadèn.  (9)  acsé.  (io)  valòur.  (11)  pora.  (is)  cred.  (i.%)  pro^ 
triamèint.  (I4)aggriva. 


534  PARTI  SICMDA. 

A  parerèm  tuo  pulzùn  despenni , 

Inièni  (f  )  che  %V  usenia  lorna  più 

A  n'  arèn  vuòja  (s)  più  d'  una  mana. 
Al  turnarà  mo  le  balèster  su , 

E  scminzarén  a  tirar  di  pulzùn , 

A  cmod  za  se  suleva  usar  tra  nn. 
Al  darà  fuora  el  pie  e  anch  i  spnntùn , 

E  spid ,  e  ranch ,  e  targ  e  partesin , 

E  qui  strumiént  che  più  n'  usavn  ensùn. 
A  cminzarèn  a  far  del  bla  panzàn , 

Con  dir:  sta  in  dria ,  stai  ti ,  at'  darò, 

Es  a  n^  ze  petnarén  mo  più  le  làn. 
Ho  con  un  sdiuòp  s' te  vgniv  dal  si  al  no , 

Ti  psiv  cazzar  un  passarìn  in  sén , 

E  andar  pò  via  a  far  al  fatto  tò. 
0  dsén  un  puctìn  qui  cmod  a  farén 

Se  per  sort  i  bandi  viènen  (s)  a  che  (4), 

Con  che  manièra  (8)  mai  az^  dflndarén. 
Ugnòn  sin  fuzrà  vi  chi  in  za ,  chi  In  le , 

Parch^  lor  aràn  i  séluòp  e  nu  negotta , 

E  se  faran  patrùn  d*  tutt  zio  ch^  1  è. 
Al  busgnarà  (e)  ch^  az'  tnlàman  de  sotta, 

Senza  star  a'zercàr  se  V  ha  linzùa  (7) , 

Se  d' zunta  an'  vlén  purtar  la  testa  ratta. 
E  s'al  je  parerà ,  ìz*  turàn  i  bua  (e) , 

Ei  vach,  i  brich,  ei  piégor  (»),  e  i  muntùn. 

Al  zes,  la  fava,  al  furmélnt  e  i  fasùa  (io). 
0  vet  ch^  an'  putrén  far  mo  più  i  pavùn 

Con  i  bia  sóinòp  d' bel  legn  inlarsiè , 

E  con  tutti  el  bel  ciàv  e  i  bia  curdùn. 
Andarén  mo  pr'  i  cbémp  e  pr'  i  fussé 

A  testa  bassa:  an^  farén  più  i  taschèr 

Cmod  a  sulèvan  far  tra  la  brighe. 
Ch'a  In  suiivin  purtàr  sotta  I  tabèr  (ii) 

Ad  quj  de  disdòt  unz,  e  di  più  curt, 

E  in  le  bisèch  (is),  e  in  la  chèssa  (is)  dal  cher  (14). 
0  fortuna  crudél',  a  so  s^  V  azcùrt 

Adèss  I  dient  (18),  a  so  s' te  V  z*  tua  la  fòrza 

A  so  s'  te  te  zgavàgn ,  a  so  sMe  T  z'  urt. 

(1)  inànz.  (s)  vuja.  (s)  vèlnen.  (4)  cà.  (8)  manlra.  («)  bsugnarà.  (7) 
(8)  1  bù.  (e)  pìguer.  (lo)fasù.  (ii)tabàr.  (19)  bisàc.  (is)  cassa.  (I4 
(18)  dènt. 


niALBTTI  EMILlAflI.  595 

Quant  in  sari  d' nu  eh'  livaràn  la  scoria 

A  i  mattar  con  el  brèzz  e  con  el  spali , 

Es  n'  i  vairà  più  che  nissùn  se  stona. 
L' è  mo  andà  per  nu  egl^  Occh  al  ball , 

Al  busogna  de  quest  avèir  pazienzia, 

eh'  al  n'accàd  qui  a  saverla  a  pia  (i),  e  a  cavai. 
A  sén  mo  nad  qui  sotta  a  si'  infuUienzia  (s) 

Al  n'  uccór  mo  a  dir  qui  barba  a  la  zeja  (s) , 

Che  l'è  sta  questa  troppa  aita  sentenzia. 
Ai  sangv  di  tuoz!  (4)  che  Ve  una  brutta  veja!  (8) 

Cosa  vliv  più  eh'  a  famen  mo  què  d' fora  ? 

Az'  andarèin  a  arpónder  in  V  V  arveja , 

Za  eh'  voi  acsi  fortuna  traditora. 

(t)  pi.  (s)  influenza,  (s)  zéa.  (4)  luz.  (»)  vi.  Si  noli  che  la  parola  vèja  è 
romagnola. 

4700.  Il  più  distinto  scrittore  bolognese  di  quest'epoca  si  è, 
<^ome  accennammo^  il  rinomato  Lotto  Lotti ^  autoredi  varii  gra- 
ziosi poemetti.  Noi  quindi  non  potevamo  esitare  nella  scelta ,  e 
I>orgiamo  ai  nostri  lettori  il  secondo  Canto  del  celebre  poemetto 
scritto  per  la  liberazione  di  Fiennn  dall'assedio  dei  Turchi^ 
come  quello^  che  meglio  svolge  T artificiale  macchinismo  del- 
l'intero poema  ^  e  dà  bastévole  idea  della  maestrìa  dell*  autore. 

ARGUMENT. 

jél  Didul  che  sente  gVartlarie  ruzlar, 
A  s*  fa  alla  fnettra,  es  ved  t  7\irc  arma; 
Macumèt  al  so  die  lu  fa  damar , 
Per  saper  cos'  è  mai  sta  nuvità. 
Macumèt  in  cunséi  la  vói  cuntàr , 
Es  i'a  a  prigul  d'after  del  staffila; 
Mo  perchè  in  fin  al  trova  un  invenziòn . 
J  i  è  fati  un  regàl  dal  re  Plutòn. 

As  sinteva  prufrìr  per  tutt  i  la 

Dal  tambór  di  Todìsch  brod  e  pancòll , 

Es  i  fleva  al  subiòl  la  maitinà  ; 

Al  granava  al  fumar  tutta  la  nott 

Per  meltr  airordn  al  sbàtter  di  sulda, 

eh*  cunf^ìst  in  tier ,  chersènt ,  ruzl  e  pagnòtt  ; 

As  sinteva  zappar  i  minadùr , 

E  rarchbusiér  cunzava  gParmadùr. 


320  PARTE  snCO^lDA. 

Al  caro  panar  sunava  la  stremida  . 
E  i  buò  tiràvan  fora  Tari  lane. 
Al  mess  andava  in  volta  con  la  crida 
Ch'  clamava  i  fant  e  la  cavallarìe , 
Es  bsgnava  andar  senza  clamar  affida , 
E  pàdr  e  fiuò  e  Stvanin ,  birba  e  fradie  ; 
Insomma  Pera  an  strèplt,  Fera  nn  class, 
Ch**  da  un  co  air  alter  dal  mond  s^  sintè  al  fracàss. 

Glust  cmod  a  s* sent  d'in  elei  qui  zò  da  nà, 
Cm^  al  vien  un  quaich  scraènt,  tirar  al  tron , 
Acsì  sta  vèmJa  quand  la  fu  slntù 
In  t' al  zéntar  dia  terra  da  Plutòn , 
Al  stì  un  poc  inurchi  quii  becc  comò , 
PÒ  miss  la  testa  fora  dal  fnestròn , 
E  quand  al  vist  al  pòpol  d'  Macumèt , 
Dair  algrezza  ai  scapò  per  dsotla  un  pèt. 

Mò  questa  fu  una  sloffa  csì  putéot , 
Cb'  la  fi  stuppir  al  nis  a  qui  puvrìt 
In  sinlìrs  azuniar  dùia  al  turmént; 
E  a  Belzebù ,  ch^  i  aveva  al  nis  indrìt , 
A  si  vultò  Plutòn ,  e  in  r  un  mumént 
A  i  diss ,  eh'  al  prefundàss  in  zò  pr*  al  drit 
A  éiamir  Macumèt^  ch'in  balatròn 
Dal  filàtùi  di  Turch  volta  al  rudòn. 

Appena  al  V  ev'  intés ,  eh'  al  moslr'  urrènd 
S' lassò  andar  a  co  fitt  in  V  al  prefònd  ; 
E  s*  i  diss  :  Macumèt,  lassa  1  (acènd , 
Vien  da  Plutòn ,  fa  prest ,  tuot  qui  d**  infond. 
Al  sii  un  poc  incanta  tra  lù  dscurènd , 
Pinsànd  s*  V  aveva  da  turnir  al  mond  ; 
E  pò  arnunziò  la  roda  a  un  luterin , 
E  a  vgnir  su  Belzebù  i  deva  la  min. 

Mò  al  pòver  Macumèt  a  n'  fieva  pass 
Cb'  an'  maldìss  con  al  scal  anch  i  piruò; 
As  i  attaccava  ai  pie  di  magaràss 
E  di  serpiènt ,  cb'  a  fievn  dir  taruò  : 
E  ben  e  spess  al  fèn'  turnir  a  bass  ; 
Mò  quand  al  Diiul  dis  eh'  a  n'  è  di  suo , 
E  eh'  al  passa  per  cmand  dal  re  Plutòn , 
Ij  fan  larg  percb'  1'  è  l' orden  dal  patron. 

Quand  voi  al  Diiul ,  infin  l' arriva  dcò , 
E  prima  d' lassirs  vedr  al  re  di'  infèrn , 
As'  melt  i  ucciii  e  s' pèlnà  ben  la  co. 
Al  ziela ,  es  è  in  t'  al  fuog,  es  n'  è  d'invèrn  ^ 


iMAUETn  exii.ia:^i.  597 

Per  pora  eh*  r  ha  ch^  a  n*  sie  alla  peoa  tò 

Azunla  dai  daflar  in  sempitèro  ; 

Ho  per  purtarla  vie  con  dsinvoUura, 

Al  s' inzegna  d^  star  sod  in  poeitora. 
Plutòn  i  dà  d^  luntan  an' occiadina , 

Pò  i  segna  con  al  sètter  ch^  al  sUccosta; 

L'  avanza  i  pass,  mò  con  la  testa  china 

Es  na  s' attenta  a  far  la  fazia  tosta  ; 

In  fin  a  i  va  dinanz ,  e  pò  s^  inchina , 

Pinsànd  d*  avèm^  aver  una  battoeta  ; 

Ilo  quand  al  ved  ch^  Plotòn  vieu  vie  miilsin , 

Al  fa  la  bocca  d'  ridr,  es  tra  on  risiu. 
Allora  al  Diaul  1  dis  :  A  vrè  savér 

Per  ch^  la  to  setta  è  Cuora  In  camp  arma  ;    • 

r  è  da  far  ben,  di'  su  ;  mò  dim  al  ver, 

S*  ha  d' alluzar  dP  i  anma  purassa? 

L^arspònd  al  die  di  Turcb:  Mò  n^él  al  dver 

Ch^  mi  la  dscorra  cum  Vostra  Maestà 

Cun  rè?  mò  am  par  eh'  al  sippa  nezessari 

Ch'  oda  I  cunsiér  e  i  suo  referendari. 
L' arspònd  Plutòn  :  Adèss  al  fo  èiamar. 

E  ménter  ch*  dal  Cunsèi  s*  avr*  al  salòn , 

A  far  vgnirl  al  spidiss  un  cavallar  ; 

Quest  vola  per  da  stra  eh'  a  s' va  al  sfondriòn  . 

Dov  i  tiènin  la  carta  e  al  calamar  ; 

Es  i  trova  eh''  1  tiènin  oonclusiòn  ; 

AI  la  dfend  in  sMa  cattedra  Calvin 

Tutt  arrabia  contra  Lutèr  Martin. 
Mò  l' Deità ,  eh'  assistn'  ai  argumiènt 

E  eh'  deciden  sigònd  la  so  dutrina , 

Quand  i  sènten  quài  mess,  eh'  fuora  di  dleut 

I  dis ,  ch*  1  làssn'  andar  da  grand' arvlna, 

E  eh'  i  córn'  al  salòn  di  cunsiamiènt 

D*órden  dl'Illùster  Malesia  Diàulina, 

Chi  Irà  vie  la  cariega  e  chi  al  scranìn , 

Chi  dis  quattr'  in  vulgàr,  e  chi  in  latin. 
I  van  a  veder  s' i  alter  s'  hin  ardùtt 

In  bravarle  pr  andar  vers  al  Cunsèi, 

E  s' i  tròven  eh'  hin  giust  insèm  li  tutt 

Ch'  i  slan  asptandi ,  es  fan  di  maravèi 

Per  eh'  i  han  póra  eh'  n'  i  sle  quàlch  cosa  d'  bruii 

Vdend  alzirìr  con  i  turmiént  a  l' vel  ; 

E  csi  cherdènd  d' intràr  in  d' imbaràzz , 

Plnsandi  séra  i  van  fina  a  Palàzz. 


598  PARTI  uconnx. 

Al  bisbij  «  l'amiòr  èran  sì  grand, 
eh'*  era  là  in  T  al  luzòn  e  per  la  scàia  , 
Dov  mett  al  scaldi  con  al  bastòo  da  cmand 
La  zent  in  refa  eh*  a  Plntòn  fa  àia  , 
Ch*  r  era  una  cosa  d*  andar  vie  MasUnànd  : 
Mò  s^  mi  i  ho  mo  da  dir  e  quànla  e  qaila 
Era  la  lent  eh'  va  inànz  al  trentapàra , 
An*  so  s"  arò  la  vena  o  torbda  o  ciàra. 

Musa,  n^m'abbandunàr,  slam'  a  gallón , 
E  vola  al  cardlnsòn  dai  instrumlént , 
E  dslaeca  con  la  cluora  al  calisón  , 
A  quella  lai  la  ponta ,  ch^  senza  stfént 
A  psan  sunàr  d' accòrd  ;  e  in  conclusión 
Ajùtm'  a  dir  del  pòpol  dai  lamlént 
La  maniera  e  al  curtèzz  eh*  V  adrova  qoand 
S' fa  in  Ila  gran  sala  al  reziménl  più  grand. 

I  prim  andar  inànz  èm'  i  trumbitta, 
E  r  tromb  érin  furmà  con  di  zoccòn  , 
eh''  nassn  là  inr  al  zardìn  dia  zent  afflitta  ; 
Al  guardi  hin  i  sigùnd ,  eh*  portn*  i  spontón , 
E  spid  e  spad  e  la  lambàrda  dritta, 
Per  tgnir  indrìe  la  zent ,  eh*  corr  a  vajèn  ; 
Es  han  una  livrè  fatla  in  s*  al  tlàr 
Urdì  d' losèrt,  e  tsù  d*  ranuòi  amar. 

A  quisti  al  seguitava  al  bariseli 

Con  i  sblrr,  e  al  canzlièr  eh*  guarda  la  piazza  , 

Mò  percb*  za  V  hav  dal  pist  da  quest  e  quell 

Al  saluta  la  zent .  es  a  n'  strapazza  . 

Es  porla  sempr'  in  man  al  so  rapèll  ; 

L'  ha  in  t*  i  o£  quài  cassar  eh'  sempr'  arvina  mnàzia  ; 

L*  ha  in  somma  in  meni  la  botta  dal  zucchèt . 

Es  s*  arcorda  al  nigozi  dal  lucchèt 

La  quarta  ruga  hin  tutt  i  stafflcr 
Con  la  livrè  dia  Cort  d'un  passamàn, 
eh*  è  d*  penna  d' anghiròn  e  d' sparavièr  ; 
Al  fond,  è  un  cert  drughèt  d*  lana  d*  qnàl  càa 
eh'  sta  alla  porta  d*  quel  luòg  con  trei  visièr  ; 
Dop'  a  clòr  al  vien  un  eh'  ha  dritt  in  man 
DI*  adannà  Poplazìn  al  Cunfalòn  , 
Con  Tarma  dpinta ,  o  sie  al  furcà  d' Plutòn. 

Qui  vien  con  al  culèz  tntt  i  dutùr  . 
I  pràtich  con  i  mièdg  e  i  avocai , 
E  i  nudar  con  i  suo  procuradùr  : 
I  sustitùt,  che  n'  in  mo  tant  ingrat. 


MAUTTI  BMILIA^SI.  599 

Dan  la  man  dritta  ai  sollixitadùr; 

Dri  a  quj  ia  nubilta  con  al  senat 

Yien  con  pompa ,  e  dop  lor  qnj  eh*  lui  dal  mal , 

Idest ,  al  mie ,  e  la  tent  dal  erlmiD&L 
Yù  eh*  siati  quel  eh'  a  dig ,  s*a  psissi  vdar 

r  abitìn  e  gr  usanz  d*  qoal  bel  paiét , 

Ceri  dirissi  eh*  i  fan  al  so  dover , 

I  eh*  i  han  dia  bòria  d' dri ,  e  eh'  i  lan  di  spes; 

Là  i  sari  n*  roben,  es  disen  sempr  al  ver  ; 

E  a  trovar  a  gì*  usani  an*  i  è  Frames 

Ch*  i  possa  ior  la  man  ;  né  earastiè 

È  in  i*  agi*  ùrèe  al  mang ,  e  al  searp  al  pie. 
Chi  indòss  porta  una  vesta  d*  tela  d*  ragn  ; 

Chi  è  vsti  con  una  scorta  d'  un  serpènt; 

Chi  ha  una  scnf6a  dia  peli  d*  on  barbaiagn  ; 

Chi  d*  vipr  ha  la  pirucca ,  e  ehi  ha  in  s*  al  ment 

Una  barba  ch*  s*  rad  sol  con  piomb  e  stagn  ; 

Chi  porta  1*  àbit  dal  più  strelt  parènt  ; 

Chi  d*  on*  ors  porta  indòss  la  brutta  pali  ; 

E  chi  s*  cmòv  con  dii  ali  d*  palpastrelL 
Chi  ha  la  giubba  arcami  d' biss  e  d' scarplun  ; 

Chi  ha  in  s' la  testa  per  bretta  un  basalise , 

E  puoc  i  n*  è  ch*  a  n*  porto  in  s*  i  libàn 

D*  qui  brutt  usiè  eh*  a  o'  s*  ponn  eiapar  al  vise  ; 

Dal  rest  i  n*  ùsan  né  caUèlt,  né  schfun , 

E  stan  con  al  cinzai  acsì  in  s' i  friso. 

Mò  am  perd  Ini*  al  i  usanz  ,  es  an*  m*  arcòrd 

D' andar  Innanz  con  qo]  ch*  a  sèn  d*  aeeòrd. 
Qui  dop  al  mèster  d'  Càmar  Raboio 

Al  vien  dil  càus  al  jùdiz  Radamant, 

E  llacumèt  s*  i  è  za  acusta  da  vsln , 

Ch*  al  va  Infurmànd  dia  mossa  d*  qui  furiant  ; 

Un  diaol  rumagnòl ,  eh*  tien  al  bertin 

Dal  patron^  va  eridànd:  TVasì  da  etmt 

Da  que  jmco/I  eh*  V  è  qm  el  npsl  pairò 

Ch*  an*  suUinéts  luti  quent  el  $ò  $aiò, 
Veramènt  al  cridava  con  rasòn  , 

Ch*  is*  tulissen  dinànz  alla  sfangàia , 

Perch'  al  re  n*  inspurcass  quii  bel  rubòn 

Ch*  fu  eusi  con  dal  sedei  d*  una  tròia; 

L*  aveva  in  min  al  sètter,  ch*  è  on  bastòa 

Ch*  pareva  al  mattarèl  da  far  la  spula  ; 

Mò  per  cumpìr  la  cosa,  Tha  in  s' la  gnucca 

D*  biss  anzi  fati  a  rizz  una  plmcca. 


550  PARTI    SBCa%DA. 

I  avevo'  za  dà  alla  polvr  al  archllMiiie, 
E  la  sedia  d'  Plutòn  miss  a  so  luog , 
Ch'  i  prim  èra  arriva  a  passar  al  fiànc , 
E  in  aspttarl  ai  pare  d' essr  in  T  al  fuog; 
Tant  i  fieva  dvintàr  la  granda  mane , 
Perch'  r  era  tard  ,  es  era  air  ordn  al  cnof  ; 
Mò  mènter  eh'  is'  lamèntn,  a  s*  od  la  piva 
E  i  caraìt ,  cb'  bin  al  segn  cb'  l' è  lo  eh'  arriva. 

Apenna  eh'  r  è  arrivi  dia  sala  in  sT  osa , 
Is'  lièven  tutt  in  pie  con  nn  fracàss , 
Ch'  chi  li  udiss  sulamènt ,  e  lì  n'  i  fuss , 
Al  dire,  eh'  l' è  nn'  asnar  con  di  asn  on  squass  : 
I  chinin  tutt  la  testa ,  es  viènin  russ. 
Fin  tant  eh'  al  sied  in  s' la  cariega  d' ass  ; 
E  quand  la  porta  al  purtinar  ha  sri , 
Ch'  i  s' metn  a  seder  sùbit  ai  ha  zgni. 

E  tatt  s' bin  za  sbarga  eh'  al  cmenz  a  dir  : 
I  mie  fino ,  a  i  è  un  gran  strèpit  su  in  s' la  terra , 
Cb'  vuol  cavar  da  qualcun  crld  e  suspir  ; 
Macamèt  lù  v'  dirà  cos'  è  sta  guerra  ; 
E  sol  per  quest  al  ho  éiamà  i  cunsijr  , 
E  tutt  vù  àltr  eh'  si  qui ,  dove  s' asserra 
I  secret  e  i  fatt  mie,  cb'  in  decretar 
Sol  al  vistar  parer  vui  adruvir. 

E  chi  savrà  truvàr  un  miór  parti 
Cb*  sippa  per  appurtar  utr  ai  nost  regn , 
Subitamèot  la  pena  i  frò  attiri , 
Si  che  al  bisogna  cb'  aguzza  l' inzègn. 
E  quand  sta  filastrocca  Tba  fini, 
As  volta  a  Macumèt  con  tari  segn, 
Ch'  al  cmenza  mò  a  cuotir  zò  alla  sfilai 
Cos'  è  sti  irm  ,  cos'  è  st'viopp ,  cos'  è  sti  dà. 

Macumèt  bassa  i  ot,  livànds  in  pie, 
E  attórn  attórn  al  (a  la  riverenza; 
Pò  cmenza  vers  Plutòn  :  Za  eh'  vusgnurlè 
Voi  savèr  quel  eh'  V  ha  visi  in  apparenza , 
Mi  i  dirò  r  essenzial  ,  perchè  cui  znic 
In  tutt  i  suo  intirèss  a  n'  fan  d' mi  senza  ^ 
S'  ben  sta  volta  eh'  in  fora  am  maravèi , 
Perch'  an'  jè  sta  dal  tutt  al  mi  cunsèi. 
Al  srà  un  mes ,  eh'  al  mufti  dalla  meschitta 
Una  littra  m' spidi  zò  in  balatròn , 
E  con  premora  granda  al  l' bave  scritta 
Digànd  con  fundamènt  la  so  rasòn  ; 


DIALETTI   EMILIANI.  351 

E  per  n'  la  far  d' caprili ,  e  fatta  e  ditta , 

AI  zercàva  d' sintir  la  mie  opinion  : 

Mò  al  tenór  a  dirò  sol  zò  alla  dstesa 

Perchè  da  tutt  la  sippa  mij  intesa. 
Donca  al  scrive ,  ch^  i  Turcb  vièvan  purtar 

La  guerra  a  Liupòld  impiratòr  , 

E  eh'  i  vièvan  la  pas  con  là  guastar  ; 

nò  per  quànt  pare  a  lù  ch^  i  èrn  in  erròr , 

Per  eh'  i  s*  èrn^  attacca  senza  pinsèr 

In  8'  una  bava  d^  ràgn  ,  eh'  un  gran  dsunòr 

I  pseva  parturir  in  fin  dal  latt , 

E  eh**  al  cgnusseva  eh'  i  èrin  dà  in  t*  al  màtt. 
E  ch^  pertant  i  l' avévn'  interugà , 

Cmod  è  al  sòlit,  s' i  arèn  avù  vittoria , 

MÒ  per  eh'  al  vdeva  eh'  r  iera  mal  pinsa , 

L' arspòs  eh'  an*  i  psè  dir  nijnt  a  mlmoria , 

Fin  eh'  an'  ave  in  insunni  a  mi  parla  ; 

E  eh'  lù  lercàva ,  per  finir  V  istoria  , 

Da  mi  cumpéns,  s'al  s'avè  fora  d'ascóndr, 

0  al  fin  di  fin  cosa  Tavè  d' arspòndr. 
Mi  eh'  a  m*  pars  un  gran  che  a  rompr  una  pas , 

Quand  ai  av  lièt  la  littra  a  m' incantò , 

Cosa  eh'  a  tutt  fare  affilar  al  nàs. 

E  CSI  al  mufli ,  eh'  durmeva  mi ,  vulò 

Con  eia  putenza  eh'  a  li'  è  fatta  a  càs , 

Mò  eh'  fra  i  turmiènt  za.  vusgnorlè  m'  dunò  ; 

E  dop  eh'  ai  av'  uni  '1  fantàsm  a  Ictt , 

Ai  eminzò  a  dir  quel  eh'  am  sinteva  al  pett. 
Ai  diss  :  Mufli ,  la  pas  è  un  cert  ligam 

Ch'  n'  è  fatt  né  d'  ref ,  ne  d'  seda ,  né  d' bavella , 

S' ben  r  è  fazil  d' lassars  più  eh"  a  n'  fa  al  stim 

In  st'  pòpol  eh'  voi  anco  munfàr  in  sella  ; 

Però ,  mufti ,  la  pas  ti  sa  s'  al'  àm 

Qujint  a  fleva  in  guazzèt  la  euradella; 

Arspondi  pur,  cm*  i  cmenzn  andar  de  st'  pass, 

Ch'  i  vgnaràn  all'  inzò  tutt  in  seunquàss. 
Macumct  tutt  calòr,  tutt  in  facenda 

Vieva  dir  alter  eoss ,  mò  Radamànt 

Salta  su  in  mezz  con  una  vos  tremenda , 

Es  dis  :  Vostra  Maestà  supporta  tànt  ? 

All'  i  è  za  quj  eh'  ascolta  eh'  a  n'  eumprenda , 

Quànt  Macumèt  sippa  dvintà  furfànt, 

An'  voi  eh'  s'  rompa  la  pas,  né  eh'  s'  catta  brlg  ; 

E  pur  senza  la  pas  l' è  in  cà  dal  nmig. 


359  PARTE  seco^toA. 

8^  i  Ture  in  guerra  a  n'  cuijn  su  al  malànn  , 
S' in'  viènin  abitar  qui  zò  da  nù  , 
Quest'  è  ceri  eh'  Macumèt  è  al  nòster  dano , 
Per  eh'  ai  cunsiò  alParversa  al  turlurù  : 
E  pur  sM  andassen  sott  a  Vienna  s^ann , 
I  vgnarèn  pur  qui  a  dir  :  la  diss  ,  la  fu  ; 
Perchè  là  cr  àìier  popi  ha  una  cert  forza, 
Ch'  anch  del  voli  con  1  sign  nù  alter  sforza. 

A  cslù  bsogna  do  nari  un  iientamènt 
ChM' Impara  d'adruvàrs  per  nòster  coni, 
Perchè  lù  sol  pò  far  con  la  so  zent 
Guadagnar  di  quatrìn  al  pass  d'  Carònt  ; 
Gran  Sgnor ,  pinsai  pur  ben  ,  e  tgnìvi  a  meni , 
Per  eh'  r  a  n^  è  cosa  da  mandar  a  moni  ; 
Anz  che  s' adèss  da  vù  n'  fuss  castiga , 
La  passare  In  abùs  in  verità. 

Macumèt  cminzò  arspòndr,  es  diiva  bel 
A  tor  la  man  a  cP  alter ,  mò  in  scalmana 
AI  salta  su  Plutòn:  Mò  cos'è  quell? 
Siv  fors  dvintà  duo  scartassin  da  lana  ? 
Dsmittì  un  pò  d' litigar  ,  e  a  n'  fa  flazèll , 
Per  eh' mi  la  cosa  intènd  cun  l'è  alla  plana; 
E  s' Macumèt  sta  volta  ha  fatt  un  fili , 
L'  ara  per  benemèrit  un  cavali. 

Za  hin  fora,  e  per  nù  l'è  squas  sicura  , 
Ch'  as'  mandaràn  di  spirt  eh'  sann  al  fatt  so 
A  cazzar  in  scunquàss  l'architettura 
eh' tra  Tun  e  l'alter  popi  a  s' preparò. 
Macumèt  salta  su  digand  :  V  è  dura 
Da  rusgàr;  quànt  al  mod,  mi  n'  v'insgnarò. 
Mò  s'a  vii  eh' a  via  diga  cmod  s' pò  far, 
La  cosa  dal  cavali  va  lassa  andar. 

Squizimbraga ,  un  dutlòr  eh'  in  t' un  cantòn 
Slieva  infuslì  e  incanta  a  sintir  al  tutt. 
Al  munto  dritt  in  pie  su  in  s' al  balcòn , 
E  per  mustràr  eh'  fra  i  aitr  al  n'  i  era  mutt , 
Sgoori  (al  dis),  Macumèt  è  un  cert  inzgnòn 
Ch'  sa  cgnósser  la  panzetla  dal  persoti; 
Però  s'a  fuss  in  vù  ai  perdunarè, 
E  al  so  pinsièr  vluntlera  a  sintirè. 

Dà  gusi  a  Squizimbraga ,  diss  al  re, 
E  sten  a  udir  qualch'  altra  bstialilà  , 
Cun  st'  patt  però,  eh'  s' al  parti  ben  a  n'  è 
S'  tramuda  quel  cavali  in  bastona. 


V 


DIALnri  EMILIANI.  535 

Am  cuntèDt,  am  cuntènl,  mò  si  alla  fé; 

Di8  Macumèt  ;  e  s' vostra  Maestà 

Vrà  applicar  a  tuli  quel  eh' a  io  in  la  testa, 

Sicuramònt  per  Uè  s*  farà  la  festa. 
Perchè  da  tutl  al  dscors  fu  assà  gradi , 

Ai  fu  dà  faculfà  ch'ai  dsiss  pur  su; 

E  per  sbrigarla  al  cminzò  a  dir  acsì  : 

A  i  è  tra  gi  Impiriàl  un  tal  eh' a  nù 

Porta  assà  devoziòn,  es  è  al  Tekli; 

Ai  a' è  un  alter  eh'  è  poc  eh'  a  1'  ho  cgoossù, 

eh'  a  m'  porta  grand  affèt ,  es  è  al  Budiàn 

Ch'  per  servìz  quest'  è  al  brazz,  l'àltr'  è  la  man. 
A  cstòr  cazzai  inlòrn  un  diàul  pr  on 

Cb*  1  smanezza  cmod  s' fa  un  Pulicinella, 

Ch'  a  vdri  s' as'  impirà  al  mi  sfondriòn  ; 

E  fa  ch'i  siè  duna  un  pò  d' gabanella, 

Ch'  a  vdri  pò  s*  V  è  cattiva  la  rasòn; 

Fa  in  mod  e  chM'un  e  l'àltr  ai  suo  s'arbella, 

Ch'  i  sran  la  vera  causa  eh'  populà 

Srà  qui  l'eterna  stanza  di  danna. 
Con  I  Cstiàn  za  an'  iè  dsegn^  perch'  la  so  fed 

I  fa  andar  ali' insù  ;  mò  a  so  sicùr, 

Ch'  i  nostr  in  guerra  n'  s' cavaràn  la  sed , 

Es  armagnràn  al  fin  di  fin  al  bur, 

Perch'  an  s'  dà  esempi  eh'  sie  tira  alla  red 

d'alter  pòpol,  cm'  a  iè  ch'arbàtt  al  mur 

Con  i  calz  all'indriè ,  eh'  l' è  giust  allora 

Ch*  al  gran  Die  eh'  z'  fa  trmàr  i  aiuta  agnora. 
Al  dis  ben ,  al  dis  ben ,  tutt  a  una  vos 

Crida  al  Cunsèi  ;  e  al  re  sùbit  dà  ordn 

A  Radamànt  ch'ai  vola  là  d'ascòs, 

E  per  métter  dal  camp  lult  in  disòrdn , 

Ch'ai  tuoga  sieg  un  diàul  presintós 

Con  un  cumpagn ,  ch'i  vaghn,  e  ch'in  s'al  dscordn, 

Ch'  lù  incanta  insomma  gì'  àrm  in  t' i  cunflìtl, 

E  eh'  i  alter  s*  cazn'  in  corp  ai  duo  za  ditt. 
E  a  Macumct  per  prèmi  fu  dona 

Un  furcà  antìg  antig  eh'  fu  za  d'Plutòn , 

Quànd  d'  Prusèrpina  V  iera  innamurà , 

Per  fars  in  scrann  da  sedr  in  balatròn; 

Csi  qui  fumi  al  cunsèi ,  e  zò  alla  dsprà 

Cors  i  diàul  a  so  luòg;  mò  l'upiniòn 

Perchè  la  crcs  in  mi  d' furnìr  st'  puemma  , 

La  voi  eli'  am'  posa  un  poe  pr  andar  con  flemma. 


334  pjim 


1750.  Fìommo  sofia  Bdà  del  passato  sècolo  le  tanto  cele- 
brate sorelle  Maddalena  e  Teresa  Manfredi,  che  precipuamente 
cooperarono  all' fllnstrazioiie  del  naliTo  dialetto.  La  loro  trado- 
noDe  del  libro  napolelaoo  C&mto  et  li  Cunti  è  meglio  atta  dì 
ipahmqoe  altra  prodonone  a  somministrare  mi'  idea  precisa  della 
natara  della  lingua  bolognese  d*  un  sècolo  ùi^  essendo  scritta  In 
prosa.  Per  mala  sorte  le  \otelle  ili  racchiuse  sono  alquanto 
Insipide,  e  non  hanno  altro  scopo,  dopo  quello  di  ingannare  la 
noja  delle  hmgbe  sere  infernali  :  noi  perciò  ne  abbiamo  scelto 
qoeDa  che  d  panre  meno  slucchèTole^  come  saggio  di  lingua; 
e  poiché  b  pùbblica  opinione  snoie  comunemente  attribuire  alle 
sleswe  Jlanfredi  la  graziosa  e  rinomata  ^afirone  pev*  abbrucciare 
la  tf^cchia  a  mezza  quarésima  »  abbiamo  giudicato  opportuno 
inserirla  in  questo  luogo  come  saggio  della  letteratura  popolare 
di  quel  tempo. 

La  Fola  dia  Fiala. 

Ai  era  una  volta  un  om  eh'  aveva  trei  lloli ,  e  lù  aveva  Dom  Cola  Agnè 
i  nom  di  Soli  èni  qBistl:  Rosa,  GaròUla  e  Viola.  La  Viola  era  la  più  ptnÌD=^ 
nò  r  era  csi  strampalaoiènt  bella,  cb'  V  xeot  s*D^lniiaiiiorivn  sol  a  vderl^s- 
Fra  i  aitr,  cb'  cascava  mort  d'  amor  pr  Ij,  al  era  Zullòn,  cb"*  era  al  tii 
dal  re,  al  qua!  era  in  pc  d'ammattir.  Qoest,  ago  volta  cb'àl  passava  dnài 
alFuss  d*  sii   ragazzi,  al  s'  fermava  io  Ila  strà  a  diri  cvell,  percbè  al 
vdeva  li  in  t'  V  àndii  con  gli  àltr  sòu  sorèi  cb*  lavuràvn  lì  io  Teslad  ; 
csi  donca  agn  volta  al  dseva:  u  Sondi ,  bondì ,  Viola»»;  e  Ij  i  arspondeva 
u  Bondi ,  fiol  dal  re  d' sta  zitta ,  a  in  sii  più  d' tj  purassà»».  A  quegP  alt        '* 
surèll  mò  ai  dspiaseva ,  es  i  dsèvn:  u  Qb  t' jè  pur  pò  la  gran  zuffoaa  mi^^  ' 
crea ,  nù  z'  maravjèn  :   ti  t' vù  cb'  al  prènzip  s' la  liga  al  nàs ,  e  eh'  a^  ' 
z'  daga  al  malàn  n.  Mò  la  Viola  o'  i  badava ,  es  tirava  Innànz  [al  fatt  si^^  * 
Cosa   fio  lor  quand   l' vlstn  eh'  la  fava  gP  uree  d' mercadàni  ?  gP  andò^i^^ 
a  dir  a  so  padr  :  u  Oh  pi ,  T  ha  d'  savèr  eh'  la  Viola  è  tant  sfazza  e  rube;^^ 
sta  ,  eh'  r  arspònd  sèmper  con  un  argùi  al  prènzip ,  cm'  al  dis  cvell ,  cl»^ 
gnanc  s'  al  fusa  so  fradèll ,  nù  n*  z'  aspètn  altr^s'  n'  eh'  un  di  i  scappa  1^^ 
pazinzia,  e  eh'  às  metta  a  far  di  pladùr,  e  eh'  a  buscimn'  anca  nù  'eh'  i^ 
n'  avèn  colpa  d' ngottii  ».  Su  pàdr,  eh'  era  un  om  d'gran  judizi,  pr  cavììrli^^ 
d'in  cà,  al  la  miss  con  una  so  zè«  eh*  ave  nom  Cucca  Panella,  es  i  dis       j 
eh'  d'  grazia  la  tulèss  sta  ragazza ,  eh'  la  i  are  lavura  pr  U  ,  e  eh'  la  i  fi:^^ 
mò  si'  servizi.  Al  prènzip  mò,  eh*  seguitava  a  passar  pr  da  stra  ,  e  eh'  i»  ^ 
vdeva  più  la  Viola,  al  fi  di  coss  di'  altr  mond  ,  e  tant  andò  dmaiidand  »' 
\^ìn ,  e  ecrcànd  d' Ij,  eh*  ai  fu  pò  dit  dov  la  slòva ,  «  in  cà  d*  chi  Ter» 


DiALerri  emiliani.  33tf 

eaipjli.  Quand  al  sav  sU  cosa,  Pandò  a  Iruvar  sta  veccia, es  i  dìss:  «Ha- 
Anum»  za  a  savi  chi  a  son,  quest  liasta  perchè  intindadi  eh'  s' am*  fari 
B^nrizi,  biada  vù,  an  v*maneara  mai  più  ngotta  '>•  La  Cucca  Panella  arspòs: 
«Xò  pur  ch^  a  sìppa  bona,  eh'  al  emanda  pur  ".  Al  prèuzip  dìss:  u  Mò  mi 
^*  mi  altr  da  vù,  s' n'ch'am  lassàdi  vder  vostra  nezza,  ch'ai  vui  parlar »>. 
««nò  mi  (IJ  soggiùns)  pr  servirl  ai  pinsarò  ;  mò  eh'  1* intenda  ben^Iustrissm, 
s:k*  an'  vui  eh'  la  ragazza  s'accorza  eh'  ai  tìgn  d'man  a  lù,  perchè  an  n'ho 
^isògn  ch^vaga  fora  sta  ciàceiara,  ch'ai  l'ho  lassa  vder,  si  ben  eh' a  so 
!^  la  n^  voi  altr  eh'  parlari  :  eh'  al  fazza  donca  csì,  eh'  al  vaga  zò  qui  in 
kla  staiiziola  ch^  guarda  in  t' l' ort ,  e  mi  piarò  scusa  con  la  Viola  d' vler 
sveli ,  eh'  sj  li  zò ,  es  i  la  mandarò.  Quand  al  prènzip  sintt  la  nova ,  an'  fu 
mk  mut  né  sord,  al  s'andò  camminànd  a  star  li  zò.  La  veccia  piò  scusa 
sa*  l' ave  bsogn  dal  pass  pr  msuràr  dia  tela,  es  diss  alla  tosa  :  u  Cara  ti, 
i^loU  y  firn  servizi  d'andar  zò  a  tor  al  pass,  eh'  a  vui  eh'  a  msuramn  sta 
«la  9.  Sùbit  la  Viola  còurs  zò  in  tla  stanzia:  quand  la  fu  li,  l'ha  visi  l'a- 
Blf  h  zrisa ,  eh'  i  eminzò  a  far  eurtis]  ;  mò  IJ  sgullò  vj  cm'  una  Inserta , 
ss  t'  al  piantò  li  tutt  arrabi.  Quand  la  veccia  l'ha  vist  turnàrsùcsi  presi 
aoD  ili  pass,  la  s'immazinò  eh'  al  n'aviss  avù  temp  d' parlari ,  es  turno  a 
llr  :  <«  Oh  Viulina,  a  vré  eh'  i'  lurnass  zò,  e  eh'  t*  m*  portàss  quàl  gmissèl 
l' rev  griz  eh'  è  in  s'àl  tulir  ».  La  Viola  turno  zò,  la  tols  al  rev,  es  turno 
i  piantar  al  prènzip.  Qui  la  veccia  s'arrabbiava  a  vderla  turnar  su  aesi 
irest,  eh'  la  capeva  eh'  quàl  sgnor  ni  pseva  parlar.  La  turno  a  mandar 
BÒ  la  Viola  una  bona  volta,  dsendi  :  «<  Mò,  fiola  mi ,  mi  am'dspias  d'man- 
lirt  tant  ioanz  e  indrj ,  mò  sii  diàui  d' sti  zesùr  n'  ti^in  brisa;  mi  vrè 
laelli  eh'  in  zò  solta  ai  sdàz  ;  cara  ti ,  famm  ane  st'  servizi ,  prchè  mi  n' 
[KM»  far  a  mane  ».  La  Viola  andò  zò ,  e  d' beli  nov  al  prènzip  av'  la  terza 
ripulsa.  Quand  la  ragazza  fu  su ,  sùblt  la  tajò  con  l' zesùr  un  pzòi  d'uree-- 
eia  alia  veccia  digandi  :  c<  Tuli ,  ziina ,  d'  vostra  fadiga,  eh'  am'  avj  manda 
taot  volt  zò  da  quàl  sgnor,  quest' è  in  scambi  d'sinsafàri,  perchè  àgn 
fuiiga  merita  premi  ;  anzi  eh'  l' are  bsognà  eh'  av  aviss  anc  tajà  al  nàs  ; 
nò  an^  sentirissi  piò  la  gran  puzza  eh'  mena  i  Vostr  vizi  :  oh  questi  hin 
Tcen  da  cunsignàri  di  zovn!  mò  sta  mò  a  vder  s'am  la  cui".  £s  andò 
a  ci  d'  so  pàdr,  e  la  veccia  armàs  con  un'  ureccla  srouzgà.  Al  prènzip  era 
arrabbia  com'  un  Ture,  perchè  la  cosa  era  andà  mal.  Quand  la  ragazza  fu 
a  cà,  la  turno  a  iavràr  in  t' la  loza;  e  lù  puntuài  turno  a  dar  1'  volt  con 
la  sòlita  cantilèna:  u  Bendi ,  bendi ,  Viola  »;  e  Ij  con  ci'  altra  :  «  Bendi , 
flòl  dal  re  d'  sta  zitta ,  a  in  so  più  d' ti  purassà  ».  L'  sòu  surèil  battèvn 
fng,  eh' la  1  pare  lànt  la  gran  malliria,  es  s'accurdòn  insèm  d'  far  in 
•od  eh'  la  s' i  dscavàss  d'  tra  i  pj.  Sii  donn  avèvn  una  fuestra  eh'  guar- 
dava in  t'  un  ort  d'  I'  om  salvàdg  ;  cessa  finn  lor  V  L' s' lassòn  cascar  a 
posta  un  maratèl  d*  curdonzìn  che  gii  adruvàvn  da  perfllàr  un  pettanlèr 
alla  rgina.  Cmod  a  dig ,  si  fagòt  d'  perfii  fu  Irati  zò  a  posta  dia  fuestra, 
la  qual  era  d'una  gran  altezza  pr  arrivar  zò  all'ori.  L'scmiuzòn  pò  a  far 

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395  PARTE  SBCOl^DA. 

vista  d'essr  tutt  dsprà ,  es  cminzÒD  a  dir:  «  Ob  puvretti  nù;  mò 
farèmia  eh'  az  è  casca  si'  cardòn  ,  es  n'  prén  finir  a  temp  ai  petUnlèr  41 
rgina,  eli'  bsò  eli' la  l'ava  pr  dman  d' sira?  Al  voi  bsgnar  eh*  la  Violi 
eh'  è  la  più  alzira  d'  nù ,  s' lassa  mandar  zò  con  una  curdsina ,  eh'  nà  1 
tgnarèn  soda,  e  IJ  tura  iil  eurdòn*».  La  Viola,  ch'i'  vdeva  csi  aecvri»  ti 
accumdò  subii,  e  lor  i  ligòn  una  corda  a  travèrs ,  es  la  mandòn  lò  41 
fnestra ,  e  pò  quand  la  fn  zò,  i  lassòn  la  corda ,  e  Ij  arinas  li  senxa  pUà 
più  iumar  a  cà.  In  i'Tistcss  iemp  eh' la  tosa  armas  lì,  I' om  sjJvM 
TÌgn  fora  dal  purtòn  di'  ori  pr  piar  un  pò  d'  frese.  Si'  om  ave  pres  di 
veni  e  dl'ùmid,  es  (i  lani  al  dsprpustà  flàl,  eh'  an  s'udirìì  mai  piò  u 
cosa  sì  tremenda.  La  Viola  tri  tànl  al  gran  irmloii,  eli'  la  zigò  dal  apavèa 
«Oh  pà,  ai  ho  póra  ".  L'om  salvàdg,  cb'sinii  si'  zigh  ,  s' vuliò,  et  yrh 
eh'  r  aveva  li  dedrì  una  bella  zuvnelta  ;  al  s'arcurdò  eh'  l' aveva  sintà  di 
quand  l'era  piznin,  ch'ai  è  di  cavalli  in  i'  un  lug ,  eh' sMmprègnin  eoi 
al  veni;  al  fi  i  so  cunt,  eh'  s' l'andava  pr  vj  d'  veni,  al  n'  aveva  là  flU 
un  allora  acsi  tee ,  eh'  al  dseva  èsser  sta  quell  eh'  aveva  imprgna  qoi 
eh'  albr,  e  eh'  d' li  i  dseva  éssr  ussì  sta  bella  tosa.  Pinsand  ch'aia  eoi 
la  fuss  vera,  al  pres  a  vier  ben,  cmod  s*  la  fuss  stii  so  fliòla;  al  l'abbrac 
dsendi  :  u  Oh  flòla  roj ,  eh'  i'  i  ussì  dal  mj  fia ,  chi  arév  mai  crìtl ,  eh'  d 
quel  i  avìss  a  nassr  sì  beli  mustazzin  >'.  Al  la  di  pò  in  cunsegna  a  IH 
fad  ch'stèvn  in  t'  l' islcssa  cà  ,  con  ordn  d'allivarla  e  d' farn  coni.  Ittlin 
mò  al  prèniip,  eh'  a  u'  vdeva  più  la  Viola  ,  e  eh'  n'  in  saveva  più  né  li 
rega  né  in  spazi,  Pav  a  murìr  d'afTàn;  lù  n'  pseva  più  magnar  un  bcòo 
al  dvintò  zail  ;  1  oó  s' i  èrn'  incava  in  i'ia  testa;  i  làbr  èrn  vgnù  biaoe 
e  insomma  Tera  un'ancroja.  Qui  al  cminzò  a  prumètr  di  mani  a  chi 
avìss  savù  Insgnar  dov'  era  la  Viola,  e  lani  andò  drì  zcrcànd  e  dmandim 
eh'  in  fin  al  sav  eh'  I'  era  in  ca  dP  om  saivadg.  Subii  eh'  al  siniì  sta  eooa 
al  le  mandò  a  clamar,  es  i  diss:  «  !Ui  so  eh'  avj  tànt  al  beli  urtsìn,  e  m 
son  qui  ammala  mori  cmod  a  vdi,  eh'  la  n'  è  cosa  eh'  av  daga  ad  Intè» 
der;  ora  mi  vrè  vgnir  a  dscrcdrm  un  poc  in  sfori,  e  stfir  in  cà  voaln 
sol  un  di  e  una  nott;  mi  am'  basta  ch'am'  dadi  una  stanziola  pr  eia  noti 
sìppla  mò  d'  eh'  ratta  la  s'  vuja,  e  nò  àltr;  mi  n'en  vul  dar  fastidi.  L»OB 
saivadg  era  imbrujà ,  prchè  al  re  za  era  al  patron  ,'e  qui  s' al  dsevi 
d'  no  a  so  fiòl,  Pavé  fora  eh'  n'  i  nassiss  dal  mài;  basla,  lù  pres  al  parti 
d'esser  eurlès ,  es  i  diss,  cir  s' an  bastava  una  stanzia,  eh'  ai  Pdarè  tetti, 
e  eh'  magara,  e  tuli  stl  cos.  Al  prènzip  al  ringraziò ,  e  cP  Islessa  sira  al  fi 
purtar  lai  su  linzù  e  I  eu88Ìn,cs  andò  là  a  durmìr.Cla  stanzia  ch'I  fu  assgei 
era  mò  Just  d'bona  fortuna  a  mur  a  quella  dl'om  saivadg,  al  qual  sievi 
a  durmir  con  la  Viola  in  Pun  islèss  leti,  perchè  al  fé  va  coni  eh' la  Ito 
so  flòla.  Quand  fu  ammurtà  la  lum,  al  prènzip  s' Ilvo  pian  pian  ,  es  andò 
lì  d' là  dall'  om  salvàdg  ,  perchè  P  era  averi  l' uss ,  eh'  P  era  un  caM  eh'» 
sciupava;  al  prènzip  andò  a  tastùn  dia  banda  dov  [P  aveva  slniù  la  sira 
la  vos  dia  Viola ,  es  i  di  du  pzigùt ,  mò  dia  èiavclla  ;  Ij  s'  dsdò ,  es  piosò 


DIALETTI  EMILIANI.  337 

ch'rfussn  pulì;  la  scusso   Toni  salvadg  dsdàndel  pr  diri  sia  nova  e  pr 

diri:  a  Oh  nuoio^  nanìn^  V  gran  puls  ,  an^  i  poss  durar  ».  L'om  salvadg 

M  fi  andar  In  l' un  àltr  lett,  eh'  era  in  eia  mdésma  stanzia.  Da  lì^a  un  àltr 

poc  al  prènzip  fumò,  es  andò  al  lett  dia  Viola  (eh'  r aveva  slnlù  eh'  l'era 

AQdida  pr  IJ  )  es  I  turno  a  dar  di  pzigùt;  e  Ij  turno  a  erldàr  cmod  V  ave 

^tt  alla  prima.  L'om  salvadg  1  (i  barattar  al  tamarazz ,  e  pò  da  li  a  un 

Poc  i  Ilnzù,  e  pò  l' banehét,  perchè  al  prènzip  andava  pzigand  ,  e  Ij^zi- 

ff  sod,  e  rem  salvadg  erdeva  eh'  i  fussn  i  linzù  o  i  tamarazz  eh'  fussn 

dirla  in  t*l  puls,  e  esì  passò  tutta  da  noi,  eh' i  n'  sronn  mai  un  oó.  Sùbit 

oli'  fu  di,  al  prènzip  s' miss  a  spasszar  pr  l'ori;  la  Viola  anca  IJ  s' era  llvià 

^  bttoora,  es  era  lì  in  s'àl  purtòn  dl'ort  a  duvanar.  Sùbit  eh'  al  prènzip 

'*  ha  vist,  la  fu  za  la  sòlita  fola  dal  «  Bondì,  bondì.  Viola  >'  ^  e  Ij  diss 

€=l' altra:  a  fiondi ,  fiòl  dal  re  d'  sta  zitta ,  a  in  so  più  d' ti  purassa  n ,  e 

prènzip  sogglùns:  «Oh  ninin,  ninin  ,  'I  gran  puls,  an'  i  poss  durar  ". 

Viola,  eh'l'intès  che  gl'èrn  l'Islèss  paròi  eh'  1'  ave  ditt  IJ  la  nott,  la 

ci <vintò  rossa  cm'è  Tbriis  dia  ràbbia,  perchè  al  prènzip  i  l'ave  fatta  star 

^    eh*  1'  ave  fati  lù  da  pulsa  :  la  diss  In  cor  so  :  Lassa  pur  far  a  mi ,  at'  la 

^'^  ui  beo  sunar  ve.  L' andò  su  dal  fad  a  cuntàri  sta  cosa  ;  1'  (ad  arspòsn  : 

««  Eh  pian  pur,  s'  lù  v'  n'  ha  fai  una  a  vù,  al  bsò  eh'  ai  in  famn  mò  a  lù 

^Aaia  più  plenta:  vù  n'avi  da  far  altr  eh' dir  all'om  salvadg,  eh'  a  vii 

^Avi  par  d' pianèi  luti  pinn  d' Campania  ;  e  pò  quand  al  1  avj,  savàzai  dir, 

^    n'  sta  a  zercar  allr ,  ch'ai  al  farèn  ben  nun  armàgnr  curt.  La  Viola  sù- 

^ildmandòsti  pianèi  all'om  salvadg, e  lù  jM  pagò. Quand  fu  siraàl  prènzip 

^urnò  a  ci  so:  al  diss  sol  alPom  salvadg  eh'  s' al  s' eunlinlava,  al  srò  vgnù 

^1  dop  dsnar  a  spasszar  pr  al  so  ori.  Quand  l'fad  e  la  Viola  savn  eh'  Tera 

^Qdi  a  ci ,  r  tolsn  su  d' rundelta  luti  quattr ,  es  andòn  al  paiaz ,  e  pò 

^'arpiattòn  In  tla  stanza  dov  propri  al  durmeva.  Sùbit  eh'  al  prènzip  fu 

andi  a  létt,  e  eh'  l' av  pres  un  poc  al  sonn,  l' fad  eminzòn  a  sbatlr  l'man 

ìnsèm  e  a  far  di  zlgh ,  e  la  Viola  sbatteva  i  pj  scussand  tuli  qui  campanin, 

ch'ai  prènzip  av  una  póra  da  Inspirtar ,  es  cmlnzò  a  zigar  :  a  Oh  sgnora 

madr,  eh'  la  m'  ajuta  '>;  ìor  stavn  esi  quedi  un  poc,  e  pò  turnavn  a  far 

l'istèss  armòr  quànd  agn'eosa  era  quiet;  V  finn  esi  dòu  o  trèi  volt,  e  pò 

s*la  (ino  a  gamb,  e  nssun  l'vist  pr  amor  dia  virtù  ch'aveva  in  lor  l'fad. 

Al  prènzip  pò  la  mattina  cuntò  eh'  l'aveva  avù  una  gran  póra  ;  iJ  finn 

sùbit  far  la  so  urina,  es  i  dìnn  tri  guzzìn  d'  vin.  Quand  al  fu  liva ,  mò 

bona,  an'sti  gnanc  asptàr  dop  al  dsnar,  eh' l'andò  In  trort  dl'om  salvadg, 

perchè  lù  n'  pseva  star  lunlan  dalla  Viola.  Al   l'ha  visi,  e  za  cmod   av 

psj  imazlnar,  al  diss  la  fola  'eterna  d' nasniinstecc  dal  «  fiondi ,  bondi  , 

Viola  m;  e  IJ  :  «  Bondi ,  flòl  dal  re  d'  sta  zillà  ,  a  in  so  più  d'iì  purassa *s 

e  lù:  u  Oh  ninin,  niuin,  Tgran  puls,  an^  i  poss  durar  »  ;  e  Ij:  «Oh  sgnora 

midr,  sgnora  màdr,  eh'  la  m' ajuta  >».  Quand  al  prènzip  sinli  sta  tanja  , 

al  capi  al  trionfa  es  diss  :  c<  Ah  tm'  l'ha  fata  ;  al'  ecd  ,  e  cgnoss  eh'  l*  in 

sa  più  d' mi ,  e  pr  sta  rasòn  al*  vui  pr  mujér  fy.  Al  fi  clamar  Tom  salvadg 


558 


PARTI  tBCO?IDA. 


es  i  la  dmandò;  lù  i  arspós,  eh'  al  l'are  fall  savèr  a  so  pàdr^perclicjiisl 
da  mattina  l'ave  saTÙ  d'  chi  l' era  fiòla,  es  s'era  pò  clan  ch'an'cnbrisa 
sta  qaal  vent  eh'  lù  ave  tràtt,  eh'  Taviss  fatta  nassr  li  allora;  e  cai  donca 
al  mandò  a  tor  st'  padr  dia  ragaxza  ;  lù  an  n'è  d' cuntir  s'  l' ave  a  cir  d' 
far  un  parinli  si  fatt.  Al  prènzip  la  spusò ,  es  finn  la  festa  d'  ball.  Laifa 
la  foja ,  stretta  la  vi  ;  dsi  mò  la  vostra ,  eh'  al  ho  ditt  la  mj. 


Canzim  per  brusar  la  freccia  a  mezza  Quarèisma. 


Van  dal  cent  quarantadìs, 
Quand  al  Guèrn  di  Bulgnis 
Era  d' varia  sort  ad  zeot. 
Anca  al  donn  ai  vins  in  ment 
D'  vlèlr  cmandar  e  dar  cunsij  ; 
£1  cmlnzòn  a  mnir  al  bsij, 
Uassm  el  veccl  cattaròusi 
Più  ch^en  fava  il  zòuvn  spòusl. 

Trenta  vecci  s^  ardunòn 
Tutti  insèm,  e  s'destinòn 
D^  vlèlr  andar  a  supplicar 
Al  Senàt  per  psèir  cmandar. 
El  s^  lavòn  prima  ben  ben 
Una  sira  In  mezc  a  Ben  ; 
E  pò  dòp  a  la  mattina 
Se  sgnròn  cun  la  sdarina. 

Chi  aviss  vist  quel  cargadùr 
Brutti  vciazzi ,  brutt  flgùr  ! 
Magri ,  secchi ,  arrabbia , 
Ch^  ai  puzzava  fin  al  fià; 
Dei  mustàzz  con  la  peli  biossa 
Ch^  a  guardarli  favn  ingossa , 
Cun  di  ucciazz  fudrà  d' spaghétti 
Cun  di  nàs  fatt  a  zucchètl; 

£  del  bùssel  long  du  spann 
Ch^  el  parèvn  puz  da  scrann, 
£  tra  tutt  sii  belli  coss 
Una  part  avèvn  al  goss , 
Cun  la  gozza  atlàc  al  nàs, 
eh'  i  cascava  in  bocca  squàs  ; 
Pò  gravèvan  più  d'niezz  brazz 
D**  barba  sotla  quel  buslàzz. 

Int'  la  tesun  s'fin  di  rizz, 
Cun  di  nàsicr,  cun  di  pizz, 
Di  scufQùlt  e  di  alt  zimìr 
eh' ci  parèvcn  Granatir, 


Cun  del  vitt  e  di  galùn 
Spiula  zò  cmod  srav  tant  stlun, 
E  chi  aveva  in  st'  gran  sparpài 
La  manizza ,  chi  '1  vintài. 

Quand'  il  fun  acsi  in  figura 
Ei  J' andòn  a  dirittura 
In  Palàzz  dal  Senatùr, 
E  9*  espòusn  el  sòu  premùr  ; 
Una  pò  eh'  n'  ave  s^  n^  un  dent 
Cminzò  a  (ir  al  cumpllmènt  ; 
Mo  a  n^av  dett  gnanc  dòa  par^l 
Ch'  la  sinli  vgnir  su  un  grassòl 

Alla  gaula»  e  s' tìns  spudir. 
Qui  sgnurizz  ch^  stivo  ascultir^ 
Dissn:  Andi,  dscavav  dall' ort, 
Veccl  matti,  razzi  stort; 
E  pò  senza  più  badari 
T'  mi  vullòn  al  tafanari  ; 
E  tour  tutti  pin  d*  vergogna 
Andòn  vj  grattànds  la  rogna; 

E  grattànds  al  fond  dia  schina 
eh'  i  brusò  alla  malandrina; 
E  int'  al  vgnir  fora  d' Palàzz 
£1  sparòn  del  parulàzz. 
Ilo  quand  fu  sfugà  la  stretta , 
El  zuròn  d'  vlèlr  fiir  vendetta. 
Ah ,  cm'  el  donn  a  v'  V  han  zura 
Sta  sicùr  eh'  an'  la  scappa. 

EI  s' unìn  in  più  d'  dusènt, 
E  s'  cujièn  di'  or  e  di'  arzènt 
Pr*  al  valòur  d' otl  o  dis  zchin , 
Per  cumpràr  tant  bel  sfurzin  ; 
E  pò  spèisn  un  ducatòn 
In  tant  sij  e  tant  savòn  ; 
Una  pari  pr'on  el  n'avin 
E  sinli  cosa  gì'  in  finn. 


j 


iHALnn  enuANi. 


959 


i  diserà  un  gran  bur, 
:  fllr  gnint  ad  pladùr 
I  tatti  fora  d'cà, 
Ad  tesi  In  cà  in  \k 


E  di  zig  e  di  piaii^vlùn 
Quand  J^  andàvn  a  tumbulùn , 
ìt^asm  I  pòvar  brintadùr 
Cun  el  brenl  ;  e  i  maradùr 


I  Porfgh  di  piiz  d^st  sfunin  Ch^  i^  arrivavan  per  de  drj 


I  terra  un  bon  puctin  ; 
i  trln  degP  immandiil , 
1  iottt  ^1  8ÒU  spurchizl. 

0  ij  del  più  sfazzi' 
ìltf  8*  ero  arpiata  ; 
iBsin  tott  al  scalòn 
oli  <e]  e  quii  savòn  ; 

1  là  fitt  al*  preparamént 
iti  impravlsamènt 
rnlda  ch^  fori  sonava , 

d*  ana  ca  ch^  brasava, 
areòrd  adèss  al  lug, 
Itan  lòur  eh'  avèn  da  fug. 
t  hi  zent  sioti  sunar 
■Idjbò  tutta  a  livdr. 
ora  d^  gran  Impègn 
)  '!  (abric  èran  d' lègn , 
unir  dal  Campanàzz 
ir  tutt  qui  dal  Palàzz. 
a  qui  d*  Senàt, 
di  alter  magi»tràl. 
V  s' i  faven  bon 
Ir  lò  per  quai  scalòn! 
•ir  fu  'I  prim  de  (utl 
ira  inanz,  mo'ls'truvòbrult, 
al  fi  tutt  in  V  un  Irati 
òo  cun  el  culàtt. 
t  0  trenta,  e  anc  più, 
lott  a  panza  In  su  ; 
n^  fu  Ani  la  festa , 
»*  tini  s^  rumpìn  la  testa. 
D*è  gnint,  rè  per  la  strà 
di  guai ,  ma  purassa , 
quand  luti  arri  va  vn 
zìn ,  1  s' Imbalza  vn. 
ivD  a  perzipizi 
nis  in  quel  spurchizi; 
le  là  dia  zent  a  mass , 
armònr  e  dal  fracàss , 


Cun  di  pai  e  di  martj. 
AI  fu  zeri  un  gran  sgumblólt 
Quel  eh'  suzzèas  tutta  eia  noti; 
Chi  ave  roti  al  gamb,  chi'l  brizc 
Chi  la  gnucca ,  chi  '1  mustan , 
Chi  8'  guastò  r  U8Ò1  dal  pett, 
Chi  n  preterii  Imperfètt 

QuJ  za  eh'  fun  più  fortuna 
Andòn  vi  tutt  Immerda; 
Quaa  al  fug  Insùn  andò , 
E  IMnzendl  n's'ammurzò 
Fin  a  tanl  eh'  en  fu  brusà 
Tutta  quanta  una  cuntrà  ; 
E  In  tanl  mal  e  tanti  dsgrazzl 
Sguazzò  sòul  quel  brutti  vclazzl. 

Mò  r  algrezza  presi  Uni , 
Perchè  dopo  du  o  tri  di 
A  se  dsquèrs  eh'  el  J' èran  sta 
Elfaulrizd'sr  iniquità. 
E  qualcuna  scappò  vi , 
Mo  ai  n'  arstò  cent  Irentasi  , 
Ch'  el  fun  tutti  condanna 
Alla  mori  ini'  al  Marca. 

Ai  sj  d'Marz  d'  qual'ann  s*è  diti 
Al  fu  'i  di  dai  gran  scunfltt; 
E  al  dls  òur,  da  madò  Menga 
8'  prinzlpiò  a  sunàr  Tarrenga; 
E  qui  'I  Pòpi  In  gran  sgumbìj 
Curri  drj  a  sii  vecd  sirìj 
Che  per  man  d'  mcssir  Maurizi 
S*  conduseven  al  supllzl. 

Chi  planzeva ,  chi  biasimava , 
Chi  per  rabbia  se  sgranfgnava  ; 
Chi  la  scuffia,  chi  I  cavi 
Dalla  testa  s' strazzò  vi. 
Mò  la  al  pj  d' la  Munlagnola 
Con  la  sèiga  e  la  mazzola 
El  fun  tutti  giustizia , 
E  pò  in  ultum  fun  brusii. 


3«0 


PARTE  SBC05niA. 


Qui  la  istoria  n  è  fluì, 
eh'  in  ffuàl  sii  dov  fu  supplì 
eia  zindrazza  sfundradonna 
Al  fu  fall  su  una  Culonna, 
Duv'  i'  mìsscn  la  memoria 
D' tulta  fa  dulcnl  istoria , 
Qual  i  srcv  ben  anch  adèss  ; 
Mo  a  8'  artrova  die  in  prugrèss 

Ai  dì  denlr'  una  sajclta 
Ch^  la  purlò  vi  netta  netta. 
Quiìnd  quel  strij  fun  giustizia. 
L'era  In  punt  gius!  la  metà 
Dia  Quarèisma  ^  e  d'  qui  n'è  vgnù 
Quiil  custùm  eh'  s'  è  sèmper  tguù 
D' far  del  Vccci  in  vari  lug, 
E  la  sira  d'  dàri  fug. 


Questa  è  niò  la  conclusioo 
D*  tutta  quanta  la  Camòo; 
£1  mi  vcinn  dal  temp  d^adèift 
Tgniv  a  ment  al  gran  smèst, 
Altrimènt  a  srj  manda 
A  murìr  Int'  al  Merci. 
S'  a  ve  vguiss  mai  al  pinsìr 
D'  vlèir  cmandàr,  e  o^  ubbidir. 

E  qui  av'  dmand  a  tuli  perdòo 
S' av'  ho  roti  al  calissòn 
Cun  al  fàrv  la  descriziòn 
In  sta  lunga  mia  Canzòn 
W  tutta  quanta  la  fanziòo 
eh'  s' fa  in  Bulogna  io  l' uecasM 
D' sgàr  la  Veccia,  in  da  stasòo 
ChVmagnaarrcngh,sardùn,9aliB 


1800.  La  ristaurazione  delle  lèttere  bolognesi,  come  appa 
dai  pochi  cenni  che  abbiamo  premesso,  è  precipuamente  doTO 
ai  chiari  scrittori  canònico  Longhi  ed  Annibale  Bartolozzi,  e 
richiamarono  il  gusto  traviato  dei  loro  concittadini  alla  sòlidi 
buona  letteratura ,  porgendo  loro  miràbili  imitazioni  dei  cUas 
stranieri.  Il  primo  sostituì  alle  insìpide  Fole  della  Ciaclira  i 
banzola  le  non  mai  bastevolmente  apprezzate  Fà^le  del  j 
Fontaiiiej  parafrasate,  anziché  voltate  nella  favella  popolare; 
secondo  a  varii  componimenti  satìrici  originali  aggiunse  la  v( 
sione  di  alquante  poesìe  clàssiche  italiane.  Siamo  quindi  lieti 
poter  offerire  come  Saggio  di  quest'epoca  alcune  fàvole  e 
Longhi,  coir  Introduzione  originale  premessa  dall'autore  aU'e< 
zione  delle  medésime  ;  e  V  ingegnosa  versione  fatta  dal  Baii 
luzzi  del  célèbre  sonetto  di  Eustachio  Manfredi  suirimmacola 
Concezione,  che  incomincia  col  verso: 

Se  la  donna  infedele  che  il  folle  vanto. 


Introduziòn  al  Fol, 

Jusèf  Mitèl  pittòur  lutalo  in  ram 
LMstorietta  eh'  adèss  a  sòn  per  dir  , 
Per  cavàri  a  mi  cont,  s' a  poss,  al  slam. 


DIALETTI   FMILIA2HI.  51  i 

Un  nrzdòur  piuUÒRt  vèc  avènd  da  vgiiìr 

D' luiTlàn  fén  a  Bulogna  pr  al  mercà , 

Déss  a  un  llòl  d'  un  so  flòl  :  Val'  d' long  a  vstìr , 
Ch'intani  a  tug  Tasnètt  beli  e  amanvà, 

E  csé  beli  beli  a  m' vag  avviànd  in  su  ;       , 

Spéc'  la  l>èin  ,  eh'  a  t'  aspc.lt  alla  vultà. 
Al  ragaz  sveli  rarzùnz,  es  va  cun  lu; 

Mo  al  n'  ba  fòli  sig  a  pi  dis  o  dòds  pass , 

Gb'al  s'senl  a  dir  dia  zèinl:  Veò  bec  curnù, 
Che  dscherziòo  da  villàn  !  Guarda  '1  beli  spàss , 

Lassar  andar  a  pi  quel  ragazzèl  ! 

S'al  i  andàss  lu  1  è  dùbi  ch'ai  sMnfisiss? 
L'arzdóur  dis  :  A  i  ho  intèis^  vèin  qué  al  mi  flòl, 

Salta  su  tè,  mo  guarda  d'andar  pian, 

Tànl  eh'  a  l' possa  tgnir  dri  cmod  al  zil  voi. 
Mo  bona  !  I  n'  éin  andà  vèinl  pass  luntiin , 

Ch'  i  dan  in  n'  so  quànt'  alter  zudsadùr , 

eh'  a  quel  pò  ver  ragàz  disn  al  pan  pan  : 
Quel  pòver  veé  a  pi  T  è  strac  madùr , 

E  te  a  cavai  ?  Bardassa ,  smonta  zo. 

S'  r  è  la  Irop  bon ,  l'è  lì  un  asnàzz  d' sicùr. 
Al  nonn  dis  :  Perch'  i  tàsn,  a  saltare 

A  cavai  anca  me  qué  su  in  t' la  groppa , 

E  a  vdrèin  s' a  sta  manira  a  i  quietare. 
Quand  i  èin  luti  du  a  cavai ,  la  bislia  toppa , 

S' incanta  e  n'  va  più  inanz ,  e  lòur  adróvcn 

A  braz  averi,  tuli  du  d'accòrd,  la  stroppa. 
In  si'  alt  eh'  i  pcccen ,  bona  noti  !  ì  Iròven 

DI' altra  zèinl  eh' s' meli,  puvrèl!  a  strapazzar! 

Per  compassiòn  che  per  eia  bestia  i  próven. 
Mo  cun  quài  cor ,  i  disen ,  psiv  mài  dar!  ? 

Èia  una  vétta  quella ,  eh'  possa  avèir 

Lèina  da  tgnir  du  cstiàn  e  da  purlari  ? 
Fèin  acsc ,  dis  al  ve£  y  e  slèin  a  vdèir 

Ch'  incòntr'  arèin  ;  lassèinl'  andar  a  dsdoss  ; 

Pruvèin  anc  questa ,  e  vdèin  s'  1  pòn  tasèir. 
Mo  niànc  per  quesl  sten  de  n'  svudar  al  goss , 

E  a  vdèiri  a  pi  cun  1'  àsn  a  vud  :  0  mail , 

S'  pò  veder  d'  piz  ?  Tuli  dsèvn  a  più  non  poss. 
AI  ragiiz  s'  volta  al  nonn ,  es  dis  :  Mo  cali , 

Qué  a  n'  la  psèin  cattar  para  ;  s' a  tulèssen 

A  purlàr  mo  nu  1'  asn  ,  a  n'  sré  mèi  fall  ? 


51)  PARTE 

EI  (alt  niatliri  !  Cossa  vlìv*  eh*  f  dsèftscn  , 
Arspònd  al  veÒ ,  a  vdèir  sta  slrambari  ? 
eh'  sa  ,  dls  al  nvòud ,  eh*  a  vdeir  sta  età  i  n'  dsmètflei 

A  piz  far  pò ,  prani  mai  réderz'  drì  ? 
AI  nonn  dalla  dspraziòn  dis:  So,  va  la: 
E  i  lìghen  ràsen,  em'è  un  agnèi,  pr  i  pi; 

E  pò  l'infilzo  in  t'un  perdgòn  coiod  va, 
I  i  fan  d' spalletta ,  e  al  pòrten  vi  beli  beli, 
BuflTànd  pr  al  peis  e  pr  i  gran  sfori  eh'  al  fi. 

Allòura ,  dsioi',  eh'  i  dèn  tuli  su  a  fiazèl 
A  diri  di  mattaz  da  mendieant , 
Ch*  i  è  dà  sieuramént  volta  al  zervèl. 

Sti  du  dsgrazlà  tran  zo  l'asnèl  intani, 
Es  dìsen  :  Mo  euspèt ,  l' è  una  gran  eossa 
Pi'  ineuntrar  roii  dappò  eh'  avèln  fat  tint  ? 

In  tTultm  a  la  forò,  es  la  farò  grossa , 
Sparànd  un  roòechel ,  dls  arrabbé  'I  nonn  ; 
E  tatr,  ràzla  Tasnèt  In  t'una  fossa; 

E  Ira  r  aequa  e  '1  sassi  eh'  i  t*  m' i  bagnòn , 
Al  pòver  eiud  ligà  fine  so  vélta , 
Fine  '1  eiàdr ,  e  mud  mu£  i  s' la  sbignòn. 

St'  istoria ,  emod  a  dseva ,  roé  v'  l' ho  detta 
Per  mi  cont,  siàndem  mess  In  t'un  impègn 
Da  n'  tgnir  per  grazia  la  calsella  d rètta. 

Quesl'  è  d' tradùr  i  bì  zuglèln  d' inzègn 
Del  fol  adliti  d*  monsù  dia  Fontana , 
Dov  a  eapéss  quant  sThan  d'avèir  a  sdègn. 

Tant  diràn  eh'  dalla  lèingua  ultramontana 
A  i  è  giusl  tant  a  dir  alla  bulgnèisa , 
Quant  i  è  da  una  damèina  a  una  villana. 

Ch'I' è  impussébll  vullar  la  fras  franzèisa. 
La  so  grazia ,  al  so  frézz ,  al  so  gust  féin 
In  lèingua ,  eh'  sòul  è  dal  puplaz  intèisa  ; 

eh'  n'  ha  lèz  grammatical ,  né  caiepèin 
Che  y*  deghn  a  scriver  bèln  a  s' scrlv  acsé. 
E  i  su  miùr  mèster  n*  èin  s'  n'  i  biricehèin. 

D' mod  tal  eh'  fèin  i  villan  inzivilé 
Adèss  s' vergògnen  d' parlar  strett  bulgnèls , 
A  eost  d' fars  far  la  baia  tutt  al  de  ; 

Vlend  mettr'  un  bris  d' tusean ,  un  bris  d' franzèis 
In  t' el  paròi  d'un  dscòurs  eh'  s' arvisa  in  punì 
A  un  àbit  d' traccagnèin  mal  In  arnèis. 


DIALETTI  BMILIAKI.  .545 

eh'  s' n'  a  forza  d' cuncunar  s*  accatta  i  cunt 

A  lèzr  el  cargadùr  scretti  in  st'  linguài , 

E  un  frézz  mór  quand  a  n'  vaga  eh'  al  para  unt. 
E  per  quest  i  miùr  lìber  da  dar  saz 

Dia  nostra  lèingua  e  fari  un  pò  d' unòur 

V  fan  vgnir  la  sénva  al  nas ,  e  v'  tètten  d' maz. 
Pr  i  furastir  che  n'san  la  inròlla  e  al  flòur 

D'sta  lèingua,  e  la  sgualmidra  di  su  azzèint, 

I  armagnen  tant  stocféss  sèinza  savòur. 
E  'I  ztadèin  che  sta  lèingua  ardùsn  al  nièint 

Cun  liastardarla  tant ,  eh'  a  n'  i  è  più  nsùn 

Ch'  sava  d' lettra  un  puclèin,  eh'  ni  figa  i  déint. 
AzoDtàf  d' groppa  tutt  i  simitòn , 

Ch'  farà  tant  Tari  fatta  d' schizzignùs , 

Sòuvra  i  vers  eh'  n'  i  parràn  né  bi  ne  bon. 
Chi  tnivarà  i  sunètt  péin  d' stoppabùs  ; 

Chi  maldirà  i  terzètt  per  quel  dèln  don  ; 

Chi  i  quadernàri ,  eh'  fan  la  nanna  ai  tus  ; 
Chi  n'  prà  suflTrir  li  uttàv  e  chi  '1  canzòn  » 

Quelli  pr  avèir  di  pizz  del  volt  trasposi  , 

E  questi  perch'  el  i  èin  da  calissòn  ; 
Chi  vrà  del  spezi  d'  madrlgàl  piutòst, 

Cmod  fa  dal  trèi  al  dòu  V  uriginal  ; 

Chi  alto  la  vrév ,  e  chi  la  vrév  arròst  : 
Al  n'  è  mo  '1  eas  mi  d' me ,  iùst  tal  e  quàl 

Fu  quel  d' qui  du  eh'  tgnén  ammazzar  l'asnètt 

Per  dseavars',  cmod  s'sol  dir,  tàni  servizial? 
Mo  a  n'  vàg  a  torm'  in  corp  un  car  surbètt , 

Mittènd  in  bocca  a  tant  ch*  n'  han  altra  mira 

Se  n'dirm',  a  farla  grassa,  del  ciuccètt? 
Pr  avèir  vlù  perdr  al  tèimp  a  sta  manira , 

Dri  a  del  vsigàt ,  eh'  la  so  più  gran  furtòuna 

Srà  d' èsser  letti  a  del  banzòl  la  sira , 
Da  di  bambùz  al  serv  eh'  sbàtten  la  lòuna , 

Per  tgnir  star  sèinz  al  mròusa  asptar  la  sgnòura, 

Féin  de  crudànd ,  o  sacussand  la  còuna. 
Sòuvra  al  strùssi  del  tèlmp  a  v'  dag  eh'  1'  è  d' er  òura 

Ch*  tutt  d'  aceòrd  em'  darén  da  divertìrem' 

Dov  s' zuga ,  0  a  s' fa  T  amour ,  o  dov'  s' murmòur^ 
Sòuvra  ali*  incónter  eh'  i  fan  grazia  d' dìrem 

Ch'  ara  sti  fol ,  al  liber  dia  banzola 

M' ingalluzzèss ,  eh'  a  n'  m' n'àva  da  pintìrem  , 


thh  PARTI  SBCOBTDA. 

Perchè  me  fn  quel  a  n'  trov  iiiànc  una  foki 
eh'  ava  un  ix)'  d' sài ,  e  sig  al  lèc  dia  rema  , 
E  pur  al  s' lés  quànt  s'  fazza  ì  lìber  d' scola. 

E  s' al  léz  anc  di  mòcchel  eh'  fan  la  prèma 
Figura  in  fai  paèt9,  sòul  per  quel!  viv 
€h'  ha  '1  bulgnèis ,  eh'  prèssa  d' lòur  merita  sléma. 

Nianc  el  dam  •  eh'  la  san  longa ,  s' in  fan  schlv. 
Ilio  i  l' ban  lèti ,  es  al  lem  a  tuU  andar , 
Mustrànd  d'avèiri  un  gust  squàs  ezzeasìv. 

E  in  prova  del  so  incòntr,  al  dvintò  rar 
In  puc  ann ,  e  qué  d' curi  •  n'  s' acealtiva 
Per  quattrèin ,  eh'  V  ha  baugnà  iàrV  arstampir. 

La  roba  in  vers  d' Lott  Lott  fors  n'  incuntrava 
Quand  la  végn  fora,  e  la  n'pias  al  presèint, 
Bèlneh'  s*  sèppa  pers  la  ciav  d' qui  eh'  lu  piagava  ? 

La  traduziòn  d' Bertòld ,  dsi  unestamèlnt , 
La  n'  s' léc  ?  EI  dsgràzi  d' Bertuldèin  dia  Zéina  ? 
L'asnada  d'Bertolùzz  stampi  ultmamèint? 

Ah  eh'  basta  d'  guardar  d' scriver  cun  dia  vèiiia , 
Al  bulgnèis  è  un  linguiiz  eh'  dà  giist  magara , 
Me  per  carastì  d' tèrmen  mai  s'  arèina< 

Sti  lìber  qué  n'  v'  in  dan  saz  e  capara , 
E  i  strambùé  féna  d' Giuli  Zèiser  Cròus 
Fatt  pr  I  villàn  da  dir  su  in  t' la  cbitara? 

Oura  per  cossa  ha  da  riussir  csè  dsptóus 
Sto  lavori r  cava  d' in  csé  bon  lug , 
Ch'tutt  m'àven  mo  da  dar  tant  In  t'ia  vòus? 

S' in  t' al  tradùr,  a  pèil  e  sègn  a  n'  tug 
Al  beli  e  al  bon  di'  autòur  da  me  tradùtt , 
A  n'  cuir^  una  falestra  del  so  fug  ? 
S' al  n'  ha  tiìnt ,  eh'  giustamèint  l'è  tgnu  da  tutt 
Pr  al  più  viv  e  '1  pia  iott  eh'  ava  mai  serett 
In  st'  far  bon  da  cavaren'  f ànt  oostrùtt  ? 

Es  n'  scréss  sti  fol  pr  el  serv  e  pr  i  tosètt, 
Mo  pr  al  Delféln  al  tèimp  d' Luig'  al  grand  ,- 
Figurav'  s'al  s'derzvlò  pr  arar  pr  al  drett? 
Al  srà  bèin  pht  per  quest ,  cstòur  van  arbcand , 
Ch'  al  material  è  flòur ,  pr  avèir  più  dsgust 
A  vdèirl'  andar  d' in  man  In  man  guastand. 
Ch'  rabbia  n'  fa,  vdèir  un  zòuven  d'un  beli  fust 
Cun  un  abit  fndòss  e  d' sanerà  roba , 
Mo  eh'  pr  al  eulòur ,  o  al  tai  si  d' lader  gust  ? 


Cmod  vizcvcrsa  una  zuvnelta  goba 

Par  un  fiis,  s^  Tha  una  vslèina  e  un  bust  d*bon  lai. 

E  al  scrìver  più  del  vstiiri  dòuna  e  roba. 
Mo  caspita ,  qué  arspònd  ..  cossa  srà  mai  ? 

Per  sta  mi  traduziòn  cascari  al  niond  ? 

S'  a  m' imbròc  d'  punt  in  bianc  srà  osé  gran  guài  ? 
h'a  salv  l*uriginal  in  quànt  al  fond. 

Palèi nzia  »*  Ta  a  da  inai  una  quale  blèkza , 

Per  quant  a  in  scappa ,  a  in'  arsirà  tà  un  sfond. 
E  pò ,  nianc«  al  bulgnèis  for^i  vaghezza  ? 

A  n'  vii  ch'ai  possa  dari  uil  0o*  d*  cumpèins, 

Ch'  a  vièir  o  n'  vièir  bsò  dir ^  eh'  V ha  dia  vivezza? 
Mo  vù  ,  i  diràn ,  siv  quel  mustaz  d' bon  sèins 

Capàz  d' far  st  barattèin ,  eh'  a  farei  bèin 

A  n'  i  voi  méga  un  strappaguaz  né  un  mlèins  ? 
L' è  vèira  eh'  a  son  tal ,  mo  a  z'  pruvarèin  ; 

Tntant  tuli  st  prém  liber  pr*  una  prova. 

S'  V  ara  di'  incòntr ,  andand  inanz  a  z*  vdrèin. 
Perchè  Aé  v'  dng  in  ùltem  pò  una  nova , 

Ch'  per  quest  a  i  ho  za  mess  al  èor  in  pas; 

E  va  eh'  i  ne  m' mittràn  la  lèingua  in  giova  ! 
Cossa  pò  mai  suzzèdr  ?  Alter  eh'  el  cas 

De  n'  truvàr  un  eh'  niànc  per  ferr  vèé  al  vléss , 

Causa  qui  eh'  faràn  grazia  d*  diiri  d' nas. 
Pinsaressi  eh'  per  quest  a  m' tntisghéss? 

El  fatt  mattiri  !  Me  m' cuntinUré 

Del  8|>ass  eh'  a  i  àv  in  quell  tal  òur ,  eh'  a  V  déss. 
E  pr  en'  strussiàr  quattrèln ,  a  m' fermare 

Dal  faren  stampar  di  alter ,  e  da  qué  inanz 

Pr  inféna  d'  co  dal  libr  al  traduré  , 
Prema,  perchè  quest  fa  al  mi  cas;  d'avanz, 

Per  svagarem  quale  volta  in  tant  mi  intrig  ; 

E  pò,  s'pré  dar  eh' un  de  s'quietass  t&nt  zanz. 
Tant  più  eh'  lizènd  sii  fol  a  di  mi  amig  , 

Cb'  han  miòur  nàs  eh'  a  n'  ho  me ,  d' acoòrd  cm'  è  piva , 

Me  n'  crèd  per  cumplimèint,  s'alligren  mig, 
E  m' fan  curaj;  eh'  a  tira  inanz ,  eh'  a  scriva  ; 

Ch'  1*  idèa  del  liber ,  s'  1»  incuntraM  pulìd , 

L' è  tant  luntan  eh'  la  s' possa  dir  eattiva , 
Ch'  anzi  bsò  dir,  dappò  eh'  s' liga  I  lisa  d' vld, 

El  fol  èin  sèimper  sta  la  miòura  font 

Pr  imbéver  d' màssem  bòn  i  zuvnèil  d' nid. 


5^0  PARTB  snONDA. 

Per  qiiest  del  fol  d' Esòp  s' o^  è  fall  tant  cont , 
Tradotti  in  tutt  «I  lèingu  in  prosa  e  in  ver» 
Dai  miùr  inzègn  ,  eli'  s*  ì  èin  gratta  su  la  front. 

E  qué  i  m*  disen ,  eh'  al  n*  è  brisa  tèimp  pers 
Quel  eli*  a  i  ho  spèis  e  a  spend ,  e  eh'  a  m' aquieli 
Cti*  dai  copp  in  su  n'  i  srà  mai  da  d' arvèrs. 

Ch'  st  beli  sug  è  la  fòurma  eonsueta 
Dia  quii  ha  Tla  servirs,  per  larz'  intènder 
Tant  bèlli  eoss,  al  Sgnòur  e  i  su  Profeta. 

eh'  per  sta  stri  qué  cnn  liberta  s^  pò  dstènder 
A  condannar  mi  vézi ,  e  arrivar  d' co 
Con  divertir  piutòst  che  cun  offènder. 

E  pò  che  prest  o  tird  vgnarà  la  so , 
Ch'  tutt  1  libr  a  drittura  eh'  I  dan  fora 
AccàUen  sèimper  chi  i  voi  ptnar  la  co. 

D' ond  niànc  dai  copp  in  zò  m' ha  da  far  pora 
S' la  rèma  m'  porta  un  tèrmen  eh'  an'  s*  adatta 
D*  sigili  al  frézz  di'  autòur ,  es  fa  eh'  al  mora  ; 

Ne  s' tra  '1  vari  manir  di  vers  s' n'  accatta 
Una  eh'  air  i  ùrèe  d' un  rlusséssa  dsptòusa^ 
Ma  eh'  a  tanl  alter  figa  el  ghetti  e  '1  gratta. 

Cmod  suziéd  del  piattine ,  eh'  una  è  schivòusa 
Rispètt  a  vari  luv  d' gust  delicàt, 
Ch'  fa  Icirs'  el  dida  a  di  iltr  e  s' i  è  aptltòusa. 

eh'  al  gust  in  stl  materi  è  cm'  è  al  palàt , 
E  vlèir  dar  in  t'el  geni  a  tutt  a  un  mod^ 
L*  è  cmod  un  cumprumèss  pr  un  avucàt. 

Bsò  aspttars  d' avèir  l' imbèil  in  cambi  d' lod 
Quand  s'mett  in  mostra  cvell  ch'I' è  miòur  ripiég 
Da  n*  ciappar  fug ,  e  impgnars'  a  rbattr  al  ciod. 

Altrimèint  I*  è  un  andar  a  cazza  d' beg  , 
Ch'  a  finir  bèin  flnèssn  in  tint  mursgùtl, 
Dov  tutt  i  lassn  al  pèil ,  a  n'  so  s*am'  spiég. 

FIdandom' d' sti  mi  amig  a  i  ho  arsolùt 
D*  stampar  si  prém  liber  cun  al  test  in  fazza 
Per  cumdlta  d' clòur  eh'  m'in'  vran  dar  di  plut; 

E  intant  dop  al  macciòn  star  a  vdèir  eh'  razza 
D' notomi  s' ha  da  fari ,  suponènd 
Ch' I  m' déghen  eh' a  m'al  goda  e  eh'  a  m'in  spazza. 

Perch'  a  sòn  in  t'  l' urzòl ,  s' mai  a  pretènd 
D' avèir  imbrucca  bèin  quel  eh'  dis  al  test , 
Ch'  puvrètt  a  m' dag  bèin  di' aria ,  mo  a  n'  m*  n'  intèn 


DI ALKITI  MILI ANI.  547 

Tanl  è  vèira ,  eh'  a  cred  eh'  si  lioguài  rubè«t 
Sia  capaz  d'  dar  al  fot  cr  aria  franièisa , 
eh'  al  cuiifrònt  inustrarà  mèi  conz  pr  el  fiest. 
PazèiDzia ,  a  dég  dio  me ,  s' an^  arò  intèisa 
E  tolta  pr  al  so  vers  la  quéintessèinza 
DI'  uriglnal ,  s' al  va  a  da  mal  la  spèisa. 
Al  lìber  n'  è  tant  gross ,  eh'  per  canseguèlnza 
Faga  fallir  al  stampadòur  s' a  i  resta , 
eh'  n'  ha  stampa  bèln  poe  eopl  per  pnidcinza. 
E  s*  a  m' sèint  dar  del  matt  zo  per  la  testa , 
Pr  èssrem'  mess  in  sta  barca  sèinza  bscott , 
A  i  lass  cantar ,  e  a  n'  vòug  gnanca  una  pesta  : 
Perchè  l' è  un  cumpllmèint  che  di  òmen  dott 
Pi*  al  sòien  far  sèinza  dscherziòn  csé  spess» 
Ilo  i  curopatéssen  bèln  un  scarabòtt 
1  èin  sòul  i  mozzurèi  qui  eh'  mando  al  mess 
A  far  cattura  per  del  età  che  n'  cònten, 
E  i  metto  i  galaniòmn  in  cumprumèss. 
Cura  cossa  m' importa  s' cstòor  ro'  affròoten  ? 
Rang'  d' àsen  ,  cmod  s' sol  dir ,  n'  arriva  al  xll , 
E  a  vdrèin  pò  el  sòu  cattùr  a  cossa  el  mònten. 
eh'  s' el  sran  pr  al  più  vsigài,  e  al  piasa  al  stll , 
I  vers ,  la  lèingua ,  el  fol  sòul  ai  ragaz 
E  al  serv ,  cmod  s' déss ,  eh'  n'  i  badn  acsé  in  suttìi , 
Me  m' par  d' èssr  a  cavai ,  es  fag  mustàz 
Pr  andar  inànz  in  vésta  del  guadàgn 
Ch'i  pòien  far  lizènd  st  mi  scartafaz. 
eh'  sti  fol  èin  quell  beli  mezz,  eh'  a  n'i  è  '1  cumpàgn 
Pr  insgnàr  a  vivr  al  mond ,  cunfòurm  a  dsén , 
E  a  spulaccàr  burland  i  pùver  gnagn. 
A  n'  fu  per  qùèst  eh'  tant  òmen  d' garb  spindèu 
TcJmp  e  sudùr  per  veder  d' inventaren ,. 
E  in  tutt  el  lèingu  el  vecci  tradusén  ? 
Donca  eh'  mal  è  quand  a  n'  s' lavòura  indaren  ? 
E  s' i  scapùzzen  dèintr  in  t' un  qual  dfett , 
eh'  i  pèinsen  eh'  sèinza  zuuta  a  n'  s' ha  mài  carèn. 
Dscurèinla.  Dsim'  un  poc  eh'  razza  d' cunzèti 
Fessi  mai  d' qui  dall'  àsen  quànd  a  v'  dseva 
Ch'  i  l'affugòn?  Mo  i  n'ev'  fénn  propri  dspetl? 
Mo  a  n'  i  dsessi  di  matt  ?  Cossa  i  aveva 
Da  far  pò  clòur  cun  tutt  al  so  zudsàri 
Da  ardùrs  a  strassinàr  st  due  eh'  i  serveva? 


5%8  P  Am  SEOOGIKil. 

eh'  vM  ■*  tresH  sUi  or  boo  da  vièir  badàri  ; 
Mo  bgànd  alla  aata  da  intindàsc , 
A  i  arasi  io  cor  vìtster  Banda  a  fari. 

ri  mo  d' aa  vòsler  coni  eh'  nianca  oié  case 
All'  armòar  del  ili  di  cattanóia , 
Perch'  a  tqoadriri  bèin  i  èin  cmod  è  '1  frase  ; 

eh'  el  pareo  sett  e  qoattr  a  vdèlr  la  fòia , 
E  ògn  po'd'  vèint  eh'  tira  fao  dia  vèmia ,  e  s' piòtten , 
Ho  OD  fmt,  eh' è  un  frut,  dsloi  ehi  è  da  lòur  ch'arcò! 

E  acsé  fao  lòur  :  per  tutt  quell  di  àltr  i  fiòtten , 

Ho  un  c\'ell  del  so  n'  s'  \èd  mài ,  lànt ,  eh'  psèss  arfira 
I  galantòmen  eh'  fan ,  e  eh'  lòur  slNillòUen. 

Ah  eh' Imo  lassar  stl  seccascffòn  sfugars, 
E  far  emod  fé  quel  brac  eh'  plssò  in  t' al  grugn 
A  quel  cagnett  eh'  V  nuava  sèinia  impgnàrs'. 

Ha  s' i  dstanissen  di  dsperpùst  tamùgn  ? 
E  me  cun  tutla  pas  mi  mitrò  a  curèier 
In  r  un*  arstampa ,  mo  mài  far  ai  pugn, 

eh'  por  trop  a  5Òin  a  un  tèlmp  eh'  la  rabbia  a  lèacr 
EI  erétic ,  che  n'  èin  alter  eh'  insolèinzi 
Féin  còntra  Cantenan ,  eh'  propri  a  n'  s' pò  rèacer. 

S' el  fùasen  fatti  a  dvèir  cun  li  avertèinii 
Dà  da  Alissinder  Pop ,  eh'  èin  sta  tradotti 
Da  Zvan  Rieòlr ,  el  srén  al  spurg  del  sièinil. 

eh'  I  su  gropp  e  'I  su  natt  se  dsfarén  tutti , 
E  a  li  vdrén  messi  in  t' al  so  più  beli  lum , 
Féin  pr  i  tusètt  In  pappa  e  mnestra  ardotti. 

Ma  fatti  a  sta  manira  a  slreinza  I  nom 
Di  autùr  sèlnz*  un  prò  al  mond ,  a  i  va  dia  téla , 
eh'  el  sièinzi  réstn'  al  bur ,  e  al  bon  va  in  fum. 

Perchè  s' a  s' vèd  eh'  al  zudsadòur  sgarmèia 
eun  del  buffunarì  vivi  e  graziòusi , 
Pur  trop  al  bardassjim  tripudia  e  sbrèia. 

Ula  bèinch'  i  sia  tramèzz  del  prov  inzgnòusi 
A  n'  s' i  da  retta ,  el  eiischen  zo  dal  vali , 
E  a  n'  s' tèin  a  roèlnt ,  s'  n'  el  1  csprcssiòn  plccòusl , 

Per  fars'  onòur  taland  dedrì  dal  spali 
I  pagn  adòss  a  chi  fare  ammutiri , 
S*  al  8'  truvàss  le  quand  lòur  al  mettn'  in  ball , 

Dfindènds  cun  garb  dai  frézz  e  dal  malliri 
Boni  sòul  da  far  còulp  In  chi  n'ha  vés^t 
Né  galateo ,  né  scola ,  ne  santi  ri. 


DliiLBTTl  BMIUANl.  349 

Uònd  muìandrèin ,  cmod  ir  dvìnlà  esc  (rcét  ? 

T' mett  ai  sett  zil  clòur  eh'  fan  la  court  ai  vezi , 

E  qui  eh'  pàrlea  per  bèlo  t' i  mand  pr  el  pesi? 
Voltèr,  Russò  ,  eh*  n'  han  seréU  ehe  per  capresi 

Tant  barunàt,  s' porta  in  triónf  e  iu  gloria, 

E  Ninzòn  ,  eh'  i  eunfònd ,  s'  ha  in  quel  servezi. 
Lù  ch^  va  cm'  è  vèint  pr  al  drctt ,  e  a  n'  fa  bandòria 

D^  tèrmen  dai  manlzzèin  tira  in  t' la  frosa. 

Di  quàl  s' serv  qui  dsgrazià  eun  tanta  bòria  ; 
Tànt  eh'  sèinza  lambieàrs  e  far  la  glosa 

Vu  capi  da  re  a  ron ,  eh'  elòur  han  al  tort 

Ygnènd  Indri  dop  dòti  òur  frese  em'  è  una  rosa. 
E  al  le  capéss  a  dspetl  i  spìrit  fort. 

Che  n'  crèden  s' n'  in  t'  Tandròuna  perch'  la  puzza , 

E  qui  alter  eh'  Iu  battezza  per  coli  stort. 
eia  santa  verità  tant  eiara,  eruzza 

I  prém,  eun  tutt  ch'i  faghen  da  dsinvòlt, 

E  smaeca  qui  alter  eh'  fan  el  mòun ,  es  i  uzza. 
E  s' per  ciinscinzia  i  vlèssen  dirz  quànt  volt 

I  han  sbaiafTà  eh'  l' abbà  Minzòn  dà  air  i  oé , 

Cun  tutt  eh' al  cor  i  dsess :  Per  zio,  ai  i  ha  colt , 
A  vré  eh'  a  v'  maraviàssi  più  d'  un  poe  ; 

Mo  per  superbia  o  per  vergogna  i  tasen, 

E  i  s' affùgn  in  t' la  panza  al  tee  e  toc. 
Mo  eh'  i  s' la  tcgnen  d' bona,  e  eh'  i  s' cumpiàsen 

D'  Vollèr  mort  eiuc,  e  d' el'  àltr  in  t'  un  tuguri, 

Supplé  pr  òurden  dia  Cisa  enrè  tant  àsen. 
Di'  ni'  in'  guarda  però  d' fari  l' auguri 

D'  murìr  cm'  è  cstòur  ,  eh'  i  tcinen  per  sant  pader , 

Tànt  eh'  s' a  i  dà  eòntra  a  i  vdi  dar  in  t'  et  furi. 
Mo  a  pregarò  per  lòur ,  che  s' i  cin  zo  d' squàder 

In  gèner  d*  fèid ,  al  Sgnòur  i  tocca  al  cor  , 

Pr  aregnòsser  Santa  Cisa  par  so  màder. 
E  per  far  ànm  a  st  pass ,  eh'  a  i  faga  tòr 

Esèimpi  dall'  autòur  d' sti  fol ,  eh'  s^  in  mors 

Cun  al  zilézi ,  e  eun  al  dir  :  Me  raor. 

/il  Lòiw  e  al  Can. 

Un  Lòuv  sòul  oss  e  peli 

(Tànt  badava  alla  balla  i  can  le  dri  ) 

Dà  in  t'  un  inastcln  furzùd  quànt  tond  e  beli , 

Ch'ave  saiarrc  sòuvra  pinsir  la  vi. 


3M  Pian  noonati. 

StricrirU  al  mur  eun  firi  un  burubo^ 

8t  LÓQV  l'are  fati  viuotira. 

Ha  bsagniva  attaccare  a  to  per  tu  , 

E  al  Mastèln  ave  xìra 

De  n*  s' laaair  murìr  brisa  l'anxl  In  mio. 

Coflsa  fa  al  Lòur  ?  L' abòurda  da  curtsàn  » 

ÈlDtra  »lg  In  t' al  dscòors  mulséln  mulséln , 

Es  fa  i  oh  ^  vdèndr  intòn  quint  è  an  nlnnéln. 

Mo  a  n'  starà  se  n*  per  vù ,  bel  al  mi  sgnóur , 

D'  n'  èsser ,  qué  arepond  al  Can ,  al  par  d' me  In  ftòur. 

A  dscavav  d' In  sii  buse ,  eh'  a  fari  bèln. 

Qoé  i  par  vùstr  èln  dsdlttà ,  perchè  nù  i  vdèln. 

Tant  Schiller ,  pùver  dlàvel , 

In  dura  cundlzlòn 

D' murìr  d*  fam ,  d' mai  magnar  In  pàs  un  bcòn. 

Dir  de  n'avèir  mai  tàvel 

Da  psèir  galupplnàr  ! 

Ma  la  mort  sèlmpr  al  cast  ! 

Tgnim'  dri  eh'  a  starì  mèi  d' perpùst. 

Ai  Lòuv  arepònd  :  Coss'  boia  pò  da  far  ? 

Squas  niclnl ,  i  dis  al  Can  ;  andar  baiàud 

A  qui  eh'  han  di  bastòn , 

E  al  birb  d' In  quand  in  quànd , 

Po  far  festa  a  qui  d' ca ,  massm'  al  patron  ; 

E  intiint  ari  d'  salàri 

I  cascàm  del  piatane  più  féini  e  rari , 

D' pullaslrMni  e  d*  pizzòn  el  test  ci  I  oss , 

Pr  cn'  dir  di  dsnom ,  che  v*  s*  fràn  a  più  non  poss. 

Al  Lòuv  s'  figurò  in  testa  una  cuccagna , 

Ch'  fé  vgniri  el  luzl  ai  uè  per  tenerezza  ; 

Ma  Intani  eh'  al  s' i  accumpagna , 

Vdèudi  pia  'I  coli,  a  i  déss  più  prest  die  d'  frèzza  : 

Ohi,  coss' è  quel?  —  Nlént,  nicnt.  —  Ma  cmod  nlcnt  niéni 

Poe  mài.  —  E  pur  ?  —  Srà  sta 

La  culara  cm'  a  tegn  star  incadnà.  — .  -  m 

Incadnà?  déss  al  Lòuv,  sgrlnzlànd  i  dèidt. 

Sicché  donca  a  n'  currì 

Kc  dov ,  uè  quand  a  vii  V  — 

Sèimpcr  no ,  cossa  imi>orla  ?  — 

L' importa  lànt  eh'  a  ne  m*  faresti  tor 

A  s»t'  prczi  i  vùster  past,  ne  nianc  un  tsor.  — 

Dell  quèst  al  Lòuv  còrr  anc,  eh*  al  diàrnpr  al  porta. 


dlALRTl  EVIUANI.  SVI 

jil  Lòuv  e  l'jégnètl. 

La  rasòn  del  più  fort  sèimpr  è  la  miòura  ; 
Sinli  sta  prova ,  e  pò  dam^  d' barba  allòura. 
Un  Agnèll  in  V  un  ré  d^  aqna  bèin  pura 
S' cavava  un  de  la  sèid. 
Un  Lòuv  a  dzùn  I  arriva  al  cnst  quèld  quèid , 
eh'  zercava  so  vintura , 
Dalla  sghessa  tira  iùst  le  in  quel  lug. 
E  arrabbé  battènd  fug 

A  i  salta ,  e  a  i  dls  :  Al  mi  tocc  d^  insolèint , 
Chi  V  inségna  a  vgnir  qué 
A  inturbidàr  »i*  aqua ,  dov  a  i  bèv  sòulméT 
Sta  to  temerità 
V  la  pagara  sala; 

Al  sur ,  e  a  t' al  roantègn  sicuramèint.  — 
Sgnòur  ,  dis  TAgnèlI ,  termandi  bèin  la  péssa , 
Vostra  Maestà  d' grazia  en'  s*  arrabéssa  ; 
eh'  la  pèinsa  eh'  dov  li  bèv,  1'  è  un  sii  più  in  su 
Una  vi  n  teina  d' pass  d^  quel  dov  me  ho  bvu; 
Sicché  dònca  a  n^  s'  pò  dar 
Wsta  so  aqua  me  i  l'ava  psù  inturbdar.— 
Té  t'  l' intòrbd ,  dis  sU  bastlazza; 
E  pò  a  so  ch^  an  t'dséss  mal  d^  me ,  dia  mi  razza.  — 
Mo  cmod  al  psévia  far  s' a  n^  era  nad  ? 
Arspòus  1^  Agnèll  ;  la  mamma  em^  dà  la  tòlta.  — 
S' t' en'  i  sta  té ,  fu  to  fradèl  del  bretto.  — 
8'  a  n'  n'  ho  nianc  un ,  eh'  a  sòn  mo  me  '1  prém  nad.  — 
Dònca  qualcdùn  di  tu  , 

eh'  mài  v^  asparmià  d^  dir  còntra  d^  nù  ch^  mal  do  , 
Perch'  z^  tuga  a  strèina  1  càn  cùn  i  pastùr  ; 
Al  m' è  sta  dett  d' sicòr. 
Qué  bsò  eh'  a  faga  el  mi  vendètl  adèss. 
E  dett  e  fatt  V  agguanta  es  al  sgavàgna  ; 
Po  'I  porta  d' co  del  bosc  dov  al  s^  al  magna , 
Arsparmiàndi  la  spèisa  del  pruzèss.' 

La  Rundanéina  e  V  UslètL 

Una  tal  Rundanéina  in  t'  1  su  viàz 
S' era  molt  bèin  dscusé. 

26 


Sn  PARTE  SBCINIOA* 

Chi  ha  vést  purassa  coss ,  vélo  pò  quel  de, 

eh'  al  8'  el  poi  arenrgnir ,  e  cun  vantàz. 

Li  stluflsèva  el  bnrrasc  più  pznèini  ch^  s' dèssen  , 

E  ioani  assi  eh'  el  vgnèsseD , 

La  li  fava  eapir  al  marinar. 

Al  suzzéss ,  eh'  qoand  la  ean'va  s' sol  somoar , 

V  ha  vésl  un  cuntadèin 

Invstìren  di  quadèren  senza  fèin  ; 

E  a  capétol  ciamand  i  uslètt ,  la  i  déss  : 

Sta  bùbbla  ne  di'  va  brisa  pr  al  fasòl  ; 

Puvraz  y  me  v'  cumpatéss , 

eh'  a  v'  vèd  propri  in  t'  l' urzèl. 

Per  me  m'  sarò  tòr  d' sòtta ,  e  a  m' n'  andarò 

in  l' un  quale  tanabùs ,  e  a  m' salvarò. 

Vdiv'  là  eia  cara  man 

Ch'  all'  aria  va  sdundland  ; 

Vgnarà  un  de ,  eh'  a'  è  luntftn , 

Ch'  quel  eh'  la  va  sparguland 

Srà  r  ùltem  vòster  dzepp.  Oh  quant'  nrdègn 

ly  bgóll  e  d'  rèid  nassràn  d' qué  per  ciapparev  t 

Quant  lazzètt  pr  attraplarev  ! 

Cun  una  maitinà  d' mèli  altr'  urdègn 

Càusa  alla  so  stason 

Dia  vostra  mori  o  dia  vostra  persòn. 

Ari  una  gabbia^  o  un  spèld  ! 

E  qué  prèdica  a  cstòur  la  Rundanèina  : 

Fa  a  mi  mod ,  avam'  fèid. 

Sgufflàv'  più  prest  che  d^  f rezza  sta  smintèlna. 
I  aalòtt  i  dan  del  gnoe , 

Ch'  per  quel  eh'  era  in  t' i  camp ,  quest  i  par  por. 

Quànd  al  can'var  fu  grand  la  i  tòurna  a  dir  : 

Tutt  quel  eh'  è  nad  da  eia  maldètta  smèint 

Fai  in  brisl ,  altrimèint 

Tgniv'  d' fèid  ^  eh'  a  v'  andà  tutt  a  far  bendir. 

Corv  dal  mal  nov ,  arbecca  cstòur ,  braghira , 

Anma  mi  al  bel  mstirèin  eh'  a  z'  attruva , 

Nianc  un  miar  d' zèint  è  assi 

Per  pluccar  st'  avinzòn  per  quant  la  tira. 
Quand  al  can'var  è  air  ùltem  blond  chersù  , 

La  Rundanèina  s' i  arfa  a  dir  :  L' è  fatta  ; 

Sta  smèint  del  bretta  è  prést  e  bèln  vgnù  su , 

Ma  s*  piz  che  n'  s' fa  a  una  matta 


DIALRTI  IMILUNl.  5tt5 

Pr  iDféin  adès6  a  n'  m'  avi  vlù  tiadar  ; 

Da  qaé  inàoz  quand  a  vdri 

eh*  la  terra  invsté  al  villan  dà  poc  da  (ar , 

Savi  bèin  eh'  cstòur  faràn  guerra  ai  uaL 
Quant  ràgnol ,  quant  fllètt  I 

Tutl  tràppel  per  I  usiètt. 

Almanc  pr  allòura  en'  svulazza  In  za  in  là , 

Ne  v'  muvì  d' In  V I  nid  ,  o  sèinza  ciàcer 

Fi  sanmichél  luntan ,  e  fi  cmod  fa 

El  Fòlg ,  el  I  Anadr  d' vali ,  el  Gru ,  el  Pluicber. 

Al  vòsier  mal  l' è ,  eh'  vù 

En  n'  sì  In  stai  ed  passar,  emod  a  fèln  nù , 

1  dsert  e  '1  mar ,  e  firvla  d'  co  del  mònd  ; 

E  per  quest  a  n'  avi  che  un  meu  sicùr , 

eh'  è  quel  d' ficcirv'  In  lond 

Al  schervii  d'  un  quale  mur. 
I  uslètl  stuff  d' sU  eunsèi , 

8'  mèssn'  a  (ir  all'  arfusa  del  bisbèi , 

Tal  e  quii  fé  I  Truiin 

Cm'l  fén  arstar  Cassàndr  un  bel  babin; 

E  CBod  r  andò  per  cstòur^ 

Acsé  r  andò  per  lòur. 

Quant  usièli  I  éren  ,  tini  in  fu  atlrapla. 
A  sèln  iutt  d' naturii 

De  n'  dar  mèlnt  s' n'  a  chi  z'  dà  dia  savuni  , 

E  féin  eh'  al  n*  è  suzzèss  de  n'  crèdr  al  mal. 


Simònid  salfpa  dal  Deità. 

A  n'  s' pò  mai  ludir  trop  tré!  fatta  d'  zèini  : 
Qui  eh'  stan  dai  eop  In  su ,  la  Dama  e  al  le< 
Malerba  el  dséva ,  e  me  son  d' sentlmèint , 
Perchè  l' è  bon  alla  fé. 
La  lod  fa  'I  ghetti'  e  cómpra  i  più  dsunla. 
Dal  irei  al  dòu  1  uoeètt  d'  una  bellezza 
L' han  pagi  e  strapagi. 
Vdèin  cmod  mo  el  Delti  fan  di'  azevleiza  : 
Simònid  s*  méss  un  de 
A  fir  di  vers  In  lod  d'  un  Gladiatòur. 
Fine  eh'  l' av ,  al  s' addé 
Ch'  al  suggèti  è  pèin  d' zanz  sèinza  savòui  ; 


SS't  PARTE  8BC0NDA. 

I  parèint  d' si  Gladiatòur ,  sèinl  cb'  n'  è  cgnosM  ^  * 
AI  padr  arrìsg  stadèin , 
E  lu ,  fora  d'9te  so  (ir,  un  turluru. 
A  vdi  eh'  razza  d' suggètt  e  sec  e  pznéin. 
Al  Poeta  d' long  déss  d'st  so  bràv  sugètl 
Tutt  quel  eh'  mài  al  psé  dir, 
S' tré  al  parte  d' taccar  sotta ,  per  l'effètt 
D*  psèirs  un  pò  sbizzarìr , 
Dsènd  d*  Càster  e  Pollùz ,  i  préni  e  I  miùr 
Ch'intèssn  alla  lus  del  mònd  I  gMiatùr. 
E  qué  purlò  ai  sett  zil  i  su  dui, 
Dsènd  i  lug  dov  s' fé  unòur  sti  dn  gemi; 
AI  pangéric  del  dòn  Deità  furmò 
Du  terz  inzirca  d*  sta  cumposiziòn , 
E  al  Gladiatòur ,  che  qnSnd  a  i  l' urdinò 
1  pruméss  un  dublòn , 
Garbatamèint ,  avù  eh'  al  V  av  in  min , 
N'  i  de  ehe  un  terz,  e  I  déss  frtign  frugn:  Al  resi,    ^ 
Tant  Càster  quant  Pollùz ,  du  segn  zelèst , 
A  llr ,  sold  e  denàr  v'  al  pagaràn. 
Ho  a  v'  voi  far  trattamèlnt.  Vgnin  a  dsnar  nfg  ; 
A  starèin  da  sgnuraz , 
I  dsnadùr  sran  adlìt  tutt  d'in  t'  al  maz, 
Parèint ,  e  i  miùr  mi  amig. 
Pie  m'sti  a  far  slmitòn , 
Vgniv'  a  dscrèdr  in  pulir  cun  sti  mattòn. 
Simònid  i  prumètt ,  fors  bèln  per  pera 
D'armettri  òuUr'al  so  avèir 
Ane  del  lod  di  su  vers  quel  po'  d'  plasèir. 
Al  vèin  ,  s'  fa  al  dsnar ,  e  a  s' magna  eh'  nient  s' arsora  ; 
Tutt  i  stan  d'  staglia,  quand  un  d' qui  dia  ci  * 
A  diri  d' drt  dia  scranna  dov  al  sed  : 
I  è  dù  eh'  al  vòlen  veder  dett  e  fatt. 
Lù  s' tot  da  tivla ,  e  qui  ilter  eh'  a  n^  i  importa 
Un  flg  dMu ,  fan  un  d'^nèlt  e  i  vudn  i  piatt. 
Sti  du  èrn  I  gemi  ch'ai  ludo  tant, 
eh'  al  ringrazién ,  pò  viènd  pagari  i  vera 
Ch'  al  fé  per  ìòttf ,  l' avìsen  ch'in  el'  istant 
Sta  casa  fa  un  seuffiòtt  per  tutt  i  vers. 
Alla  fé  eh'  i  accoién  ;  «h'toppa  un  pilàster , 
Fa  nona ,  e  addio  tasséti , 
eh'  n*  avènd  più  eh*  al  su^tiinta ,  m  a  Oazèll 


IMALBm  EMIUANI.  SW 

Squezza  dsnàr ,  fiasc  e  piati  cun  i  su  impiàsler , 
E  a  qui  eh'  diiven  da  bèvr  a  n'  fa  nièint  d' mane. 
Mo  quèst  eh'  è  qué  n'  è  nianc 
Al  piz ,  la  età  qué  n'  s' quieta 
Per  eumpìr  la  vendetta  del  Poeta. 
Uo  trav  seavezza  el  gamb  del  Gladiatòur , 
E  dà  cumia  ai  dsnadùr  struppià  squis  tutt. 
I  avvìs  per  fars'  unòur 
Spargóien  d' long  la  nova  da  per  tutt. 
Oh  eh'  miraquel  !  tutt  zighen  pr  una  bocca , 
I  vers  d'  un  om  dal  Deità  mèrten  bèin 
Sia  paga  dóppia,  ch'in  st  frangèint  i  tocca; 
E  al  n'  èra  un  om  da  bèin 
Clù  eh'  i  pagava  profumatamèiol 
S' i  dàven  del  savòn  alla  so  zèlnt, 
Qué  a  tòurn  al  pùnt ,  es  dég  in  prèma  d' tutt  ^ 
eh'  el  Deità  e  i  par  su  mal  s' lòden  trop , 
E  pò  eh'  el  Mus  spess ,  sèlnza  dar  all'  i  oò , 
Pòn  cavar  dal  costrùtt 

Dal  sòu  fadig  ;  e  In  t'  l' ùltem ,  eh'  la  nostr'  art 
Ha  da  tgnir  su  el  sòu  càrt. 
I  Grand  s'  rènden  gloriùs 
Cm'  i  fan  la  cort  al  Mus. 
Za  *1  mont  Ulèimp  e  al  mont  Parnàs  ladri 
Bazzgàven  da  amigòn  e  bon  fradi. 

/  Galavròn  e  el'  i  A%\  ' 

Dall' ovra  s' cgnóss  l' artésta. 

A  s' truvò  del  brèsc  d' mei  sèinza  patron* 

I  Galavròn  el  pretendén  a  vésta. 

EP  i  Av  i  cuntrestòn  sta  pretensiòn. 

La  cossa  mtènds'  in  Ut , 

S' andò  da  zerta  Vrespa ,  eh'  dezidéss. 

Ma  la  i  grinciò  cm'  la  s' méss 

A  studiar  al  mèrit  del  quesit. 

S' a  vii ,  i  tsUmoni  dsòven: 

D' avèir  vést  drì  a  sti  brèsc  far  dal  pladùr 

Di  bstiù  dair  i  ali  bslòng-  d' un  liunà  scur , 

Cmod  è  r  i  Av ,  e  per  tal  gran  tèlmp  s*  cherdévcn. 

Mo  cossa?  I  Galavròn 

A  sti  f ndézi  èin  tutt'  un. 


S56  MUTI  twamoà. 

La  Vmpa  a  st  quia,  n*Aavènd  da  eh* banda  tgnìr, 

Tòurna  a  far  del  rìzèirc  pr  avèir  più  lum. 

La  in  droanda  a  un  furmlgàr  ;  %*  fa  del  zanzùm  ; 

Mo  M  punt  en'  s' pò  solari r. 
Mo  d*  grazia ,  cossa  zòva  tutt  quest  qué , 

DÌ8  un'  Ava  eh'  ha  giudézi , 

S' dòp  si  rais  d' lit  a  sèin  al  bel  préin  de , 

E  in  st  mèintr  ai  mei  fa  i  flùr  a  prezipézi. 

D' ògn'  òura  è  ièlmp ,  sgnèr  Glùdiz ,  eh'  la  la  sbriga  ; 

Su  ,  eh'  r  ha  mna  per  la  zèndr  assi  la  vsiga. 

Sèinza  tant  contradditori, 

E  tant  interrogatori , 

Arzlgòg ,  muzzurclari , 

E  farz'  corr'r  Inanz  e  indri, 

La  metta  al  prov  i  Galavròn  e  nù . 

E  la  vdri  chi  d' nù  altr  è  capii  d' fir 

Un  sug  dòolz  cmod  è  quel ,  e  d' fabricir 

Del  brèsc  cun  quel  cumpirt,  eh'  a  n'  s'  pò  far  d*  più. 

L' arflùd  di  Galavròn  fé  dscrùver  trèin  , 

Siind  eh'  i  n'  èren  da  tant. 

E  la  Vrespa  lampant 

De  a  d'chi  era  quel  mei  pulid  e  bèin. 
S'ògn  prusèss  s' fess  acsé ,  che  al  zìi  al  vléss, 

E  l' ùs  di  Ture  in  st  gèner  s' abbrazziss , 

Sòul  al  sèins  cmùn  per  còdiz  vré  ch'servéss, 

E  una  bella  munèlda  s'asparmiass  ; 

Ch'a  n'srèn  magna  a  traversie  plucca  in  Vi  oss, 

Cun  mnarz'  pr  al  nas  sland  a  cavil  del  foss. 

In  féin  s' fa  tant ,  eh'  di*  Ostrica  s' fa  trèl  part  : 

Pr  al  Giùdiz  al  garòl ,  el  scii  pr  el  pari. 

Traduzione  del  Sonetto  : 

Se  la  donna  infedelj  che  il  folle  vantOj  ec. 

di  Annibale  Bartoluzzi. 

S'  da  donna  sèinza  fèid  eh'  av  tant  argòi 
Da  vlèir  cun  Domendì  èsser  dei  par  , 
E  eh'  puvrìizia  eia  mèiia  vola  mursgar , 
Cun  darn'  al  dòuiz  mare  un  poc  d' arsói , 

Avèss  dett  al  bissòn  :  No  eh'  a  a'  In'  vói , 
Tèint'  la  to  mòlla ,  e  vat'  a  far  squartar , 
La  mort ,  l' infèreo  en'  a'  srén  sintù  arcurdar , 
Né  niànc  al  pei  cun  tutt  qui  alter  garbòi. 


DULSTTI  BnUAHU  557 

Ma  s'Eva  pr  àltr  en'dava  io  V  al  zedròn , 

Madunnèina  bendètU ,  al  vostr^  unòur 

Srév  armesda  cun  tuli  in  cunfusiòo  ; 
Pura  a  sréssi ,  ma  n'  s^  in^  farév  armòur. 

Felìz  doDca  da  còulpa:  oh  al  bel  maròii  I 

S' al  chersé  a  una  tal  Donna  un  nov  splendòur. 

4840.  Per  saggio  dell' odierna  letteratura  bolognese,  valgano 
le  seguenti  poesie  inèdite  dei  chiari  scrittori  viventi  Raffaello 
Buriani ,  dottor  Nenzioni ,  dottor  Carlo  Frulli  e  Biagio  Uccelli , 
2ii  quali  rinnoviamo  la  nostra  riconoscenza  per  avercele  grazio- 
samente comunicate. 

Sestèin  balzan 

P»**un  dmàr  (funa  Sozietd  d'maUj  detta  di  TrèdSj  dal  nùmer 
€ii  campunèint,  i  qual  però  han  la  [acuita  d'cundùr  ognun 
9m  amìg, 

(Carneval  dèi  isitt.) 

Finalmèint  ste  bèli  de  Tè  pò  arriva 
Che  tùli  in  cumpagni  qué  a  sèin  a  dsnar, 
E  in  grazia  so  nù  a  vdèin  verifica 
Che  non  sèimpr  a  s'attrova  al  trèds  in  dspar: 
DI  fatti,  s^a  luma  la  cumpagni, 
Trèds  ein  i  sozi  ^  mo  a  sèin  qué  in  ventsi. 

Pur  sta  giurnata,  eh' è  peri  altr  alligra, 
A  dirvla  d' bón ,  per  me  la  nT  è  za  tropp, 
Perchè  st^ann  la  mi  Musa  s' móstra  pigra, 
Ch'  la  scùria  n'  zóva  a  farla  andar  d' galèpp. . . . 
Sta  debolézza,  corpo  dèi  demoni  ! 
Srévla  forsi  un  effètt  dèi  matrimoni?....  (i) 

Mo  davvèira  che  quèst  sré  un  bèli  effètt 
Per  qui  puvrétt  eh'  s' impazza'  in  V  el  mujér! 
Se  più  a  n'  i  serve  né  liva,  né  a  lèti 
Quel  eia  eh'  s' clama  èster,  me  a  v' al  dég  sinzér, 
A  m' parYev,  in  sustanza,  un  miòur  aflar 
Al  supplir»  viv,  0  almànc  al  fars  castrar. 

(I)  Al  porla  (con  bon  risfi^M  dia  lavi»)  era  allòura  s|mi&  nov. 


9BB  .  PAan  aM»9k, 

Al  lor  mujér  fu  sèimpr  un  alTàr  schéé, 
Cmod  dseva  Zizeròn  clscurrèud  di  mrus, 
E  al  scriv  che  acsé  pian  pian  dvlnlò  un  sterne^ 
Un  so  cusèin  dia  cà  di  Stopabùs , 
AI  qua!  per  la  muJér,  acsé  bèi  bèi , 
9*  I  aslargò  el  brig ,  e  s' i  asgrandé  al  cappcit. 

Mo  lasse  In  da  una  banda  el  buscaràt, 
E  mittèins  in  t' al  seri  :  in  ste  bèi  de 
D^  cossa  s' prév  dscòrrer ,  eh'  déss  un  poc  d' dllèll  ?.. 
Zèirca  pur  cossa  dir...  Soja  mài  me! 
All'arversa  dèi  sòllt  fu  la  festa  : 
Al  matrimoni  m*  ha  lima  la  testa. 

Tuttavi  a  nM  è  rimedi ,  un  cvèl  bsó  dir 
Pr**  en  far  del  tutt  figura  da  minclòn  ; 
Dsèin  su  dónca  una  volta  quel  eh'  sa  vgnir  : 
Séppa  quel  eh'  séppa,  e  bona  nott  patron  ! 
E  s'anc  a  fùss  per  (àr  trésta  figura, 
Em'mittràni  per  quèst  In  sepoltura? 

Damm  te,  Musa  bulgnèisa,  un  argumèint 
Ch' séppa,  in  sustanza,  tal  da  farm  unòur: 
Che  al  dscumparìr  tra  i  altr  a  i  lio  in  tla  mèint 
Ch'  r  ava  propri  da  èssr  un  gran  brusòur. 
Su,  su,  svelti,  cura^...  Ah!  a  Tho  truva: 
1  vantai  a  dirò  di  Innamurà. 

O  tu.  Apollo,  che  iiedi  in  Elicona 
In  mèzz  al  Mus,  dòv  t' fa  d'ogni  èrba  fass. 
Oggi  propizio  il  fopòr  tuo  mi  dona  : 
Va  là,  cinètt,  e  n'em' lassar  in  ass! 
Coss'éla?  t'n'em'dà  mèint?  ah!  t'en'  vù  vgnIr? 
Mo  a  m^n  sfrèig  di  fatt  tu  :  pust  arrabbir  ! 

Cossa  m*  scappa  mai  dctt  !  Oh  puvrèit  me  ! 
A  n'  em'  son  arcnrdà  eh'  a  1  è  del  donn  ; 
eh'  bsò  guardars  dal  biasimar  in  st'cas  eh' è  qué, 
Mo  di  pater  o  di  Kyrie-eleisón 
In  lor  praenza  il  dir  $olo  è  cotice$$o , 
Che  tono  il  femminil  devoto  sesso. 

A  v'dmand  scusa  umilmèint,  i  mi  dunnèin. 
Se  quél  Pust  arrabtir  a  m' è  scappa  : 
La  n'è  za  una  blastèmma,  mo  un  biasimèin 
Che  s*  sèint  dai  galantòm  anc  per  la  stra  : 
A  v'prumètt  tuttavi  che  per  l'avgnìr 
A  n'  sin  tri  più  da  me  Pust  arrabbir. 


DIALCTTI   EMILIANI.  550 

Puxt  arrabbir,  di  futti^  l'è  uo  auguri 
Che  n**  va  délt  per  matti  ria  gnanc  a  un  can  : 
Putì  arrabbir  el  i  éln  paròl  csé  duri 
Ch^a  io  sinlirò  rimòrs  inséin  a  dmao  : 
E  se  si'  Pìut  arràhbir  al  v**  ha  fatt  pora , 
Ptut  arrabbir  ti*  em*  scapperà  più  fora. 

Ho  fiaèinla  una  volta,  e  fèins  un  poc 
Airargumèint  eh' a  m*son  preféss  d^ trattar, 
Che  più  sdondland  al  srév  un  dar  agli  oé , 
£  al  par'rév  quasi  ch^  a  v"*  vtéss  minclunar  : 
Mo  cossa  vUt?  a  savi  za,  fiù  mi , 
Ch^  razza  d' sturnèi  è  mài  la  fantasi  ! . . . 

A  propòsit:  sta  sira  al  ComunàI  (i) 
Giùst  una  Fantasi  per  pian  e  fort 
A  sèint  eh'  al  snnarà  clù  d^  GuUnèlI  : 
Chi  la  prà  sèntr*  ara  una  bona  sort  ! 
Che  vù  altr  a  i  andadi  me  a  m'  figùr: 
Però  fa  quel  ch^a  vii:  me  ai  vad  slcùr. 

Ai  vad  con  la  mi  santa  cumpagni, 
Che  riìsen  n^andò  mai  sèinza  la  soma, 
E  pò  me  la  mi  cròus  a  la  vùi  dri; 
Po  in  cumpagni  òrece  è  la  Ha  di  Boma* 
E  pò  a  m^arcòrd,  chUo  le$ii  quetVeiiaU, 
Alter  alterhu  onera  portate, 

E  da  za  che  al  destèin  insèm  z^  ha  une , 
Avèin  d^avèir  divis  al  béln  e  al  mal, 
E  cmod  em*  dseva  un  prit  anc  l'alter  de 
I  spus  han  in  comùn  sèna  i  stivai , 
E  pò  za  mi  mujér  l' al  sa  anca  li: 
Mi  è  quél  eh'  è  «ó,  e  quél  eh'  è  itf i  è  mi. 

Sicché  dónca  me  a  v'  dèss  eh'  a  m'  son  proposi 
D*  cantar  ozz  di  vantaz  di  Innamura , 
Ho  a  trattar  st'  argumèint  più  eh'  a  m' accòst , 
A  dirvla  stiètta ,  a  m'  sèint  de  più  imbruja  ; 
Ho  ai  voi  pazénzia ,  e ,  per  fluir  la  fola , 
Bsgnarà  trattarci ,  eh'  a  v'  n'  ho  dà  parola. 

El  paròl  èln  cm'  è  un  scrétt  pr'  un  galantòm , 
0  n'  s'  han  da  dar ,  o  s' el  s' éin  dà  mantgnirli  , 
Che  zeri  al  n'è  trattar  eh'  séppa  da  om 
Prumèttr  el  coss ,  e  con  mài  gàrb  pò  dsdirli. 
E  dar  al  le  scrive  messér  Orazio  : 
Promi99io  boni  Hri  est  obligatio. 

(1)  Lt  sira  dèi  dsniir  ai  era  ud  gran  cuntèrt  al  leSiter. 


5tfÒ  PARTS    SECONDA. 

Dsim  mo:  cossa  v'  In  par,  o  cheriatùr: 
A  n'  ev  par  mo  eh*  a  séppa  un  bràv  ragàzz  ? 
Codi  a  I  ho  a  méinadid  tuli  quant  I  autùr  ! 
Oh  in  st'  gènr  a  n'  em^  son  mai  Iruva  in  impàzz  ! 
Bsògna  dónca  conclàdr* ,  in  féin  dèi  tom  , 
Che  In  sustanza  me  a  son  un  gran  brav  om  ! 

E  quèsi  sia  dètt  con  tutta  la  mudestia  , 
Sòol  per  cunvénzer  qui  eh'  erèdn  al  cuntrari  ; 
E  se ,  forsi,  un  qualedùn  m*  tgnéss  pr'  una  bestia  , 
Ch^  al  8'  persuada  eh'  al  fa  un  gran  divàri , 
Perchè  V  è  ciar  e  nètt ,  in  féin  di  féln , 
Che  una  béstia  n*  acgnùss  i  autùr  latéio.  — 

Sicché  dònca  nà  a  dsèven  eh**  1'  argunèlnt 
Di  vantàz  d'  chi  s' voi  l)èin  me  a  vui  trattar, 
Perchè  ste  tèma  em*  piir  slcuramèint 
Adatta  per  cantari  In  meiz  a  un  dsnar , 
In  dóv  s^  attrova  più  d^  una  mattana , 
In  t'  un  zireoi  d*  amìg  a  far  tulliana. 

Oh  I  amig  pò,  i  amig!...  Ho  rè  nn  grata  gùst 
Passar  insèm  degli  òur  in  cumpagui! 
E  mi  mujér  ia  n^  alava  più  in  t' al  bùst 
Pinsand  che  st'  ann  la  vgneva  ancora  li  ; 
E  me  ai  D^  ave  csé  vùja,  eh'  pr*  al  dilètt 
Al  srà  trèi  nott  al  più  eh^  a  pissó  a  lètt. 

Mo  quèst  en'  fa  per  me  :  tumèin  ad  hoc , 
Che  un  puetinèin  andò  fora  d' caria  ; 
E  a  n'  vrév  pò  mai  eh^  a  m' psessi  crèdr  un  scioc  . 
Ch^  en  vléss  mantgnirev  la  parola  dà  : 
Musa,  turnèin  in  fil,  in  tPargumèlnt , 
Per  buscar  un  evviva  da  sta  zèint. 

A  me  un  evviva?  Oh  la  srév  bèlla  d'bón! 
Oh  sé  eh'  al  srév  mo  propri  mess  a  post  ! 
Mo  che  razza  d^  idea  da  gran  mlnción  ! 
Viva  al  cug,  al  eafftir ,  evviva  I'  ost  : 
E ,  quél  che  de  più  m'  prèm ,  evviva  evviva 
Quànt  s' attróvn  In  sta  bèlla  cumltiva  ! 

E  qué  a  fasz  pont:  e  a  vùl  per  zert  sperar 
Che  del  coss  eh'  a  v^  ho  détt  a  sri  euntèint , 
E  in  prova  dèi  mi  assùnt,  lùzid  e  ciàr 
A  v^arà  pars  tutt  quànt  i  arguméint: 
E  s' mài  a  v^  par  ch^  avèss  fine  trop  prèst , 
S^  a  turnà  un'  altra  volta,  a  v'  dirò  al  rèst. 

Rappacllo  Buriani. 


DIALETTI   RVIUAMI. 


561 


Caso  successo  tu  una  vìsita  del  Cardinale  A rc%K\  Oppizzoni 
a  Castel  S.  Pietro  nel  bolognese.  —  Zériidella  del  doti.  Nenzioni. 


Zérndella  da  per  tott 
8*  eonU  al  cas,  eh'  è  sta  moli  broli , 
Che  regnai  en's^e  udì  dir 
Dop  ch^  esést  Castel  San  Pir  : 
Al  Nudar ,  eh'  è  grass  madùr, 
Ch^  gnanc  per  terra  an'  va  sicùr , 
Ch^  al  pò  andar  s*  tira  del  veni 
In  ti  ronl  ogni  mumènt , 
Tote  per  geni  %V  seccabai 
Anca  lo  8Ò  In  t^  nn  cavai 
Con  tot  1  alter  dai  castèl 
iBeonir&r  al  Cardinal. 
Tot  I  amig  avn  un  bel  dir , 
Sgnèr  Nudar,  mudàin  plnsìr  ; 
Sgnèr  Duttòur,  eh'  al  tuga  l' iisen  : 
Ltt  arspundeva :  <« Ch'i  mei  biisen ; 
A  capiss,  eh'  queata  è  una  trama  ; 
Stai  pò  ben  lugar  a  dama  ? 
Ai  voi  tot  la  eonvenienza 
Quànd  a  s' tratta  d'  so  Eminenza  ». 
Basta,  al  vola  a  tot  i  cost 
Del  cavai  sintir  el  gost , 
E  tri  0  quàtter  di  su  amìg 
Avén  lòur  tot  quant  V  intrìg 
D'  mèttrel  so ,  d'  guardari  at  scàttel, 
E  aju  stari  el  sòu  zangattel. 
0  eh'  spettàquel ,  o  eh'  risa 
Veder  st'  cvéll  iofagutta  ! 
Un  dmandava  :  Dov'  è  al  nas  ? 
CI'  alter  dseva  :  An  savi  al  cas  ? 
La  partida  era  tant  granda , 
Ch'  al  s'  l' è  miss  da  cr  altra  banda; 
CI' alter  dséva  :  Al  va  d' incanì, 
né  an'  ò  mai  rido  acsè  tant; 
Ma  in  t' un  punt  anVved  piò  gnent ... 
S' èl  mò  ìM  dal  mal  ai  dent  ? 
Nò  :  per  grazia  r  è  casca 
Con  al  cui  su  in  V  la  pnivra  ; 
Ma  sta  bon ,  e  vivi  zert , 
Ch*  torna  Roma  a  gamb  avèrt 


E  difàtt  qui  matt  fottó 

Novamènt  1  al  cazzòn  so  ; 

Starai  dur  ?  qui  as'cmenza  a  dir  : 

A  j  è  eh'  tem ,  e  al  ven  pinsir 

Per  star  quièt,  ed  vlèir  ligar 

So  in  V  la  bistia  al  so  Nudar  : 

Ma  an's'  è  gnanc  slntò  parola, 

Ch'  torna  a  cap  la  bella  fola , 

E  al  Nudar,  ch'en'  voi  tant  guerra. 

Canta  d'  nov  :  Stcut  in  terra. 

Le  mo  lì ,  che  tot  In  massa 

S'  fécchn  attòrn  a  sta  bardassa , 

eh'  tira  a  se  tot  al  castèl , 

E  piò  an'  s' pensa  al  Cardinal  : 

Chi  voi  veder,  chi  voi  dir: 

Chi  s' accosta  sòul  pr'  udir  ; 

Aviv  mài  In  t' ensòn  sit? 

Siv  fors  dèbl  ?  Aviv  aptii  ? 

E  un  4)iò  matt  9  e  d'  qui  piò  stramb 

Vols  tastarl  Insén  tra  r  gamb 

Con  dmandarl  :  In  tot  sti  spéli 

Aviv  pers  forsi  al  slgéll? 

Basta  infén  dop  mill  salùt 

r  al  cazzòn  so  in  t'  un  minùt , 

Perchè  a  forza  d'  far  di  salt, 

A  8'  ficcava  anch  bèln  In  alt  : 

Al  fò  li  con  st'  monta  e  dsmonta  ; 

Post,  ch'ai  sòn,  bsò  ch'av'la  conta: 

AI  cavai  s'era  allarma: 

L' era  poc  eh'  l' era  castra. 

Pars  eh'  al  dslss  li  da  per  lo  : 

Di  quajòn  me  an'  in  voi  piò , 

E  in  l' un  tratt  con  un  scussòtl 

Ficcò  In  terra  al  so  fagòtt; 

Figurav  mò  adèss  al  cas , 

E  sia  ben  tot  persuàs  , 

Che  al  Nudar ,  eh'  n'  era  piò  stracc , 

E  eh' en' vie  va  piò  tant  smacc, 

S'  fé  apulvrar ,  e  pian  planèln 

L' Incuntrò  con  i  su  pdèin 


MS 


PARTE  SECD^IDA. 


SO  Eminenza,  che  infurmà 
Bel  magnéfec  Irei  casca, 
Diss,  0  Aoma ,  acsè  ridanti  : 
Vò  l'avi  falla  da  grand; 
L*^c  un  esempi ,  eh'  è  sta  toit 
Da  Gesù ,  ch^  cascò  trèi  volt  ; 
La  voi  èsser  umilia 


Per  suslgnìr  la  cavalca , 
E  bsò',  in  càs  eh*  s'deva  vlaiir^ 
Fàrs  dar  T  àsn'  a  tot  andar. 
Perchè  un  om,  eh'  ava  duttrèina 
S'à  da  mellr  In  ria  bastèioa, 
E  ai  supèrb  lassar  la  sella; 
Tocc  e  dai  la  zéradella. 


Zérudella 


Pr'un  gran  dinar  eh' de  in  iai  1824  in  villeggiatura  al  captar  «Tmodi 
in  Bulògna  Marion  Maccàgn  »  do9*  intervènsen  più  d' setionia  penàm 
tra  invida,  cherdinzìr,  capp-nèigher ,  apparadùr,  cug,  iHumina/lir, 
fugkuta,  cannunir  e  servètit,  setiza  i  ben-vgnù.  L*  ann  prima  a  in  de 
un  ma»u:  ifarzòui. 


Zérudella  s**  l' ann  passa 
Una  bella  cumpagni 
Fò  cuntèinta  purassa 
D^  quel  tripudi  e  d^  quer  allgrì , 
D^quel  beldsnàr  e  d'eia  baldoria 
Ch^  ev  cuntò  jlr  la  mi  storia  : 

Cosa  mài  dlràla  incù 
E  d'  eia  ^izla  d'ajerslra  ?  (f ) 
Me  armàs  propri  cm'  è  un  cucù , 
(  An'  ve  còni  una  chimira) 
Usservànd  eia  profusiòn         (ròn. 
Non  d'quel  dsnar,  ma  d^quel  dsna- 

Toll  qui  udùr,  quel  fum,  cPallgrèzza, 
Quel  purtà,  e  qui  bon  vin, 
Un  incanì  l' era ,  una  blezza  ! 
Tuli  qui  piati  eh'  n'  avèn  mai  fln 
Tramudòn  casa  Maccagna 
Tutr  a  un  Irati  in  l' na  cuccagna. 

Sle  Maccàgn  me  za  al  saveva 
Om  d' gran  moda  e  generòus  ; 
Mo  per  zeri  an'  me  cherdeva         | 


eh'  al  s'  vliss  rendr^  acsi  famòiii» 
Dànd  un  prans  eh*  ensàn  sunily  ' 
Ensùn  sgnòar  r  ugual  de  mal.   ' 

Ziltam  pur  qui  d*  un  Cavrara', 
Qui  d' un  Spada  o  d*un  Ma1vèii> 
0  eia  tàvla  acsi  strarara 
eh'  a  Nadai  Dov  s^era  ayèii , 
0  d'  chi  al  Lln  e  al  so  cai  eald 
Als'  gudè  fln  eh'  al  sii  srid  (t). 

Mariàn  sóul  j' ha  toU  suppié 
Cun  el  sfarz  e  i  più  rar  bcòn , 
Cun  j' adòb  e  1  lum  eh'  feno  de , 
Cun  gr  allgrèzz,  cun  i  cannòn , 
Cun  r  avcir  illumina 
Sai,  zardèin.  cavdàgn  e  prà. 

A  propósti  dal  zardèin , 
Al  n'  av  cor  d*  crearl  a  un  tretl 
Da  un  curtil  ?  anzi  al  fo  un  vsèin 
Ch'ai  stè  le  per  dvintar  mail, 
Vdend  nad  fiur ,  albr',  ananàss 
Dov'jir  l'allr'a  J'era  i  sas«.  (s) 


(I)  In  ti  d^  suuessiv  al  praiu ,  ai'  magnava  j*  arsòi  cun  i  amìg  ;  ira  quekli  ai  era  «1 
caltular  di*  aulòur  ,  che  retilo  a  memoria  ita  tiridira. 

(a)  Al  tenatòur  Barbaaa  padròn  di*  impresa  del  Lin  ,  eh'  fall^  dop  èuer  sU  al  più  ticc 
e  putèiot  d*  Bulògna  ,  doT  a  j  è  unta  per  pruverbi  :  Al  lin  e  A,  cui  cald  al  a'  l'ave  a*"' 
BarUaaia.  La  fameja  del  senatòur  marchèis  Bovi  una  del  più  recchi  d'  Bulògna  (adèss  decado) 
dava  alla  vixellia  d*  Nadal  una  gran  tenuti  ai  invida  e  mustrava  una  tavla  furni!  magnifics* 
mèint  d'triènt ,  or  e  pnnlknn  dia  Cbcina  o  del  Giapiiòn. 

(3)  Per  Tàr  un  tardèin  fi(int  al  th  d^Tàr  in  t'  uua  slniana  al  curtil ,  dov* al  Mippli  di  va* 
d*  fiur  ,  e  ai  piantò  di  alUr'  intir ,  strapiantii  dai  camp  run  ci  sòu  vaoiu  d*  bùuel  ;  figmiv 
cun  che  spèisa  I  Za  anc*  adcss  al  sia  d'  ea  in  t*  un  gran  appartamèiiit  dèi  patais  del  dna 
d*Gallira. 


DIALETTI  EMILIANI. 


565 


CUA  Mariàn  eh'  la  bocca  ba  in  piga... 
Ooa  ch^  al  tétta  es  fa  zrisin . . . 
S«nt,ch^da1  gast  al  par  cb'al  ziga 
Coiod  In  marz  i  nùsler  mnin  : 
1^^  ba  rasòa  s'al  s'god  st'  incèins, 
Cb^  J  dev  dar  cbl  è  al  vèir  propèins. 
0  «crIUàr  di  temp  aniìg , 
HW^m  cunta  d' qui  bi  de  grass 
£1  tavla  cb'  dava'  ai  amig 
^1  8bulzÒD  d' LucùU  e  Crass , 
Vgni  qui  a  veder  se  Maria n 
L^  è  da  mane  ed  qui  Rumàn. 
Cbe  da  mane?  Tè  tanl  da  più 
JEd  qui  vùster  barbassòr, 
Quanl  ]'  avèveo  clòur  più  d' lù 
ZòI ,  intrad ,  arzèni  e  or  : 
Robb  che  gli  em  a  ca  purta 
Dal  pravenii  saccheggia. 
Ma  t*un  om  msurar  a  s*  dev 
Dal  curai  e  non  dal  fust , 
Chi  piò  grand  al  mond  mai  srév 
D*  MarHm  noslr'aesi  é*  bon  gust  ! 
Un  pajèis  dai  da  guemar , 
E  a  vdri  quel  eh'  al  sarév  far. 


Quand  d'  l' Egìi  la  gran  rigèina 
Dsfè  in  t'  r  asà  da  tal  perlòuna 
Acsi  rara  e  suprafèina , 
eh'  la  custàva  una  summòuna , 
Per  mustràr  che  un  pìccol  dsnàr 
Più  d'un  grand  al  poi  custar; 

Mo  Pdn*  fu  propri  una  matta 
Slruscia-zchèiu  senza  rasòn? 
Quel  eh'  en'  fa  bùjer  la  pgnatla 
L' è  tutt  spéis  da  vèir  zedròn  : 
E  per  quest  me  a  son  d' avis 
Ch'jir  Maccàgn  al  i  ha  bèin  spls. 

0  su  dònca  i  mi  cumpign 

Fa  un  evviva  e  sbatti  el  man 

A  ste  bràv  Mariàn  Maccàgn  ! 

E  eh'  as  sinta  un  mei  luntan 

Al  pladùr  !  Ev  voi  i  spròn  ? 

Battiv  donca  in  li ...  zuccòn! 

Batti  20  senza  dscherziòn  : 
Batti  pur  e  fa  dl'armòur: 
Batti  a  cost  d'  struplarv  el  man  , 
Perch'ai  merita  st'unòur! 
Po  avri  l'uss ,  e  fa  la  seiila  , 
Tocch  e  dai  la  Zérudela. 

Del  doii,  Carl  Froll. 


Bitràtt  d' itti  legai  d'  Bulògm, 

SU>'ÉTT. 

Me  alt  ne  bass,  un  ludri  mal  lìgà. 
Con  un  gran  nàs  e  senza  un  pel  adòss , 
Dioanz  a  i  uè  r  ha  sèmper  doi  vedrà , 
Perch'  senza  al  prév  cascar  dèntr'  in  d' un  foss. 

In  lez  con  di  quattrìn  fò  laureii 
Per  quèst  In  drltt  zlvìl  al  s' trova  asdòss; 
Ma  in  criminal  a  dfendr*  i  cundanii 
L' è  svclt ,  acut  e  s' avrà  ben  al  goss. 

V  ha  squàs  treni'  ann  e  in  dmoslra  trentasi  ; 
Tànt  volt  furiós  e  in  testa  del  matliri, 
Mo  sèmpr  un  bòn  amìg  in  cumpagni. 

Al  n'  ha  mujér ,  almànc  mujér  intìri  ; 
Al  bev  puclin  e  s'  magna  ben  per  tri  ; 
Al  resi  pò  v'  al  dlràn  el  camariri. 


Dialetti  Rohagnoli. 

FArlIvcnc. 

I  dialetti  romagnoli ,  come  accennammo ,  non  furono  bhì 
scrìtti  nei  (empi  addietro ,  se  si  eccettui  qualche  frivolo  compo- 
niinenlo  d'occasione,  che  scompane  col  nome  del  tuo  aolon. 
Solo  ai  dì  nostri  incominciarono  in  varie  città  di  Romagna  al- 
cuni studiosi  a  sottoporre  alla  difTicilc  disciplina  del  metro  ì» 
iadtìcili  loro  favelle,  e  fra  questi  si  distinsero  !L  Forlivese  Giu- 
seppe Acquisti,  il  Professore  Domenico  Gliioasn  di  Lugo,  a  Dm 
Pietro  Santoni  di  Fusignano.  Un  Saggio  delle  poesie  del  primo 
pubblicate  dì  recente  a  Forlì ,  ebbe  meritato  plauso  in  patria  ; 
vani  componimenU  del  Santoni  furono  raccolti ,  dopo  la  morte 
dell'  autore,  e  pubblicali  per  cura  di  Giacinto  Calgirini.  Parec- 
chi si  neir  uno  che  nell'  altro  dialetto  sono  tutt'  ora  inèdìli,  e  fra 
questi  godiamo  di  produrne  alcuni  per  la  prima  volta  alla  Iure 
gentilmente  comunicatici  dagli  autori  niedèainu,.ai  quali  ali'- 
stiamo  publicamente  la  nostra  rìconoscenn. 

Poem  inèdite  dì  Giuseppe  .4eqmtti  Forlivese. 

Chi  òIb  mìi!  da  gran  Hgura 
HolTa  e  hccb  riu'è  um  pareòlt, 
eh'  ven  Idbs  di'  la  la  pHvura 
CuD  un  àbll  lc£p  brotl? 

1^  vèn  cnérin  denlr'  un  uc 
Che  pi  e  srgn  d'Ia  penllenu, 
StratU  al  Hanc  com  un  Irlc-trìc , 
S«gn  anc  quèil  d'Ia  cunlincnza. 

Ci'ii  cai  teli  Iniioandi 
tb'i  veD'dri,  e  cs'èl  ale  plani- 
E  stai  tati  niurlificadi , 
E  at'  sfleoii  da  camp-Mnl  ì 

Èl  fallì  DO  Impcralór, 
eh'  l'i  In  l'at  man  un  gran  n 
D"  cìrt,  eh'  la  [»  tati  un  con 
Quand  e  porta  al  zi 


DIALETTI  EMILUIfl. 


56» 


Vii  intani  cai  ire  ragaizi 
Cao  cai  Man  in  t' i  cavèll, 
eh'  al  s' tamenta,  e  al  n'à  al  puvrazzi 
Quièt  intsuna  e  pas  inveli  ? 

A  gli  è  stadi  onz  nis  asradi , 
Con  m  flfinia  e  con  un  mài  ; 
Fors  a  gli  èva  un  pò  gunfiàdi 
L'aria  stile  de  carnval. 

Vit  Uà  €0»  eh'  al  s' è  ardotli 
Sgnègni  sguègnl  com'  un  fig, 
Zali^  veeei,  brotti  brotti , 
€li'  a  gli  Hill  pa  propi  tre  strlg? 

Guarda  llii  ebl  muscardèn , 
Moff,  eh'  1  pi  tot  Oman  d'  boss, 
Citi  in  gabana,  e  chi  in  giactèn , 
Parche  i  b^  à  piò  intsùn  barnòss  ! 

I  è  chi  tal,  che  jr  s' la  festa 
A  1  truvò  imbarièg  spuipa , 
£  incù  i  pa  dalia  tini  pesta 
Bdoll  batto  tot  quànt  sfuja. 

Guarda  ila  che  ragazzèn 
Quànt  pastròò  eh'  l' à  mai  s' ia  fazza, 
Quànt  bulètt,  e  quànt  boltèn, 
eh'  un'  n'  è  tànt  sM  àngui  d'ia  piazza. 

Gli  che  a  freda  in  t'  che  mantèl , 
eh'  la  fa  adèss  la  vargugnosa, 
€h'  la  8'  magnò  che  zambudèi , 
Senza  fa  tànt  la  ritrosa , 

Sol  d'  Quaresma ,  sta  quajòna 
Tànt  la  vò  fa  coni  de  dsùn , 
E  la  fa  la  biguttòna , 
Dop  d'  ave  ingiutì  chi  pcùn! 

L' era  jr,  la  mi  cavala , 
£  mumént  d'  no  vlèin  savè , 
E  d'  no  star  asrà  la  stala , 
Quand  che  1  bu  i  è  za  scapè. 

Tap,  tap,  tapi  Ragàzz,  a  i  sèn; 
Ecc  i  strid  pr  al  culunèlt , 
D'  quj  eh'  a  n'  à  paga  e  budèn , 
E  i  malàn  ,  com'  a  V  ò  dell  ! 

Tap,tap,tap;  I  ca  l'óssd'Mlngbelti. 
Chi  va  là?  —  Dess  Pullnar : 
jì  se'  fio.  —  Èli  puQreUi  ? 
—  No:  V è  e  sCtrt,  e  e catzulàr. 


—  Jèl  fftiit  d*  nèf  ?  —  J  §é  uqhù 
Par  che  coni.  Dess  Hareadèll: 
Pulinar^  turni  pu  incù; 
Lo  V  è  fura,  e  me  an''  so  quelL 

CV  alar  V  era  drì  a  la  porta 
De  curtil  a  sta  ascultà  : 
—  Lass  eh*  i  ffàgu;  chi  s*  n'  imporla! 
Incù  di  eh*  a  so  amala; 

E  se  qwst  u  n*è  abastama, 
A  fazz  méltar  un  eartlòn 
Jn  s*  l*  óss,  eh*  deqa:  La  mi  usanza 
V  è  d*  paga  cun  e  baslàn. 

Mo  quajùn!  che  bela  follai 
Èi  quist  1  Oman  eh'  à  bon  sena  ? 
Èia  questa  una  cundotta, 
E  un  cuntègn  pr  andar  Inèns? 

Ah  !  al  mi  zent ,  pinsè  una  volta 
A  che  lemp  chi  butte  vi  ; 
E  fasi  iquà  um  pò  d*  racolla 
Dal  passàdi  vosi  pazzi  ! 

Bade  a  fa  unn  bona  vita 
S' a  n^  uvli  eh'  suzseda  mài; 
A  n'  dég  miga  da  eremila. 
Da  san  Flép,  o  san  Pasqua  1  ; 

Ma  una  vita  da  bon  Gsóiàn , 
Oh'  la  n'  sì  lotta  ala  carlona , 
Cioè  a  di,  no  tolt  bacàn, 
E  nemànc  tolta  curooa. 

Té ,  broli  vciàzz ,  lassa  1'  usura , 
E  no  dà  i  quattro  a  Irenlòll; 
Parche  nu  a  paghèn  la  vlura 
E  té  r  ve  a  V  infèran  d'  troll. 

Té ,  Lucrezia ,  àp  piò  zarvèl , 
Arves  1  o£  cun  ziri  fanèi  ; 
S' i  è  sparsiùn,  no  crédar  quel; 
S'  1  è  mugnòn ,  no  i  tor  Inveì. 

E  té ,  mamma  sfundradona  , 
No  là  coni  d'  guardar  ae  zil , 
Quand  cun  Bis  la  tu  Mingona 
L' è  In  s'  la  porla  de  curtìl. 

LardarùI,  bade  piò  ac  bon 
Cun  la  blanza,  e  no  v'  scurdè , 
eh'  avi  un'  ànma,  e  la  n'  è  d'  plòn  ; 
S' a  n'  bsè  glòsl,  a  n'  u  v'  salve  1 


366  PAITB  tEOONDA. 


L'iitar  de  tolt  salaquava, 
E  i  qualtrèn  s' buttava  a  bgóns, 
E  a  una  livra  u  n'  si  guardava 
S^  la  foss  stada  anca  d'  oov  óni. 

Ma  d'  Quaresma ,  I  mi  patrùn , 
Arcurdèv ,  ch^  a  s^  magna  mal  ; 
Tire  fura  i  vir  blaozùn  ^ 
E  arpunì  qui  de  camval. 

Té ,  Marcànt ,  cun  cai  Sgnurèni , 


No  temè ,  che  turnarà 

Par  tnét  curi  un'  atra  volta. 

Fneglia  donca;  qua  in  t' la  GIsa, 
In  V  la  Cisa  tolt  Insèn  ; 
Iqua  avèn  tolt  na  divisa , 
Iqua  u  n'  s^  cnoss  né  grand,  uè  paoèa 

Don ,  don ,  don  fa  la  campana; 
Arcurdès  ch^èn  da  muri, 
E  e  putrébb^  èssar  la  stmana. 


T'  e  fati  sr  an  um  bon  intrèss ,  L' ora  questa  d^  andà  vi  ! 

Cun  cai  stoCr  e  cai  lundrèni ,  Arcòrl,  òm ,  V  sì  terra  d' prè! 

Quasi  dri  a  dvintà  tott  strassi  L' è  un  vangeli ,  V  è  una  storia  ; 

Ten  al  diur  um  pò  piò  In  là^  E  che  d'  terra  T  tumarè; 

Che  e  carnvàl  u  s'  P  è  za  accolta  ;  Èpal  sempr  in  V  la  memoria. 


Furbarì  d*  Fra  lacmòn, 

Surìtt. 

Fra  lacmòn ,  dett  da  tott  Fra  Furbarì , 
Che  un  saveva  una  carta  d^  ogni  zug , 
Surprés  da  un  tempnral,  e  curs  d^  fati 
Vers  la  Pidquenta ,  par  sarca  um  pò  d' lug. 

Quand  Dio  vus ,  T  arrivò  vers  V  àv-mari , 
eh'  i  sunàva  da  festa ,  e  u  i  era  e  cug  ; 
E  dmandand  de  curat,  cun  allegri 
U  s**  sugava  la  tondga  a  cant  ac  fug. 

E  cumparc  e  curàt ,  eh'  r  era  un  umèlt 
lese  tra  l' alt  e  e  bass ,  tra  e  mnud  e  e  gross , 
E  M  pregò  d'um  pò  d^  lelt  e  d' um  panètt. 

cr  àtar  taja  a  V  antiga ,  e  alquànl  cumòss , 
U  i  déss  :  Sibèn,  vluntira,  u  jè  du  leti; 
A  durmiri  in  V  un  d'  qui . . .  Jnzi  p'  adòss, 

Siccóm  benéssein  poss 
Crédar,  eh'  a  siva  un  fra  d*  molla  duUrena, 
A  p'  odÒM  prema  d*  santa  Celeslena 

E  Purgatori,  e  $ena 
Zòbia  zunèda  a  pulì  star  iqué 
Patron  d' la  cà;  e  in  t^  e  temp  che  dseva  icsc  , 

Mariana,  sii  ile  ? 
Anum,  spedai,  corr  prèsi  e  ven  iquàj 
Ciamànd  la  su  roassera,  e  dsendi:  la 

Zó  in  r  la  cantcna  d*  qua. 


DIALETTI  BMIUANI.  5t^7 

Da  che  cani  dov  V  sé  té,  dov'  è  e  Santvéij 
eh*  s' agràppia  al  zèi,  e  eh*  fa  parla  franzéi; 

E  pòrtati,  ài  intési,,, 
Pàrtan  so  du  fiascùn  cun  de  parsoti, 
W  a  voi,  eh*  sto  bràv  fratén  s*  arstura  iolL 

E  e  padar  làcum ,  fott  ! 
Ch^  oó  che  faseva  !  ma  però  Jn  s'  la  testa 
U  I  avneva  a  piumba  un^  atra  timpesta  ; 

E  ant'  quajòn  piò  mu lesta 
D' la  prema  um  pèzz ,  parche  u  i  era  da  fa 
Dò  prèdiCy  e  che  pòvar  sagurà 

Un  n'aveva  impara 
Ater  che  una  in  su  vita ,  d^  Fra  Libori , 
Scretta  cun  forza  sovra  ac  Purgatori  ; 

Che  dop  ae  refetori 
V  andava  a  stugià  vsén  a  um  mzctt  d^  tarbiàn , 
In  t' la  su  cella  ;  e  quand  de  man  In  man 

La  ment  V  andava  pian , 
Svèlt  cun  la  mzelta  a  ravivì  e  zarvèl , 
U  s' In  dbeva  un  biccir  alt  cm^  um  spanèl; 

E  un  aveva  un  tlnèl 
Sott  ae  lett.  Ma  sinti  cm**  u  la  scappò 
St^  fra  becfalù ,  e  quel  ch^  V  imazinò, 

Par  salvàs  da  tott  dò. 
In  V  e  sgond  de,  par  santa  Cclestena, 
Ch^  l'era  za  V  ultma  festa,  in  t'  eia  mattena 

Ci'  anma  tapcna 
E  vèn  so  air  impruvìs ,  e  cmensa  a  dì , 
eh'  i  è  eh'  Ila  dett ,  eh'  a  dcss  jr  un'  eresi; 

£  vus  tornar  a  dì 
La  su  predga  d'  beli  nov ,  parvid  che  ognun 
Bsèss  sintì ,  eh'  u  n'  aveva  dctl  sfundrùn. 

E  icsé  cme  tànt  quajùn 
I  arstò  ila  tott  ;  e  lese  st'  baròn  Icst  Iesi 
Sol  cun  na  predga  lo  e  sarvé  a  dò  fest. 

Zuàn  a  Fabrizi  vsén  a  fàs  e  spòs. 

Quartine. 


Hàncal  forsi  um  prezipizi? 
nel' un  lazz,  s' te  vu  adruvà? 
ina  t'  spusa ,  e  mi  Fabrizi , 
t' a  intenziòn  d'  vlet  amazzà  ! 


Par  sì  curi  e  puc  raumcnt 
D'  cunllntezza ,  in  t' un  infèran 
T'  vu  buttati  da  Imprudènt 
Par  padi  dop  In  etèran  ? 

27 


568 


PARTE  SBCO?IDA. 


Ah  !  Fabrizi ,  s'  t'  a  m^  vu  ben  , 
Prema  d^  toit  dà  um  pò  un^ucciàda 
Alla  donna  ,  e  ac  tu  destcn  ; 
Dop  ,  s'  r  à  e  cor ,  fa  sta  fotlada. 

Ila  in  V  rÈdan  e  prém  òm 
Da  PEtèrn  e  fo  crea, 
di'*  u  s'  mantènn'  un  galantòro 
Fén  a  tant  che  fo  Isulà  ; 

Ma  a  stè  poc  ;  quand  da  la  costa 
U  i  vus  tó  la  su  cumpagna , 
Addio  flg  !  cminsè  de  posta 
Da  che  de  tolt  la  magagna. 

E  e  cessò  da  che  mumònt 
Ogni  pas ,  ogni  opra  bona  , 
E  r  armór  e  e  tradimènt 
L'eb  prìnsipl  da  una  dona; 

E  mandò  lo  d**  cunseguenza 
Dio  e  diuvi  universa!, 
Ch^  u  n'  bsé  ave  piò  suffcrcnza 
D^  um  mundàzz  icsé  bestiài. 

Ma  csa  foi?  in  t'  V  arca  eletta 
U  i  arstò  la  moj  d*  Nuvè , 
eh'  l'era  santa  la  pu v retta , 
Ma  e  su  ben  un  n'  i  zuvè. 

Parche  dop  e  vens  da  sciatta , 
Che  invéó  d'  tò  esempi  da  Lì , 
La  vus  sèmpar  fa  la  malia  , 
Benché  Abr<ìm  u  i  gridàss  dri. 

E  di  falli  e  mi  Sansòn  , 
Cun  loti  quanl  la  su  luchella, 
K  pirs  i  oò  cme  un  bel  quajòn , 
Par  dà  meni  a  la  so  bella. 

Mo  osa  slaghi  a  la  Scrittura? 
A  la  siili  .  e  a  vegni  inànz 
A  cai  donn  a  diritura , 
Donn  (la  storia  e  da  rumànz. 

Troja  un  de  la  fo  brusàda , 
E  la  Grecia  la  s^  armò  , 
Pr  una  donna  eh'  fo  rubàda, 
E  du  rpgn  i  s'  arvinò. 

Alissàndar  e  puvrèlt 
R  mure  par  la  su  amiga ,. 


Imbariàg  in  V  um  banchèlt 
Dop  a  tanta  su  fadiga. 

E  s'  a  guiird  a  cai  Rumani , 
Trovi  un  sol  di  su  marìd 
Ch'  sì  cuntènt  d'  cai  tamburlani  ? 
Ecc ,  a  n'  sent  incora  i  slrid  t 

Par  Lucrezia  guarda  Uà 
Tolt  um  pòpui  in  pinsèr; 
Guarda  un  regn  che  fnés,  e  e  va 
D'  sotla  e  d^  sovra  un  mood  Inter. 

I  n'  è  quist ,  e  mi  Fabrizi, 
Tolt  esempi  convincènte 
jParché  fàpa  ben  giudizi 
D^  fàt  e  spos  in  sii  mumènt? 

A  r  idea  sol  d**  òssar  pàdar 
In  t'  un  sccul  lanl  scurètt 
U  n'  t'  s'  presenta  ai  òò  un  quàdar 
Da  fai  slàr  a  cavai  drett? 

Ah!  Fabrizi ,  me  a  t'  putrì 
:Cun  eia  mój  cir  a  nP  trov  ae  fiane 
'Dit  s'  a  m'  so*  a  sr  ora  pinti , 
E  s'  ò  fall  Ioli  e  pel  bianc  ; 

E  P  è  tunl  e  mi  marlòr, 
La  mi  erosa,  e  la  mi  pena, 
Che  par  no  ave  piò  si'  dulòr , 
A  m'  turi  a  carpa  d'  maltcna. 

Or  u  i  vor  un  sutlanèn , 
Dmà  una  scoffìu  parigina  : 
CP  àt  de  al  scàrp  falli  d'  sagrèn, 
E  d'  magna  la  n'  v  mài  pina  ; 

Tant  eh'  a  n'  t)asla  par  stai  spcs 
Tolt  che  pò  che  me  a  nf  guadagli; 
E  par  quest  u  m'  tocca  squàs 
Sta  par  li  d'  no  magna  alzàgn. 

Ah  !  Fabrizi ,  par  pietà  , 
Prema  d'  fa  la  buzaràda  , 
Pènsii  sovra ,  e  no  V  bulla 
leso  zo  tott  a  la  dspràda. 

Che  s'  t'  avcss  mài  risulù 
D'  vie  muri  propi  amazza, 
MancP  un  lazz ,  e  mi  cucii, 
Senza  P  vòja  maridà? 


DIALETTI  EMIUAM. 


500 


Franzesca  d*Arèìnin  a  imitaziòn  d*  Dani. 

0  boD  òm  eh'  a  sì  avDÙ  fra  sti  brott  mur 
A  udì  i  orai  divirs ,  i  piant  e  al  strida 
D^  qui  che  sia  coDdana  par  sempr  ae  bur , 

V6 ,  cun  r  ajùt  dia  vostra  brava  guida 
ADdànd  iiiànz ,  a  truvari  chi  tal , 
Che  par  lo  la  rasòn  la  fó  tradida. 

Nuìtr  a  sèu  chi  du  pùvar  murlàl , 
Che  a  Remn  i  fó  amazza  tott  du  in  t^  Da  botta, 
E  iqvà  a  s^  truvèn  fra  i  pecatùr  caroal  ; 

Me  a  so  Dada  a  Raveona ,  e  da  zuvnotta 
U  m'  ciapò  e  prem  amor  par  st'  l>el  ragàzz , 
Che,  com'  avdi,  par  lo  a  so'  incora  cotta. 

Amor  r  urdè  la  tela ,  e  e  furmò  e  lazz , 
Amor  pr  al  can  d' la  gola  e  condusè 
Quest  a  magna  d' la  torta ,  e  me  de  miàzz. 

Oh  !  e  mi  òm  ,  eh'  a  n*  u  v'  enòss ,  s'  avèsv^  un  de 
Anca  vu  pruvà  e  fug  d'  che  malandrén 
Che  brusa,  e  u  s'  alimenta  da  per  sé  ; 

A  ered  benéssum  che  de  nost  destén 
An  sentiri  pietà  ;  e  iqva  loti  da 
Stasim  atlènt,  che  me  a  v'  dirò  e  nost  fèn. 

Un  de  a  lizzèma  un  lìver  beccurnù. 
Che  dseva  d'  Lanci  llòtt ,  e  cme  fó  pres 
Senza  adàssn  in  t' la  tràppola  da  elu  ; 

A  sema  sul .  quand  a  ro'  sinlè  a  dà  um  bàs , 
Ch'  a  tarmò  lotta,  e  fèn  da  che  moment 
A  s'  truvòssum  tott  du  iqvà  in  st'  beli  paès. 

In  t*  cP  at  eh'  la  dseva  icsé  ci'  àtar  dulènt 
E  pianzcva  ;  e  me  toc  de  cumpassiòn 
A  n'  bsè  riséstr,  e  u  m'  vens  cme  un  svenimènt, 

E  a  cascò  caie  un  òm  mort  ai  pi  d'  Maròn. 


Fnsli^nanese. 

Ritràtt  morèl  d*  Don  Pir  Sintòn  distribuì  a  ieri  su  awìg. 


erchè  piò  r  an*  um'  slrapèzza , 
Aggluppè  int'un  bel  fagòtt, 
Ughè  strett  con  una  rèzza , 
Ai  spedéss  un  mi  strambòtt. 


La  vedrà,  eh' Tè  ins  e  modèll 
D'ehe  soggètt,  che  un  de  l'ha  fatt^ 
Ch'  l'ha  jost  tant  sèi  e  servèll 
Quànt  bai  tic  del  su  lavàlt. 


570 


PARTI  SECO?(OA. 


Basta  dì,  eh  Tè  stè  la  Musa 
D'un  Abbèt  grand  fura  d'msura. 
Che  fnt'  la  bèrba  uj'ha  una  busa , 
L*  è  d'  du  pil .  e  d*  chèran  scura. 

L' ha  una  testa  d'  cavfll^zz 
Dretl  e  dur  coin'  i  randèll , 
Con  di  dent  e  di  labbrèzz 
eh'  i  cruv  squès  fot  i  nasèll. 

Per  bsé  fé  però  da  beli , 
Da  graziós  e  da  galànt , 
Us*  fé  fèr  un  de  un  zirèU , 
Che  spindc  chi  sa  mai  quant. 

L'ha  pu  j'  oò  eh'  j' è  mezz  turchén, 
E  mustàzz  tot  varulè, 
E  cm'è  tot  i  cuntadén, 
Ve  \nV  al  man  arrampinè. 

L'ha  una  vita  tolta  eguèl, 
Longa,  stila,  e  senza  panza; 
L' ha  al  gamb  grossi  com'  un  pel. 
Con  al  polp  all'ultma  usanza. 

L'ha  un  nisfiè  ch'I  tocca  i  pi, 
E  un  caplòn  grand  cm'un  tulir. 
Anca  a  Io  ui  pics,  s'am^  capi, 
D'  fé  dal  volt  da  cavali r. 

Bla  parlènd  ora  ins  e  bon  , 
Un  ha  mai  o  vlrd  o  secc 
Da  comprèsa  un  bagaròn 
D"*  cucclarùl  o  d'  flg  In  stccc. 

E  pretènd  anch  d*  bsé  compèfar 
Con  qualónq  brèv  sonadór, 


Pur  l'avanza  dri  daj^ètar 

Ogni  volta  dal  mezz'  or. 
Us'cred  ncnch  d'ess  music  fati; 

Za  con  gran  fadìga  on  ano 

E  cantè  un  Magni pcàl 

Per  la  mùsica  d' San  Zvann. 
An'  degh  cvel  quand  e  dscor  d' cazi 

eh'  u8  ten  brèv  più  d' un  LagòU  ; 

E  beli  l'è,  che  pu  V  ammana 

In  dò  stmèn  un  passaròlt. 
Parla  poi  ai  più  che  può 

Bomaneico,  e  il  bel  si  è , 

Che  finisce  sempre  in  o 

Quel  che  andar  tlavrebbe  in  e, 
E  presóm  anca  d' franzés  ; 

Madetnoiselle  vous  éie$  na  clombc 

La  piò  bella  de  paés  ; 

Servltór  vòstar  eh'  av'  slemba. 
Lo  vuò  dscòrrar  d*  tot  al  cos , 

E  In  tot  fé  d.1  Intclligènt, 

E  vrebb  fi»  da  virluòs, 

E  mostre  d'ave  falènt. 
E  pù  za  In  tot  ul  manir 

Lo  US'  fa  Sem  par  rider  dri.  . 

Us'  fa  ognora  compatir 

Dalla  testa  inscna  I  pi. 
Adcss  doncn  ognòn  cnussrà 

Da  sta  nòbii  descriziòn 

Chi  per  sort  s*  Plncontrarà, 

Chi  è  l'autor  del  do  Canzòn. 


In  mori  d' nionsgnór  Cantòn  arzkéscov  d'Ravenfia. 


In  dov  sojaV  cosa  e  quest? 
Oss  spoipèdi ,  crani  e  test  ! 
£11  la  nott?  mo  cosa  è  st'scur? 
Cosa  é  tott  cai  brott  figùr  ? 
Vècci  grenzi ,  secchi  e  piedi , 
Gobbi ,  stroppi  e  smagunédl  ! 
Agi'  ha  pu  la  rocca  e  fus  ; 
Al  srà  donn  ;  mo  grand  brott  mus  ! 
r  è  Sgadùr  ;  j'  ha  e  ferr  da  sghé. 
Cosa  è  quest  !  Soja  In  s'un  pré? 
Dov'è  Terba,  dov'  i  liur , 
Dov'  al  pìgur,  i  pastùr? 


lUn  po'  d'  vent  an'  sent  tire, 
iUn  usién  an' sent  cantè; 
rGnanca  e  Sol  dà  piò  e  su  lom, 
L'  ha  ailintè  e  su  cors  I  flom  : 
Mo  dov  soja?  cosa  è  quest? 
Oss  spolpédi ,  crani  e  test  ! 
Scappa,  scappa ...  a  so  ligbè! 
Véccia  strega ,  lassm  andè. 
Dsi  :  siv  om ,  o  bcsti ,  o  sèss  ? 
Curri  :  ajùt  !  a  vog  adèss. 
Chéra  Véccia,  ebb  d'  me  pietèi 
jchéra  Veccia,  lassm* andè, 


DIALETTI  EMILIANI. 


371 


Ch'ai' darò  con  dia  farena 

Dal  pagDÒc  e  uua  tacchena , 

Tanl  l' al'  cbèva  un  pò  la  fam  , 

E  piò  long  r  am'fila  e  slam. 

Èli'  un  strèlg  od  un  uscii  ? 

In  dov*  èia  ?  an'  vcg  piò  cvel  ! 

Per  sta  volta  a  Plio  scappèda  , 

At' ringrazi.  Veccia  plòda. 

Uhi  !  un  moni  tol  cverl  d' allòr , 

Con  di  fioc  e  dal  franz  d"*  or, 

Del  colon,  del  còpul,  di  ere, 

Un  pori  d'  mèr ,  de  gran,  di  berch, 

Con  dal  cà,  dal  cis,  un  shdòl', 

Mitra,  eros  e  pastorèl. 

Cosa  è  Ioli  sta  novltc? 

Me  a  resi  d'  giazz,  a  so  incantè. 

Cosa  è  sr  monl?^uhrquàUar  Donn, 

Cb'  al  s'  dà  al  oò;  eh'  agi'  epa  sonn  ? 

Stasi  bon  ;  la  Puri  le , 

Fed,  Speranza  e  Caritè, 

Cb'tess  e  cb*  cus  dal  bend  d'uvlu, 

E  pù  al  pianz:  coss'agli  avù? 

Osservò  la  Caritè 

Con  e  zofT  tot  spini  acciò , 

Con  in  doss  na  vulandréna, 

Vstlda  luezz  da  pilligróna  , 

Con  un  zoc  ligbè  ins  e  stane , 

E  un  fagòlt  Ini'  ci'  ètar  flanc , 

Scbèlza,  smorta,  contrafTatta, 

Che  de  piànzar  la  va  matta. 

D'  sicùr  quella  è  una  meschóna , 

Cb' va  ramenga,  e  eh' va  In  arvéna. 

Sforlunèda  Caritè  ! 

Veraménl  la  fa  pielè. 

Cosa  è  quel  ?  al  pò  scrii  tur  : 

A  lizròja  acsò  prescur? 

Pel  Prelato  Ravennate, 

Uom  d'immensa  cari  taf  e, 

dm  spiacere  uui^ersale 

Ecco  giunse  il  di  fatale. 

Poh  1  l' è  mori  monsgnór  Cantòn  ; 

Poh  !  r  è  mori  che  sgnor  sì  bon  , 

Acsò  affàbii ,  amorèvol , 

Tanl  d'  bon  cor,  carltalèvoi  ! 

Un  sgnor  d' ghèrb,  un  sgnor  valònl, 

Viriuós  ,  sevi  e  prudònt , 


Pére,  beiiégn,  pietòs  e  giosl  . 

Cb^  n*  ha  savii  mai  dèr  un  dsgo*<l  ; 

Per  lu  Diòcis  vigilimi, 

Pr  e  su  sùddil  bon  e  amànt  ; 

S' i  fallèva  ,  ui  corrlgeva , 

E  pu  ul  deva  quel  eh'  i  vleva  : 

Un  prelcl  eh'  s' è  qucs  spiantò 

Pr'  i  puvrètl,  per  fabrichc. 

Se  campèva  un'  ètra  stmana, 

Un'j'arsteva  la  gabbana; 

Dite  Requiem,  Miserere, 

Con  liosarj  e  altre  preghiere. 

Quel  eh'  ho  vést ,  T  è  un  chès  slffàt, 

eh'  an'  m' l'asplèva  acsò  ad  un  tralt. 

Anca  me  adòss  a  comprònd 

Perchè  tcss  cai  donn  dal  bend, 

E  perchè  la  Caritè 

L'  ha  e  zimir  tol  spintacelo  ; 

Planzì,  prlt,  mònach  e  frè; 

Movìv,  sess,  colònn  e  prò; 

Sventurèy^meschén  Ravgnòn, 

Recch  e  pùvar ,  planzì  insòn  , 

Planzi  tol,  ch'avi  rasòn. 

Anca  to  pianz.  Don  Sintòn. 

Qunnd  e  vdeva  zenl  d' Fusguàn 

(Testimoni  n'è  e  Caplàn, 

Cb'  ul  stasova  io  e  cavali 

A  magnèr  e  bé  al  su  spali  ), 

Tol  cortes  ui  richiedeva  , 

S' j'  era  in  ton  quel  eh'  i  faseva. 

E  me  a  so,  s'avèss  stugiò, 

Ch'  um*  avròbb  sóbit  premiò , 

E  che  adèss  a  srebb  padròn 

0  d'  Primèra  o  d'  Longaslròn. 

Quei  eh'  ho  vést  Tè  un  chès  sifTàlt, 

eh'  an'  m'  l' asptèva  acsé  ad  un  Irati. 

Pianzi ,  pùvar  Faentén  , 

E  to  Ross,  e  to  Bunzién, 

Pianz  Arzenta  e  Venezlan  , 

Anca  le  dai  zo,  Fusgnan  ; 

Bla  piò  d'iol,  sgnur  Comunesta, 

Aimone  d'  piànzar  fasi  vesta, 

eh' a  savi  che  lo  v'*ha  dò 

La  mozzetta  da  portò. 

Planzén  tol,  ch'avén  rasòn. 

r  ha  supplì  monsgnór  Cantòn. 


37t 


PARTE  8E0O5IDA. 


Canzòn  sora  e  CranvèL 


Sit  maldètt ,  pusfa  arribi  ! 

St'dvintèss  matt,  Tstrunchòss  i  pi, 

Garra  Tvnéssal  e  furbsòiii 

L'anlicór  e  bulli ròn, 

Arébb  delt  incù  e  Cranvèl 

S"*  ghe  foss  stè  un  queich  animèl  ; 

Perchè  appiint,  chèusa  lo,  incù 

Un  brott  chès  um'  è  accadù. 

Mo  perchè  Tè  una  pazzéja 

DI'  om  per  stèr  In  allegréja, 

Inventèda  anticamént 

Dal  Baccanti  e  di  Bacchènt, 

Pin  d' moscài  e  pin  d' sanzvcs 

Per  triónf  del  lor  imprés , 

Rasòn  vuò  ch^an  possa  di: 

Sii  maldètt,  pusla  arribi. 

Mezz  a  pè,  mezz  a  cavali, 

Bagnè  lol  inséna  al  spali. 

Perchè  a  so  caschè  Ini'  un  foss 

Con  e  mi  cavai  adòss , 

Per  del  slrèd  d' Instè ,  d^  invèran 

Pez  eh*  n'  è  quelli  eh'  va  all'  infèran, 

A  dzdolt  or  a  so  arrivè 

A  cà  d' don  Michìl  Baldrè. 

Figurèv  cosa  ch'I'  ha  dell, 

Quel  eh' r  ha  fati,  quant  us*è  affléll 

Quand  l'ha  vésl  eh'  a  so  acsé  broli, 

E  che  un  pel  an  n^  ho  de  soli  ? 

Un'  saveva  cosa  fé 

Per  bsèm  sóbil  rlslorè. 

E  pinsìr  piò  san  e  beli. 

Fra  lènl'èlar,  Tè  stè  quel 

D' mnèm  a  leti ,  e  d' fèmi  slè 

Fén  eh' US' suga  la  bughè. 

In  sr  fraltèmp ,  perchè  us'  ravviva 

Un  pò  e  sang,  V  ha  vlù  eh'  a  biva 

D'ov  tot  freschi  una  dozzéna, 

Quàltar  d'  oca,  e  resi  d' lacchéna. 

L' è  vnù  dop  con  de  caffè, 

Bosolàzz  e  ralaflè, 

Di  BscuUén ,  del  Paslarèll , 

E  zènl  ètar  bagalèll , 


eh*  a  pareva  a  peri  a  péri 
Una  bella  sposa  d^  péri. 
L'  ha  per  ùllum  vlù  cminiè 
Un  terzèlt  d' vén  navighè , 
Che  a  guardèi  sol  all'  eslèran 
Ho  dell  sóbil:  L'è  Falèran; 
E  an'  l' ho  appena  avù  gusle , 
eh'  a  r  ho  dbu  lol  ini'  un  flè. 
An'  deg  e  veli  de  gran  calór , 
Dia  gran  smània ,  de  sudòr, 
Dl'oppressiòn,  de  gran  contrai 
Ch'  m' ha  porle  che  vén ,  che  p 
Um'  è  vnù  subilamént 
Tèi  e  lànl  sconvolgiménti 
Ch'um' caschè  zò  a  prezipesi 
Tot  e  mi  pochén  d'  giudezi , 
Sicché  pina  d' confusiòn , 
Arstènd  sola  l'apprenstòn, 
Rappresenta  del  cos  tanti , 
Ma  sconvolti  e  stravaganti , 
Che  la  stessa  fantaséja 
Gnanca  li  sa  dov  la  séja. 
In  sté  gran  sconvolglmént 
Ecc  che  sóbil  us'  risènt 
L'urateri,  e  mediastén, 
Perichèrdi,  bronc,  duodén; 
Pr'  un  sinlir  affati  ignòl 
Ecc  e  psoas  lol  in  mot; 
E  quant  piò  cress  e  calór , 
Aumentènd  (ani  piò  e  vigor , 
Ecc  che  r  uretra  impedéss 
A  potè  scappèr  e  péss  ; 
E  cagl*  ètar  bagalèll 
Ch'  ha  l'orégin  de  zervèll, 
Sregolèdi  fànl  al  zira , 
eh'  r  è  pu  allora  eh'  us'  delira. 
A  dmènd  donca,  in  sèmll  cbès, 
A  tot  quii  eh'  ha  un  tantén  d'i» 
Ora  a  dmènd  acsè  in  ristrètt; 
Com'  as'  fall  a  parie  reti? 
Dov'  un  è  la  cogniziòn  , 
Uns'  pò  gnanc  dscòrrar  a  loo. 


N 


DIALETTI  BMILIAHI. 


373 


E  fati  r  è  eh'  am'  so  indiirinént , 

E  um'  è  vnù  un  zavariamént 

Acsè  grand ,  che  i  cantarèn , 

Leti ,  carìg  e  scrann  insèn 

y  è  dvintè  lànt  Pulcinella  , 

Arilcchén^  Dotlùr,  Brighella; 

eh'  i  ballèva  in  guisa  strana 

Dal  g^èrd  e  la  furlana. 

E  beli  rè,  che  con  un  sèlt 

Arllcchén  l'è  andè  tant  èlt, 

Ch'  r  è  arri  ve  che  blricchén 

Alla  stanga  di  codghén  ; 

E  inr  e  lemp  d^  na  contraddanza 

W  n"*  è  fatt  una  gran  panza. 

Da  le  un  poc,  nér  cm'  un  magnan  , 

Vh  vnò  vsU  da  zarlatàn^ 

E  8'  moslrèva  a  tot  interna 

^'oa  màgica  lanterna  ; 

Sopratòtt  uoi'  è  piasà 

E  contràst  dia  zvetta  e  ciù. 

Dop  l'ha  mcss  fura  i  bosslòlt , 

t^ba  fatt  tant,  che  du  parsòtt , 

Dis  salèm  e  un  bel  tacchén 

V  ha  rubè  con  dis  flcsch  d^  vén  ; 

E  r  ha  post  per  la  vergogna 

Ogni  cosa  Inr  la  zanfrogna. 

Con  poc  èltar  V  ha  forme 

Un  lautéssum  ,  nòbil  dsnè  ; 

L' ha  cave  un  bel  brovlUòn  , 

Un  mazzòc ,  un  mirottòn 

Da  scazziè  l' ingòrd  aptit 

De  su  nòbil  bel  convit. 

A  vult  fianc ,  e  lotta  intira 

Um  s*  presenta  una  gran  fira 

Acsé  bella ,  che  in  Romagna 

Slài  s^  è  vést  piò  la  compagna. 

An'  dég  cvel  dia  nobiitè. 

Di  Forstìr  eh'  era  arri  ve  ; 

Dia  gran  zent  eh'  s' era  afTollèda  , 

Ch'  UD  si  bséva  de  la  strèda  ; 

A  dirò ,  cbe  ins'  un  cantòn 

A  j'ho  vést  un  pezz  d' canzòn, 

Cbe  sibbèn  an'  la  dstacchè, 

Press  a  poc  la  dis  acsc: 

À  chi  compra,  a  chi  fa  spese, 

EeoQ  qua  la  Tlrolae  •; 


A  chi  vuole  fazzoletti  j 

Calze ,  merli  e  nianichetti , 

Bei  ventagli,  ingranatine , 

Marsigliane  e  mussoline; 

A  chi  vuole,  a  chi  comanda 

Catancà,  lete  d'Olanda; 

A  chi  vuole  a  buon  mercato, 

J  chi  vuol  mezzo  donato; 

A  chi  compra ,  a  chi  fa  spese , 

Ecco  qua  la  Tirolese, 

Figurèv  eh'  concórs  eh'  l' aveva  , 

Tot  j' andè  va,  e  tot  spindeva  ; 

Anca  me  a  spindè  int'un  floc, 

Anca  me  a  splndò  un  bi^òc. 

Fra  una  banda  d'  sonadùr 

L'  è  arrivò  tra  e  lom  e  scur 

Int'e  mezz  al  Grazi  e  Amor, 

Ch'  i  formèva  un  doppi  cor  ; 

L' è  arri  ve  eia  bella  Dea 

Ch'  ven  ciamèda  Citerèa. 

An*  descrìv  la  su  bellezza , 

V  avvenenza ,  l' accortezza , 

AgP  Imprés ,  i  grènd  acquést , 

Ch'  rha  fatt  sovra  a  quii  e  quest, 

eh'  un'  ha  i  prò  tanta  gramegna, 

Né  tènt  grèpp  vanta  una  vegna, 

Quènt  è  i  virs  eh'  pò  ognòr  vantò 

La  famosa  su  beltè. 

A  dirò  eh'  i'  ha  un  batocciètt 

D' Ragazzòl  sì  maladètt , 

Che  de  e  noli  e  tira  ardi 

A  tot  quii  eh'  ai  dà  int'  i  pi. 

Figurèv  fra  tanta  zent 

S' r  ha  avù  gnint  d' divertimènt. 

L'ha  fatt  dono  d'Prussièn,  d'Inglis, 

D'Italièn,  d' Spagnài,  d'Franzìs, 

E  d'  donn  quinti  agi'  era  lotti 

Marldèdi ,  vedvi  e  polli , 

Tott  insèn  Ughè  cm'  i  lèdar, 

Mèdar,  fioli ,  fluì  e  pèdar; 

L' ha  fatt  donca  una  cadena 

Longa  piò,  eh'  n'  è  d' què  a  Zesena, 

E  tot  quènt  int'  un  palàza 

U  j' ha  assrè  con  e  cadnàiz. 

Cosa  j' ep  pu  fatt  alò 

An'  a  sò^  perchè  an'  j'  andò. 


17^ 


PARTE  9UO%tiÀ. 


A  «A  M)l ,  che  9trac  Tuleàn 

ir  chi*  bordMi ,  e  venn  piio  piin 

K  ii«'  prilvè  d*  fondar  la  ré  ; 

Qiiiind  e  \vni  eh'  Tan'era  as«^, 

E  rlrón  «ólilt  n  Clòv , 

K  Ili  contò  quel  eh' j' era  d'  nov, 

K  pti  Ili  di'*M  eh'  uj'  era  Meri 

Anca  Io  per  la  ^ù  pèrf. 

A  *inlì  Ma  novilc 

C.iòv  r  ar*tè  muri iflchè  , 

K  kI^  un'ora  e  piò  pen9Ós 

Sensa  lengua  e  senza  san. 

Hnalm^nt  dall'  èlt  su  tron 

Fasènd  lenn  a  e  lamp  e  (on  , 

Meli  Tedèftcb  e  meiz  Spagnòl , 

|t|  dÓM  sol  stai  do  parò!: 

Mar$,  frane;  fùldar  per  Dea  Gnidosj 

Taecaj,  flach,  floeh  e  Nidos. 

Ubbidiènt  i  fé  atlacehè 

Un  pezz  d' carr  tot  sconquassè  ; 

Int'  r  att  stess  che  lor  da  fura , 

Ecc  che  e  Sol  sóbiC  s'  oscura. 

Lor  Intani  test  e  lampènt , 

Prevenù  da  un  òrrid  vent , 

1  dasè  una  scorreréja 

Quant  de  zil  V  è  long  la  véja , 

E  ale  dov  J'  udc  e  bordèll 

I  ferme  sccc  i  cavèlI , 

81è  appóni  tot  inf  una  volta  , 

E  a  gran  carr  i  dasè  d'  volta. 

E  i  scarghó  una  gran  tempesta , 

Che  a  d' chi  puc  la  ropp  la  testa. 

Compilè  tot  e  prozèss, 

Us'  mess  Giòv  a  tre  di  sèss. 

Quànd  e  vést  eh'  in*  s'  arrendeva 

E  piò  tànt  is'  la  godeva  , 

Us'  calche  ini'  la  testa  e  brètt, 

Fu  us'  fé  de  tei  al  saòll 

Che  stampédi  avea  Vulcàn 

Josl  allora  col  su  man. 

Post  dimpétt  a  una  finestra 

E  Ire  un  pezz  colla  balestra; 

A  do  man  dop  e  tiréva  , 

E  Vulciin  ugr  aguzzéva  ; 

E  tré  lanl ,  e  tant  e  tré , 

Che  ini'  UD  sóbil  e  flné 

€lad ,  intnai ,  cavéi ,  martéll , 


I  Mazza  .  incózan  e  scarpe!!. 

!  In  dov*  él  mo  adess  e!*  autor 
eh*  pò  descriver  e  clamor , 
E  fracà«  .  i  orai ,  i  pièni . 
E  ai  bi(><fèm  d' lotta  eia  xeni  ? 
A  là  e  pianz  e  fio!  e  pédar. 
Con  la  flóla  e  strid  la  mèdar; 
Chi  eh'  ha  roti  nés  e  mustàzx, 
E  chi  ha  trone  gamb ,  min  e  bras 
Chi  n*  ha  piò  dent  e  mascè!! , 
Clii  slraseena  drì  al  bude!!. 
Ala  dstis  tot  com'  I  sèc 
KomagnàI ,  Pandàr .  Cosce  , 
I  fa  lanl  e  gran  lamént  , 
Tanl  su^sùr ,  tini  diàviamènt , 
Che  a  descrìver  me  an*  so  ben 
Una  tanta  confusiòn. 
Quel  eh*  a  dég  V  è  che  sr  gran  uè 
L'  ha  avù  orégin  de  Cranvèl , 
Antig  |)èdar  de  l)ordèl! , 
Ch'  porta  in  segui!  e  flagèll , 
E  però  solfa  Tarvéna 
D' chi  mariòli  e  d' eia  fuséna 
Bestemmiènd  i  n**  s' sazia  d*  dì 
Sit  maldèt  :  pusla  arribi. 
D'Arliccbén  fén  la  mujèr , 
Perchè  I*  era  stè  a  pollér, 
La  m'  ha  dell ,  eh'  rè  ala  in  parsòi 
Con  Brighella  e  Pantalòn  , 
Chi  j'  ha  mess  anch-  i  Dottùr , 
Ballarén  e  Sunadùr , 
Perchè  insèn  J' è  stè  a  magne 
Tot  cai  cos  eh*  V  avea  rubè  ; 
E  la  déss ,  che  tot  st'  gran  me! 
L*  ha  avù  orégin  de  Cranvèl  ; 
E  però  r  an's'  sazia  d'  dì  : 
Sit  maldètt ,  pusla  arribi. 
Che  anca  me  pu  am'  séa  bagnò 
Ch'  ep  dormì ,  ch'epa  sognò, 
E  eh'  ep  vul  dal  fiaschi  a  segn 
Da  fèm  pèrdar  tot  1*  inzègn , 
Un'  è  vera  :  mo  e  Cranvèl 
eh'  r  cp  per  fén  sfampèll  e  sbdèlf 
Ul  sa  totl  e  moni  e  pian  , 
Perchè  11  tocca  ognòr  con  man. 
E  però  j'  ha  rasòn  d' di  : 
Sii  maldèll ,  pusla  arribi. 


DIALRTI    EmLUm.  575 


liiii^hesei 


n'  »'  pò  mài  indK'iné.  Utfèva  vènia  in  lengua  d'  Lug, 
Del  prof.  Domenico  Chinassi. 

Se  J'èlar  mi  cuuiphgn  eh*  ha  rezité 

Al  su  sluriclli  rum  eh'  avi  sitili , 

J*  è  sté  in  t'  un  grand'  imbròi  pr  e  femp  passe , 

Perchò  in'  saveva  quel  eh'  j' avòs  da  di ... . 

Ani'  intcnd  quel  eh' j'  avès  da  rezilc 

In  st'aeadèniia,  pr'  an'uv'  fé  durmì, 

Immaginèv  par  nié  eum  eh*  l'andarà 

Che  senza  savè  gnit  a  so  vnu  a  qua. 
Basta  1  a  dirò  ben  enea  me  queleh  evel , 

A  vdè  s'a  pos  passe  da  st'  bus  d'  gratusa. 

An*  savi  eh'  u  jè  e  chès  d'  perdr  e  zarvèl 

Par  ehi  eh'  n'  è  avvèz  a  fé  eanté  la  Musa  ? 
,     Adès  adès  av'  deg  un  queleh  baecèl , 

E  s' am'  fez  mineiunè  pu  dop  l' am' brusa! ... 

0  insomma  dsi  mo  so  tot  quel  eh'  a  vii  ; 

Intènt  fèm  e  piasé  d'  stcr  a  sinti. 
Un  villanàr  tajc  cun  un  falzòn  , 

Che  sta  tra  e  Campanti  e.  la  Brusé  (i) , 

E  eiama  una  mattona  e  su  garzòu  , 

E  ui  dis  :  Di  so ,  Tugnét,  va  a  preparé 

E  mi  sumàr',  intènt  eh'  am'met  i  sfon , 

eh'  a  voi  andèr  a  Lug  ch'i  fa  e  marche, 

A  vdè  s'  ui  fos  manira  d' fé  un  euntràt, 

0,  s'un'foss  èlar,  d'sfèmnMn  queleh  baràt. 
In  t' igni  mod  sta  bestia  sfundradona 

La  n'  ha  piò  voja  d' fc  e  nostr'  interèss  ; 

E  u  j'  è  mo  Dmeng'Antoni  eh'  ul  bastona , 

Che  dal  volt  nm'  l'ha  mes  quèsi  in  s'un  fèss  ! 

Quand  e  trova  un  pe'  d'erba  us' abbandona  , 

E  sM'  e  earg  e  scapezza  in  tot  i  sèss. 

L'  ètar  de  sol  pr'  andar  a  pas  de  gai 

Um'  fase  qucsi  quèsi  dvintè  mat. 
Ste  cuntadén  l'ha  un  fiòl  ch'ha  nom  Matti, 

Un  ragaz/èt  d'  seds  èn  inf  1  dissèt , 

Ch'  e*  fèva  vésta  da  n'avè  sinti 

Quand  che  su  pèdr'  u  s'era  alzé  da  let, 

ighi  nomioati  in  qiiMte  ottave  sono  nel  coaUdo  di  Logo. 


570  PARTE  SECONDA . 

Perchè  ui  piaseva  frop  (l*$tèr  a  tlurinì; 
Ma  e  ved  ui  dis:  Livat«  eh'  Tè  ormài  al  set; 
Adès  adps ,  8^  a  ciap  in  V  un  bastòn 
Ar  farò  ben  disdè  me  ,  brot  pultròn  l 

Lìvat ,  fa  prest ,  ch^  a  voi  t' vegna  cun  me , 
Ch'  a  vlèn  andèr  a  Lug  cun  e  sumar. 
E  Matti  1^  arspundeva  :  A  deg  acsé 
Ch'  a  so  affardè ,  eh'  am*  scnt  un  po^  d^  calar  ! 
—  Corpa  d^  una  sajètta  !  sta  mo  a  fé 
A  vdè  s' a  vegn  cun  e  timòn  de  car  !  — 
Matti  che  seni  sta  chèra  sinfunéja , 
E  sètta  zo  de  let ,  e  e  scappa  véja. 

Dop  ch^  1^  avét  mess  all^  èsan  la  cavezza , 
Da  le  un  quèrt  d^  ora  is'  mett  in  viaz  tot  tri  ; 
Monta  in  si'  èsan  e  veò  eh'  l' aveva  frèzza , 
E  pu  e  prinzépia  a  pónzr.  Intènt  Matti 
Ch*  US' grattò  va  la  testa  dalla  stezza, 
Cun  un  bastòn  in  mèn  ui  vneva  dri. 
Or  dalla  rabbia  e  canta ,  e  quand  e  fé^a 
E  va  piecand  in  s' e  gruppòn  dia  béstia. 

I  dveva  èssr  un  mezz  mèi  luntan  da  cà 
Quand  che  sto  is'  iseuntrè  in  t' un  brènc  d^sgadàr , 
Ch'  is*  mitté  tot  a  dì  :  Ve'  clu  che  là 
A  cavai  d' che  sumar  cum  che  sta  dur. 
Mo  t' an'  vi  sr  veÒ  sunal  cum  eh'  us'  la  sta  ? 
E  in  sta  manira  i  féva  un  gran  pladùr. 
Va  véja ,  insinsè  d^  \eà ,  vargògnt'  a  le 
D' lassèr  andò  sfe  ragazzòl  a  pò  !  — 

Allora  e  ved  par  euntintè  sta  zent 
E  pr  an'  sintis  piò  fé  la  baja  dri , 
E  sèlta  zo  dall'  èsn^  In  t'  un  mumènt , 
E  e  dis  :  Va  la ,  monta  so  té ,  Matti  ; 
Par  me  s' a  vag  a  pè  a  so  nene  cuntènt , 
E  acsé  fot  ste  burdèi  e  srà  fini  ; 
L' è  ben  e  vera  eh*  um'  fa  mal  un  cài ... . 
Va  a  là  ,  Matti ,  da  brèv ,  sèlla  a  cavai. 

In  sta  manira  i  andò  so  un  pez  pr^  on  ; 
Ma  quand  i  fò  arrivò  alla  cà  da  Lug, 
E  cun  r  èsn  i  passava  a  guazz  e  fiòn , 
Ui  tocche  nec  truvès  in  t^  un  brot  zug  ; 
eh'  una  massa  d' dunén  e  d' bardassòn 
Is'  mittè  a  zighèi  dri  roba  da  fug. 
Us^  a  da  vdè  un  zuvnàz  pr^  andò  so  lo 
ìjLMèr  a  pè  ste  veè  eh'  un'  in  pò  piò  ? 


L 


DIAUdTI  EMILIANI.  577 

I  biriccliéii  za  i  prinzipièva  a  tò 

Di  sèss  ,  dal  prè  ,  di  coz  e  dia  calzéna  ; 

Allora  e  déss  e  veò  :  Férmat'  un  pò 

Ih'  a  vegna  nenca  me  »o  in  sta  basténa 

eli' a  vegga  d*cuntintè  nenca  tot  sto; 

Quand  no,  us  arriva  un  sass  dri  da  la  schena. 

In  sta  nianira  aqvé  par  fèi  stè  ze^t 

l'andò  tot  du  a  cuvàl  de  povr' asnètt. 
Av'  putì  immagine ,  cbèr  i  mi  sgnur 

Che  povr'  asnèt  s'  V  era  amasse  dal  fest  ! 

Figurèv  a  purtè  cai  do  figùr , 

Cun  do,  tre  zesti ,  senza  div' e  resi, 

V  era  impussébii  eh'  e  putés  Ini  e  dur , 

E  lo  mo  i  pretendeva  d'  vie  fé  presi. 

Insomma  s'ia  durava  andè  d'ste  pass, 

L' era  una  roba  da  zighè  plegàs  ! 
Ma  quànd  ch'i  fo  arrivè  dall' albaràz, 

Is'  incunlré  si  o  set  eh'  andava  a  cazza , 

Cb'  is'  mille  a  fèi  la  lusla  in  s' e  mustaz , 

E  I  dseva  :  E  bsugnaréb  mnèi  in  Ila  Tazza  ; 

Am'  maravèi  mo  d' té  me ,  bestia  d' vòiaz  ; 

T'  an^  vi  mo  che  povr'èsan  ch'us'umazza? 

Andè  pu  là ,  eh'  avi ,  da  cséian  badzè , 

De  vosi  prossm'  una  bella  caritè. 
Aj'  bo  capi ,  eh'  an*  j'  ho  gnenc  ciàp  sta  volta  ! 

E  déss  e  \eè  ,  fasén  pu  un'  ètra  prova  ; 

L' è  mèi  che  tot  du  aqvè  eh'  a  demma  d' volta , 

Lassèn  pu  andò  acsé  vul  st^  fiòl  d'  una  lova  ; 

Lassai  pu  andè  cun  la  cavezza  dsolla; 

A  voi  mo  nenca  vdè  cosa  eh'' j^  a  trova 

Tot  quènt  sti  fccca-nès  ;  sta  mo  da  vdè 

Che  in  sta  manira  In'srà  gnenca  amasè! 
E  in  fatti  in'  des  gnènc  fèr  un  quèrt  d' un  mèi , 

Che  tri ,  eh'  uvneva  int^  una  caratella , 

Is'  mèss  sóbit  a  fé  dal  maravèi , 

E  sgargnazzand  i  dseva  :  Oh  quest*  è  bella  ! 

Bade  pur  nènca  a  le  s'  a  vii  vdè  d^  mèi  ! 

Us'  ha  da  vder  un  èsan  cun  la  sella 

E  du  bagén  a  pè  cb^  i  gh'  va  da  dri, 

Invaz  d'  andè  a  cavai  ;  bslv  arabi! 
E  veó  e  prinr.ipiè  a  ciapè  capei , 

E  pn  US'  mitlè  a  brunite  tot  istizi  : 

Saviv  che  quest  Tèe  mod  d^  perdr  e  zarvèl , 

S' a  vii  de  meni  a  J' ètr  ?  t  déss  MatU  ; 


57 K  PAITB   9canDA. 

S*  a  j'  ho  da  dilla  snella  ,  om'  pà  e  piò  bel 

Fé  quel  eh*  a5*  par  a  non,  e  lasse  dì  ; 

eh'  in  tigni  mo  ,  qaand  che  alla  fi  di  fat 

A  vie  de  meni  a  j^  ftr*us*dvenla  mài. 
Oli  sta  da  vdè  che  adòs  adès  e  begna 

Tò  9Ò  V  èsn  e  purlèrr  acsé  in  tal  spai  ! 

Gncca  s*  la  foss  una  fassena  d' legna  ! 

Una  zesla  ,  una  s|)nrla  ,  un*  fica  ,  un  gal  ! 

La  n*  è  una  roba  mo  eh'  fa  vni  la  legna? 

As'  sèn  pruvè  d'  siè  a  pè  ,  d*  slèr  a  cavai , 

On  uv'  dis  :  Smonta  zò ,  rètr'  uv'  dis  :  Stài  ; 

E  a  fé  e  mod  d' jèlar  V  an'  s' indvina  mal. 
E  vó  i  me  sgnur ,  eh'  a  si  stè  quc  a  sinti 

La  mi  sturiella  dP  èsn  e  di  villèn  , 

A  Sri  anca  vó  dlMstèss  pinsè  d**  Matti , 

Che  in  quest  eh'  è  aqvé  me  nm'  pa  che  dsés  moli  ben. 

Pr  esempi  dmèn  T andrà  zertón  a  di. 

Che  non  stassera  as'sen  purtè  da  chèn; 

E  un  quelch^ètr^a  dirà ,  ch^  è  armàst  cuntènt: 

Ande  mo  vó  a  ciapè  in  t' e  gost  d^  la  zent  ! 
L'  acadèmia  a  zertón  srà  parsa  seria  ; 

Forsi  un  ètr'  e  dirà  eh^  1*  è  stè  f  rop  beffa  ; 

Un  èlr'e  ziga:  Ma  sinti  eh' miseria; 

Un  èlar  :  Sta  eanzòn  propi  la  m' stoffa  ; 

Quest  e  trova  poe  gost  in  t' la  materia; 

Un  ètar  dalla  noja  e  smània  e  sboffa  ; 

Quel  US'  in  va  cuntènt ,  e  quest  dsgustè: 

In  eonclusión  ~  La  n' 9' i>ò  mài  indvinè,  — 


Modenese* 

1650.  La  Meìiga  0  Zia  Tadeja  è  uno  scherzo  còmico  in  Un 
gua  rùstica  modenese  fatto  per  servire  d'intermezzo  air // min d 
del  ,Tasso\  intorno  alla  metà  del  sècolo  XVIi  ;  essa  è  quindi  k 
più  antica  produzione  che  noi  conosciamo  in  questo  dialetto,  ivi 
nel  Pròlogo ,  Amore  spennacchiato  svolge  tutto  il  meschino  tes 
suto  della  Contadinesca,  Perciò  ci  restringiamo  a  riprodurre  il 
Saggio  la  sola  introduzione  ^  non  meritando  il  dramma  d'  èsser« 
riprodotto.  Però  prima  stimiamo  opportuno  avvertire,  che,  a  na 
stro  avviso ,  la'^lingua  in  cui  è  scritto  questo  Pròlogo  non  è  ptu^ 
modenese ,  né  rùstica ,  né  urbana ,  sìa  che  1'  autore  fosse  stia 


DIALETTI    EMILIAAI.  379 

ìero^sia  che  la  modificasse  per  adattarla  al  metro  ^  sia^final- 
lente  che  venisse  alterata  in  sèguito  dagli  editori.  Ad  ogni  modo 
ìk  quale  è  la  sottoponiamo  al  giudizio  degli  studiosi. 

La  Mengaj  o  Zia  Tadeja, 

Amor  che  {a  il  Pròlogo, 

A  son  Amor ,  a  n'  so  s' a  m' cognossi 
Vu  ,  zent ,  che  vi  sì  qui  ragunà , 
E  s' son  acsì  senz'  ài ,  com'  ani'  vedi , 
Perchè  Vèner  mia  màder  m' li  ha  strappa  ; 
E  s*  son  vegnù  a  veder ,  se  vu  voli 
Ch^  a  stia  con  vu  sin  eh*  al  me  sian  torna , 
eh'  a  ve  prometto ,  eh'  a  serò  buon  flòf , 
Es  zugarò  con  tutt  a  capuzzòl. 
La  causa  che  mia  mader  s'  è  instizzida 
V  è  sta,  che  mi  voléa  eh*  la  me  vestissa  ; 
E  s*  planziva ,  e  lé  s*  è  incancarida  , 
0  perchè  a'  hava  tela ,  o  eh'  la  n*  vollssa  ; 
E  ben  ben  ni*  ha  cavàda  la  puida 
Tutta  piena  d*  velén  >  com'  una  bissa  ; 
E  dop'avèrcm  scuiazza  e  pela, 
La  m**  ha  lassàt  per  mort  in  mez  dia  cà. 
Or  mènter eh* borbottànd  Tè  andà  al  balcòn. 
Mi  me  son  leva  su  pianìn  planin , 
E  via  fuzènd ,  al  (In  ad  un  casòn 
Son  capita  dov'  alloza  un  fachin  , 
Al  qual  ò  racconta  la  mia  rasòn , 
E  lui  m' à  diti  :  0  pòur  fantesin  1 
Es*  m' à  vesti  e  dà  da  desinar  ; 
Mo  in  qualche  mod  al  vuò  remeritàr. 
Al  gh'  è  tra  vu  una  Menga  marìola , 
Ch*  a  P  à  du  oÒ  lusènt  com'  una  gatta , 
E  s'  è  tcgnù  per  la  più  bella  fiola 
Che  sia  tra  i  contadin  dia  vostra  fatta  ; 
Ali  gh' ordinò  una  bella  zimignola^ 
Ch'  la  s' innamorarà  com*  una  matta 
Dell'ospite  mio  car,  mister  Zanin, 
Con  tutt  eh'  al  sia  da  Bèrgam ,  e  facchin. 
Savid  com'  a  farò  ?  Farò  eh'  Pirin , 
F radei  dia  Menga,  eh' anc  lu  è  un  ragazzètt, 
S*  addormenta  in  sia  tieza  un  pochelin  ; 
E  mi  in  sto  mez  a  piarò  al  so  aspètt , 


580 


PARTK  SIOONOA. 


B  acsì  m' adovrarò  pr  al  mie  Paebìn 

Coo  aguziargh  riniègn  e  l'iotellèll, 

Cbe  quella  putta ,  e  la  sua  zia  ancora 

Se  coni ènten  de  lù  tramb'  in  un'  ora. 
Drè  a  questa  Mamolella ,  cm'  a  una  cagna  , 

Córron  tànl'  amorós  de  sto  contórn , 

Che  r  è  ona  maravìa  e  una  cucagna , 

E  lei  glie  dà  martèl  la  nott^  el  zórn. 

Bla  sovr^a  luti  un  Togno  da  Fazzagna, 

E  un  Piròn  dia  Zanlna  én  sempr  Intórn 

A  quel  casòn  dov^  alloza  la  Menga , 

E  l'un  airaltr^un  dì  darà  una  strenga. 
Stari  a  sentir  adonca  ;  al  mie  Fachìn , 

Se  ben  la  del  giudizio  e  dlMntelIèt, 

Se  sent  ancor  lu  tocco  un  pocheltìn  ; 

Ma  el  non  s^  attenta  a  diri  el  poverèt  ; 

Ilo  al  fin  el  farà  mèi  che  i  contadin  ; 

E  s'  V  averà  per  sposa  al  ter  dlspèi. 

Avri  le  orèè,  ch^a  so  ch^a  riderì; 

E  Intani  che  me  ritir ,  e  vu  tasi. 

i750.  La  seguente  è  la  da  noi  mentovata  Canzòn  in  lengtu^ 
mminìim  .fopra  la  gran  ìnoda  d^  quel  fémenj  che  s^  dtnàndem- 
mezz  palajj  eh'  a  vrèn  tgnìr  al  bazil  a  la  barba  a  Uitf  el  dam^ 
Sebbene  non  sìa  meno  insipida  della  precedente,  la  rìproducia* 
mo  di  buon  ànimo,  per  la  fedeltà  e  purezza  del  dialetto. 

Canzòn. 


Quand'  a  sèm  in  l'  1'  uccasiòu 
Ch'  tutt  el  fémen  von  ballar , 
E  giràrsen  pr  al  Lislòn  , 
Con  du  stec  sol  pr  al  granar; 
E  de!  volt  an  gh"*  n'è  gnanc  d'qui 
Ch'  mgnè  con  1  flà  scaldàrs  I  di. 
Pur  rinvèrcn  dà  dia  pena, 
E  am'  par  certo  eh'  al  rlncrèss  , 
Ch'  a  si  smalt  sin  in  t^  la  schena , 
E  a  sta  In  t'  V  aque  cmod  fa  'I  pess; 
Po  tra  '1  fred  ,  la  neva  e  'I  glàzz , 
M'  an  frusta  sin  al  paiàzz  ! 
Chi  pò  *l  man  à  pln  d' zladùr  ; 
Chi  'I  busanc  à  in  tM  calcàgn  ; 
Chi  r  iurcÒ  à  con  'I  ferdùr , 


Senza  pò  V  iàlter  magàgn  ; 
Raumatìsm'  e  dola  d' costa , 
Ch'  manda  d' là ,  cmè  per  la  posta. 
E  pur  me  'n  la  so  capir , 
Vdend  sti  donn  ch'n'àn  gnint  indòss, 
Ch'  al  gran  fred  el  fa  ghermlìr , 
Pur  desquèrt  el  1  àn  sti  oss, 
Ch'  én  pò  sec  e  acsé  destrùtt , 
PIÙ  ch'n'c  un  oss  scarna  d^  pcrsùtt. 
LI  han  apena  una  zamara  ^ 
Con  *l  mandgbetti  sin' al  man; 
Ma  n'  so  pò  eh'  razza  d' capara 
Abbia  vlù  V  Ebrei  Suliàn  ; 
LI  han  per  dsgrazia  i  manuplòo 
Fatt  tutt  du  ira  d'  pezz  e  pcòn. 


DULKTTI   liìllLIANl. 


381 


Pur  lor  s^  gòden  con  quài  frese , 

E  pr  al  più  senza  un  quallrèin , 

Anc  più  rossi  d' un  Tudèsc 

Qoaiid  r  è  Colt  dentr'  in  V  al  vèin  ; 

Li  han  pò  ceri  manùzz  inglèis. 

Ma  v'sicùr  eli*  i  èn  gatt  mudnèis. 

LasU  pur  pò  far  a  lor 

S'per  dsgrazia  el  dan  in  CamìlI  ; 

El  slan  alti  cmè  i  dstindòr , 

El'  D' darèn  la  pas  a  un  grill  ; 

Pur  la  panza  d'  quel  sgnurèin 

Fa  cuDtràst  con  i  fil  d' scbèin. 

Liban  di  spcett  e  di  spilòn 

Io  ria  scofla  e  pr  i  cavi; 

Li  ban  un  diavel  de  zignòn  ; 

Po  tant  lunglii  eP  iun^  di  di  ; 

Mo  i  mari  i^  I  el  guàrdn^  es'  tasen  ; 

Ma  a  sta  mei  la  sela  a  V  àsen. 

U  han  quale  poc  pò  d' zamaretta , 

Col  slrassin  più  long  d*un  braz; 

Po  una  zàcla  maladelta 

Li  ban  in  zioia  a  tutt  qui  straz  ; 

E  acsé  netti  el  van  a  ballar , 

Cine  uo  zacòn  d'  qui  da  pullàr. 

Pur  l' invèren  negh'  dà  impazi , 

Cmod'  è  me  ch^  al  m'  pias  csé  tant  ; 

Anzi  a  digh  :  Giov\  av'  ringrazi , 

Ch'Pè  vgnù'l  temp  ch'a  stag  d'incànt^ 

E  a  detcst  da  gran  sf  agiòn , 

Quand  a  j*òm  al  Sol  in  LIòn. 

•Ma  II'  guzza  da  cap  a  pè , 

^1  eh' a  fadi  quàlcr  pass  : 

A  si  mòi  dnanz  e  de  drè, 

Ch'  al  sudòr  v'  cola  in  t' i  sass  ; 

^  a  si  péz  d'  qui  eh'  van  a  wèder , 

Ch'  èn  tutt  rott  sin  in  t' al  seder. 

Vù  n'  psì  scrivr  ,  a  n'  psì  studiar , 

Ch'  av'  turmenla  d'  più  la  sonn  ; 

^v'  vin  i  oò  coi'  è  'I  du  d'  denàr , 

^  del  volt  cm'  e  qui  del  donn  ; 

^  si  d' zent  e  più  culór , 

Colè  M  lavlozzi  di  pittór. 

Ule  n'  sarév  cosa  truvàr 

l*er  dscavàrm'  al  cald  d' adòss , 

l»erchè  m' sent  sin'  a  brusàr 

Quel  che  d' dentr'  a  j' ò  in  tM  oss  ; 


E  al  ccrvcU  eh'  è  fredd  da  sé , 
M' par  un  forn'  in  men  ed'  che. 
Tutt  i  estrèm  a  i  egnòss  pur  trop, 
eh'  un  péz  di'  altr'  i  èn  catlìv  ; 
Ma  l' està  V  è  un  cert  inlòp , 
Per  mèi  dir  un  solutìv  ; 
Po  tra  '1  cald  ,  el  pulgh  e  '1  mosc , 
Chi  ha  i  be'  oè  igh  dvènten  losc. 
Quel  eh'  un  poc  del  volt  m' artoroa 
L' è  al  spadzar  su  per  la  mura , 
Vdend  qui  niur  csé  bé  d'in  torna 
Con  in  zima  una  verdura, 
Ch'  srev  capazza  d' acivàr 
Di  bgatèin  a  raiàr  a  miar. 
Vù  gh'  truvò  là  un  poc  d'  ristar, 
Masm'andàndgb'al  dòp  disnàr. 
La  a  ghe  vdì  di'  argènt  e  di'  or  , 
eh'  del  cariòl  a  s'  prév  cargàr; 
Del  zamàr  con  '1  consumò , 
Da  pagar  quant  me  n'  al  so. 
Cert  là  '1  Sol  ne  v'  dà  fastedi , 
Perchè  allora  al  va  a  ponént  ; 
E  s' con  nu  foss'  anc'  Ovedl , 
Vdend  el  mod  di  de  presént, 
Roma  certo  al  s' prev  dscurdàr , 
Ghe  pur  trop  gh'  fu  un  pcon  amar. 
Al  ghe  vdrév ,  masm*  a  la  festa  , 
Maridadi,  vedvi  e  putti 
Con  del  diàvii  d'seofi  In  testa. 
Ma  pò  dnanz  pluladi  e  sutti, 
E  più  smilzi  d'  una  ragna  ; 
E  a  diressi  as'  va  in  cucagna. 
eh'  al  eminzàss  In  za  e  in  là 
A  girar  inànz  e  indrè  , 
E  ch'ai  vdiss  chi  vin,  chi  va. 
Chi  sta  a  seder ,  chi  sta  in  pè; 
E  om  e  donn  al  vdèss  a  flotta 
Più  eh'  n'  è  '1  mosc  In  t'ia  ricotta. 
Addio  vers  a  vrcv  eh'  al  dsess , 
Addio  insin'al  grand'Augùst  ; 
Ma  gh'  vgnarév  al  guarda  fess , 
E  al  dirév  ,  eh'  zamàr,  che  busi  ! 
Ah  piutòst  che  andar  in  Pont , 
Che  a  srev  vgnù  con  '1  man  azónt  ! 
Gran  balvàrd  è  mai  quest  che. 
Al  dirèv  adirilura; 


589 


PARTE  SECONDA. 


Al  Ci  mòli  è  quel  eh'  s'  vcd  le , 
Ch'  manda  V  aria  netta  e  pura, 
Ctie  gli'*  vin  dam  e  cavnlér 
Con  taccile  ,  pag  e  stafér. 
Al  ghe  vdrév  in  quài  balvàrd 
Tutt'  el  mod  eh'  ha  'I  femn  ndòss  ; 
Anc  più  runzi  el  sien  dal  lard, 
O  in  t' la  gola  al  iàbn'  al  gnss  ; 
Lor  in  testa  gh'von*al  mlon^ 
La  regina  e  i  parpaìòn. 
Al  ghe  vdrév  la  bella  moda 
Del  zamàr  con  al  capùzz  ; 
La  Lucrezia  andàrsen  soda , 
Con  do  brazza  d'  mus  ugùzz  ; 
Ma  li  urèi  tutl  pini  d'  rezz, 
E  pazinzia  si  èn  puslézz. 
Tuli  la  testa  pò  inspuivràda, 
Con  di  udòr  d'  muse  o  d^  lavanda  ; 
Lu  camisa  pò  n's'gh'abàda 
s*  r  è  luti  rotta  da  una  banda  ; 
i\on  ostànt  i  manlzèin 
El  gh'  von  mèter  con  'I  punlèin. 
Lu  ghe  vdrcv  del  scarp  in  pè 
chi  miniadi  e  chi  d'  bruca  , 
E  '1  pc  mnàr  inànz  e  indrè 
Perchè  al  sia  ben  usserva  ; 
Pur  a  gh*  srà  i  gran  calzulàr , 
Ch'  al  so  Ulster  V  è  quel  d'  biasimar. 
Lu  ghe  vdrév  dia  roba  al  col , 
eh*  el  sien  peri*  o  pur  galàn  , 
eh'  an  n'  ha  tant  al  He  d' Mogol , 
E  a  dirév  al  <;ran  Sultàn  ; 
Li  han  Devota  e  Pretcnsiòn , 
Li  han  Staiiella  d' Spumillòn  , 
Li  han  del  miàra  dMngranàt, 
Tanl  al  col  cmè  aliorna  a  i  brazz , 
Di  ventai  che  cosln'  un  Stai , 
Dpint  a  r  oli  e  dpint  a  guàzz  ; 
E  'I  s*  dan  V  aria  con  al  crac , 
E  in  men  d'  che  'I  fan  eie  e  ciac. 
Me  ne  v'  dig  pò  del  curdèll , 
ChMuU  sii  fénien  s'flchn  adòss; 
El  s'  lambìehen  al  eervèll 
Per  trucar  a  più  non  poss  ; 
Ma  Bucèin  e  la  Verzona 
Dìsen  roba  sfundradona. 


Me  'n  v'  in  degh  dia  Bertarelltf  » 

Figurar  pò  dia  Pasquèfna ,         *' 
S*el  gh'àn  dà  dia  roba  bella/  '' 
aùì  pizz  d^  sèida  e  dia  mnslèlat  j(^ 
Ma  zugiirg  a  prév  un  06 ,  '' 

Cif  i  so  libr'  èn  pin  d'  pa9trd&  \  ' 
Di  Firmò,  del  Bòchel  d'  brfll  '  *  ' 
Li  han  liureè  e  tutt  du  i  bratìi',' 
Ma  'I  sa  Onofri,  al  sa  Camiti  • 
<:h'  fun  tira  fora  dal  mazz^ 
Per  pagar  quel  tatr'a  Eufemia, 
Dal  più  pur  crlstàl  d' Boemia, 
Con  rusetti  e  zerd  dura; 
Al  vdrév  Zvanna  e  la  Diunlsa: 
Mo  'I  mari  pò  in  cà  affama , 
Senza  scarp ,  ne  la  camisa  ; 
Ma  in  t' la  Mura  el  vòn  andar 
Se  '1  cherdéssen  de  sciupar. 
A  gh'  ì  ceri  divertimènt , 
Vdend  el  donn  acsé  putidi  ; 
Po  di  colp  av^  zur  ch^  as'  sent 
Da  quel  fémen  cb'én  ardidi; 
E  anc  da  quel!  cb'  parn'  un  oca , 
Ch'  agh  diressi  al  pàder  moca. 
Vu  gh^  vdì  far  senza  ribrèzz 
Di  inchin  e  di  basa  man  ; 
E  graziosi  e  con  di  vezz , 
El  v'salùln'  anc  da  lunlàn  ; 
O  eh'  el  V  fan  *na  riverenza , 
Anc  cir  al  n'  àbbien  di'  eccelenza. 
Quest  i  cgnòssen  i  om  a  usta, 
cmod  fa  i  can  eh'  cn  brav  da  cazii 
Po  in  allora  el  s'mettnMn  susta, 
Cmè  una  ciozza  quand  la  razza; 

0  eh'  al  s^  meltn'  a  la  parada , 
Cmè  una  loca  eh' sia  imbalzada. 
Tuli  le  '1  s'godn  al  dop  disnàr, 
£  mustrànds  a  quest  e  quel  ; 
Ma  in  ca  sova  an'  s' fa  magnar, 
^è  la  letlra  gh'  e  d*  un  el; 
D'  più ,  quel  test  e  qui  mnstàii 

1  s' in  dormn'  In  l' al  paiàzz. 
Se  eh'  allora  va  via  '1  blelt , 
E  a  svanìss  la  lavandèina  ; 
Ma  s'  prev  fargh'  al  bel  sunètt , 
Se  'I  se  vdèssen  la  mattèina  ; 


DIALETTI  BMILIANI.  585 


Va  chi  sa  senza  tgnirgh  drè 
Cblel  ne  m^  vegna  un  de  tra  i  pé? 
Vamé'n  voi  più  andar  iiiànz, 
Perchè  a  cgnoss  ch^agh'dag  turmèni. 
MaM  me  dono  av'zur  di'  a  pianz , 
E  a  v'al  dJg  d' ben  sentimenti 
Vdeodv'  indòss  galàn  e  crest , 


Senza  aver  camlsa  al  zest. 

Fin  eh'  è  terop  fa  mo  gludezi , 

E  impara  a  vòster  spes , , 

E  'n  tuli  pr  un  sgheribezi 

Quel  cb'  av'  dig  ai  tant  del  mes  : 

Mtiv  in  testa  sta  lezlòn , 

Cb'  me  v^  lass  star  con  la  canzòn. 


1840.  In  Saggio  deir  odierna  poesìa  modenese  offriamo  i  se- 
guenti sonetti^  dei  quali  i  primi  quattro  furono  scritti  da  vìvente 
distinto  cnltore  delle  patrie  lèttere  ^  la  cui  modestia  non  ci  per- 
mette di  nominare.  Come  appare  dagli  argomenti^  sono  essi  poesie 
d' occasione  I,  e  furono  già  publìcati;  gli  ùltimi  due  sono  inèditi 
ài  anònimo  autore  gibboso  di  cara  memòria. 

Per  Nozze, 

Sgnor  Dutlòur ,  i  m' han  dilt  cb'  al  tor  mujera  ^ 

E  cb'  la  so  sposa  ba  mill  beli  qualità  : 

A  m' in  rallégber  seg ,  mo  ben  dawera , 

Cbe  chi  ba  una  bona  sposa  è  fortuna. 
Al  mond  d' adèss  V  è  guast ,  ma  pur  assà, 

Pr  una  fuga  de  matt  cb'  òn  zo  d' carrera  : 

Un  pòver  cap-ed-cà  sèmpr  è  angustia , 

E  pensànd  ai  so  fio  quasi  al  s**  despera. 
Uà  per  quest'  an^  v^  avi  pò  da  scmintir , 

Percbè  s' a  si  ben  vó ,  sM'  è  bona  le , 

Sol  di  ragàzz  a  mod  a  n'  ba  da  vgnir. 
Prinzipia  prest  a  dàrgb  educaziòn , 

Dàgb  bon  esempi ,  sappiàgb  tgnir  ad  rè  ; 

Badàm  a  me  ;  a  n'  avri  consolaziòn. 

Pei'  Nozze. 

Quand  a  seni  cb^  una  zovna  s"  fa  la  sposa , 
E  cb'  r  è  una  zovna  propri  com'  a  va , 
Me  a  g^  bo  un  gust  matt ,  e  a  dig  :  Cbe  bella  cosa  ! 
Cbe  spos  felìz  1  che  fortunàda  ca  ! 

Una  donna  d' giudizi  e  virtuosa 
L' è  la  sort  del  mari  che  gh'  tuccarà  : 
E  r  è  cosa  acsé  degna  e  preziosa 
Che  pr  un  premi  ben  grand  al  Sgnor  la  dà. 


384  PAETB  MOOflIllA. 

Vo,  Mllòr,  a  r«W  9U  bella  tori  : 

I  platér  de  ste  mond  Iv'  sran  maggior , 

E  In  t' i  affiin  ^  eh'  a  gh'  d'  è  aénpr ,  avrf  on  eoofèrt. 
La  vostra  gfoja  n'  ha  da  finir  che  ; 

E  ancb  quand  a  srà  appassì  di  ann  al  fior , 

A  diri  ben  e  spess  :  Bendètt  quel  de  ! 

Per  novello  Pàrroco. 

Coni  !  eh'  a  n^  ve  smintldi ,  don  Zemgnàn. 

L^  è  vera  eh'  èsser  pàroe  l' è  un  fmpègn 

Da  far  fermar  I  òmen  piò  sant  e  degn , 

£  eh*  porta  seg  mlll  eros  e  mlll  affàn. 
Bsogna  tendr  al  mala  ,  badar  al  san; 

La  gioventù  bisogna  tgnlrla  a  segn , 

E  avrir  bisogna  ai  ragazzén  IMuzègn , 

Dal  Bellarmén  con  la  Duttrina  in  man. 
A  gh'  voi  scienza,  pazinzla  e  carità, 

A  gh"*  voi  zel ,  a  gh'  voi  pett ,  a  gb'  voi  vigor. 

Coràt  !  che  vo  a  gli  avi  at' tal  qualità; 
E  mancar  a  n*  ev'  poi  V  ajùt  dal  Sgnor , 

S^  a  v^  tgnari  a  ment,  che  Dio  ste  pes  v'  ha  da 

Pr  al  ben  degl'  ànem  ,  pr  al  so  sant  onór. 

Per  Nozze. 

né  an'  son  chi ,  o  Spos ,  a  iar  di  cumplimènt , 

Es  an*voi  tirar  fora  Imèn»  ne  Amor: 

Ma  av'  dirò  sol  quel  eh'  a  sent  in  fai  cor 

Con  quel  paról  che  prima  em'  ven  in  ment. 
A  gh'  è  in  sr  brut  mond  una  briccona  geut, 

eh*  parla  dal  matrimoni  con  dsunòr  : 

An'  sta  miga  a  badar  a  sii  impustòr  ; 

In  t' al  so  cor  a  gb'  cova  al  tradimènt. 
El  nozz  cn  una  cosa  santa  e  bona  : 

Fa  eh'  a  dura  l' amor  eh'  a  v'  sinti  in  sen  ; 

Tgni  ben  luntàn  la  gelosia  birboua , 
E  pò  sta  allegramènt ,  càr  i  me  Spos  y 

Che  per  du  cor  che  s' vólen  propria  ben , 

Al  matrimoni  Tè  tutt  viòl  e  ros  (i). 

(1)  A  'm  par  eh*  uo  quilchidùa  diga  :  Per  cotta  far  un  suoèt  io  mudnbt  L'aoiòrP*! 
fati  per  far  unòr  al  so  dialètf  es  cherdével  ino  da  taot?  —  A  ràpoadrè  a  diriUara:  Sgaor 
no  j  a  )*  avrà  las^a  sia  cun  u  chi  fóu  sti  pia  al  du.  •—  L' al  fall  p«r  oMUeria  7  — •  A  eoa* 
furò  KÌeltamt'nl ,  eh*  a  pr^T  èsser.  Ma  la  bona  ragion  1'  \  sliida  ,  eh*  a  j*  ho  t^ù  far  ooòr 


DIALETTI  IMIUAni.  58^ 

Risposta  a  rime  obbligate 
Sonetto  nel  quale  venne  descritto  il  ritratto  dell^^utore. 

A  son  sta  assicura  da  bona  part 

Ch'  a  m' avi  fat  al  me  ritrai ,  Albert  ; 

Ma  a  m' Immàgin  però  eh'  ai  avri  quert 

I  me  difètt ,  e  avri  tgnù  su  et  me  cari  ; 
Che  s^  no ,  vo  si  al  Poeta ,  e  me  srò  al  Sart , 

E  a  j'  ho  del  forbs  che  tijen  ben  dal  zeri  ; 

Anzi  per  vostra  regola  a  v'  averi , 

Che  molti  volt,  per  poc  e  gnint  me  a  tcherl. 
Ma  a  J^ho  una  paura  ch^a  m'Inspirt^ 

Ch'  al  sunàt  an'  sia  vòster ,  eh'  al  sia  un  furi , 

Perchè  l'è  fatt  trop  ben  ,  senza  farv  tort  : 
1  m'  n'  han  da  idea  ,  e  me  eh'  a  son  un  spiri 

Ch'  a  cgnos  al  pan  dal  steli ,  av'  dirò  in  curi  : 

8*  an  n'  è  d' Glullàn  Cassàn ,  ch^  a  casca  mori  I 

I  Predicazione  quaresimale  del  celebre  Padre  Granelli, 

Curi  tutt  quant ,  per  carità  curi 

A  sentir  al  famòus  Predica tòr 

Granelli ,  eh'  in  cuzinzia  V  è  un  terrór , 

Ch'  a  v'  prumètt  eh'  al  cumpàgn  a  n'  l' i  senti. 
Oh  quài  s'pol  ben  clamar  om  erudi, 

E  a  dir  al  ver ,  al  loda  nòster  Sgnor  : 

Lu  n'  dis  pass ,  eh'  al  ne  v'  zeta  le  i  Autor, 

eh'  al  par  eh'  al  li  abbia  tutt'  a  mena  di. 
A  fu  a  sentir  eia  bocca  d' verità , 

E  *I  m' arivò  csé  prest  a  la  limosna , 

Ch'  arstò  in  t' la  bota  bel  e  stemacià. 

alb  m^  maoera ,  a  sU  du  spos.  E  per  dir  reni  ,  a  n*  em  sintiva  brìia  abbatlaota 
m  rìder  adrè ,  6cciiDd  un  nié  saotàu  italiào  io  t'  noa  raccolta  acs^  riapeUiilMl  come 
1*  YO)  mioga  dir ,  iotcDdènies  ben  ,  eh'  an*  fou  sia  ben  d*  mettr  ÌDwm ,  a  fona  d' 
d*  «furdigarm  i  cavj ,  qaattòrdes  ver»  anc  io  lingua  toscana  :  e  quj  quattòrdes  rers 
tfs  psa  intrar  in  quale  altra  raccolta  ,  o  almàoc  alraànc  essr  attacca  al  colòno.  Per- 
ii eh'  a  rag  rd^nd ,  el  colono  d*  adèts  enn'  co  miga  ,  com*  i  dì>rD  rh*  èren  quelli 
à*  Orati ,  che  o'  vliven  orisa  ch*  a  gh'  fus»  di  poeta  mediòcher,  ma  el  se  slin  adattar 
rr^nt,  e  sustìoeo  tutt  quel  eh'  a  s'gh'  incolla  adòss  ,  fina  ch*a  n*  al  strappa  ria 
cbèo  o  quale  diletlaat.  Ma  melt^nd  ,  com'  a  diiva,  un  sunètt  de  sta  posta  in  mesa 
li  eh'  e'o  poesii  da  Iwn,  ni'  avrev  fit  miaciuoar  :  e  m^  |h>  per  far  unòr  ai  Spos,  an' 
férm  dsunòr  a  noi.  E  questa  è  la  gran  ragion  eh'  m' ha  (att  tòr  1'  eipadi^ot  d*  far 
I  al  OM  sunètt  ;  s'  la  o'  ev*  piiis  ,  paxbtia  !  Dal  r«st ,  i  Spos  gndirào  al  roè  hoo 
i  ia  cuottol  lor ,  cou  tIìv  mo  dir  vó ,  i^or  Critic  7 


386  PARTE  «BCOFIDA, 

L' ultma  part  sfumò  via  com'  una  lostia  : 
Oh  quài  è  un  sogèt  degn  d' èsser  manda 
A  convertir  T  America  e  la  Bosna  ; 

E  s' la  marchesa  Frosna 
M' vless  lassar  da  so  banca  eh'  è  le  avsén , 
A  gh'vrév  andar,  eh' a  n'in  vré  perdr  un  s'sén. 

In  Saggio  del  dialetto  modenese  attualmente  parlato,  valga  il 
seguente  Diàlogo  d' un  vivente  cultore  dottissimo  delle  cose  pà- 
trie; questa  composizione >  e  per  èssere  scritta  in  prosa,  e  per- 
chè racchiude  parecchi  idiotismi  e  modi  proverbiali,  d  sembra 
meglio  d' ogni  altra  adattata  al  nostro  scopo. 

Diàlog  fra  la  BunesnM  e  VÀnlonia^ 
qudla  eh'  i  ciamen  per  scutnuii  la  Pota-da-Modna  (4  ). 

L'era  una  nott  di' invèren  passa,  eh' a  tirava  un  zagnùc (s)  eh' T è 
impussébel ,  e  la  povra  Bunesma  s'  desdò  intirizzida  ,  con  i  grell  in  t'i  di 
e  il  busanc  in  tU  p«. 

(t  Ah  sii  Hudnés  dia  sgangla  (s)  (  la  dis  )  i  n'  s'  arcòrden  più  ,  che  per 
dàrg  da  magnar,  a  j'  ho  spes  tant  bugnin,  eh' a  j'  ho  fin  vudà  la  borsa;  1 
m' làssen  che  a  ghermlir  dal  fred,  eh'  i  n*  sràn  gnanc  da  tant  d'farem  una 
scoffia,  0  d' imprestàrem  un  scaldén  •. 

Salta  su  la  Pota-da-Modna ,  eh'  V  è  poc  luntàn ,  e  che  dal  gran  fred  la 
n*  psiva  durmìr  gnanca  le. 

a  Làssem  dir  a  me  (  la  dis  )  eh*  a  son  vslida  da  gran  està  ;  vó  a  gh'a^'ì 
alfflànc  un  para  d'  slanèll ,  e  s*  gir  avi  Tumbcrlén  sovra  al  zucchèt(4); 
ma  me ,  vdiv  ,  a  son  che  a  la  sbaraja ,  eh'  a  m'ueva  in  xéma  a  tutt'il  me 
garabàtel  (5)  :  e  vdiv,  slor  de  sti  magna-cudghén  (6)  i  én  squàs  tutt'  fio  di 
me  quaranladù  pulén  (7). 

Bunesma,  Per  quàl  eh'  Tè,  scusàm  vdè,  Tugnena,  ma  an'  vré  pò  gnanc 
eh'  a  j'  avessi  la  superbia  d'  mètlrev  da  V  impara  con  me  ,  perchè  a  vdi 
ben  anca  vó,  che  dispensar  dil  limòsen  aesè  grandi ,  com'  a  j' ho  fatt  nié 
r  è  ben  quale  cosa  d'  più  eh'  n'  è  a  far  di  ragàz. 

I*ola.  .Ma  pian  ,  Bunesma  ;  a  capéss  anca  me  che  a  far  aesè  gran  limòsen 

(1)  La  statua  dia  Bunesma  è  in  t'  un  àngui  dal  Pa1!ix  Comuràl  ,  r  la    figura    di*  AdIoom 
ad  Modna  in  t*  al  mur  rsti'rn  dia  Catlednil  ven  la  Piatta. 
(a)  Zagnùc  ,  per  fredd. 

(3)  Dia  sangla  ,  voi  dir  puvrct. 

(4)  Zucbèt ,  la  lesta. 

(5)  Il  me  garaliàlKl  ,  vul  dir  la  m^  roba. 

(6)  Magna -cudghiSa  ,  rbè  1'  è  dett  p«r  Rfodo^s. 

(7)  Quaranladù  puten  ,  perchè  rAutooia  ave  ^2  6ò. 


\^  DIALETTI  BMlLlAffU  587 

ij'avì  avù  un  gran  cor,  ma  quale  cosa  d' grand  a  ghTarò  avù  anca 
me  s^  a  jMio  psu  regalar  a  st' pajés  un  mczz  battaglfòn  d^Algerèn  (i). 
Zertùn  dvènten  famòs  per  la  testa ,  vó  pr  al  cor ,  ì  canlànt  per  la  gola  , 
i  balarén  pr  1  pé ,  e  me  per  quelàter.  Bonapàrt  al  dsìva  ,  eh'  la  dona  più 
brava  V  era  quala  eh'  fava  più  ragàz  (s)  :  e  s' a  fuss  nàda  più  tard ,  e 
<?hMQ  arèss  vlu  far  giustczia  al  mèrit,  Tare  busgnà  eh'  al  m' avcss  spusa 
me.  Alora  «  rlt  Bunesma,  per  merilarm  al  so  cunzàt  a  gh'  n'  are  fat  almànc 
un  centunlr ,  perchè  cai  putàn  eh'  è  le ,  al  gh'  iva  la  manera  d'  mante- 
gniri  tutt. 

Bunetma,  A  ved  anca  me ,  eh'  i  Mudnés  i  v'  dovrén  considerar  come 
marna ,  ma  iter  tant  I  m' arèn  da  far  anch'  a  me ,  perchè  s'  v6  avi  mesa 
si  mond  i  so  bisnòn ,  me  pò  a  gh'  ho  dil  da  sbàtter  in  castèll  (s)  quand 
'<  gb'  fllSva  suttlla  (4).  Ma  cherdi ,  Tugnena  ,  eh'  il  eos  al  de  d^  in-có  il 
^an  a  la  strapèz.  Difati  vii  vader  la  bela  gralitùdin  e  al  bel  rlspat  deista 
Busunàra  per  do  dam  dia  nostra  qualità  ?  I  s' an  pianta  che  su  a  badar  a 
la  gronda  di  eopp ,  in  mezz  ai  palpastrè ,  in  l'  un  sii  dov  a  l' eslS  a  insa- 
biàm  dal  eild ,  e  a  l' invèren  a  luspirtiim  dal  frid. 
Pota,  A  pensàrgh  ben ,  savi  ...tré  roba  da  far  drizzar  i  cavi. 
fhAne*ma.  Com'  a  vii  eh'  i  s' pòssen  tgnir  da  cont  noàter,  s'I  'n  san  gnanc 
^bi  a  sam.  —  Eh  sé . . .  il  dòn  d^  una  volta  I  gì'  èren  altra  cosa;  e  a  un^  oc- 
corenza i  gì' èren  anc  beli  e  boni  de  mnar  il   mani  che  slMl  smurflost 
d**  adèss  i  n'  én  boni  iter  che  d' mazzar  11  pulg.  —  Oh  . .  »  sti  sunaj  pò  , 
^'dè ,  dal  de  d'  in-eò ,  In'  san  mcnga  gnint  coss'  abbia  fatt  i  so  ve£  ;  e  in 
('  al  studi  dia  storia  an'sarév  dir  s' i  in  savcssen  più  lor  o  i  cappòn,  per- 
ebbe ,  vdiv  y  lor  cn  sèmper  occupa  o  a  far  da  bela  gamba  a  una  quale 
Rispetta  (s)  u  fumar  un  zigher,  o  a  lèzer  quale  romànz. 

Pota.  Cara  vó,  dsi  pian  ch'in'  sènten,  perchè  s'i  s'acòrzen  eh' a  dscu- 
^m  insam ,  a  gh' pré  saltar  el  caprezi ,  a  sii  galiòtt,  quand  i  g^ban 
<iualc  cosa  eh'  en^  va  pr  al  so  fasòl  (e) ,  d' fàrs  descòrrer  nuàter  do ,  anc 
^*  an  n*  àm  voja ,  com'  1  én  sòlit  far  a  Roma  con  chil  do  flgùr  d' Pasquén 
«  d' Marfori  (7). 

L'ombra  dia  Tarquénla  Molza ,  eh*  V  è  dentr' in  Dom ,  a  s' gh' arizò  al 
^^s,  perchè  stMI  petlàgli  desturbàven  la  so  chièt:  la  saltò  fora  pr'  una 
^*cbil  turètti  eh'  én  in  Piazza  de  drc  dal  Dom ,  e  la  dess: 

«  Dsi  su ,  bragheri  sfundradoni  :  coss'  è  st'badalùc  (a)?  an  n'  è  mài  ora 


(1)  Algerino  ,  per  l>iricb«^n. 

(2)  Al  U  4é»s  a  la  sgDora  De  Siaci. 

(3)  SbiiUer  in  caslèl ,  voi  dir  magnar. 

(4)  Filava  suttila,  quand  i  stcntaveo  da  \*  fèim. 

(5)  LiipèUa  ,  per  tivètta. 

(6)  Ch*  eo*  va  pr  al  so  faiùl;  eh'  en' va  a  geni. 

(7)  II  latir  ch*  es*  frfn  a  Roma  |)f>r  la  più  i  en  Djalog  tra  Fdtqti/n  e  !\ffar(òrl. 
<^)  Badalnr  ,  fraras». 


588  ^ARTI  tnOflDA. 

eh'  a  tasi  ?  Adsadès  s' a  dig  man  ai  me  léber ,  cb'  a  j*  ho  le  dentar  da  i 
foesira  (i) ,  roé  v'  1  féc  ben  in  t' ai  nàs  a  tutti  do  n. 

Al  pars  un  squass  d' aqua  :  st*  il  do  vàci  avèn  sudiziòn  dia  Poetai 
( perchè  i  poeta  i  én  zervé  curlós ) ;  la  Bunesma  's  supuò  in  t'I  di ,  « 
déss^aler;  la  Tugnena  dventò  rossa  com'un  tocc,e  s'mess  noa  ■ 
dnanz  a  la  bocca ...  e  torsùo  roeléssem ,  la  me  fola  è  beli' e  (laida. 

G.  B. 

NB,  La  figura  doirAotoaia  intarloeotrice  h  ignuda ,  ed  in  attegf  iamento  piotlMlo  «i 
do ,  motivo  forse  por  cai  fu  collocata  alla  sommiti  dell'  edificio. 

Pkrlaoo  di  essa  t  Rkobaldo  Ferrarese  nel  suo  Summarium  BtvtmmMt  Eeeiéaim  elP  ai 
12791  ^  Crònaca  del  Domenicaoo  fra  Francesco  di  Pipino  da  Bologna,  ambe  pdbUfa 
dal  Muratori  nella  Raccolta  B^mm  ftmlicanim,  ce.  al  Tomo  IX  ;  il  Vedriioi  nel  Toat 
della  iS)Eori«  di  MòtUma,  il  quale  ne  ofire' anche  il  ritratto  j  la  Crònica  ms.  ddlo  SpMi 
esisterne  nel  Comunale  Archivio  di  Modena ,  ec  ec. 

i7tfO.  Come  abbiamo  accennato  a  pag.  506,  i  più  antk 
monumenti  della  letteratura  vernàcola  reggiana  andarono  e 
tempo  smarriti,  e  solo  ci  rimasero  alcuni  Almanacchi  pur  o 
difficili  a  rinvenirsi,  nei  quali  sono  sparsi  alcuni  brani  di  pra 
o  poesìa  vernàcola.  Fra  questi  ci  fii  procurato  dalla  genfllei 
del  benemèrito  prof.  Bedogni  il  seguente  diàlogo  in  prosa ,  d 
ci  parve  molto  interessante ,  essendovi  alternato  col  rùstico 
dialetto  urbano.  Per  non  defraudare  poi  i  nostri  lettori  d'  \ 
Saggio  della  poesìa  del  sècolo  scorso,  soggiungiamo  un  grasic 
Sonetto  per  nozze ,  tratto  pure  da  una  raccolta  di  poesìe  di  qu 
tempo. 

Sandròun  da  Rtwelta  strolgh  modem  sàura  rami  4757. 
Dialgh  rustgàl  tra  Sandròun  e  la  Sgnòura  Betta  inzivlida 

Sandt*òun,  Oh' diavi!  òja  sèlmpr  da  star  plica,  e  n'ciapàr  mi  un  | 
d'aria?  Pruma  ch'vègna  sira  em' sòun  porla  olii  in  Tal  Stradòun  d^l 
velta  pr  far  una  spadzadella  e  sanlèir  quelc  novità,  mo  chi  an^  s' ved  gn 
un  can.  Tas  ,  eh'  al  gh'  è  là  una  bella  sgnòura ,  cb'  pianèin  pianèin  vi 
e  zò  zirànd  da  pr  lìa:  oh  cmè  ma  possìbl  eh' s^  veda  unalevraecb'n'l 
sia  a  dna  al  can  eh'  la  burra  ?  Egh'  m' vói  accostar  pr  vèdr  s'  P  è  fug Ittv 
Fatt  ànm,  Sandròun,  e  vàia  a  liverir:  tas,  ch'ai  m'èd'avisd'cgnòaser! 

(  I  )  La  f^moca  poeteua  Moln  è  sepolta  io  Dòm  ,  e  la  lassò  i  ù>  tiber  a  \é  Comoaiti- . 


\ 


DIALETTI  BMILIANI.  589 

Alla  Ce  r  è  Just  lìa  :  r  è  la  ptella  dia  Daliòuna  ,  cb'  toas  cV  arlsanèll  n'  so 
gaant  ami  fa  :  pofar  la  nostra  maridla  !  alla  fé ,  r  ha  tratt  via  la  meua- 
UuuLÌ  lil  pur  mo  ch^  gh'  m^  vói  accostar ,  mostrànd  d' n'  la  cgnòsaer.  Eg 
i^MM  liverèlnza ,  sgnòura  ;  còunsa  fala  da  pr  lia  chi  da  sti  band  ? 

Beiia.  Addio ,  galantòm  :  j' asptàva  la  me  serva ,  eh'  è  andada  a  irciir 
m  po^  d^  insalata  ;  stèv  fors  da  sti  band  ? 

SandròuH,  No ,  sgnòura ,  che  sòun  da  Bubiàn. 

Betta,  Povr  veè  ;  e  sì  mo  vgnù  chi  a  spass  un  poc ,  è  vèira  ! 

«Séndrófm.  Còunsa  vuelta- iarg?  al  llncréss  a  star  sèimpr  in  Ti  sua  pa- 
viròun. 

Betta,  Anca  mi  e  sòun  vgnuda  pr  quale  giòm  a  prendr  un  pò*  d'aria, 
e  vdèir  se  poss  parar  via  al  mal  d' testa.  Usév  al  tabacTln  vliv  una  prèisa? 

Sandròun,  E  la  lingrazi ,  eh*  n*  in  tog ,  e  pò  am*  prev  nòser  pr  essr  in 
t*  ana  scatla  d^  arxèint. 

Betta.  Oh  che  pazzia  1  E  si  molt  sèimpllz  a  credr  una  debolezza  si  fatta. 

«Sàndròim.  Cóst  vin  dalla  me  gnuranza.  Cbéra  lia ,  eh'  la  m' prldòuna. 
Al  n'  è  d'avis  d' avèirla  vista  st'  ann  so  pr  la  Fiera  eòun  di'  iètr  sg nòuri. 

Betta  Poi'  essr  ;  la  me  sgnòura  cognata  e  altr  sgnòuri  mi  amighi ,  eòun 
<iletr  'I  nostr  servi. 

Smudròwì.  D' còst  en  in  so  pattacca. 

Betta,  y  erni  fors  io  t' una  quale  butèiga  da  drap  a  far  spèisa  ? 

iSiiifufròtm.  (  Aria  !  )  E  II  vist  da  star  appoza  li  fora ,  a  far  di  zirimoni 
^un  di  jetr  eh*  arruvòn. 

Betta.  Bèln  ,  bèin  ,  eltr  sgnòuri  dia  camerata. 

Sandròun,  (Post  crpàr!)  Cbèra  lia,  eh'  la  m'  diga  :  sti  sgnòuri  in  zandal 
^U  sèimpr  tant  da  far  ? 

Betta.  Com  sriév  a  dir  ? 

SoMdràun.  Alla  me  piniòun  em*  parn  tant  zivèttl  eh'  zogàtien  In  V  al 
Mmòan  pr  attraplàr  i  oslì. 

Beffa.  Cosa  fanli ,  da  far  un  giudizi  d' sta  sort  ? 

Sandròun.  E  vdiva  che  s*  tiràvn  al  zandal  fin  dnanz  alla  bocca,  e  pò 
^ndaven  a  dna  pirlandl  pirlandl ,  eh'  al  pareva  eh'  fèssen  un  rodèll  a  una 
^ainisa ,  e  quand  e  V  èvan  a  cól  sign  che  vlevn ,  o  eh'  el  spinzévin  su  al- 
^'  elta  f  o  eh*  el  slargbàvin  cm'  al  vantai  ;  e  da  li  un  poc  e  guastavin  eia 
^irlèina ,  es  favn  una  piga  larga  larga ,  buttandsla  indrìa  dalla  testa,  e  pò 
^  còunsa  ,  pr  fars  vdèir  dou  aleltl  in  zuma  alla  testa ,  sgnacl  evidént 
^h'  al  gh'  svolazza  al  zrvel ,  che  pàren  d'  quel  elàll  d' lata  eh'  tèin  dnanz 
^Ula  lama  dall'oli  vun  eh' studia  a  tavlèln,  e  d'  pu  un  stompajuel,  o  una 
d' panoccia  d' formantòun  in  zuma  alla  fròunta,  tutti  còuns  da 
Br  ridr  ;  e  cól  eh*  è  péz ,  far  portar  sti  mod  fina  a  di  ragazzetti  eh'  san 
tneora  d' odòur ,  se  s' intandèin  ?  Cos'  hanni  pajura  'I  miidr  che'l  sòu  fluell 
dipn  dia  sborgna  em'  al  vèlnen  grandi  ?  Se'l  fùssen  pò  almànc  prsòun 
^a  sostantar  alla  longa  a  imitar  'I  mod  dia  sgnoria. 

Betta,  Pian  un  poc;  av'  si  móult  arscalda  :  cosa  iv  da  badar  vuètr  eun- 
ladèin  al  mod  di  zittadèini  ? 


390  PARTB  tflCOXOA. 

Sandròun,  Pur  trop  s' gir  bada ,  eh'  adessa  'i  cuntadèlnl  pareo  tanfi  € 
gnolèini  d' Bologna  còun  i  colarèin  e  sframpMIi  al  coli ,  qnand  ana  ynà 
r  jera  grassa  ,  eh'  la  colava  ,  avèirg  un  coli  d' corài  ross  e  pò  maU;  i 
somma,  s*iàn  da  essr '1  spousi ,  j' en  arruvàdi  a  vlèir  un  iibit  d' carità ', 
pò  ghe  pèinsa  i  pòuvr  rzdòur. 

Betta,  Cósr  {  én  seecàgien  ,  probe  i  bo  sèiropr  senti  a  dir ,  eh'  pael  fi 
puel  anca  purtar. 
Sandròun,  Si  *,  mo  tàr  un  vuel  portar ,  eh'  n'  può!  pagar. 
Betta,  Vdiv  mo  s'  V  è  vrgogna  eh'  reuntadèini  porto '1  mod  di  zilUdèi 
In  campagna  ? 

Sandròun,  Mi  en'  gh'  al  nèlg;  mo  l' è  anc  vergogna  a  vdèir  ceri  iim|| 
d^  artsàn  a  vlèir  tùer  su  tutt  'i  mod  di  sgnòuri. 

Betta  Avi  ma  fumi?  Al  s'  conòss  bèlo  eh'  i  avi  poc  inzign  ;  ma  ae 
fùssen  1  sgnòur  e  àltr  prsòun  che  a  caglòn  di  mod  dèssen  da  lavorar  e 
om  e  a  dono,  i  artsàn  cmùed  farìevni  ? 

Sandròun,  Cert  prsòun  pr  andar  in  r  r  oibella  farèvn  cmòed  el  fan: 
vzlli  ch^  n'  i  ma  slàd  emandàdi.  Sgnòura ,  la  s'  è  mòult  arscaldàda  :  ti 
noma  un  poc  In  fai  noslr  parpòsit  d'  pruma. 

Betta,  Dsi  pur  su  ,  eh'  m' imàgin  che  in  scntrèm  di  più  beli. 
Sandròun,  E  pansàva,  eh'  sii  zovnotti  zindalieri ,  a  star  sèlmpr  oh 
brazz  alParia,  egh'dìn  dolèlr  mollbèin  alia  sira. 

Betta,  Si  el  dovrìvn  bèin  più  dolcir  al  vostr  cuntadèlnl  a  far  romp^ 
e  a  gramlàr  la  canva  :  em'  pari  mòult  ardì. 

Sandròun.  (  y  ho  toc  la  panza  alia  zigiila.  ZItt  pur  mo ,  Sandròo 
ch^  al  diavi  n'  t'  altèlnla.  )  Sgnòura ,  eh'  la  n' vaga  in  coltra;  j'bo  vist  p< 
fina  d' colli  còun  di  zandà  in  co  tuo  castròun  e  mal  tapà ,  es  fèvn  ai 
lòur  r  islòss  zoglari. 
Betta.  Lassarli  far  ;  al  gh'  è  sòimpr  la  so  difTerèinza  da  prsòun  a  prsèi 
Sandròun.  Csì  crc<l,  prchò  e  in  vist  anca  d'eoli  cur  al  zandul  imbru 
e  agroppà  d'  dria  dalla  schèina. 

Betta,  A  s'  conòss  bèin  eh*  n'  àvev  air  da  far ,  o  che  n'àvev  d'danir 
spendr. 

Sandròun,  La  dis  la  vrita;  mo  cn  fc  pirò  gnac  scrivr  a  ngun.  Eh  la  ] 
sgnòura ,  àltr  che  al  sambùg  fa  dal  spalpàdr  pr  avòir  dia  frasca  moltbè 
Betta.  On  s' era  pari  un  villàn  mòult  pungèint.    Pr  n'  avcir  occaslÒQ 
perdrv'  al  ris|>èt,  e  vad.  Appunt  e  ved  a  vgnir  là  la  me  serva  eh' la 
dev  fors  zrcàr. 

Sandròun.  V  ara  fors  visi  so  miidra  a  parar  a  cà  i  tampora ,  e  8^  ai' 
eredr  eh' la  sia  la  so  serva:  cmùed  s' fa   ma   prest   a   imparar  a   far 
sgnòura.  Alla  fé  la  cavalla  ha  tmù  al  spròun  :  eh'  la  s'  contèinta   cb*  i 
fai  finta  d'  n'  la  egnossr  :  eh'  r  impara  a  far  mane  la  pavòuna. 

On  s'  tiroma  fora  al  scòurs  dal  Lunari ,  e  demgh'  un  oeciadclla  pr  TJ 
s' al  cammina  bèin.  —  Avrà  il  suo  cmancipio  Tanni  I7tf7  in  sabati  sieofl 
l' usi  di  la  Chiesa;  e  quanto  a  quello  dì  noi  altri  strologhi  cmancipiari 


DIALKTTl   EMILIANI.  Z9i 

11  mini  a  h.  13  e  uo  coperto  per  attruvarsi  in  quel  punti  Marcurio  in 
meno  de!  Cieli  casa  di  Giovo  ;  questo  sarà  di  sua  natura  bagnigno  col  dar 
boDdanza  di  formeinto  e  marzàdeghl ,  cun  la  Pruraavera  sutta ,  V  Istate 
tollirabile,  l'Àvituno  dalizlosi,  ma  l'Inverni  longhi  e  freddi.  Chi  arremo 
poiduoi  dissi  dilla  Luna,  Il  prumo  li  4  flbraro  cumlnziando  h.  is  m.  e 
fino  h.  15  m.  tt6.  L'altri  pur  dilla  Luna  li  is  lujo  a  li.  s  m.  tf  formato  a 
h.  4  m.  S8  fino  h.  e  m.  io.  —  L'  è  vgnù  sira,  che  vag  a  cà. 


Padre  e  Madre  dello  Spo.w, 

S  u  n  è  T  T. 

Set ,  mujera  ,  cir  incùa  r  e  appùnt  col  di 

Ch'  al  s'  muda  affàtt  afTàlt  la  nostra  cà  ? 

La  nuora  vin  ,  vultòmla  o  d' là  o  d'  za  ; 

An^  s'  è  psù  far  a  mane  d' en^  far  acsì. 
Mi ,  per  fSr  bòin  ,  J' ho  fatt  futt  col  che  psì  ; 

Tocca  mo  a  va  a  guardar  eh'  la  n'  gh'  daga  in  là. 

E  percb'  r  an'  fazza  cmuód  qualclf  una  fa , 

Tire  bòin  la  cavezza  e  tgnila  li. 
Vu  si  Rzdora  ;  es  farò  mi  col  che  prò. 

La  par  pò  fiuala  bona ,  e  s'  mài  la  n'  fuss , 

Tànt  e  lànt  an*  s'  ha  gniànc  da  far  falò. 
E  so  bèin  eh'  agh'srà  d'  zent  fluss  e  riflùss  ; 

Ma  per  nù  dù  al  gh'  in  srà  za  fin'  ad  co. 

Fòns'  unòur  j  e  eh'  e  d'  drìa  ,  sera  pò  l'uss. 

^820.  Fra  i  moderni  scrittori  in  dialetto  reggiano  abbiamo 
wlto  onorévole  menzione  del  celebre  conte  Giovanni  Paradisi , 
autore  di  parécchie  composizioni  satìriche  inèdite ,  e  dell'  instan- 
cabile canònico  prof.  Bedogni ,  autore  delle  brillanti  poesìe  rac- 
chiuse nel  Lunari  Arsali  dall'anno  1841  in  poi.  In  Saggio 
Quindi  della  moderna  letteratura  porgiamo  un  Sonetto  del  primo., 
olenti  di  non  poter  pubblicare  di  più  ^  a  motivo  delle  personali 
Contumèlie  o  dei  concetti  osceni  racchiusi  nelle  d'  altronde  mi- 
'^bili  poesìe  di  quest'  autore  ;  ed  in  compenso  offriamo  alquanti 
^niponimenti  del  secondo^  fra  i  quali  una  pregévole  versione 
^^  versi  reggiani  della  Sàtira  d'Orazio  sull'Avarizia,  Chiudiamo 
Poi  questi  Saggi  con  un  grazioso  Sonetto  inèdito  del  vivente  si- 
gnor Pompeo  Cecchetti ,  gentilmente  comunicatoci  dall'  autore. 


503  PkMtK  ticmiDA. 

Ad  un  cailko  Poeta. 

S  u  «  i  T  T. 

sta  mal  teina  »upplènd  (i)  la  leina  d'Jér 
J' ho  v{st  de  d^  sovr*  al  ròmd  in  d'  un  cassett 
E!  vòster  rim  squarzàdi  in  fazzulètt , 
E  e!  j' ho  guarda  prima  d^  spazzàrm  al  msér. 

Mo  a  veder  co!  bel  stil  ^  chi  bé  pensér , 
y  andava  dur  ,  e  a  m^  è  sallà  '1  cagbètt. 
E  pò  a  m' è  gnu  tant  sonn ,  che  senza  al  lett 
J*  ho  durmì  le  in  tV  udòr  quattr'  or  intér. 

E  che  da  st'  fatt  j^  ho  mo  truva  la  vèina 
A  spiegar  perchè  al  dio  eh'  emanda  al  cansòn 
L'abbia  ano  giurisdiziòn  su  la  medsèina. 

E  r  è  perchè  I  vers  ch^  fan  tant  e  tànt  ^ 
La  più  part,  come  I  vostr',  io  vers  cojòn , 
Ch^  pon  servir  invéz  dl^  opi  e  di  purgàoL 

Sermòn  d*  Orazi  Flacc  «ocra  V Avarizia, 

Sior  Josafat ,  lo  eh'  sa  d' astrologia , 
Am'  diga  per  piascr  cos*  è  st*  mapèll 
Ch^a  fa  tutt  sti  moderni  Geremìa 
Tulèndla  con  la  sort  e  con  el  strèll  ? 
Ivel  rasòn  al  Figurcn  d'Milàn 
Quand  al  t' mi  fé  tusar  da  meconlàn? 

V  è  che  in  grazia  dal  sècol  a  \ttpór 
Nissan  voi  tirar  dritt  pr'  al  veè  sintér , 
E  con  poca  fadiga  e  mane  lavór 
Tutt  han  la  smania  de  mluràr  mister  ; 
L^è  r  avarizia  infàm  ,  j' in  i  quattrén 
eh'  han  suggerì  st'  idèja  al  Flgurén. 

y  ho  senti  un  veteràn ,  con  ci  me  uree, 
Adracà  dal  campàgn  eh'  al  n'  iva  fat  : 
Meda  coiu  ai  puvrèi  el  venir  veè  ! 
Sol  iti  can  de  marcàniyén  fortunata 
Fallènd  a  lemp,  robànil  du  terz  per  brazz, 
Devènien  tiori ,  e  «'  mòm  in  di  palàzz. 

(  I  )  SrppelletKlo  «  metmform. 


DIALRTI  BlflUAFII.  505 

Bmedètl  el  maiér  del  giurabàce  i 
(  Rispònd  al  negoziànt  )  mi  m*  tocca  atìdàr 
A  tutti  7  fér  eh'  se  farij  a  battr*  i  tace .... 
5*011  tià  in  vapor  tre  volti  a  vomitar  .... 
Finalméni  il  ièioptadi  cosa  [ani  f 
Se  mar?  te  mòr;  te  no?  V tèi  capitani. 

Un  legai  inciulda  in  t^  un  mzanètt 
Dal  sgiaról  dia  mattona  a  un*  ora  d'sira 
A  slntìr  dai  villàn  tott  II  sajètt, 
E  vendi*'  i  so  parer  a  un  tant  per  lira  : 
Eh  benedètt ,  al  dis ,  T  aria  d*  campagna , 
Quel  cielo  !  quel  bel  verde  !  e  com*  a  t' magna  !  ! 

El  cuntadén  eh'  vìn  dénter  dai  lega 
El  vèd  sti  bè  obelisc  e  st'  el  grandèzz , 
Eh,  el  me  tignar,  al  dis ,  cìie  belila! 
Bendèlt  i  tiori  eh'  pólen  star  a  Rezz  ! 
Intani  noèter  pòver  contadén 
A  «'  tocca  andar  e  vgnir  in  volantén  ! 

In  somma ,  per  finirla  e  per  scurtàrla  ^ 
Ed  cuntént  veramént  a  n'  gh*  è  nissùn  .... 
Mo  eh'  al  senta  st'  idèja  e  pò  eh'  al  parla  : 
Sopponomma  che  (utt,  a  un  a  un, 
Hudèssen  sort ,  e  eh'  psisn'  aver  in  fin 
Tutt  mài  el  coss  che  gh'  gìren  pr  al  buccìn. 

Donc  supponòm  che  Barba  Giove  vrissa 
Scóder  tutt  i  caprlzi  a  sti  so  fio , 
El  ciapèss  al  suldà  e  pò  *\  gbc  dsissa  : 
ra  a  spass  ,  mett  su  butlega  e  fa  colV  vó  ; 
E  pò  al  mercànt:  E  te,  sior  Salomon, 
Lassa  le  H  bone ,  e  mars ,  ciappa  7  tuppiòn, 

E  vu,  sior  avucàt,  lurnè  a  la  zapa, 
E  sbrujè  la  carega  per  Oervàs , 
E  té,  punghèll,  fa  presi,  méttet  la  capa, 
Barattèv  t  mestèr  e  andavn*  in  pàt .... 
Credei  mo  che  sta  ginl  la  ghe  stare?' 
Al  sré  pur  matt  s' al  le  cherdìss ,  al  sré. 

Mo  i  fio , . ,  mo  *l  punì  d*  unór ..,  mo  la  cunzinzia . .  . 
Questa  srè  la  risposta  d' sti  pajàzz; 
E  se  Giove  priss  pèrder  la  pazinzia , 
AI  n'  egb'  dire  suppiànd  con  du  ucciàzz  : 
Sangua  d*  la  luna  !  se  lurnè  a  sta  fola  , 
Ev'  cavare  la  tèj  con  la  brasola. 


59h  PAKTB  SEOOTIDA. 

Al  dirà  che  V  n*  in  cos  da  buffoiiar  ; 
L' è  giusta  ;  mo  1'  è  vera  pò  alcriànt 
Ch'  la  verità  s' poi  dir  anch'  in  scherzar. 
Un  niéater  eh'  voi  insgnar  a  un  prinzipiànt , 
In  t' al  prim  més  al  le  tós  su  dusmàn , 
E  In  t' al  seeònd  al  gh'  mola  I  speramàn. 

J'  ho  principia  anca  me  con  d' ci  bajèll 
Per  fargh'  andir  In  corp  i  me  argumènt  ; 
Donca  e  fag  una  dmanda  a  un  quale  punghèll , 
A  un  o^i ,  a  un  negoziànl ,  a  un  d'  chi  purtènt 
eh*  in  per  mar  e  per  terra  in  tutt  i  sit  ; 
Per  eotsa  imbróini ,  e  fjirnij  e  iaccni  liiì 

Al  dira  bràvaménl ,  eh*  al  t' a/fadiga, 

E  eli*  al  se  slrangla  7  cól  per  meltr^  a  pari  « 
Sul  (fusi  ech  fa  in  campagna  la  furmiga , 
Pr  I  ann  dia  vcita,  e  pr  en*  murir  al  tffuèri  ; 
Che  Vappelilo  infm  Ve  un  edifizi 
Ch*  fa  truttàr  fin  el  beili  eh'  n'  han  giudizi  ; 

E  siccòm  la  furmiga  indusleriota 
La  porla  a  la  so  muccia  quel  eh^  la  poi, 
Pentàud  che  dop  per  la  tlagiòn  piu9o$a 
La  n*  prà  più  sallfir  fora  quand  la  voi, 
E  allora  la  s*  in  rosga  allegramént 
El  pro9i8iòn  eh'  V  ha  fall  in  di  furmèni .... 

Ah  manaròn  !  L'  esempi  del  furniigh 

Al  gh'  entra  cmè  la  corda  in  t' al  prefazi  ; 
L' è  un  paragòn  qucst  che  eh'  un'  vai  un  fig , 
Perchè  vjiètr'  arpij  en'  sì  mal  sazi , 
Con  più  en  avi ,  più  in  vrìssi'fa  l' incontrari , 
f^  furmiga  n'  provéd  che  'I  nezcssarl. 

Vuèter  tutt  istà  e  tutt  invcrcn 
En"*  pensò  che  a  far  muccia ,  manaròn , 
J'  andarissi  pr  un  sold  al  bocc  di'  infèren , 
In  fond  al  mar  e  contra  1  battagllòn  ; 
Pr  un  sdld  . . .  mo  cosa  conta ,  za  sta  gìnt , 
S' as  tratta  d' sold ,  la  n'  ha  paura  d' gnint. 

Ah  pella  d' avaròn  1  cos'  et  in  me nt 
A  tgnir  scpplì  i  scarto^  di  maranghin , 
Scnipr*  in  mezz  ai  spaghctt  tutt  1  mumònt  ! . . . 
Ahn  sé  ?  te  i  roett  a  pàrt  pr  un  bisògn  eh*  vin , 
E  pò  perchè  spindènd  htlt  al  maghèll, 
T*  currìu  in  rìsegh  ed  murir  pwrèll  ? 


DIALETTI  E)IIL1A.N1.  3^5 

Mo  M  in  stc  riscgh  an'  gh'  è  gnint  ed  ver . 
In  t'  na  muntagna  d'or,  d'bcU  cosa  gli' è? 
Bàttet  min  sacc  d'furmènt?  De  per  piasér, 
Al  to  stòmegh  in  linei  più  dal  me  ? 
Abbiet  pur  anc  la  lóva  per  magnar. 
Una  panza  a  la  fin  la  n'  ò  un  granar. 

Di  su,  'l  fumar  eh'  al  porta  in  l' la  bargàgna 
A  quj  eh'  vendn'  a  la  mnuda,  i  pan  da  tri , 
La  vòdel  prima  se  per  sort  in  magna  ? 
Donc  applichè  V  esempi  e  s'  capirì 
Che  a  battr'  un  micra  d' sacc  ,  a  bàtlren  zcnt , 
Un  om  eh'  è  modera  lu  V  è  cuntòni. 

E  so  che  rispondràn ,  eh*  l' è  un  l)el  sguazzòn  , 
Veder  taul  bé  «cartoó  denlr'  in  t' la  cassa  ; 
Benìssem.  Gran  bel  gusl!  Ma  se  un  sCrazzòn 
0)n  i  so  quàter  scozi  tant  a  s' la  passa , 
Csa  conta  al  scrìgn ,  e  i  magazzèn  pin  d' biava  ? 
Per  me  la  fag  V  istèss ,  dls  col  eh'  la  fava. 

Se  quand'  un  om  ha  sèj ,  invéz  d' andar 
A  cavar  di'  acqua  In  t' al  so  pozz  eh'  l' ha  vsén , 
A  gb'  gniss  in  meni  d' andarla  mo  a  caviir 
In  V  la  Mudiéna  con  al  caldarén  : 
Siv  ainatti ,  e  dirìssev ,  mo  dsi  su  , 
Cherdìv  ed  bèvreo  un  biccér  de  più  ? 

E  pò . . .  (  via  za  guardè  se  gh'  ho  rasòn  ) 
A  n*  gh*  i  più  '1  doppi  pena  u  tórla  là  ? 
Perchè  se  in  t*  acchinàrs  al  dà  un  bllsgòn  , 
Al  s' leva  '1  pulgh'  in  t' l' aqua  come  va. 
Sunài ,  va  al  pozz  ;  costa  è  la  via  più  dritta , 
T  la  bevrè  ciara  ^  e  t'  salvare  la  vitto. 

Mo  za ,  pur  Irop ,  adèss  sti  progresslsto 
Fand  consìster  tutt  l'om  in  l'ai  quattréo, 
J'  ban  colloca  al  dinèr  in  cap  ed  lista , 
E  chi  n'  ha  d' sold  V  e  le  eh'  al  fa  'I  bertén. 
A  s*  guarda  i  zens  ,  el  cà  ,  i  fond  ,  e  i  slàbil . . . 
Min  zchin  d' inlrada  ! .  . .  Che  omo  rispettàbil  ! 

Figurèv  cm'  a  eh'  a  s' iiifia  sti  usurari 
Con  da  so  vitto  da  desprà  pitòc  ! 
Lor  en  egh  baden  mlga  èsser  somari , 
Che  r  inzègn  senza  sold  al  cunta  poc . . . 
Pretènder  d'Iar  vergogna  a  chesta  gint, 
A  srè  r  Istèss  che  perdr*  al  temp  per  gnint. 


506  PAKTI  taOOilDA. 

In  t' al  sècol  passa  e  so  eh'  girava 
Un  veó  avàr  per  Rezz  sempr  In  lavàtt , 
Spore ,  taeeuoà^  musnént  (  al  se  spasziva 
Al  grugn  quand  V  èra  a  tavla  eon  al  gatt , 
Per  sparmiàr  I  tv(gó),  ben  donc  slnti 
Cosa  e  dsiva  sto  veè ,  che  capiri. 

Quand  la  inèja  l' stifflava  per  la  strada , 
E  la  gh'  dslva  dia  lesna  e  dal  blrbòn , 
Mulàndeg  (  per  so  us  )  ^na  quale  sassada , 
Cantè ,  canlè ,  al  gbe  dsiva ,  i  me  ttrazxòn  » 
Bravi  t  zighè  pur  fori ,  forti ,  pajàzz  ; 
Me  intani  a  gh*  ho  la  coisa,  e  9u  di  iiraxx. 

E  m' arcórd  che  studlànd  umanità 
(  La  quàl  se  studia  per  dvintar  umàn) 
E  less  d*  un  zert  slor  Tàntel  cundanà 
A  star  in  t'  l' aqua  con  'na  sèj  da  can  ; 
L' aqua  era  ciàra ,  fresca ,  al  la  sintlva 
Contra  i  làber ,  mo  bèver  ?  s' al  ne  psiva. 

E  so  ch^  in  propria  fole  da  umanista, 
Mo  n'  gh^  è  mlga  da  fàregh  tanti  arghign. 
Invéz  ed  Tàntel  dsi  un  capitalista 
Cb'  staga  sèmper  de  e  nott  d' intòrn'  al  scrign  ^ 
Adorànd  I  sacchètt  cmè  un  reliquiari 
Senza  tuocari  mài  ;  e  agh'  srà  poc  svari. 

E  cos*  in  godei  pò  ?  Quel  eh*  a  god  me 
Quand  e  guàrd  el  pittùr  dai  Procazzén  ; 
Al  ne  gudrè  mo  'I  doppi ,  allorachè 
Al  li  mlttìss  a  man  sii  so  quattrén  ? 
Ah!  8' al  savìss  cs'è  i  sold  al  de  dMnco, 
Crédal  che  un  dee  al  stare  viv  d' faso  ? 

Adrè  ai  sold,  prima  d*lult,  a  gh'  vin  al  pan , 
Al  vén ,  V  urtaja  e  tutta  la  euséna , 
E  pò ,  chi  gh'  ha  di  sold  ,  V  ha  tant  in  man 
Da  zugàr  Tunivèrs  a  la  ruléna; 
Ch'  al  pensa  mo  lù  adèss  csa  poi  mancar 
A  un  d' sii  bò  d' òr  eh'  al  sappia  ben  pagar. 

Invéz  ch'ai  guarda  al  strassinà  usurari, 
A  star  desdà  la  nott ,  smaniar  al  giòrn, 
Mez  mort  per  la  paura  di  inzendlari , 
A  stumpàr  al  camén ,  murar  al  fòrn , 
E  s' a  stranuda  '1  gatt ,  s' a  casca  un  ciold , 
L' è  un  làder  eh'  scappa  via  con  I  so  sold  t 


DIALBin  BMIUANl.  397 

Èl  quest  al  bel  piasér  cb'  a  i'  dà  i  (o  bezzi  ? 
Ah  y  qaand  un  om  abbia  da  tur  sV  el  viti , 
L' abbia  da  (ràr  insem  di  seld  a  sV  prezzi  ^ 
L' è  mèi  arslar  pitòc ,  e  tirar  dritt 
A  la  mèi  con  di  strazz ,  che  za  cól  eh'  plas 
PIÙ  d' ètra  cosa  a  sV  mood  l'è  la  so  pas. 

Mo  se  un  aver  l' aviss  da  trars  a  Ictt, 
Pr  un  catarr ,  o  pr  un  colp  (  eh'  l' è  più  d' costùm  ) , 
Chi  gh'  arai  in  d' la  stretta  pr*  1  brudètt , 
Pr  i  fumènt ,  pr  1  cristerl  e  pr  I  perfùm  ? 
Gh'  arai  chi  vaga  a  squinternar  el  port , 
Tant  eh'  ariva  un  duttòr  prima  dia  mort  ? 

No ,  che  nsun  al  voi  vlv.  E  n'  han  asse. 
£n  vèdden  l'ora  d' mèttr  el  J^  unj^  In  zai  : 
M ujèra ,  nvou ,  parént ,  vsén  e  cugna  ; 
Crèppel  f  an*  ereppa  mài  t  qìàand  cherparùl  f 
Fin  i  ragàzz  e  'I  ragazzetti  d' strada   • 
El  vólen  mort  per  iargh  pò  la  vus&da. 

L'è  d'giusty  che  un  sellerà  eh' a  n'  abbia  avù 
Nissùn  amor  d' famija  e  d' amicizia , 
Che  un  om  eh'  ha  duna  l' anma  a  r  òr  battù  , 
Sacrifieànd  incossa  a  l' avarizia . . . 
Qual  dà  in  parete^  dis  i  Flurlntén , 
Tal  riceve,  l\è  d' glust  se  nsun  gh'  voi  ben. 

E  vu  f  avàr  moribònd ,  e  capiri 
Che  par  iares  vrer  ben  ,  an'  basta  miga 
Tgoir  a  cont  1  parènt  in  punta  d' di  ; 
(  Post  eh'  la  natura  e  i  dà  senza  fadiga  ) 
Vrer  che  'v  fàghen  la  cori  senza  interèss , 
L*  è  pretènder  che  un  trol  vaga  pr  esprèss. 

L' iv  capida ,  i  me  avàr  ?  Donca  fini , 
Finì  eia  smania  pòrcgna  d' amucciar  ; 
Za  con  più  bezzi  i  fatt ,  con  mane  e  sì 
In  pericol  d^  patir  e  de  stintar. 
Iv  fatt  di  sold?  Tulìv  donca  dal  strett, 
E  spindii  y  e  gudli  »  siév  benedétti 

Se  no  la  v'  pré  tuccàr  cmè  al  sior  Ursén 
(  Sinti  sta  Tavoletta  ,  e  pò  e  tir  dritt  ) 
AI  qual  gh'  aviva  tant  ed  chi  quattréo , 
Che  n'  egh  psend  far  la  somma  a  ment ,  né  In  scritt, 
L' andava  al  mué  ed  la  muneda  fina, 
E  pò  '1  msurava  1  sold  dentr'  in  d' la  mina. 


398  PAKTI  tHC05IDA. 

Mo  cosa?  Intànt  1*  andava  visli  mal , 
Pèz  che  n' e  I  senilór ,  e  in  chi  tcmp  là 
I  servitór  j' ancLnvn'  a  la  papal , 
Con  ci  rcllqui  d'el  IIvK>i  dia  cà; 
El  stlntava  la  fam  sol  per  paura 
De  n'  andar  per  ncclenza  in  sepoltura. 

Lu  n'  purtàva  d*  cani  Isa  gninl  afàtt  ; 
El  so  gran  trattamónt  J'èrcn  lumag; 
E  V  aviva  al  costùm  (  vardè  che  matt  !  ) 
Ed  sedr'  in  blànc  per  ne  frustar  el  bràg; 
Donca  siniì  che  sinfonia  gh'  Iucche 
Sinlì ,  sle  manaròn,  che  fin  al  fé. 

Al  gb*  avi  va  una  donna  al  so  servizi , 
Donna  fedèl  al  sólll  per  tradir , 
La  quàl  'na  bella  nott  agh'  vens  caprlzi 
(  Una  cosa  da  gnlnt  )  ed  fargh  un  tir  : 
La  tòs  un  manarrn ,  e  pafT ,  la  gh'  sciapa 
La  testa  in  dou ,  to  su  un  saeehètt  e  scapa. 

^j  ai.'  cum^èla,  am'pré  dir  un  avàr, 
Donca  s*ha  d' andar  là  con  al  òrinlàn , 
S* ha  da  flccàri  in  Seccia  sii  dinari 
Adàsi  ;  cm'  a  s' capìss  che  t' è  un  mindòn  ! 
Una  cosa  V  è  (ir  economìa , 
Un'  ètra  V  esser  strie  come  un'  arpia. 

Se  far  al  mauurón  V  è  un  bnitt  mestér , 
Al  n'  è  gnanc  bel  col  d' far  al  consumón  ; 
L' è  al  giiulo  mezzo  eh'  s' ha  da  far  valer  ; 
Quest  rè  al  òusilUs  per  chi  ha  cogniziòn. 
Troppa  grazia ,  diss  coli ,  cch^  toss  in  fall 
La  scòrsia ,  e  pò  'I  saltò  d' là  dal  cavali. 

Ma  per  turnàr  al  fll  dal  me  argumént; 
L' avàr  al  n'  è  miii  quet ,  V  è  sempr  abgbi , 
Con  tutt  quant  i  so  sold ,  mài  l' e  cuntéot , 
L' invidia  I  èter  fin  In  d' eli  arlì  ; 
S'  un  ha  fatt  dal  furmàl  più  che  ne  lù , 
Al  piànz ,  al  va  in  del  furi ,  an'  magna  più. 

Però  pò,  in  d^ r istèss  tcmp ,  ul  guarda  ben 
De  n'  parer  un  puvrètl  in  mezz  al  mond; 
Anzi  al  gh'  ha  adòss  la  spiura  d'  piòé  pulén , 
Per  star  a  gara,  punt  quattrén  e  fond  ; 
El  voi  che  la  gint  diga:  Col  sgnor  là, 
A  par  ben,  mo  Ve  UH  sgnor ,  lu  sé  ch*ol  gh* n*hal 


MALErri  UILIANl. 

InUut  r  avàr  al  bisca  ^'percliò  «n^  gh'  e 
Di  ricc  al  mond ,  eh'  aa'  gli'  in  sia  di  più  ricc; 
Fati  pur  iQàni ,  e  pò  ?  t' fare  come 
Un  caraltér ,  clic  tlrànd  zo  bcrlice , 
Al  frusta ,  al  frusta  per  saltar  dednàna  ; 
Ho  i  rosa  e  van  ed  pass ,  mlga  de  sibnz. 

Ecco  s*  è  véra ,  com'  e  dsiva  prima , 
Che  di  cuntént  a  st'  mond  a  n'egh**  n'  è  brisa, 
E  tult  e  gh^  han  de  dénter  la  so  lima , 
E  s*  fèm  com'  el  lumag  in  d'ia  burnisa  ; 
E  che  i  sold  e  n'  hin  miga  un  elemént 
eh'  faga  viver  la  gint  alegramént. 

No ,  n'  gh'  è  nissùn  che  quand  F  è  a  la  cavdagna , 
Al  possa  dir  d' èsser  sta  ben  al  mond  ; 
Com^  a  r  accàd  a  un  cuntadén  eh'  al  magna , 
E  dop  aver  fatt  panza  e  pulì  '1  tond. 
Al  dls ,  vudànd  V  ùltem  bicccr  ed  vèn  : 
Di  gh'n^armMia  iani»  che  iiag  giuit  ben. 

Ma  basta.  Andèm  iuànz  acsé  a  la  mèi  ; 
Za  infin  a  se  gb'  sta  poc  »  e  U  simlteri 
L' è  là ,  che  a  bocca  averta . . .  ostf  «  oèi, 
Em'  sent  a  dir ,  adèu  Cem  ve  s^l  seri  ? 
Ko ,  no ,  eh*  al  scusa ,  al  rcst  al  le  sintrà 
A  la  prèdica  In  Dóm ,  s*  al  gb'  andarà. 

Costumi  contemporaneij 

studj  intimi  e  ritratti  del  bel  mondo  {{), 

S'  a  gh'era  dia  barbària  a  i  terop  di  ve^ , 
8'  a  gh'  era  dia  miseria  e  dP  ignoranza , 
Adèss  a  regna  al  còren  d  . . . .  T  abundanza; 
Adèss  al  mond  a  s'gh'è  scurii  gli  urè2: 

Se  s*  tiràven  su  el  bràg  con  el  xirèll , 
Se  i  pagn  s' ercditaven  con  i  stàbll  ; 
Adèss  modist  e  sart  e  gust  variàbil 
E  v'  snudn  ogn'  més  dai  scàrp  fin  al  cappèll. 

Se  gh'  avivn  a  chi  de  di  sold  in  cassa , 
Adèss  e  s' fan  girar ,  e'  l' e  san  al  mot  ; 
S*  a  gh'  era  da  chi  de  mundbéo  d' devòt , 
Adèss  a  gh'  n'  è  moltissem  ...  di  bardassa. 

Vii  e»tr«Ui  J4I  Lumai. 0  Baggiano, 

30 


tn 


400  PARTE  SECONDA. 

Se  chi  vcé  e  scampavcn  nuvanl'  unii , 
Ignurànt  fln  dal  noin  d*  apoplosiu , 
Adèss  almàac  e  v'  sòncn  V  angoiiia 
A  mala  péna  a  8*  riva  ai  ziiiquaiil'  ami. 

Sicché  danti  jin*iicciada  a  i  tciup  d'  alóra, 
E  dand  un'  atra  ucciada  a  i  temp  d*  adèss , 
An^s'pól  niiga  negar  un  zeri  progress. 
Che  vedròni  pò  compi  quand  a  srà  óra. 


La  Cometa  e  /'  Edinw. 


Iv  mài  vlst  in  t' la  testa  il'  na  cunictta 
Una  trezza  piò  longa  d^  quella  là? 
L'è  glust  eh* a  gh'  vója  tant  mill  ann  d'tulella. 
Prima  eh'  la  s' faga  veder  fora  d' cà. 

Su  per  la  mura  andóm  con  la  lorgnctta , 

Guardo  s'  l' è  bella,  e  dsìm  pò  s*  la  v**  piasrà  : 
Vdiv ,  anch'  al  zel  al  s' fa  passar  st'  uretta 
Con  al  délmi  d'  un  astr',  o  d' cól  eh'  al  srà. 

Basta  che  n'  fidi  miga  la  materia 
De  squinternar  el  mur  d'  sant'Agustén , 
Com'  a  9'  fare  d' un  banc  a  r  òpra  sèria  : 

Aiich  a  r  an  d'Ià  quand  ha  passa  l'eclìss, 
Staud  su  pr  i  cópp  a  gh^  fu  di  muscardén 
eh*  rumpivn  al  te£  e  che  zigàven  bis  ! 


-'^m»^ 


A  i  temp  indré  8*a  s'era  in  cum|Kignìa, 
A  s' stéva  alégher  senza  sudizióu. 
Con  la  banzóla  }k  s' igni  va  in  alegVìa 
Per  tutta  sira  una' conversazión  ; 
Che  battimàn ,  che  rìder ,  che  mapèil 
Ch'  a  s*  fiiva  tanti  vòlt  pr  un  indvinèil  ! 

F  pò  passànd  ai  seri  e  gh'  era  al  victt 
Ch'  cuntàva  una  storiella  d' gioventù  ; 
La  Sempronia  cantava  el  cauzunclt 
Con  un  gust ,  con  un*  aria ,  che  mai  più; 
A  passava  la  sira  come  al  vcnt, 
V.  luti  s'n'andiivn  a  Iclt  san  e  cuntcnt 


\ 


DIALmi  BMIirAflI.  HOì 

Adèss ,  in  grazia  dia  filantropia , 

Bisogna  0  far  la  mùtria,  o*maniniriir, 

E  annnjàrs  fazènd  mostra  d^  alegrìa , 

Suppiàndes  spèss  al  nas  per  sbadacar  ; 

Perchè  a  dispèt  dal  brio ,  di  lum ,  del  donar, 

A  gh^  è  d'nóv  a  tgpir  dur  contr*  a  la  sonn. 
E  i  póver  veé  che  vagbn  in  t'  un  cantón , 

Con  I  so  bemardón  e  al  leggendàri  ; 

Ch"^  e  dàghen  post  a  la  murmorazlón , 

0  a  i  murós  mal  madùr ,  o  al  inat  contràri , 

Ch'  al  prinzipia  squacciànd  i  flgadén , 

E  al  flniss  con  al  roch  e  un  biccér  d' vén. 


Quand  scrivìva  Ouldòn ,  l' andava  mài , 
Perchè  al  pòpol  gudiya  e  al.s'  instruìva  ; 
Adèss  che  al  pòpol  r  è  sentimentàl , 
S' an^  gh^  ha  ci  làgrem  a  i  znoé,  an'  dls  evviva; 
Tant  è  véra  che  ,  mort  al  sior  Guldón , 
A  s' è  pers  i  Brighella  e  i  BaUnzón. 

S' intènd  pò  a  dir ,  che  a  pSghen  a  un  cantóni 
Pr  un  quàrt  d' óra  d*  ragaja  i  mezz  milión  ; 
A  vin  la  spiura  d'iniziàrs  al  cant; 
A  vin  la  smània  d'imparar  Tazión, 
Perchè  a  s' ved  a  la  fin,  eh'  a  se  gh'  fa  beli , 
E  a  vài  più  la  ragaja  dal  zervèll. 

Quindi  n'dagh  miga  tori  a  chi:  peglòll, 

Ch'  fan  dar  di  trcmulàzz  in  V  al  prim  sonn , 
Fand  la  prova  per  Rezz  dop  mezza  noti  : 
Lassomma  pur  eh'  a  s' inspaventa  ci  donn , 
Che  me  intani  a  dirò,  vultànd  galóa: 
Cantàl  canta,  ragàzz^  che  gh'i  rasón. 

<^oneUo  inèdito  del  signor  Pompeo  Cecchetti  di  Reggio, 

Novella. 

Una  sira  a  s'truvàva  a  1'  ustarìa 
01  o  dcs  fra  captar  e  zavalén  : 
Sii  ragàzz  e  magnaven  tanto  l)én , 
Ch'  cs'  srcn  ditt  dilettànt  ed  pucsìa. 


hO%  PARTE  SBGO?(DA. 

L' era  liird ,  mo  n*  se  psiva  scapiir  via  , 
Perchè  in  dés  en'  avìven  che  un  lirén  : 
E  r  ost  eh'  i  «spiava  lò  sott  al  camén , 
Al  priniipiava  a  dir  quSlcli  eresìa. 

Per  bona  sort  a  capita  un  vilàn. 
Che  sema  star  a  far  lant  cumplimènt , 
Al  s' mett  a  sédr ,  el  dmanda  cosa  fan? 

Al  più  sveli  rìspundè  :  Una  ragauida, 
L*  è  una  maléria  eh'  la  s' è  ^ignuda  in  meni , 
E  a  piga  tuli  chi  indvina  una  sciarada. 

Cos'rla  sfa  tarroàaT 
L' è  un  indviaèl ,  sintì  :  cos'  è  cól  còas 
Che  n* g'  ha  ne  pè,  ne  gamb  ,  ne  peli ,  né  oss , 

E'IsàlUtntt  i  foss? 

Vi^  té,  tè,  tè /Enlarza  (Tmmm  iimama .' 

£  rkè  imàpimàda  sema  ck'mi  s'odaao; 

trà\^  vilàn  !  T'j'è  pròpia  on  om  d' lalént; 
Pi^;  e  I*  pnghè  ;  bo  r d^va  sòl  tra  I  dent : 

SaMèlt  «Bar  sapiènt  ! 


Lèitra  tcriita  dal  B A al  signor  Nicola  Bi 

maèstr  di  Paggi  de  S.  A.  S.  in  Jfi/Jii,  e  deputa  dia 
nità  de  Sistola  so  patria,  per  la  tutoria  di'  V  ha  oU 
favor  di  Pastór  e  PossùUnt  per  Faffàr  di  Campdz, 
lolken  tnettr  a  culti^aziòn  da  X  X, 


Jmig  ear'utim  ^ 

A  quei  patràs  ingiùst  e  pin  de  liòria(t> 
Al  <k  Ini  va  chi  gh*  a  mesdà  U  biava 
In  (azza  dal  Pacs;  quand  men  s' pensava  . 
I  Pastór  ban  avù  la  gran  vittoria; 
E  adcM  i  pòn  condùr  alla  pastura 
Tutt  el  so  t>esti  senza  aver  paura. 

L' è  vera  eh'  a  gh'  avi  dà  l'assislenia 
E  Catt  sentir  sì  ben  el  so  rasón; 
Tutta  la  gloria  è  vostra  e  diligenza. 

(i)  1  procDotori  della  colti vasiooe  dei  Caujiacci  non  mcriùiano  di  «iter 
perchè  ciò  col  tempo  sarcblic  italn  di  grande  vantaggio  al  Paese. 


DIALETTI  'ElilLUNI.  405 

Tatt  én  contènt ,  e  s*  godn  al  beli  e  al  bon. 

Ma  al  fu  fatt  re  al  Pastór  eh*  mauò  Ck>lia , 

E  al  premi  ci'  va  eh'  ai  scdlt  an'  so  qual  sia. 
Al  srà  r  amor  di  vòster  patriot , 

Che  n'  sran  ìngràt  a  cgnòssr  al  benefizi. 

Vtt  sertamént  an'  v'  sì  tratgniì  in  balòt 

A  mettr  in  vista  tutt  i  pregiudixi. 

In'  psiven  sceglier  deputa  miglior 

Che  gh*  la  cavassa  con  maggior  onór.* 
Vu  avi  coi  vostr"amìg  sbrujà  l'affàr, 

E  fatt  costar  quant  sia  d'  comùn  vantàz 

La  praderia  i  armént  a  pascolar, 

Pr  averne  ifrutt,  e  a  mantenerne  el  raz; 

E  acsé  pensàvn  i  nostr  antìg  pastór 

A  ftir  cuntént  la  turba ,  e  a  farse  sgnor. 
L*  è  andada  mèi  acsé  senza  fracàss  ; 

Dalla  virtù  fu  vinta  la  questión  ; 

L' abbà  Nicola  ha  moss  sì  ben  i  pass , 

E  destés  acsi  ben  l'informazión, 

eh'  al  Sovràn  ha  cgnossù  la  verità 

De  turnàr  i  Campaz  air  ùs  de  prà. 
Bella  provincia  degna  d' ogni  ben , 

Madre  degli  art ,  e  de  sì  be'  talént , 

Che  god  fecónd  in  pas  i  su  terrén , 

E  al  comerzi  gira  dai  possidént  : 

In  fin  nel  nòster  Stat  V  è  un  pez  da  s'sanfa 

Con  la  bencdizión  de  Terra  santa. 
Sèstola  a  intènd  de  dir  la  fortunada   - 

D*  aver  un  flól  tra  tutt  i  Sestolén 

De  giudizi  e  d' sapienza  rafinada , 

Che  s' è  si  fort  impgnà  pr  al  comùn  ben , 

E  s' ha  senza  quattrìn  purtà  vittoria 

Degna  da  eonservàrs  alla  memoria. 
Vu  si  quel  fiòl  eh'  a  pari,  Bàrtoli  car , 

Dia  terra  vostra  onór ,  di  prct  decòr , 

Che  con  sti  straz  de  rim  av'  vuré  ludàr  ; 

Ma  en"*  son  capàz  de  tèsserv  un  allòr; 

Intànt  av*  àugur  bona  sort  e  pas , 

Av'  salùt ,  av'  abràz ,  e  av'  dagh  un  bas  (i). 

^^)  Questa  LcUvra  la  .stampata  in  Milano  per  Anloiiio  Agnelli  rrgiif  ttampalore  nel  177^» 
^^^  *o  cui  monsignor  Niccola  Bàrtoli  ottenne  ila  S.  A.  S.  Francrsco  ili  duca  di  Modena 
■Onero  annullati  i  contratti  di  livello  della  praterìa  detta  i  Cumpucci  e  restituiti  ad  uso 
^••wlo  comunale. 


404 


PARTE  SECONDA. 


1760.  Le  seguenti  poesie  furono  dettate  dal  pastore  Nicola 
Galli.  A  dir  vero  non  vi  abbiamo  riscontrato  né  originalità 
concetti,  né  mèrito  poètico.  Che  anzi  la  maggior  parte  dei 
é  sbagliata  nella  misnra.  Siccome  peraltro  ci  sembrarono  tutt.:^' 
via  bastevolmente  interessanti  per  la  purezza  del  dialetto  ^  così 
le  abbiamo  qui  unite  senza  toccarne  sillaba^  per  tema  d'alterarane 
le  forme. 

Al  signor  Segretario  di  ò\  A.  S,  Francesco  IIId'Este{i)  • 


Reverénd  Segretario , 
La  posa  giò  al  Breviàrio  , 
E  eh'  al  negh'  para  fadiga 
A  lègger  st'  quàtter  rig 

Scritt  da  un  vilan  (s) 
Che  'n  sa  parlar  toscàn , 
E  poc  alla  destesa  ; 
La  ne  s**  tegna  dono  offesa  : 

Che  al  difèt  di'  increanza 
Nasse  dall'  ignoranza. 
8ia  malcdct  i  me  pcà  I 
E  son  tant  desgrazià  , 

Che  n'  so  dir  una  parola 
Ni  in  vers  e  ni  a  fola  ; 
E  sta  volta  cn*  poss  star 
Che  ho  bsogn  d'  rasonàr 

Con  Lustrissma  Vosgnorìa. 
Quand  s'  fava  la  gran  via  (s) 
Pr  ubidir  a  So  Altezza , 
La  gent  con  allegrezza 

Passava  da  tult  ci  band 
Es  andàvan  descorrànd  : 
Andèn  alla  via  ducale, 
E  mi  era  caporale  , 

Che  cniaiidàva  cs  lavorava  , 
E  vdcva  cs  osservava 
La  gran  puntualità 
De  tutt  quant  et  Comunità 

Dia  provincia  dal  Frignàn  : 
E  tutt  di  man  in  man 


-El  contava  es  e  gU  ho  scritt , 
E  per  quràt  en  estò  zitt  ; 
Ch'  al  fo  saver  al  mond 
Dalla  lima  sin  al  fond 
Dia  montagna,  e  d' tutt  al  pia 
E-  fors'  anch  sin  a  Milào. 

{*) 


Cime  cos  dighe  mai  ! 
Che  n'  trovàss  adèss  un  guài , 
Un  esìgilo ,  0  un  càstig 
A  dar  sì  gran  intrig 

A  un  personà(^  par  so  ; 
E  poss  ben  dir  oibò. 
Quest  voi  èsser  un  brutt  fatt. 
Sfa  volta  s*  i  m^  dan  dal  malt, 

E  dirò  V  è  sta  me  dann  : 
Può  èsser  che  m' inganna  ; 
Mi  n^  so  dir  altra  rasón  , 
La  s'  mantegna  san  e  in  ton 

In  t' al  so  ^MMt  d'onór , 
E  preg  al  nòster  Sgnór 
A  liberar  dal  cos  funeste 
La  nòbil  Casa  d*  Este. 

La  me  scusa  e  la  m'  perdona 
Se  ho  tedia  la  so  persona  : 
E  s' ben  eh'  al  sia  lontàn  , 
E  gh'  bas  al  pè  e  la  man. 


(1)  Monsignor  Nicola  Bàrtoli  di  SèstuU  ,    protoootario   apostòlico  e  prtrosto  M\»  d' 
rliiosa  di  S.  Maria  Pomposa  in  Modena. 

(a)  Nicola  Galli,  che  r«almente  era  pastore  ,  e  senta  studio. 

(3)  La  Via  Giardini. 

(4)  Mancano  alcune  carte  nel  mauoKriUo. 


DI  A  LOTTI   ntfLIANI.  405 

Ina  Donna  eh*  dmanda  da  filar  par  land  sestolés. 


li  e  son  v^gDÙ 
qui  dman  da  vù 
'  dad  da  filar  , 
b  a  lerch  d*  guadagnar. 
lalUi  montagna  9 
e  psi  vedr  ai  pagn  , 
Ih  d' bisèl 

^van  glò  a  c^mpanèl. 
desgrassià 
idà  con  f  soldà    - 
1  l' ba  sentù  al  lambii r  ; 
sr  che  n^  me  n'  incùr. 
mod  9'  0  stava  a  cà 
va ,  cmod  es  sa  , 
1^  fèss  le  spese  a  !ù  , 
oè  am"*  toccava  su. 
1  m' ba  lassa  soletta  , 
pan  an  n^  ho  una  fetta  , 
quàter  fansìn 
starén  sot  a  un  corghìn. 
ibe  800  mi  sola  , 
Ì9  la  famiòla , 
ruv  da  mangiar 
1  rocca  e  al  me  filar, 
tutte  ci  Ale  re 
presta  in  t' al  mcslerc  , 
ira  e  lil  più  mi, 
*  fa  un'altra  in  tul  ni  dì. 
itonio  me  compàr 
un  gal  in  t'  al  polàr; 
[  e  sent  eh*  al  salta  sii, 
erdì  che  staga  più 
r ,  mo  in  t'un  trat 
V  su  dit  e  fai , 
'  met  in  co  ni  traI)sM  , 
imbàl  e  la  slancila  ; 
em'  son  afflubà  , 
in  via  per  rà 
olta  dal  camìn, 
un  zolfanin  ; 
su  al  stopi  n 
ma  un  podio , 


Es  al  bagn  e  pò  T  appìz 

'  E  pò  fo  kiàns  i  stiz. 

Quand  e  jò  apià  al  fog , 
Em'  met  li  in  tal  me  log  ; 
Che  sto  sempr  in  t' un  cantòn 
Con  la  me  rocca  a  galòn. 

E  lì  prilla ,  9tor£  e  tira , 
Tutr  al  dì  fin  alla  sira 
Bmpj  e  vod ,  e  cav  e  mett , 
Fila  e  ioaspa  e  fa  gavètt. 

En'  manj;  mai  un  bcòn, 
Donn  mi,  che  sappia  bon 
Per  la  gola  d' lavorar 
En'  ho  temp  mai  de  mangiar. 

Quand  e  log  al  fus  in  man , 
Em**  mett  in  grerob  un  pan , 
E  pò  di  quand  in  quand 
E  in  tog  un  bcon,  es  vo  mangiànd. 

E  jò  pò  quest  pr  us , 
Che  n'destàc  mal  al  fus 
S'  al  n'  è  gross  de  pieha  man , 
Che  tutt  i  me  vsin  al  san. 

Ev  vo  mo  dir  d'  più 
eh'  al  sràn  là  da  nù 
Da  zinquanta  montanàr 
.Che  n^'fan  altr  che  filar. 

E  se  vii  che  al  diga  tutt 
Tant  el  veccic  cmè  V  putt , 
E  al  dirò  se  stàd  attcnt 
Che  gr  jo  tutt  a  ment. 

yai  ■  •  •  •  •  •  •  • 


Quest  tutt  che  v'  ho  conta 
San  tgner  la  rocca  attacà; 
Mo  e  in  prò  dir  più  d' cent , 
.eh'  a  filar  gli  en  valcnt. 

Alo  a  diri  In  conclusiòn 
Mi  n'  acatt  parangòn; 
Che  gr  ho  tu.tt  supera 
A  far  seg  al  goccia. 


OBO  tralasciati  i  aomi  di  vàrie  filatrici,  riteocadoli  inùtili,  perchè  strambi. 


%M 


FARTB  SeGOHDA. 


K  per  lllàr  u^uàl  e  tond 

Ah*  >^  in  trov  io  tuli  al  mond  ; 
0\U  far  leu  d'Uà, 
n^ta  dop|>idi ,  •  itedÙL 

K»^  per  9orl  e  vii  vdèr 
l«  mhk  ovr««  rè  al  dver 
Cà*  ew  «MMlr*  s*  la  v«  pUs 
Ho  a'e$à  dai  p<»  d^  «a». 

C«ardÀ  qui  M'  (^MOfesèt  » 
ClM  vdrì  cttMKl  r  è  beli; 
ijiw»!  è  »lMpp%«  <<tii»4  carwl: 

vv  ìli  dta\ .  1^  ■!&  iiìi  ? 

\9  par  a  >ù  ch^al  sia  bel? 
Mt»  (uardii  »4'  attr  yiiiìèi  « 
Cb'  ^  %h>piM  d' la  più  cattiva 
^ii'  uià'  altra  «mì  u'^g"  arriva. 

^jiftaud  1^  d«^  ia  r  una  rticea 
1^'  caraòl  tNu  Ui^^rà» 
H  IO  iJMà  iil>  cH'  a^*  :<ù  dir  «1  » 
^'  Uh  :w<da  a  a*  ^  asnM. 

>lià  X  r  ò  iK^  «.HMKa  mal.. 
Il  u'  Al  ]^kt»  lar  v^aàl  ^ 
Che  !«a4  <lh»  ^4all»  slrwp 
IM*a  iiMp«^  a«i  PM  tropi. 


E  ]ò  ben  pò  la  petnella, 
Gh'  tutt  al  di  la  mia  sorella 
La  sta  seiQpr  a  petnàr; 
E  mi  attènd  sempr  a  filar. 

Orsù  donca  n'  manca, 
Se  vii  èsser  ben  tratta, 
Dim  un  pò  da  lavorar 
Cb'  em  possa  sostentar. 

Dam  donca ,  se  vii, 
Lin ,  stoppa  e  qnei  cb'  ai  ; 
Cbe  per  cont  dal  pagamènt 
k  n'  srà  da  dir  niént. 

B  torre  robba  e  qnattrìn 
Bofliiiòl,  rémolà  pan  e  vln, 
Caffltsòl ,  cali  e  straui 
eh'  i  sran  bon  pr^  i  raganl. 

Orsù  e  TQol  andar  In  su 
ih*  en  posa  star  qui  più. 
Ch*  i  rafài  stan  a  spiar 
eh'  cg*"  porta  da  mangiar. 

Doon ,  mi  dooc  em  arcmànd , 
^  vfBl  mal  da  qnel  band 
VegBÌn  a  star  da  mi. 
Che  start  la  mII  e  al  di. 


tili;i»t»i>     KsBftAKKSC. 


I7i0.  ft  filalo^  se^oeiile  è  tratto  inHe  f^eng  tern 
di  Gùrobso  Bvudkll ,  e  lo  porgiamo  omk  il  Saggio 
da  noi  rinvenuto  del  dialetto  ferrarese. 


m-  eh'  anp^Ua  t  Palròn%  àtiiu  fwecffh. 
D  f  A  L  e  e  a. 
Znm ,  Ikmórd ,  Tma»m  ,  Buriim , 

Z*fm,  A  voi  !  a  voi  f  a  voi  \ 

t  può  I  n'  voi  eh'  i  appa  argnoì 

I  ruetAh,  %'  con  tult^al  ^  cridàr . 

La  /.ent  n'  i  %'ol  scultàr. 

A  voi  !  Mo  cossa  e  quella  ?  una  crìatura 

Quella  eh'  è  li  pianta  ? 


DIAUSrri  EMILIANI.  %07 

La  nott  è  tant  scura , 

eh'  a  n'  r  aveva  arvfaà. 

1 1' ha  pur  vlù  piantar  in  so  malora 

Quel  maladèt  flttón  in  s*  al  sagra 

SU  bndìt  Fra , 

Perchè  l' carròzi  an'  gh'  rompa  \  s6  sunnìn 

Inànz  al  Maltutin , 

E  nù  a  tgnen  star  chi  fnora , 

Acsi  per  bel  dilètt; 

A  bàtter  dr  brucchètt. 
Bem.  Ah ,  ah ,  ah ,  ah ,  ah  ,  ah  ! 
Zpon.  Chi  è  quel  eh'  mlnciona  là  ? 
Bem.  Ih ,  ih  ,  ih ,  Ih  ,  ih,  ih  1 
Zpofi.  Chi  è-  quel  eh'  sgrlgnazza  li  ? 

0  Bernard ,  4ett  ti  ? 

Ho  an'  n^  ho  donca  rasón 

S' a  i  ho  sqnas  spia  al  timón 

Per  causa  d*  quel  flttón. 

Mo  ti  è  vgnù  acsi  a  bun^ora  fuora  d'  cà? 

eh'  ora  è  ? 
Bem,  Qnattr'  or  sunà , 

E  la  Cmcdla  n'  è  gnan'c  alla  mità. 
Zpoii.  Ch'  dièvul  fai  sta  afra  sti  sdiapin  ? 
Bem,  Opera  nuova  :  i  Quàtter  Truffaldin. 
Z9an,  La  merita  i  quattrìn. 
Bem,  Sent  mo  là  s^  i  sgrignazza  a  bocca  averta  ^ 

Ch'apar  ch^i  n^happa  più  vist  terra  dsqucrta! 
Zpon.  Lassi  rider ,  eh'  i  paga. 

Mo  lassa  pur  ch^  la  vaga. 

Sta  volta  i  comcdiànt  i  gh'  ha  al  so  pan. 
Bem,  A  m^armètt  a  Stadiàn, 

Stadiàn  al  portinàr. 

Mo  di  volt  r  è  un  gran  spass 

A  sentiri'  a  arida r 

A  quel  spurtèll  da  bass  : 

Fé  largb  a  st'  cavaliér  ;  largo  ,  Zelenza  ; 

Quest  è  d'  Cort  d' So  Minenza. 

Franco  sto  gentilòm  ;  e  al  va  buttànd 

Di  titol  solennìssim  d^  quand  in  quand , 

Ch^a  in  tocca  a  tu tt,  e  nsun  s^pol  lamentar. 

L' altra  sira  all'  intràr 

jy  un  peruccón  bellìssim , 

Larg ,  al  cridò,  fé  larg  a  sC  illustrissim  ; 

E  sat,  Zvannòn,  chi  llera?  Lieraun  cuog 


i08  PAHTE  SECO^IDA. 

Vslì  d'  culòr  fuog. 

Mo  n'  n'  bai  dà  di'  czzelcnza 

Fina  al  cont  ButU  V  àsn  in  so  presenza  ? 
A  gh'  n*  è  acsi  più  d'  quàtter , 

eh'  vien  a  posta  al  t caler 

Pr  èsser  lustra  alla  porla , 

Con  al  stafflér  eh'  a  gli'  porta 

Al  fanàl  e  ni  tabàr, 

E  i  paga  quel  eh'  a  gh*  par  ; 

Du  Pattacùn ,  la  so  Bluraiuletta , 

E  butta  in  la  cassetta. 

Perchè  a  s'  diga  eh'  i  paga. 
Z^an,  SV  ann  a  bsó  eh'  la  gh*  daga 

In  sti  burdié ,  perchè  nuàlter  cucciér 

Aiòn  d*ognÌ  mumént  In  serpa  al  msìér, 

E  a  sten  scmpr  in  andar.         ^ 

E  flna  dì  a  n*  gh'  è  V  asi  d' dstaccàr. 

Zira  chi ,  zira  li, 

Tutta  la  nott  e  al  di,  ,- 

D' za  e  d' là ,  d'  su  e  d'  co  ; 

Da  qla  banda  ,  da  st'  co; 

Dal  Diàvul  e  da  so  fiól , 

Per  fina  eh' a  n'  s'  rumpcn  na  volta  al  coli. 
Dem.  V  è  di'  a  n'  so  cmuod  ql  rozz 

Puossa  tirar  quel  brozz  , 

E  pur  an'  ifè  tàcul; 

J'  è  cavai  cif  fa  miràcul. 
Zvan.  E  eh'  miràcul ,  fradcl  ; 

S' t' savìsset  cmuod  gh'  sta  la  peli  ! 

Paja  saetta  d' ogh'  ora  ; 

E  gh'  in  fuss  anc  in  so  tanta  malora  : 

L'è  eh' di  volt  per  biava  e  per  fén  séett 

Ha  bsgnà  darg  da  mugnàr  infina  ai  lett. 
IknL  A  i  ho  prò  sentì  a  dir  da  un  mie  amig  , 

eh'  alla  fiera  d' Ruvig 

Al  voi  tuor  di  Platùn. 
Zvan.  Chi  ?  al  mie  patron?  al^lurà  i  so  luincìùn. 
liern.  Mo  a  so  pur  mi  chM'  e  a  torn 

A  métter  sii  na  muda. 
Zvan.  Eh ,  al  m tra  su  1  so  corn. 

Mo  con  qual  ?  Bsò  eh'  'al  suda. 

L'  è  un  ann  eh'  V  induradòr  ha  quel  cuppè 

E  a  n'  s' accatta  la  vie 

D' farai  vgnD*  a  rà . 


DIALETTI   ENIUA^II.  400 

Perchè  al  povr'  om  voi  prima  èsser  paga. 

E  s'nient  nient  al -sta 

A  tuòral  In  T  annessa  (mo  an^  par 

di'  mal  al  gh'  appa  da  andar),      .    , 

si  ben  eh'  il  n'  ha  speranza , 

V  andarà  vie  V  usanza. 

Mo  sent  pur  :  quest  è  nient. 

A  gh**  è  può  i  furnimént 

Mexz  Impgnà  dal  slar, 

E  mezi  dall'  uttunìr  ; 

E  per  n'  i  vder  fumi  . 

Al  n'  passa  più  per  d' li. 

Crédei  eh' a  stema  fresch,  al  mie  Bernard; 

Eh  nù  a  scn  nassù  tard 

Per  veder  in  bon  post  1  carruzziér. 

Quest  gnanca  lù  al  n'  è  più  al  bon  mister. 
Bern,  Mo  a  vuoi  eh'  t'  m'  al  digh'  a  mi 

S' anch  quest'  è  .un*  art  falli. 

S' at  vdiss  sta  llvrè,  a  gh'  n'  è  più  fil. 

A  gh'  è  un  sart  in  curtil , 

Cb'  n'  ha  falt  ogn'  ann  tunnina  : 

E  mister  Tirurlna 

Gh'  ha  lavurà  d'  dritt  e  d' arvèrs , 

Mo  adcss  d'tegnirl'  insièm  a  n'gh'è  più  vcrs. 
Zvan.  Sent  mo  là  qla  Tampella 

Ch'  vien  vulànd.  Èia  quella 

Dal  cont  Impernigà  ? 
Sem.  No ,  rè  un  mèdog  eh'  va  a  cà. 
Zvan.  Al  par  ben  lù  :  mo  credm  ,  Tè  Tmasòn; 

T'  n'  vcd  qui  kinternòn 

Ch'c  sbus  da  tutr  i  co? 
Beni.  L'è  lù^Tè  lù ,  Tè  lù. 

Ben  vgnù ,  cumpàr ,  ben  vgnù. 
Tmas,  Sòiàv  ^  zuvnotti  ;  gh'  è  posta  , 

Ch'  un  tantin.a  m' accosta 

Anca  mi  sotta  st*  volt? 
Zvan.  Si  ben:  dà  indric ,  Bernard  ,  eh'  anca  mi  a  gh'  dag. 
Tmcu.  Basta ,  -basta  ;  eh'  a  gh'  stag. 

È  sunà  '1  quart  ancora  ?  • 
Bern,  Si  II  è  lì  eh'  el'  fa  1  fus  ; 

A  srà  ben  dbott  un'  ora  ; 

E  'I  cinqu  è  in  su  al  bus.  > 

T\na8.  E  a  n'  è  gnanc  fnì  st  burdèll  ? 
Zvan.  Si  f  adèss  i  e  in  t' al  più  beli. 


kìO  PARTE  S8C0HDA. 

Tmai,  E  sì  al  patron  m' ha  diti  eh' a  viena  presi. 

Cosa  vor  mai  dir  quest , 

M' al  sat  dir  ti ,  Bernard? 
Bitm,  A  Sfa,  ch'ai  Matùréng  al  srà  vgnù  tard. 
Tmai.  As  poi  ben  dar.  0  sten  pur  chi.oanUind 

La  falitélla  e  la  paisiè  d' Urlànd , 

Fina  eh^  al  patranzìn  s^  in  sent  là  vola 

D' andàrsn  al  so  boia. 

Oh  ch^  vita  maladetta  !  s' poi  mo  dar  ? 

Sr  viàz  do  volt  ogn'  sira  a  i^  ho  da  far. 

Prima  eh'  la  cmedia  finissa  al  vie»  lù  fuora 

E  8^  voi  eh'  al  mena  a  casa  d' tona  sgnora , 

Mojéf  d'un  brentadór ,  in  Tua  euntrà 

Ch^  an'  gh'  è  alter  che  qla  eà. 

Quella ,  quella .... 
Bem,  Sì,  si , 

Tmasón ,  a  r  ho  capi  ; 

A  r  ho  vist  anca  mi  quel  cunfalón, 

Quand  'na  volta  a  fu  imprèsi  dal  lo  patron. 
Ttnas»  E  può  a  bsò  che  dop  l' quàttar 

A  toma  anch  al  teatar 

A  tuor  su  la  patrona ,  e  al  marchsìn 

S^  in^  va  in  t' i  camarìn 

A  sugar  fina  di,  • 

0  fina  eh'  i  è  fallì. 

E  s'  a  n'  Indvin'  al  punt, 

Prest  i  m^  daric  i  mie  cunt , 

E  a  cascariév  al  tiel  dal  grand  armór , 

E  a  mi  tuccaric  a  tuor. 

Cm'  a  son  a  cà ,  e  eh'  a  1'  ho  missa  zò , 

A  bsogna  tornar  d^  co , 

E  dar  volta  in  qla  strada  eh*  a  v'  ho  ditt , 

E  star  li  a  vent,  a  fraza  derelitt 

Infina  eh'  la  pittona  ha  cu  va  i  voov  ; 

E  a  sona  li  ott  e  V  noov 

DI  volt ,  eh'  a  son  anch'  lì 

Mort  dal  fred  e  sbasì. 

A  son  mo  a  cà  mi ,  e  si  a  n^  gh'  è  un'  anma ,  uif  can 

Ch'  a  m^  daga  una  man  : 

Mi  attaccar^  mi  dstaceàr, 

Mi  avrìr ,  mi  assràr , 

Mi  stargair,  mi  lavar. 

Mi  dar  fen ,  mi  spazzar , 

Mi  far  tutt,  car  cumpàr  , 


\ 


DIALETTI  EMILIANI.  411 

E  mai  vien  qla  maidetta  ora  d' magnar  : 

E'  sie  vzilia  quant  a'  voi,  4a  a'  gb'  i^rdooa, 

E  al  dzun  s' sgrappona  ; 

E  tant  volt  e  tant , 

Acsi  beli  e  galani 

Cmuod  a  vien  fuora.d'  stalla , 

Bsogna  cb^  a  staga  in  sala , 

E  può  cb'  a  vaga  in  tàvula  a  servir  ;  • 

E  la  sgnora  m' sa  dir  : 

Faiv'  in  ìk,  cb'  a  puzzai. 

S^  a  ptizz,  cb'  la  m^  lassa  là  In  t'I  mie  cavai. 
Bem.  Mo  a  n^  gb'  è  più  al  cavalcànt? 
TVias.  A  gh'  è  Psò  corn  :  l' è  andà  suldà  in  Levànt. 
Sem.  Per  forza,. o  pur  pc  amor? 
TViot.  I  gb^  ba  può  fatt  Tunòr 

D*  tuòral  dalla  stalla 

E  convujàral  con  un  rem  in  spalla. 
Bem.  Ab  sì ,  cb'  r  lera  un  d^  quj  siè 

Cb' Imbiancava  ai  patrùn  rarzenteriè. 
TVnot.  Si  ben,  l' è  andà  in  galera  lù  e  so  pàder 

Per  sulennissim  làder.     * 
Zvan.  Ho  a  bsò  ben  vivr'  a  qualcb^  maniera  a  si'  mond , 

S^  a  n'  gb'  è  né  fin  nò  fond 

A  pser  aver  salari  ;  vuol  cb'  a  t^  diga? 

T'  sa  pur  cb^  ogni  fadiga 

Merita  premi:  a  vói  mo  dir,  s' t' m'inténd, 

Cb'  chi  n'  ba,  n*  in  spend,, 

E  cbi  n'in  ba,  s' n'accatta;  e  dov'a  gb'n'è, 

V  è  li  cb'  a  sfonda  al  -pò  ; 

L*  è  li  doV  a  in  va  tolt , 

Né  (f  ir  :  V  è  puoc ,  .r  ò  molt  : 

Al  tatt  gisL  in  savér  far , 

Del  resi,  rè  un  mstier  da  sgnor  ancb'  al  rubar. 

Cosa  ditt  ti  Tmasón  ? 
Tmat,  A  n'  al  so ,  cb'  a  j'  bo  son  ; 

A  vriò  cb'  flniss  'na  volta  st'  carnvàl. 
Bem.  Dai  un  può  a  quel  cavai , 

Cb'  morsga  al  mie. 
Jhuu,  Sta  carogna 

L'è  più  affama  e  rabbiós  ch'n'é'na  sclogna. 

L'ha  tanta  fam,  fradèl,  cb'  a  sto  per  créder 

Ch'ai  magnariè  al  cumpàgn,  veder,  e  n' veder. 

Una  ,  dò ,  tré. 
Bem.  Lì  è  il  cinq  ;  n'  t'  V  boia  di'ti  ? 


412  PARTE  SECONDA. 

Na  folla ,  e  nù  puvrìtt 
A  sten  chi  a  sV  beli  sren ,  e  a  tt'  aiarida  ;. 
Magari  eh'  la  duràss  fina  d'  uiatUpa. 
7*m(M.  Tas ,  eh'  a  sent  In  sta  strada 

A  vgnir  di  camarada. 
I  s^  è  urta  ,  e  si  i  ha  roti. 

A  caminàr  e  a  caruxàr  ad'  noti 

Altr'  a  n'  s' poi  guadagnar. 
Zvan,  A  sta  ai  patron  a  fari'  aeeamudàr. 
Bem.  8ò  dann  ;  l' è  Burilin, 

eh' sta  con  al  coni  Pnarola  ;  •  l' altr  e  al  tiucrz , 

Ch'  è  imprèsi  da  un  zittadin  : 

Quel  eh'  ajér  rumpi  al  stert 

Vultànd  in  s' al  cantòn  dal  Sarasìn  ^ 

Mo  i  n'sà  mo  i  so  patrùn,  eh'  in  scambi  eli'  l' un 

L'  rod  ^  a^  magna  la  sunza. 
Zvan,  0  Guen ,  hat  roti  ? 
Guerz.  Mi  no. 

Mo  a  ho  fatt  veder  i  quel  bartia  Nido , 

Ch'  a  so  più  eamiizàr 

Hi ,  eh'  lù  n'  sappa  stargiàr. 

S' a  gh'  ho  roti  i  du  speé  dia  pultrunxina, 

eh'  al  m' zita  dmatUna.  - 
Buri.  Mane  arguoi ,  Guerz  maldètt , 

S'a  t'accatta  Tstretl, 

T^ n'ara  da  far  con  mi;  priega  al  to  diàvul 

eh'  al  sappa  al  marehés  Pàvul , 

eh'  al  t' farà  ben  lù  metter  zo  qui  grii , 

E  V  n'  vdrà  più  al  fnil. 

Sti  pela  pie  munzù  , 

Perchè  i  serv'  gius!  un  ciù , 

eh^  ha  più  superbia  eh'  a  n'  eva'Luzìfer  ; 

A  gh'  è  d' avìs  d' aver  la  testa  d' fer. 

I  ha  ben  al  nom  d'esser  bon  zittadin, 

Mo  a  sten  tutt'  avsin , 

E  si  a  sen  tutt  dà  Frara , 

Ch'  a  savèn  quant'  è  i  clumb  dia  so  clumbara. 

I  sta  ott  mis  dV  ann  a  Franculin 

Senza  spcndr  un  quattrìn  , 

E  i  viv  a  pinz  e  a  zucch , 

E  può  i  vien  struech ,  strucch  ^ 

L' Invèm'  alla  zitta 

Ch'  i  n'  poi  tirar  al  Ila. 

E  al  so  cucciér ,  oh'  in  villa  dseva ,  tezza , 


^ 


DiALrrri  eviliam.  415 

In  Frara  al  va  ranand  con  la  cavezia. 

Ho  finalmént  al  mie  patron  l'è  un  cont 
Dia  razza  d'  Rudumònt , 

E  a'  al  sa  .eh'  t'm'  strapàzz , 

Al  t' farà  spulvrnr  quel  gabanàiz. 
Guerz.  Al  m*  darà  d' barba  là  ve:  mo  s' al  n'  dà 

Gnanc  a  quj  eh'  ha  da  aver,  e  eh'  l' ha  sita  : 

E  t' vuò  eh'  al  m*  daga  a  mi  ? 

Ti  è  pur  bon  anca  ti  ; 

T' ha  rasòn  ,  Burtlìn ,  eh'  mi  a  n'  tem'  affrónt. 
Zpan.  0  vie ,  su ,  lluó ,  quietév,  e  mtila  a  moot. 
Bern-  Tasi ,  eh'  a  par  eh'  la  zent  s' vaga  cunslànd 

D' andar  «  cà  :  Tmasón ,  vatt'  accastànd. 
Ttnoi,  A  n'  puoss  ^  eh'  a  m' son  impgnà 

Tra  *na  culona  e  un  stel  :  fatt  prima  in  là 

Ti ,  eh'  ti  è  in  larg. 
Bern,  Sì ,  s'  a  u'  fuss 

Anca  mi  attacca  a  st*  uss. 

A  gh'  è  può  un  mu6  ad'  fang  e  de  perdizz , 
Buri,  D*  chi  è  là  qui  du  cavai  ? 

Ch*  s' m'  arbalt ,  a  n^  m'  addrizi. 

E  murié  ? 
Z9an.  No ,  i  è  bài. 

Buri.  Senza  cuceicr,  alla  dscarzión  dia  noti? 
Zvan,  I  è  del  marchés  Pancòtt. 

T' n'  acgnòss  quel  svimer  dov'  i  gh'  è  attacca  ? 
Buri.  V  è  vera  ,  a  n'  m' n'  iera  adda. 

L'  è  al  svimer  dalla  lit  eh'  si  era  tacca , 

Che  con  tutt  al  vulàr  per  la  Zvecca 

Con  la  contessa  Checca  , 

Al  n'  psì  arrivar  a  ora  di'  moss , 

£  squas  squas  i  barbar  gh'  saltiè  addòss  ; 

Mo  Uè  pur  anch  l' fatt  minciunarì         ^ 

Sti  svimer  da  sii  di  : 

S' in'  par  propri  castiè  da  burattin 

Con  dénter  la  Simona  e  TrufTaldin. 
Zvan,  Spetta  eh'  1'  usanza  fnissa  , 

eh'  i  n'  voi  cavar  dia  fissa  : 

L' intai,  l'or  e  l'arzént 

N'  valrà  più  gnent , 

E  in  Ghclt  ili'  l' avrà 

S' in'  gh'  r  dunarà. 
Buri.  D' chi  è  qui  du  pulicr  là  eh'  ha  la  toss  ? 
Bern.  Ti  e  pur  minctón  >  t'  nM  acgnòss? 


tu  PAETE  SECONDA. 

Jè  dia  beila  Glròlma  dai  gran  squarz. 

Jè  du  puiiér  buis  man , 

E  iiè  di8  eh'  i  è  arfardà. 

T' n'  acgnòss  qia  l>ÌTba  dov'  i  gli*  è  attacca  ? 

CliM'  è  sta  prima  d'  ud  fra ,  e  può  d'  un  priét 

eli'  adèss  è  andà'  anipriét , 

E  può  dal  barisèl ,  e  può  all'  incànt  ^ 

E  può  dal  marchés  Guant, 
*    E  può  di'  ost  dia  Fraschetta , 

B  può  dia  sgnora  Betta , 

B  può  in  Ghett  da  Agnulin  , 

E  può  d' un  gablin , 

E  può  d'  st'  aitar  patron ,  eh*  ha  fatt  un  stoc , 

E  al  n'  gh'  ha  gnanc  paga  '1  broc. 
Buri.  S' al'  arriva  a  savér  mai  quei  poeta 

eh'  anc  su  i  svimer  ha  lat  la  caniunetta , 

L' andarà  a  rotta  d*  col 

In  lima  al  Ventaròl. 
Bem.  Lassa  eh'  al  fazza,  eh'  al  par  ben  eh'  l' abbia 

Allg rezza  in  cuor  ,  mo  al  canta  dalla  rabbia. 
Burt.  Chi  è  al  so  eucciér  ? 
Guerz,  V  è  ql'  Armagnòl  eh'  fava 

Al  vturin ,  puoca  biava , 

Alias  dett  Tirapatta. 
Zvan,  Ch'  ha  per  mujér  qla  matta  ? 
Guerz.  Al  mari  dia  Ciudina , 

Qla  bella  spuslina? 
Zvan.  Sì ,  eh'  l' é  andà  dentr'  a  cmcdia  prinzipià , 

Mustrànd  d' andar  inànz  con  un  fanài 

Fagànd  lum  a  una  sgnora  d' qualità , 

E  l' iera  so  mujcr  con  al  zaudàl. 
Guerz.  Uhi  !  hat  vist  quel  ^oclò 

In  spalla  a  qla  sgnurina 

Con  quel  caplìn  In  co  ? 
Zvan.  Puttana  t  la  Drundina 

Ch'  la  par  'na  'buarina. 

Ella  sola  ? 
Guerz.  Mó  nò. 

Sent  r  amìg  eh'  a  se  sèiàra  e  gh'  tien  driè, 

L' ha  mustrà  d' andar  vie 

Inànz  eh'  Unissa ,  per  seappàr  la  fùria  ; 

Mo  r  è  fuog  d' lussùria 

Quei  eh'  la  porta  vuiànd.  Adcsi»  a  s'  va , 

Inànz  d'  andar  a  cà , 


DIALETTI  BlILlArtl.  41^ 

A  tri  0  quàtter  fstin , 

E  può  al  sòlit  casìn 

A  far  al  rest  .dia  nott.  » 

E  so  mari ,  merlòtt , 

eh*  è  un  om  d' bona  fed , 

AI  dorm  in  leti  lù  sol ,  e  s'  niuor  dal  fred. 

DmaUina  può  a  s*  va  a  cà 

Sillaicà,  sìUacà, 

E  al  bon  mari  gh'  admanda ,  dov  siv  sta  ? 

E  Uè  gh'  arspónd  per  dargh  un  può  d'  confòrt  : 

Car  mari ,  a  son  sta  a  far  la  veggia  a  un  mort. 
Tinat,  L' è  chi  al  patron ,  e  a  bsgnaric  eh'  a  vuUàss  ; 

Mo  a  gh'  è  dr  trav'  e  dii  ass 

Li  sotta  a  quel  vultón 

Dov  sta  quel  màrangón , 

Ch'a  n'sò  s'an  riuscirò. 

A  arvòders':  i  mie  fio. 
Aceri.  Bona  nott.  "E  nù  mò 

Qaand  andaregna  ? 
Tnìos.  Tas  y 

Tas  9  Buri  li  n  ,  eh'  a  j' ho  squas 

Speranza  eh'  sic  fini. 
Dentro.  Casa  Sbrisa  .... 
Burt,  A  son  chi. 

Dentro,  Casa  Codga  ,  dov  slv  ? 

Su  ben  ! 
Zvan,  A  son  chi  viv. 

Dffilro.  Casa  Rustga,  su  ben  faiu  chi  da  nù. 
Guerz.  A  son  chi  eh'  a  mont  su. 
Zcafi.    Al  barisèl  vien  fuora , 

In  so  tanta  malora. 

Questi  li  è  emedi  etèrn. 

Ecc'  l' torz  e  l' lantcrn  ; 

Ecc'  al  stafUcr  d"cà  con  al  fanàl. 

A  son  ehi  puntuàl. 

Fio,  bona  nott. 
jlltri.  Va  pur, 

Ch'  a  m' libera  da  st'  mur ,' 

E  eh'  a  m'  dzapcUa  fuora  da  st'  suoi. 
Zpon.    A.  voi  !  a  voi  !  a  voi  ! 


8S0.  Il  Componimento  che  qui  porgiamo  in  Saggio  dell'  at- 
e  dialetto  ferrarese  è  un  Memoriale  inèdito  scritto  dal  celebre 


tlt  PABTg  ilCOlWA. 

Frizzi  stòrico  ferrarese.  In  esso  V  autore  ha  cercato  di  métte 
in  òpera  tutti  i  modi  proverbiali ,  i  traslati  e  le  frasi  popoli 
più  comunemente  usate  nel  suo  paese ,  e  yi'  riuscì,  eoo  singol 
grazia  e  sorprendente  spontaneità  ;  per  modo,  che  possiamo  r 
guardare  questo  breve  iscritto  come  una  collezione  di  proveri 
proprii  del  pòpolo  ferrarese.  Come  tale  la  raccomandiamo  a| 
studiosi,  e  rendiamo  nuove  grazie  al  chiaro  bibliotecario  d 
Giuseppe  Antonéili  per  avercela  gentilmente  comunicata. 

Discorso  fallo  dal  signor  N,  N.  all'  EinìneniUsimo  iV.  N. 

Legato  di  Ferrara. 

Mi  a  80U  sèmpar  chi  a  scar  la  màdar ,  e  a  rompr  I  garìtt  a  V.  E.  La  di 
eh'  a  son  na  piàtula  e  una  greppella  ;  ma  cossa  volta  far  ?  Clii  voi ,  vag 
«  chi  D'vol^  manda.  La  guerra  è  fatta  pr  al  suldà.  Vostra  Minenia»  oca 
6^ sol  dir,  ha  dia  bontà;  ond  la  s' la  tòga  mo  in  corp,  pare|ièy  a  dirgl 
mi  a  80D  in  t'il  péttul  fin  ai  oè.  —  A  vien  donca ,  e  a*  a  dig ,  Emineoi 
che  con  cai  cumissariàl  dia  famiè  dal  sgnor  Tibcri ,  cb^  la  m'  b«  p^ii0f 
la  m' ha  dà  ^na  bella  gatta  da  patnàr.  Quest'  è  una  barca  sfassada;  -  bai 
fundada  an^  gb'  voi  sessa,  •  Am,'  cardeva  ben  d' truvàr  di  tàcul  ;  aia  ta 
pò  a  n'  al  cardeva.  L' intrada  l' è  poca ,  e  ,  sibèn  ch^  a  gh'  la  tir  col  dei 
nonistànt  la  pezza  n^  stroppa  al  bus ,  e  sunànd  su  rusc  e  brute ,  an^  8^| 
andar  dcò  dia  cavdagna.  -^  Mi  quand  agh'  intaiè ,  a  m' fa  pronisa  p 
pan  che  furmài  :  am'  fu  ditt  acsì ,  aczà  e  aclà;  ma  pò  a  io  truvà  eh'  1 
un  aitar  mnar  d' pasta.  A  io  slé  bocc ,  eh'  lavora  ogni  di  ;  il  fàbHcb 
tutt'  In  sbrandcl;  la  muraia  dal  fnil  gh'  à  un  sbarlcff  tant  fat;  al  cuèrt  a 
d' so  nona.  Mi  dil  volt.  Eminenza  (e  sì  la  sa  ben ,  che  chi  n*stroppa  bufi 
n'  stroppa  busòn  ) ,  andànd  pur  mò  avanti  con  stì  bó  magar ,  a  batt 
testa  pr  il  murai,  e  a  faz  di  lunari  tutt'  al  dì  1  Ma  cossa  serv  ?  Dov'an^M 
a'  n'  m*  gh'  trov.  A  mèttar  al  rev  con  il  peti,  a  gh'  è  tant  da  vivar  pr'< 
més ,  e  pò  pr  al  rest ,  addio  gabàn  ;  finì  questi ,  ò  fritl  i  luzz:  e  allora  cu 
farémia?  Da  chi  a  un  més ,  chi  s' è  vist  s'è  vist.  1  farà  di  crusùn  a  la  f 
Che  quand  an*  gh'  è  aqua ,  al  mulin  n'  masna ,  e  a  s' fa  i  strunz  magai 
Eminenza  :  za  a  sr  ora  a  sén  alla  frutta.  Basta  !  pr  al  vgnir  qualch  sa 
^rà.  Mi  za  quand  an'  putrò  più ,  e  che  avrèn  miss  i  mastiè  in  t'il  mastli 
a  buttarò  al  mànag  drè  alla  manàra,  e  ani'  turò  su  al  trent'un.  — E  pa 
Eminenza ,  agh'  prutèst ,  che  se  al  mal  batìss  chi ,  e  se  tott  gU  aitar  co 
andàss  par  la  so  carzà ,  al  sariè  un  pan  unt.  Ma  sala  cossa  l' è  quel  d 
m' fa  vgnir  la  grlnU  In  Vi  cavi  ?  L' è  cai  naturai  d'sta  zent.  Cai  sgnorT 
beri  rè  un,  eh'  n'À  vola  d'zarlàr;  al  darle  fond  a  un  mar;  an'gh'lM 
starià  T  intrada  di  Pèpul.  Al  s'ia  sgagia  da  cavaliér,  e  quand  al  n^à>il^ 
Me  U^  tò  ti.  V  è  sèmpar  sbris ,  cm'  è  don  Quintin  :  sèmpar  1*  è  al  eiii  < 


B'h  aitar  ehe  dar  dil  stucca  a  quest  e  a  quei.  Quaod  pò  al  n'bi,  algh'dà 
al  spólvar.  Quand  as*  gh^  in  dà ,  ben  con  beo ,  allora  al  vien  lò  malsìn ,  e 
r^  un  pan  d**  zùccar  ;  ma  quand  al  trova  ch^  la  ftplna  n'  butta,  al  dis  di' 
oedt  si.  Sala,  cbé'na.voH^  r  atidò  al  cantaràn,  cardènd  d^  truvàr  al  mort, 
e  parche  al  vìst  'cb'  agh'  Jera  su  San  Pier,  al  dò  In  ti  bac  e  al  prlnzipiò  a 
inoclàr  com  fa  'na  bestia.  Mi  me  ,  che  am'  gfa'  imbati ,  an'p\itì  star,  a  dò 
IO  di  bàzul,  e  a  vgnissam  al  tarasìn:  o  puttìn ,  com'  dis  minòl ,  are  dritt 
e  le  bel  sole,  e  an'  grate  al  zieUco  gli  nnj;,  parche  s'a  mtrò  i  can  alPaiqaa, 
si  par  Dina  Nora ,  ch^  av'  zularò  curt  ,'e  av'  faro  filar  al  fin  da  un.  Mi  si  a 
soD  cai  babi  da  ricórar  a  So  Hinenza ,  e  vliv  zugàr ,  che  quel  al  v'  fari 
baiar  su  un  quatrin.  —  Cossa  crédla  mo  ch^  faiéss  sta  iavada  d' campanèi? 
Mò  b  fez  cb'  al  m*  mandé  9  far  il  fassin  mi  e  Vostra  Mlnenza:  e  s'an'dseva: 
«Aiùtam ,  gambetta ,  die  adèss  i  m'ir  pètta  ",  al  m^  dava  il  mie  fadigh  , 
cab  scapiè  pi'  al  bus  dia  clava'dura.  —  Cossa  disia,  Minenza?  S'al  m'il 
IttgDava ,  ìs^  li*  sariè  sf ada  da  cantar  su  al  calissòn  ?  Insomma ,  baugnò 
eb'agb'  mulàss ,  e  F  è  grassa  cb**  la  cola.  Mi  an'  son  bon  d' infilar  cai  spag. 
L*èstà  tant'aqua  eh' è  andà  zò  par  Po.  Al  di  driè  as'sén  truvà  al  fictil 
<fW,e  ogni  di  a  sèna  sii  cavi  tira.  La  diràlic:»  An'gh'èsòmaiércb'al 
possa  tgnir  In  stadiera  ?  '>  Oh  !  adèss  ;  la  Zuana  gh**  ved,  e  Bamardìn  gh'fa 
lUQ  !  eia  carampana  d' so  muièr  la  nVal  un  baracfiém.  V  è  'na  bselda  che 
<}vaDd  la  parla  la  fa  vgnir  al  latt  ai  znod.  La  s' lassa  cascar  (  pagn  d' at- 
tiro, la  par'na  Rachel.  Pòvar  ragàz!  Chi  gh'à  mai  miss  da  vesta?  In 
('onbisògn,  la  n'ò  bona  d' cavar  un  gril  da  'n  bus.  L'è'na  gnc  gnè, 
dama'  un ,  eh'  anf  n'  è  mori  dù.  So  mari  in  fa  tunlna ,  e  la  s' lassa  schizzar 
il  rìvoi  in  t' i  oó  fin  da  la  serva.  Insomma,  s' a  stass  a  liè,  V  in  farév  dia 
fissa.  Cstié  eh'  achi  pò  vedla  ,  cstic  eh'  achì,  al  V  assicùr  ,  eh'  V  è  'na  bona 
zima  d'  mazurana.  L' e  sctt  cott  e  na  buida  !  A  cred  pò  eh'  l' abbia  pia  al 
col,  Eminenza  ,  ch'an'  gh'  in  dig  gnént.  L' è  diès  ann  eh'  r  ha  miss  al  cui 
io  sia  cà ,  e  tra  d'  rif  e  d'  raf  V  ha  cumdà  ben  i  ov  in  V  al  zcst ,  che  agh' 
^dir  mi . . .  Liè  V  è  domina  dominanzia:  Uè  tira  sempr  aqua  al  so  mulin: 
li  la  sa ,  che  quand  al  paiàr  brusa ,  tutti  s' voi  scaldar.  L' ha  una  bàtula, 
ooadardella,  ch'an'finise  mai.  Lio  l'è  quella  cìi' ticu  al  pùlpit:  s'as'gh' 
^^  tantin  ,  la  dis.tantòn,  e  a  vlcrla  tarsantàr,  l' è  giust  cm'  è  dir  tcùteni. 
^^,nè  l' ha  rott  i  sedòzz  con  qtialeiìn.  Sèmpar  la  s'rangogna  colla  patro- 
na, e  dil  volt  s'in  dà  di  strafùt,  ma  sonòris  !  insomma ,  a  tgnìrla  lunga 
^  corta ,  Aminenza  ^  esile ,  s' a  cmandàss  mi ,  al  Fesl  agh'  vcrzriè  ben  mi 
^o'fe/tt/a,  e  agh'  dirle  :  «  Orsù  ,  to  su  il  lò  rug  .  e  pò  aida  ».  —  Sala  chi 
^v  piotòst  una  flola  eh'  avrìcv  zufT,  zafT  e  zarvèl?  La  Camilina,  la  putta 
^^cisa;  ma  cossa?  Anca  liè  la  gh'  à  al  dar  e  l'  avir.  L' ha  darseli  ann^  e 
l^r  la  sa  moli  ben  d'  barca  mnar  ,  e  la  sa  a  si'  ora  dov  al  Diàvul  lien  la 
^▼a.  L^  è  pina  d' imbinzión ,  e  in  T  al  dargh'  in  là ,  la  gh^  à  anca  liè  la  so 
^^tta.  S'Ia  la  vdiss  quand  Tè  tirada  su  in  fll^  e  eh'  l'è.  sgurada,  an' 
i^'è  gnanc  malàzz.  Agh'  digh  ben  pò ,  eh'  l' al  cgnoss  anca  liè,  e  la  lieva 
^^cova  in  zirella,  e  la  s*fa  puzzar  d'dric  moli  ben.  Poe  fa  l'aveva  un 


tl8  PARTB  flKORDA. 

tracquBCcièt ,  e  la  galuppa  gh^  batteva  V  azzalìn  ,  e  gh^  purzeva  In 
inoU  ben.  Sala ,  IlineDza,  ch^  un  dì  j'aveva  balù  cumpuslela  Uè ,  al 
din  e  la  serva  par  farla  fuora ,  senza  cb'  al  savìss  1  so  d' cà  !  Ma  mi 
a  dscuar^  la  quaia  a  temp ,  e  arivlé  a  ora ,  giust  com'  fa  la  lampe 
zncc ,  e  agb^  rumpì  i  ov  in  l'ai  zcst.  Ha  cossa  avévia  da  far  ?  La  s*  i  er 
cada  con  un  car  arbaltà  eh'  la  s'angava.  mi  sì  a  cardeva  d^avér  trai 
liè  na  nidà  d' passarin ,  e  aveva  pranzipià  a  tirami'  su  i  sfun . . .  ma 
a  gb^  è  intra  al  sgnor  Tenènt ,  e  a  io  fat  tavela.  Ma  basta ,  an'  m' ai 
sèmpar  al  bac  sul  prar  I  Pussibll  cbe  al  séiòp  m'fazza  sèmpar  crìst? 
quel  eh' a  dig  quand  a  dig  torta;  tutt  sa  ,  e  aosùn  sa;  ma  questa  è  « 
tra  mnestra.  —  Intani ,  Eminenza,  cossa  disia  ?  La  sgavetta  è  ingatti 
attt.atif  ;  s' la  n'  è  Liè  cb^  agh'  trova  'l  co ,  s' la  an'  gb'  ifietl  un  starli 
ch^meta  i  oss  a  so  sii,  mi  a  butarò  al  mànag  driè  alla  manàra,  e 
avérgh'  arnunzià  arm  e  cavai ,  aiki'  turò  su  al  treni'  un.  Zeri  eh*  an^ 
far  da  Zani  e  da  Pantalòn.  I  dirà  eh'  meda  si  ;  ma  tanl'  è  :  —  I'  a«l 
ìe$lo  f  mangia  di  questo,  —  Mi  a  so;)  ben  da  ov  e  da  lati ,  dà  boec 
riviera  ;  ma  an'  vói  pò  eh'  a  vicna  un  su  e  su,  e  eh'  i  m' fazza  far  al 
a  cavai.  Tolè ,  Sgnor  Emlnenlìssim ,  oibò  oibò ,  mi  an'  sorb  si'  cucèo. 
nalménl  fava  e  fasvò ,  ognun  fazza  i  fatt  so ,  e  bona  noti  Cola  ! , 

Sery'  umilissim  d' Vostra  Minenza. 

1897.  Le  seguenti  Sestine  furono  tratte  dal  mentovato  Lun 
Chichetl  da  Frara  per  l'anno  1827,  che  si  riproduce  ogni  a 
con  nuove  poesie  vernàcole. 

La  Zena  al  svur. 

Un  galantòm  èva  ciapà  al  costùoi 
eh'  al  s' la  znava  ,  la.  sira  andànd  a  spass  ; 
E  acsi  col  mot  e  al  risparmiar  la  lum  , 
Al  gh'  truvava  al  so  cent ,  e  al  gneva  grass  ; 
E  spezialmént  in  t'  la  slasòn  d' islà 
A  m'  par  che  al  mèlud  an'  sia  mal  pensa. 
Gnend  fora  d'  cà  vers  sira  a  pie ,  a  pie , 
Prima  d' tutt  al  cumprava  un  par  d'  panctt , 
E  pò  al  spendeva  cinq  bajòc ,  o  sié , 
0  d'  salàm ,  o  d'  parsati  lì  avsìn  al  gbetl  ; 
E  dop  spatzànd  o  pr'  una  o  pr'  altra  strada , 

_  ■ 

Al  dava  la  so  t>ela  sganassada. 
D' in  tant  pò  intani ,  truvànd  quale  magazìn  , 
Al  bveva  bravamént  la  so  fujetta  ; 
E  na  quale  volta  as'  arlvava  al  mzin , 


D1ALETTT  EMILIANI.  ti 9 

Sgond  che  la  qualità  jera  perfetta  ; 

O  al  stava  fn  drè,  s*  rjcra  rol>a  mecànica, 

Za  ch^  l' jera  propria  professor  d^  Dtilànìca. 
Sicóm  pò  eh'  al  butgàr ,  dov  tut  il  sir  •       ' 

Al  tuleva  at  sàlàm  ,  gh'  èva  fat  l' us^ 

Lù  gh'  preparava  anc  senza  vderK  a  gnir 

Spess  In  t^  Ila  carta  al  so  salàra  ben  cius  ; 

(}uest  passava ,  pagava ,  e  andava  drlt ,  *' 

Tulènd  la  carta,  in  mane  che  mi  an*  v^  V  ho  dit. 
Ha  una  tal  slra ,  un  garzunzètt  d' bulega , 

(Ch'  as'  sa  za  eh'  j  é  na  massa  d' birichìo) 

Al  i*  die  i  bott  con  un  aitar  so  culega , 

Garzòn  d^  n*  aitar  negozi ,  a  quel  avsin  , 

E  in  vez  d^  salàm  ,  i  gh'  pl'eparò  bel  bel 

Na  carta  d^brls ,  d^artàj,  d^  pezz,  d**  lazza  e  d'  pel. 
Quel  passa ,  tol  la  carta  e  tira  vie , 

Secónd  eh  V  jera  za  avézz  a  praticar  ; 

E  dop  a  n'  so  quant  pass ,  al  prinzipiè 

Con  i  dida,  e  col  dent  a  lavnràr, 

mèndas  in  boca ,  air  orba ,  quel  eh'  agh'  vgni , 

Ch'  il  fu  bris ,  pr*  al  prim  bcon ,  e  al  sMi  gudì. 
Ma  quand  pò  dop  agh^  cascò  sota  ai  dent  < 

Zeri  grup  ad^  peli  con  la  so  lazza  e  tutt , . 

E  che  al  durò  a  biassàr  inutilmcnl 

Pili  d'  un  quart  d^  ora  senza  alcun  custrùtt , 

Al  s^  acurzì  d'  al  zog  eh'  i  gif  èva  fat, 

Dàndagh  la  zena  tolta  ai  can  e  ai  gat. 
eia  sìra  za  al  dzunò:  da  cai  butgàr 

Mai  più  al  gh'  andò,  eh'  al  s'  V  avi  Irop  al  nas; 

E  gli  aitar  sir  pò  quand  al  vieva  znar , 

A  nMoss  più  roba  inscarluzzada ,  a  cas  ; 

E  prima  eh'  al  pagàss  quel  eh'  al  tuleva , 

Al  guardava  ,  e  al  pruvava  s'  al  gh'  piaseva. 

IdBO.  Mentre  stavamo  pubblicando  la  presente  Opera,  siamo 
ti  ai^vertitì^  che  sin  dall'anno  1849  venne  in  luce  in  Ferrara 
t)  Lunario  contenente  buon  nùmero  di  Diàloghi  in  prosa  ver- 
sola, col  titolo:  /  Plagulò  d*Frara^  il  quale  continuò  anche 
|li  anni  successivi.  Onde  pòrgere  quindi  allo  studioso  un  Saggio 
Ile  deli'  odierno  dialetto,  abbiamo  estratto  il  Diàlogo  seguente 
Volumetto  stampato  per  Tanno  i850. 


La  Rota  e  la  Giara* 

Ciara.  Bcc  la  mie  Rosa:  0 1  a.  d^  gh'  è  dubi  eh*  la  manca:  «1  prii 
stosÓD ,  0  calda  o  fresca  ch^ là  sié,  Te  chi  a  truvàrm :  o  si ,  I 
vera ,  r  j  é  P  ùnic^  amig a  eh'  a  m' apa  eh'  s'  arcorda  d^  mi ,  e 
sincera. 

Bosa.  Li  amlghi.rj  é pòchi,  dola:  gencralmént  il  fa  blin  bile 
vanti ,  e  pò  par  da  dré ...  Oh  da  dré  il  picia  zò  a  tirundelal  ! 
al  Sgnor,  a'  n  ho  sf  difèti:  s' a  J<ho  quèj  da  dir,  al  dig  In  fani 
vis  far ,  al  stamparév  ancfa.  Bundi,  Ciara.  Cossa  gh^  hai  d^  nòv  e 
euntàrm  ? 

Ciara,  Gnenl  d^  nòv  e  gnenl  d^  bel  ;  lui  coss  veci  e  bruii. 

Rosa,  Pur  trop  li  ò  sèmpar  ehil  coss ,  e  nu  a  psen  zigàr 
gola ,  che  ansùn  s^  da  meni.  V  arcardèv  V  an  passò  eh'  a  s^  Uu 
tanl  dal  manipoli  dia  nostra  piazza,  dPinsuknza  di  urllòn,  dia 
dil  strad  ^  d' i  paricul  eh'  s**  a  vdeva  a,  lassar  i  vas  d' flnr  fora  < 
senza  ripàr ,  e  prM  can  a  miara  senza  patron  ch^  morsga  que 
0  eh'  fa  di  aitar  malànn  par  la  strada?  Ebèn  !  Nò  avèn  bf$n  dil 
nòsl#r ,  ma  segna  pò  slad  seultadi  ?  iv  visi  che  il  coss  sié  an 
Gnenl  afal!  Donca  a  J  én  rasòn  a  dir,  che  il  eoss  li  è  sèmpar  vai 

Ciara,  Anzi  avi  da  dir  più  bruti  d'  prima,  parelio  la  miseria 
più  ehe  mal  :  i  budgàr ,  i  arvandró ,  i  frutarò  s' è  abusò  dil 
passa  par  véndar  più  car  la  roba  e  far  i  fai  so.  L' Imbròi  dia  e 
seà  tut,  0  squas  lui,  s' il  spai  di  puvrit.  Al  Guèrn  puvrèl  V  bi 
eh'  r  ha  psest,  par  farP  andar  com  s' duveva;  ma  sii  galiòt  di  b 
la  VÓI  a  nsun  pai ,  o  vero  sié  i  eress  i  prezzi  alla  roba  eh'  V  è 
quàlar;  ma  lor  I  la  compra  e  i  la  spend  a  tór  la  roba  in  gross. 
dis,  che  ansùn   rifiuta  carta,  sinehinò  i  pagana  'na  multa  e  i  i 
parsón.  E  lòr  gh  badi?  meremèo!  Al  Guèrn  al  dis,  ehe  V  az  dal 
carta  in  quatrìn  sarà  dal  tri;  ma  i  nòstar  cambista?  meremèo! 
par  vlesl  Poi,  al  dics,  al  dòdas,  al  dsdol;  e  pò  e  pò  acsì  i  h 
f<gond  eh'  a  s'  dis,  e  al  ered,  eh^diés,  ehi  dò^  ehi  tré  mila  scud. 
dì  puvrìl  eh'  crida  vandelta!! 

Uosa.  Pur  trop  V  è  vera,  e  a  j  avi  da  dir  d'  più  che  fin  eh'  è  dui 
dia  Rcpùbiica,  e  sibcn  che  tul  vdeva  eh'l'J  èra  un  fóg  d'  paja, 
saveva  com  fuss  fini  chi  pèzz  d' tarla,  i  andava  vie  con  la  perdi 
dal  nov ,  dal  dódas  ;  quand  è  turno  al  Guèrn  legìlim  ,  eh^  n^  ai 
zò  in  elèrn,  eh'  P  ha  fai  bòna  la  carta,  eh'  a  n'  gh' J  era  più  pav 
vérsan  sarvir  sòl  par  cai  sarvizzi  ;  gnor  si  ehe  alora  invcz  d*  e 
earsèst  la  magnarle. 

Ciara,  Ma  !  A  J  ho  Sin  test  di  avucàl  e  di  sgnor  1  a  dir ,  che 
aliar  volt  a  gh'  è  sta  la  carta,  eh'  P  j  era  P  istèss,  e  eh'  a  n^  gb^ 
rimedi. 


MAUrm  MIUAFII.  #11 

!•#«.  A  n'  f  h  è  rimedi  al  so  DIàvul  eh'  i  porta  t  II  1,  Al  s' a  cffaBdàta  a 
Sb* arèv  bea  la  riizèU  da  goarìr  stimar. 

dora,  E  eossa  farissi? 

Bota.  Un  bel  òrdan  io  stampa  graada  eh's'alzis  sens^uciaj ,  ebe  ehi 
«rflatarà  la  earta  in  t;  1  cuntràt  grand  o  pieni  eh'  1  sié,  i  eambista  ch'torà 
piò  d^  tant,  sarà  sùbit  fusili  senza  pmièss',  e  mahtgntr  Ifr  parola  aFus 
todèsc,  tant  a  ehi  compra  eom  a  ehi  vend,  sf  a  ebl  Uen  eom^  a  ehi  seordga, 
e  parfiD  a  ehi  fa ,  e  a  n'  fa  le  spie.  Oh  a  v*  dig  mi  ehe  la  earta  currév  in 
pressia  ! 

Gora,  Ande 'por  là,  Uosa,  eh*  a  si  'na  brava  nfedga  par  tert  mal  eh' a 
f  vrev  ch^  a  n^  9  gh*  fuss  nfadsina  :  ma  a  dirò  epm  dseva  h*  Abrei  :  9u  nò 

0 

tomasfìdoft  tno/. 

Bota,  Ben,  a  n'  importa;  qnest'  è  al  rimedi  bon ,  e  basta  aetl.  Disenrèa 
i*  quél  aliar.  Cardiv  eh'  tirare  d^  lung  porassa  sV  cald  ? 

dora.  A  sòn  persuasa ,  eh'  é"*  al  mola ,  a  faga  frese. 

i7ota.  Ane  elù  eh'  va  in  là  m**  al  sa  dir  :  mi  mò  a  vien  e  s^  a  dig ,  ehe 
sicòm  arén  d' tant  in  tant  di  squass  d^  piòva ,  giteila  al  Sgnor  senza  tam- 
pesta,  al  eald  a  n'  s*  farmarà. 

Ciara,  La  n'è  sol  la  tarapesta'ch'  fàcza  ^1  frese;  ma  al  dlpkid  dai  veat 
cb'  daminarà  ,  e  mi  a  n'  a  v^sò  dir ,  s'I  sarà  d' chi  cald  o  d^  ehi  fred. 

iloia.  Basta,  al. eald  a  n'  fa  mal  qaaod  l^è  rot  da  quaich  piova,  e  àdèss 
eh' a  parlén  a  j  avén  un  gran  bel  fìramént,  eh'  i  dia  eh'  a  s*  In  fazza  vlnt- 
qoàtar,  vlnlzlncsmenl.  • 

Clara»  E  al  furmantón ,  eh'  a  gh'  è  sié  panòd  par  gambo  !  e  il  vid  eh'  li 
«carghi  d' vó  da  sbiancar  il  ti  rèi  t  e  la  eanva. ..  In  soma,  so  Dio  al  man* 
Uén,  a  gh  è  un  racòlt  st'ann,  eh' a  n'  gh  è  memoria  d'oro;  è  se  1  sgnorl 
i  Q'  fa  limosna ,  e  i  'n  dà  da  lavuràr  ai  artista  e  ai  uparari  st'  an ,  i  é 
iodègn  dia  pruvidenza . . . .  Oi,  a  sona  la  campaoina  in  Dora;  a  vad  a  tór 
sta  messa ,  e  pò  dop  a  lurnarò  eh'  a  j  ho  ita  cossa  da  dfrv  eh'  a  n'  vói 
ch'I' a  m'  resta  in  gola. 

fioia.  Ben  :  mi  adèss  a  vad  a  bévar  un  cafà  chi  sota  i  eariiarin  atàc  ala 
^leta  :  gni  là ,  eh'  a  v'  a»pft  là. 


Mirandolege» 


Non  trovandosi  veriin  componimenti  a  stampa  in  dialetto  mir 
ftadolese,  siamo  lieti  di  poter  offrire  ai  nostri  lettori  il  seguente 
Capitolo  inèdito ,  nel  quale  si  descrivono  i  pregi  della  città  di 
^Mndola,  comunicatoci  dalla  gentilezza  del  D/  Paolo  Ciardi. 


«fi 


UZHiHlm 


C^rìrit 


■•  sto  altare 

a  fh'C  pKSMBt  e 

E  ch'a  ■'«(h-ito  al  s»  4ritt  »  .k  ift*  al  9»  anms 

■jwgii  €*•  r  ia 

I  iMitiMwi  al  melili  re 

ntettficà^iiis^iiiM|ì  fteKtitÌL 

Oi»v<acà'ihtiiii,€ 
Da  Tcé  wrillari  «l 
S"  iBliadi  poi  al 

E  taitorta  ìB  ti  am  a  Cài 

Ck*  KB  parila  mal  por  nAòiia  «  par 

Bcfli  p«r  9CHa  pietà .  4<«k  «■  Ila  Yèi , 
Ck*ai'  «BUpMT»  aaea  ni  fii  cft*  avrò  ftà, 
rarckè  a  tfrti  AB  rè  ■' te  pài  al  fai. 

As'^ìs .  e  al  W  por  «ri  *  ckr  rta  alla 
La  s'Irv^a  fièekad»  ìa  Tal  poatàa. 
E  cà"  r  arù  r  «  c:&tl£^;&  p«r»!àL 

Cb'  r  è  tro9  ar«ia  i  ì  iill  e  fiirfc  «i'  aia . 
Cb'b  B'kadil  beuiCi.  ti  b«ì  pabn. 
lawaai  <à'  r  è  ex  ^rcu  ÀI .  sa  sài  da  caa. 

Aa*  fu  diS  CKa'  a»*  pcssi  x^tr  aaslàa 
D' cvaUr  ài  9ÒsUr  «£t  $4'  il  Ciofitoocài 
Da  Yvadar  «I  ai  (coi .  iImù  e  r^àn. 

Qablì  jea  aablkvail  WKt  rwviiì 
D' cài  bei  aaM-  <b*  j^'  pau  5«tr  ai  aa» . 
E  cft'aa*4iflia(aiM  fan  ì  aka  da  U  laccfti. 

■a  aa'  5'  ancaKSèa  al  sa^pr  <  sica  ia  p» , 
Laaèa  cà*  cfnàa  r  iaUada  caa  al  t«I  . 
Cà'  aa'  fb*  è  aa  <«  d'  ì»;«Kiìrse  par  5lì  sqaas. 


,  che  poUilirài" 


i 


DIALVrtl   EXILIAMI.  4^3 

L^  è  za  dar  cuni'  è  ciar  la  lus  dal  sòl , 
Che  la  nostra  zitta  fu  un  dì  un  Castel , 
Ch^  In  più  volt  s^  ingrandì ,  ma  dop  un  pzòl- 

Che  un  zert  Ugo  Manfredi  al  prim  fu  qupl 
Ch'ai  duminò  con  gloria  e  con  amor, 
E  al  rés  ben  più  eh'  al  n'  era  e  fort  e  bel. 

Che  la  80  Discendenza  a\ì  V  unór 
D'cmandàr  in  vari  sii  eh'  agh^  tuccò  in  sort, 
In  premi  d'un  gran  mèrit  e  valor. 

E  acsi  In  cai  temp  che  st'  Ugo  èra  za  mort 
La  Sgnurìa  dia  Mlràndula  andò  ai  Pie, 
eh'  fissòn  chi  par  di  sècui  la  so  Cort. 

S' éran  om  dia  ciavétta  e  s' érao  rie , 
SapicnI ,  ma  senza  boria  e  curaggiòs , 
S'  éran  Prinzip  vgnu  fora  dal  lambie. 

Cai  Zvan ,  dsì  su ,  eh'  savlva  Unti  còs  (l) , 
E  eh'  fé  sì  gran  fraeàss  par  tutr  al  mond , 
Al  fu  di  Prinzip  Pie  al  più  famós. 

E  d'aitar,  che  d'  dultrina  l'era  un  sfond  , 
A  voi  mo  dir  al  pòvar  Zanfranzèsc  (s)  , 
L' era  un  Pie  anca  lu ,  s' a  n'  am'  cunfònd. 

A  numinari  un  pr'  un  a  starév  frese, 
E  più  s' a  vliss  cunlàr  tutt  quel  eh'  i  han  falt  ; 
Ha  d' andar  trop  in  long  an'  voi  e  an'  pese. 

Donca  saltém  al  foss  tutt*  in  un  tratt, 
E  lassém  eh'  ognun  friza  in  t' al  so  grass , 
Ch'  i  savi  an'  van  d' aceòrd  mai  con  i  mail. 

E  se  pò  qualch  furbàtz  o  guardabàss. 
Sol  pr'al  gust  d' mèttar  mal,  vliss  dir  eh'adcss 
Il  cós  vecci  e  il  cós  novi  an'  van  d'  un  pass , 

As'  pré  arspòndar  eh'  il  còs  41  van  l' istéss  ,* 
E  che  al  cattiv ,  al  hon  ,  al  beli  e  al  brutt 
Cura'  a  gh'  era  una  volta  a  gh'  e  a  un  diprèss. 

Al  prim  nòsiar  castèl  fu  za  distrùtt  , 
E  i  furtìn ,  e  i  bastiòn  ,  e  il  torr ,  e  i  pont ,    « 
E  di  Pie  al  palàzz  andò  squas  tutt. 

Più  d'  un  marcbés  a  manca  e  più*  d' un  cont  ; 
A  gh'  é  men  fra ,  nien  prét  e  men  cunvént , 
infln  moli'  òpar  belli  é  andadi  a  mont. 

I  cUrlire  Giovanoi ,  coookìuIo  sollo  il  oome  di  Fenice  degli  Ingegni. 
^iao-Fraocrsco ,   iiipole   di   Giovanni    la  Fenice  ,   valente   scrillore  UUoo  Je*  tempi 
chiamato  per  consento  ilei  dolli  ti  litteralisximo.  Qnrskto  princi|i^  mori  Larliaramcnte 
lo  dal  ni|iole  Galeotto. 


494  Mftn  SICONSA. 

Ma  qaesr  o  eonta  poc ,  o  an'  conti  gneiit , 
Parche  tuUMl  zitta,  luti'  i  paés 
Van  suggèll  dop  un  pesi  a  cambiamént 

E  quand  sìa  vera  eh*  do  volt  zinq  /an  des , 
L' è  vera  eh'  presi  o  tard  una  furtezsa 
La  portj^  dann ,  pauri ,  fam  e  spes. 

An'  s  ha  più ,  an'àl  cuntràsl,  la  cunlinteua 
D'aver  in  sta  zitta  prinzlp  e  Gort>- 
V.  di  sgnor  d' gran  potenza  e  d' gran  riceheiia. 

Ma  a  s^  ha  ìjìv^z  dil  bon  Cà  pr'ognt  nippòrt, 
E  qualch'  lesta  eh*  a  n'  è  gnenl  mamalucea  , 
Ch'  a  lamintàrsen  propria  a  s'  avria  lori. 

An'  pòrian  pia  i  dullór  spada  e  pirureii , 
Ha  i  fan  il  so  rizzelll  lani  e  tant, 
0  i  san  a  meni  al  €òdiz  e  al  De-Lucca. 

A  gh'  è  chi  fa  di  vers  seri  e  galani , 
Chi  scriv  in  prosa  e  fa  dil  pelizión , 
E  chi  sperdga  la  terra ,  o  fa  al  marcànt. 

A  gh'  è  i  so  fra ,  I  so  prél  in  prupuraiòn  ; 
Sori ,  tèàtar ,  scoli  e  la  gabella , 
Un  beirusbdàl  e  on  Moni  eh'  an'ha  passiòn  (i). 

Bell  cuntradi ,  beli  cesi  e  piazza  bella , 
Bona  zenl ,  e  eh'  a  dirla  an'  è  gnanc  bralla , 
Màssim  chi  Iiivéz  dil  briigh  ha  la  stanella. 

Bon  vivar  par  chi  spend  alla  minolta , 
eh'  a  costa  poc  al  grass,  al  vin  e  al  pan , 
L'insalala,  al  furmàj,  i  òv  e  la  fruita. 

In  -somma  a  sa  sta  ben  e 'a  sa  sta  san , 
Sibbèn  ch'an'gh'è  gran  zent  e  molt  qualtrìn, 
E  an' avòm  gnenl  d'invidia  a  chi  è  luntàn , 

CuntènI  d' èsser  cgnussù  dei  nÒ9lar\,ysÌn. 


A  malgrado  delle  molte  nostre  ricerche  non  ci  riesci  rìn?emr« 
alcuna  poesia  in  dialetto  mantovano  publicata  colle  8tamp«> 
Per  riempiere  questo  vuoto  e  pòrgere  qualehe  idea  di  quesU^ 
dialetto,  offiriamo  una  canzone  in  dialetto  rùstico  di  Gio.  Marii 
Galeotti,  poeta  della  seconda  metà  dello  scorso  sècolo,  i  com- 

(a)  llirr*  «iMliiliinrato  che  fj  pr^ktanie  graluilr. 


^ 


MAUTTI   UILUNI. 


tM 


Dti  del  quale  girano  ancora  manuscritti  fra  le  mani  de' 
Ddttadini.  Queste  poche  poesie  èrano  dall'  autore  desti- 
1  tesere  recitate  nei  carnevale  da  una  màschera  da  con- 
lair  autore  nominato  Gaspare  Testarizza,  gastàld  dal  Gas. 

^    /^/  Cnrmàl  d' campagna. 
Canzo!iibtta. 


l'è  ben  puvrètt  ; 
i-  magDA  che  poletita  ; 
a  fnil ,  eh'  a  n'  al  gh^  à  lett , 
iga,  al  suda ,  al  stenla  ; 
d  Ve  riva  'n  c6  d»  P^an , 
ini  va  per  a  per  ;    . 
il  Ura  pr  al  gabàn , 
I*  è  fatt  con  i  so  fèr. 
ftta  dov  dir  a  s' poi , 
n'  V  è  òr  tùtt  col  eh'  a  lus  ; 
è  tanti  e  tanti  vói 
pél  più  gross  dal  bus. 
wèl  0  pien  o  vòd  , 
«  allegra  è  la  campagna  ; 
on  teinp  a  nòstar  mód 
BSÙrèm  con  la  cavagna, 
temp,  0  dal  somnàr , 
tdkr ,  0  sfa  dal  médar , 
:i  sempr*  a  cantar  ; 
al  ered  ,  eh'  al  vaga  à  védar. 
idem ,  ridém  da  bon  , 
fém  nò  cmod  taf*  e  qua! 
tM>cea  in  d' on  cantón  . 
a  gb^pol  passa  i  eorai. 
ài  r  è  dova  pò 
iDdóm  fora  d' earerà  ; 
In  8Ù  e  ehi  va  In  zò, 
ÌOM  i  par  'na  fera. 
sia  la  verità , 
I  eh'  a  n'  gh'  ò  M  calissòn  , 
pètt  eh'  ò  ehi  nota 
rv  sèniar  na  canyon. 


Zè  eh'  i  à,  averi  di  matt  ta  gabbia , 
Chi  pr  amor ,  e  chi  per  rabbia , 
Tùli  è  fdra  a  voltión , 
Fora  a  volllòn. 
Fora  al  pàscol  tutti  a  macca  ; 
Vaga  a  rubi  al  b5  e  la  vacca , 
E  li  pégori  e  i  moltòn , 
E  li  pégori  e  i  moltòn. 
Al  gaslòld  la  so  brassenta , 
*  E  'l  fattòr  la  lavorenta 
Mena  in  volta  a  fa  carnvàl , 
A  fa  carnvàl. 
La  gastalda  e  la  fattora 
Li  gh'tegn  drè  bei-bel  d'agnora , 
Par  cattar  Pdf  in  s'al  niài; 
Par  cattar  l'óf  in  s'al  nlàl. 
Quand  1  à  vist  pò  tant  eh  e  gh' basta 
E  in  s^  al  dese  a  mnar  la  pasta , 
Ingrinlàd'  i  torna  a  cà. 
I  torna  a,cà. 
E  \  famèi  li  clama ,  e  '1  biòlc , 
Ch'  i  are  dritl,  fazxe  bel  sole , 
Oh'  li  voi  far  palla  e  paga, 
Ch*  li  vt)l  far  patta  e  paga. 
PedarzoI  con  la  Mengbetta, 
Ch^  s' èva  miss  la  socca  netta , 
zò  d'.an  pdagn  sblisghò'n  fan  foss 
Sblisghé'n  fan  foss; 
La  s'  r  a  tutta  Impaeciurada  , 
£  in  t' on  spin  la  s' è  In&proeada  ; 
La  s'  à  fatt  on  brùU  sfarlòss , 
La  s*  à  ?att  od  bruti  sfarlòss. 


4^26 


PARTE  SECO.^DA. 


S.'  à  fa  sposa  la  Mariola 
Ch'  gh'  à  promìss  so  barba  |n  dota 
On  co  d^  àbit,  on  per  d' manz , 
E  cn  per  d' mdiìz. 
Ma  n'  la  U  cred  fa  pulta,  e  s*  zfira  , 
eh' se  Barnàrd  na'gh'tol  la  Disùra, 
N'  andarà  '1  negozi  Inànz  , 
N'  andarà  '1  negozi  inànz. 
Tant  e  fant  la  fa  '1  sp  cónt 
Al  bùsògn  da  legnr  in  pròni , 
E  s*è  fati  on  IcU  com's'dé, 
On  lelt  corn'  s' de. 
La  gh'  à  ipiss  d' penna  al  strfimàz/, 
E'I  fazzòlsott'al  pumàzz , 
E'I  pontclairass  di  pè, 
E'I  pontèl  all'ass  di  pè. 
Par  sta  sposa  al  zìmbol  séiocca , 
Con  la  zent ,  cji'  a  par  la  aocca 
A  trolàr  in  l'ai  fllòzz. 
In  fai  filòzz. 
Sott  al  fnily  0  all'aria  squerta, 
S'  (ira  dentro  a  gamba  averta 
Ora  e  donni  a  niùó  e  a  rozz , 
Om  e  donni  a  mùÒ  e  a  rozz. 
Par  stoccada  e  par  <^adena 
Gh'  à  la  nian  la  Maddalena  ; 
E  Andrio^  a  mnar  di  pè, 
A  mnar  di  pè  ; 
Ma  n'gh'  n*  impatta  nsùn  la  21uana^ 
Quand  la  sbalza  a  far  furlana , 
Tant  par  dnanz ,  cm'  a  ciil  indrè , 
Tant  pardnanz,cm'a  cui  indrè. 
Andariol  gh'  à  una  fardùra 
Sott  la  fubia  dia  zantiira, 
Pr  andar  d' nott  cn'  al  calissòn . 
Cn'  al  calissòn  ; 
Ma  gh'  n'  è  tanti  che  la  sguazza, 
Gh'  à  brusà  tut^  la  gavazza  , 
E  intacca  fin  al  zoncòn , 
E  intacca  fin  al  zoncòn. 
Msir  Zam  pàolo  dal  Trambàj 
BaU  la  luna  e  magna  V  àj , 
Par  la  Fluppa  eh'  a  gh'  fa  'I  miìs, 
eh' a  gh'fa  '1  mi'is; 


Parche  al  gh'  fé  la  gambarola 
in  t'  al  ball  dia  spazzurdla , 
Ch'  la  mostre  Con ,  Ron  e  Bvis , 
Ch'  la  mostre  Con,  Ron  e  Bus. 
A  chi  pias  a  far  i  zog 
Va  in  t'Ia  stalla  o  press' al  fog, 
Ch'  s' a  gh' starla  inTin  ch^  a  s'mor, 
lnf»n  eh' a  s^mor. 
S' fa  volar  a  man  calcadi 
Piìgn ,  pzigòn  e  scùlazzadi, 
E  s' a  gh'  dis  :  Tò  su  'I  me  cor  ! 
E  s' a  gh'  dis  :  Tò  sO  'l  me  cor. 
La  Catrina  e  TonlPigor, 
Zugolànd  a  sconda  ligor, 
I  s' à  scòs  in  t' al  pajér  , 
In  fai  pajér; 
Ma  so  meda  ghM'  à  caltada , 
Ch*  r  era  tutta  sbarùffada  ; 
La  vcns  rossa  cmè  'n  sbrasér , 
La  vens  rossa  cmè  'n  sbrasér. 
A  n'  sa  fnìss  mai  la  ganzega , 
Ch'  un  fa  vista  d' cattar  b^a , 
E  la  lum  Tarbalta  zó, 
L' arbalta  zò. 
E  II  donni  sa  sparnazza , 
Chi  sa  scònd  in  t' la  navazza , 
Chi  in  t' la  grùppia  ,  e  s' fa  cò-cò, 
Chi  in  t'Ia  grappiate  s'fa  cò-cò. 
41  razdòr ,  eh'  a  n'  voi  impègn , 
Va^zigànd:  Li  man  a  aègn, 
Tant  eh'  a  batta  l' azzalìn , 
L' azzalìn. 
Ma  gh'  n'  è  d' còl  eh'  vegn  alli  brutti. 
E  li  vecci  dis  :  Su ,  putti , 
A-  palpòn  zarchè  "l  stopio. 
A  palpòn  zarchè  H  stopia 
AI  carnvàl  l' è  na  cùcagna , 
V  è  '1  ver  gòdar  la  campagna , 
Ch'  i  patron  a  n'  gh'  è  pr  i  pè, 
A  n'  gh'  è  pr  i  pè, 
Cost  l'c'l  tcmpch'qualch  passd'lcgna 
Passa  in  piazza  la  rassegna, 
E  sa  sguazza  ìnfin  eh'  a  gh*  n'è, 
Infìn  c4i'a  gh'n'è. 


DlALBTTl  EMIÙAM.  ^27 


Sióm  donc  lutti  in  allegrìa , 
B  in  sul  còl  lassóm  la  bria , 
Gh**  al  bon  temp  r  è  tutt  par  nii , 
V  h  tùtt  par  nù. 


Zóvni ,  vecci  y,  netti  e  brodghi , 
Cam  e  pèss ,  e  oss  e  codgbi , 
Póma  tùtl  on  sQ  par  su , 
Poma  tùtt  on  so  par  su. 


In  Saggio  del  dialetto  di  città  valgano  le  due  seguenti  sestine 
di  sconosciuto  autore,  le  sole  che  ci  fu  fatto  di  «rinvenire. 

Corri  obi ,  corri  chi ,  vèé  e  giovnòtt , 

A  t5r  scola  corri  dal  me  niaèstar; 

Trovari  la  panada  e  i  pan  biscòtt , 

Ch'  alla  fam  brutta  mei  tara  '1  cavèstar .. 

E  'l  spirit  purgarì ,  gh'  avrì  la  scola 

Par  tèssar  on  bon*fln  senza  la  spola. 
A  dsì  dimàn?  Dimàn  sarà. T istèss , 

Sibbèn  eh?  on  giòran  sol  n'  al  sia  gran  cosa  ; 

Quand  è  rivÀ'l  dimàn,  l'incó  d*adèss 

L' è  In  fum ,  n'  al  torna  piii ,  né  'I  temp  riposa  ; 

Istèss  r  è  dop  dimàn  ,  e  acsi  per  dia 

Press  i  anni  dP  ozi ,  e  quei  del  ben  va  via  ! 


Gruppo    Parmigiano. 

Parmigiano. 

Nei  pochi  cenni  premessi  a  questi  Saggi  sulla  letteratura  ver- 
iiàcola  parmigiana,  abbiamo  appuntala  la  mancanza  totale  di 
componimenti  di  qualche  pregio  e  meritévoli  d'  èssere  inseriti 
nella  nostra  raccolta  ;  ciò  nultadimeno,  e  per  sopperire  in  parte 
^  questo  vuoto ,  e  perchè  lo  studioso  abbia  un*  idea  più  chiara 
della  natura  e  delle  forme  di  questo  dialetto ,  arbbiamo  avvisato 
di  pòrgergli  il  brano  d' uno  fra  i  meno  insìpidi  Diàloghi  del  lu- 
i^Q  pel  IB30  intitolato:  //  sireUi  msuradi  con  la  rocca  da  la 
^odfiga  da  Patioccia.  A  questo  poi  abbiamo  aggiunto  una  ver- 
sione libera  della  Paràbola  del  Figlio  pròdigo^  in  prosa ^parmi- 
Bìsina ,  redatta  suir  odierno  frasario  vernàcolo. 


491  PARtl  «KMM. 


D 


1  A  LEG. 


Zrfi  Fodriga  arrida  a  ai,  e  la  raspuna  acsi  da  le. 

Sia  lauda  al  Zel,  ch'a'son  a  cà,  e  eh* a  Jarò  fors  fni  d^  andir  Id  giria 
pr  stamatlélna-  A  propósi!  :  cosa  magnaròja  mo  inco?  Agh^à  da  ìsser  db 
po'  d' faréina  d' mclga,  e  bognarà  far  un  po^  d'  poléiota,  lacchè  an'gb^è 
àter.  Al  mal  guài  isser  povrètt!  Al  dì  d^  inco  as'  £adlga  dalla  mattéina  alla 
sìra  cmè  i  asen,  e  pò  quand  V  è  òura  d' dlsnàr,  grassa  eh'  la  oóula  i*  a  gh'è 
un  po'  d'  poléinta  conxa  con  V  àira  dia  fneèlra.  Ah!  dov'  è  mai  anda  co  dì 
che  s^  as'  fava  un  servizi  a  von,  as^  era  siciìr  d\ciapir  o  un  tvajolètt  d^fh 
réina,  o  una  bocetta  d' véin,  o  alla  pu  baronna  on  panèlt!  Allóura  si  chM^cra 
un  bel  vìvar,  e  amMrovava  propria  contéinta  d*  isser  vgnuda  In  ziltida; 
mo  adcss  as'  gira  alla  midema  maiiera .  e  pr^  al  «pu  as^  ciappa  di^  oUigi 
pr  Odessa  ,  am*  arcordarò  pò  d*  vu,  as*  vedrema  fx»  «  e  col  dì  d**  ven  miL 
Basta  :  pr  sii  quàtler  di  d'invàren  bognara  avéir  pasiensa,  e  tirar  ìà,ms 
s'  agh'  son  sta  primavéira,  a  ciap  propria  su  la  me  rocca,  eamMn  tomi 
Panoccia...  {picchiano  oW  uscio).  Chi  è 'no  st' secca  fastidi  a  sróura? 

Jsia.  0  Fodriga  ,  siv  in  ca  ? 

Fodriga.  Agb'  son  mi  ;  chi  è  eh'  tu*  zerca? 

^iia.  L' è  TAsia ,  ch^  v'  ha  da  dir  na  parola. 

Fodr,  {apre)  Ah!  siv  vu,  Asia?  Vgni  inanz.  Cosa  gh'lvi  d'bel  da  contareii? 

jlsia.  Meni  affai  ;  a  son  gnuda  a  disnàr  vose  mi ,  s'  am  gfa'  vri. 

Fodr.  A  vgni  propia  a  boiina  man  vu;  guarda,  ch*a  gh'è  ancora  ai  gali 
in  t' la  zendra  eh'  a!  drónia. 

jlsia.  Oimà!  donca  la  va  mal  mondbéìn 

Fodr,  D'  pez  la  n'  porre  andar. 

jlsia.  Ma  !  l' è  acsi  per  tul\  ;  s'  a  savìsscv  i  niè  guài... 

Fodr.  Oh  !  tasi  pur ,  s'  an'  gh'  i  àter  da  eontàrem  èhe  di  guài ,  pirrhè  ia 
séint  anca  trop  lui  al  di. 

/isia.  Quand  V  è  acsi  tascma  pur.  Oh  siv  niQ  cosa  a  son  gnùda  a  far? 

Fodr,  Ili  no  eh'  a  n'  al  so ,  s' an'  m' al  dzì. 

jlsia.  A  j' avi  da  savéir,  eh'  a  son  passàda  pr  bourg  di  11  ass^e  agh'en 
alla  fnestra  la  siora  America  Bellabocca,  e  la  m'ha  ciamà,  dsèodem  ch^agh' 
faga  al  servizi  d' gnir  da  vu ,  e  d' direv  eh'  andà  là  sùbit  da  tè ,  eh'  V  ka 
premura  d'  parlar  vose. 

Fodr.  Olì!  eo:$ta  ài'  despiàs,  pirchè  arrìv  giusta  in  cà  adessa,  e  am^  vreva 
far  un  pò  d'  poléinta,  pirchè  a  n'em  son  ancora  zivàda. 

Jsia.  Eh  !  andà  là  dalla  slora  Tiséin ,  eh'  V  è  vséin  a  òuni  d^  disnir  »  • 
rè  probàbil  eh' av' tocca  quel  anc*a  vii. 

Fodr.  Basta  :  andoma  pur  (s*  incamminano).  S'  a  fuss  cmè  na  volta,  Vt 
sicura  eh'  a  disnarc  anca  mi;  ma  téimp  era  e  téimp  è:  chi  sa  s'Ia  gh'n'iii 


\ 


piAum  BHUAm.  4Sf 

pr  le  9  ptrchò ,  povrelta ,  ti  di  d^  ìdcò  U  d'  è  mìga  pu  colia  d' oa 

volta* 

JHa.  hi  80  anca  mi,  eh'  la  a'  gh'  è  mudada;  ma  so  dan:  ani  n'  in  sa  brisa 
■il ,  perchè  la  a'  è  ardusida  acsi  pr  al  aò  poe  giadiil. 

^bdr.  Eh  sicura  ch^  la  s*  è  cava  i  so  eaprizì .. . . 

J$ia.  La  a'  i  è  cava,  e  la  sM  a  caVa  ancora  a-forza  de  sog  d'IesUu  II  belli 
Baal  n"  plasrén  anca  a  mi  ;  mo  a  fag  al  pass  cmed  è  la  gamba ,  e  a  lasf 
aodir  adrè  al  modi  chi  n'  gh^  à  aller  da  pinsar. 

fbdr.  Eh  purtròp  V  è  véira  eh'  la  spéinda  tot  In  cargadurl .... 

Mia,  La  gh^  k''po  anca  un  mari ,  eh'  V  è  al  re  di  ciolÒH ,  che  n'  pensa 
eh'  a  nagnir,  e  al  la  lassa  far  tut  col  cb^  la  vói. 

fbdr.  A  gh'  avi  rasóun;  V  è  propia  un  pappa  e  tas. 

4Ha.  Goarda  a'  al  pòi  èsser  d' pu  bon,  pr^  n^  dir  alter.  Za  av^  arcordari, 
eie  8l^  lata  la  s^  fi  scurlar  tutti  i  riss ,  ch^  la  pareva  na  cràva;  è  véira? 

Mbdr.  Am'  n'  arcòrd  ;  e  am'  figùr  eh'  la  sarà  acsi  anca  adessa  ,  pirchè  i 
cavi  n^  fan  miga  acsi  prest  a  gnir  su.... 

J$ia,  Eppur  inco  a  la  vedri  con  un  bei  zignón  tacca  su  con  «b  pètten 
l*aiil  cb^slratlga,  e  Cant  trezzi  tut  vojadl  d' intòurna  alla  testa,  eoa  pa 
filiera  d' riss  pr'  i  dormidòur  ,  e  da  lontàn  la  par  propia  eh'  V  abbia  \% 


fbdr,  eh'  at'  magna  i  lov  !  Cosi  voi  dir ,  eh'  la  s*  sarà  fatta  far  un  pirrucm 
ekéia  p  e  ehi  sa  cosa  al  gh'  è  mai  costà  1 

Jiia,  Figuràv  !  L' è  véira  eh'  la  n'  ara  paga  alter  che  la  fattura ,  perchè 
Bol-bon  em  d'sò  mari  l'ava  erompa  di  cavi  per  fars  na  parucea,  ma 
per  contintàrla  al  gh'  i  à  dona  a  le. 

Adr.  A  so  béin  eh'  am'  burla. 

J$ia.  An'  bùrel  brisa;  e  s' av'  ho  da  dir  la  vrilà,  al  m' al  conti  lu  l'alter 
li  ;  anzi  am'  fi  maravia  ;  e  lu  m'  di  per  risposta,  cb'  V  ava  fat  pr  contin- 
irla ,  e  pr  avéir  la  pasa  in  cà. 

Fodr,  Ahi  a  cred  bcin  eh'  agh'  in  sia  al  roond  di  mamalùc,  mo  di  com- 
lign  del  sgnóur  Mogol  an'  s' in  trova  d'  sicùr  — 

^ffo.  Ehi!  vdila  là  alla  fnestra  V  amiga,  eh'  la  v'  aspetta. 

fbàr.  A  la  ved  mi.  Post  arrabir!  Mo  cos*  è  eia  cosa  rossa,  eh' l'è  in  co?  . 

J8ia.  S' an'  m' ingànn,  l' è  un  bochèt  d'  flòur  féint. 

fbdr,  A  m'  è  d' avis  anca  a  mi  ehi  Ja  sicn  fióur  féint. 

J$Ì0.  La  s'Ja  mise  In  tànt  eh' a  son  gnuda  da  vu.  Bisogna  dir  eh' l'abbia 
rM  qnaledon'  altra  con  al  bochèt  in  eò,  e  agh'  In  sarà  gnu  voja  sùbit  anca 
I  là.  Malta  slòndradòuna  ! 

fbdr.  Ah  !  béin  eh'  agh'  avi  rasóun  T 

Mia.  Oh  mi  a  vag  zo  d' chi  da  bóurg  Monta^ù,  perchè  a  J' ho  d' andar 
ta  nn%  me  amiga. 

f9ér,  Andi  pur,  la  tnè  Asia  ;  sta  béin ,  e  a  béin  arvèdrés. 

Mia.  Si;  av'gnlrò  pò  a  trovar  eh'  am'  contari  cmed  la  sari  andàda  pr'  al 
Hsnir  (parie). 


450  PARTE 

/Mf:.  Vgnì  pur;  ma  a  f  ho  pagart  cb'  la  v^a  iiaar.'bUiiea  (d|aM).  An* 
gnlrè  béin  la  lóuna^  a'  la  m' mandàss  in  giròo  aebia  prima  dàrem  quaieoas. 
da  Elvarem.  Ma  mi  a  sod  capazza  d' dìrghel,  eh*  a  loa  dèbla  onè.  nm  alrais» 
pirchè  al  proverbi  dls ,  chMa  rana  è  senza  cova ,  plrcbè  la  n'  la  dmandi 
{arriva  sotto  la  finestra).  Bondì  sgnoria,  sgnòura  America. 

/imerica.  Olla  Fodriga.  Gni  pur  su  eh'  I'  è  un  pezz  ch'av*  aspètt. 

fbdr.  A  ven  sùbit  (entra  in  catay  A  son  chi  mi  s  cosa  cmandla  dai  fM 
me?  •.  ^  • 

jlmer.  Mi  a  J' ho  bisògn  eh'  am'  fa  un  servizi ,  ma  sùbit. 

Fodr.  Ch'  la  diga  pur ,  sgnóura. 

/imer.  A  j' avi  da  savéir ,  che  la  stmana  passàda  a  compri  al'  acial  cUf 
mo  mi  al  n'  m'  piàs  pu  ,*  e  am*  in  vòj  desfàr ,  perché  l' è  un.  colòar  Irop 
sfazza ,  e  tutt  m' disen  eh'  V  è  da  persóuna  ordinaria  ;  però  va  am'  avi  da 
far  al  *servizi  d' andarmel  a  vénder ,  e  pò  portarem  chi  subii  ool  cb'  i 
ciapari ,  eh'  an'  ho  vist  di  bel  in  mosira  in  t' la  bassa  di  Magoan ,  e  a  fu 
cont  d' andarmen  a  tór  von  tant  ch'i  gh"  cn. 

Fodr,  Eh!  mo  as'  claparS  poc^  vedla,  d' cosi  eh'  en  chi^  pirehè  V  è  béia 
vélra  eh'  l' è  nòv,  mò  za  la  sa,  che  quand  la  roba  è  fora  d'bottélga,  e  ch'I 
s' zerca  d' vélnderla.... 

Amer,  A  so  cosa  a  vri  dir  ;  mo  mi  an'  m' imporla  d' niént,  e  an'  al  v^ 
pu  brisa  drovar. 

fbdr.  An'accór  ater,  e  la  5arà  servida.Ch'  la  diga:  cosa  gh'eoitU  qwfli 
1'  al  erompi? 

jlmer.  Al  marcànt  m'  dziss  ch'ai  vreva  na  dobla.... 

Fodr.  Uh  diavel  !  A  m' è  d' avìs  eh'  la  gh'  abbia  dà  Iropp. 

/imer.  An'  1'  ho  miga  ancora  paga,  perchè  al  fl  notar  alla  parlida  d'  mt 
mari ...  , 

fbdr.  Oh  donca  l' è  sicura  che  al  marciint  gh'  ha  da  dèbit  d' na  dobb 
pirehè  al  n'  vra  miga  scrìver  pr'  ngotta.  La  véira  l'è  d' andar  d' accordi 
prima  d'  portar  via  la  roba  da  la  bottéiga. 

j4mer.  Oh  mi  pò  am' basta  d*  avclr  la  roba;  a  tocca  pò  a  me  mari  avéir 
giudizi  in  t^  èl  pagar. 
-    Fodr.  Mo  n'  sala  eh'  l'è  d'grazia  a  ciapàr  na  colonada  d'srCaizolèttclii? 

j4mer.  Ebbéin ,  pazienza  ;  mi  za  av'  torn  a  dir  eh'  an'  al  vòJ  pu.    ^ 

Fodr,  Béin ,  béin  ,  sgnóura  ;  mi  a  farò  col  eh'  a  porrò. 

Amer.  E  pò  bisognare  eh'  andàssev  anca  dalla  me  scofflara,  e  cb'agh' 
dzissav,  eh'  la  m' portass  in  za  von  d'  chi  capléln  alla  mamalucea  d^ultoa 
moda,  e  arcroandàgh  eh'  1'  abbia  un  bel'burlòn  eh'  daga  dia  grafia  almo- 
stàzz. 

Fodr.  Eia  ancora  la  sòlita  la  so  scofflara? 

jlmer.  Sicura;  oh  !  an'  gh'  è  dubi  eh'  a  la  lassa,  perchè  la  lavòart  d'boo 
gust.  Am'  son  stuffada  d'  portar  sta  petnadura ,  perchè  bisogna  «tir  dil 
iòur  alla  toletta  pr  comdàr  i  cavi,  a  il  (rezzi,  e  dil  volt  am' scapa  la 
pazienza. 


INAUTn'BlllLlANI.  ^31 

Fùdr,  Eh!  sicura  eh'agh'  vrà  del  téimp  mondbéin . . . 

Àmer,  E  pò  a  dirvla,  am'  è  d' avis,  cb'  a  1  abbia  da  piaséir  un  po'  pu 
era  el  capléin,  percbè  a  v€d  dil  brutti  cosazzl ,  che  qnand  i  &d  al  capléln 
lo  ce,  Il  n'  pareo  pu  lóor.  E  vu  cosa  dziv,  Fodriga?  Staròja  pu  béin? 

Fìadr,  Eh,  mi  a  n^ em'  n'  Intènd  miga  d' stil  cossi.  V  è  mèi  th'  la  s'  metta 
al  espiéin  In  co ,  e  pò  eh' r  In  zerca  cont  a  cu  zovnòt  eh'  vènin  alla  sira 
lo  con versaziòun  > . . 

dmer.  Ho  V  para!  Chi  buffonàz  le  i  sarcn  capai  d'direm  eh' a  stagbéln, 
e  pò  derdè  al  spalli  rider  cmè  i  matt. 

Mr.  Basta;  eh'  la  Caga  le. 

àmtr.  Oh!  toli  un  pò  al  sciai,  e  anda  bel  e  presi,  e  portam  di  dinar  sù- 
bit,  eh*  a  possa  pò  andarem  a  crompràr  st'  alter ,  colóur  d' lilla. 

fodr.  No  sgnòura  an'  gnirò  miga  indrè  acsi  s(ìbit,  pirchè  l' ha  da  saVéir 
ck'  an'  ho  ancora  ziva ,  e  fag  cont  d' andar  prima  a  ca  a  farem  un  po' 
(Ppolélnta.... 

Àmer.  Ohi  si  dabbòn  eh'  a  vdj  aspiar  tant!  puttòst  anda  dadla  da  me 
■ari ,  e  dzigh  da  parta  mia,  eh'  al  v'  daga  un  tocchèl  d' pan ,  e  un  po' 
fbrasoUa^  e  magna  bel  è  prest  un  bcon,  e  pò  anda  sùbit,  perchè  mi  a  gh' 
ho  pressla. 

Fàdr.  Oh  !  pr  mi  a  son  pu  contélnta  acsi,  la  sgnóura ,  e  al  Zel  gh'  l' ar- 
sirla. Adessa  andare  donca  dadla  dal  sgnòur  Mogol  a  lirem  dar  col  eh'la 
■*  ba  dil ,  e  qoant  a  ]'  abbia  magna  un  bcon,  a  vo  subii. 

jÈwur.  Anda  pur ,  e  fa  prest. 

Fodr^  pcu&a  in  cucina.  Bondi  sgnoria,  sgnóur  Mogol. 

Mogol,  Oh  Veh!  la  Fodriga!  Cosa  voi  dir  ch'am'  si  gnuda  a  trovar? 

fbtfr.  Am'  ha  manda  chi  la  sgnóura  America,  e  l'ha  dit  ch'ai  m'  daga 
01  loecbèl  d*  pan  ,  e  un  pò*  d'  brasolla  da  far  clazióun. 


Traduzione  lìbera  della  Paràbola  del  figlio  pròdigo, 

Tòcc  del  f^angeli  $crilt  da  san  Luca, 

Acadi  una  volta  che  nòster  Sgnóur  s' miss  a  contar  al  Farisé  e  ai  I>ot- 
tour  de  eia  Icgfa  d' allóura  al  fati  eh'  av'  vag  a  dir. 

A  vcns ,  che  un  om  gh^  ava  du  fio  ; 

E  al  pu  piccén ,  eh'  era  al  pu  bardassón ,  ciapì  so  padr  e  al  gh'  andi  a 
hi  curia.  Papà,  a  voi  la  me  parta.  Adessa  pr' allóura  dàm  la  me  roba, 
eh*  am'  porrà  locar.  Cosa  vriv?  Al  padr  eh'  era  bon  s' agh'  è  mài  sta  pàdr, 
scomparii  la  so  roba  a  scadavón. 

ila  n'  passi  miga  ne  mcis  ne  ani,  che  col  birichlnùzz  al  fi  fagòll  d' luH'i 
so  dinar  e  d' tutr  i  so  fogn,  al  s' butti  per  viàz,  e  gira  che  le  gira.  Pandi 
In  r  un  paés  lonlàu  lontàn  a  cà  del  diiivel ,  dova  a  forza  d' dar  aria 
ai  mooèldiy  de  sgaggiàrsla  e  d' divertirsla  a  quel  biondo,  e  per  (oiria 


m  PAKTB  SBGONDA. 

c  per  seurlàrla,  d' fòr  una  viU  d^  niQaDàxi  e  da  coosumón,  «1  di  fond  a 

tutt. 

E  dop  ch^al  8'  fu  magna  al  coli  e  '1  crud».a  véna  in  col  alt  oa  gna 
miseria,  che  lull  j^/ern  parla  mori  e  parla  mali  da  la  (ami  ®  *i^^  ^  ^ 
cialnii  a  baltr  il  so  bajoneUI. 

Al  8'  desiosa  donca  de  dMa ,  e  V  andì  a  fnir  eh'  al  a'  mlaa  a  palròn  tm 
von  d' chi  castlan ,  eh'  al  V  slV  arflli  par  famèi  In  V  la  so  poaaiòo  con  cai 
eh'  r  andass  adré  ai  gozéin.  ^  • 

E  al  ne  vdev-a  V  óura  e  M  moméinl  d' podérs  desUmar  a  so  vojty  magan 
anca  con  la  gianda  con  il  gussi  e  tuli ,  pàrU  a  la  magnava  i  geséia  ;  m 
an'  gh'  era  vera  né  manera  ;  al  n'  in  podeva  avélr  gnanca  4^  cola. 

Donca  al  torni  a  calar  giudizi  pinsand  ai  so  guài ,  e  cminiand  a  din 
déinlr  d' lu  :  Quanti  agh'  n'  è  mài  di  sbrodgón  a  ca  d^  me  padr  ben  Mi 
e  ben  vesU,  eh'  1  gh'  ào  del  pan  a  balùc.ch'  i  a'  al  lìren  adré,  e  ni  a  Hi 
chi  slangori  eh'  am'  seni  a  morir  da  la  fam  ! 

Am'  loro  su  bel  e  presi,  e  a  slongarò  da  me  padr  e  agh'  dirò:  Papi, a 
gh'  ò  un  gran  pca  adòss  conlra  d' Col  eh'  sta  lassù ,  e  conlra  d^  vu. 

Mi  a  8on  indcgn  d' sinlirm  a  minlvar  per  vòsler  fl5L  Fi  coni  eh^  a  di 
un  vòster  servitór,  e  Iratlam  parti  a  ja  tratta  tutti  in  ca  vostra* 

E  tolands  su  bel  e  presi,  al  slongbi  da  so  padr.  Con  loti  eh'  l'era kniii 
eh'  al  s' podeva  a  péina  veder,  so  padr  al  la  slumi  in  l'  al  moment.  Agk^ 
véns  un  magón  cmè  d' pianzer,  al  gh'  corri  Incontra,  e  salliindagh  eail 
brazz  al  col ,  al  la  quali  d' bas. 

E  al  fidi  subii  al  o'  miss  a  dir  :  Papa,  ^  gh'  ò  un  gran  pei  adòss  contri 
d' Gol  eh'  sta  lassù ,  e  conlra  d' vu.  Ili  a  son  indègn  d' sinlirm  a  lalnM 
per  vòster  flol. 

So  padr  allóura  fi  córrer  tutta  la  servitù,  diti  e  fati,  e  s' miss  a  8bn||Ìr 
Tocca  su  a  la  svelta,  porlàgh'  i  paga  da  la  festa,  e  metil  in  gala;  figh  ft 
bela  flgura  con  un  anèl  de  diamànt ,  e  catagh  dil  scarpi  novi  da  métter 
ai  pé. 

Corri  a  la  stala  ,  dà  d'  man  a  col  vitcl  eh*  è  ben  apasta ,  maxzal  e  cosi 
nàl;  a  voi  eh'  a  magncma  e  eh'  a  féma  goghetta. 

Perché  si'  me  ragàzz  eh'  era  mori  e  supli ,  l' é  viv  e  risussita  ;  V  cr 
anda  pera  cb'  an'  8'  sava  pu  dova,  e  a  r  éraa  cala,  eh'  an'  para  gnan  vèln 
E  i  s' missn  a  Uvla,  e  1  prinzipin  a  dargh  déintr,  e  a  star  alégr. 

As'  di  mo  'I  càs,  che  'I  fidi  pu  grand  torni  d'in  l'i  camp,  e  in  t'c 
l'ostars  da  manimàn,  al  sinti  l'armòur  dia  géinla  ch'vosava  e  eh' saltivi 
baiava,  e  scavalzàva  per  tutu  la  ca  ch'agh'  pareva  al  Intieri. 

Al  clami  donca  von  d'chi  scr^itóur  ch'éren  per  ri  vera,  e  al  gfae  dmandi 
cos'  era  mo  col  gran  tananaj. 

Al  scrvilóur  gh*di  per  risposta:  'N  saviv  mo?  Vòster  fradél  pn  pleoéi 
eh'  era  andà  pr'  al  mond,  l' è  mo  torna  a  ca  lu,  e  vòster  padr  eh'  l' i  via 
ch'ai  ala  ben,  al  gh'àgust,  eia  faluiazàr  al  vitcl  apasta  per  far  alagrti 

Quand  r  avi  sintù  acsi ,  r  andi  in  fumana,  e  al  miss  lò  von  de  chi  nuf 


DlALOTl   EMILIANI.  Mi% 

rbe  a  diri  Tè  niént,  g  al  ne  vrevft  pu  savéir  d'  mcitr  pc  io  ca ,  ne  niiga 
né  brisa.  So  padr  donca  al  salti  fora,  al  se  gh*  Ci  sotta  eoo  bóuna  niancra 
e  al  cmiozì  a  dir  :  Mo  Ifi ,  lassa  andar.  i 

Va  lu  tutr  Ingrogna  al  dì  per  risposta  a  so  pider.  tolì>  J^  én  ani  e  ano- 
reo  eh'  a  fag  al  strussión ,  e  ch^  av^  vegn'  adrè  a  us  d**  an  can  per  senrirv, 
e  per  contintàrv  in  tutt  e  per  luti  ;  e  col  cravètt  da  *godr  con  I  me  cama- 
rida,  cb'  a  possa  dir  eh'  am'  V  avi  da  vu  per  regàl,  arò  ancora  da  veder. 

B  sior  si ,  che  Inco  eh'  ay'  torna  a  ca  a  romper  al  fastidi  st'  àter  balòss 
(Ho  m' perdóuna  s*  a  pec)  eh'  n'  à  falt'  d' ogni  erba  e  fass,  e  eh'  r  à  slovà 
a  rotta  d^  col  tatt'  al  so  con  dil  porcbigni ,  per  lu  mò  ^  sfonda  il  lozi ,  e 
per  la  a  (a  mazar  al  vitcl  pu'  grass  d' la  stalla. 

Vi  so  padr  al  gh'  rispóus  sùbit:  Séinta^  al  me  ragàiz;  mi  a  t' ò  séimpr 
daini  al  oè;  ti  at'  sta  in  ca  d' tò  padr,  e  la  roba  d' tò  padr  Ve  roba  tova; 

Ma  tò  f radei  V  era  za  mori  e  supli ,  adessa  V  è  vlv  e  risuscita  ;  V  era 
udi  pers,  eh'  an'  s^  sa  va  pu  dova,  e  a  T  ama  cata  ck'  an'  para  gnan  vcira. 
Dmea  r  è  giusta ,  an*  s' podcva  a  mane  de  n'  star  alégr  e  de  n'  far  go- 
Iketta  parti  a  J' ama  fatt. 

Piacentino. 

1050.  Abbiamo  riportato  nei  precedenti  cenni  istorici  alcuni 
brani  che  adombrano  il  dialetto,  piacentino  pei  sècoli  XIII  e  XIV; 
e  vi  abbiamo  ricordato  alcune  poeslp  del  canònico  Maurizio  Cor- 
teinglia ,  scritte  nella  prima  metà  del  XVII  sècolo,  che  soggiun- 
giamo qui  appiedi.  Sono  esse  inserite  nella  Grillaja  di  Scipio 
Glareano  (l'Aprosio),  e  propriamente  nel  Grillo  FII^  intitolalo: 
W  Plagiariij  o  sia  degli  usurpatori  (leu li  (^Urui  componimenti. 
Ivi  è  detto,  che  uno  de'  Plagiarii  fu  certo. Guglielmo  Piati,  il 
[naie  solca  tramutare  il  proprio  nome  colL'  anagramma  in  Gle- 
nogilo  Talpi.  Contro  costui  fu  scritta  la  Talpa  plagiaria  ed  ima 
erie  di  componimenti  di  varìi  scrittori,  tra  i  quali  appunto  i  due 
^enti  del  Cortemiglia.  Nel  primo  il  poeta  Introduce  il  Talpa 
tesso  che  tenta  escusare  il  proprio  plagio,  ed  al  quale  il  poeta 
isponde  : 

Plati. 

Un  eh'  arcopiàss'  un  quiidr 
D'  Tiziàn,  de  Bonaròtt ,  o  Pardonòn, 
Nsùn  poràv  zainiii  di ,  ch'ar  (i)  flss  un  làdr; 
Mi  prchc  a  V  occasiòn 

(1)  i#r  per  l'artìcolo  r  pel  pronome  perdonale  è  voce  luUavìa  in  um)  nei  moolì  piacemini. 


484  PAATI  8IC0?IDA. 

Am'  vals  de  .quarch  concètt  ad'sert  schiriòr. 
La  lent  fi  tant  là  ia , 

Digànd,  cb'  a  mert  la  seova  e  la  tiarEeona , 
E  anca  la  forea ,  com'  saMÌn  da  strà  ! 


za 
Msé  Talpa ,  a  V  ingaDe ,  ,^ 

tb'  ar  mond  n'  è  cai  cattiv , 

Cina  fo8  n'  aV  pensè  ;  '  ^ 

Zpedi  la  aomlania  d*  depentór  ;  ^ , 

L' è  òna  prfurla  eh'  ao'  vai  un  ciù  ;           '  i^ 

E  savi  ben ,  cb'  ar  non  è  bon  armedl 

Drova  dll  frasche  pr  acqoatir  ar  sedi.  fia 

Pias  eh'  a  V  la  daschienna?  ii' 

I  v'  dìsen  ladr ,  perchè  a  fé  pr  flgQra  2*1 

DI  originai  eh'  n'  én  vos ,  vossa  fattura. 

k 
SONITTO  y 

Vardòl  pr  avél  tot  z6  da  iin  libanòl  i 

Quàtter  rigb ,  tant  marum ,  e  tanl  r5  ro ,  .  t 

E  anda  In  sa  e  In  là  qnaind  Zora  e  Grigòl ,  y 

E  stracca  ar  mond,  né  mcn  flnila  in  col 
Fò  cBnt,  eh'  i  me  sermón  slcn  tant  briòl  I 

Da  burattén,  o  pur  tant  gòcciaro  ;  y 

Battei  anca ,  s'  a  vii ,  par  bandirei  *  | 

Fatt  tutt  de  bastaiur  e  de  piò; 
Sta  ben  ;  ma  atl  lavór ,  s' a  guarda  flss  ;  ^ 

Pr  r  ordinari  a  i  én  cusi  csé  ben, 

Ch'  asquas  nan  la  cusdura  n'  a  s' cogniss. 
In  fi  vos,  voè  da  Ioni,  voè  da  visén, 

(A  qvenAa(i)  dilla,  tant  énnli  mal  miss!) 

A  s'  gh>  ved  e  conta  1  pont  da  zavattén. 

1720.  In  Saggio  del  dialetto  piacentino  del  successivo  sècolo  ^ 
riportiamo  il  primo  brano  del  mentovato  componimento  inèdito  ^ 
del  conte  Carlo  Scotti,  intitolato  :  ^ 


(1)  Sulla  voce  qvenla  che  ugDlfic«  bisogna  ,  fa  d*  uopo,  ▼èggaii  ciò  ebt  tàAitm  ^^  ' 
pag   Sp  alla  voce  Bentmr. 


DIALCm  BNIUANI. 


455 


La  Patterà. 


Camionb. 


l'BIrié  luslrÌ8sm, 
b  sior  patron  « 
'à  vodl?  in  ton 

Con  bona  sera. 
I  eh'  8on  la  patera , 
1-  gh''  fa  M  sarviii . . . 
ioi'  air*  Indizi , 

Za  '1  m' intéinda^ 
rs  ora  d'  maréinda 
I  Jer  un  anùs , 
al  il  8Ò  eamis 

A  la  ciìsnera. 
esM  fisa  vera , 
al  una  ragazza, 
toeo  ad'  lion  prò  fazza, 

Ha  in  8'  ia  glfisUl 
oa,  e  8'  r  è  robuata , 
ì ,  bianca  e  rosaa  » 
r  nna  zimossa 

Incarnadéina; 
■  lavrl  d' cìiséina , 
la  mozza  un'  orìggia , 
Bài  8ta  la  pariggia 

In  casa  seva  1 
5  eh'  a  gh'  diga  in  dova  , 
iott  fina  adèss 
il  eh'  a  sta  là  aprèss 

A  casa  mia, 
i  Insgna  moti  a  la  via 
'^  d'  pitanza , 
i  nossa  usanza , 

Com'  è  a  la  moda, 
séinza  eh'  la  loda , 
motta  a  la  prova , 
drà ,  eh'  a  n'  s' in  trova 

gquas  ansùnna. 
vd  cuntàghen  vunna, 
M  ciaraméint , 
pira!  miga  al  vèinl , 

Ma  eh*  la  cognìss. 


Un  de  sta  fiola  a  m' Qiss; 
Cara  spòsa  TJresa , 
Za  so,  eh'  a  si  cortesa, 

E  eh' a  m'vrì  liéln; 
■é  vré ,  eh*  a  domaltéin 
Sa  par- si  dastrlgi, 
A  m'gntss  a  nodrlgà 

Un  pò  d' polaja  ; 
Perchè  bigna  eh'  travila 
Asse  p5  d' r  ordinari ,   . 
eh'  dman  un  tal  Padr  Ilari 
E  on  so  fradèl 
I  stan  che  a  tra  'n  eaatòi  ; 
E  forsl ,  s' a  n'  m' ingànn , 
A  gh'  véln  anca  Don  Zvann 

Al  pret  d' la  Cura. 
Giusi  In  d'  eia  conzontura , 
Za  eh'  era  le  In  s' al  fati , 
La  m' moasè  vari  piati, 

eh'  la  mtìva  à  l'órdan, 
eh'  aravan  tira  a  dsórdan 
(Tant  I  comdavla  bcln) 
Anca  un  Fra  Capiìzéln 

Di  p5  scruplòs. 
La  m*  diss  :  Cosi  è  guslòs 
Par  qui  eh'  a  gh'  pias  al  tasi, 
eh'  i  gh'  n'  àn  da  tòs  un  past 

FéiAa  eh'  a  gh'  par. 
Col  alar  eh'  gh'  era  a  par 
L' era  una  pònta  d' peti, 
eh'  in  cogniss  béih  pò  d'  seti 

eh'  disan  dil  zanz , 
eh'  a  n*  s' in  mii  vist  dnanz , 
A  gh'  zur  ,  gnanca  pr  insògn 
Un  boconzéin  esc  gnogn  , 

.  s  Kè  csé  godibil. 
Al  terz  r  era  teribil  ; 
La  gh'  ava  un  par  d' plzzòn 
Conza  béin  da  razòn 

Con  poca  spesa , 


43 G  PARTE  snojiiii). 

Ch'  a  vdiva  le  in  d'  al  piali 
Csè  béiD  aparigia , 
eh*  bastava  d'  un'  ogià 

Par  mott  aplit. 


E  fati  a  la  Franzesa , 
Séinza  al  e  sélnza  coss , 
Séinza  testa  e  séinz'  oss , 

Candid  coi'  è  latt , 


1820.  Scendendo  di  sbalzo  ai  tempi  nostri,  in  Sag^o  del  di 
letto  vivente  porgiamo  ai  nostri  lettori  alcuni  Sonetti  d' occasioi 
inèditi  e  ripieni  di  sali  popolari ,  del  sullodato  Gaetano  Ferrin 
del  quale  la  patria  deplora  ìa  pèrdita  sin  dall'  anno  1830.  Ne 
r intitolazione  l'autore  assnme  il  nome  di  Toléin  Gùcalla;  si 
questo  il  nome  d'  un  personaggio ,  che  nelle  scene  piacentiD 
rappresenta  il  tipo  genuino  dell'  uomo  del  pòpolo,  cosi  appunti 
come  Meneghino  Peccenna  il  Milanese,  Girolamo  i'À8iigianO|  ed 
altretali. 

Una  forzinà  ad  SonóH  compost  da  Tolèin  Cuealla 
da  ci'  ann  eh*  i  àn  fatt  al  famós  dibà  ad  Comini  in  SUadella, 

I. 

Pr'  ai  Tiàiar  ad  Piaseinza. 

Flasoo ,  sì ,  fiasco ,  i  me  car  TaUàn  , 
S'  a  vri  inibalsmàv  -,  i  pròpia  da  vign  che , 
Sì ,  propia  che  a  Piaseinza  ,  e  v^  al  dig  me , 
Che  st'  ann  s' gh'  arfeina  l' or  pò  che  a  Milàn. 

Noi  sì  eh'  a  gh'  óm  tri  quadar  dal  Tiziàn  : 
Bonoldi  e  la  Bonéina  a  si  cos  P  è  ; 
E  la  nostra  Tinella  a  gh^  tigna  adrc , 
E  vialar  slnti  alma  a  bajà  di  can. 

Sanquìric  al  Tlàtar,  e  al  nos  Zorzéln 
A  r  ha  pitùrà  il  scén;  gh'  óm  pò  un  lambdàri 
Csò  strasighèint  eh'  a  s' voda  féi  I  miìsséin. 

Donca  a  dì  fiasco  òi  fors  mìga  dit  béin  ? 
eh'  sarà  fors  qualch  braghcr  eh*  diga  al  contrari  ? 
Al  n'  e  un  spilàcol  eh'  a  ga  fuma  i  s^scln  ? 

II. 

Par  la  Siràda  dal  siór  Claudi  Bonoldi  nòstar  ligitim  Piasintii^ 

Sintì  9  i  me  fio ,  me  a  n'  fag  ad  paragón 
E  lass  a  ognoin  la  so  abilità  ; 
Ma  cóst  V'  al  dirò  béin,  che  par  otnli, 
Al  nos  Bonoldi  a  gh'  fuma  i  bùstarnón. 


DIALETTI   BMILU.M.  437 

L' è  un  pczz  cb'  so'  al  moiid  ,  e  n'  ho  sitili  di  bon  , 

B  di  cantant  di  car  8'  In  pò  trova  ; 

Ha  tanr  ànma  in  dal  slómag ,  tant'  aziòn , 

Csc  un  tutt  assom ,  gh'  ò  il  me  difflcolla. 
Lù  al  va  al  cor ,  Iti  al  canta  ciar  e  noit  : 
'    Quatte  al  vanozza*  polal  fa  ad'  pò  mèi  ? 

Me  dig  ad  nò  :  n^  as'  dà  d'  pò  maladott. 
Za  a  tutt  ad'  sèìnlal  s' gh'  è  scada  i  zervèi , 

Ad'  mod  eh' jorsira  gh'éram  tanta  strott, 

Ch\son  andà  a  rìsag  d' fàm  sgnlca  i  budèi. 


III. 


4  la  (ozia  dal  siór  Claudi  Bonoldij  dia  sióra  Emilia  Bonéina 

e  dia  sióra^  Tognòtta  Tinella. 

Plantla ,  Roséln ,  s' an'  V  vo  ciappa  dil  bòtt  ; 

Che  a  féln  di  còint  sa  j' ò  impignà  al  parò , 

An'  r ò  miga  Impignà  par  zuga  al  loti; 

Né  tirai  so  pr  i  pé ,  né  tirai  so. 
Mezz  frane  al  zavatéin  pr'  ILtò  scarp  roti  ; 

Véint  sod  pr'  al  ris  e  pr'  un  quartéin  d' fasò. 

Son  sta  a  tiàtar ,  j' ò  bovi  un  mzinòtt , 

E  j' ò  vanza  du  sod:  to  s' a  T  ja  vò. 
Guarda  !  par  sèint  Bonoldi  e  la  Bonèina , 

Che  vòin  e  V  alar  gh'  «in  'na  vòs  csc  bella , 

(  Giò  m'  malidissa  )  a  vèind  fcin  la  marsélna. 
Quand  vigna  la  siràda  dia  Tinclla , 

Pùtòst  che  n'  scint  da  cara  passarcina , 

Te  a  t' è  da  l)òi  ;  ma  impign  anca  la  sdella. 

IV. 

Pr'  al  8iòr  Jàcam  Flippa^.  soimdór  da  rìoléin. 

M' arcòrd  ancora  quand'  èra  in  socliéin  , 
Che  me  nonna ,  bón  ànma,  la  m' cantava , 
Che  un  zert  Orfeo  col  so  bel  chilaréin   . 
Al  Diavol  r  incantò ,  tant  bel  '1  sonava. 

S' la  gh'  flss  adàss ,  me  sì  gh'  al  dire  bcin , 
Che  le  la  n'  sàva  gnèint,  propia  la  n'  sàva  : 
E  al  de  d'incò  gh'  òm  di  talèint  pd  féin; 
Dirév  al  siór  Orfeo  :  Vatr  I  a  lava. 


458  PARTE  SECONDA. 

Me  si  Jersira  eh'  j^  ò  sintì  un  ragàzz 
iy  diods  Bnn,  eh'  al  tira  tanta  béin  V  arcott , 
Ch^  al  n'  in  vorév  di  Orfèi  tréinta  navàia. 

Se  csé  picéin  r  è  za  ese  nuladott , 
Quand  al  gh'  ara  la  buiia  in  s' al  mòstàsz , 
Al  bégna  al  nas  a  luti,  né  gh' a  scomótt. 

V. 

Pr*  tifi  Ussér  eh'  à  vri  cùnia  par  forza 
in  dia  Cademia  ad  Cà  Costa. 

Me ,  eh'  traga  via  al  me  léimp  par  fi  od  sonòU 
Par  cól  bel  fig  eh^  a  J' óm  slnti  a  canta  7 
Vorìv  eh' a  v^diga  saetta  la  vrìt»?» 
Putòst  gh'  tir'ré  In  dia  schèina  an  car  d' si^dtt. 

Gh*  dircv  :  T' n'  et  miga  aeeòrt ,  sit  maladott, 
Ch'  V  è  ròtt  al  cui  a  tutta  la  briga , 
A  risag  coi  to  vers  d' fi  gomita  ? 
Canta  dil  iltaxiòn ,  nò  di  duott. 

Me  m' par  eh^  V  ariss  da  Jèssat  dslngana: 
Fam'  un  piasèr,  n^  a  m^  rompa  pò  I  cojòn  ; 
Sta  schizz  y  0  càn ,  va  via ,  va ,  passa  a  ca. 

I  birichéin  i  én  atar  che  pò  bon  ! 
A  m' dà  pio  gust  i  ortlàn  eh'  vósan  par  strà  : 
Oh  il  verz ,  il  rw,  i  silr,  i  fatolòn  ! 


VI. 


Toléin  risponda  a  qui  eh'  disan  eh'  a  l'è  iropp  piazzati 

in  dil  so  sprissión. 

Son  scapuzza  Jersira  In  d' iìna  paja 
A  bév  un  mezz ,  cai*  a  s'  fa  ,  con  me  mojér; 
E  sèint  a  di  ^  eh'  a  gh'  è  quatcddin  eh'  a  baja , 
Ch'  a  fag  di  vèrs  tropp  spère  e  lò  d' sinlèr. 

Ch'  al  vigna  Inànz  sta  can  da  Dio  eh*  a  bija  ; 
Sto  viso,  sta  cagai >  mestar,  braghér, 
Spudém  in  fazla ,  e  dsim  eh'  a  spn  canàja  » 
S' a  n'  al  fo  andà  pò  fort  eh'  an'  fa  un  corér. 

Me  son  nassi  a  Piasélnsa  ,  e  miga  a  Pisa  : 
A  fag  ai  zavatéin ,  sango  de  Bio  1 
E  stag  In  dal  cantón  là  dia  camisa. 


N 


■  » 


DIALITTI  EMILIANI. 


439 


Me  par  al  n*  à  mài  dilt  nò  mio  né  Ho  :  > 

Parlànd  in  squincio  ^  al  dsiva  alma  quale  brisa  : 
Chi  Vhà  per  i  cojón /belV idol  mio? 

Per  ùltimo  in  Saggio  della  letteratura  dei  citati  Lunari  pia- 
ntini,  soggiungiamo  un  Discorso  in  versi  tratto  dalla  Piligréina 
rolga  mqjér  dal  zavalléi  Ficca  par  tiitt^  dell'anno  4858,  col 
olo: 

Una  Gabióla  d'thatt, 
Dascurs. 


itra  nott  m'son  alvà  in  camisa    .'Che  puro  còull  ch^am'confid, 
Cb'  a  n^  8'  ga  vdiva  gnan  na  brlsa'    Ch'  a  vadrì  cìi'  fo  csé  par  rid  : 
Bill  e  prest  m*  son  visti  so, 


rant  par  fa  cui  poc  eli'  a  s'  p6 , 
i  ho  ossarva  col  canoccial 
Ih*  gh^  era  a  vota  on  tiraporàl. 
va  piir  guarda  I  pianotta 
i  la  loina  co6  la  motta  ; 
ia  era  tant  I*  oscurità , 
Ih*  a  m' son  missa  a  consulta 
7  mond  eli'  ho  ditt,  ossia  gabiola. 
rond  e  fati  cmè  ona  ribiòla. 
vist  tanl  d' quill  stravagànz , 
V  quill  da  rid  e  d' quill  da  piànz 
rra  tutl  i  om  in  general, 
raat  eh'  finiva  al  thnporàl , 
£  ho  ditt  csémò  da  par  me 
I  che  sorta  d^  gazzaghc  ! 
D  lontàn  da  critica 
A  gint  brava  in  società; 
U  Jò  vist  in  gabiolcina  , 
hefl'  fa'l  matt  qualcdoi  ghMncléina: 
la  vadri  s'  V  è  mlga  acsé  :     . 
'A  a  bon  colnt  gh'son  dei  anca  me. 
ttl  maU ,  scuse  sa  sballi , 
'  in  podrè  fa  anca  on  detalli  ; 
r  av'  n'  abbiè  mlga  pr'  a  mài; 
di  eh'  a  pari'  in  general 
d' cert  matt  ch*  han  poc  giudizi, 
h'  fan  di  r  mond^  eh'. in  cargh  ad 

vizi. 


Na  v'  fé  za  d'  applicazión  : 
0  che  téimp  !  i  sinti  V  tron  7 
Zirca  cóust  lassumla  le  : 
Sa  vri  rid ,  ridiv  con  me. 

Gh'  è  da  rid  in  zert  momélnt 
Vod  al  mond  péin  d'  malcontélnt  : 
Béin  ch'as'  dis  che  eh' rida  è  matt, 
Ma  me  d'  rid  me  m^  nin  fo  on  piatt: 
Po  v'  la  lass  ^a  vlàtr  a  decid  f 
Sa  fo  mèi  a  pianz  o  a  rid. 

Si  che  r  mond  V  è  on  beli  tiàtar: 
Gh'è  I  cattiv,  gh'è  qui  d*caràtar; 
Gh'n'èdi  trid,gh'n'èch'énln  fil, 
Ma  dal  pò  al  mane,  cardii , 
Voin  dop  r  àtr  In  gabiolélna , 
Tutt  gh'  fan  déin  la  so  copléina. 

Za  eh'  a  s' tratta  adèss  da  rid  , 
V  voi  fa  vòd  ,  tocca  co'  I  did, 
CV  son  par  div  ad  quill  vrità 
Ch'  faràn  rid  la  società  ; 
Spezialméint  pò  zerta  gInt , 
Ch'  mànglan^  bévan,  fan  mài  gnlnt. 

Me  zert  matt.Ja  compati^s, 
M' rid,  ma  n'  poss  gnan  tas  sa  vriss; 
Vod  zert  matt  tutt  in  corréinU , 
H'  rldf  m' la  god,  e  son  eontéinta; 
Quas  dire ,  eh'  l' ho  féin  pr^  onór , 
D*  ess  in  lista  assom  con  lor. 


**0 


PAITC  SBUMDA. 


Gh'  p  qui  matt  eh'  dan  dal  balòss 
A  qui  cb'  ban  di  slraxz  adòss  , 
eh'  fan  r  oziós ,  eh*  én  mal  vUlì , 
Dséind,  eh'  i  én  matt  da  eompati  ; 
Ma  anca  lor  s*  i  (issaa  dtd , 
1  man^rén  poléinla  e  spnd. 

Gh*  è  qui  matt  fra  lert  daspra 
€h'  éo  al  scandoi  dil  zitti , 
E  n*  par  gnint  a  sèintia  lor  « 
Po  i  gh'  dan  a  mira,  e  da  zert  or 
S' fan  mòtt  déin,  eh'  l'è  eul  negozi, 
Ch'fa  eia  gint  eh'  stan  sèimpr  in  ozi. 

Za  sta  bei  l'è  on  azzidcint: 
eh'  nassa  pòvar  fa  i  gran  stéint  : 
Fi  r  balòss ,  seguita  (il, 
Stè  sicùr  eh'  a  T  è  un  gfan  mil  : 
fiass  balliti  l' è  ona  disgrazia  : 
Fa  V  balòss  véin  róuss  la  fazia. 

Za  vdi  st'  mònd  eh'  l' è  pcin  d' affàn» 
Péin  d' malizia  e  péin  d' ingànn. 
Domina  dall'  ambizion; 
Coli  eh'  trionfa  è  coli  eh*  gh'ha  bon> 
E  accordcm  s'  gh'  i  sintiméint , 

* 

Che  1  pò  matt  \  én  pò  cootéint. 

Gh'  è  qui  matt  eh'  disan  :  magara  1 
Se  la  roba  la  gniss  cara  : 
Pòvar  noi  em'  òmia  da  fa  ? 
S' la  va  esc  noi  sum  daspra  ; 
E  rabbiós  cm^  a  i  én  i  ean , 
S' dan  al  diàvoi  tegn  a  man. 

Gos  n'  in  véin  pò  d'  ricompéinsa  ? 
Gh'è  tant  gran  ch'l'è  roba  imméinsa. 
Al  long  legnai  in  s' i  star 
Par  spatta  eh'  al  vigna  car, 
Al  marsizza^  e  gnan  i  bo, 
Dagh'  r  inànz ,  in'  la  vòn  pò. 

Gh'^è  d' cu  matt ,  stramàtt,  mattòn  , 
Oh'  gh'  a  In  canléina  dal  véi  bon  ; 
Ma  parche  1  n'  san  travasai , 
Gh'  è  tant  vot  eh'  al  gh  va  da  mal: 
0  eh'  al  véin  fort  emè  V  asè , 
0  eh'  al  s'  briìsa  o  eh'  al'  s' tra  jè. 

Gh'  è  eh'  s' immagina  d' sta  mal , 
Pez  che  i  matt  eh'  én  a  t' osptal , 
Ch'vìvan  scimpar  malinconie, 
Delicàt,  pò  i  dvèiutan  crònic^ 
Parche  I  n'  san  god  l'allegria, 
Matt  mala  d'  malinconia. 


\ 


Gh'  è  d'  cu  mail,  siè  parsuàs, 
Ch'  stan  bel  e  i  lércaa  d'  mala-; 
Ch*  ogni  brìsa  d'  pott  caga 
Stan  In  lett  par  fis  curi; 
E  sU  matt  long  tò  madsélna, 
Poe  a  poe  van  in  arvéina. 

Vak  a  dÌ4  che  'I  Barbatogli, 
Long  purgis  ema  d' gh'è  l' bus^ 
E  fas  mòlt  di  lavativ. 
Li  a  fa  ess  pò  mort  che  viv. 
E  sii  matt  prima  eh'  flss  V  ora. 
N*  ho  vist  tant  andi  in^  malora^ 

Gh'è  pò  chi  alar  matt  dal  pari, 
Ch'  pèinsan  sèimpr  e  i  fan  lùnA.  ^i 
Ch'  battn  i  quart  secònd  la  IòìB'^ 
Ch'  a  s'  laméintan  dia  fortòina 
Ch'  favorissa  i  pò  bricón; 
Ma  qui  én  matt,  stramàtl,  m^ìì^^ 

Gh'è  d'  qui  matt  eh'  rèstan  Dojòs  ^ 
DI  miatt  timid,  vargognòs, 
Gh'è  1  pacclón,  gh'è  1  mail  alcir*^i 
Gh'è  4i  matt  zuccóo,  laslird, 
Gh'  è  d'  cii  matt  ch^  han  dia  risi  .^> 
Ch'  tàccan  lld  pr*  antipatia. 

Gh'  è  d' cu  matt  eh'  rèstan  f&riós, 
D'  cQ  sofistic  fastidiòs  : 
Gh'è  d'eù  matt  eh' a  n'  pòa  vi  bèi  ^^ 
D'  cu  eh'  la  Iòsan  ema  la  véin: 
Matt  ch^a  tòsan  tùtt  par  bon, 
Ch'  i  s'  fan  di  dal  matt  minclòn* 

Tra  sti  matt'gh'  è  zerta  gint, 
Ch'  van  in  corla  anca  par  gnlnt. 
Gh'è  d' cii  matt  ch'rèstan  blsbètl^  ' 
Ch'  i  s'  rabissn,  e  gh'  vd  di  emètir 
Gh'è  i  flemmàtic  marmottòn, 
Ch'i  én  d'eù  matt  ch'i  én  pò  birbòi^ 

Gh'  è  d' qui  matt  .eh' a  n'  san  di  d'no^  ^ 
Duz  a^  cor ,  eh'  fan  god  al  so  : 
Fagh  a  mèint  s' l' è  miga  vera  : 
Féin  eh'  i  gh'  o'  han,  tiìtt  a  gh'  far^ 
Seguitànd  cóUstil  medésim  (cera^ 
Ja  vdi  nùd,  séinza  on  cintésim. 

Dand  ià  '1  so,  il  s'  fan  mlncioni 
Féina  a  tant  eh*  i  én  dsinganni; 
Ch'  al  spcind  trop  l'è  ona  materia 
Cb*a  condanna  alla  miseria. 
Béin  eh'  al  s' sa,  eh'  l' è  roba  antif a; 
Ma  sti  matt  na  gh'  pèinsan  niga. 


/ 


1 


DIALETTI   EMILIANI. 


kki 


CU  malt  tribuladór; 

lardàsn  anca  da  lor» 

!can  lid  lùtt  i  momcint, 

l  risi  eh'  n'cn  mai  contcint, 

nissn  in  quale  in  anera 

«rsón  0  là  in  galera. 

latt  eh*  han  dal  balòss  (oss: 

iDca  qui  eh'  a  s' fan  romp  i 

pàgan  pò  a  il  so  spes 
fan  tra  long. e  dastcs, 

lai,  dai,  e  importuna, 

SII  de  eh'  i  s'  fan  mazza. 

ich'a  vMa  par  longa?(Ionga: 

il  dono  matt  d'  la  léingua 

i'  cu  matl  eh'  miarà  ligaja, 

voD  tas  gnan  a  bastonaja , 

I  a  dsórdan  I  marr, 

r  om  ja  fa  imatlì. 

il  donn,  eh'  pàran  gint  soda, 

in  mati  pr'  andii  alla  moda, 

matti  II  pòvar  sartór; 

natt  a  sèintia  lor 

artór  eh'  fa  il  vasi  mal  fa(t, 

lia  ridas  cmè  tant  matt. 

remando  in  ascondón 

langàzz,  quill  guarnizión; 

matt  fan  compari 

eh'  tasa  I  so  mari , 

'  ho  dilt,  v'  al  dig  ancora, 

sta  causa  la  sartora. 

BIc  v'  salut,  eh'  voi  lassa  esé; 
Dire  d'  pò;  ma  lassùm  le: 
Sta  gabióla ,  la  me  gint, 
Consijifàla,  e  n'  pinsc  gnint. 
Dess  a  vò  col  canocelàl 
Vod  s'  finissa  V  tlmporàl. 


Po  mìa  ridas  ^  sto  sicùr, 

Con  quill  matt  ch'én  cargadur, 
.    Povra  gint,  d'*quill  donn  d'  arila 
Ch'  fan  la  vita  longa  on  mìa , 
Par  vri  fa  la  vita  stròtta, 
Strinzi  a  brazz  con  la  fassotta. 
Gh'è  d' quill  mati  d*quill  sporcaeción, 
M' intèind  séimpar  zert  parsón, 
Ch'  i  tran  fora  da  il  finèslar 
Còli  eh'  J  aràn  da  tra  in  dal  destar. 
Ch'  van  a  rìsag  da  sporca 
La  gint  eh'  passa  eh'  én  par  strà. 
A  stil  matt  eh'  n'  han  d'  polizìa 
Miàra  stàg  lontan  zéint  mia:  (sciali, 
Gh'  n'  è  d'  quill  eh'  pòrtan  di  bei 
E  ch'I  girn  in  s^al  faesall 
Con  dil  scuffi  e  di  capléin, 
Ma  da  d'sótt  i  cn  spòre  cmègréin. 
Béin  patHà-  ma  i  san  da  spùss: 
Co  il  pocciàcr  in  mira  all'  uss: 
Gh'è  il  scatià  ch'gh  ha  l' rùd  in  s'j  U 
Con  la  mota  féina  al  znoé. 
Par  fas  mòti  a  tutt  i  pati 
Som  in  Usta  ai  àtar  matt. 
A  v'  n'  in  siv  ancora  adàtt. 
Che  in  gabiola  gh'  è  i  gran  malt , 
Poe  0  tant  coi  so  difètt? 
Me,  par  me  na  gh'  zont  on  ett; 
E  s'  ho  ditt  na  quaich  vritii 
N'  av'  sto  miga  dasgùslà. 


Pavese. 


Non  conoscendo  verun  coìnponimento  in  dialetto  pavese 
ì  alla  seconda  metà  dello  scorso  sècolo,  come  più  antico 
K>rgiamo  ai  lettori  le  seguenti  Ottave  di  anònimo  autore, 
nella  mentovata  raccolta  di  Poesie  per  la  elezione  a 
fangnifico  dell'  I.  R.  Università  di  Pavia  del  Prof.  Don 
'amburini. 


443  PkWTE  SBCO!<IDA. 


Ott 


A  V. 


Mèi  9on  sturdi ,  mei  scoli  a  fi  di  eviva 
Al  professor  don  Pédar  Tamburél , 
In  tudèsc ,  In  franzés ,  e  In  r  la  corriva 
Léiigua  di  Veneziàn ,  e  in  ver^  latéi , 
E  vddi  ansoi  Pavés  a  tra  la  piva* 
Fora  dal  sac ,  a  di  :  son  chi  anca  mèi , 
Soo  chi  anca  mèi  par  di  la  me  rasòn , 
Par  cràss  la  giojre  la  consolaziòn. 

Pussìbil  1  e  pur  so ,  cli^  anca  I  Pavés 
Stùdèint  son  cors  in  folla  a  V  eleiiòn 
Dal  sur  Rettór  Magni^ ,  e  ò  pr  iniès , 
Che  tutti ,  o  quasi  tulli  in  bona  union 
llan  elèlt  Tamburèi  dott  e  cortes. 
Pussìbil  donc ,  che  nanca  una  canzón 
In  nostra  léingua ,  ch^  fatza  on  pò  d^  fracàss 
As^  voda  in  sta  raccolta  7  Oh  !  resti  d'  sass. 

Se  fuss  ancor  cui  tèmp ,  che  quasi  troppa 
Grazia  am'  fava  la  Musa ,  e  bona  zera  » 
E  la  m'  mòttiva  ad  cui  cavai  In  croppa 
Ch^  porta  1  cantòr  dov  fan  i  Mus  U  fera , 
Mèi  no  par  zert  tgnarèv  la  bocca  stoppa  ; 
Propi  da  bon  al  dig  ;  propi  da  vera , 
Anca  mèi  cànlarév  o  bèi ,  o  mal , 
Par  onim  a  la  gioja  ùniversal. 

Piira  quaich  coss  voi  dì ,  ne  V  abbia  a  mal 
Ansoi ,  voi  di ,  che  s^  al  nos  Tamburèi 
L'  è  maltratlà  cmè  dn  can  dai  so  rlvfil , 
An^  podìvn  i  studéint  desmostra  mei 
L' amor  oh^  a  gh'  pòrtan  ^  e  rèndal  iroorlàl  ; 
Sebbéi  eh'  ài  la  sia  za  par  i  so  bei 
Liber  che  V  k  stampa  ,  che  con  V  alzai 
Al  Rettorà  con  plaus'  uni  versai. 

No ,  fi*  al  pòss  no  nega  ;  che  st'  eleziòn 
L'abbia  slntì  qualcdoi  con  crepacòr; 
Piira  poss  dì ,  eh'  r  à  avii  r  approvazión 
De  tutt  la  gint  dabbci^  e  eh'  anca  fòr 
Di  scoi  s'  avdiva  la  consolaziòn. 
Intani  mèi  slava  alcgr ,  e  in  t' al  me  cor  , 
Quand  ho  sintì  sto  fall ,  pèin  d' gioja  dsiva  : 
E  viva  ^1  nos  Bettòr ,  e  viva  ,  e  viva  ! 


% 


DIALCTTl  IMRIANI.  445 

18.  Fra  le  molte  poesie  del  signor  G.  Bignanii  abbiamo 
per  Saggio  la  versione  del  Lamento  di  Cecco  da  FaV" 
,  nella  quale  il  poeta  seppe  introdurre  con  molto  magistero 
le  forme  e  le  grazie  della  propria  favella, 

I  Lamént  d'  Cicchìn  d' in  Borg-  Olia{i). 

•• 
Ottav. 

S' érani  già  d' maj  guer  guer  alla  mila, 

£  1  campàgo  d'erb  e  d'  fior  éran  starni; 

Féna  i  òrt  e  1  giarde!  dentr'  in  citta 

Éran  d' un  beli,  che.na  s'  podlva  di, 

Quand  al  póvar  Ciccbin  d' in  Borg  Olia 

Par  la  so  Linda  coU  «  brastolì, 

PSr  sia  crudela  eh*  la  gh'  ridiva  ai  spai 

AV  sfugàva  '1  8Ò  goss  giust  lai  e  quii: 
Ma  cum  podal  mal  sta,  Linda  tirana, 

Gh'at'  am'  siat  tant  ingrata  e  tant  arvèrsa? 

Ma  st'  òja  falt,  o  zett  ad'  maggiorana. 

Da  trattam  anmò.pef^  d*  un^ ànma  pèrsa? 

Pù  sposmissi  par  ti,  pu  In  padovana 

T^  vòllat  i  ùiè  sospir,  e  t'  fé  l'Inversa; 

E  vultra  a  quàst,  par  dam  la  bona  msura  . 

8'ar  vegnl  apprèss,  t' la  sghibiat  adrlttura! 
Ma  scappa  pura,  e  va  piasse  cb'  n*  è  '1  vent, 

Che  mèi  già't  vegni  adré  anca  a  cà  d'Clappéi... 

S'iss  bèi  d'andà  in  t'àl  log,  son  strà-contènt , 

Basta  pur  eh*  sia  eon  ti,  ear  ciapppoléi  ; 

S' iss  anca  da  soffri  mila  tormènt, 

A  tutt  i  sto  par  ti,  son  pront  in  féi... 

Faga  pur  cald  o  fràd,  slal  nott,  slal  di, 

M' n'  in  fa  da  gnint,  se  son  apprèss  a  ti. 
eh'  al  sia  pur  duli  al  temp,  o  brusc,  o  Invèrs, 

No  gh*  è  prigul  che  un  eredo  at'  perda  d'  vista  ; 

All'ort,  in  cesa,  a  spass,  in  tutti  !  vers 

Son  li  tira  cmè  un  stacch  a  tgnitt  ad  pista, 

Quànd  eh*  a  V  podi  no  vod,  pari  voi  pérs; 

Ma  s' agh*  rivi  a  liimàt,  gioisci  a  vista; 

Agh'  motlriss  r  oss  dal  eoli,  che  in  tuU  al  mónd 

Da  vorr?t  tanto  bèi  gh* è  no  '1  ^ecònd.. . 

•go  Oleario  e  una  conlrada  remoU  tli  Pavia,  ove  Uìtmuì  pancchie  ortaglie  e  dovi: 
)  wfflMsi  più  immane  dal  cooUlto  degli  sUanieri. 


flHf^  PARTE  SEC090A. 

É  ton  iiitt  quàst  T  gh'  è  cor  lei  da  sbcflaiu . 

Dà  guardàin  io  barlùsc,  fam  al  grcntòn! 

Obperdjndo!  si*  òi  fall,  da  merilam  ^ 

Tanti  dasgàrb,  sgrògbàd,  e  mila  arbgnén? 

Degnai  almànc  pu  srena  da  guardam , 

Oa  fam  un  pò  'd  bocchin ,  oh  sanguanón  ! 

Se  d'  no  già  crepp  sicùr  dal  gran  dolor,    ' 

E  anso!  ta  resterà  con  lànt  amor! 
No  V  gh^  avare  pu  un  ànma ,  cradem  pìir , 

Ch'  af  porta  tutt  i  fest  ài  maxzd  M  fiùr , 

0  che  sulla  alla  fne^tra  quand  V  è  scur 

At'  fàga  I  serena  coi  sonadùr  ; 

0  quand  ài^  gh' et  In  rori  1  frut  madùr, 

0  eh'  vegna  la  fiirgà  di  nos  lavùr , 

Propri  anso!  n^  agh^  sarà  cìC  àV  daga  niiln , 

E  t'  toccarà  a  strùziat  ti  come  un  cSn  ! 
Donca  ajutam,  fa  prast ,  lassara  pu  incèrt , 

Prima  ch^  vaga  dal  tutt  dentr**  in  t' la  busa  ; 

Ma  già  r  e  propi  un  predica  al  desèrt , 

Ch^  n"*  at'  vo  senti  pregbiér,  rasón ,  né  scusa» 

Fa  pu  tant  V  ùstnnà ,  Linda ,  e  sta  cèrt , 

Che  mèi  V  mlncioni  no,  compàgn  già  cb'  %'  usa  ; 

Dàm  doma  ùn^  oggiadéna  e  pò  s'  aV  por , 

Nega  dal  pòvar  Ceceh  SI  crappacdr.  — 
T*  al  giùr ,  che  par  ti  mori ,  e'  i*  fo  bosia  , 

Vorréy  mòvam  mai  pù  da  sto  post  chi  ; 

Vorrév  che  ci'  àltr  al  gniss  a  portam  via; 

D*  avègh  mai  pu  i  gran  bèi  da  vodat  ti. 

Già  son  giamo  d'  dù  Indritt,  propri  un  ombrìa; 

Guàrdain ,  at^  pieghi ,  e  prast ,  fàm  pu  .pati . , . 

Doma  un'  occià  ta  cerchi ,  o  M  me  folètt , 

Pò  tirarò  contànt ,  s' at'  vò ,  I  calzèttl 
I  son  quattr'  ann  chi  adàss  a  ^antospéi  (i), 

E  gh'  ò  U  taccuìn  in  ment  beli  e  stampa , 

Che  dai  tò  bei  /attèzz ,  cara  Lindéi , 

Son  resta  come  'n  mèrel  ingarbià; 

E  m'  s'  è  tanto  ficca  In  t'~àl  cor.  quell  spéi, 

eh'  am'  trovi  anmò  biilùrd ,  oca  incanta  ; 

Da  quèlI  moment  -féi  dcss ,  o  car  Signùr  ! 

!S'  ài  s' è  pasià  un  fargùi  quell  gran  dolùr  ! 

(1)  S.  Spino  è  una  reliquia  serbata  in  Pavia,  e  che  per  antica  pia  cretlgnia  ai  venera  cco^ 
(•arte  della  Corona  di  spine  di  G.  G.  Ogni  anno  vi  si  consacra  la  seconda  Festa  della  ?«■'' 
(ecokle,  nella  quale  viene  portata  in  solenne  processione.  Il  poeta  sostituì  opportanameaU  qoc 
^t'  (•{•ora  cfflel>rc  presao  il  pàpolo  pavesa  a  quelb  dvirAsGCMÌoBa  indìcaU  aell*  origiadc 


\ 


DULffrn  niLiANi.  kkìi 

Son  pu  bon  d'  un  masté  nan  long  mezz  djdu  ; 

S^  a  comenci  un  lavùr ,  poss  do  flnil  ; 

S'  ho  da  fa  su  un  toppio ,  tjàji  la  Vida  ; 

Fo  in  disèmbr  o  genari  coss  .d' aprii  ; 

Insuma  M  me  zarvèl  V  e  senza  guida , 

E  dia  rasón  gh'  ò  pers  féi  r  uUim  fil; 

An'  fo  che  pianj^  in  tutt  ài  santo,  di , 

E  d"*  nott  compàgn  d' un  fio ,  am^  mdtl  a  sgarì. 
Uéì  che  i  mich  in  t' un  buff  voUiiva  vìa , 

An"*  poss  pù  nanca  sentii  a  nomina  ; 

Ora  d'  disnà ,  né  d^  atena  agb'  n^  è  pii  mia  ; 

Né  ^m  sostanti  che  M  piant  ^  e  ^d  sospira. 

E  1^  linic  me  ristòr ,  la  me  legria 

L'è  'I  tò  faclo»  s'el  rivi  a  contempla.... 

Che  altura  am'  n'  in  vò  tùtt  in  geladéna. 

Né  dal  mangia  m'  arcòrd ,  né  dia  canténa  ! 
Ab  !  che  brutt  di  V  é  stai  -,  gh'  V  ho  ancura  in  ment , 

Quand  t'  bo-vist  a  imbosca  i  me  .prim  arbión  ! . . . 

Un  cald  e  fràdd  am'  son  senlù,  un  spavént , 

Come  s'  am'  fùss  séiattà  davséi  al  tron  ; 

iin  battlcor ,  un  ccrt  sambojamént 

Ch*  m'  ha  fatt  anda  la  vista  in  avojóq  ; 

M' è  salta  '1  tram  ,  m' é  cala  i  forc  al  znòd  1 

E  eh'  él  eh'  n'  iva  la  culpa  ? ...  I  tò  bèi  od. 
Senza  podè  mòv  bocca ,  né  trii  fià , 

Son  resta  'd  gèss  sul  fatt ,  e  fora  'd  mèi  ; 

E  in  carna  d' oca  tutt  am'  son  trova, 

Squàs  m' issan  tratt  giù  di'  aqua  in  t'  al  coppci  ; 

E  quand,  arvgnù ,  'm  son  miss  anmò  a  fissa 

QuàI  car  faccio  d' amùr ,  quàl  latt  o  vci , 

la'  è  pars  che  tra  i  deliri ,  e  tra  i  magòn 

Ma  scrabùsàss  al  cor  un  gravalòn  ! . . . 
E  iin  fort  sconvolgimcnt  m'  è  gnu  in  manera 

eh'  am'  cardiva  d' avègh  féna  '1  brut  mal  ; 

Gh'  ò  vist  pu  'd  fati,  e  a  ditta  a  vèrta  ci^ra , 

N'  ho  miii  prova  al  roé  mond  tormént  ugual  ; 

Ma  son  senlu  un  cert  tram ,  che  dal  choiera 

Adrittùr  r  ho  battza  pr  '1  prim  segnai , 

E  al  er  pur  tropp  un  siign  di  piì  cattiv , 

Ch'  al  so  nan  mèi  cm'  al  sia  a  trovàm  viv. 
Basta ,  a  la  féi  dia  suma  al  fatto  sta, 

Ch'  al'  m'  è  sarvi  da  barba  e.  da  periioca; 

E  se  U  gràm  Coc  t' incaptat  d' ajiitii, 

T' al  vadrèi  beli  e  prast  con  r«tl  la  Bikca; 


\ 


Ito  wàMtn 

Se  a  niéi  r  vd  no  di  féd ,  va  pura  a  iosplii 
Ai  tò  camaradóo  che  sta  a  San  LQca  ; 
Lur,  cbe  io  giardéi  iii*a  védao  ila  tfiU'i  ur, 
Ta  diràn  s*  fo  pu  piani,  o  pù  lavùr! 

Da  un  facciotòn  cbé  s' era  e  un  mattùtéi , 
Adèsa  son  gnu  un  arlàc ,  un  grataeu , 
Pùssè  stria  dai  bùst  ad  Cattrinéi  (i): 
Sii  lavar  smort,  e  sU  oé  fondu  fondu 
Ta  fan  vdd  dar  e  nati  il*niè  dastéi , 
S^  al^  gh"*  a  o6r ,  0  balossa,  M  sta  anniò  su  ; 
Ma  quand  che  t^  am^  vadrè  pò  io  V  al  barlóo , 
Ar  dire  5  ma  pir  gnint,  —  V  iva  rasòn. 

Uh  !  maladdtt  1  ma  a  fi  cm'  al'  fé  la  cigoa  , 
Tsò ,  to  màdra  sicur  V  ha  no  baiti  ; 
As^  dirìss  che  una'  tuva  da  montigna 

0  una  tigra  ancasì  V  ha  partorì  ; 

E  in  t^  un  quii  bosc  o  in  meii  a  na  campagna 

1  zingur  o  I  strión  I'  han  istmi  ; 

E  che  una  vipra,  o  quaich^  alter  sarpènt 
T'  han  datt  tutt  ^1  so  vléi  par  me  torméoi. 

L' è  gii  un  pò  M  temp  però ,  eh'  am^  son  accori , 
Oh'  at'  fa  gi6  i  busch  Lorenz,  e  ch'ir  gh'  V  è  in  visti 
Fors. parche  V  è  pu  siur ,  e  'I  gh'  i  iin  belf  òri , 
E  d'  fèsU  'I  gh'  i  n  cappèl  ala  Cariista! 
Ah  1  s' at'  gh'  v5  bèi  pir  quast,  t'  fèt  un  gran  tort , 
Che  in  t' i  siorii  V  amùr  no  la  consista  ; 
E  un  fio  sincér ,  un  pastissòn  son  mèi 
Con  beli  il  cor,  s'  V  è  gràm  al  marsine!  ! 

Sì  eli'  ò  mangia  la  foja,  e  fò  'I  minciòn 
Par  v5d  un  pò  si'  intrigo  com  il  va  ; 
Trattini  sto  chi  quaÒ  qua£ ,  da  gatt-mainòn  ; 
E  son  ai  sett  da  cupp  par  fatt  gHiga; 
Ma  se  quaidoi  vo  plam  stu  beli  boccòn, 
Son  quel  muso ,  i'  il  giur ,  da  fall  cajà  1 
Che  a  vodes  la  polpetta  a  to  fo  M  min , 
L' è  roba  M  dasbattxass ,  da  diss  a  Gian. 

E  guirda  aF  fatto  tò  ve  a  dim  bòsird , 
0  eh'  cerchi  di  rampèl  pir  torna  indrè  ; 
eh'  r  alter  giùren  col  sul  insi  gajard , 
T'  ho  visi  a  fa  alla  foestra  un  va  e  ve, 
Pir  doccia  quii  zuzù ,  che  comò  'I  lird 
A  gutt  a  guU  il  t'deslenguiva  adrè  ; 
E  se  par  cis  s' er  no  con  tò  f radei, 
T' avrissat  vist  che  futta ,  e  che  afragòl  ! 

(i)  Lu  xbdcUro  dtUa  Morie. 


MALIItljnULlANI.  |%7 

Uh  Siàtaoàss  !  s' la  m^  salta,  già  t'  al  tè!. .. 

ParivM  iin  baaalise ,  un  gatt  rabbia  ; 

E  8^  n'  el  gh'  er  lo  a  pregam  lèi  par  piasè  » 

Gb^  iva  edr  da  mandai  al  mond  da  dia  ; 

Ne  I  al  ad  qui  dia  Iona  eran  asse, 

Né  I  caròzz  a  vapùr  par  fai  scappa  ; 

Che  Inorbi  dalla  danna  e  dal  velél 

L' andava  a  pia ,  s' el  fuss  salta  In  t' al  Tséi. 
O  Unda ,  gh'  o  pagfira,  ma  sV  istòria , 

Am^  la  vodl  In  V  un  spè} ,  la  v5  andii  mil  ; 

Che  se  gnint  gnint  al  m'  secca  anraò  la  glòria  , 

0  vdl  0  V  alter  va  a  forni  aP  osbdal  ; 

eh'  s'  alter  n^  am^  resta  par  canta  vittòria , 

N^  agh*  mòttarò  slcur  péver  ne  sai  ; 

Da  fio  d^  onùr  v5i  vodla ,  e  va  oom'  va , 

Finirò  i  me  tormént  al  ciis  dasprà. 
Ma  gb^  farò  tant  la  sgnàita  al  barbiséi , 

Ch^  r  ha  propi  'd  forni  lù  sutta  i  raè  man  ; 

Lassa  pur  eh'  et  scapuzza  adré  al  giarde! , 

Ch'  iigh'  sarà  li  pargia  'I  so  beli  bastran  ; 

Starò  tant  col  séiòp  mont ,  che  in  féi  di  féi 

L' ha  da  boria  in  V  i\  lazz  stu  fidi  d'un  can  : 

Si,  igh'  insgnarò,  s' P  inguanti  adré  al  polé,  ' 

In  dov  sta  'd  cà  Bamàrd  81  montagne. 
Ma  già  vramént  nan  lu  V-  ha  tutt  I  tort  ; 

E  vodi  bèi  d^  che  part  ven  la  mangagna; 

Dov  gh^  è  no  d'  rati,  el  gatt  el  gira  fori; 

E  chi  an'  vo  can  prM  pè ,  liga  la  cSgna  ; 

Ma  con  ti  n'  as'  pò  piala  in  dritt ,  né  ih  stort , 

Che  coi  glngin  t'  vd  sèmpar  fa  cavagna  i 

E  In  quànt  a  mèi  ma  scaldi  da  minciòn , 

Parche  at^  d&nssat  ciane  a  un  battajòn  ! 
0  Linda  ^  lassP'anda ,  sta  al  me  partid  ;  — 

Si ,  fa  a  me  mod ,  s^  t'  vo  no  pentit  in  féi  ; 

Costu  ^1  V  fa  da  sasci  ^  ma  'I  fa  par  rld  ; 

L^  è  tute  par  tira  1*  àqua  al  so  muléf. 

L'andrà  no  tant,  eh'  at^  farà  mord  al  did, 

E  in  scambi  'd  ros  t'  gh'  avrèt  doma  di  spci  ; 

De  sii  gigiar  pur  tropp  V  è  M  sòlit  pan  ; 

Ma  da'  ti  voriss  tègntal  da  lontan. 
Lindena ,  t'  a  scongiuri ,  dàm  datra  : 

Nadàl  el  gnfarà  prast,  e  par  bondt 

Un  beli  scialòn  d'  battizz  V  ho  destina. 

Con  tant  8d  bord ,  e  M  giigglòn  d^  òr  ansi. 

SS 


hUS  PAan  uooNDA. 

Dispona  dal  fatt  me  a  tò  volontà , 
eh'  son  proDt  a  fatt  tùtt  quel  ch^  at'  piàs  a  ti  ; 
Ma  un  patti  sul  t' à  fo:  lassa  queir  alter. 
Dal  rest  gh'  o  pù  'd  fastidi ,  e  n'  oceór  alter. 
Gh'  ò  un  storn  ad  colombéra  'd  irédes  més , 
Leva  propi  a  boocòn ,  e  senza  vizi  ; 
Doma  a  guardàgh  bsògna  resta  sorprés 
Pr'  i  ciacclarad  eh'  à  fa ,  pr'  I  so  .ma'Uit; 
Appena  ciar ,  e  prima  d'  andà  a  vés 
Al  dis  tre  volt:  Lindèna,  fi  giudizi, 
Gh'  ò  dii  conili  ansi  bianch  come  latt  ; 
E  On  passarél  eh'  al  gioga  fé!  col  gatt. 
SII  InezI ,  voltra  al  rest,  doma  par  ti , 
0  cara  la  me  gloja  én  destina  ; 
>  E  insema  '1  cor  vorrév  mandai  ansi , 

Se  ti  ',  birba ,  *a  V  am'  V  issat  già  sgrafgni  ; 
So  bei  oh'  al  par  un  cribl  tùtt  ferì , 
Che  par  glostàl  gh'  à  ansol  la  facoltà  ; 
Parche  il  aula  V  gh'  et ,  o  marcandréna , 
Quèll  tal  liròtt  d' amor,  eia  tal  madséna. 
Ma  già  capissi ,  V  gh'  è  nane  par  la  ment 
Ne  mèi ,  né  1  me  preghiér ,  né  i  me  regai , 
E  '1  so  9  che  n'«r  sospirai  che  'I  moment 
Da  vodam  a  fa  pùlvar  pr'  i  beccai  ; 
Se  quasi  V  é  tùtt  al  mal  eh'  ai'  dà  torméni , 
Son  proni  a  sodisfalt ,  a  tot  di  guai  ; 
E  insi  i'  gb'  avrò  pù  'I  lòx  del  me  piatta , 
E  t'  smorfiaré  con  ci'  àlir  in  libarta. 
Che  se  certi  prelùd'  i  fàlan  no , 
A  sbertìm  prà^i  sicùr  vegna  '1  me  loti. 
Stu  Sàbat  Sant  di  vidi  colùr  ponzò 
Ho  somnà  in  tal  mezzdì  propri  al  prim  boti  ; 
E  gnivan  su  iùt  dupi  e  com'  1  fò  ; 
Quand  (jLitt  e  fatt  son  resta  li  M  pancòti , 
Che  una  tampcsia  grossa  pù  che  I  sass 
M' ha  irati  e  vidi  e  vàs  tùtt  in  sconquàss. 
St'  aprii  intani  eh'  andava  inzà  e  ina 
A  pianta  giù  al  me  posi  e  i  erb  e  i  fiur , 
Gh'  ò  vùd  anch'  in.i'  i  cosi  una  sassa, 
eh'  m'  é  mori  iq  quindas  di  tùtt  i  migliar  ; 
I  zeti  già  prés,  o  pass,  o  marina. 
Péna  i  leànder  m'  àn  fata  anca  lur. 
E  a  me  madra  la  ciòzza  col  galàti , 
Gh'  é  stai  sgrafgna  Jarsira  da  un  falchatt. 


DiALsm  MiUAM.  4%g 

Dai ,  ciappa ,  curra ,  àllòa  ,  monti  1  me  séiòpp, 

E  a  toUi'  I  cast  voi  plaglij  al  ladfonón  • . . 

Ma  si  domin ,  par  ficca ,  da  galòpp 

Vài  a  màtt  gin  M  Lok^ns  sura  un  ìnoròn'; 

Allura  ho  ditt  ira  mèi  — ^  ab  qiAsl-P  ò  iroop: 

E  su  ila  mi^radéla  Insi  a  gattón»..      ^    ' 

Già  s' era  Insima  ^  tèe ,  già  scaValciva, 

Quand  al  balòss  col  sgriif  al  dm  pattnava.-   . 
Ad  gionta  én  clii  tré  nott  che  una  si  vetta 

La  vegna  siU  me  tèe  a  fin  sintì  ;     ' 

E  a  mezza  noti  fin  gait  pégar  al  a*  metta 

Sènipar  par  contra*  air  usa  a  sgnauli. 

I  m^  han  coppa  M  cagno  clil  gin  dia  stretta , 

Che  senza  '1  musardr T'era  sorti; 

Insuma  a  compi  r  òpra  alter  n'  agh^  vòr- 

Che  a  daglr  una  creppada  mèi-  da  cor  ! 
Sii  arlii  mèi  nA  § h^  I  avriss  'nane  par  la  meni  ; 

S'  fudiss  In  t' i  tè  grazi ,  o  beli  tesòr  ; 

0  giù  Ja  mandarév  tranquiilamènt  ' 

Par  r  amùr  tò ,  d**  ogni  dlsgust  ristòr  ; 

Ma  appóni  pfir  quèll  apreizam'continaamènt 

Am'  par  che  tutt  al  mond  ma  canta  in  cor  : 

O  Cicehiu  Ci*  a  fel  cìd?  e$*  a  voi  spera? 

Fomissla  tm  pò  na  poiia;  e  iasil*  onda! 
Sì  l' è  vara  'd  fornita  sta  galèra , 

E  toro  da  sti  supplizi ,  e  M  sta  parsón  ; 

Gh'  ho  adòss  tùli  i  dia  voi  In  manera 

Cile  fèna  I  stèli  am'  nègan  compassión  : 

in  t' al  so  lazz  Amùr ,  pur  trop  r  è  vera  1 

T' ài  m'  ha  iiigarbià  polìd  come  un  mineién  ; 

E  par  llbràm  ad  tùt^,  e  fati  contenta , 

Impagnarò  da  Sécca  (i)  che  spaventai 
E  parche' 1  so,  che  a  furia  M  gnltt  pr'  1  pè 

Ta  son  già  in  quèll  sarvlzi ,  e  m^  r  ài  giura , 

E  so  anca  sì  i  mascògn  eh'  ai  semfir^  adré 

A  fàm  dappus  i  spai ,  par  fàm  dana  ; 

Ma  son  risoli  par  quasi  un  ceri  mastè , 

Un  cèri  boétèl  da  tègnam  prepara , 

0  là  'd  Paso  andà  insima  dal  bastión 

E  cacciiim  giù  in  t' ài  Tsèi  a  tomborlòn  ! 
Pò  dop,  s'  am^  supplì  riin  ^  vdi  no  vess  miss   - 

Alia  possión  fò  'd  porta  Sani'  Ustèoa  ; 

Sia  sul  sente ,  eh'  ai'  tègnat  sèmpar  Qss 

Quand  eh'  ài'  ve  al  tò  giardèi  sira  D  matiéoa  ; 

ione. 


hM  PARTI  teOOROA. 

E  par  fa  che  Idtt  sappian  i  me  sfriss , 

Voi  che  in  pavéa  sia  aeriti  e  in  pietra  Céna , 

A  esempi  de  chi  resta  e  a  me  oonfòrt. 

La  storia  dia  me  vita  e  dia  me  mort 
Ve  donca ,  o  Gattrioéi  dal  ferr  da  pra , 

E  concédam  l' onùr  dal  fùneral , 

S' aV  trdvat  il  me  cdr  anmò  infiamma  » 

Ta  preghi  col  tè  giaxi  da  rifrescal  ; 

In  tìiuL  féi  ta  preghi  'd  cariU , 

Sto  brutto  fog  salvadag  da  smorxal  ; 

Ve  donea  a  oonsolam ,  fum  pu  paròll  « 

Refilam  fin  beli  culp  tra  crappa  e  coli. 
Addio ,  glardéi ,  addio ,  piant ,  erb  e  fiur , 

eh'  si  stit  '1  me  sostègn,  la  me  passión  ! 

Se  féna  M  del  r  è  surd  al  mò  dolùr  « 

E  '1  vo  eh'  fornissa  I  di  in  costamaiiòo , 

Par  sti  quatir'  tws  v'  a  cerch  l' ùUim  favùr  » 

De  lass&i  riposa  chi  in  t'  fin  cantón. 

Già  a  spron  battfi  mèi  curri  al  mond  dadla  ; 

E  par  sèmpar  v'  a  torni  a  saluda  !  !  l 
In  stu  mdd  il  strillava  1  nos  Cecchin  ; 

£  fui^ibónd  V  andava  par  eupass  ; 

Ma  vist  eh'  t' era  tropp  dar  »  prima  fin  aognin 

L^  ha  vorsfi  fa ,  cardènd  da  ristoriss  ; 

Oasda  eh'  l**  è  sUt,  pensando  gh  fin  farguin, 

L' ha  riflettfi ,  eh*  ai  fava  fin  gran  brfitt  pass  ; 

E  in  fél  di  ount  1'  ha  dit  :  Oh  gandionàn, 

Aangia»  e  beva,  o  Ciechin,  e  mài  pa»$ión! 

i8S3.  Per  ùltimo,  onde  pòrgere  al  lettore  anche  un  Saggio 
delle  poesie  del  miglior  poeta  onde  si  gloria  la  musa'  ticinese,  0 
dal  quale  deplora  la  pèrdita  recente,  soggiungiamo  un  Sonetto 
che  il  professore  Sirof  Carati  dettava  nell'occasione  in  cui,  dopo 
lunga  vacanza  della  cattedra  episcopale  di  Pavia,  vi  fu  innaliilo 
Monsignor  Tosi. 

A  Mohsnir  Tus  rdsc  (id  Pavia, 

SoFfATT. 

Quasi  tutt  in  sconqoàss  in  mez  a  Dséi , 
Senia  ne  ram,  né  corda,  né  timón. 
Già  r  andava  a  fius  futt  in  V  on  bórón 
Al  pòvar  baroé  vè|  ad  san  Siréi. 


MAUrri  «IILIAlfl.  PARTB  SECONDA. 


«Bl 


Vii,  Monsiùr»  con  coràj  agh'  saitè  dréi,, 

E  in  quàlar  colp,  taf!  al  tire  sul  bon  ; 

Vii  drlzxè  1  gamb  ai  can ,  ma  guardiv  "bel  ! 

A  gh'  è  di  barcaro  sóiòp  e  volpón, 
eh'  1  pela  Poca,  e  la  fa  no  erida; 

Ch'  i  gh'  à  la  scróva  al  l&g ,  eh'  1  gb'  l' ha  in  t' i  tSnn , 

W  i  è  prìór  framassón ,  bosàrd  e  fra. 
An"*  pie  parer  da  tiiU  stl  poHgann, 

Ch^  av'  basaràn  par  dàrv^  ona  sgagna; 

8'  ad  nò,  la  barca  r  andarà  a  piilaon. 


CAPO  VI. 

Bibliografia  dei  dialetti  emiliani. 

Bolognese. 

cr  Intricati.  Favola  pastorale  di  Alvise  Pasqualigo.  —  Venezia,  per  Fras- 
Cesco  Ziletti,  issi ,  ia-8.®  In  questo  componimento  poètico  P  autore  intn- 
dusse  un  Graziano  che  parla  H  dialetto  bolognéte,  ed  un  Calabaza  ek 
parla  lo  $pagnuolo. 

Opera  nuova,  nella  quale  si  contiene  il  Haridazzo  della  bella  Bmnettiai^ 
sorella  di  Zan  Tabari,  ec.  ec.  Quest'opera;  come  accennammo  nella  bibUè' 
grafia  bergamasca,  comprende  fra  gli  altri  linguaggi  anche  il  botognett^ 
Fu  stampata  ih  Venezia,  per  Bastiano  e  Giovanni  dalle  Donne ,  sema  diti, 
e  ristampata  in  Brescia,  nei  iisss. 

Grazianp.  Favola  boschereccia  in  versi  sciolti.  Padova,  per  Giovanni  Guh 
toni,  1S88,  in-8.**  — -  Venezia,  per  Gio.  Alberti,  isae,  in-8.®  —  Ivi, per 
Giorgio  nizzardo ,  leos  ,  in-is.°  —  Ivi ,  per  Lucio  Spineda  ,  t esi ,  in-it.* 

Banchetto  di  Malcibati.  Comedia  in  terza  rima  deirAcademieo  Itnsio 
( Giulio  Cesare  Croci),  recitata  dagli  Affamati  nella  città  Calamitosa^ alli  i* 
del  mese  dclP estrema  Miseria,  Tanno  dcIP aspra  e  insopportabile  Neees- 
sità.  —  Bologna,  per  Fausto  Bonardi,  issi.  —  La  stessa ,  in  Ferrara,  per 
Vittorio  Baldini,  leoi  e  teos,  in-8.®  —  Venezia,  per  Sebastiano  GoaUi 
1608,  in-8.** 

Il  terzo  libro  delie  Canzonette  a  tre  voci  di  Adriano  Banchieri  Bolognese, 
Intitolato  :  Studio  dilettevole  nuovamente  con  vaghi  argomenti  e  spasse 
voli  intermedi  fiorito  dairAmfiparnato.  Comedia  rusticale  dell'eccellenttaiae 
Horatio  Vecchi.  —  Milano,  per  T erede  di  Simon  Tini,  e  GIo.  Fraacato 
Besozzi ,  1 600.  Ivi  gli  attori  parlano  e  cantano  in  varie  lingue  e  diakttii 
vale  a  dire,  in  italiano^  spagnuolo,  bolognese,  veneziano,  bergwmast»,  ^ 
in  un  gergo  bizzarro  iUiU^-ebraico. 

Fileno  disperato.  Dramma  di  Guidiccione  Luccheslnl  di  Lucca ,  recitato 
Tanno  leoo  in  casa  Bentivogiio  di  Bologna. 

La  Primavera  in  contesa  colTAutunno.  Dramma  di  Melchiorre  Zoppio 
Bolognese,  recitato  nella  villa  di  Budrlo  Tanno  looo. 

Il  Capriccio.  Favola  boscliercccia  di  Giacomo  Guidozzo  da  Castel  FraiKO, 
nuovamente  data  in  luce  da  Lodovico  Riccato  da  Castel  Franco.  —  Veaeiiai 


DIALBTTI   BMIUANI.  455 

per  Giacomo  Vincenti,  loio,  in-8.^  Fu  ri<fainpa/a  pure  in  Venezia  da  Ales- 
sandro Vincenti ,  nel  lesi.  Fra  gli  inierlocuiori  di  quaio  componimento 
poitieo  trÒHUi  un  Graziano  che  parla  boloqnue. 

Il  furto  amoroso.  Comedia  in  prosa  cogli  Intermeiai,  di  Camillo  Scali* 
gerì  dalla  Fratta.  —  Venezia,  per  Giacomo  Vincenti,  i6fz,  in-ia.^ —  Bre- 
scia, pel  Fontana,  less,  io-it.'' 

Comedia  recitata  nelle  nozze  di  Blesser  Trivello  Fornanti  e  Madonna  Le- 
sina. —  Ferrara,  per  il  Baldini ,  t  ais  ,  in-8.* 

H  Politico  svergognato.  Dramma  di  Heicliiorre  Zoppio  detto  il  Caliginoso, 
recitato  nella  villa  di  Budrio,  Fanno  I6i7.     . 

Questione  di  vari  linguaggi,  di  Giulio  Cesare  Croci.  —  Bologna,  i«i8. 
QuezV  opùscolo  è  in  versi,  quasi  in  forma  di  diàlogo,  ove  un  Bolognese  ré- 
cita  alcune  slrofe  nel  proprio  dialetto. 

I  Falsi  Dei.  Favola  pastorale  piacevolissima  di  Ercole  CinHlotti  Estuan- 
te;—  Pavia ,  per  Giambalista  Rossi,  leie,  in-is.'*  —  La  stessa,  Venezia, 
per  Alessandro  De  Vecchi,  taso.  Fra  gli  interloeulori  Graziano  parla  il 
éiateiio  bolognese. 

La  Catlèina  da  Budri.  Comedia  in  prosa  di  Adriano  Banchieri.  —  Bolo- 
gna ,  per  Bartolomeo  Cocchi,  leie  ,  in-8.®  La  stessa  fu  ristampata  per  gli 
eredi  del  Cocchi,  nel  I6S6. 

L*  Urslèina  da  Crevalcor.,  ovvero  TAmor  costante.  Comedia  In  prosa  di 
Adriano  Banchieri.  —  Bologna,  per  il  Cocchi,  taso,  Ìn-8.* 

Lamento  de*  Villani  fatto  da  loro  V  anno  che  andò  il  bando  che  si  por- 
laMero  tutti  gli  schioppi  alla. munizione  {di  G,  €*  Croci).  —  Bologna,  per 
Bnrtolomeo  Cocchi,  teso. 

La  Minglièina  da  Barblan.  Comedia  in  prosa  di  Adriano  Baneliieri.  — 
Bologna,  per  il  Cocchi ,  tesi ,  in-8.® 

La  T^ia  d^  Bart>a  Poi  da  la  Li^Tadga  fatta  dal  Cavali ,  di  Ginlio  Cesare 
Grod.  —  Bologna,  1681. 

Bl  Non  dia  ìliclina  dèi  Verga  con  Sandrell  da  Blontbudell,  di  Giulio 
Getare  Crod.  —  Bologna,  per  Bartolomeo  Cocchi,  isti. 

Lassato,  ovvero  Donativo  che  fa  maestro  Martino  a  Catarinòn, di  G.  Ce- 
Crod.  —  Bologna,  pel  Cocchi,  leai. 

La  gran  Vittoria  di  Pedroiino  contro  il  dottor  Graziano  Scattolone ,  per 
delia  bella  Frànceschina,  di  Giulio  Cesare  Croci.  —  Bologna,  pel  Coc- 
chi, ioat.  Alla  fine  della  Barzelletta  sopra  la  morte  di  Giacomo  dal  Gallo 
iràvasi  tm-  Diàlogo  in  lingua  rùstica  sopra  la  morte  dello  stesso. 

O  Scaeciasoono,  Testate  all'ombra,  e  P  inverno 'presso  II  foco.  Opera 
«netta,  morale,  civile  e  dilettevole  di  Camillo  Scaligeri  dalla  Fratta.  Cu- 
riosità copiosa  di  novelle,  rime,  motti,  proverbj,  sentenze,  proposte  e 
risposte,  con  vari  Bagionamenti  comid.  —  Bologna,  per  Antonio  Maria 
Magnani,  teas ,  in-a.®  —  Venezia,  per  Angiolo  SaKadore,  16S7,  ln-iB.* 
Qitesio  libro  contiene  una  Comedia,  nella  quale  si  parlano  varii  dialetti,  e 
fra  qyesti  il  bolognese. 


fìtlH  PARTE  SECO?IOA. 

E  con  lutt  qua»t  V  gh'  è  cor  lei  da  sbcflani , 

Da  guardàip  io  bariùsc,  fam  al  grcntòn! 

Obperdjndo!  si*  òl  fall,  da  mcrilam  ^ 

Tanti  dasgàrb,  sgrògnàd,  e  mila  arbgnóa? 

Degnai  alniànc  pu  srena  da  guardam. 

Da  fam  un  pò  'd  bocchin ,  oh  sanguanón  ! 

Se  d'  no  già  crcpp  sicùr  dal  gran  dolor,    ' 

E  anso!  la  resterà  con  tànl  amor! 
No  V  gb'  avare  pu  un  ànma ,  cradem  piir , 

Ch'  ar  porla  luti  i  fcst  ài  mazzo  W  flùr , 

0  che  sulta  alla  fnestra  quand  r  è  scur 

Ar  faga  !  serena  coi  sonadùr  ; 

0  quand  àr  gh'  et  in  Pori  1  fruì  madiir, 

0  eh'  vcgna  la  furgà  di  nos  lavùr , 

Propri  ansò!  n^  agh^  sarà  eh''  ar  daga  min , 

E  V  toccarà  a  slruziàt  li  come  un  can  ! 
Donca  ajutam,  fa  prast ,  làssara  pù  inceri , 

Prima  eh'  vaga  dal  tuli  denlr'  in  i'  la  busa  ; 

Ma  già  r  è  propi  un  predica  al  desèrt , 

eh'  n'  al'  vò  senti  pregbiér,  rasón,  né  scusa» 

Fa  pu  tant  V  ùstnnà ,  Linda ,  e  sta  cèrt , 

Che  mèi  V  mincioni  no,  coropàgn  già  eh' a'  usa; 

Dàm  doma  un'  oggiadéna  e  pò  s'  ai'  por , 

Nega  dal  pòvar  Gecch  ài  crappacor.  — 
T*  al  giùr ,  che  par  il  mòri ,  e'  s'  fo  bosia , 

Vorréy  m5vam  mai  pù  da  sto  post  chi  ; 

Vorrcv  che  ci'  àllr  al  gniss  a  portam  via; 

D*  avègh  mai  pu  '1  gran  bèi  da  vodat  ti. 

Già  son  giamo  d'  dù  iodrìlt,  propri  un  ombria; 

GuardaìD  ,  ai'  preghi ,  e  prast ,  fàm  pu  .pali.. . 

Doma  lin'  occià  la  cerchi ,  o  '1  me  folèii , 

Pò  ti  raro  conlèot ,  s'  al'  vò ,  i  calzctil 
I  son  quattr'  ann  chi  adàss  a^anlospèi  (i), 

E  gh'  ò  U  laceuin  in  meni  beli  e  stampa , 

Che  dai  tò  bei  /attèzz,  cara  Lindèi, 

Son  resti  come  'n  mèrel  ingarbià  ; 

E  m'  s'  è  tanto  ficca  in  t' al  cor.  quell  spéi, 

eh'  am'  trovi  anmò  bi^lùrd ,  oca  incanta  ; 

Da  quèll  moment  féi  dess ,  o  car  Signùr  ! 

!S'  al  s'  è  paslà  un  fargiìi  quell  gran  dolùrl 

(1  )  S.  Spiuu  è  una  reliquia  serbata  in  Pavia,  e  che  per  antica  pia  credensa  ai  venera  come 
(larte  i\v\h  Corona  di  spine  di  G.  G.  Ogni  arino  vi  si  coosacra  la  seconda  Festa  della  Pm* 
iccoslr,  nella  quale  viene  portala  in  solenne  processione.  Il  ^loela  soìlituì  opportunamente  qoc* 
«t'  r{ioia  cirlebre  presso  il  pòpolo  pavvat  a  quella  dvirAaccoMOM  indicala  BclI*  origioale. 


DIALETTI   BMIUANI.  45^ 

Panie  degli  innamorati.  Dramma  recitato  Taiino  itfss  nella  villa  di  Pcr- 
cetlo;  e  Tanno  I04e  nella  villa  Malvasia  di  Panzano. 

Il  BaUibecco  delle  lavandare,  di  G.  Cesare  Croci.  —  Bologna^  leso.  In- 
mindia  con  un  Sonetto  in  tingtia  italianaj  del  quale  la  coda  è  in  dialetto 

Lt  Nlclosa  da  Mnirbi ,  di  Fulvio  Gbcrardi)  detto  jlcqua  tepida,  —  Boto- 
la» per  il  Peri,  f640.    • 

Amorosa  Costanza.  Tragicomedia  boschereccia  del  conte  Andrea  Bar- 
ila. —  Bologna ,  per  Giacomo  Mónti ,  1 046 ,  in-4.® 
Lo  scudo  di  Rinaldo,  ovvero  lo  Specchio  del  disinganno.  —  Venezia  , 
UO,  In-is.*" 

La  Bernarda.  Comedia  rusticale  di  G.  Cesare  Croci.  —  Bologna,  pel  Fer- 
•I,  1647.  —  Ivi,  iott4.  E  questa  una  versione  dall'originale  italiano  del 
tUe  Bidolfo  Campeggi, 

AmainU  scliiavi.  Comedia  ridicola;  o  piuttosto  capriobioso  ghiribizzo  di 
ancesco  Miedelcbini  Academico  Ritirato,  -r  Orvieto^  per  Rinaldo  Ruli , 
01,  in-is.^ 

Dlalogogia,  ovvero  delle  cagioni  e  della  naturalezza  del  parlare,  e  spe- 
ilflMnte  del  più  antico ,  del  più  vero  di  Bologna;  di  Qvidio  Montalbani. — 
ilogna,  per  il  Zenaro,  lòtts. 

Cronoprostasi  Felsinea,  ovvero,  le  saturnali  vindicic  del  parlar  bolo- 
eoe  e  lombardo;  di  Ovidio  Montalbani.  —  Bologna,  per  il  Zenaro,  t eoo. 

I  Disperati  conienti.  Comedia  piacevole  di  Gratto  Vecchi.  —  Bologna , 
r  CarrAntonio  Peri)  ietf4,  in-i2.'* 

La  Tancia  di  Michelangelo  Buonarroti  voltata  in  dialetto  bolognese  dal 
aldo  Academico  Dubioso  (A.  Banchieri)^  che  la  intitolò  la  Togna.  — 
legna,  per  Giacomo  Monti,  I6tt4,  in-B.** 

II  Vocabolista  Bolognese,  nel  quale  si  dimostra  il  parlare  più  antico  di 
legna  lodcvolissimo ;  di  Antonio  Bumaldi  {Ovidio  Montalbani),  —  Bolo- 
By  per  Giacomo  Monti,  teso,  in-is.®  Questo  libro  comprende  le  due  òpere 
niovates  eioè  la  Dialogogìa  e  la  Cronoprostasi  dello  stesso  autore. 

Il  Villano  ladro  fortunato.  Comedia  in  versi,  in  lingua  rusticale,  di  Giam- 
tlota  Querzoli.  —  Bologna,  per  CarFAn  tonto  Peri,  leoi.  Fu  ristampata 
l  Muecoii  e  dagli  etedi  del  Pisarri, 

Ea  Pluonia  da  Castiun  di  Peppl.  Comedia  rusticale  di  Fulvio  Gherardi , 
ito  TAquatepida.  —  Bologna ,  iggs  ,  in-is.'' 

l'eia  da  veira  e  sudèzz  burlèvol.  Dscurs  murai,  tant  curius  quantesem- 
Tg  eh'  tratten  del  vivr  al  mònd,  perchè  an'  s'  vaga  al  profònd;  di  An- 
ito Maria  Accursi.  —  Bologna  ,  1064. 

4A  Pirlonea.  Comedia  scritta  ne'  dialetti  bolognese ,  bergamasco,  napo- 
ino  e  veneziano  da  Lazzaro  Agostino  Cotta.  —  Milano,  leeo.  —  Ivi,  itob. 
4A  Regina  Statista  {Elisabetta)  d'Inghilterra.  Comedia  in  prosa  di  Ni- 
h  Biancoletti.  —  Bologna ,  per  Giovanni  Recaldini,  leeo,  in-it.® 
fi  Villano  nobile.  Comedia  rustica -civile  di  Cesare  Ventimonte.  —  Bolo- 


Ito  PAKTB  MOOHD*. 

Se  a  mèi  V  vò  do  dà  féd ,  va  pura  a  insplii 
Ai  lo  camaradÓQ  che  sta  a  San  Loca  ; 
Lur ,  che  in  giardéi  m'a  vodan  tla  tutl'i  ur, 
Ta  diran  a^  fo  pu  piàn^ ,  o  pù  lavùr  ! 

Da  uh  facciotòn  che  s' era  e  un  mattùtéi , 
Adèsa  son  gnu  un  arlùc ,  un  grataeu , 
Pussè  stria  dal  bust  ad  Cattrinéi  (i): 
Sti  lavar  smort,  e  sii  oé  fondu  fondu 
Ta  fan  vod  ciar  e  nàti  al'mè  dasléi, 
S^  ar  gh'  a  cOr ,  o  balossa,  *ù  sta  apmò  su  ; 
Ma  quand  che  V  am'  vadrè  pò  in  V  al  barlón , 
Ar  dire ,  ma  par  gnint,  —  r  iva  rasòn. 

Uh  1  maladòtt  !  ma  a  fa  cm'  ai'  fé  la  cagna  , 
Nò ,  lo  madra  sicur  t^  ha  no  baili  ; 
As^  dirìss  che  una'  luva  da  montagna 

0  una  tigra  ancasi  V  ha  partorì  ; 

E  In  r  un  quài  bosc  o  in  mezz  a  na  campagna 

1  zingur  0  I  strión  t'  ban  istruì  ; 

E  che  una  vipra,  o  quaich^  alter  sarpèni 
T  han  dati  luti  ^1  so  vléi  par  me  torméni. 

L' è  già  un  per  M  tcmp  però ,  eh'  am'  son  accori , 
Ch'  al'  fa  gi6  i  bùsch  Lorenz,  e  eh'  al'  gh'  1*  è  lo  vfa 
Fors. parche  l' è  pu  slur ,  e  U  gh'  à  un  beir  òri , 
E  d'  fèsU  'I  gh'  à  n  cappèl  ala  Carlista! 
Ah  1  s**  àr  gh'  vo  bèi  par  quasi,  V  fèt  un  gran  lori , 
Che  in  t' i  siorii  P  amar  no  fa  consista  ; 
E  un  (Io  sincèr ,  un  pasllssòn  son  mèi 
Con  beli  al  cor,  s'  V  è  gràm  al  marsinèi  ! 

SÌ  eli'  ò  mangia  la  foja,  e  fò  'I  mlnciòn 
Par  vod  un  pò  sV  intrigo  com  al  va  ; 
Trallani  sto  ehi  quaò  qua£ ,  da  galt-mainòn  ; 
E  son  al  seti  da  cupp  par  fati  gHigà; 
Ma  se  quaiddi  vo  plàm  stu  beli  boccòn, 
Son  quel  muso ,  t' al  giur ,  da  fall  cajà  1 
Che  a  vodes  la  polpatta  a  lo  fo  'd  man , 
L' è  roba  'd  dasbattzàss ,  da  dàss  a  Gian. 

E  guarda  af  fallo  tò  ve  a  dim  bósàrd , 
0  eh'  cerchi  di  rampèl  par  torna  indrè  ; 
eh'  r  alter  giùren  col  sul  insi  gajàrd , 
T  ho  visi  a  fa  alla  fncstra  un  va  e  ve. 
Par  doccia  quii  zuzù ,  che  come  H  làrd 
A  gutt  a  gult  al  rdeslenguava  adrè  ; 
E  se  par  cas  s'  er  no  con  tò  f radei, 
T' avrissat  vist  che  futta ,  e  che  sfragèl  1 

(i)  Lu  KbdeUro  dtUa  Morie. 


bULBTTI   EMILIANI.  *  457 

da  Zorz  Buriintòn  (  Geminiano  Megnani  )  poeU  |M)c  accori.  —  Ferrara , 
per  il  PomafelUy.iees,  in-s.'*  Bìstampato  in  iiologna  nel  1690. 

V  arvèina  d' Troja,  ovèir  al  brusainèinl  é*  Burtlèin  Maiusavàcc  fllatuiir, 
d^  la  otUva  rema  al  cónta  la  so  dsgrazia  e  '1  miseri  di  Trojan.  Cun  la 
frèisa  d^  Bnda,  e  altre  coss  del  guerr'tra  i  Cristian  e  i  Ture  {di  Gemi- 
niano Megnani).  — .  Ferrara,  per  il  PomatelH  ,  tese ,  ln-8.®  Bisfampato 
in  ^ìlognay  nei  i69o. 

intennenl  fra  Undurèin  e  Sandrèina.  —  Bologna ,  per  il  Pisarrì,  senza 
l'anno  (tese). 

L*Aailcamera  di  Don  Pasquale.  Comedia  del  dottor  Ranieri  Cenci.  —  Bo- 
laina ,  per  Gioseffo  Longhi ,  1 6.00 ,  in- 1  s.*^ 

lA  Sdegno  superato  da  Amore.  Opera  del  dottor  Ranieri  Cenci.  —  Bo- 
logna, per  Gioseffo  Longhi,  leoi,  in-ia.*' 

ÌM.  lèlsna  novamèint  aguizà  dalla  so  nobilessima  cumpagni,  e  j»  fundà 
In  Bologna ,  purtà  in  ottava  rema  da  Geminiano  Megnani.  7-  Bologna,  per 
la  Blamperìa  camerale  ,1698. 

La  Bemarda.  Dramma  di  Tommaso  Stanzani.  —  Bologna,  1094. 
.   GC'  Inganni  amorosi  scoperti  in  villa ,  0  sia  la  Zanèlna.  Scherzo  giocoso 
di  lieiio  Maria  liandi ,  in  versi  bolognesi ,  rappresentalo  T  anno  leoB  nel 
teatro  Formagliari  di  Bologna. 

Povertà  sollevata,  ovvero  l'Invidia  abbattuta.  Opera  in  prosa  del  Do- 
rfglata.  —  Bologna,  per  gli  credi  del  Santi,  leoe,  in-ia.** 

La  Zelida.  Dramma <li  Tommaso  Stanzani.  —  Bologna,  leoe. 
;  U  principe  più  reale,  che  amante.  Opera  in  prosa  del  Dorigisla.  —  Bo- 
logna, per  gli'credi  del  Santi,  1696,  in-is.®  —  Ivi,  per  il  Plsarri,  1780. 

La  finta  verità  nel  medico  per  amore.  Comedia  di  Fabrizio  Nani.  —  Bo- 
logna, 170S.  Fi  tono  parlati  i  dialetti  bolognese  e  bergamasco. 

Rimedi  pr  la  sonn  da  lèzr  alla  banzola.  Dialoghi  sei  di  Lotto  Lotti.  — 
Milano,  170S.  —  Ristampato  in  Modena  nel  i704,in-4.'',  e  nel  iti 8,  in- 18.", 
.per  Bartolomeo  Soliani. 

I  Litiganti.  Opera  salirlcomica  di  Girolamo  Gigli.  —  Un  pazzo  guarisce 
Taliro.  Comedia  dello  stesso  autore.  Jtnbedue  furono  stampate  in  Venezia, 
sei  €704.  f^j  seno  parlati  vari  dialetti,  fra  i  qtmli  il  bolognese. 

..  La  Berparda.  Comedia  rusticale  di  Giulio  Accursi.  —  Bologna,  I70tt. 

Chi  .finge  amore  non  può  durare,  ossia  Tabarino  affaccendato  e  deluso 
In  amore.  —  Bologna ,  per  il  Longhi,  170IL  Ivi  il  dottor  MalijMrdine  e 
Tabarino  parlano  bolognese, 

Arminio.  Poemetto  drammatico  di  Pier- Antonio  Bcmardoui  Bolognese. — 
Bologna,  per  ii  Pisarri ,  1706,  in-8.^ 

La  sala  degli  incanti.  OpcradiManastaSottoginio(7\>maio«S'anto(|ro|//ni). — 
GreoK>na^  stamperia  Ferrari,  1700^  In-is.** 

n  geloso  di  se  medesimo.  Dramma  pastorale  per  musica  di  Pier-Antonio 
Bemardoni  Bolognese.  —  Bologna,  per  Costantino  Pisarri,  1707,  iu-o.**! 

II  marito  confuso.  Dramma  recitato  in  Bologna  in  casa  Calderini  dagli 
AcademicI  Costanti,  Tanno  1708. 


khS  PARTI  UOONDA. 

Dispona  dil  faU  Die  a  tò  votooli , 
Ch'  800  pniBt  a  fati  tfilt  quel  eh'  at'  piai  a  li  ; 
Ma  fio  patti  sul  t' à  fo  :  lassa  qoeir  ilter. 
Dal  rest  gh'  o  pù  M  ItaMì ,  e  n^  oceór  alter.. 
6h'  ò  un  storn  ad  colombèra  M  4rédes  més , 
Le\'a  propi  a  boocòo ,  e  seoa  visi  ; 
Doma  a  guardig h  bsògoa  resta  sor prés 
Pr'  i  ciacciarad  eh'  à  fa ,  prM  so  maUst; 
Appena  eiàr ,  e  prina  d'  aoda  a  vés 
Ài  db  tre  ^-oll  :  Undàm,  fi  giOdixi. 
CJi*  è  do  conili  ansi  bianeh  cooiè  lalt  ; 
E  un  passarél  eh'  al  giòga  féi  eoi  gatl. 
SU  ineal ,  vultra  al  resi»  doma  par  ti , 
O  cara  la  né  gioja  én  destina  ; 
C  inseoia  'I  cor  vorrév  mandai  ansi , 
Se  II ',  birba,  'a  V  am'  V  maA  già  sgrafgni  ; 
So  bei  eh' al  par  ùo  criM  tùlt  feri. 
Che  par  giuslàl  gh'  à  ansòl  la  incolla  ; 
Parche  ti  sola  t^  gh'  et ,  o  marcandréna  » 
Quèll  tal  siròtt  d'amor,  chi  tal  madséna. 
Ma  già  capissi ,  t'  gh'  è  nane  par  la  meni 
Né  mèi ,  né  i  me  preghiér ,  né  i  me  regal , 
E  'I  so,  che  n'«r  sospirai  che  'I  moment 
Da  vodam  a  fa  pùlvar  pr'  i  bocca!  ; 
Se  quàst  1'  é  luti  al  mai  eh'  al'  dà  torménl , 
Son  proni  a  sodisfatt ,  a  tòt  di  guai  ; 
E  insi  V  gh'  avré  pu  H  Idi  dei  me  pUitfi , 
E  t'  smorfiaré  con  cV  altr  in  libarla. 
Che  se  certi  prelud'  i  fàlan  no, 
A  sbertim  prà^t  siciir  vegna  'i  me  loti. 
Stu  Sàbat  Sant  di  vidi  colùr  ponzò 
Ho  somnà  in  tal  mezzdi  propri  al  prlm  boti  ; 
E  gnìvan  su  tùt  dupi  e  com'  i  fò  ; 
Quand  diti  e  fati  son  resta  lì  'd  pancòtt , 
Che  una  tam pesta  grossa  pù  che  i  sass 
M' ha  Iralt  e  vidi  e  vàs  tutt  in  sconquàss. 
Sr  aprii  intani  eh'  andava  inxà  e  ina 
A  pianta  giù  ai  me  post  e  i  erb  e  i  flur , 
Gh'  ò  vùd  anch'  in.V  i  cosi  una  sassa, 
.    eh'  m'  é  mori  iq  quindas  di  tùli  1  miglior  ; 
I  zett  già  prés,  o  pass ,  o  marina , 
Péna  i  leànder  m'  àn  fala  anca  lur. 
E  a  me  madra  la  ciozza  col  galatt , 
Gh'  é  stai  sgrafgna  Jarsira  da  un  falchàtt. 


\ 


mALgrri  bmiuani.  4K9 

'taitro  di  Pier-Jacopo  Martello  bolognese.  —  Bologna  «  per  Lelio  della 
olpe,  n^éf  in-8.^ 

Et'  dsgrazi  d^  Bertuldèin  dalla  Zèna ,  miss  in  rima  da  G.  M.  B.  (Giuseppe 
Ihrta  Bovina)  Acadèmic  dal  Tridèli  d'  Bulogna.  —  Bologna,  per  Gosian- 
ino  Pisarri»  1736. 

Al  mèdie  faxil»  o  sia  un  rimedi  squasi  a  tuU  i  mal  ini  va  dal  Grovaloorèis 
er  dlvertimèint  dia  banzola.  —  Bologna,  i738,  in-is." 

flnergolamento,  o  sia  Plantuori  eh'  fa  la  zia  Tadia'del  barba  Salvester 
a  Tinun»  quand  Sandrin  so  fiol  andò  alla  guerra  r  alter  de.  —  Bologna, 
b1  Plsarrl,  i7S8.  Questo  componimento  è  di  Giulio  Ceware  Cruci, 

n  festino  del  barba  Bigo  dalla  Valle  (di  (?.  C.  Croci),  —  Bologna ,  per 

PiMITi,  1788. 

La  Simona  dalla  Sambuca ,  la  quaie  va  cercando  da  filare  in  Bologna , 
[  6.  C.  Croci.  — -  Bologna ,  pel  Pisarri. 

Vanto  di  due  villani,  cioè  Sandròn  e  Burtlèin  {di  G,  C.  Croci).  —  Bo- 
fna ,  pel  Pisarri. 

Ciaocaramenti,  viluppi,  intrighi,  travagi  e  cridalesimi ,  che  si  fanno  in 
alOfiia  al  tempo  delle  vendemmie,  di  G.  C.  Croci.  —  Bologna,  per  il  Pi- 
mL 

loflMil,  intrighi)  ciaccaramenti  che  si  fanno  nella  contrada  del  borgo 
,  Ffotro  6  del  Pradello.  —  Bologna,  per  il  Pisarri. 
La  gran  grida  fatta  da  Vergòn  dalla  Sambuga,  per  aver  perso  rasino 
al  aoo  patrone.  —  Bologna,  per  llVPisarri.  Quato  lèpido  componimento, 
H  pari  che  i  precedenti,  è  di  Giulio  Cesare  Croci,  e  tutti  tono  icritti  in 
ugma  rùstica  òolognete. 

I  dagraxi  d^Bertòld,  d' Bertuldèin  e  d^  Cacasènn.  —  Bologna,  i7S8, 
1-4.®  Quetti  tre  poemetti  furono  tradotti  dalV  originale  italiano,  comune- 
MOUe  attribuito  a  Pompeo  Lizzani,  in  ottava  rima  bolognese,  per  cura 
flit  due  sorelle  Teresa  ed  Angiola  Zanotti,  delle  sorelle  Maddalena  e  Te- 
ma  Manfredi^  e  di  G.  Gcu!tano  Balletti,  Furono  ristampati'  per  Lelio  della 
olpe,  a  Bologna,  nel  I740,  in  tre  voi,  tn-8.^ 

Là  Fleppa  lavandara.  Cumedia  nuvessima  in  lèingua  bulgnèisa.  —  Bu- 
fila,  In  V  la  stampar!  dèi  Lung,  I74i  ,  in-ia.® 

La  Ciaqlira  dia  banzola,  o  per  dir  mèi:  Fol  divèrs  tradotti  dal  parlar 
ipolitan  in  lèingua  bulgnèisa ,  per  ridiedi  innuzèlnt  dia  sonn  e  dia  ma- 
■eani. —  Bologna,  I74s.  Qwsta  versione  daW originale  napolitano  Cunìo 
s  U  Ganti  è  òpera  delle  sorelle  Manfredi,  e  fu  ristampata  in  Bologna,  per 
ispare  de^  Franceschi,  nel  isis. 

Yéta  dia  Zé  Sambuga  nata  in  t^  al  cnuin  de  Diol ,  cun  la  nasslta,  véta , 
laièss  e  dsgrazi  d' Zé  Rudella  so  (loia.  Bologna,  1 743 ,  in-8.®  Sono  sei  Canti 
i  ofÉOKHS  rima  d'anònimo  autore, 

V  ignorante  presuntuoso.  Gomedia  in  versi  di  Pietro  Zanotti  Cavauoni 
liognese.  —  Bologna,  per  Lello  della  Volpe,.  17 43,  in«8.® 
La  pmdenia  nelle  donne.  Comedla  del  Dorigista.  —  Bologna,  1748.  f^t 
no  partati  i  dialetti  bolognese  e  bergamasco. 


460  PARTB  SECONDA. 

Invìd  d'un  dultòur  bulgnèis  al  barearòi  vcnczian  eh^  prumess  d' far  wu 
canzòn  pr  d  fclìzessem  nozz  dèi  sgnèr  còni  Jachcm  Marùll  cun  la  agnèn 
cuntcssa  Camèlia  Boccadferr.  —  Bologna,  per  il  Plsarri,  I7ss. 

Gii  sposi  travestiti.  Comedia  di  Jacopo  Angelo  Nelli. —  Siena,  perii 

Rossi,  17511,  in-is.** 

Matilde,  ovvero,  li  tre  fratelli  rivali  negli  amori  deirincogniUi  sorella. 
Opera  in  prosa.  —  Bologna,  per  gli  eredi  del  Pisarri,  semaruiiiOy  iiii^t.* 

Poesie  italiane  del  dottor  Giuseppe  Pozzi.  —  Bologna,  tvt4.  M  iròmui 
tre  joanzoni  in  dialetto  òolognescj  due  dette  quali  di  D.  Giulio  BtmtU,  si 
una  del  Pozzi. 

Al  triònf  di  Hudnis  pr  una  seccia  tolta  ai  Bulgnìs.  Poema  ridécol  'Ini- 
porta  in  lèlngua  bulguèisa  da  un  Academic  dèi  Tridèll.  —  In  Mtdna,  iffVf 
iii-4.**  Queelo  "poemetto  è  la  persiane  della  Secchia  rapita  dai  Tìa$Moni, 

Bacco  in  Toscana,  di  F.  Redi,  con  l'aggiunta  di  CL  brinditi,  ee.  In  et* 
lava  rima  di  Tirsi  Albeno.  —  Venezia,  itti.  I9i  tròootui  quaiira brimMti 
in  dialetto  bolognese.  , 

L^Asnada.  Poemòtt  del  sgnèr  Clemòint  Bondl  tradott  d*  In  Tuein  li 
Bulgnòls.  —  Bulogna,  S.  Tmas  d'Aquèin,  i77S.  lYe  canti  in  olfcNW  rima 
di  éinnibale  Bartoluzzi. 

Rem  d'  Zambatesta  Gnudi  da  BuIògna,  dedica  al  dllettani  d*  lèingu 
bulgnèisa.  —  Bulogna  In  V  la  stamparì  d*s.Tmas  d^Aqnèln,  ivi«. 

Poesie  di  Giuseppe  d'Ippolito  Pozzi.  —  Venezia,  i77«,  ln-8.*  NHItn» 
volìtìme  di  questa  JUaecolta  iròvansi  ite  Canzonette  in  dialeUo  òplogmm$. 

Cun  più  l*è  rotta,  la  s^  cnnza  mèi.  Ikitermezz.  —  Bologna,  itts..  In»!.* 

Pr  la  mort  del  sgner  dottor  Francesch  Zanott  e  dia  duttoressa  Lmui 
Bassi.  Poeside  Francesch  Longhi  e  d'Anibal  Barloluzz.  —  Bologna,  1781, 
ln-8.* 

Poesie  d'Annibale  Bartoluzzi.  —  Bologna,  per  Lelio  della  Volpe,  liti. 

Li  Cittadini  Bolognesi  all'invitto  generale  Bonaparte.  Sonetto.  —  Boll- 
gna,  pel  Sassi,  i7oe.  ^  .- 

Sunet  con  la  co ,  rezità  dal  ztaden  Rampon  al  zirquei  coaliloiiunal  4* 
Bulogna,  In  arsposta  dal  Sunet  d^  Cesarei,  compost  da  veni  itadeniia 
Sciga  in  t^  al  magazzen,  Tultma  sira  d'  camevaL  —  Bologna,  pr  elsUap 
dal  Geni  dcmocratic,  1798. 

Sunett  al  merli  di  g^tilessm  spus  nuv,  la  ztadina  Teresa  dal  Ho  e  si 
ztaden  Juseff  Cursen.  Sonetto  segnato  G.  M.  C« 

In  lod  di^  apparai  fatt  da  Santèin  Burzi  lardaròl  dal  Casal,  al  glovedé 
sani  dèi  I807.  —  Bologna,  per  Masett. 

Lunari  bulgncis  dal  gran  duttòr  Balanzòn  Lumbarda  pr  I^ann  1887.^ 
Bologna,  pr  al  stamp  dal  Sass. 

Lunari  bulgnèis  dal  gran  dutlòr  Balanzòn  Lumbarda,  pr  Pano  Mwtti* 
1808.  —  Bologna,  per  il  Sassi. 

Ai  sgner  Zvann  Avon  cif  s^  aggroppa  in  matrimoni  con  Ur  sgnert  l^ 
Guglieri  al  meis  d'Liii  dell'  ann  1889.  Sonel  con  la  co.  >—  Buloioa,  prel 
stamp  dal  Sass. 


DIALETTI  BMILIA.1I.  46 i 

Pr  el  matrimoni  del  sgnotir  Marcantoni  llalvasj  cun  ia  sgnoura  Marj 
fiora.  Suiièt  de  Don  Juseff  Zarapir.  -*  Bulogna ,  i  soo. 

Pr  el  nòti  del  sgnour  Jusfln  Guidalott  e  dia  sgnoura  Rachlina  Malvasj. 
Beilo  §Uuo  autore. 

Dods  Sunett  fatt  pr  la  mort  de  Sabast  Taner,  de  Don  Juseff  Zampir.  — 
Boloffittj  isii. 

fttameiit  d'Zanin  Brandoli  dett  Zanin  dagristori.  -^  Bologna ,  in  V  la 
lUmperi  dia  Clomba. 

Sunett  per  la  Solenn  proeession  general  del  ss.  Sacrament  per  la  parroc- 
ckfai  d'  san  Gregori,  ec.  de  Camill  Maccagnan.  —  Bulogna,  iSts ,  stamp. 
dift  Clomba. 

Vocabolario  Bolognese-Italiano  di  Claudio  Ermanno  Ferrari.  —  Bologna, 
IMI»  in-s.* 

Bonetti  vari  di  D.  Giuseppe  Zampierl  —  Bologna,  loai. 

All^egregto  preelarissimo  giovine  signor  Pietro  Bigalti,  cui  viene  confe- 
rita U  lanroa  dottorale  in  chirurgia  nella -pontificia  università  di  Bologna 
1  luglio  ISSI.  Sonetto  in  lingua  italiana  e  in  dialetto  bolognese  di  Luigi 
IodUIU. 

Serudèli  sclèlti  in  lengua  bulgnèisa  da  divcrtirs  In  t*  i  dsnar  e  in  T  e 
ara  al  Garenval,  dedica  ai  dilettant  Zerudièsta  da  BoniCaii  Cadoas.  — 
Magna,  itti,  in  la  stamp.  dia  Clomba. 

Rtecolta  di  componimenti  in  dialetto  bolognese.  —  Bologna,  per  Ric- 
lltsi,  fltt7.  Qu^ta  raecolia,  che  doveva  ònere  ripartila  in  dódici 
i,  fk  iHeomùteiata  tolto  la  direzione  del  Ferrari  autore  del  Vocabo- 
trio  bolognese ,  ein  dal  1897 ,  in  cty'  venne  in  luce  il  I  volume,  contenente 
kologna  travaià  dal  guerr  zivil  di  Lambertazi  e  di  GeremL  Poemctt  scher- 
èvol  in  Qttava  rèma,  e  in  7  Cant,  di  G.  G.  C.  {Gregorio  Conte  CaioUy 
feW  anno  euecessivo  tate  /ti  publicato  il  II volume»  che  racchiude  EgrOper 
l*Lott  Lott,  purgate  dalle  mende  ortogràfiche  delle  anteriori  edizioni  di 
%nMa«  Modena,  ec.  Quindi  V edizione  fu  soepeia,  e  solo  nel  issa  venne 
tmiinMiata  $ino  al  voi.  FU  inclusivo.  Il  HI  racchiude  Egr  Oper  d' Fran- 
èMh  Mari  Looghi;  il  ly»  Varii  puesi  d'  divers,  e  zioè  d'  Gnudi,  di  du 
OBghi,  d'Annebel  Bartulozz,  d'Benfna%  d'Tartaja  e  d' Ferrari;  il  V,  Al 
•entameròn  dfzuan  Aléssi  Basile,  o  sia  cinquanta  fól  detti  dadildonn  in 
enqu  giurnàt.  Tradazion  dal  napuletan  in  lèngua  bulgnèisa.  Seguita  a 
bU  al  VI  ed  anch  al  VII  volùm ,  dov  s' attrova  anch  El  dsgrazi  d' Bertul- 
èin  dalla  Zèina  d' Zèiser  Cròus.  —  Bologna,  tipografia  di  s.  Tommaso 
'Aquino. 

Progetto  d'ortografia  bolognese,  d*un  Accademico  del  Tritello  {Il  prof . 

K  Gio,  Boti.  Fabbri).  —  Bologna,  182 e,  per  le  stampe  del  Nobili. 

Voeabolario  Bolognese-Italiano,  colle  voci  francesi  corrispondenti ,  com« 

iMo  da  Claudio  Ermanno  Ferrari.  —  Seconda  eduzione  in-4.®  Bologna , 

ptgraBa  delia  Volpe,  iosa. 

llHenraiiòn  zelest  fatti  dal  Dullòur  Truvièin  souvra  Pann  18S«.  —  Bu- 


h6^  P\Kn  SBC0?IDA. 

logna,  dalla  statnpari  dal  Sass.  Già  da  alcuni  tèeoU  si  pùMicano  AUmmu* 
chi  con  varie  poesie  e  prose  in  dialetto  bolognese,  sicché  sarebbe  toverdUa 
ed  inùtile  impresa  il  citarli  ad  uno  ad  uno.  Quelli  del  Dottor  Balamòn  Lom- 
barda e  del  Dottor  Tnivlèin  sono  tra  i  più  antichi  e  più  aeereditatt,  lièi- 
Panno  i84t  fu  instituita  in  Bologna  una  società  di  giovani  timdioei  pel 
miglioramento  de'patrii  Almanacchi,  e  negli  anni  successivi  gareggiànm 
tra  loro  le  due  Società  del  Vecchio  e  del  Nuoto  Tm^ìèin,  inserèndaeiegni 
anno  scritti  di  pùblica  utilità  su  vari  argomenti  economici,  igiènici,  «e. 
Bastino  questi  cenni  per  ciò  che  spetta  agli  Almanacchi, 

Canzon  per  brusar  la  vecchia  a  mezza  quaresima.  —  Bologiui»  fstr, 
tipografia  della  Colomba.  Fbglio  volante.  Questa  Canzone  hamoUaeeiebrtA 
in  Bologna,  o^  parecchie  persone  la  recitano  a  memoria*  La  pàbUca  ipf- 
nione  l'attribuisce  alle  sorelle  Manfredi;  tutti  gli  anni  se  ne  fasma  mm 
edizioni. 

Quanto  alle  poesie  volanti  e  d*  occasione,  sono  pure  in  nùmero  eesuUs 
revoie,  epecialmente  quelle  degli  ùltimi  anni,  sicché  troppo  Ismgo  MnNf 
r  enmneraHe  partiiamente. 

'  ROMAGSIOLO. 

ftueeico  Piero  da  Faenza.  Comedia  nuova  stampista  In  noreua  ai 
istanza  di  Ealdassar  Faentino  sul  principio  del  secolo  XY ,  lii*«.*  Sei  m 
contadino  parla  il  dialetto  romagnolo,  e  propriamente  il  Faeniimo, 

Vocabolario  Romagnolo-Italiano  di  Antonio  Morrl.  —  Faenza,  per  Mei» 
Conti ,  1840 ,  in-4.*'  È  questo  il  primo  libro  publicaio  iniomo  ed  diiWtf 
romagnoli,  troppo  negletti  e  sprezzati  da  quelli  stessi  die  li  parlane,  il 
Morri,  nella  Prefazione  al  suo  Vocabolario,  dichiara  di  non  conòeeere  •#* 
runa  produzione  èdita  in  questi  dialetti;  nello  stesso  anno  peraiiro  vénmn 
in  luce  alcune  poesie  in  dialetto  Fusignanese,  neW òpera  seguente: 

Scelta  di  ]K)esìc  italiane  e  romagnole  di  Don  Pietro  Santoni  Fusigiiaii0c^ 
raccolte  da  Giacinto  Calgarlnl.  -->  Lugo^  pel  Melandri,  1840,  in-B.*  Mk 
100  pàgine  di  questo  libro  40  racchiùdono  poesie  vernàcole. 

Poesie  Forlivesi  di  A.  G.  {Acquisti  Giuseppe).  — ^  Forlì,  dalla  lipogialt 
Casali,  1844,  in-8.® 

Mode:iese. 

Contadinesca  in  lingua  rustica,  detta  la  Menga  o  Zia  Tadela,  fatta  per 
intermedio  deirAminta  del  Tasso.  Ridìcola  assai  e  morale  insieme.  —  Mo- 
dena, per  Rartolomeo  Soliani,  lotts  ,  in-flG.° 

Canzòa  in  lingua  mudnèisa  sovra  la  gran  moda  d^  quel  femen  che  s^dnao- 
den  mezz-pataj,  eh'  vren  tgnlr  al  bazìi  alla  barba  a  tutr  ci  dam.  —In 
Modna,  177«.  Con  licenza  di  supcrior. 

Canzone  per  la  ricuperata  salute  di  monsignor  Foglianl  vescovo  di  W^ 
dona.  —  Modena  (i8oo  incirca.  Fu  scritta  da  un  certo  dottor  Ferrari)- 

Mille  voci  modenesi  colle  loro  corrispondenze  toscane.  Sema  ÌadleaiiiB< 


DIALBTTI  EMIUANI.  4<|5 

veniiUL  QueitQ  Saggio  di  ^Vocabolario  Modenese  fu  inserito  in  un  Mmq." 
iMeeo  nel  taso  ifìcireas  publicato  per  gli  eredi  Soliani,  ed  è  òpera  del  vt- 
«Mlt  dotior  Ercole  Reggianini, 

Reggiano. 

(•ndnin  da  Ruvalta  strolQgh  modero,  spernostic  per  Tan  I730,  e  sac- 
cetaiYi.  —  Reggio,  pel  Davolio.  Questo  pronostico  è  stampato  in  foglio;  dal 
primeipio  dello  scorso  sècolo  continuò  sin  verso  il  1 7ao ,  e  contiene  varie  poe- 
ti» iaièriehe  in  lingua  rùstica  reggiana,  €  propriamente  del  villaggio  di 
Hipttlltt,  celebre  pel  palazzo  cke  vi  esisteva  degU  antichi  Estensi.  • 

Le  none  di  contado.  Mascherata  Catta  in  Reggio  nel  carnevale  deir  an- 
it  ivst.  —  Reggio,  pei  Vedrotti,  in-4.**  di  pag.  eo.  In  questa  raccolta  di 
KMtte  trovasi  il  Sonetto  d*  autore  anònimo  in  dialetto  reggiano  urbano  in- 
mito  nei  precedenti  Saggi. 

Al  Gontaden  astròlegh.  —  Reggio ,  pel  Davolio.  Questo-  Diario  fu  puòtì- 
rato  nella  seconda  metà  del  sècolo  passato,  e  continuò  parecchi  anni.  Con- 
Mènr  eticuni  discorsi  in  dialetto  ritstico  reggiano. 

SeÉrtalu  d^Ambrosoun  Sgarbaxia  incoun  il  lunazioun,  fest  mobl  e 
deM»  ee:  —  Reggio,  pel  Davolio,  i7e«-i770,  in-8.®  Questo  aimmmeooj 
mMeàio  pure  nella  seconda  metà  del- sècolo  passato,  contiene  varidieeorsi 
n  Haietto  rùstico.  Nel  1771  cangiò  formato,  e  fu  publicaio  inr  folio* 

Lanari  Arsan  per  l'ann  I82ii»99.  —  A  Rezz,  da  Tursan  e  Comp.,  in-s.* 
ÌUre  alla  prefazione  in  versi  rimati,  questo  Lunario  contiene  varie  poesie 
mre  in  dialetto  reggiano,  V  anònimo  autore  fu  il  conte  sac.  Prevosto  fiocca 
U  leggio,  morto  ne/  iSsi. 

Dizionario  Reggiano-Italiano,  -r-  Reggio ,  tipografia  Torreggiani  e  Comp. 
test,  e  voi.  in-8.*  L'anònimo  autore  è  il  vivente  dottor  Gio.  Batista  Ferrari. 

Lunari  Arsan  per  Tann  i84i-4«.  —  Reggio,  tipografia  Torreggiani  e  C, 
B-e.*  Questo  Lunario,  che  ha  per  motto:  E  sferzo  il  vizio,  e  chi  sen  duol 
^•ecfisa  ,  contiene  wia  prefazione  in  versi  rimati,  e  varie  poesie  in  vario 
miro,  Vuna  e  le  altre  in  dialetto  reggiano.  L'anònimo  autore  è  il  vivente 
smònieo  Ferranti  Bedogni. 

yarie  poesie  d*  occasione  furono  ancora  publicale  in  questo  dialetto,  o  in 
ogiietti  volanti,  0  inserite  in  alcune  raccolte. 

Limarlo  Reggiano  iB4tf.  —  Reggio;  presso  G.  Davolio  e  figlio.  Questo 
nhmneiio  racchiude  molte  brillanti  poesie  vernàcole,  fra  le  qiuUi  emerge  la 
enione  di  buona  parte  dell' /irte  Poetica  d'Orazio.  L'autore  è  parimenti  il 
rof.  Bedogtìi. 

FBRaARESB. 

Traducion  del  caos  in  otava  rima  del  plus  quam  perfetto  dottor  Gratiano 

orÌMSoni  nella  sua  lingua.  —  In  Venctia,  per  Fioravante  Prati,  f  «oe.  in-4.** 

Le  cento  e  quindici  conclusioni  in  ottava  rima  del  plus  quam  perfetto 

33 


464  l*ARTE  SECO.^DA. 

dottor  Gratiano  Forliesoni  da  Francolino,  ed  altre  manifatture  e  composi- 
tioni  nella  sua  buona  lingua.  —  In  Venetia^per  Fioravante  Prati^fiiao,  io-i.* 

La  Pazzìa.  Gomedia  dì  Pietro  Baglianl,  comico  Unito,  detto}!!  dottor 
Graziano  Forbesonl  da  Francolino,  -j-  Bologna,  per  Teodoro  e  Clemente 
Ferroni,  1694,  in-4.® 

I  Prugnostich  per  r  ann  1 75S ,  cumpunesl  da  Barba  Uaureli  StupplM 
{jimbrogio  Baruffaldi),  Arzdor  d' la  villa  d'  Cona.  ^  Frara^  pr  al  FUoa, 
i7ss,  in-i«.^ 

Piocaja  Zemgoan-  Stelazocc  d'  TArcivescovà.  Sunett  air  EminenttaiB  e 
Reverendissim  Prenzip  lisandar  Uattei  di  Duca  d' Giov  Arcivescur  d'Fra- 
ra.  —  In  Frara,  par  i  Ercd  d'  Giusef  Rlnald.  Senza  dolo,  ^n  foffUo  POlgUt. 

Al  Eminentissim  sgnor  Cardinal  Zanmarlè  Rlminald  Patriil  Frares,  8«- 
nett.  —  E1  Marangon  d'  Cà  Riminalda.  —  In  Frara .  1 786 ,  prl  Ered  d^  GUnef 
Rlnald.  Fbglio  votante, 

Arnest  Baluosa  Marangon  d*  Cà  Riminalda  in  znoch  ai  pie.  d**  V  EaiMA* 
tissim  sgnor  .Cardinal  Zanmariè  Riminald  ch^  sta  par  tumar  a  Roma.  «-  b 
Frara,  par  i  Ered  d'  Giusef  Rinald,  1780.  Fogtio  votante. 

La  lum  dal  manegh.  —  Dialoghi  famigliari  in  lingua  ferrarese  eoapoiti 
da  Ubaldo  Magri  Farolfi,  e  dedicati  all'onesta  e  gentile  villegfialm di 
Quartesana.  I7i8.  Sono  contenuti  net  Ili  voi,  dette  Opere  postume  di  Qi- 
rolamo  Baruffaldi.  —  Ferrara,  1787,  in-8.** 

Vocabolario  portatile  Ferrarese-Italiano  delPabate  Francesco  Nanoiai.  — 
Ferrara,  per  gli  eredi  di  Giuseppe  Rinaldi,  laotf. 

Al  sgnor  Giusef  Bonlci ,  eh'  sposa  ia  sgnora  Lucrezia  Zacco ,  un  so  cs* 
sin.  —  Frara,  da  Checch  Pumatdi,  lais.  Due  sonetti,  tn-s.* 

Chichett  da  Frara  {conte  Francesco  Aventi),  Lunari  nov  con  sturidlif 
mattieri  per  Tann  isae.  —  In  Frara,  stampa  da  Francese  PumatelV.i>-*>* 
Questo  Lunario  continuò  ogni  anno  dal  i  92  e  sino  al  presente,  e  rocMide 
motti  graziosi  conìponimenti  vernàcoli. 

Per  la  sulennissima  lUuminazion  fatta  in  tutta  ia  ciUà  d'  Frara,espe- 
zialment  alia  fazzada  gottica  dal  Dom,  con  Pappendiz  d'una  macUoid' 
fogh  artiflzial  in  unor,  gloria,  congratuiazion  dal  nov  Eminentissim  sgaor 
Cardinal  Gabriel  d' la  Genga  Marches  Sermattei  Arcivescuv  a^iniMflnp  d'b 
Diocesi  Fraresa.  Sunett  Veniacul  {di  Giacomo  Maria  Bottoni). —  Fran,  da 
Bresciani.  Foglio  volante. 

1  Ptagulò  d' Frara.  Diàlugh  in  Frarcs  pr  al  Lunari  dal  i84t.  Frara,  pir 
Dmenagh  Tadei.  —  Questo  lunario/  nel  quale  tròvansi  raechiuti  ok»fù 
diàloghi  e  Itarzetlelte  in  dialetto,  cominciò  nell'anno  1848^  e  amiinwn' 
nera  nei  successivi. 

Mantovano. 

Vocabolario  Mantovano-Italiano  di  Francesco  Cherubini.  —  Milano,  9^' 
Gio.  Batista  Bianchi  e  C,  I897 ,  in-a."* 


DUI  ETTI    E^IIUAM.  45K 


PARMIGIANO. 


li  Possidente  in  villa.  Lunario  dilettevole  ed  istruttivo  per  Tanno  1809. — 
Panna y  per  Giuseppe  Paganino,  in-ai.**  Hawi  un  diàlogo,  nel  tjiuaU  alcuni 
ìnierìoaiiori  parlano  il  dialello  rit3tico  parmigiano. 

Stròlgament  dil  Strcl,  pr  Tann  isia,  msurad  a  braz  con  el  forca  da 
lo  braoz,  dal  Caperai  Quatlordes  Cazzabal  dia  Villa  d^  Figazzel.  —  Perma, 
in-flt.^  Questo  almanacco  generalmente  conosciuto  col  solo  nome  di  Gazza- 
tial  y  /tt  incominciato  circa  alla  metà  dello  scorso  sècolo,  dal  parmigiano 
D.  Innocenzo  Sacchi,  e  fu  poi  continuato  con  poche  interruzioni  sino  a  noi. 
Tàl9olia  nelvènnero  in  luce  nello  stesso  anno  due  o  tre,  collo  stesso  titolo, 
MÒftene  diversi.  Gli  stampatori  ette  successivamente  lo  publicàrono  sono  : 
làchem  Blanchon ,  Ross  Ubèld ,  Flupp  Carmignàn  e  Jàchem  Ferrari.  Essi 
contengono  alternamente  poesie  in  dialetto  urbano  e  rùstico. 

Il  Strell  compassad  con  la  rocca  dalla  Fodrlga  da  Panoccia.  —  Pernia , 
in-it.^  Questo  jllmanacco  è  conosciuto  col  solo  nome  di  Fodrlga ,  ed  cttn: 
primtipio  incirca  al  tempo  del  Cazzabal,  col  quale  riialeggiò.  Ehtte  pure 
viàrie  interruzioni  e  vari  stampatori. 

Giornal  pr  Tan  bisestil  leio  compost  da  Luigion  dal  Belli  Braghi.  — 
Parma^  per  Fllp  Carinignan^  in-S4.® 

L^Occialon  Pannsan,  Lunari  neuv  pr  Tan  bisestil  iste,  compila  da  Bo- 
bUuÌ  Occialon  Barbèr  d'  Parma.  —  Parma,  pr  Fllp  Garmignan,  in-94.* 

Oltre  ai  citati  almanacchi,  furono  publieati  ogni  anno  Lunari  in  foglio 
foiante,  con  poesie  vernàcole,  dei  quali  basterà  rammetitare  i  seguenti: 

El  matrimoni  dia  siora  Majen  sartoreina  con  Fifola  ci  calzolar.  —  Par- 
ma, pel  Paganino,  iste. 

Descours  d^Catan.  —  Parma,  isso. 

La  Festa  in  cantcina.  —  Parma,  pel  Carmlgnani,  1821. 

Il  Ser^'i  ch^  meulen  ci  nas  al  so  patron.  —  Parma,  pel  Paganino,  issa. 

L^AvvocatTridura  clf  teiis  la  difeisa  dil  servi.  —  Parma,  pel  Donati,  issa. 

Avis  a  chi  s^  vcul  mandar.  —  Parma,  pel  Donati,  issi. 

La  pressia  dil  fieuli  per  teur  mari.  —  Panna,  pel  Donati,  is.'ss. 

El  Mond  rè  na  comedia.  —  Parma,  pel  Donati,  1838. 

I^anatich  pr  el  Lott.  —  Parma,  pel  Donati,  less. 

El  Mond  neuv.  —  Parma .  pel  Donali,  1834. 

Blanera  noenva  d'  far  la  barba,  -r-  Parma,  pel  Paganino,  lass. 

Rimedi  pr  la  gelosìa.  —  Parma,  pel  Donati,  lasis. 

Contras!  tra  la  nona  e  fa  neura.  —  Borgo  s.  Donino,  pel  Vecchi,  ikak. 

Contrast  dia  siora  Malcontenta  mojera  del  sior  Imbrojalmond ,  con  la  rii- 
sincra  la  Potaccionna.  —  Parma,  pel  Paganino,  isso. 

La  Famìa  d' Fifola  al  calzolar.  —  Borgo  s.  Donino,  prl  Vecchi,  iss». 

El  Mond  alParvcrs.  —  Parma,  pel  Paganino,  1837. 

El  Mond  dia  Lòuna.  —  Borgo  s.  Donino,  pel  Vecchi.  1837. 


4 Off  PARTB  SBCONOA. 

La  Cuseina  Napolitana.  —  Parma,  pel  Lucchini,  irst. 

Il  festi  d'  Nadal.  —  Parma,  1838. 

Lunari  Parmsan  del  1838,  Per  chi  veul  buttar  via  i  strazi,  E  far  al  me- 
ster  d^  Michlazz. 

El  Matrimoni  diflcoltòus.  —  Parma,  pel  Ferrari,  i839. 

La  Montagna  del  Giudizi.  —  Parma,  i840. 

San  Crespen  eh'  fa  Pissaloli  zavaten ,  mari  dia  Trecla  con  Fracass  md- 
ster  d^ musica  arrabida.  —  Parma,  pel  Ferrari,  1849. 

I  Zercadòur  da  dzor  (di  tesori).  —  Parma,  pel  Ferrari,  isia. 

Gran  Aéademia  vocala  e  istrumcntala.  —  Parma ,  pel  Ferrari ,  fl  B4S. 

I  vilan  a  la  moda.  —  Parma,  pel  Paganino,  1844. 

I  Vestiari  a  la  MUj  sicché.  —  Parma,  per  Rossi-Ubaldi,  t84tt. 
Dizionario  Parmigiano-Italiano  di  Ilario  Peschieri.  —  Parma,  stamperia 

Blanchon,  I8S8,  s  voi.  in-8.® 

PlACBNTWO. 

La  Pilligraeina  vedva  d^  laidori  Ficcapartutt  zavattaei  e  strolegh.  La- 
nari in  dialoeutt  Piasintaei  par  Pann  1839.  —  Pìaseinsa,  dal  stampadonr 
Tedeschi,  Ìn-i8.® 

La  Pilligraeina  pajarwula,  ch^  ha  sposa  al  coeug  Spcina-Carpan.  Lunari 
in  dialoeutt  Piasintaei  par  Tann  i840.  -r  Piasensa,  dal  stampadour  Tede- 
schi, in-i8.* 

Catalogo  di  voci  moderne  piacentino-Italiane,  del  canonico  Francesco 
Nicolli.  —  Piacenza,  pel  Tedeschi,  i83S. 

Vocabolario  Piacentino-Italiano  di  Lorenzo  Foresti.  —  Piacenza,  pei  Fra- 
telli del  Majno,  laso. 

Pavese. 

Poesie  per  relezione  in  Rettor  magnifico  deiri.  R.  università  di  Pavia 
del  prof.  D.  Pietro  Tamburini.  —  Pavia,  I790 ,  per  Giuseppe  Bolzani.  M 
trwansi  due  componimenti  in  dialetto  pavese. 

Dizionario  Domestico  Pavese-Italiano.  —  Pavia ,  dalla  tipografia  Bizzo- 
ni,  I8S9.  Questo  piccolo  Saggio  di  Vocabolario  è  difeso  in  due  partii  delle 
quali  la  seconda  contiene  il  Dizionario  Italiano-Pavese.  Un  voi.  in-8.*  4à  it» 
p&gine. 

Un  Nuovo  Passatempo  per  Panno  1858.  Almanacco.  —  Pavia,  per  Bii- 
zoni,  1852.  Questo  almanacco  fu  publicato  per  tre  anni  consecutivi^  e  con- 
tiene  varie  poesie  di  qualche  pregio,  che  sono  di  Giuseppe  Bignami, 

II  vecchio  Gioralett  del  1783.  Nuovo  almanacco  per  Panno  bisestilf 
1C36.  —  Pavia,  per  L.  Landoni. 

I  du  prim  mes  del  Cholera  in  Pavia ,  Ottav  ^d  Sirei  Cara  (  Siro  Cara- 
ti ).  —  Pavia,  Fusi  e  C. .  f  838. 
Saggio  di  poesie  pavesi,  almanacco  per  Panno  bisestile  i8S6  di  G.  B 


DIALETTI   EMILIANI.  407 

K^Ghueppe  Bignami).  —  Pavia,  libreria  della  Minerva  di  Luigi  Landoni. 
%fuesV  almanacco  forma  la  conlinuazione  del  Nuovo  Passatempo,  del  mede- 
-^imo  autore,  e  fu  publicato  per  quattro  anni  consecutivi.  Ivi  tròvansi  varie 
Jboesf'f  originali  »  ed  alcutie  versioni  di  mèrito  in  dialetto  pavese ,  tra  le 
^uali  quelle  del  Lamento  di  Cecco  da  Var lungo  e  deirAmante  scartato  del 
^aldovini. 

Vocabolario  Pavese-Italiano  ed  Italiano-Pavese  di  Carlo  Cambini,  dottore 

In  ambe  le  leggi.  Pavia,  Tipografia  Fusi  e  Comp.  isiio.  Un  volume  in^A  di 

S46  pagine»  delle  quali  288  racchiùdono  lutto  il  f^ocabolarlo  Pavese-Ita- 

JHtno,  Se  quindi  alla  tenuità  del  volume  si  aggiunga,  che  Pautore  v'  inseri 

buon  nùmero  di  voci  che  sono  prette  italiane»  come  aqua,  aquila  e  simili, 

né  9i  hanno  significazione  diversa;  che  talvolta  le  voci  italiane  opposte 

alle  corrispondenti  vernàcole,  o  noti  esistono,  o  non  furono  mai  usate  ;  o 

meglio  ancora,  che  in  tutto  questo  lavoro  non  si  scorge  un  piano  diretto 

da  sano  criterio  ad  un  fine  detertninato^  sarà  manifesto,  che  questo  t^oca- 

Mario  non  è  gran  fatto  migliore  del  sumtnentovato  delPanno  1889.  — In 

tenia  povertà  di  mezzi,  siamo  lieti  di  poter  annunziare  ai  nostri  lettori» 

dke  altro  lavoro  di  simil  gènere  condotto  con  maggior  diligenza  e  dottrina 

a  buon  fine  esiste  manuscritto  in  Pavia»  lasciato  morendo  dal  benemèrito 

pavese  Robolini  nd  un  professore  emèrito  di  queiV  Università»  onde  fosse 

amplialo  e  publicato,  Nutriamo  quindi  fiducia»  e  facciamo  caldi  voti^  onde 

il  dotto  legatario»  intètTtrete  dei  desidera  del  defunto  e  dei  viventi^  voglia 

riempire  con  sollecitùdine  questa  deplorata  lacuna. 


Errata  Carrlye 

Pag.  s  19,  riga  t4-tii    Borgotarese  Frignanese 

M     sti,    *>     3  Ramo  BoLOGRisB  Grìjppo  Boloqmui. 

n     304 ,    n    fl  Si  Sopprìmano  le  parole  Dialetti  Roim6roli. 


^ 


PARTE' 


DIALETTI  PEDlBIiOllTANI 


53 


CAPO  I. 

§.  i.  Dmsmie  e  posizione  dei  dialeUi  pedemonèani. 

I  dialoUi  pedemontani  sono  oliremodo  importanti,  collegiii- 
1I06Ì  strettamente  nelle  estreme  loro  modificasioni  occidentali 
cogli  occitànici,  mentre  a  mezzogiorno  si  fóndono  nei  Ogori,  ad 
oriente  col  lomt>ardi  e  cogli  emiliani. 

Questo  ragguardévole  ramo  della  famiglia  gallo-itàlica  è  con- 
terminato, a  settentrione,  dalie  Alpi  graje  e  dai  monti  che  divi- 
dono i  tronchi  sop^riori  della  Val  Sesia  e  della  Valle  d'Aosta 
dalle  sottoposte  valli  del  Cervo,  dell'Orco  e  della  Stura;  ad 
oriente,  dal  corso  del  Sesia,  che  sino,  alla  sua  foce  nel  Po  lo 
divide  dai  dialetti  lombardi,  e  quindi  da  una  linea  trasversale 
che  da  Valenza  sul  Po  raggiunge,  serpeggiando,  TApennino  presso 
Bobbio^  per  la  quale  è  separalo  dalla  regione  dei  dialetti  emi- 
liani; a  mezzogiorno,  dalle  Alpi  marittime  e  dall' Apennino  li- 
gure;, ad  occidente,  dalle  stesse  Alpi  marittime  e  dalle  graje, 
lungo  le  quali  va  fondendosi  nei  dialetti  occitànici. 

In  tanta  estensione  di  territorio,  avuto  riguardo  alle  più  sa- 
lienti e  caratteristiche  dissonanze  nella  pronunzia ,  nella  forma 
«  nelle  radid,  esso  divldesi  in.  tre  gruppi  distikiti,  che  dalla 
vegione  rispettivamente  occupata  possiamo  designare  coi  nomi  di 
piemontesej  canavese  e  monfer'rino.  Ciascuno  poi  consta  di  un 
■maggiore  o  minor  nùmero  di  svariate  favelle. 

P^iilBl^ne*  Il  gruppo  Piemontese  è  il  più  diffuso;  esso  oc- 
cupa tutta  la  regione  occidentale  conterminata,  a  settentrione, 
dalle  Alpi  graje  e  dal  corso  del  fiume  Orco;  ad  oriente,  dal  corso 
dello  stesso  fiume  sino  alla  sua  foce  nel  Po,  indi  da  una  linea 
serpeggiante  attraverso  i  colli  del  Monferrato,,  la  quale  congiuvge 


473  PAETB  TERZA 

la  foce  dell'Orco  eoa  Asti;  e  per  ùltimo  dal  tronco  superiore 
del  fiume  Tànaro  che  dalla  sorgente  sull'Apennino  ligure  discende 
sino  ad  Asti;  avvertendo,  che  il  corso  dell'Orco  separa  il  gruppo 
piemontese  dal  canai^ese^  e  la  successiva  linea  serpeggiante  col 
tronco  superiore  del  Tànaro  lo  dividono  dal  monferrìnoj  a  mei- 
zogiomo,  è  conterminato  dalla  catena  delle  Alpi  marittime  che 
separano  la  Provenza  dal  Piemonte,  intersecata  fra  le  due  sor- 
genti del'Tànaro  e  della  Stura  meridionale;  ad  occidente,  dalle 
Alpi  marittime  e  graje  che  dividono  il  Piemonte  dalla  Francia 
e  dalla  Savoja. 

Il  gruppo  Canadese ^  cbe,  come  abbiamo  avvertito,  ad  occi- 
dente confina  col  piemontese  lungo  ii  corso  dell'Orco,  si  estende 
a  settentrione  sino  ai  monti  che  dividono  il  Piemonte  dal  du- 
cato d'Aosta;  ad  oriente  raggiunge  la  destra  sponda  del  Sesjà 
sino  alla  sua  foce  nel  Po,  lungo  la  quale  si  fonde  nei  dialetti  lom- 
bardi; e  a  inczzogiomo  è  conterminato  dal  tronco  del  fiume  Po 
racchiuso  tra  le  due  foci  del  Sesia  e  dell'Orco. 

Questo  medésimo  tronco  segna  appunto  il  confine  settentrio- 
nale della  regione  occupata  dal  gruppo  mon ferrino^  il  quale, 
seguendo  le  linee  da  nói  superiormente  tracciate,  ad  oriente  è 
conterminato  dai  dialetti  emiliani^  a  mezzogiorno  dai  liguri^  e 
ad  occidente  dai  piemontesi. 

E  quivi  pure  gioverà  ripètere  la  generale  osservazione  da  noi 
premessa  nelle  due  Parti  precedenti,  tornare  cioè  affatto  impos- 
sibile il  designare  con  precisione  il  luogo  ove  un  dialetto  finisce 
e  rallro  incomincia,  ciò  .che  avviene  per  leggeri  e  quasi  im- 
percetlibili  gradazioni;  e  doversi  quindi  risguardare  le  linee  su- 
periormente designate  come  diametri  di  altretante  zone  più  o 
meno  larghe,  lungo  le  quali  i  dialetti  di  due  gruppi,  o  di  due 
famiglie  distinte,  vanno  assimilandosi  e  fondendosi  insieme.  Di 
qui  appunto  deriva  l'indeterminato  nùmero  di  varietà  nei  dia- 
letti d*un  medésimo  gruppo,  del  quale  gli  estremi  di  due  op- 
posti confini  differiscono  tra  di  loro  assai  più ,  che  ncm  ciascuno 
d'essi  coH'estrcmo  della  famiglia  o  del  gnippo  limitrofo. 

Incominciando  ora  dai  gruppo  Piemontese^  esso  è  rappresen- 
talo dal  dialetto  Toriìiese  che  ne  è  principal  tJi>o,  e  che  in  ogni 
direzione  si  distende  lungo  la  circostante  pianura ,  lungo  i  colli 


DIAI.BTTI  PBIMniOYTAill.  473 

e  le  moltéplici  valli  che  dalla  cerchili  della  Alpi,  quasi  raggi  con- 
cèntrici, convèrgono  verso  la  capitale;  so  non  che,  di  mano  In 
mano  che  c'inoltriamo  so  per  l'erto  dei  monti,  0  dfaifetto  pie- 
montese, trasformandosi,  assume  alquante  forme  del  dialetti  oc- 
citànici, ciò  che  porge  nuovo  interesse  al  linguista  che  nell- in- 
corrotta favella  dell'  alpigiano  scopre  ancor  vive  le  vestigia  della 
lingua  dei  Trovatori.  E  perciò  in  questo  gruppo  è  d'uopo  sèe- 
verare  i  dialetti  del  piano  e  della  parte  inferiore  dei  monti  da 
quelli  delle  più  alle  pendici.  Tra.i  primi,  i  principali  sppo:  il 
Torifiese^  Vj^stifjiano^  il  Fossamsc^  il  Faldvsa  ed  il  Lanzcse, 

Il  Torinese  è  parlato  con  leggere  varianti,  oltre  alla  capita- 
le, in  tutti  1  circostanti  paesi,  inoltrandosi  a  mezzogiorno,  su 
per  le  valli  sino  a  Chcrasco,  Savigliano,  Saluzzo  e  Pinerolo;  o 
ad  occidente  sino  a  Susa. 

L\4stìgiano  è  proprio  della  città  d'Asti  e  del  rispettivo  terri- 
torio, nel  quale  a  poche  miglia  di  distanza  verso  occidente  si 
va  assimilando  al  Torinese^  e  verso  oriente  si  fonde  nel  gruppo 
3fonfen'ìno. 

Il  Fon$ane$e  è  parlato  nella  parte  superiore  della  valle  della 
Stura  racchiusa  fra  Savigliano  e  Dalmazzo  al  disopra  di  Cuneo. 

Il  Faldese  è  proprio  di  tutta  la  valle  di  Luserna  presso  al  ) 

versante  settentrionale  del  monte  Viso.  .  \ 

"  •  ■  I 

Il  LanzesQ  è  parlato  nella  valle  della  Stura  settentrionale, 
all'imo  della  quale  va  assimilandosi  al  Torinese. 

Tra  i  secondi,  che  distingueremo  col  nome  di  alpigiani^  o 
meglio  coll'aggiunto  di  occitànici^  sono  da  notarsi  i  dialetti  se- 
guenti :  quel  di  Limone^  parlato  alle  falde .  del  colle  di  Tènda  ; 
di  f^aldieri^  parlato  nella  valle  di  Gesso;  di  Finadìo^  proprio 
degli  abitanti  del  più  sublime  tronco  della  valle  Stur?!  meridio- 
nale; di  CQstcimagno^  presso  alle  sorgenti  del  Grana;  di  Elva  e 
di  ./cc^g//o,  presso  alle  sorgenti  del  May:ra;  di  San  Peitr^  parlalo 
nel  tronco  supcriore  di  valle  Varàita;  dì  OacinOy  posto' presso 
alle  sorgenti  del  Po;  di  Fineatrelle j ^  i^derì^ìo  in  tutto  il  tronco 
superiore  di  vai  Clusone;  di  Giaglione  e  d'Oulx^  verso  le  sor- 
genti della  Dora  Riparia;  di  f^iù  e  di  Usseglio^  prpsso  quelle 
della 'Stura  settentrionale. 

Il  gruppo  (7a/Mpe.se,  che  abbiam  veduto  racchiuso  fra  l'Orco^ 


474  PARTE  TERSA 

il  Sesia,  FAlpi  ed  H  Po,  consta  pure  d*un  nùmero  raggoardè^k 
di  svariate  favelle.  Esso  è  rappresentato  dal  dialetto  di  Ipna^ 
che  con  leggere  modificazioni  è  parlato  in  tutta  la  regione  rae- 
chiusa  tra  la  Dora  B&Uea  ed  il  corso  dell'Orco.  Ivi  è  sola  distinto 
per  piToprietà  speciali  il  dialetto  della  f^àl  Spana ,  parlala  nei 
villaggi  d'Ingria,  Ronco,  Valprato  e  Gampiglia.  Nella nregioiie 
poi  racchiusa  fra  la  Dora  ed  il  Sesia  prevale  il  dialetto  di  BM- 
la^  che  si  distende  con  poche  varianti  in  tutta  la  sottoposta  pia- 
nura; e  verso  i  monti  sono  da  sceverarsi  il  dialetto  dli^ndomòj 
che  quasi  anello  congiunge  il  gruppo  canaf^ese  col  /omAordo- 
verbanese^  e  quello  di  Sèttimo  frittone  posto  presso  al  confine 
del  ducato  d'Aosta. 

Il  gruppo  Moti  ferrino^  posto  fra  il  Tànaro  e  rApeaninaligore, 
è  rappresentato  dal  dialetto  AlessandHno^  parlato  non  solo  io 
tutta  la  pianura  d'Alessandria  e  tra  i  vicini  colli,  ma  altresì  lungo 
tutta  la  vaHe  della  Bòrmida  sino  a  Bistagno  al  di  sopra4'Aeq«i. 
Più  oltre  prevale  il  dialetto  A*Alba^  che  si  parla  con  lievi  imh 
dificazioni  nella  regione  superiore  fra  il  Tànaro  e  la  Bòrmidi; 
e  per  ùltimo,  il  dialetto  di  Moudtm ,  che  per  gli  eiementi  ete- 
rogènei onde  consta,  oongiunge  il  gny>po  PiemotUese  al  Mm- 
ferrino:!  ed  entrambi  alla  famiglia  dei  Liguri.  Meglio  poi  d'ogni 
altro  segnano  il  passaggio  dal  Monferrìno  alla  famiglia  Ligure  i 
distinti  diàlettr  del  CàirOj  sulla  vetta  dell' Apeìmino  presso  le  sor- 
genti della  Bòrmida ,  di  Garessio  e  di  Ohnea^  presso  quella  del 
Tànaro,  ove  la  Ligiiria  è  divisa  dal  Piemonte. 

a 

§.  S.  Proprietà  distintiipc  dei  tre  gruppi  Piemontese  ^ 

Canawse  e  Monferrìno. 

La  prima  e  la  più  ovvia  osservazione  sommaria  generale  per 
la  quale  i  tre  groppi  Tnemonte^,  canaK>ese  cmonferrino  appàjooo 
distinti  fra  loro,  si  è  la  complessiva  forma  di  ciascuno,  che  ri- 
vela nel  primo  le  impronte  caratteristiche  dei  dialetti  della  Frao* 
eia  meridionale,  nel  secondo  quelle  dei  dialetti  lombardi,  od 
terzo  quelle  dei  liguri,  per  modo  che  T  aspetto  loro  si  assi- 
mila rispettivamente  a  ciascuna  di  quelle  disparate  famiglie. 

Questa  generale  distinzione  per  altro  non  è  se  non  il  risolta- 


DIAUm  KDCHOTfTANl.  i^75 

■ 

nMDlo  di  Mite  peculiari  difléraise  che  ricMèggona  ti»  dffigeitte 
e  drcostamialo  oonfranto ,  e  delle  quali  appmrteieflM  ìé  {irecipiie 
e  le  pie  caratteristiche. 

Primieramente,  il  Càna^tse  ^thugnerà  dagli  altri'  doei  ghippl 
per  la  tepiiiiiaiioiie  in  àr  di  tulU  gli  tofiniti  dei  veriM  di  prima 
eoqogaaione,  die  il  Piemontese  ed  il  MoHferrino  volgono  in,  i  : 

Italiano  andùre  •      portare  fare  stare* 

Ganavese  andar          poridr  far  star 

Plemonlese  i           „               ''    ,  .      • 

lio»rerrino|  «'^            '»'"'*  ^«  "* 

Il  Man  ferrino  alla  sua  volta  si  distingue  dal  Piemontese  e  dal 
Canaf^se^  permutando  d'ordinario  in  at^  it  le  finali  dei  parti- 
dpj,  che  gli  altri  due  volgono  in  àit^  à^  èt^  ti,  o  altrimenti: 

Italiano     .  dolo  fatto  atidato  detto 

Honferrino  dai  fai  an^tài  éit 

Piemontese  4àit  fàit  andàU  ,  .  dit     v  :• 

Ganavese  dèt  fet  andèt^  dU 

'  Questa  distiniionc  deriva  dalla  proprietà  del  Jlfon/lrfrAte  di 
scambiai^  sovente  in  i  le'  tt  delle  sillabe  finair delle  panile , 
dicendo  toni  per  tontf ,  tU  per  tutti,  e  slmili.  Per  una  tal  pro- 
prietà, mentre  questo  gruppo  distlaguesi  dagli  altri  due,  va  as- 
similandosi ai  lombardi  d'oltre  Po  ;  che  anzi  dobbiamo  avverti- 
re,  come  la  stessa  penetrasse  ancora  in  alcuni  dialetti  del  gruppo 
Canavese^  posti  hmgo  il  Sesia  ad  immediato  contatto  coi  dialetti 
verbanesi  ^  ai  quali  pure  è  comune. 

Da  uno  degli  eseinpj  succitati  appare  altresì,  come  il  Mou^ 
/ermo  scambi. talvolta  la  fli  in  t  pura,  ciò  cb9  parimenti  lo 
distingue  dagli  altri  gruppi. 

Italiano  uno  tutti  fosse    .        gettare 

llonferriao       in     ,  tH  '  fissa         -    bitie 

Piemontese    )  ..  ..„  ^^  ibiitiè 

^  e  un  tutt  fUu  l  ;  »^, , 

CaiHivese       '  '         .    .   ^ebiiUar 

Il  Piemontese  poi  va  chiaramente  scevei^to  dagli  altri  due 
gruppi  per  la  proprietà  qua^i  esclusiva  di  ripètere  i  pronomi , 
noo  solo  quando  esprimono  il  soggetto,  hm  eziandìo  quando  rap- 


476  PAUTt  mzA 

presèolano  J'aUribato  (f  una  proposìiione,  A  Bueglio  chiarire  ara 
tal.  proprietà  vàlgana .alcuni  .esempj:  noi  abbiamo  risto  nei  dia- 
letti lombardi  ed  emiliani  ripètersi  co6tanteti)ente  nelle  seconde 
e  terae  persone  dei  verbi  il  pleonasmo  dei  pronomi  :  ti  ée  riiief^ 
lu  el  dis^  oppure  le  la  dìs,  per  (u  didjegli^  o  ella  dice,  ove  li 
(By  lù  e/^  là  la  sono  ripetizioni  dello  stesso  pronome^  sebbene 
sotto  forma  diversa.  LiO  stesso  avviene  nei  dialetti  pedemontani 
di  ciascun  gruppo  ^  ove  per  lo  più  lo  stesso  pleonasmo  ha.loogo 
eziandio  nelle  prime  persone  singolari  e  plurali:  mi  io,  ti  tos^ 
chièl  a  fd,  not  t  ònta^  ec.  per  io  ho^  tu  Aat,  egli  ha^  noi  aJt- 
biamo^  ec.,  ove  idi  i\  equivalgono  ad  io  io;  ti  t\  a  Iti  fu,  e 
cosi  di  sèguito;  ma  io  questi  esempj,  che  dimostrano  la  proprietà 
stessa  comune  a  tutta  la-  famiglia  gallo-itàlica^,  i  pronomi  sono 
sempre  rappresentanti  il  soggetto  del  verbo;  laddove  nel  gruppo 
piemontese  Io  stesso  pleonasmo  ha  luogo  eziandio  quando  1  pio- 
nomi  rappresentano  l'attributo: 

Italiano  egli  mi  ha  dello  io  Vho  ceduto  tu  V  hai  perdalo 

Piemontese  chièl  ntd  dime  mi  i  Fd  vdulo  ti  t*  fas  perdub 

Ganavese  eh&l  m*à  dif  mi  i  /*  ti  mi  H  V  Ve  per$ 

Monf^rrino  cul-Jà  m^i  dio  me  a  Fò  visi  té  t^  Cai  f»rs. 

Di  qui  si  vede  come  il  Piemontese  ripeta  il  pronomi;  mt  e  70^  cfac 
fa  le  veci  deirattributo,  suffiggèndolo'ai'particlpj,  ciò  che  non 
ha  luogo  in  verun  caso  nei  dialetti  degli  altri  due  gruppi. 

Lo  stesso  avviene  colle  particelle  pronominali ,  ossia  coi  pre- 
nomi-recìproci, ove  il  pleonasmo  è  di  règola: 

Italiano  egli  ne  ha  fatto  ìie  è  stato  si  è  perduto 

Piemontese  chièl  n^à  faine  n*è  stane  s*è  perduse 

Ganavese  chièl  n*à  fèt  n'é  stèl  s'è  pers  . 

Monferrino  cuNà  n^à  fai  n^è  stai  s'è  pers. 

Sebbene  esclusiva  del  gruppo  piemontese ,  questa  proprieti 
rinvlcnsi  ancora  nel  dialetto  di  Mondovi ,  il.  quale  porge  il  sin- 
golare fenòmeno  dì  riunire  i  caràtteri  più  salienti  dèi  due  gruppi 
piemontese  e  monferrino,  mentre  più  d'ogni  altro  si  assimila 
alla  famiglia  ligure.  Ed  e  appunto  per  questo  che,  mentre  po- 
trebbe a  buon  dritto  associarsi  al  primo  gruppo,  abbiamo  prefe- 
rito  rannodarlo  al  secondo  Come  ^più  omogèneo  nella  comples- 
Mva  sua  forma. 


DIALETTI  PEDMOirrAFir.  4^77 

lUiano     rha  mto     l'ha  baciato     s'è  alzato    ^g^i  ha  detto. 
MoDdovk   r'àvislro     r'à  iHvsàrù .      s'èaussàse    ufàdije. 

'  In  questi  ésempj,  se  il  pfeobasmo  è  caratteristico  del  ptemo))- 
tnij  i  pronomi  rOj  u  per  loj  egtij  sono'iilìa  lor-volta  caralte- 
listici  dei  gruppo  monferrìnOj  e  lo  distinguono  dagli  altri  due. 
Che*  anzi  le  medésime  voci  v,  ti/j  er^  rOj  ra  valgono  talvolta  a 
rappresentare ,  oltre  ai  pronomi  personali ,  anche  gli  articoli  il^ 
hj  laj  eome  presso  i  dialetti  liguri. 

Italiano.         il  padre        U  cielo         del  pane       la  parte 
Monferrino    er  pari         u  sé  der  pan        r(i  part. 

Altro  caràttere  distintivo  dei  tre  gruppi  abbiamo  nelF  uscita 
dei  futuri  dei  verbi,  che  è  sempre  in  6  oi^pure  ai  nel  primo 
gruppo,  ù  net  secondo,  ed  ó  nel  terzo.  '  . 

Italiano  io  dirò  io  farò  'io'portej*ò  io.  andrò 

nemontese  mi  i  dirò  i  faro  ■  t  portro  i  andrò 

Canavese  mi  i  dirti  i  fàrù  i  por  tra  i  andrù 

Monferrino  me  a  dirò  a  fatò  a  portrò  a  andrò^ 

•  .  ■  ■       ■       ■ 

Molte  sono  le  varianti  caratterlstidie  di  sl'mil  fotta  atte  a  sce- 
verare i  tre  gruppi,  l'esposizione  delle  quali  comporrebbe  un 
trattato  grammaticale,  anziché  un  ràpido  Saggio  quale  ci  siamo 
proposti  di  tracciare.  Numerose  varianti  sono  da  notarsi  altresì 
nella  pronunzia,  la  quale  è  più  stretta  nel  jpìicmontcse',  e  resa 
aspra  dal  frequente  accozzamento  di  molte  consonanti  per  la 
soppressione  delle  vocali  radicali;  più  aperta,  più  vocalizzata  e 
sonora  nel  mopferrino,  che  segna  il  passaggio  alle  vocali  aperte 
dell'emiliano;  più  piana  e  più  schiacciata  nel  canavesQ,  che 
sente  deli* Influenza  lombarda. 

Inoltre  è  caratteristico  nel  Piemontese  un  suono  nasale  affatto 
distinto  dal  nasale,  lopibardo  e  francese,  il  quale  é  assai  tempe- 
rato nel  Monferrino^  e  si  dilegua  presso,  che  interamente  nel 
Canai?e$e. 

•Coel  il  suono  della  ò  tanto  frequente  nel  Piemontese^  va  sce- 
mando nel  Canadese,  e  si  dirada  oitremodo  nel  Monferrino. 

,  Altra  serie  non  meno  ragguardévole  di  radicali  dissonanze 
fra  i  tre  gruppi  ci  pòrgono  i  lèssici  rispettivi  y  in  ciascuno  dei 


478  PA&TB  TBRXA 

quali  si  trova  un  nùmero  stragrande  di  radici  strane  e  primìlife 
ignote  agli  altri  due.  Ed  è  invero  a  lamentarsi  ^  come  in  tanta 
dovìzia  di  materiali  e  in  tanto  commercio  di  studj^  non  si.  sia 
pensiate  sinora  a  raccògliere  le  voci  proprie  di  tante  separate 
Provincie,  che  avrebbero  ìairriccUito  la  scienza  etnogràfica  di 
importanti  rivelazioni;  dappoicfafè,  p^^  quanto  ci  consta,  di  tutta 
la  vasta  regione  pedemontana  furono  compilati  sinora  più  o  meno 
copiosi  Vocabolari'  solo  della  parte  piemontese  propriamente 
detta,  restando  negletta  la  can^vese  e  la  monferrina  non  meno 
di  quella  importanti,  the  anzi  della  stessa  piemontese  le  ricer- 
che vennòro  ristrette  ai  dialetti  del  piano  e  delle  città  precipue, 
trascurando  il  preànoso  patrimonio  dei  monti;  end' è  che  non 
troviamo  nef  vocabolarj  piemontesi  layod  scerres,  bearbàrs  bakhé, 
usate  ad  Acceglio  ed  a  Valdieri  per  scégliere,  dissipare j  perchè  s 
nò  le  congiunzioni  abu^  6u,  6o>  avo,embOj  usate  solle  alpi  ma* 
rlttime  e  graje  per  esprimere  corij  le  quali  ricordandoci  Vab 
delle  lingue  romanze,  ci  pòrgono  Tetimologla  dell' Qf^ec dei  Fran- 
cesi, deirappo  e  dell' aiii6o  degli  Italiani. 

Per  la  stessa  ragione  non  vi  ^i  rinvengono  le  voci  gori^  durbij 
colle  quali  alcuni  dialetti  canavesi  esprimono  padre,  nò  boi^  €et, 
9»m/;  pójiij  toisàn^  colle  quali  altri  esprimono  figlie  j  nò  cento  e 
cento- altre  strane  radici,  che  pulr  mòritano  là  seria  attenzione 
del  linguista. 

Se  non.  che  tutte  queste  voci  strano-  appartengono  sólo  ad 
uno  o  a  più  dialetti,  non  mai  a  tutti  i  componenti  Tuno  o  l'al- 
tro'gruppo,  e  perciò  ci  riserviamo  a  pòrgerne  un  Saggio  nel 
seguente  Vocabolario,  come  pure  preferiamo  appuntare  nel  se- 
guente paràgrafo  le  proprietà  più  salienti ,  che,  sebbene  comuni 
ad  alcuni  dialetti  d' un  medésimo  gruppo,  non  lo  sono  di  tutti. 

$.  9L  Proprietà  distmtifpe  dei  singoli  dialetti. 

Nel  gruppo  Piemontese  abbiamo  superiormente  distinto  i  dia- 
letti del  piano  e  della  parte  inferiore  dei  monti  dagli  dlpigimi^ 
come  quelli  che  pfù  si  accostano  alle  forme  occitàniche;  a  rènder 
ragione-  ed  a  chiarire  nel  tempo  stesso  questa  prima  divisione 
sommaria,  valgano  alcune  osservazioni. 


DiALsrri  PconONTANi.  JI79 

Primìwtniciite,  d'ordinario  gli  {Uphfiani  risòlvono  in  dittonghi 
alcuno  vocali  radicali  italiane,  che  il  piemontese  conserva: 

Italiano         padre  fratello  tntiofo     tgcca 

Piemontese  pare       padre     (ratei  mori      Coca 

Alpigiano      pàìre     pàtri      fràire     fràiri     muèro    tuòccia. 

Più  sovente  ancora  raddolciscono  il  suono  duro  della  e,  scam- 
biandolo nella  et  italiana,  in  quelle  voci  che  i  Francesi  raddol- 
clsc4>no  pure,  permutandolo  nella  sibilante  eh. 

Italiano  peccato         caprétto  cantare         calzare 

Piemontese  pecà  cavrèt  cantò  caussè 

Alpigiano  .  pecià  ^  ciabrì  ciantdr  ciaussàr 

Francese  péché  chevreau  chanter  .chausmr. 

Permutano  ancora  nello  stesso  suono  d  italiano  la  t  nelle  sil- 
labo finali  toj  te^'^i,  to^  tu^  ciò  che  abbiamo  notatp  come  ca^ 
ratteristico  del.  gruppo  monferrino  a  distìnguerlo  dal  piemontese. 

Italiano         detto         fatto      ^  quanti      punta-      giunto 
Piemontese  dit  fàit  quanti      ponta        ri^à 

Alpigiano     dio  fai  .        quané       puticta»     giUni. 

A  simiglianza  dei  dialetti  occitànici,  alcuni  alpigiani  fanno 
plurali  i  loro  nomi  e  gli  aggettivi  aggiungendovi  un'  s,  che  pro- 
nunciano: 

Italiano       t  porci  t  miei  amici .  U  fémmine     allegri. 

Alpigiano     luscusclàns    muns  amis  '   tes  femmcs     allégres. 

Nella  costruzione  di  alcune  frasi  gli  alpigiani,  seguendo  la 
fornia  occitànica,  preméttono  al  ierbo  il  pronome  reciproco, 
che  i  IMèmonIcsi  pospongono,  come  gli  Itx^liani. 

italiano  per  levarsi      di  ritornarmene  per  godermi 

Piemontese  pr  ieipèse  d'arlornèmne  pr  gòdemla 

Alpigiano  .  ])er  se  levar    de  m'en  tornar  per  me  regiui 

Francese .  pour  se  lever  de  m'en  retonmer  poùr  me  réjouir. 

Per  iillìmo  il  vocabolario  dei  dialetti  alpigiani  è  molto  più 
aflGite  a  quello  degli  occitànici ,  che  non  il  piemontese^  Qasta 
notare  le  voci  maisànj  valcs^  repàt^  ctiiùii,  répondU^  rien^ 
baiclié^  e  tante  altre  voci  quasi  prette  occitàniche,  dello  quali 
inseriremo  le  più  comuni  nel  seguente  Saggio  di  Vocabolario. 


^ 


1^80  PARTI  TERZA 

Ciò  premesso,  fra  le  proprìotà  più  caratteristiche  del  dialetto 
Torinese  y  e  quindi  ai\cora  della  maggior  parie  del  grappo  dal 
medésimo  rappresentalo,  sono  da  notarsi: 

La  frequente  elisione  delle  vocali^  iiel  mezzo, delle  (Carole, 
che  ne  rende  aspra  la  pronunzia  coir  accozzamento  di  molte 
consonanti  di  sèguito.  * 

■       • 

Italiano     ancora,    per     menare   minulo   mto   eottoméUerlo 
Torinese  ,  dcò  pr      mnè  ,     mnu       vdù     sotmétlo. 

La  mancanza  del  suono  jz.duro  italiano  caratteristico  dei  dia- 
letti  lombardi  occidentali  e  dei  francesi,  coi  quali  confina,  al 
cui  posto  sostitoisce*  il  suono  dell^  t  dura.' 

Italiano    prefazione    colazione    grazia    avanzare    sosianm 
Torinese  prefassión     colassión.   grastia   a^ànsè        soBtanta. 

LfL  soppfiessione  della  sillaba  finale  re  nei  verbi  terminanti  in 
italiano  in  ere  breve.  ^      - 

Italiano        8crti>ere .    -  romperle        ridere        riconóscere 
Torinese  ^    scrive  rontpe  rie  arconosse. 

* 

La  permutazione  in  e  grave  Of  aperto  dell' oScita  in  are  dei 
verbi  di  prima  conju|[azlone.        ' 

Italiano    andare        amairé       fare        addocchiare       lodati 
Torinese  andè  omè        '  fé  dock  lode. 

La  mancanza  del  suono  italiano  scj  al  quale  sostituisfee  la  i 
dura. 

Italiano      conoscere      schnia     suscitare      scegliere      scena 
Torinese    conosse         siimia     siissilè         seme  sena. 

La  permutazione  delle  sillabe  iniziali  m,  ri  in  ar. 

Italiano'    raccomandare      ribàttere      rimproverare      ricelta 
Torinese  arcomandè  arbalte        arprocè         '      urseta, 

i 

La  permutazione  delF  al  nel  dittongo  àn  quando  si  trovano 
unite  in  fine  di  sillaba. 

Italiano        alto        alzare        calzare        scaldare     calce 
Torinese      àut  .      aussè  catissè  scaudé        caassiM. 

Talvolta  ancora  evita  raccozzamcnlo  delle  due  consonanti  cr^ 
scambiandole  in  cher. 


UALBtn  PIDBHOirrANI.  481 

Italiano    crédere     crescere     liMto       crepare      credenza 
rorinese  cherde      cherse        chersènt    cherpè       cberdema. 

Vj^stìgìano  è  oltremodo  affine  al  Torinese  partecipando  ge- 
lottlmeale  di  tutte  le  sue  proprietà  caratteristiche,  con  leggere 
accezioni.  Se  non  che,  essendo  posto  a  contattò  col  gra]ppo  tnon- 
^errino  j  ne  sentì  ^l'iniiaenza  cosi  nella  prononzia,  ette  nel  pe- 
riodo è  più  sonora ,  come  nelle  voci ,  alcune  delle  quali  '  sopp 
«aratterbtichb  del  Monferrinó^  come  p.  e.  cosi-qui^  che  il  pie- 
montese esprime  con  cost-si^  o  c/ita/-^y  f  et  per  a^ie  e  ta- 
lon"  altre. ,  . 

Questa  influenza  per  altro  idei  Monferrino  è  molto  più  mani- 
resta  nell' as< jgftano  rùsticOjOyt  appàjono  gli  articoli  erj  ra^  ro 
in  luogo  dei  piemontesi  'Ij  laj  dove  la  i^  come  neirAlessandri- 
BO,  si  cangia  talvolta  in  t,  dicendosi  Hit  per  (uMt*  pnt  per  ve- 
%uip^  bitte  per  butte j  ossia  méttere j, gettare.  Per  questo  appunto, 
ibbiamp  detto^  èssere  V astigiano  l'anello  che  congiunge'il  gruppo 
friemontese  al  monfeniiio^  séìitiene  quello,  che  si  pària  nella 
città  d'Asti  sia,  quasi  idèntico  al  torinese. 

Lo  stesso  dobbiam  dire  del  Fossanese^  il  qual^  si  distingue  a 
naia  pena  dal  Torinese  per  una  pronunzia  più  strétta  cbe.solp^ 
im  fino  orecchio  può  sceveraùre,  e  per  qualche'  modificazione 
leggera  di  voci,  come  frcl  per  fratèl^  9itèt  per  vitèl^^  e  dmili. 
Ove- però  si  vada  scostandosi  dalla  città  per  entro  i' monti,  la 
rùstica  favella  vi  assume  alcuni  caràtteri  dei  dialetti  alpigiani 
coi  quali  confiiia. 

Cosi,  p.  e.,  a' Cuneo  i  partìcipj  dei  verbi  che  nel  torinese 
escono  in  àitj  si  volgono  in  cit. 

Italiario    andato        fatto        dato        mandato         stato 
Torinese  andàit        fàit  dàit        mandàit    •      stdit 

Cuneo      andèit        fèii  dèit        mandèit    -      stèit.  ^  t 

Ben  più  distinto  dal  Torimse  si  è  il  dialetto  Faldese  piirlato 
in  tntta  la  valle  di  Luserna,  il  quale  sebbene  partecipi  dei  prin- 
cipali caràtteri  di  quello ,  pure  segna  chiaramente  il  passaggio 
lai  piemontese  all'occitànico.  La  sua  pronunzia  è  alquanto  pia- 
na, non  sopprimendo  le  vocali  intermedie,  e  talvolta  ancora 
serbando  le  finali.  Scambia  d'ordinario  la  vocale  o  in  u,  ciò  che 
o  dislÌDgue  dagli  altri  dialetti  piemontesi. 


2|83  PARTS  TEREA 

Italiano  .  lo  appressare  servitore  órdine  padrone  -  con 
Valdese  lu  apprucià  «em/(V  ùrdìne  patrùn  run 
Piemontese  7     avsitiè  srvitór       àrditi      padràn]    con. 

A  differenza  dei  Piemontesi^  termina  (atti  i  verbi  della  prima 
cdnjugazio&e  in  d. 

Italiano      dimandare  baciare  toccare  amnwzzare  tornare  enirar^ 
Valdese      dqmandà    basd    iOQcà,  massa       ilttmd    àUri 
Piemontese  dinanctè      base    '-tocliè    masse         'artomè  iniri. 

Dìstinguesi  pure  dagli  altri  piemontesi  colla  terminauone  ii 
nella  prima  persona  del  futuro,  in  luogo  di  a,  di» 

Italiano  dirò        farò        lederò        tornerò        berrà 

Valdese*         direi -^    favèi       leverei       tumarèi  '    bemrìi 

-.,       •  ^       i  diro       faro    •     le^ro         tamaro        be^ró 

Piemontese  J    ..^,.      '     ,.       ,      ,.        ^  ,.       r ,. 

:  i^mrai      farai       terrai        tùmarat       tomi. 

D^l  resto  cosi  la  costruzione,  come  il  vocatiolàrio  spno  affitto 
slndU  al  piemontese:  '  * 

Vifrcando  il  Po,  troviamo  nell' .opposta  valle; di  Lùmrp  il  dia- 
lotta /%i/io»^e«c  affatto  slmile  a  quello  della  capitale.  La  sda 
differeosn  di  qualche  Importan'za'  consiste  in  alcune  voci  meno 
usitate  nel  piano,  come  veildt^  frèt^  peV  vitello^-  fratello^  e  nel- 
r  uscita  in  à  degli  infiniti  dei  verbi  di  prima  conjngazione,  come 
abbiamo  avvertito  nel  Valdese. 

Italiano     menare      inangìare      fare      chiamare  -    traspare 
Lanzese    mnà    -      mingià         fa         dama  trooà. 

Alcune  varianti  (li  maggior  conto  riscòntransi  nel  superiore 
dialetto  di  Cario ^  la  «cui  forma  sebbene  affatto  piemontese,  pure 
se  ne  discosta  per  alcune  dissonante.  Ivi  appare  in  mó)te  voci 
il  suono  a  dei  dialetti  emiliani,  come:  /af,  andlit^  stàt^  e  in  tutte 
le  seconde  persone  plurali  del  presente  dei  verbi:  andà^  mio, 
pur  là  ^  e  cosi  di  sèguito. 

Come  il  Valdese,  scambia  quasi  sempre  la  o  in  u,  dicendo: 
sgntu\f  cnmpassiàn^  fiùr^  trufpàr^  mèritu^  mòrti  ^  "per  signore^ 
compassione^  fiore ^  trovare ^  mèrito^  muojo, 

G)me  i  dialètti  del  gruppo  canavcse,  col  quale  confina,  tè^ 
mina  gli  infiniti  dei  verbi  di  prima  conjngazione  in  ar^  ciò  che 
segua  appunto  il  passaggio  dall'uno  air  altro  groppo;  eome: 


MAUrn  PEDIMOIITANI.  4^85 

trwoàr^  sunàr^  sercaf^  alar.  Questo  passaggio  vfeoo  segnato 
alti^esl  dall' intrusione  di  alcune  voci  che  non  sodo  prette  |iìe- 
montesi,  o  m^nio  iisitat^. 

Altro .  caràttere  che  distingue  il  dialetto  di  Gorio  da  quelli 
del  priniò  gruppo  si  scorge' nello  uscite  delle  prime  e  terze 
persone  plorali  del  preféAte  indicativo..  Lo  prime  sono^eniprc 
in  éfi  penlré  il  piemontese  tèrsnioa  in.  ama.  '  . 

Itaiiabo        mangiamo  andiamo  facaamo  stiamo  (Riamiamo 
CorÌD       .  i  tMifigién      andén      fasén        èfasén    dàmén  , 
Pieibobtese  mangrioma  andóma  {orna        stórna    ciamóma. 

Le  teme  in  en  muto,  laddove  il  piemontese  'termina  in  o. 
Italiano       mdn^tano  ,  andavano    facevamo    àbpiMo  Qi^éoano 
Goria  '        màngien      andàoen     fasieu        àtrien       awn 
Piemontese  mangio        andando       fasto         dbio         aoìo» 

Per  tal  modo  è  abbastanza  dimostrato,  come  si  pf*ogrediscà 
per  gradi  dall'uno  all'altro  gruppo,  ecomp  quindi  tpnii  gene- 
mlipente.  impq^ibile  il  detenmnarAe,con  pfedsione  i'rispettivl 
eoiifiiii.  Il  passaggio. ràpido  e  compiiitp  dall'una  all'altra  fovella 
a-viene  solo  alicHra,  quando  si  trovano  a  contatto  dile  lingue 
drlndole  allatto  diversa,  come  l'italiana  e  la  tedesca  nel  Tirolo 
e  nel  Friuli,  o  due  dialetti  il  oui  sistema  fònico,  ò  esseiizl^lni^Dte 
diver^^  come  il  milanese  ed  il  bergamasco  confinanti  sull'Adda. 
E  perchè  una  tale  repentina  separazione  abbia  luogo,  t)ltre  al- 
l'intrinseca dissonanza  delle  favelle,  richièdesi  ancora,  o  una 
naturale  I;»arriera,  o  una  divisione  politica,  il  cui  concorso  no 
rend^  malagévole  e  quindi  meno  frequente  il  commercio  reciproco. 

Procedendo  a  favellare  dei  dialetti  alpigiani.,  abbiamo  testp 
appuntati .  alcuni  caràtteri  pei  quali  distinguonsi  dagli  altri  pie- 
«mitosi,  e  vanno  assimilandosi  agli  occitanici.  Per  non.  cader 
quindi  in  soverchie  ripetizioni^,  adcenneremo  ancora: ad. alcune 
proprietà,  per  le  quali  ciascuno  va  distinto  dagli  altri. 

U  dialetto  '  di  Limone  possiede  i  due  suoni  'distìjiiti  del  z  ita- 
liano; il  duro  cioè  in  alcune  vbci,  coikie  mozzar^  aszàl^  ed  in 
altre  in  luògo  della  t^  dicendo:  diz:,  fuz^  tiiz.,  per  detto ^  fatto ^ 
iuUis  ed.  il  suono  dolco  che  sostituisce  in  luogo  della  (/f  italiana. 

Ilaliano        inaagiarv        giudicare        giusto        giurare 
Limmie         manzàr  ziidicàr  ziisto         ziiràr. 


48%  PAETt  TBUA 

Pèrmula  sovente  nelle  voci  la  i?  in  a,  dò  che  -ne  rend 
pronunzia  mollo  aperta. 

Italiano    ancora     'bene     degno     entrare      sempre     pr 
Limone    ancara     fan      dagn       antràr      sampri     pn 

Teonina  in  dn  accentato  le  prime  persone  plurali  dei  prei 
dei  verbi;  che  i  dialetti  di  Valdieri,  Vinadio,  AccegliQ^  Cft 
magno  e  talnn  altro  volgono  in  én. 

Italiano      mangiamo      cominciamo      andSamo      sUamo 
Limone       manzàn         comansàn         anàn  stdn 

Valdieri      mengén  '        coniensén  '       anén  stén.^ 

Il  dialetto  di  Faldieri  alla  sua  volta  distlnguesi  &S  ci 
stanti  per  la  forma  che  suol  d^re  ai  futuri,  che  è  pure  co 
nica-,  o  meglio  francese; 

Italiano        dirò^  farò         porterò   '      euelodlri 

Valdieei       mi  dir  vai  far     vai  portar    vùi  gare 

Prandese     je  vai$  dire      fòite        parler  goicder 

'  n  dialetto  di  Finadio^  oltre  alla  Torma  complessiva  dePe 
e  delle  frasi,  che  ancor  più  degli  altri  si^accosta  alle  oediàni 
ne  va'  principalmente  distinto  per  una  pronunzia  nasale  I 
stretta,  e  per  una  forte  dppoggiatura  sulle  vocali. finall,- 
produce  un  òanto  distinto. 

La  terminazione  in  o  dei  nomi  femminili  è  un  caràttere  st 
che  distingue  i  dialetti  di  JccegliOj  S.  Peyrey  Oncino  e* 
gitone  dagli  altri  alpigiani;  valgano  d'esempio:  la  ciarestÌQ^ 
vesto j  la  primo  vestimento,  catnpagnOj  musico',  chesto  alU^ 
ì  quali  nomi,  come  si  scorge  dagli  artìcoli^  conservano  il'  gt 
femminile. 

il  dialetto  di  Finestrelle  è  talmente  composto  di  voci  e 
francesi  raccozzate  insieme  con  sintassi  francese,  ma  fonati 
forma  e  desinenza  piemontese,  che  anziché  un  dialetto  ital 
sembra  un  dialetto  francese  travestito  all'italiana..  AIl'v 
parlare,  si  direbbe  la  favella  d'un  Francese,  che  si  sfona  i 
nizzarla  per  farsi  intèndere.  Cosi  p.  e.  Fotre  fràire  è  venj 
rotie  papà  A  tiiA  Un  vclgra,  perché  cli'a  Va  trubà  an 
sandà.  Una  sémplice  occhiata  alla  versione  della  ParàbdU, 
!>^ggi^uigÌAuio  qui  appresso,  varrà  meglio  d'ogni  altra  spi 

zione  a  pòrgerne  il  preciso  concetto. 


DIALETTI   PEDBMO^ANI.  I|^5 

Non  lasceremo  per  aitrodi  potare,  cerne  eécliislira  e  peculiare 
di  questo  dialetto,  l'uscita  in  «te  della  prima  persortà*  singolare 
nel  futuro,  come  nei  seguenti  esempj: 
Italiano         dirò        trowrò        andrò        leverò  '       narò 
Finestrelle    dirèk      trubarèic     anarèic      leoarèic^    serèic. 

Del  pari  che  quest'  ùltimo  i  dialetti  di  Giaglioiìe  e  d' thdx 
potrebbero  per  le  loro  proprietà  caratteristiche  dirsi  piuttosto 
ffancesi  che  piemontesi,  non  serbando  di  questi  se  non  déboli 
traccie.  In  essi  infatti  compàjdho  i' suòni  i  e  i\  fion'chefe  // 
molli,  ignoti  ai  piemoiiresl  propriamente ' detti ^  e  sì  femigliari  e 
frequenti  nei  francesizzai  quali  ancora  attinsero- e  vocabolario 
e  forme  grammaticali.  Non  mancano  per  altro  Si  elementi  baste- 
voli  per  èssere  coUegati  agli  alpigiani  itàlici^  quali  sòiio'  il 
pronome  eufònico  Uj  comeT  u  l'è  tnrnàj  u  l\ére  perdila  e  simili: 
la  forma  sintètica  di  alcune  frasi,  e  alquante  radici  loro  pecu- 
liari.- Noteremo  ancora  come  caràttei^e  proprio  di  Onlx  il  suono 

Ih  che  in  alcune  voci  sta  invece  della  Sj  e  nel  dialetto  di  Già- 

» 

glione  la  yòee  ót  per  ha^  che  non  trova  rincóntro  veruno  degli 
altri  dialetti  pedemontani,  o  francesi.  '  *  ' 

Per  ùltimo,  nel  tronco  superiore  della  valle  di  Lanza,  segna- 
tamente a  Fin  e  ad  Usségtìòj  ì  dialetti  partecipano  egualmente 
dei  piemontesi  e  dei  francesi.  Rozzi  ed  informi,  non  pòrgono  una 
fisonemìa  loro  propria,  né  un  caràttere  determinato,  tranne 
quello  d'un' assoluta  irregolarità  nelle  forme-,  d'una  pronunzia 
incerta  e  d'una  mistura  di  voci,  che  accennano  ad  un  accoz- 
zamento  •  dei  vari!  dialetti  circostanti ,  riunendo  più  o  meno  le 
peculiarità  da  noi  accennate  degli  altri  dialètti  alpigiani. 

Nel  tracciare  le  proprietà  distintive,  dei  tre  gruppi,  abbiamo 
notato  alcuni  caràtteri  più  salienti  che  più  generalmente  rin- 
vèngonsi  nei  dialetti  del  Canadese  j  trai  i  quali  al)biamò 'annove- 
rato come  varietà  distinte  dal  rappresentante  comune  d'Ivrea, 
i  dialetti  di  Val  Soana,  di  Biella,  di  Andorno  e  di  Sèttimo  Vittonè. 

Sebbene  le  poche  dissonanze  ivi  appuntato,  màssime  nelle 
fleasiohi  dei  verbi  e  dei  loro  partidpj,  vàlganp  a' sceverare  il 
gruppo  canadese  dal  piemontese  j  ciò  nulladimeno  non  sono  ba- 
stèvoli  ad  imprimervi  un  aspetto  distinto;  che  anzi  dobbiamo 
avvertire,  come  il  Canavese  si  assimiline!  resto  al  primo  gruppo 

34 


486  PAftTB  TERZà 

avendo  .coinùne  coUo  slesso  e  la  pronunzia,  e  la  sintassi,  e -poco 
disGordUndp .  nel  lèssì<^  Ciò  vale  per  i  dialetti  racchiusi  fra 
rOrco  e  la  Dora  Bàltea^  rappfescntati  da  quello  d'Ivrea,  e 
appena  dislinii  fra  loro  per  leggere  e  non  curàbili  differenze; 
ma  non  gi«^  per  le  varietà  suinmenlovate,  le  quali  differiscono 
considero vQluienle,. non  solo  dai  Piemoutesi^  ma  altresì  dai  vi- 
,cini  Canai^cM, 

Tra  queste  emerge  anzi  tutto  il  dialetto. della  Fatte  Soana, 
parlai  nei  villaggi  d'ingria,  Ronco,  Valprato  e  CampigKa,  che 
.presenta*  lo  strano  fenòmeno  di  pronunzia,  forme  è  radica  ignote 
a  tutti  i  circostanti,  e  ol^e  può  quindi  -coq/siderarsi  come  un  dia^ 
letto  preparato  e  distinto  da  :  tutti  i  tre  gruppi.  Hoì  lo.  abbiamo 
posto  nel  Canaxisej  noh  già  perchè  vi  abbia  maggior  rapp<|rto 
4i  afi^iità^  ma  solo  per  ragione  geogràfica,  trovandosi  nel  mezzo 

di.qiieslQ.        ».         .  , 

Tra  le  molte  speciali  proprietà  che  Io  distinguono,  noteremo 
nella  pronunzia  un  suono  aspirato  ben  distinto  in  alcune  voci, 
ed  appena  seii^lbile  in  moltq  a)tre;  la  permutazione  del  jmkmio 
ca  in  da,  dicei^do  ciaussàrj  ciaresliaj  ce^rèij  ciargidr.j.per  cfl- 
zara^  carestia ,  capreUo j  caricare  e  simili;  manca  del  suono  o, 
comune  a  .tutti  a  pedemontani  e  lombardi;  ed  in  generale  è  scor- 
révole., dolce  e.  sonoro,  evitando  T accozzamento  di  più  conso- 
nanti, e  facendo  uso  frequente  dei  dittonghi  e  dei  suoni  g^  èji 
che  sostituisce  jsoy^te  al  duro  ed  aspro  delle  medèsiiiie  lèttere. 
Quanto  alle  forme  delle  voci,  sono  per  lo  più  affini  alle  fran- 
cesi, mentre  quelle  delle  frasi  e  della  sintassi  sono  prette  .ita- 
liane. Sono  da  appuntarsi  le  flessioni  dei  verbi  nelle  terze  per- 
sone, che  serbano  la  caratteristica  latina  l  nel  singolare,  ni  nel 
plurale,  avvertendo  che  vi  è  pronunziata,  e  non  già  solo  scritta 
per  ragion^  etimològica,  come  nel  franceise. 

Italiano     Aa    avesse    viene    era    avepa.    vote^    entrasse 
V.  Soana  hat  Ossei     vini      érel   avéit      volèit     intràsset. 

Cosi  pure  nelle  terze  persone  plurali; 
Italiano     fossero    morivano    mangiano    decano       oc^nzuiio 
V.  Soana  fiissent    creoài^nt    cticunt         donàvani    af?ànsimL 

Più  di  tutto  per  altro  questo  dialetto  distinguesì  da  tutti  gli 
altri  per  una  serie  di  radicai  affatto  strane  ed  esclusivamente  sue 


^ 


DIALETTI  PEDBII03ITAFII.  487 

proprie,  comò  gorì  e  durai  per  padre j  cospa  per  easaj  poglin 
per  Aglio j  nuircdr  per- mangiare,  e  miolte  altre  delle  quali  por- 
geremo un  Saggio  nel  seguente  vocabolario^ 

11  dialetto  di  Biella  ^  e  con  esso  un  buon  nùmero  dei  circo- 
stanti, distinguesi  daf  dialetti  posti  sulla  riva  destra  della  Dora, 
per' la  flessione  dpi  participj,  che  6nl8Cono  in  aij  id,  come  daij 
,dity  anziché  in  et;  per  la  terminazione  in  è  negli  infiniti  dei 
verbi  di  prima  conjugazione,  che  gli  altri -cànavesì  volgono  in 
0ry  nel  che  si  collega  ai  Piemontesi^  come  pure,  a  flimig^nia 
di  questi,  fa  uso  costante  del  pleonasmo  nei  pronómi  redprod 
e  personali,  dicendo:  $'è  aussàse,  s'n'è  anddsnej  al  l*à  vd&lOj 
evitato  se^ipre  dai  Canadesi. 

'  Distlnguesi  pure  dagli  uni  e  dagli  altri^  pel  frequente' uso' del 
suono -M  italiano,  che  sostituisce  alla  ctj  dicendo:  ptjrscèij^  ntiòj 
panscia-j  per  porci  j  ciòj  pancia.  Nel  resto  partecipa  più  o  nieno 
'dei  caràtteri,  cosi  del' piemontese,  come  del' canadese  é  del 
monferrino. 

i  dialetti  di  ^^fndomo  e  di  Settimo-  Fittone;  j)ostf  al  'setten- 
trione-di  Biella  sui  monti,  e  che  possono Visguardarsi  come  va- 
rietà di  quello  che  parlasi  in  Biella  stessa,  ne  differiscono  solo 
per  unsJt  prontinzia  più  rózza,  e  per  alquante  radici,  che  pale- 
sano origine  latina,^  coide:  àndà  an  obiaj  per  andari  iilcoìUiro^ 
oOpttim  ire;  recollcèj  dal  latino  recai lectnm  j  per  raccolto;  «c- 
stimenta  per  venti j  ed  altre.  Sono  pure  da  notarsi  radici  strane 
cosi  nell'uno  come  heiraltrp  <lialetto;-  per  le  quali  vanno  dagli 
altri  distinti,  come:  matj  matètj  loisónj  mul,  mUlètj  per  figliò j 
iài,  nigìia,  prìcàj  squajdj  per  majàle^  famcj  direj  arèimazutre. 

V Alessandrino,  e  con  esso  i  dialetti  parlati  nella  •  campagna 
circostante  e  lungo  la  valle  della  EJi&rmida  sino  al  di  sopra  di 
Acqui,  sono  precipuamente  caratterizzati  dalle  pro)[irìetà  già  menr 
tovate,  quali  sonò:  la  permutazione'  della  u  in  i ^  come  tiè'y  per 
fuftijT  r articolo  er^  pel  maschile,  e  ra  pel  femminile,  che^fanno 
dér,  arj  dar,  dra,  ara,  darà,  nei  casi  obliqui;  k  sostituzione 
della  dalla  t  nelle  sìllabe  finali' di  molte  voci,  oome^fuoné^ 
tèèj  étdi'j  andaó,  per  quanti,  tetto,  staio,  andato,"  e  la  costante 
presenza  dell'eufònica  u,  che  talvolta  fa  le  veci  del  pronome 
egli,  e  più  spesso  tien  luogo  dell^eufòiUca  a  degli  altri  dialetti 
piemontesi  e  lombardi. 


kSS  PARTE  TERZA 

Ciò  non  pertanto  a  questi  caràttori  dobbiamo  aggiùngere  l'uso 
di  vò1geile*>lc  b  in  u  nel  maggior  nomerò  delle  \oci,  màssime 
in  fine  di  sillaba  : 

Italiano  presto  giòvniie  órdine  tromre  lorrurto  ancora' lontana^ 
Alefó."*  preslu  </.itipe«'    ùrdin    trw^è     tàriìd     anatra  lantàn. 

Come  pure  nelle  flessioni  dei  verbi  che  i  Pientwtresi  termi- 
nano in  o:    >   ' 

italiano'         andai^anìo    nuingiano    iuondcano     credevano 
Alessandrino  andava        mangiu        sunofHi         cherdiu 
Piemontese'  andaco        mattgie        sunnvo  cherdh. 

L'uso  dì  permutare  le  terminazioni  ino^  tVia^  ia  én,  énna  na- 
sali,  ^ceddoisitadénisitadénna,  stioalén^  cassénnaj  per  citta* 
dinoj  ciltadinat  stwqlino^  camna,  e  slmili. 

E  per  ùltimo  l'nso  di  alcune  voci  peculiari ,  come  utf  per 
questo,  che  ricorda  Viste  dei  Latini,  acsì^  acsì^'Chìj  per  <ott^,o 
91(1  j  che  accennano,  del  pari  che  la  pronunzia^  all'inflQeiiza 
del  g^ppo  emiliano  col  qu$ile  confina  a  mezzogiorno, 
j  RisalenidiQ  U  corso  della  B^rmida  e  del  Tànaro  il  dialetto  nunh 
ferrino  sì  accosta  al  piemontese ^  cosi  nelle  forme  còme  n^ 
voci,  per  modo .^ che,  dopo  avere  già  assunto  in  Bistagno  la  6 
piemontese,  ohe  T Alessandrino  appena  fa  sentire  in  poche  voci, 
depone  in  Alba  alcune  proprietà  distiìitive,.  e  ne  riceve  altre 
dai  Piemontesi  medésimi. 

Ivi  infatti  cessa  la  permutazione,  delle  ti  in  »  e  delle  t  io  éj 
ed  incomincia  il  pleonasmo  dei  pronomi  recìproci,  affatto  carat- 
teristici e  ^istintivo  del  Piemontese;  cosi  pure  a  molte  vóci 
proprie  del  monferrino  succèdono  voci  e  frasi  piemontesi.    . 

Ciò  non  pertanto,  insieme  alle  aitile  proprietà  monferrine, 
vi  perdurano  e  la  u  eufònfca,  e  gli  articoli  ed  i  pronómi  er^ 
ra/roj  che  strlngonp  in  un  solo  fasdo  questo  gruppo,  assimi* 
làndob  alla  fkmijflia  ligure;  e  questi  articoli  e  tutte  le  altre 
proprietà  distintive^ccompàgnano  i  dialetti  deHa  parte  superiore 
delle  due  valli  del  Tànaro  e  della  Bòrmida  sino  alla  vetta  del- 
l'Apennino,  ove  gradatamente  si  fóndono  nei  liguri  limitrofi. 

Il  dialetto  di  Mondovij  che,  come  abbiamo  altrove  avvertito^ 
riunisce  i  principali  caràtteri  del  monferrino  e  del  piemontese, 
si  distingue  da  entrambi  per  una  pronunzia  più  aperta  e  più 


DIALETTI   PEDBVO.^TAIHI.  489 

rocilixzafa,  facendo  U90  di  molti  dittonghi  in  luogo  delle  sém- 
plici vocali,  come  nìàirii,  per  mèrito ^vììàii^n,  ddiva,  tumàha^ 
mroj  per  venkn,  (lam,  tornava,  ora,  e  slmili.  Disitngnesi  aa- 
oorf  pel  suQQO  duro  della  z  ignoto  agli  altri  grup|ri,  dicendo:  zi 
per -ftity  auzèy  niazzè^  preziàs,  per  alzare^  amnwzaàrt^  preziono. 
;  Raggiungendo  ^a  vetta  deU'Apennino,  troviamo  a*  Millèsimo, 
li  Cairo  e  a  Montefiotte  il  dialetto  indnfefi:ino  con  tutte  le  sue 
proprietà 9  e  eon  una  tinta  dei  liguri,- resa  manifesta  dalla  mo- 
lificaxione  di  alcune  desinenxe,  daU' elisione  della,  r  in  «Icone 
foei,  come:  $enntùi/per  tervilori,  e  dall' introduzione  di  qoÉl- 
she  parola  e  ffase  genovese.     .  •  '     '. 

^Questa  tinta  Ugùre  è  assai  più  foirte  e  preyalente  nei  dialetti 
ili  Garessio  e  di  Ormm,.  che  per  gli  elementi  onde  conciano 
possono  del  pari  èssere  classiGcaii' nella  ligure  famiglia,  assimi- 
làndòsi-alle  favelle  vernàcole  della  riviera  di  poneate»  I  caràl- 
Ieri  quindi  che  li  distìnguono  dai  rimanenti  del  gruppo  nonfer- 
rioa,  sl'desùmono  egualmente  dalla  pronunzia,  che  dalle  ^fpnne 
B  dal  lèssico.  La  prima  è.dolce  e  scorrévole,  pei?  r«fflueiisa- delle 
vocali  e  dei^  dittonghi^  per  la  frequenza  dei  suoni  i^  i/i  e  fj 
^per  l'uso  di  evitare  le  voci  tronche,,  terminandole' per  Io  piti 
in -vocale.         ^       . 

Le  forme  sono  affatto  liguri  nei  participj ,  che  finiscono'  in 
ipio,  iciOj  oppure  àoj  iio,  io: 

m 

Italiano        doto    detto    andato     ntatìdato  '  t^enufo     sentito 
ISaressio      dado  dicio    andóo     manddo     t^ùo    seritìo:  - 

Sono  liguri*  nella  permutazione  della  ;)  in  c^  dicendo  dà, 
nrìÈse,  per  più,  empìni^  e  slmili;  e  lo  sono  del  pari  nella  sin- 
à»i,  che  non  è  punto  diversa  dalla  genovese* 

Rei  dialetto  poi  di  Orroea  16  forme  liguri  prevalgono  talmente 
opra  ogni  alfra ,  da  non  poterlo  collegare*  in  verun  mòdo  al 
«mo  pedemontano^;  noi  lo  abbiamo  qui  inserito,  perdio' trp- 
rlodosi  sili  versante  seltehirionalc  dell'  Apetinino,*  é  formando 
mrte  della  valle  del  Tàharo,'è  ancora  politicamente  racchiuso 
iella  Provincia  di  Mondovl;  perchè  avvenendo 'la  successiva 
nisformafzionc  dei  dialetti  monfeMni  e  piemontesi  ih  liguri 
»er  gradi,  sé  no  trovasse  in  questo  il  compimento,  e  valesse 
[olndi  di  opportuno  riscontro  agli  studiosi;  e  d'introduiìóne  alla 


490  PAKTe  rtìLiA 

famiglia  ligure,  che,  a  Dio  piacendo^  ri  proponiamo,  di  svòljeere 
in  «m  futura-  publicazìonc. 

:  Tjàki  sono  46  piìi.  ovvie  e. più  <*araUer)sliche  proprietà  alte  a 
ffceréntre*  sommarianiénte  fra  loro  i  singoli  dialolli  di  -^piéalo 
ranio  iooportante,  per  quanto  è  possibile  •delerminarlQ  nella  eoH- 
fosa  congèrie  di  tante  favelle  piiì  o  meno -fra  loro  everse.  Gò 
non  pertanU),  a  provare  la  magare  p  minore  esattesaa  delle 
espòste  x^sservazioiM 9  e  meglio  ancora  a  porgere  un'idea  fitk 
geoecalè  é  adequata  dell'Indole  di  tutti  questi  dialetti  e  dei  lora 
scambiévoli  .ràppocti^  varrà  un  attento  "esame  delle  seguenti 
versioni  della  Paràbola  del  Fùjlio  Prodigo ^  non  che  dei'vSbjgrt 
cN  iMtermtìtra  vernàcola  che  soggiungeremo  'piA  ol.tre.  ' 


§.  4.  «  Osisercàziom  grammaticali  m  generate. 


li  piincipia  onjinatore  che  jgeneralmente  collega  in  tina  si>la 
famiglia'tttttr  f  dialetti  gallo-itàlici  non  viene  punto  meno  nei  p»-. 
demcmduit^' aebbe^  in  apparenza  dissonane  dagli  altri.  Diciamo^ 
in  apparenza^  avuto  riguar^  al  sistema  ^onceUhale,  nssia  a 
tttlto^  ciò  che  istituisce  la  forma  gramitiaticale  dei  ìnedèsinu, 
mentre  le  dissonanze  nella  pronunzia^  ed  in  conseguenza  nella 
forma  •pìh  o  meno  alterata  delle  singole  voci,  non  che  appa- 
renti, sono  assolutamente  reali.  '       •      . 

Tutti  i  dialetti  pederaonlani  mancano  d' una  ven^  decIinazioDe 
dei  nomi,  valendosi  df^gli  artìcoli  e  delle  preposizioni  italiane 
dij  Oj  daj  to^  coHj  pevj  e  simili,  onde  precisare  nel  discorso  le 
varie  relazioni  dei  noqii  stessi  colle  altre. parti.  Gli  articoli  sono 
sempre  gli  stessi  italici  itj  lo^  uiio^  pel  maschile;  la^  uAa^  pél 
femminile;  e  sono  espressi  in  varia  torma,  giusta  le  varie  prò- 
nunzio.  Il  m^chile  determinato  vi  h  rappresentato  colle  voci  el, 
'Ij  r,  lOj  lUj  erj  Vj  ro,  Uj  til^  che  nel  plurale  fanno  i^  li^  gij  il 
femminile  d^lle  voci  lay  ra,  che  nel  plurale  fanno  /{f^  rej  e  sigli 
upl  che  gli  altri  si  contraggono  nelle  preposizioni^  come  in  Ita- 
liano, per  dinotare  i  varii  casi,  facendo:  del,  di,  der^,  dn^  dal, 
delay  dia,  dra,  oppure  al^  atuj  ar^  ala^  ara,  e  così  nei  rispettivi 
plurali.- L'articolo  indetcrminato  è  m^  ùit,  %  mia^  ìinaj  'mu 

I  (gèneri  che  per  lo  più  vi  .s>no  distinti,  sono  i  soli  due  nà- 


DIAUrm   PEDEMONTANI.  1|9I 

turali y  maschile  e  femminile;  e  questa  distinzione  vi  è  determi- 
nata in  vafio  knodo;  primferàmente  col  m^zzo  dell' arllcolo^cke 
.è  abbastanza  diverso  nel  nùmero  singjolare,  ma  non  stnipre  nel 
plurale,  .màssime  in  albani  dialetti;  in<  secondo  luogo^,  eoa  voci 
diverse,  il' 6he .  avyiene  solo  per  àistìngoere  il  maschio  dalla 
Iftnimina  in  alcimespecie  jl' animali,  indigeni,'  come  'l^bàj  9  la 
jMCcaj  proprietiu'comune  a  tutte  le  altre  lingne;  in  terzo  inògp, 
(001  mezzo  della  terminazione^  che  spesso  è  In  fr^.^oppure  in  o 
pel  maschile,  in  a  pel  femminile,  e  terminano:  rispettivamente 
in  i  ed-  In  e  nel  plurale.  Questa  règola  peraltro  iatante.  svariale 
Avelie,  delle  quali  H  carittfere  più  costante  éi  è  una  eòntioda 
irregolaritji,  va  soggetta  ad  un  nùmero  .indefinito  di  ecceiioili, 
non  solò  da  diiiletto  a  dialètto^  jna  eziandio  in  ogni  Mrfgola*  Ta- 
vdla;  di  modo  che  si  richiederebbe  un  lungo  trattato  ad  espi^rre 
compiutamente  solo  le  principali  nozioni  sulUi  distiniiène  dei 
gèneri.  Bensì  appunteremo  come  ttn  fatto  di  tomma  importanza 
la  differenza  di  gènere  applicato  ad*  un  medésimo  nome  dai  varj 

# 

ilialetti,  differenza  assai  più  ripetuta,  ève  si  raffrontino  I  dialetti 
•pedemontani  alla>lingoa.comnne  d' Italia, -nella  quale  sond  masehili 
parecchi  nonri^  che  in  varj  ^iàletli  son  di  gènere  femminile, -ed 
inversamente;  come  l'aratro^  il  }ìifji$trtllo^  che  dìconsi  in  piemon- 
tese la  slbira,  la  ruta-volòira.  Non  v'ha  al<;un  dubbia,  che  lur- 
ooglieiulo  i  copiosi  mat^piaK  di  tal  fatta  sparsiiiei  moHèpHci-  dia- 
letti delle  valli  .del  Tànaro^  del  Po,  delle  due  Dm*e  è  del  SesHi , 
ralfirontindoli  fra  loro  e  colle  altre  famiglie  vernàcole,  e  risa- 
lendo alle  origini,  si  otterrebbero  rivelazioni, di  somma  impor- 
tanza per  r  eliografia  e  per  la  storia;  giacché -non  a  caso  i7  so/e 
che  jè  di  gènere  maschile-  nelle  lingue  lattile,  è  femminile  nelle 
germàniche,  e  inversamente /a /tina. 

Anche  i  nùmeri  dei  nomi,  còme*  in  italiano,  vi  sono  distinti 
e  per  meazo  degli  articoli,  e  colle  desinenze.  Gli  articoli  lion 

« 

sempre,  ^  non  in  tutti  »  dialetti,  sono  sufficienti,  valendo  talvolta 
lo  stesso  articolo  per  ambo  i  nùmeri;  né  sempre  bèstamy  le 
desinenze,  che  variano  indefinitamente^  e  p<^gonó  sempre  nimve 
eccezioni:  Ciò  nullameno,  tenendo  conto  dell'oso  più  ripetuto 
in  maggior  nùmero  di  favelle  vernàcole, -la  desinenza  t  distin- 
gue il  plurale  maschile,  la  e  il  femminile,  e  nel  maggior*  nù* 


492  PARTE  TERZA 

mero  dèi  dialelli  alpigiani  ancora  ]ik  Hj  come  in  lutti  ì  di^lclli 
francesi.  L'u9o  prevalente  per  altro. di  troncare  le  voci,  elidendo 
le  ùltime  vocali,  rèml9no  impossìbile,  per  lo  più,  lo  scekerare 
il  singolare  dal  -plurale  senza  il  soccorso  degli  articoli. 
«  Gli  aggeUivi,  per  lo  più,  tono  eorrnziotii  delle  Voci  italiaAe, 
eorel^lale  -le  radici  indigene  e;  forse  primitive  peculiari  di  da- 
Mtuno.  Nessuna  legge  per  altro  ne'règola  la  formazione,  tranne 
per  avveoturfl  quelle  ^cha  derivano  .dall' italiano,  come  a  cagion 
-d'esempio  r'aflislioiìe  delle  parlkell^  in,  dts  al  po^itivd'  per 
rènderlo  negativo ,. nelle  voci-6(f/j  ii^ùtilj  giistós,  dùguntós,  ed 
altreUU.  .Per  la  'distinzione  dei  gèneri  e  dèi  nùmeri,  sèguóno^le 
poche  varianti  ohe  abbiamo  accennato  nei  nomi;  e  divengono 
dimiauti^iy  aupaentativì,  pcggioi*ativ1,  Comparativi  o  supcfrlativi 
^Qfk  lecere  flessioni,- die.  derivano  chiaramente  dalle  corrispon- 
denti ilaliaae^  sebbene  più  o  meno  alterate  e  mutilate,  a  norma 
delle* varie  jMronuniie. 

Anche  i  pronomi  derivano  dalle  radici  comuni  a  tutte  le  lin- 
yuo  lndo*etiropee,  e  nella  «trana  forma  che  li' modifica  si*  acco- 
ntante .assai  più  alle  lingue  della  Francia, ^ che  non  all'ltaliaiia. 
.1  personali  sono:  t ^  mi,  tue/Hlj  te,  iSjfKj  él,  IS;  cMH,  chiàlj 
tè,  chila^  che  restano  indecHnibili  nel  singolare,  e  tfiel  .'plurale 
volgono  in  iwì,  i,  twdè,  voi,  ìj  votìé,  lor,  tur,  cuNd*,  e  varia- 
monte  ancora^  Nei  casi  obliqui  sono  precetUiti  dalle  preposizioni, 
tltinne-  il  dativo  che  per  la  prima  -persona  è  me,  o  m',  per  la 
socomifa,  le^  o.i'j  e  per  la  terza  si  maschile,  che  femibiniie,  è 
j^jeyli,  gi,  che  corrispóndono  aHe  Voci  italiane  gU,  le.' 

I  «pronomi  possessivi,  sebbene  derivati  del  pari  dalle  radtd 
latine 9  vi  subiscono-  molte  e  strane  variazioni;  per  addurtie  al- 
cuni esempj,  m/ovi  è  rappreseirlato  colle  voci:  me,  minu,  mio, 
miuj  moiy,  muli;  il  pronome  tìio  colle  voci  :  Ho,  tiau,  lon,  lo, 
Uuj  cosi  suo  con:  so,  san,  sto,  sim;-  e  lo  stesso  dicasi  dei  pro- 
nomi MoffiO^  vos/ro^ /oro.  Di  qui  si  vede,  come  la  forma  allon- 
tanàAdosi  dall'italiana,  si  accosti  air  occitànica ,  ed  in  qualche 
dialetto  sia  pura  francese. 

Ancor  più  variano,  assumendo  forme  francesismi  pronomi  di- 
mostrativi questo  e  quello,  che  in  un  medésimo  dialetto  sono 
espressi  in  moftèplici  guis^.  Per  citare  le  più  comuni^  valgano  i 


OIALETTI   PBDSHOKTAKI.  495 

seguenti  esempj.  Queato  vi  è  alternamente  rappresentato  da 
aciiést,  acliést'issì y  se-si,  só-si,  costj  cusl ,  cmt'SÌ^  ntOj  stoffa, 
dièsis  sitOjSel'issi;  equ^Jo,  coììe-yocA:  chéi,  ìò'j  achél^  se-la, 
col^  atlj  ciU'làj  ed  altre  varie,  che  sì  possono  scòrgere  nei  Saggi 
che  aeggitii%eremo  in  sognilo. 

Nella  codjiigflLZione  dei  verbi  prevalgono  ora  la  forme  e  le 
inflessioni  dei  <erbi  italiani^* 'ora  quelle  ^ei  francesi ,  si  le. une 
che  I^  altre  modificate  a  nprma  delle  vafie  pronunzie.  Se  ^i 
yolefese  tener  conto  delle  «'continue  varìantt.  che  s'incànti^aiio, 
Don  solo  nei  molti  verbi  da  dialetto  a  dialetto,  ma  in  un  solo 
dialetto  medésimo,,  si  richiederebbe  un  volume  per  le  cosjuga- 
doni  e  doe  per  le  varianti.  Ciò  nulladtmeno  in  tanta  congèrie 
li  forme  diverge,  trapela  pur  sempve  in  ciascun  gruppo  un 
;erto  tipo  generale  di  cqnjugazioné,  intorno  al  quale  più  o  menq 
la  prèsso  ai  aggirano  le  varianti  stesse  dei  molti  suddialelti; 
»  questo  tipo  comune  rinviensi  appunto  in  due .  conjugazioni* 
principali  dei  dialetti  che  rappresentano  ciascun  grappo,  di- 
Forino,  cioè,  di  Ivrea^  e  di . Alessandria.. À^quepti  tre  tipi^  dei 
[piali  porgiamo  le  conjtigazioni,  abbi^ipp.  avvisato  indispensjJ>ile 
ipporre  a  riscontro  la*,  cónjugaziooe  degli  stessi  verbi  nel  dia- 
etto  di  Mondóvl.)  coraB  quello  che  congiungendo  insieme  i  gruppi 
ìiemQHte^  e  rnonférrino  alla  famiglia  dei  liguri,  forma  quasi 
in  quarta. tipo  distinto. 

Anche  qui,  come  si  scorgerà  di  leggeri,  manca  del  tutto  la 
^oce  passiva^,  alla  quale  venne  surrogata  '  la  composizione  del 
erbo  ausiliare  èssere  col  participio  di  ciascun'  verbo,  che*  varia 
HÙ  o  meno  in.  ogni  dialetto.  Così  pure  nella  Voce  attiva  man- 
ano  quasi  tntti  riempi  passati,  che  appunto,  comp  in  tutte  le 
ingue  neo-latine,  vi  sono  composti  dell' ausiliare  aireree  del 
participio.  Neir  impossibilità  di  appùgitare  in  un  sémplice  Saggio 
e  innumerevoli  forme  ed  anomalie  che  si  riscontrano  in  tanti 
variati  dialetti  e  suddialetli^  facciamo  voli  perchè,  riconosciuta 
'importanza  d'un  lavoro  compiuto,  gli  eruditi  .d'ogni  singolo 
•acse^  i  quali  soli  possono  condurlo  a  buon  fine,  provvedano 
nalmente*a  questa  deploràbile  lacuna,  illustrando  la  favella 
ei  loro  avi,  jnella  quale  e  colla  quale  appresero  a  pensare. 


494 


PAKR  TOUEA 


TORINESE 


D*  IVREA 


DI  aUssandria    di  UONDOVI 


Modo  LidefinHo. 


Tempo  prm,  iportè    ' 
»  panato  I  avéi  porta 
n  futuro  \etiepr  porle 
Qfinm4io     Iportàod 
PartidpUk    i  porta 


ni  .1  porlo   ' 
ti  (*  porlo 
chitl  a  porta 
noi  i  porióoM 
.voi-  i  porte 
lor  »  porto. 

mi  i  portava 

* 
li  t'  portava 

Mì^  portava 

noi  i.  portavo 

voi  I  pò  ria  ve 

lor  a  portavo 

mi  i  0 
ti  l'as 
chièl  a  l*à 
nii  I  urna 
voi  i  ève 
lor  a  ràn 


portar 
avéi  pof là 

te 

«•sfr  (a)  pr  portar 

portànd 
porta 


porte    •  •  j 
avéi  ^ortà 
essi  par  porte 
portanda 
porli 


porte 
ÌTli  porti 
estejir  porli 
porti^ 
poHi(i) 


Modo  Indicativo. 

Tcoipo  iprrseal^ 


mi  i  porlo* 
ft  t'  porte' 
rhièl  a  porta 
nui  I  porfnma 
viit  porte 

a 

lur  a  pòrto 


me  a  port 
fé  t'  porte  * 
cul-li  4  porla 
noi  a  porhiaia 
¥of  I  porle 

■  « 

cul-li  i  porlo. 


ToMpO   pMMtO   PritMUiO    . 

li  i  portava  |  roé  a  portava 


ti  l'  pertave 
chièl  a  portava 
Olii  i  porta vu 
vui'portave 
Itir  a  porlavu 


te  t'  portavo 
cul-là  '1  pòrtavi 
noi  a  portavo 
'I  voi  i  portavo 
cul-li  1  portavo 


Tempo  PasMio  Perfetto  (d). 


mi  i  un 
li  t'è 

chièl  a  Pi 
nui  i  urna 
vui^i^  èi 
lur  a  ràn 


me  a  i  ò. 
tè  rus 
cuMà  l'i 
noi  a  i  urna 
voi  i  èi 
cui-li  i  in 


e 


mi  pori 

ti  V  poHi 

• 

chél  m  porla 
no&6(tf) 
voi£  porti 
eì^él  porto 

• 

mi  poriiiva 
ri  V  porliivi 
chél  poriiiva 
B0iè>  porlilf  M 
wfiè  porliivi 
chél  portaivo 


mi  i« 

tiri 

ohèi  V  r'i 
noaéami 
void  èi 
chél  in 


! 


DULCITI   PEDMOflTANI. 


40» 


Tenuto  PasiatiT  ÌIìmoIo. 


i  i  avia 

Tavie 

ièl  a  l'avìa 

I  i  aviir 

i  i  avia- 

« 

r  I  «via     • 


mi  i  avia 
li  l'avie 
eh  ièl  a  Tavìa 

(  ayien 

« 

,      ,,  5aviu 
(  avien 


me  a  r.éiva 
té  r  óive 

■ 

eul-ià  rèi  va 
noi  a  i  éivo 

voi  a  i  éfve 

* 

cui*l»  i  éivo 


o 


mi  ai  va 
li  r  aiVi 
cfaél  aiva-  . 

noà2  aimo 
v(M  aivi 
cliéiaiva 


<% 


Tev^  FaUfOi 


i  I  perirò  (e) 
t'porlHis 
Ut  a  poKrà 
I  i  po'rìnima* 
i  i  porlré 
r  a  porlràn 


mi  i  porlrù 
^lì  V  pòrirè 

chièi  a  portrà 

•  • 

Dui  i  porlr&n 
.vui  porlri 
lur  a  portràn 


me  a  portrò 
le  l*  porlrài 
cu  Ma  'ì  poHrà 
riol  a  porlròma 
voi  i  po/trài 
cui*là  i  porlràn 


mi  porlro 
li  r  póltra  .  , 
éh*él  porlrà      • 
nM  t>oclrmà  ' 
•YPad  poKrè 
chéi  porlràn 


i  I  avrò 

l' avràs 

ièl  a  l'avrà 
i  i  avroma 
i  i  avré 
*  a  l'avran 


TeÌDpyo' Futuro  Paàfiito.  ^ 

■         ■ 

mi  i  avrù     •    \        ine  i  avrò 


Il  1»$»^''^ 


vra* 
rè 


ctiièl  a  l'avrà  \  o- 


nui  i  avruma 
vui  avrì 
lur  a  l'ayràn 


lei'  avrai 

cui->à  l'avrà    \  *§ 
noi  avróma      *  *' 
voi  i  avrei 
eui-là  i  avràh 


mi  avrò' 

.  li  4' avrà- 

chéi  u  r'avrà 
noàè  avrmà 
voàè  avrei 
chéi  r'  avràn 


5^ 


ria  li 
'a  pòrta 
riama  noi 
riè  voi 
'a  portu 


Modp  Ifnftrtàiiyrò, 
porta  ti  I  porta  té 


ch'a  porta 
porluma  nui 
porte  vui 
ch'a  portu 


ch'ai  porta 
porlóma  noi 
porte  voi 
ch'i  porto 


porla  li 
ch'u  porla 
'  parlmà  nòe 
porte  vóe 
ch'i  portu 


499 


PAKTE  TERZA 


Moda  Conghmtko. 

Tempo' iPresente. 


chi  mi  i  porla 
tlM  ti  t*  porle 
dM  chl^l  »  porla 
€ÌM  aoi  \  porlo 
€ÌM  voi  i  porto 
doloro  porlo 


ch'I  porU 
eh'  ti  V  porle     « 
ch'^chièl  a  porla 
eh'.  Dui  i  po'rtu 
.eh*  vui  porte 
eh'  lur  a  pbrtu 


che  me  a  porta 
cht  té  r  pòrte 

i:he'*cuMà  *l  porla 

•■  .         • 

che  noi  a  porlo, 
che  voi  ^  porle 
che  cui-là  i  porlo 


.eh'  mi  porli 
ch^  ti  r  porU 
eh'  ebél  porta 
éh^  noàè  poriBo 
:  eh' 4ro&<  porti 
eh'  chef  porla 


l*eiipo  Pà§Milo  Pi^MiaM. 


cht  »i  i  l^rlfisaa  1  eh'  mi  I  portéis     |  che  me  a  portéissal  eh'  mi  porlàlm 
clM  II  I'  p^nfisse  I  eh'  ti  I'  poHélaae  J  che  té  l' porléisse  1  eh'  U  1^  porlàiai 

eWehMapo^léisa4.^'<^^l«A^^'  |cheeul-là'lponéiiaa| eli' cbél  porOiM 

pc^isa»  I  eh'  noàé  porttai 
portélMoteh'  vdkè  partlid 

tao  l«r  a  iion^sao  '  eà'  lar  a  poHèlasa  %heeiii*làl  poHéiasoi  eh'  daU  parlàh» 


rhM  a  po^léisaal  eh'ehièl  a  jiortéis  Meeul-là'lporU 
Im4  I  p«AfUao|eli' uni  iporlélsau|  che  noia pc^i 
v«l  I  |«Htlaa% I  eà'  viU  poHéiaai    lehevoii  portéj 


•hf  ni  I  ìWm 
fh»  filtri  »  l*vhMa 

•hf  «Mi  I  «^11 

fht^dibèie 
•h»'l««r  »  Ti 


s 


Teiapo  PsMate  Pofelto. 

cfc*  mi  I  abbia  .      ,     I  che  me  a  i  ala 
eh' li  l*àbblc       j     Icheiérabf 

cb*diièl  a  ràbbia  f  .  1  rbe  colla  l'ala 
cb'  nui  f  àbbiu     i  w-l  che  aol  a  i  alo 
Vb*  vui  i  àbbie      1     I  ch«  voi  i  abe 
cb*  lor  a  1*  abbia         I  die  cai-b  i  ab* 


ch*nialMa 
eh*  li  rabbi 
ch^chélabbi 
cb*  anàé  abbia 
eh*  v«iàé  abbi 
cfa'chéiallo 


t 


cht  aii  I  avéiftsa 
che  li  TavcisM 
cbecbièlaravéissa 
che  Boi  i  avéissu 
che  voi  i  avéisse 
cb(  lor  a  Tavéissu 


o 


Tempo  Paatuto  Rlmoto. 

cb'  ni. inveii 
cb'  li  l'avéi»s€ 
jch'ihìiì  a  l'avéia 


cb'  nui  i  avcÌMu  l  S- 
cb*  vui  «yéissi      I 
eh'  lur  a  l'avéi^so  ' 


che  me  a  i  éisM 
pbelé  l'éisse 
che  coi  la  Téissa 
cbe  noi  a  i  éisaa 
che  voi  i  éissc 
che  cui-là  i  èiiso 


eh*  mi  avàim 
cb*  li  ravàini 
eh*  chél  avàissa 
cb'  noàè  avaisa*!  *" 
rb'  vnàé  avàiul 
eh*  «hd  avàissa 


I 


MALETn  PCOBNONtAMI. 


497 


Modo  Cotuiizionale. 

Tfinpo  Preiente. 


'le 


mi  i  porlrìa   . 
li  V  poriritoe 
chièi  a  pòHri^ 
nui  i  po^trio  . 


irlii« 
Drlilésae  ; 

Ilio 


ivria. 
o 


vui  portrlssl 
lur  a  portrìu 


nié  a  ppriréiva 
té  V  portile!  v€ 
cul-IàM  porlpéiva 
noi  a  portréivo    1 


o 


mi  I  i"~ 
cavns 

„p  Uvrie 
(avrÌMei 

ehièla  l'avrial 


voi  i  pertréive 
cui-là.l  por  Irei  vo* 
Tempo  Patsato. 

me  %  ì  avr^is 


mi  porlréa 
li  V  poriréj 
chéi^iorlréa 
no࣠ portrélnio 

voa£  poHréi 

chéi  portréo 


1 


nuli  ^«^""-  Ài. 
(  avrÌ88o| 

^avrìi    \ 
*•"'    |avrl»»l\ 

Savriu     I 
avrissu  {   - 


té  l'  avrélsM 
CHl-Iàl^aVréissa' 
rtoi  i  avréisso  f  ?- 


voi  iavréisM 


cuMà  i  avréisso  1. 


mi  avréa 


■  ti  V  avrei 

« 

ebél  avréa 


1 
noa£  avréinà)  /  fi; 


voa£  avrei 


*  •_  » 


cliei  avreo 


• 


Modo  Indefinito. 


et.  'Ini 

tgnir 

lene 

mi 

i/o/a-véi  tnii 

avéi  Ignii 

avéi  ini 

avai  Inù 

V  ycfscprloì 

èsser  pr  fgnir 

essi  par  lene 

esse  pr  Ini 

• 

l tnènd 

Ignènd 

Inloda 

t^ànd 

Inù 

Ignù 

Ini 

Inu 

«98 


>ARTB  TEIXA 


mi  i  lètio 
ti  V  lène-  . 
chièi  a  lèn  .? 
noi  I  inuma  • 

voi  i  lène,  .  • 

« 

lor  a  tènu 


>  mi  I  tnia 
U  V  Inie 
chièl  a  tn.iì 
noi  i  Iniu 
voi  i  tote 
ior  a  tn|u 


mlio 
li  ì*  as 
cbicl  a  l'à 
no)  i  urna 
voi  i  ève 
lor  a  ràn 


mi  I  avìa 
li  fa  vìe 
chièl  a  l'avia 

noi  i  avLu 
voi  i  a  vìe 
lor  a  Taviu 


Modo  lùàkaiwo, 

Tcappo  Preteale. 


ml'i  legno, 
li  V  legne 
chièl  a  legn 
nui  i  tgnuma 
vui  tegne  . 
lur  a  legno 


me  a  t^n  ' 
té  t*  ikfì^ 
cul-là  ■  tèn 

• 

noj.a  Ultima    ' 
vofi  tene 
cui-là  i  leno 


Tenpo  Passato  PrÒMimo. 


mi  i  Ignia 
ti  t'  tgnie 
cbièl  a  Ignta 
nni  i  tgnìu 
vui  l^nie 

* 

lur  a  Ignio 


'  » 


m'é  a  In  iva 
té  r  laive 
CQl-1à  a  Infva 
noi  k  tnlvo 
voi  i'tnive 
eui-là  f  Inivo 


Tempo  P»«atQ  Perfetto. 


e* 


mi  i  un 

ti  rè 

cbJ^l  a  rà 
nui  i  urna 
vui  i  èi  , 
lur  a  l'àn 


<w 


me  a  l  ò 
té  l'ai 
cuMà  Vk 
noi  a  i  urna 
Noi  i  èl 
cui-Ià  i  àn 


Tempo  Palmato  Rimoto. 


mi  i  avìa 

li  t'avìe 

chièl  a  l^avìa 
avìu 


nuil) 


avien 


voi     '»*!? 
r  avie 


3 
CI 


furi 


,\aviu 


\ 


avien 


me  a  i  civa 
ié  réive- 
cnl-là  rèi  va 


•  •  • 


mi  tèo 
Il  r  teiii 
chèli  tèa. 
noiié  IdnA 
voàèf  tata 
cbéi  i  teno 


mi  Iniiva 
.li  r  mèivi 
ciel  u  iBalia 
/noaft'  I  tiiii«l 
voàéitdiifi 
etìSì  \  tnélft 


mi  6 

li  t'à 
chél  a  Vi 
noàé  ama 
vo࣠ èi 
cbéi  r'ao 


noi  a  1  civo     \  ^ 


voi  a  i  éivc 


cui-là  i  rivo 


iqi  aiva         ; 
ti  raivi 
«faélalva 


nM<  amo 


voàé  aivi 


cbci  aito 


DIALETTI  raomOilTAKI. 


k99 


Trmp*  Fvtvro* 


I     ^ 


Oli  ilgniniì 
(i  r  Ignite 
tfhièl  à  Ignirìi 
Dui  i  Igniran 
vui  tgnirr  * 
liir  a  tgoirìm 


me  a  ìenrò 
té  V  tenrài 
cul-là  u  lenrè 
noi  a  lenroroa 
voi  a  tenrèi 
cu  Ma  i  lenràn 


mi  tniro 
li  V  tnirìi 
'chél  fnirà 
noàé  Inirmà    / 
voàó'  Inirài 
chèi  tDiiin 


01 


Tempo  Futuro  Pataatoi 


mi  1  avrù         i 

me  i  avrò        \ 

mi  avr5 

,,  .,  vavra«'     / 

•                                            1      ■ 

té  t'avrai      .  / 

li  t'avrà 

cbièi  a  l'avrà  \^ 

cul-Ià  l'avrà   A  ^ 

chiél  u  riavrà 

nui  i  avruma  l  .^* 

i                 1    "^ 

noi  avroroa     1 

noàé  avrmli 

vui  avrì          '  1 

voi  !  avrei       1 

voàé  avrei 

tur  a  Tavràn 

cui-là  i  avràn  / 

chéi  r^  avràn 

Modo  Imperativo. 


* 

tègn  ti 

lèn  té 

tèn  ti 

• 

cb'a  legna 

eh' a  Ièna 

ch'u  tèna 

tgnuma  nui 

tpuma  noi 

In  ima  noaé . 

• 

m 

Igni  vui 

tene  voi 

Ini  vo࣠

di' a  tègnu 

eh'  i  lèno 

chM  téno 

Modo  CongiuntiiH). 

• 

Tempo  Preseate* 

1 

• 

M. 

eh' mi  1  tègna 

che  me  a  tèna 

eh'  mi  Ièna 

« 

eh'  U  t*  tègne 

che  té  V  lène 

eh'  ti  V  lèni 

Ièna 

eh'  chiòi  a  legna 

che  cul-là  a:  tèna 

ch'chél  tèpà 

ad     .^ 

eh*  nui  f  tcgnu 

che  noi  a  lèno 

eh'  *nokt  lenmo 

ne  , 

eh'  vui  tègni 

che  voi  i  tene 

eh'  vo࣠ lèni 

ni| 

oh'  lur  a  tcgnu 

che  cu  i-la  ì  tèno 

eh'  chéi  tono 

noo 


PARTE  TERSA 


TeMp»  PmmU  Protsino. 


cbc  mi  j  Incissa 
che  ti  t'  tnéissn 
,   che  eh  lèi  a  tnéissa 
die  noL  i  tnéisap 
che  voiJ  llkéiate 
che  lor  a  inétsso 


eh'  mi  i  Ignciss 
eh'  ti  l'  Igncisse  ' 
eh'  ichiél  a  Ignéis  ' 
eh'  nui  i  tgnéiMu 
eh'vui  i  tgAéiisi  * 
eh'  tur  a  IgoéJasu 


che  me  a  tnissa 
che  té  rtnisse 
checuMà  a  Ialina 

.che  noi  a  Inisao. 

il 

che  voi  i  tnlBse.  * 
che  ciii-là  i  loiiM 


eh'  mi  imkìm 
th'  li  V  tntissi 
eh*  chél  o  taite 
eh'  noàé  laìffMi 
eh'  vQ&è-  laaiiri 
éh'ehéiiliuM 


Tempo  Pasiado  Pc^fictto. 


che  mi  i  àbbi^       i 

eh»  mi  i  abbia 

é 

che  mi  a  i  aba 

eh'  mi  àbbii 

l 

dietit*àbble         1 

eh*  li  ràbbie 

che  té  Tabe 

* 

eh?  U  r  abbi       1 

che  cbièi  a  l*àbbia    ^ 

g 

rh*chiùl  a  l*àbbia    - 

.che  cui  là  l*aba       ^ 

1  B 

ch*<cbétabfea 

m 
1 

che  n«i  1  abbia        "^ 

di' DUI  1  àbiria    (^ 

« 

che  BOI  a  1  ahi» 

che  aoMi  abbia 

K 

die  voi  t  àbbie 

eh:  voi  À  àbbie 

che  voi  1  abe 

che  vaie  liat 

che  lor  a  l'abbia 

cbMor  a  l'abbia 

che  cui-là  i  abo 

eh*  chél  alba 

Tempo .  Passato  Rivoto« 


che  mi  i  avéissa      , 

eh'  mi  i  avéis       i  ' 

che  me  a  i  éissa 

eh*  miafàiai 

che  ti  Tavéisse       /   . 

eh*  (i  l'avéisse      l 

che  té  raise 

eh*  ti  favài» 

chechièla  l'avéiMa  i  '^ 

,ch'  chièl  al*avéi$Ì 

che  cul-là  l'cisM     . 

éh^chaavàin 

che  Bei  1  avéissu    1  ^ 

99 

eh*  BUI  i  avéiuu      e: 

• 

ch^  noi  a  ^  éisso 

eh'ooàéavahm 

che  voi  4  avéiise    1 

eh'  vui  avcissi 

che  voi  i  éisse 

eh*  va࣠ avàiai 

che  lor  a  i'avcissu 

,ch'  iur  a  l'avéissu  . 

che  cui-là  i  eliso 

eh' <jhcl  bvàtaa 

1 


mi  i  tenrìa 
li  V  lenrie 
chièl  à  lenria 
noi  i  teiiriùma 

vni  i  »  ^wirie 
^^"  i  lenriésse 

|or  a  lenrju 


Modo  Condizionale. 

Tempo  Presente. 


mi  i  Igneiia 
I.U  r  Igneris^e 
chièl  a  Igne  ria 
nuli  Ignerìu 

vui  i  tgncrissl 

lur  a  tgneriu 


tné  a  lenrélva 
té  l*  tenréive 
cui-là  a  lenrélva, 
noi  a  lenréivo 

voi  1  tenréive 

cui-là  i  tenrcivo 


mi  tniréa 
U  l'  tnlrél 
.ciiél  tniréa 
aokò  lairéia* 

VfM^  tnifèie 

chéi  tniréo 


\ 


MALKTTl  PBDiaOMTAill 


50  i 


Teìnpo  PaiMtii. 


I  avria 


r  avrìè 


lèi  a^ravcia 
i  i  avrìu 

I  I  a(\rie  ' 


.l' avrìu 


iSi 


mi  i 


I  avriH     Y 
ì  avriss     I 

^avi 
chièi  a  Tavrial 


ivrie 

rhse 


noli»""!"   /g. 

/  avris$u 

^"^'.{avrlssl  * 

lural'}^:'^" 
1  avrissu 


Ole  a  i  avrete 

té  t'  avréisse 
cuI-làl'avi^Ma 


,vòi  i  avréisse 
Icui-làiavréisso 


mi  avr^  ) 

U  l'avrei" 
chél  avréa 


noi  i  avréiaao  7-^*   mM  avréiBO  f  ^ 


vo46  avrei 


cbéii  avréo 


OMer^omiif .  (a)  In  hrea , .  come  in  generale  ^  in  tutte  le 
cillà  e  Inoghi  abitati  da  classi  distinte^  vairia  il  dialelto  ar- 
enilo- proprio  delie  classi  civili  dal  rùsNcp  proprio  della  cam- 
pagna|,  e  qnindl  ancora  della  classie  ol^eraja  alimentata  sempre 
dalli  campagna.  Siccome  nelle  Provincie  la  classe  Aiyfla^enta 
nella 'domèstica  conversazione  accostarsi  alle  forme  deHa  .ca- 
pitile, cosi  abbiamo  preTerito  sinché  nei  verln  attenerci .  ^ille 
ferme  usate  dal  pòpolo^  come  le  sole  proprie  del  luògo,  consi- 
derando le  altre  come  imitazioni  forzate  e  fittizi^ ,  che  sovente 

• 

haniip  r  aspetto  di  carlcatiira.  Avvertiamo  perciò  che  la  voce 
iuer  è  H  tola  del  dialetto  rdsUco  *  mentre  l'tirbano  direbbe  98si 
od  exsej  similmente  nel  presente  di  a^^ere  in  luogo  di  t.iinj  l-iur- 

bano  direbbe^  ad  imitazione  della  capitale,  iOj  per  io  hoj  nella 

•  ■ 

prima  e  terza  persona  singolare  dell'imperfetto  del  congiuntivo, 
direbbe  porléissa,  tneissa^  in  luogo  del^rùsticofioriét^^  tffnìléisj 
ed  in  tutto  quest'ultimo  verbo  sopprimerebbe  la/jr^  preferendo 
la  forma  torinese  (fitr  alla  rùstica  ignìrj  da  noi  preferita.  •  Ciò 
fnlga  ancora  a  rèndere  ragione  della  preferenza  da  noi  data  ad 
alcnne  forme  nei  verbi  degli  altri  dialetti,  'come  più  general- 
mente usate  dalie  inasse;  cosi  p.  e^  nel  futuro  sémplice  del  tor 
rìnese  abbiamo  preferito  t  porH^ó  alla  forma  i  portrai  che  vi  è 
pure  usitata. 

(6)  Dai  varj  esempj  altrove  citati  fu  manifesto  quanto  varie 
Tonno  assumessero  i  participi  noi  moltéplici  suddialetti  d'ogni 

35 


KOÌ  PkWn  TERZA 

gruppo )  màssime  negli  alpigiani,  ove  abbiamo  notato  le  termi- 
nazioni d^  di,  dit^  dè^  èt^  èli  nei  participi  della  sola  prima  con- 
jjagazioDe,  co^e;  fd^  fdi^  fdii^  fài^  fet^  fèitj  quindi  le  termi- 
nazioni t,  ilj  a 9.^1  i^i  ^  ^'^i*^  molte,  oltre  alle  coiltinue  ano- 

I 

malie  ^  nei  parMcipj-  degli  altri  verbi.  Valga  quindi  questa  breve 
osservazione  i  supplire  alla  mancanza  di  appòsiti  modèlli,  in 
luogo  dei  quadi  rimandiamo  Io  studioso  ai  Saggi  da  noi  proposti. 
•  (e)  La  Iònna  ftfrana  dei  pronomi  noi  e/m  neri  dialetto  di  Mos- 
dovì  deriva  dalla  composizione*  dei  medésimi  delle  due  voci  no^ 
o  PO  corrispondenti  a  noi,  ooi^  ed  di^  chd  signi8ca'a/(ri,  oisia 
noi^ltriy  voi-^ltrij,  come  si  usa  da  alcuni  Italiani ,  dai  Francesi 
(noìià'auif^ì^  .ivué'^autres)^  e  come  lo  abbiamo  già  visto  usato 
4ai  Bergamaschi  fra  i  Liombardi,  che  dicono,  nóter  e  poter. 

(d)  I  dialetti  dei  quali  porgiamo  qui  due  tipi  di  eonjugaaione 
màneàtio  «fatto  della  formfi  sèmpUco  del  passato  perfetto^  come 
i»  generalo  lutti  i  p^emontani;  In  alcuni  per  altro  serbasi  tnl- 
tavto' qualche  raUquia,  per  lo  piùù'ella  terza  persona  singolarei 
la  tfaAt  varrebbe  a  provare,  che  anche  la  forma  sémplice  on 
lempd  ttoisteva^  e.  a.  pooo  a  poco  venne  dlleguanda.  Cosi  tre* 
vianip  nel  dialetto -di  Possano,  sogiùus^  persoggiufmej  a  Vina- 
dl*^  ciamà^  dinuvndòj  ad  Oulx,  fKxrlì^  9enl  di,  per  fNirli^  («nne, 
dhàes  ad  Usseglio,  tcqùs  pregd^  per  esciy  pregò  j  in  Alba;  amdè^ 

•  •       • 

per  amdo/  nella  campagna  alessandrina,  arspùs^  di8^  ed  altrelali. 
Generalmente  perd  anche  questi  dialetti  faiwo  uso  della  forma 
oomppsta. 

4 

(e)  Abbiataio  ayv:ertito,  come  il  Torinese,  oltre  alla  caratteri- 
stica o,  Maccia  ^so  altresì  ^  di  a  formare  la  prima  persona 
sing(ilare  del  foturo;  ambedue  queste  forme,  o  piuttosto  queste 
Tociy  Mìo  purè  usate  dal  Torinese  col  pronome  persopale  ì, 
{^'esprimere  io  ho^  dicendo  ègualmehlè  t  o,  oppure  t  ài.  Qne- 
ata  oiteertazione  earebbe  sufficiente  a  convalidare  la  scoperta 
per  la  prima  volta  avvertita  dal  Raynouard ,  che  cioè  i  fetori 
sémplici  In  tntte  le  lingue  neo-*latine  sono  composti  dell'  ìnde- 
fiaito  presente  del  verbo,  al  quale  é  suffisso  T indicativo  pre- 
sente deir ausiliare  a^rej  di  mòdo  che  leggerò^  .leggerai ^  kg' 
g^rày  ee.,  consterebbero  di  Ugger^ho^  lègger-haij  tegger-ha^  e 
<Ml  di  sèguito.  La  scoperta  del  Raynouard ,  sebbene  conslatatt 


DIALBRI  PEDEHORTAFII.  50S 

da  una  serie  di  falli,  ciò  nulkimeno  per  alcune  anomalie  in 
poche  voci  del  fuluro  di  alcune  lingue,  fu  posla  in  dubbio  da 
qualche  erudilo  forse  Iroppo  scrupoloso.  Ove  per  altro,  prima  di 
risòlvere  la,  questione,,  si  fossero  consultate  anAor«  le  tante  fa- 
miglie di  dialetti^  ogni  dubbio  sarèbbesi  dileguato.  In  essi  il  fatto 
si  manifesta  io. tolta  la  sua  chiarezza  per  modo,  che,  separando 
in  tutti  i  futuri  d'ogni  dialetto  italiano  la  parte  che  rappreselita 
l'indefinito  d^la  caratteristica, .quest'ultima  ei  porse  per  iiitero 
il  présente,  indicativo  dèi  verbo  aitare  nel  dialetto  rispettivo. 
Valgano  di  prova  i  futuri  da  noi  già  proposti  di .  tutti  i  diilélti 

lombardi^  emiliani  e  pedemontani, 

'» 

Hilanne  Berg.°  Boi.' Reg."  .Parm.o  Tor.*  Iv.*  Ales."  Mond. 
portar-ò     ò         ò       ò  ■     .  ò  o      ,   ù     ò      '    ò  ■  ■ 

portar^] ,    e         a       a         a  as         e     as         a 

porfar-à     à         à  -    à         4  a  dà         à 

parlar-efn  {    , ,      etn   {.  em       urna     an   otna     ina 

■^  Ima        •    9omm  . 

portarci      t  %        t    ^      i.       e.         t      et         e 

partar-dn   d         àn     dn       dn        dn'  ^dn    dn        dn\ 

A  qtaesti^si  possono  aggiùngere  i  futuri  più  svariati  dei  sud - 
dialètti -di  ciascun  gruppo,  nei  quali  purè  Ta  cmtteristica  ò  for- 
mata dal,  rispettivo  ausiliare.  Cosi,  per  esempio,  negli  alpigiani 
piemontesi  s'incontrano  le  forme  por  lardi  ^  poriardie^  poriarèi, 
pairtarèic^  ove  Tauéiliare  ho  è  -appunto  espresso  con  di^  dtc^  et^ 
èie.  Se  Yisalia'mo  alle  forme  più  antiquate  di  nostra  lingua  qoMdo 
solèasi  dire  (in  Inogo  di  farò,  dirò)  faraggio^  diraggio ^  vi  tro- 
viamo pure. agrgfto  per  ho;  di  modtf  cfaie^  dòpo  tante* prove  cosi 
iq'anifeste,  pare  non  potersi  più  dubitare  della  verità- deU' os- 
servazione di  Raynouard.  '  /  . 

Ed  ècco  in  qual  modo  lo  studio  circostanziato  dei  dialetti  pqè 
tornare  vantaggioso  alla  soluzione  di  moHi  problemi  coA  lingid- 
stici,  come  stòrici  ed  etnogràfici. 


ìiOh  PARTE  TERZA 

CARO  il. 

■  •  •• 

■ 

Fersione  della  Paràbola  del  Figlimi  pròdigo ^  Iratfa  da  S.  Lu- 
ca^ cap.  XV i  fMrì  principali  dialetti  pedemontani.  ' 

•  •    - 

Serbando  sèmpre  l' órdine'  da  boi  adottato  nelle  dtfe  prime 
Parti,  soggiungiamo Ta  versione  della  Paràbola  in  tutti  quei  dia* 
lètti' e  suddhiletti  che  pòrgono  maggiori  variazioni  hdla  prò- 
nunm,  nella  forma  o  nelle  radici.  A  rappresentare  i  sùonf  di- 
versi ci  siam^  valsi  del  sistema  ort^ràfico  da  nói  esposto  nel- 
r  Introduzione  a  pag.  xxix  e  ^guenti.  Le  versioni  poi  d  Aàrono 
graziosamente  apprestata  dagli  studiosi  più  distinti  d'ogni  sin* 
gòlo  paese,  ohe  furono  da  noi  invitati  a  fèndere  il  feslo  tanto 
lettei^almente  quanto,  lo  permettevano  i  mezzi  e  l'indole  del 
rispettivo  dialetto.  Se  talimo,  óosi  nelle  due  prime  Parti ,  ooiie 
in  questa,  ha  talvolta  deviato,  il  maggior  nùmero  per  altro  si  è 
serbato  fedele ,  e  ne  rendiamo  pùblicbc  grazie  di  nuovo  sì  agli 
uni  .bbe  àgli  altri.  Alcune  discrepanze  nella  forma ,  lungi  dal- 
i' èssere  imputate  ad  infedeltà  del  traduttore,  dèvonsi  attrìbalre 
solo  air  Indole  ie\  dialetto,  od  alle  consuetudini  del  luoghi.  Il 
servo ,  p.  .e. ,  pafla  col  padrone,  ora  in  seconda  persona  singo- 
Ine,  ora  plurale,  ed  or<a  in  terza  pej^onà,  giusta  l'uso  del  pae- 
se, al  quale  non  può  il  traduttore  derogare.  Lo  stesso  dicasi 
dei  rapporti,  tra  padre  «  figlio.  Avvertiremo  ancora,  che  la  mo- 
dèstia, di  parecchi  traduttori  non  ci  permise  di'publiearte  il 
pofue  a  piedi  della  versiokiQ  rispettiva,  pomo  avremmo  desiderato 
poter  (are  per  guarentigia  comune. 

Per  ùltimo  abbiamo  coordinato  tutte  le  versioni  sulla  .norma 
dell'esposta  classificazione,  facendo  precèdere  le picmonCeit  alle 
WM\mi^  e  queste  alle  motiferrìn^  Cosi  {)ure  le.  urbane  prece- 
dono  le  alpigiane  in  ciascun,  gruppo. 


DULBTTI  -PEOEMONTA^I. 


t(05 


Dialetto  Torixf.se. 


if.  iin  òm  a  Pavia  doi  fioi; 

ft.  Col  pi  giovo rà  dit  a  so  padre: 
dèaie  la  pa^t  di  beni  4:h'a  m*  luca;  e 
ebièÌKl^  cui'liCDl  fa  fàfae  dee  pari. 

fls.  E  da  lì  a  pochi  dì  'I  flol  pi  gio- 
vo, buia  ansèni  tut  cui  ch^^  Pavia 
tire  di  »ò  behj,  s'.è-andàsne  ani'  un 
|iMlODfiin,'e  là  oinànd  una  vita  os- 
sÌ«Mielu8uri08a,  a  1*^  dllapidà'l  fatsò. 

14.  E  dop  d'avéi  consuma  iiii  lo 
filila  Taxia,  venia  cVanÌ*cu1  pais  a] 
nana  unte  fatoina  die  pi  fiere,  e  che 
chièi  'comensa  a  manche  del  neces- 
thri;.  .  •    '      ■ 

m.  E  ve  dasse  ardriss,  e  s*èagiu- 

atasse  al  servissi  d^un  sitadìn  d*  cui 

paia,  eh'  a  V  à- mandalo  a  na  soa  cas- 

sImi  con  Vimpi^  de  mnè  i  pors  an 

.pastura. 

la.  E  a  desiderava  d^eHipIsse  la 
pansa  d'  9UÌ  agiant  istèss  ch'i  pors 
a  mangiavo;  e  J'era  gnun  eh' a  1  por- 
téissa. 

.  17.  Ila  anfin  anlrà  'ni  se  stess  Pà 
dit:  Quanta  geni  salaria  A  cà  d'  nir 
l>adre  Pà  d'  pan  «in  abondaiì^dr,  e.  nii 
•aon  SI' elfi  moire  d*  fami 

18.  L'è  lemp  chM  m*  leva  da  sì,  v 
chM  vada  da  me  padi*e,  e  ch'ìj  dia: 
Padre,  mi  i'  o  pcfà  contra  '1  aìél  e 
an  vostra  prqseiisa  : .        •    ' 

IO.  I  son  pi  nén  dégn  d'e^tse  cianisu 
vosi  fidi:  acelème  coui'ùn  di  vostri 
aervitùr. 

ao.  E  alvandse  sii,  l'è  vnù  da  so 
padre^Ma  già  sV  |K>vr  fidi,  Irovauése. 
giiimal  vsìn  a  la  cà  d' so  padre,  chial-sì 
rha  vdùlo,  e  piit  da  la  compassión 
j' è  corife  anconlra,  P  à  ambrassàJo 
e  basalo. 

21.  E  'I  fìòl  j*à  dìji;:  Padre,  mi  i'  ó 
pccà  cohtra  M  siél,  e  an  vostra  pre- 
sensa:  son  pi  nén  dégn  d'esse  cianià 
vosi  noi. 


29.  Ala  so  padre  Pà  dit  ai  so  ser- 
vilór:  Tira sfiblt^fòrala  vestai'pì  pres- 
siosa  ebiìièila;  bulèie  so  anèi  ant'et 
dì,  eaussèje  I  stivalét:    . 

SI.  E  mnè1ne«ì  un  vllèl  bih^rass, 
massèio,  e  -fé  eb^  la  Susina  a  branda, 
ch'a  j  sia  fin  disnèè'un  tratamént  da 
nosse;-  .  ;      <       1  ' 

94.  Pepchè  Sto  Biè  ftdl  l'era  oiart, 
e  rè  toma  a  vive;  tf'era  perdGsfte,  e 
P  6  tomàio  a  trbvè  :  €  s' son  -b&lasie  a 
tàula.  '  - 

2«.  Ma  n  fiSl  pi  vèj  Pera  an  cam- 
pa'gna;  e  vnènd  vers  cà,  qùaiid  «  n^è 
st|ine.ystn,  Pà  sentù  jch'a  a'  sofiava, 
e  ch^a^s'  baiava.    * 

26.  L'%  clainà-an  di  8ervUòr,«e  a 
P  à^interogàlo  del  perdbèdVla  novità? 

97.  E  chial-sì  j'à  dìje:  Vosi'  fralAl 
Pè  vnu,  O'Vost  patire  Pa  fait  nasse 
ihì  vitàlbln  angrnsftà,  perchè  Pà  rlr 
f  flperàlo  san  e  sulv. 

ss.  A  sii!  parole-si  Pè  andàit  an 
colera,  velia  pi  nén  ItUrè  'ni'  cà.  Per 
lo.  so  padre  sqrliènd  chièl  istèss  a 
s*é  fas^  a  preghèlo  d'  vorèi  tntpè. 

90.1lla'l  iiol  rispondèndje^ij'à  dìje: 

)Son  tanti  ani  cbM.V  servo,  e  P&jliat 

Irasgredi  utv  di  vostri  órdin»  i  voi 

m'avi  mai  dame  un  c'ravót  da  fé  un 

ragosio  con  1  ine  amìs. 

■  90.  Ma  apena  vnit  sto  vosi  (Idi ,  ch'a 
Pà  divorà.'l  fai  so  con  d*  fóninie  d' 
mala  vita',  1  fé  masse  pr  chièl  -un 
vHcl  biuangrassà. 

31. -Ma  'J  padre  a  j'à  dije:  Me  car 
Ool,  ti  V  SOS  sempre  conimi,  e  tùt 
lo  ch'a  Pè  me,  Pè  tò. 

32.  Ma  bsognava  de  un  gran  past, 
e  fé  n'arjioisansa,  perché  to  fradòl  lo 
chcrdia  mori,  e  Pò  tornalo  a  vede 
vìv;  Pavia  perdiilo.  e  Pò  lornàlo  a 
Irò  ve. 

IS.  N. 


»06 


PARTB  TBRZA 


Dialetto  Astigiano  {Pieniontexe). 


ll.ija  to  ravìà  doi  Adi; 

12.  E  '1  pu  gfòvo  a  ì'k  dfl  t  so  pa- 
ri: Pari,  dèmte  un  p6  là  mia  parl;*e 
'l-parha  rà  ditii  le  soAlansefra  lor. 

U.  Da  lì  i  (lochi  di,  easènà  iutli' 
raduna,  'I  pd giovò  a  l'è  parti  p«r 
un  paia  lonlàn,  «  Jà  a  rà  dissipa  la 
tua  part,  vivènd  lusuriosaménL 

14.  Doi^che  ràvlrp5i  oònsumà  Uilt, 
ani  eoi  pan  a  J'è  vnQc  oa  ifrairfain, 
e  chièi  rà  comensà  a%'èj  d'  bsògn;  ' 

15.  £  rè  andàt  a  siè  per  servi lór 
»'cè  d'ùii  d'  cui  pais,  dal  qual  Ve 
alai  manda  aa  campagna  an  paslurf 
ai  crln. 

le.  ChièI  al  sercavy  'd'cmpbie  la 
piiisa  di  glandr,  ch'a  nangiavo  lor; 
am  gnfin  a  ]  na  dusia, 

il,  Aniora  loriià  ani  se  stess  a  rà 
411:  Quinta  geni  d'  servissi  *an^  eà  d' 
me  pari  alK>ndo  à'  pan  ^  'e  mi  ^ut  a 
mor  d' la  fami  . .  .  •  . 
.  18.  Andrd  dunque  da  me  pari)  'e 
a  j  diro:  Pari,  mi  jgià  i*  5  fai  mal 
avanti  al  siél  e  avanti  a  voi; 

i0.#GÌà  mi  son.pu  néndégn  che  a 
.m'  clami  vosi  Adi:  fami  com'  un  di 
vosi  servitòr. 

.  SO.  E  ausàndfi  a  l'è  'andai  tla  so 
pari.  A  l^era  ancpra  lonlàn,  quand 
sé  jMfi  rà  visi>,  e  pia  da  la  compas- 
sión  a  j'è  corrùje  'ncontra,  l'à  am- 
brflsièlo  aniòrn  al  col ,  è  rà  basalo. 
,21.  E  '1  fidi  a  rà  dije:  O.pari,  mi 
V  ò  pecca  centra  'I  siéi ,  e  voi  ;  già 
son  pu  nén  dégn  cfa^a  m!  clami  v<nt  fidi. 


12.  E  'I  pari  dUal«ervil6r:  Pr^st  « 
porte  la  vestimenla  po^bela,  e  veslil^ 
subii:  butèj  l'anèl  ani 'I-di,  e  le  acarpa 
ani  i  pè; 

23.  Une  prèsi  fin  vktèl  grasa,  e 
massàio:  mangièai^,  e  dòmsr  fin  pasl^ 

24. Perchè  cust  me  Udì- a  l'era  neri, 
ere  risuscita;  rera  perì,  a  Pè  stai 
trova;  je  as*  son  butàse  a  mangia. 

2]i.  El  fifil  pu  vèj  a  reria  an  eali- 
pagna;  tornànd,  e  Irovàndsl  vaia  a 
cà,  a  rà  senti  la  musica;.  • 

2e.  E  a  rà  ciaroà  '1  perchè  -a  'b 
senildr? 

27.  Costruì  J' à  diie:Tò  fradèia  rè 
lornà,  e  tè  pari  rà  fai  masse  un  vi- 
dei ,  perchè  a  rè  toma  a  cà  san  esalv. 

28.  Cust  fidi  rè  andai  an  còIra,  e 
*ì  voria  nén  entrè.  86  pari  aniora  fé 
vniye  'nconli^a,  e  lo  pregava  ch'à 
l'entrèissa.  .  -^ 

29.  E  chièi  a  j  à  responduje:  8ob 
tanti  ani  che  mi  a  v.'  serv\  e  J  5  msi 
disubbidivi;  e  voi  a  m'èl  mai  dànl 
n'agnèi  da  mangia  con  l'mè^mit; 

so.  E  dop  che  cust  vosi  floi  che  s 
rà  divora  la  soa  pari  con  le  dona  d' 
móod,  are  torna,  a  J'èi  massa  Sa 
grass  videi. 

81.  Anlpra  '1  pari  a  J*à  diJe:  Scint, 
me  fidi •  il  a  r  sès  sempre  con  mi,  e 
tuli  cos  a  mi  posséd  a  l'è  tè;     . 

52.  j^.bsognav^  però  de  un  past, 
e  sic  alléglier,  perchè  tè  fradèì  a  l'en 
mòri,  e  a  rè  risùscilà;  l'era  perdfissi, 
e  r  a vóma  trovalo.  , 

N.  N. 


DiALrm  peDs«OMTA:ii. 


507 


.  DULETTA  DI  FOSMHO. 


Ifi.-Va.òm'a  Tavia  dai  fidi; 

It.  k  'l  pi  gCóvo  a  J'a  dite:  Pare^ 
iène  1»  mia  pari  eh'  a  m' vea;  e  '1 
^ra  a  l'à  fàit  le  pari. 

f  s.  gualcii'  fi  dòp ,  a  8*è  iindàsne 
*nV  uo  pai»  ben  lonlin,  e  a  J'è  pa 
odlje  vàlfe,  eb'a  t'à  fàil  «aplé  tùt, 
itandonàiidM  a  ogni  sort  d'  pia3L 

14.  Ma  qnandfa'  rà  a  vii  tkìi  prà 
ndld'  quanr  a  l'avi^,  a  ]*è  vnuje  una 
\àm  ani'. cui  paiSf.cb'  faèìa  orùr^  e 
ebièl  balìa  U  grangia;   . 

Itt.  Es'èagiùstassecon  un  proprie- 
tari d'  cui  pafs,  eli*a  l'i  piandàioa  la 
tm  cassiaa  a  guarnè  i  crin. 

fèiX  a  Tavria  yulsùsse  empi  la 
paitfa  d^-CMlé  giéndr  9h*a  mangiavo 
I  aniinài;  ma  J'era  'nsùn  di*a  J  na 

déiaaa. 

17.  ailomà  'ni  tè  sIom  a  l'à  dit: 
Oonatl  arvitòr  eh'  'nr  cà  d' me  pare 
a  inangio.lanl  ch'a  s'  lu  lucco,  e  mi 
I  nor  d'  faro  ! 

18.  Su  dùnque,  i  'ndarò  da  me  pa- 
r^^  e  j  diro:  Pare,  i'  ò  pcà  centra  'J 
lièi  e  conlra  d'«va; 

li.  I  son  pi  hén  degp,  eh'  a  m' dio 
voal  051;  bùlème  'n  r  *1  numer  di 
vosi  ri  servitór. 

to.  Dil,  fàit  E  a  l'era  ancor,  bin 
lontàn,  quand  so  pare  al  Tà  visi,  e 
pia  da  la  compasslén  j'è  cura  'neon- 
tra,  é  il  finìa  pi  né^  d'  l^Msèlo. 

ti.  E  nudi  a  j  à  dije:  JPare,  i'  o 
pcà  contra  '1  siél  «  ^onlra  d'  vu;  i 
Bon  pi  uén  degn  eh' a  m' dìo  voajl  fidi. 

SS.  'Nlora'l  pare  a  Pà  clama  i  srvi- 
lòr,  e  a  j'à  comartd^ie  d'  porte  subii 


< 

ràbil  eb'a  Pavia  prima;  d'  vaino  , 
d'  bfime  Panel  .*nl'  1  dì ,  ?  le  acarpe 
'nPipe; 

28.  Ifdè  'nr  la  alala,  aoglui^a  'r4MÌ- 
re,  pie  un* di  pi  bel  vilèl,  maaaèlo, 
e  cb'J  alago  aì^ben   . 

U.  Prchè^mé  fiol  Tara  mori,  e  Té 
risùsiU;  a  Pera  pera,' e  i  P6  Irovèlo: 
e  a  Piin  bùia  I  pè  sui  la  làu.lfi. 

su.  'NI  cai  mentre  '1  051  fi  vèi. 
eh'  l'era  'n  campagna,  a'  na  lurOa  a 
cà,,e  acni  eb'a  a*. sona,  e  aènl  ch'a 
a'  baia. 

se.  infècoga  un' di  srvUòr,  xosa 
v5l  di  lU'li? 

S7.  'L  arvilór  aj  rapónd:  Voaì  frèl 
l'è  turnà  a  rà,  e  yoat  pare  vok  ale 
at^ber»  prcbè'cb?a  Uim^  M  casi  si. 
.  sa.  Scnitt  lo  eh;  Pera^rt  )  è  viiì^e 
'1  fui, .e  a  vulìa  pi  P^  e»lrè  'ni  cà. 
Dunque  'i  pare  Pà  dovu  sìirli  fmil» 
e-  preghèlo  ch'a  intréisaa. 

so.  Ha  'I  fio  pi  vèi  a.diaìa:  (Kf^fc, 
a  soii  tanli  ani  eh'  i  v'  servo  ,  ^  P  5 
mai  dsuhidive.'nl  nienle  :  e  voi 
m' ève  mai  dame  un  beoo  #  pr  sta  'n 
pòc  ailégr  con  i  me  ami»; 

30.  'Nlànl  probe  eh'  s'  i^rd  V  f^  « 
Pè  mangiasse  (ul  a  mal  m549  9  a' è 
lurnàsne  a  eà,  voi  J  fé  massf  '1  pi 
bal.vilèl. 

3i.  Ma,  M  me  fio*  j'à  ^pósl  1  pare» 
U  èìn  nén .sèmpre  con  mi,  e  lo  eh' 
Pome,  alo  oén  luì  tò? 

.SS.  CusUsì  poi  a  Pera  morl^  e  ir  Pè 
riaùsilài  a  Vera  perji,  e  i  Po  truvàJo; 
vuslù  nén  ch'i  lassa  un  po'  d' festa? 

Teòlogo  Ciò.  Bosio. 


508- 


PARTE  TEMA 


IHaietto  ni  Cirxro. 


-  fi.  Un  òbr'a  l'à  tvu  dof  fidi: 

flit  E'ì  pi  glUYo  d'  «usti  a  rè  dìf 
al  pare:  Pare,  dèmela  mia  part^  e 
cblèl  J'à  dàje  lo  eh' a  j  locava. 

'18.  Ì>a5sà  quale  dì,  radunasse  lui,. 
M  floi  pi  s^uvo  s^è  parlisne  da  cà  pr 
d'  pais  lontàn  ;  e  a  l'à  mangia  M  rèa 
so  imt'  le  ribotfe. 

fl4.  Qoand-  l'a  avu  con^^ìintà  lul^ 
J'è  vnfije 'òr  cui  pais'na  carestia^ 
e  chièl  Vk  comcnsà  pati  la-fan; 

fltt.'E  rè  andàsne,  e  3' è  ginsfàMe 
con  'n  fitadin,  cb'a  Tà  mandalo  a 
9ÒB  campagna  a  goernè  f'par».  , 

flft.  E  l'avrìa  vufsùsse  pare  la.fa'm 
coki  d^agt&n  dfa'ì  crini  mangiavo,  e 
pndia  gnMC'a'vèiop. . 

fl7.  Toma 'nt  sé  stesa,*  a  Vk  dtt: 
Quante* prstne  d'  servissi*  ànr  la  cà 
d*  mi  pafè  l'&n  d' pan  fin  cb'a  volo, 
mebtre  eh'  mi  sì  I  mor<r  d' fam.f    ^. 

fl8.  Ab!  i  partirò,  j'.andro  da  me 
partf  j  e  {•'diro:  Pare^  mi  i'  d  manca 
centra  'I  ccT,  e  contra  d'  voi. 

fl9k  I  son  pi  ncn  dégn  d'essi  ciamà 
vostflol;  pième,  cuni  lia  VoMa  prsofia 
d'  servissi. 

io^  E  aussàndse,'S'è  andàsne  da 
so  pare;  e  mentre  cb'a  l'era  'ncù 
lontana  so  pare  Vk  cunosùlo,  e  }'à 
fàje  compassióne,  ecoréndJe''ncontra 
l'à  ambrassàìé  e  basalo. 

51.  E  '1  floi  J'à  dìje:  Pare,  mi  V6 
manca  coqlra.'M  cel,  e  centra  d'  voi; 
mifitp  pi  nén  d'essi  clama  vosi  fiol. 

52.  E  'I  parcl'*à  flit  mi  ikìmhììt: 


j  Prcst  lire  fora  'I  vesli  pi  bef,  v  bù- 
Ièlla;  d^  l'anèlant'ldi^ecaunièl» 
dcò  bln. 

ss.  P5i  pie  'n  vilèl  bln  grass  •  ma»- 
scio^  voi  cb'i  slago  ajègbert 

Si.  Prcbè  9to  flòl  l'f»ra  morl,.e  Tè 
arsussilà;  J'era  pi  nén,  e  L'è  lomà;e 
a  s'è  fasse^nn  beni  past,  e  a*è  oikii- 
glasse^,  '   . 

2»."L  (151  bi  vèl  l'era  'n  campa- 
gna; tornànd  a  cà,  qoand  Ve  siate 
vsìn,  a  rà  senti  '1  tapage;    • 

26.  E  l'à  ciamà  a  'n  servHòr  'eo<a 
ch'ar  Tera  lo? 

27.  E  cbièi  j'«  dìjè:  Vo4l  (rèi  4^è 
torna;  e  vosi  pare  Pà  fèit  masse  'n 
bel  vilèl  grass,  priehè  eh*  l'è  lomà 
san  e  ardi. 

28.  Mora  slo-si  l'è'ndèit  an  còle» 
rà,  e  vulia  pi  non  'ntrè.  Ha  '1  pare 
rè  sùrtì,  e  l'à  comctisà  a  llreglièf». 

29.  E  l'àut  l'à  dit  a  so  pàfe:  Mi  l'è 
lanli  Vi^iì  ch'i  v*  servo  sensn  mai  avci 
manca  n'  et,  e  j'é%'e  mjii  dame  'a 
cravót  da  mangèmlo  con  i  me  amis; 

30.  ^lenire  ch'a  (mna  vjifi  sto  voJkt 
fidi  ch'a  l'à  mangia  tùt  M  fèit  so  eoa 
d'  bagasse,  j'  ève  subii  fèit  masse 'a 
vitèl  grass. 

Si.  E  '1  pare  j'à  dije:  O  me  idi, 
ti  t'  ses  sempre  con  mi,  e  lo  ch*rd 
mi 4  l'è  tò; 

82.  Ma  baogInavaMn  Irate  e  fé  fe- 
sta, prcliè  slo'iò'frèi  l'era  mort.  e 
l'è  arsuftsità:  Vera  prdusse,  e  a  Tè 
torna.  ■ 


Teòlo(;o  r.ALio  ranòniif). 


4)1  A  LETTI  PRnElllO!<ITAi^l. 


S09 


Dialetto  di  Car\6lio'^( Valle  della  j^tara.  pfov.  di  Cuneo). 


fi.  ÓiKÒm  Pavia  doi  flòi; 

ti.  'L  t)ì  giovo  di  doi  Vk  dilal 
pare;-  Fare^  *  dème  lo  eh'  a  to'  vèn 
d' Bla  part:  e  1  pare  l'à  divis  e  j  a 
dlje  Ip  ch'a  j  toccava. 

IS«  E  da  li  a  quale  di,  butà  ^nsèm 
tnU  M  fili  8À,  M  flòl  pi  giovo  8'  0'  par- 
tUne  pr  iin  pab  loiitàn,  dov  l'à  fall 
pri|  net  d'tutt  thn  \lveda  spenskrà. 

14.  E'dop  d'avél  fogolià  tùtt,  a  j'è' 
fiiQje  na  grikin  carestia  'o  t'  col  pais, 
•  ehièl  rà  comensà  a  pati  d'  faoij 

Itt.  E'  a  s'è  andasse  a  fltè  da  '^ 
•gnór  d'  cól'pais,  e  cost-sì  rà  man- 
dalo A  sQa  «Campagna  '»  pastura  ai 
crJB. 

ié,  E  l^via  vdja  d'empisse  la  pausa 
d'agiàfld  ch'a  mangiavo  i  pori»  e' 
gnuo  a  j  n'  dasia. 

17.  «a  torna  *n  t'  chfèl,  a  l'à  dit: 
Quanti  salaria  a  cà  d'  me  pare  a  l'àn 
d'  pai^  'li  fin  ch'a  volo^  e  mi  i  don.  si 
ch'i  moiro  d'  fami 

18.  I  m'  ausro.e  i  andrò  dame 
pnre,e  l>dird{  Pare,  io  fàit  mal  cod- 
ini '1  cél  e  còjatra  vue; 

49.  ^n  pi  nén  dégo  d'essi  ciamà 
▼ostr'  fiol:  Inìme  pr  un  di  vostri 
•ervitór«  •    . 

50.  B  aussàndse  ì'c  étidàit  da  «ó 
pare^  e  mentre  l'era  ancor  Jontàn, 
80  pare  l'à  vist,  e^j'à  fàje  eoropas- 
sión,  e  corrèndje  'n  contila  s'àcam- 
pàsaje  al  col  e  l'à  l>asàlo. 

St.E'Ifiolj'à  dìje:  Pare,!  ài  manca 
conir'  'I  -cel  e. centra  vue;  son  pi  nén 
dégn  d'essi  ciamà  vostr'  fidi.     . 

92:  Ma  'lutare  rà  dit  ai  so  servi- 


lór:  Porte  fitlo  'I  pi  bel  vesti,  e  bu- 
tèjlo  adòs,  cbulèii  l'aoèl  'n  i'  (\  «le 
e  le  scarpe  'n  i'i  P^* 

28.  E  mene'M  Vllàt  gras  e  maBsèlo  ; 
»mJingeròma  e  slaróma  aléghcr; 

21.  Perché  co8t  me  fiol  l'era  mori 
e  a  Pé  risiissili;  •l'.era'pers,  p  s'è 
truvasse:  1»  lUn  comensà  la  fé  al- 
legri^.- 

(2tt.  Ha'l  fiol  \A  vèj  era  'n^ampa* 
gna;  e  tornàndne,  e  avslnàndse  a^cà 
rà  senli  la  mijsica  e  1  bai.   ^ 
'    26.  E  U'à  clama  a  iin  dt*serv4lór» 
'e  l'a  interogàlo  cosa  fussa  lo? 

27.  ET  servitór'j'à  rispèsi:  Vostr» 
fròi  rè  torna;  e  vo^tr*  parei'à  ma^sà 
iin  Vilèt  gras,  perché. ch^  Vk  tomàio 
ria  Vài  san  e  8«lv-. 

.  28.  E  chiel  l'è  andàlt  'n  còllera  e 
tolia  nln  ahthè.  Ma  'I  pare  sorliènd 
d'  fora  s'è  bu tasse  a  pregbèlo. 
*  '  29.  0a  chièi  'n  risposta  l'à  dit  a  so 
parei .  béichc  'n  poc;  a  l'è  tant'  iifv 
pes  chM  v'  servo,  e  1'  ài  mai  marfeà 
al  vostr  comànd:  e  m'avé'  mai  dame 
un  oravót,  perch'  m' IO  godéisa  cori  i 
me  «nis.  .    '     "  * 

50.  Ma  da  p6l  ch'.l'è  voO  sto  vostr 
fidi  ch'à  s'è.  mangiasse' M  fàit  so  con 
le  fomne  d'  mond,  l'ave  massa  pr 
ehièl  nin  .vilèt  gras. 

51.  Ma  '1  pare  J'à  dìje:  fiol,  ti  sds 
sempre  con  mi«,  a  Io  ch'.a  l'è  me, 
l'è  tò. 

52.  Ma  poi  Iwtognava  b^n  ^lè  alé- 
gher  e  inangiè'ben,  perché  cosi  to 
frèl  l'era  mori,  e  a  l'  è  rlsihsilà; 
l'era  pcrdù,  e  s'è  tornasse  truvé. 

Prof.  D.  C^RTÌi  e  !>.  I«oardi. 


»iO 


PARTE  TGRX.4 


xDuLrrro  di  Ti«»b  (VahleM). 


'it/Un-òiD  avia  dui  Al; 
li.  E  lu  pi  giavu  di  a  sl^  pare: 
'  Pare,  ti  une -me  la  part  de  ben  che  me 
véli  ;  e  a  li  a  parlagià  adi  l>én. 

13.  E  un  poc  apra,  quasi  lu  01  pi 
gluvu  a  agtt  tul  rabaalà^aieu'èanà 
fora  cni*  un  paia  tdgn:  e  lai  a  Vk  dea- 
sipà  aòi^D  en  vivinlant'la  deabàucla. 

14.  Eaprd  olì*  a  Vk  agu  lui  despeo- 
dil,  una  gran^  fumimi  .è  vet^gua  ente 
quel  paia  )àl^  e  a  l'è  areatà-cun  rèn 
dar  tul. 

.  Id»  Alùra  ft  se  n'è  anà,  e  a  a'é 
buifà  à  palrun  cun  Qn  di  abilanf 
d'aquél  paia,  elie  rè  manda  enjl  adi 
puaaèaa  per  gardà  li  pdrc. 

16.  E  a  deairàva  de  raaaasèsae  de 
le  (ave  che  lì  pòre  magtièven;  ma 
gnun  gliene  donava  pa. 

tT.^ianaman  com'a  rè  arvegnii 
a  se  latèaa,  a  l'è  dil:  Che  de  manuèl 
a  ]  è  a  la  ce  de  me  pare,  ch'èn  de 
pan  fln  ch'i  vùlen,  e  mi  moru  de 
fan\l 

18.  Me  leverei,  e  me  ne  vau  pòi 
da  me  pare^'  e  li  din  poi  :  Pare.,  ài 
pece  eunlra  lo  ^icl  e  contra  \ù\ 
'  11K  E  slu  pa  mai  dégn  d'esse  de- 
manda to  fli;  tratte-m^  com'ùn  de 
toi  manuèl. 

20.  A  s'è  duRcra  leva,  e  a  T  é  vcngu 
da  aò  |>aré;  e  mentre  eh' a  l'èra  anca 
logn,  so  pare  l'è  visi,*  e  a  l'è  i«lè 
tucà  de  cumpasiiùn,  e  curànd'a  él, 
a  s'è  tape  a  so  coi  e  rè  base. 

SI.  Ma  lu  filile  djt:  Pare,  ^ì  pece 
eunlra  lu  si^l  e  de  veni  tu;  e  slu  pa 
dégn  che  tu  me  die  lo-  lil\ 

82.  E  lu  pare  di  è  sol  servitù: 
Purlà  la  pi  bella  vislimeiita,  e  bù- 


lagliela;  bùltè-li  un  ancl  ar  de,  e 
4t  aearpe  ai  pé; 

28.  E  roenè-me  ai  la  vèl  graaa,  t 
maaaè-lu ,  e  ialéma  allégre  Vn  mio- 
glà'nt-lu  ; 

21.  Perchè  me  111  chf*a  Tlé-ai,  era 
mori,  ma  a  l'è  arsiiacltà;  a  l'èra 
perdu,  ma  a  l*è  arlmvè.  B  f  se  am 
bSttè  allégraméol  a  mlnglè  e  beare. 

2g.  Manamèn  la  di  pt  vegl  era  ai 
ciamp;  e  com'aae  n'en  lume  va  e  ch'il 
l'appruciava  de, la  ce,  m  l'à  odo  la 
mùaica  é  la  bai. 

2«.  Ba  l'è  deinnnda  Qn  di/aenrltè, 
e  jè  apiè  aò  che  Pera?* 

27.  E  que'  servila  gli  di:  Tè  friire 
evenga,  e  le  pare  è  nMaà  |a-vèl 
graas,  perehè  eh' a  l'è  lomè  Iravè 
san  e  aarv. 

28.  Ma  a  a'é  butte  en  culto,  a« 
rè  pa^vnrgu  Iritrè;  e  so  pan  di*! 
poi  sii^rli  lu  pria  va  d'Inlrè. 

29.  Ma  a  l'è  respondu,  e  dil  a  sé 
pare^  Bùcè^  la] è  tfnii  ènn  che  te 
servu ,  e  glamèi  ài  dusnbeì  e  I5i  èff^ 
dine,  e  pura  tu  m'ès  giamèL  dune  Aa 
ciabri  |>er  Iste  allégre  ensèm  a  mèi 
amìs: 

80.  Ma  quanl  quesl-si,  to  fil,  th*k 
mipgiè  tò  6én  cun  de  done  de  cai- 
iiva  ^ita*,  è  vengu ,  tu  II  èa  ornale 
lu  vèl  graaa.  * 

SI.  E  lu  pare  gli  dì:  Me  ear  fi1»  ti 
sie  sampre  ensèm  a  mi ,  e  lui  omÌ 
ben  son  tòt'. 

8«.  Vantava  ben  Islè  allégre  e  ar* 
légràssc,  penile  che  qiiest-at,  lo  f  rèi- 
re,  èra  mori,  e  a  ré  -arauscilè;  a 
Tcru  perdù,  e  a  s'è  artruvà. 


PiLTRo  Bert,  minislro  valdese. 


DUtrm   PFOEMO^TA^I. 


511 


Dialetto  di  Lanzo. 


flfl.  An  serrom  a  l'ava  doi  H; 

15.  E  'I  pi  giùvu  d' chili  a  j*&  dit 
al  paté:  Par«,  dème  la  poraiónd'la 
roba  fb'a  m^  viti;  e  cbiài  a  ]  à  spartie 
la  roba. 

19.  E  da  lì  a  càie  dì,  M  fi  pi  giù- 
vn,  btfponà  tut/glrànd,  a  rè  andai t 
ani  an  paìs  logn  logn,  e  là  a  Vk 
ifbe|rii  lui  M  fati  si;  mn&nd  na  vita 
da  doabàn^.  •  ' 

14,  E  dop  che  chiài  a  l'à  mingià 
tSl,  ant  cai  paìs-là  a  j  è  vnqje  'na  gran 
car'alifei,  e  chiàI  a  rà  comensà-avéi 
Ifiòf  n  d'  lut 

IS.Ea  l'èAndàit^cas'èarcomandà 
a  'a  s'gnór'd'  cai  paìs-là.  Cai  s'gnór 
u  Vk  mandalo  a'na  sua  grangia  a' 
laryliè  i  pors. 

16.  E  a  J  locava  mingià  Tagiàn  ch'a 
Binglavo  H  stessi  pors^  perchè  là 
gnvn  a  j  na  dava. 

17.  Artornàtid  poi  an  sé,  a  s'è  dil 
tri  chiài:  Quanti  srvilór  a  cà  d'  me 
pare  a  l'àn  da  mingià  fin  ch'a  volan. 
a  ni  poi  sì  i  moire  d'  fam! 

f  ^  I  sautro  su,  andrò  da  me  pare, 
e  J  dirò:  Pare,  ì'ài  pcà  contra  '1  siél. 
e  an  faccia  a  voi; 

fO.  Già.i  son  pi  nin  degn  d'  eia- 
marne  vost  fl;  fé -con  mi,  comparisce 
eoa  un  di  vosi  srvilór.  ' 

ao.  E  ausàndse,  a  vin  da  so  pare; 
a  eom  chiài  pòi  a  l^era  ancàu  asse 
logn^sòparea  l'à  visi;  la.conipassión 
ara  pialo,  e  corrèndje  ancontra  a 
I  à  aaulàje  al  coi,  e  a  l'à  basalo. 

ai.  E'I  fiòlaj  à.dil:  Pare,  i  aipeà 
coBtra  '1  siéL  e.  aii  faccia  a  Voi  ;  già 
i  son  pi- nin  dégn  d'ciamàme  vostfl. 


82.  'L  pare  a  j'à  poi  dit4i  isò  sr- 
vilór: Porte  presi  1  pi  bel  visti,  bu- 
tèilo:  bùtèje  n'anél  ant'i  di^  e  d' 
scarpe  al  pè. 

.SS.  Ande  a  pie  'i  veilàt  pi  *  bel  • 
masséto,  i  mingirùma,  slarùma  àie* 
g|>er; 

84.  Perché  cosi  me  fla  l'era*  mori, 
e  a  l'è  arsuscllà;  Pavia  perdù,  i  Tài 
trova.  E  a  s'  sur  bfkàsse  a  fé  ribòta. 

8tt.  .80  fl  pi  vél  a  l' era  pdi  ant  'I 
camp,  e  cum'  a  T  è  vnù ,  e  a  s^è  auvsi- 
nàsce  a  cà,  ara  sentì  a  canià  e  a 
sona. 

se.  E  a  l'à  clama  a  un  di  so  srvi- 
lór, e  a  l'à  anterogà  cos  fuss  tut  so-sì? 

87.  Gost-sì  aj'dis:  Tò  (rèj  a  l'è  vniì, 
e  tò  pare  a  rà  massa  '1  pi  bel  veilàt, 
prchè  a  rè  totna  a  cà  san. 

48.  A  j'è  saqlàf'i  fut^  vol^  pi  nin 
antrà  an  cà;  a  J  è  surtìe  dune  '1  pa- 
re,, e  a  rà  ciamà. 

29.  Ma  chiài  r'spondéndje  a  J'à  dil 
al  pare:  Eco,  da  tanli.agn  mi  i  v^ 
servu,.1  è  mai  nin  dsubidi  à  'n  vost 
comànd,  i  m*èi  mal  dàil  un  era  vói 
p'r  ch'I  féissa  pa  riboia  con  i  me  amìs. 

80.  Ha  dop  che  cost  vost  fl,  eh* a 
l'à  sgheirà  tut  'I  fàit  so  coh  d* lestras- 
sone,  a  Tè  vnQ,  j'éve  massàje  ^^  veilàt 
pi  bel.  »    • 

81.  E  cbiàl  a  J'à  d^e:  Fi,  (1  i  t' 
sès  sempre  con  noi,  e  tut  a  l*è  tò. 

29.  A  cuvnèt  dune  sta  alégher,  fa 
d'arginvissanse,  pìrché  cost  tò  frèi  a 
rera«inort,  a  Tè  arsuscità;  -a  Pera 
spèra,  a  Ve.  trova; 

N.  N. 


ìii^ 


PARTE  TEIIKA« 


Dialetto  di  Cório. 


11.  Un'òm  a  Pavia  duh  fi  ; 

12.  'L  pi  4*it  a  ì^à  dit  a  so  pare^ 
Pare,  dame  la  part  d'i  beni  eh' a  iH' 
vèn.  *£  rliièl  a  l^a.fàl  le  due  part. 

|S.  ìì'  lì  aquarch'  dì,  M  fi  P^  Cìì 
ciop  avèi  'mbaranà  'I  fSt  so  a  Té  'ndàl 
'n  t'  un  pais  da  lt>ns  da  lons,  ea  l'à 
sghàra  tul  'n  P  le  desbàucie. 

I  i;  E  dop'ChHi  Vh  avù  lut  cunsiinià , 
a  j.'  è  stàt.^nl  cui  pais  na  gran  care- 
stia,  e  ^hlèt  l'à  comensà  a  mancar 
''d  ^ò  bsògn. 

t».  E  a  l'è  ''hdat,  e  a  s'è  flcà  a  cà 
d  .*n  sgnùr  d'  cui  pais,  ch^al'l'à 
manda  a  na  sua  grangia  a  guefnàr  i 
pors. 

16.  E  a  Tuia  'mpisse  la  pitfnsa  d'^ 
l'agiint  ch'a  mlngiàvCn  i  pors;  e  a  i 
era  gnun  eh*  a  i  n^en'défssa.' 

17.  Bla  arvgnù  "'nt  chici,  a  J'à  dil: 
lQuent^  lavuràhl  a  cà  d?  me  pare  rb'*a 
ràn  di  pan  fin  ch'a  vùlen,  «  mi  $i 
mòru  d'  fam  !  . 

18.^'ro  levro^eandrò  do  me  pare 
e  j  dirò:'  Pare,  i'6  pcà  centra  Nosgiiùr 
e  conXra  d^ui; 

IO.  I  m^  mèrilu  gnanc  pù  d'c^sir 
cianià 'vo«t  fi;  Iralème  cum'un  d'i 
vosi  servii ur'. 

20.  A  s'^è  aussà,  e  a  He  'iitlà4  da  so 
pare.  E  'nlraniénler  eira  l'era  'ncùr 
da  luns,  so  pare  al  Vk  visi,  a  j'à  avij 
cumpassiùa,  a  j'  è  'ndat  'ncuhtra*,  e 
al  l'à  *m|)rassà  e  basa. 

21.  E  '1  fi  a  j'à  dlt:  Paro,  mi  l'o 
pcà  conlra  Nosgnùr  e  (fOntra  (fui;  i 
m'  mèrilu  pi  iiin-ch'i  m'  clami  vosi  fi. 

22.  KM  pare  a  j' à  dil  ai  sue  ser- 


vi tur:  Daje  villi  'I  vsli  pi  bel,  butàjf 
l'anèl  al  di.  e  caussije  le  scarpe. 

'  28.  Mnè  i  vèl  'i  pi  gMs»;  massaio, 
e  ch'i  mingièo,  e  ch'I  sfasèn  aiéghèr; 

24.  Prché  cust  me  fi  a  Ter»  mori, 
e  a  Pè  arsuscltà;  a  Pera  prdii,'  e  a 
s'  è  truvà.  E  a  i^ao  coniensàr- a  slir 
aléghér. 

28.  "I^  fi  pi  vèi  a  rera'"'n  c«ìii|N- 
gna;  e  'n  lurnànd,  ^ntraménler  cb'a 
s'avsinava  a'cà,  a  Pà*sentì  sanare 
ba1àr>  '  * 

2<(.  E  ^  P  à  manda  un  di  serrllàr, 
e  a  j^à  eia  ma  che  eh"  a  Péra -su  llf 

27.'^L  servitùr,  a  "J'à  respmidu:  A 
fé  turnà  vgni  v^st  f  radei;  e  toiI 
pare  a  Pa  massi  ^n  vèl  grass,  prdié 
ch'a  Pè  vgnu  san. 

28.  E  a  cbièi  a  J^é  vgnu  'I  fui,  e 
a  vififi  nin  'ntràr.  Adùnc  *l  pure  a 
Pé  sorti  fur/  e  a  Pà  cuiilensà  pilli 
à  le  benne. 

29.  Sìa  chièl  a  j  a  respornlQ,  e  dil 
a  so  pare:  A  Pé  già  fertlf  agn^elie 
mi  i  v'  servu:  f  o  sempr  fat'su  eh'l 
nPni  cuiiiandà,  e  ui  m'iii  mai  dal  'n 
cravót  eh'  i  m'  '^1  fuss  mingià  eum  1 
ma  cumpàgii.  '   ' 

.^u.  Ma  a  péin'a  vgné  cust  vosi  fl, 
ch*a  rà  mingià  'I  fai  so  cun  f|Me 
lartuse<,j*ài  niass^prchlèt'l  vèl  griss. 

31.  Ma  '1  pare  a  j'à  dil:'  Uè  car 
fi,  li  Pc  semprcun  oii,  e  tutsonrlì'15 
mi,  a  Pè  dcó  lo. 

S2.  Ma'à  Pera  gìusl  d'  star  alè- 
iJiher,  e  d'  far  fesl^,  prclié  cust  tò  fra- 
dp|  a  Pera  mari»  e  a  Pè  ar>ùscità;  a 
s'era  prtlfi,  e  a  s'è  giuiilèl  truvà. 

AVV.  CLAI'DiotniES». 


\ 


DIALETTI  PEDBIIOPITA:^!. 


»15 


Dialetto  di  Limone. 


if.  Un  omjDì  Tavìa  dui  fìè: 
12.  Lu  pi  7.I1VÌ  dii  chesli  gi  a  diz  al 
piiri:   Pàiri,  dónania  la  pari  eh*  la 
m*  van;  e  lo  pàiri^i  à  dona  la  sua 

BiftÀ. 

13. 1>a  si  tt  pochi'  znrn  lo  fìù  s'è 
liiB  lo  nio  fitòt,  s' n'è  parli  dalla  casa 
d'  son  pàiri,  es'  n'è  aiià  ant  un  paìs 
lian  da  Idio,  e  asì  l'à  faz  anàr  tùz  gi 
M^  iiMiànd  una  vita  dazzàn.  « 

ft.  E  dop  d'aver  consuma  lui  lo 
eh*  l'avia,  ecco  eh'  la  g'è  arrùbà  ùivi 
gran  tareslia ,  e  t^  c'omansà  a  patir 
la  faiD.' 

Itt.  E  sei  s'  n'è  ^nà^  e  ar  s'è  ar- 
comanda  a  un  'sgniuri'da-cal  pais, 
ah'ar  io  prajighessa  al  siu  servissi*; 
a  cheiit  issi  l*à  manda  ani  la  sua  ca- 
Mina  a  gardàr  d'^purchi. 

16.  E  slo  fiè  Pavia  tanta  Tarn,  ch'an 
voiia 'ampi rara  la  trippa  con  kì  ag; 
gféiil  eh'  mahzavu  gi  pure,  e  nisciùn 
d'na  duilava.  • 

17.  Allura  rè  rientra  an  se  sièss, 
e  Vk  diz:  Gaati  servilùr  nnt'  la  casa 
iTon  pàiri  i  gi  àn  da  m^inzàr  fln  al 
eoi,  e  mi  issi  gargin  In  luna^  e  muru 
r  farti  ! 

18.  Ah!  voi  luvarmu  d'issi,  e  airàr 
ila  casa  d'on  pairi^  e  a  gi  tlirài; 
Pài  ri,  uri  ài  pecca  centra  lu  sei  e 
Ioana  ai  vostri  dò; 

«•.ìli  sai  pu  nin  dagn  d'essri  cjamà 
u  vos  fl£;  ma  accetl4ma  ancàra  come 
in  di  vostri  servilùr. 

10.  Sicché  ar  s^è  aussà,  e  ar  s'è 
iveanminà  a  la  oa^a  d'  son  pàiri  :  e 
■enlre  eh' l'era  an  carda  lòin,  lu  siu 
Miri  rà  visi,  la  compassión  Vk  prns 
irg'ècurs  ali'liieonlri^  ars^'è  campa 
il  col,  e  ar  Tà  bai2à. 

SI.  E  io  fidar  g|  à  diz:  Pàiri,  mi  ài 
leccàconlra  lu  sei  «Mlnans  ai  vostri 
)c:  mi  sa^i  pii  nin  da^n  d'ossri  clama 
u  vos  fio. 

SS.  Lo  pàiri  allura  l'à  diz  a  gi  sai  | 


servilùr:  Piest,  biittà  fora  la  \esta 
pi  'bela,  In  pi  bndiula  cir  la  gi  à  an 
l'  la  gardardba,  e  veslèlu  si  ban  da 
festa:  bùnàgi  d'  chiò  l'anèl  a»  l'ai  dà, 
e  gi  zùssVr  nav  anl'l.pè. 

S3.  E  mnà  issi  lu  vàil  pi  grass,  e 
ammassagli,  e  manzàh,  e  slan  alleigri; 

24.  Perchè  chest  min  fio  l'era  mori, 
e  l'è  riscinscità*;  i'era  perdij,  éxrs'è 
trubà:  e  i  gi  àn  comansà  a  far  ff;sta 
e  a  star  allegri.  **   * 

8g.  Jura  lo.  flà  pi  vèò  s'  titubava 
a  la  campagna:  e  mentre  cb'ar  vnia 
dal  zabòt,  e  éh'ars'avsina^aalia  ca- 
sa, ar  'Sani  ch'asi  dins  la  s'  aomiva 
e  la  s'  ballava.    . 

86h  Ar  clama  un  ili  servilùr,  e  ar 
gì  di:  Cosa  gi  àia  d'  nav? 

87.  E  aehcst'  issi  gi  rispònd  :  Devi* 
sai>ér,  eh'  liiMiu  fràlri  l'è  vangu,  e 
lon  pàiri  l'à  ammassa  hi  vàil  pi  bel 
cl)^  f'avia,  perchè  l'à  ag^u  la  fortuna 
d'  vàiri  ancàr  lu  siu  fi6  san  e  salv. 

88.  E  sel-issr  l' è  monta  sia  miila 
malia,  e  volia  pù  anlràr  an  casa,  e 
ar  fasia  lu  suda:  lu* pàiri  allura  Tè 
niscì  d'  fora,  l'à  comansà  a  parlo 
alti  bonai  e  «  fan  nin  paràò. 

89.  Ma  chest'  Issi  gi  rispónd  a  son 
pàiri:  Eh!  mila  gi  h  za.ianfi  an  ch'a 
/vir  sarvu,  e  ài  mal  jnasjgfredi  un  hot 
lo  eh'  m'avé  comanda,  e  vù  n^'avé 
mai  dona  uri  tzabrjn  da'  manzàr  àn- 
semo  agi  mai  amiS; 

so..  Ma'  appana  eh'  la  ghè  vango 
chésL  vòstri  fio,  eh'  Pà  i^là  lu  faz  sfu 
con  il  bnilfai  vessai  d' frammàl,  dar 
m'omànt  ave  faz  scanàr  lu  vail  pi  bon 
eh'  la  gi  aA'ìa  ant*  la  stala. 

31.  Lu  pàiri  allura  gj  à  diz:  Fié, 
iù  s«s  sampri  con  mi:  e  d'Io  eh'  mi 
à1,  ses  padrón  tu  l'islèss  come  mi  : 

32.  Uni  l'era  pi  che  zùsld' manzàr 
e  d'  star  allegri,  perchè  ehcst  fràiri 
liu  l'era  mori,  e  rèrisciiiscllà;  l'era 
perdei,  e  ar  s'è  trubà.        N.  N. 


ìiì^ 


PAETE  TER^A 


Dialetto  di  Valoibri  (Valle  di  Gesso,  prov.  di  Cuneo). 


11.  N'  òme  a  l'avìadui  fl; 

15.  Lo  pii  giòve  i  dil  a  soo  pére: 
Pà,  donème  la  mia  pari  d'ardita,  eh' 
"a  m'  vèn:  son  piro  j'à  dò»i  lo  c|r  i 
parlocciava. 

1^  Donirai  giorn'  apprèss,  rabajà 
tut  asciò  eh' a  l'avìo,  a  a'  n'c  parli, 
e  al  s'  n'è  anà  'nt  pais  da  légn,^  e  a- 
chj  a  1^  filmila  lo  fèl  sé  con,d'  femnes 
d*  mond. 

fi.  pop  d'aver  l^arbà  lui  ^  fé  vengu 
'n  V  achèi  paés  na  gran  ciareslia,  e 
chièirà  cmensà  avàire  d' fanì  di  diàou 

f  tt.  A  Ta  aerea  s'  càich  parliculàr 
velia  pèrle  da  fami;  al  <o'à  Iruvà  ùo 
chTà  manda  al  làll  a  gardàr  i  puere. 

16.  E  ch{èl  orna  vorgù  emptrse  la 
trlpa  di.  ghiànd  ch'I  puerc  mengià- 
von ,  e  d'gùn  I  n'cn  doftava  vi4a* 

'  17.  A  rà  paesà  'n  pau  d*  temp  'n 
la  da  miseria;  maramàn  'n  glbrn  al 
S'è  bulla  a  pensar  'ntrsi  d'  cbièi,  e  a 
rà  dil:  canti  servilùr  'ni  la  casa  d' 
me  pére  mànglon  a  sóianca  Iripa,  e 
mi  Isl  sai  coslrèl  a  crepar  d'  fam  ! 

^8.  Val  'Ivarme  d' isi ,  e  lornàrda 
me  pere,  e  vai  dlrje:  Pà  chic,  è  manca 
centra  'I  slél/e  centra  à*  vos; 

10.  No  sai  pila  dégn  d'esser  sona 
vostre  fi:  contenlèo  d' tnirme  pr'  un 
di  vostre  servii  òr. 

SO.  Dil  isò,  al  s'è  lèi  còiv  9  ^1  s* 
n'è  parti,  e  a  rè  vengù  da  son  pére. 
A  l'era  'ncàr  da  Idgb  cb'  son  pére  rà 
visi:  'n  tal  vàirlo  la  cumpassión  rà 
presj'èeorrogu  'neentra»f  s'è  campa 
al  col,  rà  'mbrassà,  e  ar  T.à  baisà. . 

21.  Lo  fi  j'à  dil:  Pà  chie,  è  manca 
centra  '1  siél,  e  contra  d' vos;  a  mes 
mèrito  pila  d'ètwer  lengù  pr  vostre  fl. 

22.  Lo  pére  è  vira  ai  servilùr:  trote 
gari  a  péije  na  bela  vestimenia,  vi- 
sièlo;  bùtéje  l'anèl  'n  l'i  de,  eciosséio. 


SS.  Anè  'ni'  le  slabi ,  sceme  lo  vàU 
pCi  grasS|  massèlo ,  eh'  vai  eh'  istéo 
alégre,  e  eh'  fadén  'n  boa  pesi; 

24.  Baiché  Isi  sto  me  II  ara  nètrt, 
e  a  ré  afsiiscità  ;  l'avio  prdu»  e  l'è 
turnà  trovi.  Dil  fèl,  1  a'  aon  bilti  a 
far  a  r  bòi  re. 

2tt.  Lo  fi  pu  Yèj  aloni  eni  'n  cmì- 
pagna.  Accosiéndse  a  casa»  m  l'à  setti 
a  ciantàr  e  musicfaiàr. 

26.  A  l'à  sona  'n  servHór,  e  m  gli 
spia,  eh'  volta  dir  sto  lapagel 

27.  L'autre  J  a  respoodu:  Lo  voilie 
fràre  è  arrlbà;  lo  vòstre  péra  lattla 
giùe  eh' a  l' à  agù  d'  vàirlo  ch'alia 
n'era  torna»  à  fèl  matair  lo  pa  lui 
vièl. 

28.  An  l'el  sentir  na  cosa  ptrfiif 
la  rabia  l'à  prés,  e  al  volia  pila  *■- 
trai*  in  casa  a  manìara  d^guoa.  Io 
pére  sapù  Isò,  è  nalsì  d' fora^  Té 
pres  al  bones. 

20.  Ma  lo  fi  j'à  respondu:  Mi  da 
tanti  ann  eh' a  vu  servo,  evolsi 
sempre  sia  a  coment  'n  tut,  m'avéi 
che  dil  na  vira,  le  ve»  prente'n  da- 
bri,  ve'  'n  pò  far  ila  ribòU  con  I  lai 
iompagnón? 

30.  E  ura  pena  arribà  sto  cariga 
d'  me  frère»  ch'à  soffia  IqI  lo  lèi  io 
.con  '1  bagand|[es,^avé  fèl  subii manàr 
Io  pu  bel  manzòt. 

51.  Lo  pére  j'à  respondu:  Ahi  me 
car  fi,  paziete,  nosautri  sén  scapn 
sia  insèm,  tra  nosautri  dui  J'é  mai 
sta  ncnt  d*  parli. 

^2.  Ma  l'era  ben  di  giùsld'iar 
n'argloissansu  a  te  frère  eh'  s'  pensa* 
jcn  ch'ai  fQssmùart,e  a  l'è  'ncàr  vìe; 
eh' l'avicn  prdu ,  e  eh' ura  i'avéa 
Iruvà. 

D.  Gio.  Ptcrao  BossLLi  Parroco' 


DIALRn  PEOBMONTARI. 


»i5 


DULITTO  M  VlRAINO. 


II.  En  òne  a  via  dui  cnfan; 

i^  E  lo  pu  giove  d' Bollili  à  djd  a 
tea  pài  re:  Pàire^  doiAme  la  pari  de 
MI  che  me  tuòccio,  e'  lo  pài  re  lor 
)  à  parti. 

is.  Eli  pau  de  tenip  après,  cant 
if  fi  lo  che  li  Venia,  lo  pu  giove  eolàn 
ss  pirli,  e  es  anà'via  lùagn,  e  à 
UDgià  lui  lo  che  avia  ensemo  las 
ilòmlas. 

11.  Cani  agii  lui  mangia,  es  vengù 
Ina  gran  clarastia  an  achèi  paia,  e 
il  k  pHnsIpià  e  sospirar. 

18.  Après  s'es  afflila  embo  ùo  d'a- 
rhél  pais,  e  aehésllo  à  manda  a  su' 
SMalna  a  gardàr  li  puerc. 

«••  E  per  se  levar  la  fam  mangiava 
l^aghiànlea^  perchè  degun  li  donava 
lèn'da  mangiar. 

lY.  Prés  d'^achesla  miseria  s'ès 
llèdan'él:€anllservilórà  mon  pàk*e 
I  ourlsón,  che  niàngian  lan  de  pan, 
!  mi  alssi  crepo  de  funi  I 

18.  Ai  pensa  de  ni'en  loniàr  émbo 
non  pàire,  e  II  direi:  Pàire,  mi  ài 
«eefà  cuonlro  lo  siél  e  cuonlro  vos; 

!•.  Mi  n'en  mèrito  pus,  che  vos  m' 

(msé  do  pàire;  ma  tur  un  mi  siau 
'oatra  enfàn,  fasè'roe,  corno  mi  fosso 
n  vostre  servi  tór. 

10.  E  s*encaminà  vers  la  maison 
le  son  pàire:  era  ancora  de  lùagn 
le  maison,  son  pàire  l'à  visi  venir^ 
!  afa  compassiòn  de  son  enfàn,  l'is 
ini  encontra,  l'à  embrassà  e  l'n  beisà. 

11.  Allora  l'enfàn'  à  die  al  pàiré: 
>àirp,  mi  ài  peccià  cuonlro  lo  slcl  e 
tienlrovos;  mi  n'siàu  pùsdegnd'ès- 
er  ciamà  vostre  enfàif  ;  ma  prcnème 
«r  vostre  servi lór. 

!.  Allora  lo  pàire  àdiòaisiuser- 


vitór:  Anàghefi  al  ciamliru  prendre 
lo  pu  M  vesti,  e  vestilo;  butàll  un 
anél  al  (ÌL,  e  ciaussàlo; 

25.  e  anà  prèner  lo  pu  bel  vèaL 
ch'es  al  \eè ,  luàlp,  che  lo  mangén  e 
slém  allégres; 

24.  Perchè  mon  enfàn  pensavo  che 
foghés  mòarl,  esveogu;Paviam  per^u 
0  l'avèm  Irobà.E  àn  prinsiplà  a  star 
allégres  con  mangiihr  e  béure. 

2».  L'enfàn  pvi  vièl  che  era  en  cam- 
pagna, es  vengu  a  maison;  e  cahles 
sgu  procee,  à  auvi  de  sóbsde  piuslco  ' 
e  de  danso.  .  . 

.26.  Clamò  donco  un  de  suS'séfvf- 
lórs,  e  II  demandò,  eh'  ero  lo  d'acchì  ? 

27.  E  achlll  gli  à  dl£:  Es  vengu  vo- 
si re  fràire,  e  vostre  pàire  fa  lùàr  lo 
pii  bel  vèal,  perché  lo«  Irobà  san. 

28.  Allora  lo  fot  Tà  prés,  e  n'en 
velia  ren  entrar  a  maison.  Son  pàire 
doncó  es  sorli ,  e  lo  à  présTa  los  buònos 
perché  •ehlrèss. 

20.  Ma  jél  à  respondu  a  son  pàire: 
Como,  mi  J'à  tanti  ann  che  tós  sièr- 
vo,-  e  i  ài  sempre  fa  Io  che  m^avé 
comanda,  e  m'avé  mal  dona  en  ciabri 
che  mangiesso,  e  slesso  allégre  embo 
li  miàu  amie. 

so.  E  irò  eh'  es  torna  Vostre  ènfàq, 
ch'à  mangia  tot  son  ben  embo  las 
clòrnias,  li  ave  Ida  lo  pii  bel  vèaf 
che  avià.  ' 

81.  Allora  lo  pàire  ìt  à  die:  Mon 
enfàn,  tùsias  sempre  embo  mi,  e  lui 
lo  che  mi  ài  es  liàu. 

52.  Ma  cialio  mangiar,  béure  e  star 
allégre, perché  lon  fràire,  achèi  ch'ero 
mùart,  es  torna  viàorc;  ero  perdu,  e 
s'es  (ofnà  Irobàr. 

N.  K. 


»1A 


PARTE  rwum 


DuLETTo  DI  Castelmìcno  (ValIc  di  Grana,  prov.  di  Cuneo). 


II.  i)tf)  òme  a  via  dui  figi: 

IS.  E  In  ptt  giòve  dà  chisli  à  did 

a  suii  pàire:   Pàire^.dùncnie  U  pa.rl. 

dia  roba  rh'  me  loca.  E  el  à  faé  tra 

tur  Ips  pari  dies  sostànses. 

13.  E  piiitsà  cardie  giùrn,1iriUà  ini 
ensèni,  lu  figI  pti  piéòt  'se  n'è  anà  cn 
le  d'  P91S  lo^n,  eisi  a  l^ì^  consuma 
Itfl  lu  (ài  sio  ^n  d'  pdi'cherìes. 

14.  £  cani  a  l'àgù  finì  lutes  Icfi 
cotes^^gli  es  »a((1i  na  gran' carenilo 
ea  i'  acbél  iwis,   e  ci  à  cu  mensa  a 

'  patir  lu  /a di'. 

IK.  En  t' achésl  meni  re  gli  «s  vengu 
en  i?  la  lesta  d'anàr  tmbàr  un  Sila- 
dind'  achèi  pais,  eh' a  l'à  ipandà  a 
gardàr  i  puerc. 

iO;'E  a  Tavìa  voglia  d'cmpirsc  la 
Iripa  die»  glande»  che  mlngiàvèn  J 
puerc,  e  deguu  gnen  donava. 

17.  Bla  'nlrànd  cn  l'ól  stess  a  Tà 
fìiè:  Canti  servitù  en  V  la  casa  de 
mio  pàirc  san  ncn  eh'  far  cTl  pan,  e 
iqI  muèro  d'  fam  isì  !  * 

la.  Vi  ausàrnie,  e  anàr  da  mio 
pàire,  e  dirgli:  Pàire, -mi  ài  ofTendu 
Iddio  e  vu; 

IO.  Sio  nén  dégn  d'esse  clama  vo- 
mire figi:  tratème  roaccum'«n  di  vo- 
stre aervitùr.  ' 

20.  'e  ausàndse  a  l'es  anà  de  ^uri 
pàire.  Essèod  encara  da  lùcgn,  siin 
pàirc  rà  visi,  e  piglia  da- la  cum- 
passión  e  gli  es  anà  'nconlra,  e  en- 
brassàndlu  af  col,  Tà  bisà. 

21.  E  lu  ligi  gli  àdi^.:  Pàire,  mi  ài 
manca  contra  No<gnùr^  e  vn:  mi  mè- 
rito pus  d'esse  clama  vostre  tìgl. 

22.  Ln  pàire,  dsmcntiànd  lui.  dis  ai 
servilùr:  Vorlè  siibit  isi  la  pà  bela 


vesta,  e  veslièlo;  buUègli  Tanèl  al  de, 
-e  clossèlù^ 

25.  Po  meneme  un  vèl  -ben  grts, 
e  amasaèlu:  vi  ch^  lo  mangèn,  e  A' 
slén  alégro;    • 

^4.  Prcbè  achésl  mio  dg|  era  ■^^ 
le,  e  a  l'es  risuacilà;  al  s*en  prdi, 
e  al  s'es  lurnà  tr^bàr.  E  a  rìia.Ci- 
mensà  mingiàr  e  béure. 

2ìS.  S'c  dà  lu  CB%^  cb'  lu  prim  tfi 
era  anà  véire  la  campagAa;  eé  Tel 
ritùm  avsinindae  a  casa,  a  l'è  acati 
sunàr  e  baiar. 

26.  Clama  un  di  servilàr,  e  la  ii- 
lèroga  eh'  voi  dir  asòT 

27.  Ili  servitùr  a  J  rspòdd  :  Ba tarai 
'  Ilo  fràife,  e  tun  pàire  à  fa6  aauMÌr 

un  vèl  gras,  prchè*a,l*à  lumi  atartt 
san  e  ^Ivu.  '.     .  • 

•  28..  'Séntènd  fio,  plén  d'  rabWo 
valla  pùs^enlràr  emticata.  La  paln 
sai  de  fora,  e  lu  prega  »  néndunarfiit 
nchél  (Igiist; 

20.  Ma  èl  a  i  rspónd;  e  i  dfs:  Son 
già  Inoli  agn  eh'  mi  vu  servo,  ch'fo 
faud  d'  pianla  a-cumànd,  e  VQ  de 
mal  sia  bon  a  dooarme  fin  clabrì, 
prtànt  eh'  sle^s'  alcgre  con  I  mèasii» 

80.  Ma  dop  ch'es  vengG  aclieite 
vostre  flgi,  ch'à  divora  lui  lu  aio  bea 
cun  de  frcnics  porches,  ave  amatn 
pr  ól  un  vèl  gras. 

31.  Ma  sun  pàire  gli  piglia  la  pi* 
noia,  p]  dis:  Figi,  tu  ses  sempre  ea* 
scm  a  me,  e  lui  asò  ch*àl,  es  Uo. 

^2.  Era  dunct'e  giùsld'  far  un  grai 
(lisnàr,  e  4' sia r  alégro,  prrhè  aehéit 
Ilo  fràire  a  l'era  mori,  e  a  Tes  rlsu- 
srllà;  a  l'era  prdù,  e  a  l'es  trabà* 

D.  LoRe>zo  Falco,  Parroco. 


DIALBTri   PEDeilO:iTA.'«l. 


»I7 


DiAir.Tio  DI  Klva  (Valle  di  Marra). 


11.  Un  òme  a>fa  dui  fj: 

12.  Lo  niellar  di  «dui  à  die  a  soii 
pàire:  Pàiri*,  donami  la  partd*i  brni 
ch^  apparirli  a  mi.  E  U)  pàjrc  j'n  parli. 

f  S.  te  gàicc  aprè$*1o  fl  pù  giove, 
dop  d*avpr  ruj  Jgt-aré  sóa  ròlia,  se- 
a'ès  n'  «ii.Vanr  ùit*paìsbcn  da  liìvgii. 
Ed  arflbà  ^ilai ,  na  de»  h^dieia  après  a 
11*  àula,  a  ràmingià  taii  ciralnù  agii. 

14.  E  consuma  cli^a  l*à  agu  lui,  e 
eh'  al  8*cs  Irpbàjiianc  pus  abu  la  puu* 
rUi  de  n'aguja.y  «|S  vengùa  na  gran 
clarèstìa  An  aquél  paiate  al's'ès  trubà 
ciigi  d'  anàr  crónt.*  *  . 

f  K.  E  ifl  ès  anà  9crcas&t'LMi  palrón^ 
e  s\ès  afiUà  abu  en  sitladyi  d' aquél 
paÌ9.  E  lo  patron  l'à  manda  à  In  sna 
rampagna  a  gardar  i  pucrc  e  nienajc 
en  pastura.  . 

16.  E  a  réra  giunó  a  lia  mira  de 
miseria, rli'a  l'u\  ia  vuòj.i  d*  empisse  do  ' 
J*  IstèasagiìTnt  che  niingiàvon  i  puerc, 
Ba*rav4a  degiiR  clf  J  n'  eu  .doncss.  ^ 

17.  T,urnànl  alerà  cn  si^stó^s  a  Va 
dl£:. Quanti  sérvilùrn  la  c.-isa  de  mon 
p&fne'ào'de  pan  mai  eh'  i  vóloil,  c^ 
flii  clssi  muèro  .de  fam  ! 

18.  |Ss  tilt  die,  ci.n)  ch'a  ine  gare 
d' elÀìi  e  eh*  ane  d  casa  de  mon- pài- 
re,  e.  vùi  dije:  Pàire.  mi  ài  faó  mal 
roDlra  lo  sél'c  conlra  vus: 

19.  Slopa  piis-degn  d*é^«e  nomina 
TOst«-fi,  IraKàine  piira  inac  cmà  un 
di  vesti  servitù r. 

20.  E^u^àndsc  dal  culp  l'è^.  Idrnà 
al  slo  pàire;  e  ant'  el  mentre  eh*  a 
l'era  encàrada  lùegn,  son  pàire  l'à 
visi,  e  s'ès  sentii  pia  da  la  coinpas- 
ftiòif.  e  s'ès  biilta  à  corre  pr'  aiiàje 
encontra ,  e  l' à  ainbras<à  sirèna  al 
còl,  e  l'à  beisà. 

81.  E  lo  fl  j' a  dio:  Papà,  mi  ài  faé 
mal  coolra  io  sèi  e  conlra  vu:  ino 
véo  da  mi,  eh* a  mèrito  pa  piJN d'esse 
arconelssu  pr  vosi  fi. 

88.  Ma  lo  pàire  à  die  à  si  servilùr  : 


Cava  lit  dal  coffe  la  vesta  pii  bella, 
e'ayviassàlot  e  butlàje  l*anèl  al  de, 
e  ciau^'sàleo  ben. 

23.  E  pé  anà  piar  lo  vèl  pu  grass 
e  9niassale:  e  fasscn  tijcct  ffs|a|  min- 
gén  e  sten  allégra  ; 

2f.  Perchè  achcsl  ipon  fll  l' era 
mori  e  a  l'-ès  arsù«silà;  M  s>ra-pef- 
diì,  e  al  9-cs  tui;pàlo  véirc;  e  .1  se 
son  biillà  a  s|ar  allegre. 

2)S.  E  ani'  aquela  lo  fi  pu  vie]  craen 
campagoa,  e  anT  l*arliràsse  q.uan4^a 
Pes  ala  dapccasa,  »Vk  sentu  sonar 
e. ballar:        ■      ,  *         e      -' 

26.  E  al  à  sona  un  di  scrVilùr  pr 
enformàssc  de  lo  che  Favfà  de  nòu  , 
i>  che  vulion  dir  tantes  screnàde»? 

27.  E  \<\  sèrsilùr  i*  à  ris|>òst:  Tio 
fràire  c^  vengù,  etQn  pàire  à  amassi 
un  vèl  grass  pr  la  conlentetsà  di'  al 
à  i>ruvn  anl'el  wirUt'^an  o  safv.. 

.  28.  Senlènl  Iq.motìv  de  Ja  fi^ta  a 
rès  saulà  en  còUcrH^evulìa  reo  eo- 
tràr.  Lo  pàire  dóncre  es'ftaì  de  fera, 
e  s'ès  bùtU^a  pialo  à  Ics  bohes  e 
pregàJò.  ,       . 

20.  Ma  elle  à  rispósi  e  di6  a  sio 
pàire:  l^eicà  cn'pau/l'à  giò  tanti  àn 
che  mi  vii  Siicmiu  o  ài  mai  Ici^à  de 
farla  pfi  peciòta  A-òsa'chc  vus  àje 
pia'^ii  d&  comandarne,  e  vo  sic  mai 
sta  aquél  de  rég;»iamo  en  bòi  en  eia- 
bri  da  pulcr  far  na  merenda  d*alltì* 
gria  abu  ì  amìs^ 

:  so.M»aùradopch'òsvengii  acbcsl 
vos't  (I,  cìì'k  sghclrà  tu4  en  compagnia 
iìfi  frcmes  de  calli  va  vita,  vus'a\1(!!'fil 
ainassà  pr  cHe  en  vè1  grass. 

51.  Ma  le  pàire  j*  à  dio:  Mon  car 
fi,  lij  sies  sempre  abu  mi,  e  tut  asò 
ch'ès  mio  es  ilo. 

M.  Ma  l'èra  giùst  de  star  allegre 
e  (ar  fesla  a  la  venua  de  ton  fràire, 
perche  elle  èra  mori,  e  al  ès  arsiis- 
sità;  al  s'era  perdu.  e  al  s'ès  lumàio 
véire.  Canònico  Garmiri. 

36 


»i8 


PARTI  TCAZA 


Dialetto  di  Acceglio  (Valle  di  Macra). 


'II.  (i'oinnie  avi»  dui  effàni; 

l^'E  lo  pu  giòve  a  die  al  pàlre: 
Pnire,  donàous  ma  part  d'eredità,  e 
el!<>  J'i  dona  spnitòe. 

AZ.È  cardie  giórn.apprèss  reffTànt 
gióvev  M  nò  bagòt,  en  parl^  de  son 
paìs,  se  n*ès  ani  èa  Tun  paia  da 
lòregn.,  e  aclil  Vk  faè  anàr  tot  cani 
ch'n  l*ayia  fasèad  la  librogna. 

14.  Qop  oh'a  i'&  agii  sg|ieirÀ  tot, 
è.H  vengù  eff  t' achèi  paìs  na  grossa 
ciarealia,  e  elle  patia  lo  fame. 

flI.'É  eìle  es  aoà,  e  s'è  afflila  bo'n 
signor  .de  cbél  pais,  che  Vk  manda 
gardàr  i  pue'rc  a  sa  cassi  ii:iv 

16.  El'avia  g{8(j  d'empisse  la  pansa 
almèncji'agghlint^  che  mingiàvon  i 
crin;  Ina  degun  j  ne  donava. 

17.  Ma  enirà  ent'elle  stess  disia; 
-  Ah!  canti  servJtòr  alla- maison  de  mon 

pàfre  màngioi^  a  calre  ganàxos,  e  jò 
issi  muèrò  de  fame! 

18.  JÒ  me  levare!  d'issi»  e  lornànd 
a  Bion  pàire  j  direi:  Pàire.jòai'offés 
noységnòr,  jò  ài  ofTés  vos  1 

19.  Jò  Sion  piÀ  rén  degn;del  nome 
d'dfànt  \  ma  fase  alméno  bo  jò,  coma 
bo  i  servi lòr. 

20.  E*s'  ès^'a'us9à>  e  s'es  e'ncaminà 
ver3  son  pàire;  era  ''nca  da  lùegn,  e 
son  pàlre  l'à  visi,  e  pjà.da  compas- 
siòn ,  j  ès  cors  enconira,  ]  ès  sautà 
al  còl,  rà  bei»à. 

21.  E  l'effànt  j  à  dl£:  Pàire,  jò  ài 
manca  con  tra  del  sèi,  e  Con  tra  ves; 
jò  Sion  pfi  ren  dégn  d^esse  òiamà 
vostr*  effànt. 

22.  Ma  el  pàire  à  die  ai  servitór» 
Fit,  fil,  porlà-jc  la  vesto  pù  bella, 
e  biiltàje  la  virro  al  do,  donàjc  de 
ciàusso5,  e  de  ciàussier^. 


25.  E  anà  .«icerre  ^n  \èl,  che  sia 
ben  graf^  massàio  4}ercliè  lo  mìngén, 
e  sten  allégre. 

24.  Perche  achèst  effànt  «ro  noK 
e  auro  ès  rp^sfiscflà:  ero.  perdii,e 
aiìro  s'ès  trobà;  e  se  son  b'utlà  ioii- 
glàr  é  béorre.  ■  . 

'  2tt.  Ma  Teflànt  pu  vièjero  anà  ei 
campagno,  e  lornànd,  coso  ès  sta  da 
•vesin  d'  meisòh,  à  seniu  chesld  nv- 
sico,  chesto  allego. 

26.  A  nona. 'n  servitóre  e  ]  à  dmaidà 
che  l'aYiaf  •    ' 

27.  El  servitòr  j  i  di£:  Voatr  Cràire 
s'ès  erijra ,  e;,  voslr  pàire  a  M  anas- 
sàr  un  bel  vèl  gras,  per.avér  to|iia 
vist  son  effànt  san  -e  lesi. 

SU.  E  elle  ès  sautà  'n  bestia,  es 
d^un  conte  volìa  entra r;,doncra  is 
sai  son  pàire  a  pfcgalla  che  %^eo* 
ghèss. 

29.  Ma  elle  en .  risposta  à  dté  al 
pàire:  Beiccà  capti  ann  ch^Jò.vos 
fau  Io  servitòr,  jò  sempre  vos  ài.  ub- 
bidì ,  e  vos  m^avè  gnani;a  dona  eo 
ciabri  per  star  allegre  e  fariwi  ribolla 
bo  i  mi  amis. 

50.  Ma  aura  che  ès  vengCi  achésl 
vostr  effànt ,  che  à  sghcirà  lo  cb'a 
Pavia  bo  suos  ciorgnassos,  pr*  elle 
avi  flt  amassà  enbel  vii. 

51.  Ma  el  pàire  j  à  dii:  Tu  sìès 
sempre  sta  bo  jò;  asò  ch'e^  mio, 
era  lio.  .    ^ 

52.  Ma  auro  ciaria  beri  che  fasés- 
son  cn  pasl,  e  se  rallegréssoa,  per* 
che  top  fràire  eco-  mort^  e  aùroès 
ressiiscità;  ero  perdu,  e  aùros'ès 
trobà. 


l>Ao  PiETEO,  Prevosto. 


DIALETTI   PEDEMONTANI. 


»iO 


Dialetto  di  Saiì  Pitre  (Valle  di  Varàila).^ 


II.  Un  pplrc  avìa*<iu1.ti^ 

1S.  Lo  più  gfpve  de  costi  ò  óìè  al 
piire:  Pàire,  .donarne  l»  pari  dt!i  ben 
the  mf  vien:  e  U  pàire  à  fa£  a  lor 
la  di  vision  del  ben.- 

iS.  Da  chi  a-^o-'n  trcsgiorn  looiù 
gflovo  k  radornà Jut ,  es  ana  far  vlagc 
da  lùein  pais ,  :  ove  à  dissipa  le  ^ies 
ben,  menand  una  maria  vita. 

i4..Quand  à  agù  con<(unià  ^t,  «s 
vengu  en  l' achèi  paìs  una  fprla  ca- 
retlia^  e  s'es  tomensàa  trobàr  eh 
tè  la  povertà;  *        * 

18.  Es  anà  .donque'affitlarse  bo  un 
d«l  aiùadìh  de  chél  paìs,  ci  quuI  l'à 
mandi  en  le  sua  villa  en  pastura  af 
puerc. 

16.  E  lai  pI  hvrìavolgù  empisse  la 
pansa  dei  4ighliiD(|  ch^  i  puerc  men- 
glàvon;  ma  degi|n  ì  n'en  donav;i.    . 

17.  torna «fiiialmént  en  l'el-à  diùt 
Canti  seryilór  en  casa  demio  pàtre 
niiiinglón^lien,  e  mi  si  muèro  de  fame! 

18.  Me  leverei;  e  anarèi  da  mio 
piire*  e' j  direi:  Pàire,  q  pecca  cen- 
tra lo  SÒL  e  centra  vo; 

19.  Sio  pa  -pus  degù  d'esse  ■'de- 
mandi vostre  U:  fasséme  qual  ch'ùn 
dei  servitór  al  vostre  servisi. 

SO.  S'ès  ìevà  donque,  ès  vengù  a 
sio  piire;  e  cssènd  enei  daIùein,.sj'o 
piire  l'à.  Vist,  e  l*agù  cpmpassióu, 
ès  corru  a  cargiàrselo  se  le  spale,. e 
l'i  beisi. 

^t.  jPiire^  j.à  die  Io  fl,  *ài  pecca 
cÓDira  Io  sèi  »  e  conlra  yo:  mi  sio  pa 
pà^^egn  d*esse  demanda  vostre  fi. 

SS.  Ha  lo  pàire  à  die  ai  sies  ser- 


vitór: Porti!  Ì9Ì_flt  una  viestio  la 
))lus  pressio90,  e  beatelo:  Buttai  al  de 
l'aneti^  e  de  .ca'usse^  al  pè; 

25.  E  mena  fora  lo  vèl  Ingrasai,  e' 
ammassilo^  mangióma  e  stóma.al- 
légrc; 

St.  Pèrche  coste  mio  fl  erar morl^  ès 
torna  en.vjla;'era  perdue  a'ès  |robi: 
àn  eotomensa  donque  aste  allégre.  ' 

Sttj  EntàiU  lo  fi  più  grand,  che  Pera 
en  campj^na,  jes  retoviiày  e  taienire 
.L'era  yesin  alla  ca«a,à  senti  asonir.- 

SS,  Demanda  un  dei  s<5r,vilÓR,  e  j'à 
•demanda  chi  l^jeca? 

27.  I^j'àdì^loservltàr:  Es  veagù 
Vostre  (riire,  e  ioslre  paire  i  fa£  am- 
massar lo  vèl  engrassi',:  perchè 'l'i 
rtM*upeià  san  e  sa IV. 

88.  Cost-si  allora'  plen  de. rabbia 
velia  pa  entrar:  e  sio' piire  ès'sorti, 
e  s'ès  butti  a  pregarlo.     .     ■  •  '' 

se.  Ma  ci  en-retposta  à  diéat  pai- 
re:  Beici  canti  an4;he  son  che  vos 
Servio,  e  sempre  vus  ài  Taè  comind, 
e  vus  mai  in'  ave  dona  nianca  fin 
cravói,  perchè  stéissa  allégre  ensèm 
ai  irtic  amisi 

so.  Ma  ;krengù  coste  Vostre  fl,  che 
i  mangia  le  suos  soslansos  ebseme  a 
chalos  che  mepivon  cattiva  Vita,  vus 
fi  ve  faé  ammassar  pei^  elle'lo  vèl  in- 
grassa. 

51.  Fi,  j'à  respòst  lo,  pài  re,  vus 
sié  sempre  ensemo  a  mi,  e  iut- lo 
ch'es  mio,  es  vostre. 

52.  Ma  fasìo  besogn.  slè  allégre; 
perchè  cost  vostre  friire  era  mort,  ès 
torni  enyita;  era  perdu,  e  s*ès  trobi. 

N.  N. 


520 


PAHTE  -TCKZA 


Dialetto  D*(Hci?ia  (Valle  (k?l  Po). 


II.  Un  òm  il  Vh  ;if$iì  dui  rfgl: 

Il2.  La  |HÌjRt^<;a  l'à  dl^  a  9bn  pp- 
rc  :  Pare,  donarne  ma  pari ,  lo  che 
ni'  po'venh  e  a  |&  fpfgt  lé|  pari. 

iS.E'dASÌ  a  dui  0  Ircs  giórn  lucci 
^nnsemo ,  lu  figi  pn  gipve  a  Ve  parli 
per  pari  n'icgn,  e,a^à  a  Vh  majà  son 
{latriplonl^  vlvend  pQlaniiméht. 

'll.^K  cant  a  l*h  agu  mlpglli.ìiil, 
gire  vchgi)  una  gran  cfà^PStio  ant'e 
cbél  pài,  rh'a  rè  arcslà  p^ure;. 
,  15.  E  rè  jinà;  e  ji  8*è  amila  bu  un 
particùlàrd'acliél  pai,  e  lu  mandavo 
ant^c  sic  berti  pasturo  al  orln. 

16.  E  a  Pavia  vifgllo  d^'mingià 
d'agJànt^  cW  gli  crlrt  mingilfvpn;  e 
dcgun  gn  t^bniivopa  nén. 

17.  VcRgu  Ira  el  stéss*,  a  Tà  die: 
Tanti  servi lór  airi'  la  meisón  d^roon 
pare ,  eh'  Tart  tantu  pan ,.  .e  mi  Ì9S*i 
sto  còstrcé  a  dìurì  d*fani! 

18.  M*  levo  d'^si^  e  vàu  da  inon 
parc'<)  e  gli  dìo:  Pnrc,  ài  mnncn  con- 
Iro  Iddio  e  contro  d'  vu; 


mento,  e  veslielo;  cbùMàsU  ùnanrl 
»nt'so:i  i^ian,  e  son  ciàus^ie  ant*i  pès 

83.  E  ména  un  vèl  lu  pu  gras,  o 
ma.«sàlo,'e  lu  majcn,  e  sten  allégre. 

2l;*PercHé  chesi  mÌ9  flgi  a.  Tera 
{nort,'  e  a  l'è  Wsfisiffà;  a  l'era  pcnlu« 
e  a  l'è«là  Irubà.  E  a  l'àn  comensa 
a  sta  allégre. 

25.  E  lù  sio  agi  pu  vfègl  a. l'ero 
:in  i^ampagno,  e  venènd,e  atesina  a 
méison,  a  l'a  seiilii  a  sona  e  clanlà. 

26.  E  a  rà  demanda  a  un  Idei  sol 
strvilór,  e  a  rà  interi^gàlo io <b' 
Pera?; 

27.  È  ci  gli  i  di«*,.  Vostre  fuilre  a 
rè  vengù ,  e  vostre  pare  a  Tà  amaasr 
lu  pù  bel  A'cl  gras ,  perché  a  i'é 
vengu  laty.     ,  .  -  '  • 

28.  A  r  e  monlà  ^  cagnino,  e  volio 
pa  pQ  inlrà:  donche  «orli  son  pare, 
a  l'à  comensà  a  pregàlu.  ' 

20.  Malèl  -rispoDd^d  a  l*à  die  a 
son  pare:  Ecco  lanli  an,  che  oU  v^ 
siervo,  e  v'ci  mai  manca  4il  voslre 


IO.  Già  sio  pa'pu  dógn  d'psse  de- 1  CGfmànd  ,  e  mai  vu   m'avé  dona  un 


manda  vostre  lìgi:  ma'*  tvncnie  giust 
fpma  un  d'  vostri  servi  lór. 

20.  E  Jevà,  a  ac  n'é  anà  Vi  sóo  pa- 

».  ■ 

re:  a  l'era  anca  ben  lùe^n,  son  pare 
l'^'vfsK,  e  la  compassión  l'à  prc/e 
corru  a  gli  è  cidi  se  son  col,  e^  Tn 
beisà. 

.  2t.  E  .a  l'i  die  lu  lìgf  al  pare: 
Pare,  ài  manca  contro  nos  SFgnqr'e 
contro  d'  vu  ;  già  sio ,  pa  pu  degn 
d'esse  demanda  vostre  figl. 

22.  A  l'à  die  lu  pare  a  sic  ser\i- 
lór:Gari,gari,  portamela  primo  vesti- 


ciabri  a  majà  bu  i  mei  amis; 

so.  Ma  dapui  eh'  chest  voslre  figl 
ch'a  rà  majà  lu  fa(  sio  con  le  putane, 
a, rè  vcngù,  e  vu  gli  ave  amasia  lo 
pìi,  ^ras  yèl. 

51.  Ma  igl  gli  à  dio:  HgT,  tu  aie» 
sempre  sia  bu  mi;  e  lùcci  f  mie  beni 
son  l'ie. 

52.  Ralicgràsc  poi,  e  st?  allégre 
convenio,-  perche  chesi  Ilo  fràirea 
rera^mofU  e  a  l'è  ritorna  a  vive; a 
l'era  pcrd6,  e  a  l'è  sia  torn&  Irubà. 

D.  Tommaso  Rossi,  Parroco. 


DIAI.RTTI   PRORiyOllTAM, 


5*1 


Dialetto  di  Fe^bsturlle  (Valle  di  Pr*igclus). 


Ifl.  én  ònie  nvìo  clu  gar^ìins; 

fS:  B  le  più  gtùve  à-  jrlil:vPapà\» 

'  dùjierine  la  (iiirslùn  -da  ben  vhe-.  nfe 

revein;  elepàire  lur  àdivlM  sun  bpn. 

18.  Pàue  de  giurs  apre'  qiraiit  le 
piy  giù  ve  garsun  k  agu  rébatà  tuie 
sa  pu'relòit,  à  ite  n'ès  anà  viaggia  dins 
un  pai  ben  l6gn/dont  a  l'à  disrtpà 
tut  sun  ben,  vivèntdlnslusex'cènel, 
Iffdebàucià. 

.f  4.'  E  apre  ch'*u  Vk  agù  mlngià  lui, 
èfi  arlbà  une  grifncfe  (nmÌ4ie*dtn  qiiè 
pai,  e  a  .cumensavie  a  esse  diala  mi" 
nére, 

f  ».  Alare  a  l'èsanà  se  biilà  en  ser- 
vlst  Bbu  un  sibilànl  da  .pìij  che  ra- 
mando a  sa  mesùn  de  campagne  per 
gardà  su  curins^*^ 

16.  A  rie^irave  de  rcmpli  san  ven- 
tre (hisjiglàns  dhe'lu  curine  óiingià- 
van,  et  nutf  n'j  en  donave. 

17.  Mn  e^èVrt  rinlrà  d(ns  el  hfiè- 
me.  a  r&  dit:  Oàire  de  valésclic  din 
la  Aripsùn  de  mun  pàire  àn  de  pan 
lantch'i  vólan,  e  mi  moni  isidefurrif 

•iS.Heleyerèic  e  a-narèic  trubn  mun* 
pàircyglitlircicf  Papà^àipecincuntre 
le  slél  e  i*unlpe  Vu  ; 

f9.  Sin  pa  mni  digne  /l'esce  volre 
garsiin;   tralòme  cume  Km  de  vo^ru 

20  A4urti  a  Tè  partì, ^e  venga  trubà 
«^un  p&ir'e;  a  l'ere  encare  ben  lòf^n^ 
quanl  sun  pàirn  l'n  vii:  se-si* purlà 
de  cumpa<iSiùn-grès  anà  a  dranl,  s'è 
lapà  a  snn  còl  e  rà  baisn. 

SI.  Le  g^ursùn  gli  à  dil:  Papà,  èie 
pccia  cnnlro  le.sicl  e  cuniro  vn: 
sin  pa  mal  digne  d'osse  volre  garsùn. 

22.  Alare  le  pàire  à  dil  n  su  valé^: 


.Purlème'\lte  hr  più  bèle  rcrbe,  abU 
gliè-lu:  btilèrgli  une  vlre  a  dé^  e  de 
ciùsies  a  pàs:  .    , 

2g.  Mene  Cin  vèl  grS,  lùé-lu,  min* 
gién-IU)  et  regiuisséa-nu; 

24«  Perchè  «He  OMid  garsòn  e|ie 
véisivére  niori,  a  Tè  fevusclìà;  a 
•l'ere  perdu,. 41  s'è  retrubà.  Ahifa  1^ 
ràn  eomensà'a  (òKliun  repàt. 

Itt.'Ma  fe.'garsùn  fé  plfi.vèigl  ère 
en  eampagné;  cumeas'en  rovento,  e 
rh'^  s'appruciave  de  lauesùnf^aV-à 
entendù  le  san  das  Inslrumei^,  e  le 
lapageiia  bai.  ,  * 

26.  A  rà  demanda  un  da  vatéa, 
Và-inlcrogià  Su  se  cb'ére  tal  quant 

27. J.C  valél  gti  à  répondu:  yolrje 
fràire  è-vèngii;  e  votra  pa^p^  a  tua 
un  vèl  gra,. perchè  ch^a  Tà  Irubà  eo 
bune  sandà.  * 

'  «SS.  Susi  l'aiènt.  indigna,  a.vulio 
pas  intra  din  la  mesànt'jna'le  pàire 
esscnt.'surlL, -a  s'è  butà  a, le  pr^ 
d'inlrà, .  -  '1 

20.  Le  garsùn' gli  à  répondu9  i^- 
pà,  vèicliì  plùsiòrs  ans  che  vg  sef*- 
vu;  yus  èie  gian/al  déàtibei  en  rien, 
e  pure  u.m'avé  giamai  Uunà  du  cia- 
brìn  per  me  regiuì  nbu.mons  anr)s; 

50.  e  óre  che.  vetr'iyMtrA  gari»ùu 
à  niingià  sun  ben  aUu  la  ralìns  -è 
revengii,  usavpiiià  un  vèl  grà  |>er  el. 
•  SI.  Ma  lepfihre  gii-{i  (>it:  Mungar* 
sim,  u  se  tugiùr  abu  ii^i,  e  lus  non 
bens  sun  per  vu:     •       . 

39.  La  ventave  ben  fa  iiu  bup  ^e- 
pàl,  e  nu  regiuì,  perchè  die  voira 
fràire  ch*on  viè-lsì  ere  nwirl,  a  Tè 
rcsu,<»cilà:  a  4* ère  pcrdiK  a  s'è  r«- 
Inibà.  -  . 

(;ir!4Kn>F.  Fii.liòi.. 


522 


partì  TERSA' 


Di  A  LETTO  DI  Cu6Lio?(E  (coiilìne  di  KovaK^sa). 


11.  Un  ómen  avè'dfie  bOI; 

f  S.  E  lo  |H'gi6ven  à  ddt  a  non 
pare:9loii  pare^.donàmme  mon  dcrt; 
e  lo  pare  a  l'dl  parlagiàtiois  son  béln. 
.  18.  Gio'n  trai  giort  apre  che  lo  pi 
fióvén  a  Tot  a}d  tntta  9»  porsién, 
a  rè  allèsfltenen  loin  loln^  ededin 
dé'pai  étrangéve  izié  u  l'ot  argheira 
tut  s5  chTu  l'avéil,  da  delbucia.  « 

ft.  Apre  d'avéi  tut  déipeodù,  ano- 
grill' fuioinp  è  venào  din  sa  pai  là; 
e  0  comtoiansftve  èitre  a  la  misere. 

Ig.^Allora  u't'è  artfraMe,  «  u  l'à 
alli  a  oetlrtf  san  d'un  particulié  d*u 
pat;ch'n  Tot  inaodàllo  a  sa  casslna 
(h*^  mnè'  ef n  ciàn  l)  carrin.  • 
.  .  1^  E  0  raVéit  doglia  de  l^evès^e. 
Ir  fam.  bv5  gif  aglair  che  li  puerc  ma*- 
èlffvonl',  me  J'avéit  pan  un  che  glie 
•nen  doniste.  .  r    . 

17.  D'izlé'u''rè  tumà  en  sé-méi-' 
mo,  u''lk)t  d5K  elle  de  vallot  dedip 
ta  Diesón  dp  mon  pare  mingilo  lant 
che  vùlon,  e.  me  creppo  de  fam  fssé! 

18;  Me  lederei  d'tseé  e.lurncròi 
travet  man  pare,-  e  glie  direi:  Mon 
pare,  i'  kì  manca  conlra  Io  Sic  e 
devànt  yo^  • 

€9.  E  sei  pa-pì  digno  d'éHre  de- 
manda vòtron  flgi;. trattante  Som' un 
/le  vutri  lavurìe. 

SO.  U  l'è  donca  levasse,  e  u Tè 
é'nciaminasse*  vf  rs  sòn'pare;  e  son 
pare  ftjènlo  fìran  de  lofn  vi  veni,  U 
compassiòn  Tot  pròllo,  u  l'è  cur^ 


2S..E  lo  pare  dot  a  sì  vallai:  BOrtà 
lep  |Q>  pi  b^l  giusbcór,  e  abigKàllo; 
billàglie  una  vira  ao  dei ,  e  cinssàllo. 

SS.  £  RDenàoie  isaé  lo  vèl  pi  grai 
e  Inailo,  e  éilén  allélgber; 

SI.  .Aperché  1$.  inoo  boi,  ch'a 
vajés  {«sé,  u  l'ère  mori«  auro  a. l'è 
fuma  arsissilè;  l'aiu  perdùllo.  Tèi 
tu  ma  Iru  vello,  e-d'iiièi.èn  cob- 
men«a  l'allegria  e  a  fare. lo  paiL 
*'  Sìi:.tOi)i  viègi  di  boi  u  rèff  .CR 
campagìia;  e  venàBR  mèaóo  e  a  a^ 
sura  cb'u  s'appfoclave,  u  Tot  aoBlii 
siine  e  cìanlé  e  balle. 

SS.  E  u  r  è  adreasàse  a  un  di  vAllót 
PC  savai  che  ch'ere  tut  sa  trauiRBét? 

29,  £  sa  vallot  u  gli  oi  do^  Tùtroo 
frare  è  turnà,  e  yùtron  paro  u  l'ai 
èitrenglà  lo  vèl  gras,  pr  mii  che  o 
l'ot  turnà  triivèllo.eo  boo  état     ' 

sa.  Me  ui'è  enfurlasse,-  e  u  Tot 
pa  vullu.  intréi  e  son  pareejàn  sur- 
lù,  u  lo  priincit  a  le.bonnQS  pr  fare 
jnlrèllo. 

20.  Me  u  V  ot  réipondù,  e  dot  a 
son  pare:  Avveilà-issé,  i'  ol  tanti  aa 
t;he  vo  servo,  e  i'èi  iamai  éisùbba 
vaVrìórzcn,  e  pùrro  vos'aiiamài  do- 
narne solamcnt  un  clorat  pr  dèiver- 
lime  avo  mi  aniìs. 

."(O.MScanteche  rautro-iiié,vùtroa 
bot,  ch'u  Voi  fricudà  vùlron  bela  avo 
^  garaudes,  u  l'è  venS",  vos  ai 
tuàglie  Io  vci  gras. 

31.  E  lo  pare  u  gU.ot  dot:  .Boi,  te 


riìglie  a  récontre,  u  l'è^autà  enbras-  .  te  sùes  tégiórleilÀ  avo  mé^  e  Io  mein 
sello,  e  u  Tot  beisàllo.       '  •       ere  tei.  .    . 

SI.  Mèlobotu  gii  òtdòl:  Mon  pa->      82.  Ftitave  donca  (are  lo  past  e 


re,  i'  ai  pccià  contra  nòtron  Signù  e 
devànt  vos;  e  mèrito  pa-pì  (l'èitre 
demanda  pr  viilron  Hgl. 


eité  alléigher  pr  mu  che  lui  issé, 
lon  trare,  u  l'ère  mori,  e  u  l'è  re- 
sùssità;  u  rércper(iu,e  u  l'è  truvà^se. 

N.  K. 


^ 


ni  A  LETTI   PRnEMQNTAlVI. 


5SS 


Dui  ETTO  D'Oiri.x  (Valle  di  Dora  Riparia)  (*). 


flfl.  Un  òmme  avie  dns  cifàns; 

18.  Le  più  itive  d'iélluB  dì  a  sun 
pàire:  Pàire,  dùiiaine  U  purtlàn  de 
ben  the  me  rev^n;  e  ^  lus  à  parlaiÀ 
le  ben. 

f  S.  Còebtt  tura  apre,  alèrf  tiit  re« 
iNiti;  le  più  love  garsùn  parif.par 
réitrangì-H  par  uii  pai  élluni^,  e*ilhi 
u  rà  dissipa  sun* ben  en  vivèn  lùxu- 
rliismén. 

14. 'Me  apre  cb'  ul'à  -agu  lui  cun- 
soma,  l^es  surv^gu  une  grande  fa- 
mine  dina  qué  pai,  e  Jé  m^lme  u  Vk 
cumensà  a  ea^M)  u  besùn. 

f  tt.  Alure  u  se  n*  èi  aìià,  e  i»  s^  èi 

■ 

alUU  a  un  do^  abllàn  de  qué  pai^ 
e  S6l-lssi  l*à  manda  a  sa  mèisùn  de 
campagne,  t^r  (a  paisse  lu»  cusciùns. 

I6.4lhì  u  déisirave  rempli  sun  ven- 
tre  de  lis  cròfasrclie  ujijàven  lus  cu- 
sciÙDs,  e  nengu  n'i  en  dunave. 

t7.'RÌ(ilrèo  alure  en  si  mélme,  u 
dì:  Che  de  menenère  din  la  itfèjsùn 
de  mun  pàlìre  kn  de  pan  abundamén, 
e  mi  Issi  a  crèpu  de'famj 

18.  Ab!  me  levare!,  anaréi  Iruvi 
mun  p^ire,  e  a  II  direi:  Pài  re ,  ài 
pei^ià  coittre  le  Sé  e  contre  vu  ; 

19.  Nau,  a  siu  pa  mai  digne  d'esse 
appelà  votre  garsùn;  traltàme  curoà 
un  de  votrus  mer^enére. 

20.  E  se  ievàn,  n  ven  ver  sun  pài- 
re;  me  cumà  ul  rre  encore  lon,  sun 
pàire  rà  vi^.e  la  cunipassiùn  Pa  préi, 
e  currén  a  le,  u  s'èi  tapà  a  sùn  col, 
e  u  l*à  embri^Hsà. 

^.  e  le  garsùn  gli  à  dì:  Pàire,  ài 
pe^cià  contre  je  Sé  e  con  Ite  vu;  a 
siu  pa  mai  digne  d'esse  appelà  votre- 
éifàn. 


'  SS.  Me  le  pàire  di  a  sun  domeslìc: 
Apurtà  vile  sa  première  robe,  ebllà- 
la-|{«  e  duniàli  de  ifne  Vire  par^aa 
man,  e.sebi^ttas  par  sun  p^; 

SS.  PòlUdùsé  le  ve  gras,  .tùà-ltt, 
par  che  nu  myén,  e  che  nu  mi  rer 
gallén; 

S4.  V^rse  che  qiun  éifàn  che  véil|>i  • 
ere- mori,  e  ul  èi  resùscilà;  iiL*4r^ 
perdiì,  e  ni  èl  truvft.E  i  se  sun  bitàa 
a  (a  bune  scère.    ,. .  y 

Stt.  Ser^ndànt  stia.,  garsùn  le.pla 
vegi  ere  u  sciàm;  e  Qumà  u-  venie,  e 
ch'u  s'approsciaye  de  la  mèl»ùn«  al. 
à  antandiì  une  sinfonie  e  iìii  chòti 

so.  Ul  apèlle  un  domesiic,  e  a  li' 
demànd  se  che  Tére? 

87.  E  tè  li  dì:  Vqtre  fràire  èi  y^D- 
gu ,  e  votre  pàire^a^  tua  le  véiras^ 
parse  che  u  rà  resebiì  an  bune  s^ndé* 

88.  L'àutre  alure  s'èi  indigna,  «il 
vurìe  pa* intra.  San  ^ire  étati  surti, 
Vèibitàa  leprià. 

8Ó.Mè  ié  an  reipnnse  u^l'  à  di  a  sua 
pàire:  Véiihì  cb^  jdepo  lau d'ansa' ve 
servu,  e  che  iimài  ài  miuntàa  vòlros 
ò^res;  e  fornài  u'  ro'avé  duna  un 
scia  b  l'olia  mie  regala  a  bu  muris  aoiis; 

so.  mÌ  dep5  che  votre  garsùn -ch'èi 
•  itni,  ch'à  deiVurà'  sun  ben  abu  de 
.garullas,  èl  vengiì^  u  ('ave  (ùkle^vé 
gres  par  iè.    . 

si.Jiè'ié  pàire  gli  à  dì:  Mun  éifàn, 
lu  sìas  luiù  abu  mi  T  e  (ut  se  cITèi 
méu ,  èi  leu  ;  t     ,  ». 

52.  Me  la  veotave  fa  bune  scère^, 
e  se  réiuì  ,*par$echp  lun  fràire  ch'èi 
ilhì  ère  mort,  e  ul  èi  resùscilà;  u(  ère 
perdù,*e  ul  èi  Iruvà. 

Prof.  Anto?iio  Allois. 


(*)  Siccome  questo  dialetto  ancora  più  che  i  precedenti  è  afflne  ai  Francesi  coi  quali 
confina,  così  dobbiamo  avveri  ire,  che  tulle  le  e  poste  in  One  di.  parola  o  di  sillaba  sono  mote, 
«•he  la  i  corrisponde  al  suono  )  de*  Francesi»  e  le  ih  al  Ihcia  dei  (Wixi.  osisia  all' idea- 
lieo  suono  rappresentalo  pure  con  Ih  dagli  Inglesi. 


»94 


PAIIT£'  tcrka 


Dialetti»  ni  Viù  (Valli*  ili  Lunzo). 


fi.  Un  òm  u  ì'avcl  dui  fci;  . 

18.  Lo  piG  $\ovif  d*  sii  dui,  u  Vh 
dlt  a  9on  parie  Para,  dónnmA'la  mii 
pari  d^  Mu  -fli^i  m' vin ,  e  'rhiè-9i  ii- 
Pà  aparli  l'ardila  Ira  lo  dMi. 

.15.  E  di  che  a  darrhi  giuòfn,  lo  féi 
piv  giovo  u  r  à  buia  Ip^a  «sua  pad 
anilèmbio,  e  u  Vmì  ala  lu'gp  ani  fin 
paìs,.e  uj'à'd'sgairia  ioi  lu  fall  w^ 
vlvàrtdfda  d*8galrón. 

f 4;£  cani  chVi  rà  avii  d'sgairià 
totMu'ch,\i  ra\ét,  e  yh  viniìTinoa 
gran  dnraslì  ani  mu  paia  Ichu  e  chiàu 
fc  J^À 'comen^clA  a  vinili  la  miseria. 

ftt.  U  Tusl  ala,  e'  u  s'^arengià  da 
un  sgnór  de  i*  pajs^  e*  icliì  srto-i^sì 
o  rà  jnahdn  a  sua  caìnpagni  a  largifk' 
Il  crio.  '  ■  ' 

16.  SHo  II  l'avót  giei  dMmphsa  In 
panaci  d'agiànL  rh'u  nìingiàvon  li 
crin,  e  i'ffra  rt^in  clie  ]  n*an  donas^a. 
'  '17  Ma  cani  n  Vh  poi  cngiiof^ur  ch'u 
l'avélfàit  mal,  o  rà  dil:  Canti  <;ar- 
vflàr  anP  la  eh  iV  ni  in  para  u  Vhn 
irò  d*  pan, ^ e  mei  Iwi  I  inuòro  d' 
htnf'  . 

18.  I  m*  auftrài,  e  i  gialràl  d)  min 
para,  •  I  li  dirai:  Pura,  i  gi  ài  manca 
cdnlFflr  d'.  Nosgniir  e  conJrù  d*  vó: 

10.  1  sé  pu  pili  (Icgn  d'èl<)lre  clama 
vostre  Tel  ^  e  trallàma  Pislès  com'un 
vostro  sarvilùr. 

80.  E  u  s'àiiscia  drct^  e  u  Tust  ala 
da  8.on  para,  e  u  l^cra  ancora  lugn, 
son  para  u  rà  vifi  e  j  à  fàit  compas- 
slón,  e  u  s'à  hulà  alali  anconira  e 
u  s*à  lapà  a  u  còl  a  basi  àio. 

81.  E  hi  fcj  u  Pà  dil:  Para,  1  gi  ài 
manca  centra  ^osgMÙr,  e 'centra  d' 
vó;  e  i  se  pi  guance  di'gii  d'èislrc 
clama  par  voslro  fói. 

28.  Lu  para  u  Tà  dil  u  li  suc>  nar- 
vilùr:    Lcsli .   uaxà   fu  P  viasla   piii 


Isella,  f  vUliscèlo^  e  butàll  aa  dai 
Panel ,  e  li  ciàuscia  at|li  plA. 

25.  E  ala  prendra.  Tu  vali  piti  gra* 
cho  J'è  ani  ii  tét ,  masfiàllo.  e  che  < 
niinget,  e  eh'  isl^n  tulli  aHcgar  an- 
!«^niblo;         *  -        •* 

84.  Parchai. silo  min  féf  u  Pera 
inori,  e  ora  u  PGst  arsuscÌti;*Pen 
f)ar4Jri,  e  i  P^n  trova;  e  u  Pan  co- 
menscià'a  Isla  allegar. 

8)S.  Lu  féi  più  viè|  u  Pera  ala  par- 
chi par  li  prà;*  e.  turànd  a^cà  u  l'i 
sinlii  a  sona  e  chès'  ballava. 

8tB.  i;  l'à  riama  un  iP  li  sue  spj^ 
Wlùr,  e  lì  là  dil:  Ch'  sloi  silo  fmcM? 

87.  E  silo  u  j'à  dil:  E  ]*à  lorn^  ton 
frara,  e  lon'pàra  u'PÀJàlt  roa'ssii  la 
vàiJ  pili  bel  eh' i.gi'&viu  ant*u  tèi, 
parchii'ton  frara  u'Pust  torna  arili. 

88.  E  chiàu  u  r  à  avù  tan  Ib  fui, 
e  u  vòlét  pi  gnonca  intrn  ani  cà:  lo 
para  alura  u  i*u<d  saifi  Tii/è  u  Pà  co- 
ini'nscià  prenderlo  nV  bona. 

•  89-  Ma/Chiàu  u  j*à  dit  a  <roii  para: 
E  j  à  già  lanll'ana'  eh'  i  v'  fàu  lo 
sar\ì)(ir,  e  i  v'ài  sempa  ubbidì  ant 
lol,  e  vò  u  m*  è  inai  duna  fin  cievrài 
eh'  i  lìì"  lo  godisso  ansèmbio-alli  mie* 


ninis; 


30.  ParChài  cbcjà  vinti  sto  vóitfo 
féi,*  min  frara.  ch'u  J'à  ^gairià  tot 
san  eh*  u  f*a\vl  ansòmbio  aP  gargà, 
Il  l'è  fàii  inascià  par  cliiàti  lu  vàil 
piii  bel  eh'  i  gi  avìu  aii(l'u  tòt. 

71.  Ma  lu  para  u  j'à  dil:  Minféi, 
là!  Pei  sempa  isià  min,  e  lui  sàu  che 
]  iist  (i*  mài,  e  liil  lon; 

52.  E  i  era  brn  giiist  d' islà  allegar, 
e  d'  farà  d*  fòlsla,  parchài  «^ilo  lon 
frara  ii  IVra  mori,  e  ora  ii  PiLsl  ar- 
sùscilà;  Il  l'era  imrdti,  e  ora  i  rèa 
Irò va. 

Avv    ItiAMiiETTi.  Giudice. 


DI  \  LETTI    PEnMOnTA^I 


5^tt 


Dialetto  a'  Ussecmo  (VaMn  di  Lanzo). 


II., Un -certuni  a  r^àavui  dui  tt; 

18.  Lo  plfi  $ìò\^n  d'  sii  a  a  Tà  dlt 
a  u  pare:  Pare,  donarne  ma  porsión 
d*  roba  che  m'  vin  ;  e  o  Ta  porlie  la 
roba'i  ' 

fS«  Clièi  gior  aprè^  abUaronà  eh' 9 
l'À  avu  tjit,  balandronànd*,  q  Test 
ala  lugn  lugn.  E  lai  0  \'k  sgheirà  là 
sua  rolKi^e  l'à  fàit  tinti  san-baloràn 
e  pascanipa.. 

14.  Apre  eh' a  Tà  avu  minglà  lu^ 
a  J'  è  ygnù  ''na  gran  earsiìa  a  11  sau 
paU'Iàl,  è  efajàl  bclcavi  la  niGragll. 

.15.. Ad  l'est  alà^au  Test  stacà' bra- 
gia a  'n  signor  d*  sau  paìs-lài:  saii 
signor  lai,  -Oli  rà  maqdà  cjQrà  li 
.crln.  •   ' 

16/ A  I  lucciava  mlogià  cliiàl  avo! 
Il  pors  gli  agiàn  ,  e  niùn  n'i  do- 
nayè  nin. 

17.  Autoriiànfl  pò  an  chiài  au  Tà 
dlt:  Yàirn  srvilù  u  cà  d'  mon  pare 
abòndan  d'  pau,.e  [  pascisso  d'  Cuui 
avòi  li  criii  ! 

IR.  I«ìutrri'  su,  j'*ajM*i  da  mpn  pa- 
re, e  je  dirci  :  Purv,  i'ri  p'cà  con  Irò 
'I  siél.  e  in  faccia  a  vu: 

f9Ll  sei  pi  gnin  degli  d'rssi  demanda 
vostre  ligi.  Fcìspiiie  con  furia  a  un 
d^  vosli  servitù. 

90.  Aussanlànd-s»  sii,  au  Test  ala 
da  son  pare.  Peste  ancop  aii  pò  lun|:, 
soii  pare  au  l'à  %òst:  la  compilation 
a  l'à  préi^  au  Test  alfì  ancontn,'au  Vk 
cìapà  pr  'I  còl,  au  l'à  basalo. 

21:  Lo  figi  au  j'à  dil  u  0  paro:  <ìlon 
pare  ,  i  ci  p'cà  contro  au  sié!  e  'n 
faccia  a  vù.  I  s<>i-pi  gnin  dógn  d'essj 
dmandà  vostre  ligi. 


22.  Lo  pare  au  l'à  dH  a  sii  servila? 
Porlèa  dona  la  pi /beli  vesti ,  ciòvèlu 
e  causàlH; 

•  25.  E  qfi'jià  la  vél  più  gras  ch'aviRÌ,, 
massàio,  pò  lo  mingién^  e'siasén 
Hlégre; 

■ 

24.  Perché  cosi. mero  fifi  au  l'ere 
mori,  au  r«st^arauscità  ;  rereperdà, 
i  rèi  trova;  '  e  .au  son  luiilà  <i  Ifià 
alégre.  • 

2».  SQn.figì  più  vói  au. l'era  po.ai> 
capipagba.  Qom^au  l'è-vnn,  austà 
da  pé  (i^la'cii,  »  l'à  santà  finta  e 
sona.     ■  '  *  . 

20.  Au  l'a  d 'manda  un  di  su  servi- 
tù, e  u  l'à  mandai  ch'i  ^tàis  fant^  Ì49Ì? 

27.  Lo  serTitù  aU.ràdil:  Ton  fVare 
au  rè  vnu;  ton  pure  au  Ta'  fàit  miissN 
lo  piii  bel  vèl  ch'au  l'élsce,  prché 
ch'a  L'è.vnu  a  cà  sftn. 

^a.  E  j'è  sauté  V  fùt,   au  vulè^  pi  ' 
gnin  ala  a  cà.  Son  pare  dune  au  sajii, 
e  au  fu  prega  ch^  a  f  inlres^i*. 
/  29^  Mu  rhiài  respondén,  au.gll  à  dil 
au  pare:  Da  tanti  agn  eh'  mi  t' ser- 
\ìsu,   i  .V"h  mai  d^subidì;   e  t'  m' è 
/inai  dona  un  ceiròt  ch'i  Jcssu  'na*  ri- 
boia avòi  piin  ainis; 
'  50.  Ma  dòpo  se  (Igl   isci  eira  Vii 
rningià  (ut  '«o  fèit  so  avòi   rpiilanis 
au  l'est  v'nii,  j  t'  à'iuassà  lo^vèl  pi 
gra*i. 

51.  Ma  lo  pare  a  i\à  dit  a  \o  ligi: 
Tl't'  sès.scmpi  sta  iscì  avòi  mi,  e 
tiit  est  lo;  ,'    , 

52.  I  convoli  donc  nringià  e  bei  re, 
e  sta  alégre,  prché  cost  ton  frari  au 
Tere  mori,  aura  est  arsiiscilà:  au 
r  ere  prdii,  au  s'c^^t  trova. 

Martino  Castraie. 


820 


PARfB  TERZA 


DiAiETTo  D'fvRBA  (Canavcse). 


11.  {jn'òni  a  ravìa  dui  flòi; 

flt.  'L  pi  gióVén  a  J'à  dit  à  so  pa- 
re: Pare,  i  voi  ch'im'  dàje  lo^h'a 
m'  vèn;.«  M  pare  a  j^i  dètsóa  paK. 

18.  0a  li  '0  pochi  d'  di  .a  Ve  tèi 
so  fagòt,  e  a  l'è  andèt  'nt  ùd  paia 
lontàn,.e  A  ri  sguUardi  \ùt. 

f4.  DOp  d'ayéi  sghe.rà  «lui;  a  J'è 
vnÀ  na  gran  oarestia.'n  cui  pais;  e 
chièi  ara  comensà  pnivàr  d'  fam. 
■  ■!¥.  Ba^V^nd  pr  li  te  sgdsia,  a  s'è 
aerea  'U  padrùn  pr  là,  ep'i  l'è  manda 
a  na«óa  cascina  a  iarg&r  i  ppi^hèt. 

16.  Chièl  l'avrìa  vorsù  'nrpisse  la 
pansa  d' l'aglan  ch'a  mangiava  i  por- 
chót;  ma  gnun  a  ]  na  dava. 

19.  Antlora  a  {'è  turha  'n  chièl,  e 
a  VA  dit  ds  par  chièi:  Quanti  servi- 
tur*  a  ce  d^  me  p»re  rmàngen  a  crpa 
pausa,  e  mi  i  stun  si  a  murir  d' fani! 

ia.1  m'darù  ardris<  e  i  andrù  a. 
cà  'd^  me  pare,  e  i  dirù:  Pare,  i'  ù  fèl! 
mal  contra  Nos^nùr  e  centra  d'  vui. 

10.  j  duvrissi  pi  nin  clamarne  vos 
floi;  ma  tralèaie  iir  i  (uss  'n  ser^^tòr. 

SO.  E  e  s'è  aussà.  e  a  Tè  aiidètdn 
sòpare;  a  rera'itcura  lontàn,  eh' so 
pare  a  l*à  visi;  e  pia  da  la  coiiipas- 
sión  a  J'è  curii  'ncòi)lra',a  l'è  pia  'rìt 
na  brassà  e  a  l*à  basa. 

81.  £  chièi  a  j  di  :  .Pa^e,  I  ù  manca 
contra  4^  Nosgnùr  e  coiitra  d'  vui; 
e  i  son  pi  nin  dégn  d'  esse  ciamà 
vos  flol. 

22.  'L  pare  a  l^à  dit  al  servitur: 


Tirèje  fora  pitst  'I  ves^i  pi  bel,  eh' a 
A'  lo  bùia  adòs;  bulèje  t' anèl  at  dì, 
e  t  sfivalio  aij>è. 

25.  Ande  piar  'I  bucinili  graa,  sa- 
gnèio«  mangiómio,  e  stórna  aléghcr; 

24.  Purché  cuet  me  Oòl  a  l'era  mori, 
e  a  rè  arsuseità;  a  l'era  perdu,  ej^ 
s' è  truvà;  e  a  l'àn  comensà  la  ribotta. 

2g.  X  flol  pi  vèj  a  V^ttm  'o  campa- 
gna, e  turnànd  acà,  a  1^  à  senti  so- 
nar e  ì>alàr. 

26.  Ciama  .a  'a  servitur  lo  ch'a 
r  era  st'  rabèl  7 

>  29.  fi  ràut  a  J'à  riApondu  V  A  J'è 
turnà  ià  frèl,  e  lo  pare  l'à  inaia  al 
vèt  gras,  purché  ch'a  Kè  vdu  san. 

88.  Chièi  a  l'è  sauté 'n  béstia, 
e  a  vria  pi  nin 'entrar.  Ma  M' pare  a 
rè  sorti  for  a  pregalo; 

29.  Ma  chièl  ara  rispondo  a  lò 
pare:  Aison  tanti  agn  eh'  i'I'  senr0, 
e  i  t'ù  mal  dsùbidi,  e  li  t'  m*è  mai 
dèi 'n  cra\òl  eh' i. 'ndèissa  a  man- 
gialo 'nsèm  ai  ine  amis. 

SO.  Ma  Hdcs  ch'a'  j^è  vnii.cust  tò 
fiotj  ch'a  l'à  mangiar  '1  fai  so  con  té 
porcile,  l'è  massa  M  vèl  graspr  èhièi. 

31.  Ma  '1  pare  a  j'4  dit:  Fio»,  ti 
l'è  sèu^per  niè,  e  lo  ch'a  l'è- me,  a 
l'è  lo;  . 

%%.  Ma  a  ventava  far  na  rit>oUa,e 
star  alégher,  purché  tò  [rèi  a  l'era 
morjl,  e  a  rè  arsùssìlà;  a  Pera  pcrs 
e  a  s^ è  truvà. 

Doti.  GàTTA. 


\ 


DI \ LETTI    PEhBMO^TAKI. 


»97 


riiALGTTo  DI  VBacELL!  (Caiiavcse). 


II.  Un  òm  a  r  ava  dói  floi; 
IS.  E  'I  pu  giovo  d;  \òr  Vk-àìi  al 
parif  0  pirly  dèmi  al  fnt  pie,  ch'a 
m'  poi  tocfièml;  >  'I  pari  l'à  (^  la 
divisiórt. 

f  S.  E- pochi  di  dop/1  liol  pii  picio 
rà  rabajà  sii 'tùli,  e  s*  n'è  andarne 
lonlmii,  «  ^n  poc  temp  s^èt>utasi  'ii 
malora  per  fé  d'  ri|>oli'. 

14.'  E  d^p  consunta  tùt  J' è  vnuje 
^t  e^l  pais  *nn  gran  faminna ,  e  IO 
r  a  eomensà  trovèsi  fin  bsògo. 

fltt.-B  i^è  andà  con  un  d^  coi  paisaH 
eh?»-"!  rà  mandato  anlM  so  camp  a 
larghe  i  porc»-^ 

#6.  E  lùM  desiderava  d^ empiei Ton 
le  seòme  che  mangiavo' {  crin;.ma  a 
fera  nén  lin  ch'aj  na  deissa. 

17.  Ha  pépsànd  ai  fai  so  a  l'à  dlt: 
Quanta  geni  paga  da  mò  pari  i  àn  da! 
pan  «  rolla  d*  còl,  e  mi  bei  e  chi  i 
crèpb  d'  fam  1 

18. 1  m'ausrò,  e  i  andarò  da  me 
pari,  e  ijdiro:  Opari,  mi  io  fai  mal 
avanti  a  Dio,  e  dnàns  a  voi; 

19.  E  i  mèril  pii  nén  d'essi  clama' 
vos  floi;, femi  vos  se.rvitór. 

^O.  Donc  aliflòl  s^c  anssàse,  c>i'^ 
vnu  da  £Ò  pari;  e  'niànt  ch'a  l'era 
ancor  lonlàn,  so  pari  al  rà'vdiilo, 
e  J'à  ràje  penna;  a  l'ècors,  a  s'^è 
ràmpàse  al  còl  e  i'à  basalo. 

SI.  E  *i  fidi  j'à'dìje:  0  papà,  mi 
i  ò  fai  mal  e  centra^  nos  Signorie 
'n  farcia  d'  voi;  e  i  inerii  pù  nén 
d*èssi  ciamà  vos  floi. 


'S2.  Ma  M  pari  l*à'dil(.ai  so  servl- 
lór:  Porle  subii  al.  vesti  pù  bel,  « 
butèju  an  -pdf  da  cap  a  pè,  con  l'^anèl, 
con  d'  scarpe  noVi  ;   ' 

Si.  Anlànd  ma^è  'I  pù  Ul  vitèi*; 
eb^  a  possQ  mqngèlo,  k  stèssni  alégar; 

24.  Parche  sto  .floi  n  l'era  mori,  e 
adèss  rè  vivo;  a  l'era  perdù,  e>a8'è 
trovasse;  è  i  s'''són  bùìàsse  tùlìi  a  fé 
gran.fìesta. 

SS.  Mlàhd  ài  pcim  niat  a  l'era  an 
campagna,  e  vnènd  a  cà,  essènd'  già 
vsìn«  al  sèni  la 'mùsica  e  *V  bai; 

2é.  E  ancantà.  al'  clama  .a  &n  do- 
nièstic  lo  ^h''a  J  ara  iV  nof-7 
.  27.  E  16  a  j'à  dije:  AP  sòr  fratfl  a 
J'è  vnq  a  c^,  e- so  pari  a  Tà  fall  mas!|è 
'I  pù  bel  vilèi,  parche  ch'a  l'è  riva  à 
irà  arti.  -' 

és.'Sla  cosa  rà  Tàje  vni  H  in^^  e 
Pera  li  par'andè^nl;  m^sp  parivend 
ad'fora  al  Pà  pregalo  d' a  vhi  dreni. 

29.  Ma  lui  i'à  dilt  al  pari:  Hi^codie 
mi.,  dop  tanH  ani  éh'i  r.ùbidiso,.i  ò 
mai  avù  un  cravòll  par  stèmiue  alé- 
gar coni  amìs;  '.      ' 

SO.  Ma  adès  che  is.  mal,  ch'a  l'à 
sgarà  (uU  al  (ali  so  con  d' le.  porche, 
l*è  vnù,  .voi  fci  masse  al  pù  bel  vllèl. 

31.  E  lui  l^à  diti:  Car  al  me  mài, 
ti  l'è  sèmpar  con  fili,  e  luti  lo  oh^a 
rè  me,  a  rè  lò^  '   •       ' 

3S2.  Adès  poi  li  V  dovìu  fc  festa,  e 
stè  alcgar,  parche  sto  lo  fralèl  a  l'era 
mori,  e  adès  l'è  viv;  a  1*  era  perdù 
e  s'è  trovasse. 

D.  Carlo  Valenzano  Biblioteca  rio. 


»38 


PARTE  TERZA 


Dialetto  di  S.  Bbr^ardo  pufwo  Ivrea  (Conavcse). 


II.  *Un^ òiD  a  I* à  ì)Ju  dui  fiòi ; 
*    iS.  E  M  pi  gióven  a  t'à  dft  al  so 
{>are:  Pare, dèimcja  porisIóiH  cli'a  m' 
vèin.  E  «  j'à  dèt  là  sua  pari. 

fSu  E  da  \\sL  ppee  di,  a  s'è  fèl  'I 
sò'.fagòt,  e  à  Ifè  andà  ani  un  pais 
lonlào^e  là  a  l*à  mangia  tql  'I  fai  so, 
fasènd  7  balórd. 

14.  E  dop  ch'a  i'à  mangia  lui,  a 
J'è  gnu  *n  cu4  pais  -na  grossa  cara- 
stia,*  e  chièi  a  I'à  cmensà  patir  fàni. 
\  ftt.  E  a  l*é  andà  a  giuslàsc  da  ^er- 
vitór  con 'un  padròn  d'.  col  pais.  E  a 
V4l  manda  a  lafrgàr  i  por^hèt  a  nà 
sua  c^sinna.  «       ; 

te.  E  à  desidenrva  d'aropisc  la 
ptnsa  dia  giang ,  ch'a  mlngiàven  gì.' 
faniaia];'e  nliilì  a  J  na  dasé. 

fl7|  Antlora  a  Tè  lurnà'n  chièi,  e 
'l'àsUt:  Quènt  servitiir 'n/la  oà.d'l 
me  pare  a  uièngien  pnn  s\ì\  ch*n  v'ò- 
Ico,/;  ni!  si  i  moèro  d^'lam! 
'18. -A  l'è  mei  eli'  m'ausa,. e  ch'I 
vàjà  a  trovalo,  e  ch*j  dia:  Pnr<»,  I*  ò 
fèl  mul:  j*  ò  offenda  M  Signor,  e  vui; 

IO.  1  sua  prope  pi  nén  lìvnn  d'sir 
cianin  vos  (ì6l.;  Ini  me  me  pi  mi  fiiss 
'n  \:os  servi lór.      .      . 

io.  E' ìiusàuiM!  a  s'è  'ncumiiifi  vcfrs 
cà;  a  Teru  'ncura  loiitàn,  '1  so  pare 
a.l/à  visi,  e- a  l'n  abiu  coinpa^sión; 
e  'iidàndj  all?<inconlru,  n  .s'è4*ampn 
al  col  d'I  fidi,  e  a-Tà  hasà. 

81.  E  1  Uólaj'n  4il  :  Pare!  i  ò  fì'l 
'n  gros  paca  al  Signor,  e  a  vui  ;  i  son 
pi  nén  dégn  d'  sir  ciamh  vos  liol. 

22.  'L  pare  a  I'à  dit  ai  so  servi- 


lòr:  Stilli  l>  por  tèrne  sì  la  sa  a  ve»ta, 

e  bùlèiia  aclòs/  e  dèjc  l'anèl  a  la  sua 

'  man,  e  bulèje  ja  scarne  an  t' i^  pè. 

W.  E  andè  a  piar  »n  vè\  gras ,  e 

massèio,  e  mangìumlo  e  stuma  alle- 

gherv  . 

SI.  Perché  cost  me  fidi  a  IVra  mori, 

e  a  l'è  arsusòUi;  i  l'ave  pars,  e  i  t*ò 

trova;  e  f.l'àn  prinslpià  a  star  al- 

légher.  •    ■     . 

t6.E  '1  so  floi  pi  yèj  a  l'ere  an 

campagna  :  e  gnèiiè  a  cà^quand  ob'a 

1|era  da  ysin,  a  I'à  senti  nac^sinfeaia  ; 

-  26.  £  a  rà  clama  un  dl-scrvllòr, 

e  a,  j'à  clama  che  ch'a  J'era? 

27.  £  chièI  a  J'à  dll:  A  J'è  gniu  'I 
lo  frèl,  e  'riò  pare  a  I'à  mani  'a 
'  vèl  gras,  perché  ch'A  I'à  torna  aviir 
san  e  salv.  .    ■  , 

2d.  Ai' è  sauln  'I  fui  e  a  vulè  gnaoca 
'Mirar  'n  cà;  'hsoparc  a  Tèsorti,  e 
a  rà  prigàvh'anlrélss. 

«29.  Ma  chicl  a  j!  à  rispondù  al  so 
pare:  Oti  '.  a  son  Icrir  agn  eh*  1  v'  ser- 
visse, e  v'ù  nial,dsrLbdì^  e  \  m'cl  iiAi 
{ibi  'n  cravót,  ch'i  féiss  n'  allegria 
coji  i  me  amSs; 

.%0.  Ma  péina  ri\à  cò^i  vos  fidi,  ch'a 
rà  nianglà  'I  fai  so  con  le  putlaa^t 
i  j'H  massa  'n*  vèl  gras  per  clilè|. 

51;  E'I  pare  a  j'à  dil:  Me  car  Odi, 
li  l'è  ^c  in  per  con  mi,  e  lo»  eh' a  l'è 
me,  a  rè  lo. 

32.  \i\ò^  a  |>oytava  far  'n  banehèi, 
e' sfar  al  légher,  perchè  cost  lo  frèl 
a  Tcra  inori,  e  »  l'èarsuscità;  a  l'era 
l»ers,  e  a  s'è  Iruvà. 

C\MP\R(>  Gi(»\A>M.  Previsto. 


DIALETTI   PEUEVO^ITANI. 


»99 


!)iAi.kTT<>  DI  P.\vo:«E  (Canavcsu). 


f  I.  Un  òm  a  Tavce  diii  Vii 

12. 'L  pi  gi^véa  n  rà  dit  al><tò 
pare:  Pare,  dt^ime  la.parlcb'a  in' 
vcgn;  e  \\  par^  a  j'à  sparti  Uiit  dui. 

15.  Qualcli'  terop  après  *\  pi  gió- 
ven  rf  s'è  'nsacà  I  so  dner,'e  a  Vh 
'ndà  da  lóns,  e  a  rà  consuma  tut  'n 
desbàucle. 

1.4.  Dop  cb*  ara  liquida  liìt  U' 
fai  so,  .a  j'è  vgnu  na-gran  fnminna 
'oqui  pais,  e  clièt  a  s'è  trova  'nt' 
la' miseria. 

Itt.  A  l'c  'ndà  glustàssc  da  ser- 
vitòr  con  'n  partirolàr  d'  col  pais 
eira  to  mandava  largar  i  porrbil. 

■ 

IO.  A  trovava  sauri  la  gi.nnt  eh'» 
uiingJàVen  i  animai  ;  ma  gnun  a  j  nu 
dasce. 

17.  'Ntlora  a    rà   duèrl  i  c^jj^e  a 
J'à'dit:  *Nt  la   cà  del  nrè  pare  tent. 
servt^tór  a  nicngcn  a  qual  ganasce,  e 
mi  -si  i  muèro  d'  f;ini! 

la.  I  v6j  'ndàr  trovar  1  nnVpare, 
e  i  dlrù:  AhlcUr  pare,  I  j*ò  ninncà 
contra  M  ciól,  e  conlru  voì< 

19.  Ison  pignin  di'gncirim'ciame' 
vos  fl;  tgnimc  come  iin  di  vos  ser- 
vi tór. 

80.  A  rè  parti,  e  a  Te  'ndà  trovar 
'I  so  pary  'I  pare  eh' a  l'a  visi  vgnìr 
da  lonlàn,  a  n'à  ablu  compussión,  a 
j'c  curu  'ncontra'a  s'j  è  campa  sol 
còl,  e  al  rà  basa. 

21.  E  M  ti  a  l'à  dit:  Ah!  car  pare, 
i  j'ò  manca  cantra  'I  cirl  e  centra 
voi  ;  I  son  pi  gnin  dógn  cb'  im'  ciamc 

vos  ìiai. 

22.  'ISllorft  'I  p.ire  a  l'ù  dil  ai  so 
«ervitór:  Subii  portème  la  pi  bella  | 


vesta,  e  vcstimlo;  butèjc  un  anèi  al 
di,  butèje^le  sdarpe  al  pc; 

23.  '^dè  pi)r  'I  Wh\  gras  ch'à  j'è 
'ni  la  stalla;  ì(canèlo ,  mangióma, 
tralómse.  ' 

'24.  'L  nrè'car  A  a=  ì'era  mori,  è  a 
l'è  arsuscltà:  a  l'era  pers,  e  a  l'è'^lèt 
trova;  e  a  s'è  fòt  un  grart  «banctièt.  . 

i,)i*  'N  cosi  méntre  '1  fl  pi  vèj  cb'a 
l'era  'n  campagna,  a.  l'è  riva  a  càj  e 
quand  a  Té  stèt  avsin,  ai'à  senti  '1 
sòn'dje  stromcnt  e  '1  bai.    ' 

2C.  A  Tp  clama  un  di  servitòr,  e 
a  j'  à  dit:  che  ch'a  l'è  ttit  s' fracàs? 
■  27.  'L  servllòr  a  j'à'dit:  A  J'c  vgnG 
a  cà  'I  vo's  frèl;"l  pire  a  l'à  fèi  mus- 
sar 'I  vcl  gras  dì  gòj  d'avèllo  visi 
ancora  san  è  vlf. 

28.  'L  frèl  senti  ste  paròje  afe 
'ndà. 'n  colera,*  e  a  l'à  gnan'ca  via 
liintràr  'u  oà;  '1  pareà  l'esorti  chièl 
istès  a  progàio  rh'a-.nintréiss. 

2ik  "Ria  '1  fidi  n  j'a  dit:  A  l'è  tent* 
agn  eh'  i  v'  servisse,  ^  i  pulì  gnin  dir 
ch'I  v'abbiù  mai-nrancà  d'obMiensa; 
ma  il  mi  i  m'èi  mai  dct/n  cravòt  per 
far  na  marènda  con  i  me  camarada. 

50.  i^la  'I  frèl  cosi  fati ,  ch'à  l'à'eon- 
siima  tùt  'I  fèl  so  con  d'  forane  d'. 
mala' vita,  sùbit  ch'a  Tè  riva  a  cà, 
voi  j'èi  fèl  massàr  'I  vèl  |^raSw 

.31.  0  me  carfi,  arj'à.  dil  'I  pare; 
li  t*è  Romper  con  mi,  tut  lo  ch'a  Tè 
me  a  l'è  lo.  '     e 

52.  ALI  vutii  gnlh  ch'i  sèe  alégher 
è  ch'i  fèe  festa,  se  'I  lo  frèl,  eh'  a 
Tera  mori,  a  l'è  arsùscità;  il  tgnéc 
j)er  pers,  e  i  l'ò  trova? 

P.*  Dui  Lieo  Fraxcbsco. 


»30 


PAHTB  TERIA 


Dialetto  di  Vismoaio  (  Canavese  ). 


11.  'N  òm  a  rà  avù  duj  fidi  ; 

12.  E  'I  przóvèn  m  SU  )Jiu  a  Vk 
dit  al  pare:  Pare ,  dèine  si  la  pari 
eh'  a  m' tocca  a  m\.  E  chièl  a  j' à  di- 
vis  '1  patrUnonh 

iS.  £  a  rè  ni»  andà  long  teuip» 
che  sto  .fidi  pi  jEÓven  a  s'  n'è  parti 
per  pais  loiitàn  lonlàn;  e  Ita  !*à  dèi 
c/iniin  i  e  macia  tu t  ci  fall  so ^  mnànd 
na  vita  disonesta.  _ 

14.  E  d9|5  avéir  consuqià  lutlò  ch*a 
Tavia,  a  J^è.'ncvpita.na  fam  4a  ean 
pr  cui  pais,  e  cRÌèì-si  a  rà  'n  pò 
pripsiplà  a  trovasse  aiit  la  necessità. 

Itk  E  |i.8*  o'è  'n  pò  parlisne,  e  a 
8'  è  arraiDl>à  a  'ii  particoiàr.  de  cui 
pais;  e  si'  si  a  rà. inonda  'ni  na  soa, 
tera  a  largar  i  porche! t. 

l'è.  Slòje  com'  a  r  era  a  dsiikrava 
d'  'mpisse'la  pansa  di  agiàné  eh* a 
rusiàven 'i  porchèit;  e  nión  a  j'na 
daséja. 

'  17.  Anlrà  pòi  an.sè  a  Tà  dìl: 
Qucnt  servi  tur  an  cà  d'  me  pare  a 
ràn  d*4)kn-  an  abondansa,  e  mi  i 
crpo  sr  d'  (am  ! 

18.  I  m'  darù  ardrisa,  i  andrù  dal' 
me'  pare^  e  j  dirù:  Pare ,  i  ù  manca 
'scontra  Nosgnòr,  e  'ncontr^  vui. 

.19.  I  son  gnano  pi  dégn  id*  èsser 
clama  vos  fiòl;.pième  com'ùn  di  vos^ 
servi  tu  e. 

20.  E  S^ndse  aussà  arò  torna  dal 
so- pare.  Anterménl  ch'a  l'era,  ancor, 
lontàn,  'I  so  pare  al  rà  visi,  e  a  Tè 
stèt  pia  da  la  compassión,  e  corèndje' 
ancontra  a  s'j  è  larga  al  còl,  e  al  rà 
basalo. 

21.  E  '1  a  a  j'à  dijc:  Pare,  i  ù 
manca  'nconlra  '1  cól  e  'ncontra  vui  ; 
i  son  pi  gnin  dégn  d'esser  clama 
vosi  Uòl. 


22.  'L  pare  poi  a  l'à  dit  al  so  ser- 
vi tur:  Vito;  porte  ansa  la  prima  ve- 
sti menta,  costilo, «è  rangièlo,  e  dèje 
l'apèl  an  man,  e.oaussèlo  com'a  s' 
dev  ant*  i  pè;  * .  •* 

X^.  E  pie  *n  Vèl'gra8s,,e  sagnèlo, 
ch'il  meiigéq,  e  ch'i  9tén  allégber; 
.24.  Perchè  che  st'  me  fi  a  l'era 
mort  e.a  rè  torna  arviver;  a  l'en 
spers,  e  à  s'èJfuvà«E  a  l'àn  cmèmi 
u  ,taffiàr  an  règola. 

2;s.  A  reca  poi  l'àut  so  fiòt'pi  vij 
'n  campagna,  e  argnènd,  eaavBiMiiK 
a  la  cài  a  r  à  senti  a'  sonar  e  cantar. 

2g.  E  a  l'à  clama  fin  di  servUàr, 
e  all'a  'nternàcbe  ch'a  j'ero  steooieT 
.  27.  Ech^l-siaJ'àflit:  'L  véslfra- 
del  à  rè  vgnù,  e  '1  vosi  pare  a  l'i 
massa  'n  vètgcas,  al  perchè  ch*a  l'à 
arvù  san  e  salf. 

28.  E  a  j'èsauta  la  bill,  a  Vari 
pi  Din  'ntrar;  e  'I  so  pare  sorti,  a 
s'è  bulàsse  a  pregalo^ 

29.  E  chièl  respondénd  al  so  pare, 
a  j'à  dit:  Etché  lit  mi  da  tant  tenp 
ch'I  v'  servisso,  e  v'ò  mal  dsubldi 
na  mésa,  e  i  m'èi  mai  dèt  sUméiit 
'n  cravòt ,  chi  m'  féiss  na  ribòtta  eoo 
ì  me  amis; 

.  30.  Ma  doi>  eh'  st'  Qol-si«h'a  l'i 
sgherà  tufi  fot.  so  con  le  rpittlane, 
a  8'  n'c  torna,  vuljlèl  subit  massi 
.'n  vèl  gras. 

51.  E  chièl  a  j'à  dit:  Beicà  fi;  ti 
l'è  sèmpre  con  mi,  e  lui  lo  ch'a  l'è 
me,  a  l'è  lo.  .       . 

52.  A  l'era  pòi  necessari  de  (afa 
convit ,  e  n' allegrìa,  per<.*hé  che  sto 
fradcl'bi  a  t'era  mori,  e  afe  arvivù; 
a  l'era  perdii.'e  a  Tè  slot  truvà. 


% 


OIALETTI  rEDEMONTAflI. 


531 


DlALBTTO  DI  CALU80'(Cans|ve8e). 


f  fl.'Ua  ònib  a  l'avìa  dui  inatèl; 

19.  Bl  pi  giovo  a  J'à  dlt  a  so  pa: 
Pa,  dèioe  la  mia  pari  cii*;^  io'  tocca; 
e  II  pa  a  J*à  dèi  a  tiiit'dùi  '1  fatifò. 

18.  Da  lian  poc,  strensù  '1  fat  so, 
"I  mfitèU  pj  giovo  a  l'è  àndèt  ani  -un 
pais  lonlàb)  a  ri  mangia  futi  que' 
ebe  89  pwe  a  J'à  dèt  fasènteh  potane. 

14.  E  apr^  avéi  mangia  lijt,'ant 
col  paisà  J''è  oiu  na  carestìa;,  e  cliièl 
l'à  comensà  ^  stanlà. 

lìL,  A-s'  n'è  andèt  via,  e  a  l'è  an- 
dèi  a  sia  «ervllòr  a  cà  d'jun  parti- 
cola r  de  col  pais,  ch'o  rà  beila  a  n^ 
ióf»  cassioa  a 'larga  i  porcbìt. 

16.  Per  gavèase  la  fam,  a  'l'era  ob* 
bligà  à  mangia*  lagiand,  i;b'a  maor 
gìatp'l  porchìt,  !porcbè  niiin  ai  de- 
sia niéntus. 

.   17.  Avèiid  pensa  ai  fàit'Sft:  Quaitli 
'lervitór  a  mangio  a  cà  de  me  pa  M 
pan  a. uffa ,  e  mi  i  son  cestrc^  a-oiorì 
d'  farai      ' 

f8.*I  voi  pi  nén  sia  sh  i  voi  andà 
tla  me  pa^  e  j'  dirù:  Pa,  )  rò  p/eccà 
conerà  Nosgnór,  e  centra  vul; 

IO.  I  son  pi  nén  degn  d'esse  clama 
vos  fidi,  plème  mi  cb'l  fùss  iin  vos 
oervitór.  »       ,     • 

M..  Aor  bei;i.|A3i)sànt  a  rè  andèt  da 
8Ò  pa;  a  l'era  ancù  lontàn  ^'  so  pa 
al  t'à  vbt,  e  pia  da  la  compassióne 
a  s'è  bùia  core  latin,  j'è  saula  al 
CÒI5  e  rà  basa. 

SI.^Alloriielfiòìaj'àdil:  Pa,  i  l'ò 
pepcà  centra  Nosgnór,  e  centra  vul; 
i  aon  pi  nén  degn  d'osse  clama  vos 
fidi. 

2a.  EI  bon  vèja  j'à  dit  a  un  di9Ò 


servilór:  Presi,  porle  la  vesta  pi  bella 
cb;  l'abbio,  butèla  a^òss;  dàje  l'anèl 
ch'a  s'  10  bùio  ani  i  di,  e  de  scarpe 
pr  ch'a  s'<càussa. 

.  85.  Presi .  pie  un  vèl  ^nM,  iàas- 
sèlo,  mangi^mlo  e  «tóma  allégbèr. 

24.'Porchè  el  mè.matèt  a  Torà 
Oiort,e  a  l'è  risùsc^;  i  l'avia  pera» 
e.adèss  I  i'ò  troVà:  6  l'àn  cooiensà 
a  stè  allégher. 

Stt.  El  fiol  pi  vèj  di' a  l'ehi  andèt 
an  campagna ,  vnènl,  e  vslnàndse  a 
cà^  a  rà  senti  canta  e  sona. 

26.  A.J'à  clama  a  .un  di  «ervitór 
che' ch'a  Tera  ch'a  fasio? 
.  S7.  El-^ervitót  a  j'à  dit4  A  J'c  nlù 
tò  fradèl,  e  là  pa  a  l'à  aubùl  nuisià 
un  vèl  gras^  porche  ch'a  l'è  nlù  ftcà 
san  e  salv. 

28.  St-ei  a  rè  saulà  an  còlra,  a  vria 
nén  andà  »  cà;  el  pare  a  l'è  sortì 
(ora,  e  al  l'à  clama. 

29.  nachièl  a  j^à  risposi,  e  dlt  «a 
so  pa  :  A  1*  è  da  tanl  .tèmp  cfì'  i  ira* 
vàjo  per  vul,  eh'  i  jò  sempre  fèl  qué 
eh'  i  vHje,  e  pur  1  m' et  jnai  dèi  niànca 
n'agnèl»  ch'I  mangiéissa  con -I  me 
aoiis; 

30.  ^a  sùbùt  cb'a'J  è  nlù  còsi  vosi 
Adi ,  cb' a  r à  ioaiif ià  tu l  a*lrci(ie,  a i' èl 
sùbùt  per  cbièi  massa  ùa  vèl  graa. 

SI.  £1  pare  allora  a  fa.  dit:  Séll,  ^ 
li  t'è  sempre  elèi  con  mi,  0  lui  qué 
ch'i  l'òa  L'è  rà. 

$2.  Anlava  ben  mangia  e  slà.ah- 
légher,  porche  tò  (radei  a  l'era  mori,* 
e  à  rè  risuscita;  I  l'avìa  pers,  e  I 
l'ò  trova. 

N.  N. 


532 


rARTE  TEHZ» 


DiALETTu-Di  Stiia>bi>o  (Conave^f). 


II.  Un  òatcìi  a  l'avi»  rlni  cèl; 

■ 

19.  'L  pi  gióven  iV  sii  oialìl  a  l'à 
(lìt  al  pare:  Pare,  <l(>iiic  la  part  del 
palriniqne  oh' a  n*  ve^n:  e  '1  ^are  a 
J'n  Rparli  M  pAlriinom». 

■ 

16.  Poec  fiì  après,  mtènd  lui  aii- 
Sem';  'I  cèt  pi  gióvun  a  rè  andà  ani 

■ 

fm  [taw  lonlA'k^^  e  a  rà  con«iimà  la 
itoa  P9rt^  vlvpnd  da  plandrdii. 

14.  Quand'  a  T  à  abiu  consuma  IRI. 
A  3  è  ariva  ant  ctil  pais  na  gran  ca  - 
ristia  ;  e'I  cèt  a  Pà  couiensà  a  sentir 
'1*  bsògn.^ 

•.  tu.  E  a  rè  andà  a  giiislassc  al  ser- 
visse d'  'n  sgnur  de.  eul  paìs,  eh' a 
vìi  manda  a-'  na  ^a  cà  d'  campagna 
pfer  «h'B  larghcissa  i  pDrchìI. 

flt.  F  'là  dsidcni^rh  d'empisse  la 
pansa  d' la  ^iand,  che  i  pnrcliìt  a 
mangia ven;  t  gnnn  a  j  dasìà  gnonlc. 

17.  Ila  H  chi  lornànd  ^u'n  se  stcss  a 
rà  dit:  Oh!-qdonl  stTvitùr'nnl  la 
cà  d-  me  pare  a  ràn  d*.pan  d'a\àn«. 
e  mi  sì'l  morò-d'  fam!  " 

in.  I  me  levrà  da  si /e  i  andrii 
dal  me  pare,  e  J  dtru:  Pare,  mi  I  ù 
paca  devcnt del €iSl,  edcvòni  da  vui: 

IO.  l£on  pi  ni  11  de^n  d'esser  cì«-vinà 
voscpt:  fcme  cum'ùn'di  vos  Servii iir. 

20.  nisònd  paìrér^  a  8*c  Iva,  e  a  Tè 
andà.dasò  pare:  tròvàndse  pò  sei-si 
anciir  lonlàn,  '1  pare  a  Vh  visi,  e  pia 
da  la  corop»ssión  a  l' è  córu ,  a  j' ì* 
cheìt  sul  cól,  e  a  Vh  basa. 

»l.  Sì  'i  cèt  a  rà  dit:  Pare,  mi 
ì  ò  paca  devcnt  dui  Ciól,  e  dcvènl 
da  vui;  mi  son  pi  niti  degn  d'esser 
cianià  vos  cèt. 

22.  'L  pare  anliiini  a  l'à  dit  ui  so 


servii ùr:  porte  subii  là  soa  pi  bela 
vesta,  \'eslilo.  e  bùicje  Tanèl  atti  ci 
dì  e  Te  scarpe  ant  i  pè. 

23.  Ciapè  ijti  vcl  gra%  e  massèla,  e 
gneli  mangnrnma,e  istar^n  aléghar; 

24.  Perché  st*  me  cèl  a  Tem  morì, 
e  a  l'è  ^rsjissn»;  n  Pera  perdu,  è  a4ài 
a  s'è  trova;  e  a  l'àii  «amiiisà  a  baa- 
chetàr.        ,* 

2».  Ha  *l  vèt  pi  vèj  eh' a  l'era  a  ta 
campagna,  turnànd,  eysinàndsea 
la  cà,  a  rà  senti  a  sunàr  e  a  cantar. 

20,  E  a  rà,  eia  ma  àn  di  sèrvUòr, 
e  a  j'à  clama  fo  eh 'a  l'era  7< 

27.  E  '1  seryitór  a  j' à .  dll  :  A  fé 
ygnù  M  tò'.rrèlr  e  'I  pare  a  rà  maisi 
lìo  vèl  gra«  per  avéjer  'irquistà  'I  ti 

28.  Senlcnd  l'afàr,  a  j'é  vgoù  M 
flit ,  e  a  4'ojà  pi  Bin  antràr  an  ca.  Ma 
'1  pare  ^end  àorlì  il  l'à  comiosàa 
pregalo*  ■  • 
•  20.  'L  cèt  pò  rispondènd  a  fa  dit 
al  pare:  A  ^on  leni  «gn  che  nli  f  v' 
servo,  e  i  ù  mai  dispressà  '1  vos  co> 
iiiànd;  e  vui  mai,  e  pÒ  mai  i'  iii'a\i 
dèi  un  cravòt  da  mangiala  con  i  me. 
amis. 

'so.  Ma  après  che  sT  vos  eèl,  eh' a 
rà  consuma  'I  fat  so  con  le  pùUne,  a 
l'è  lorirà,  voi^'avi  massa  'n  vclgras. 

ii.  Ma  M  pare  a  j'à  rispòsi,:  0  né 
car  cèt,  ti  l'è  «èmper  con  mi,  e  lui 
'1  me  Si  rè  lo. 

32.  A 'Convè^nà  ben  banrhelàr,  e 
far  festa  ,  perchè  si'  lo  frèl  a  Pera 
mori,  e  a  l'è  'r>iissità;  a  t'era  per- 
dila e  a  s'è  trova. 

L).  .Uatteo  Romno. 


\ 


MALint  PUNSIMNTA5ÌI: 


555 


Dialetto  di  8.  GioiGtb  (Canave^). 


•  II.  iÒo  ÒHI  a  r»viQ  dàt  cè't; 

11.  B'^l  Kond  a  Va  dit  a  so  pari: 
Pà,  dème  '{*  fai  me.  E  M  f>ari  a  j'ii 
lèi  la.  pyrt^d'  tsò  ch'a  )  locava  a  élal. 

ÌZ.  B  da  H  an  poe'ies-li  k  rà  ra-% 
basta  Ini  so  eh*k  yk  dèt ,  e  a  a*,  n'è 
'ndèt  l^ntin  lontàn ,  e  a  l'à  sghèrà 
tal  ^  rat  «^  vi vènd  dà  strìplà. 

14.  B  apkt»  cfa'a  rà  fat  arlàs  de 
tfii  ad  ch^li  raviè,  'nt  èl  paia  eh'.a 
l'e#a  a  i['è  'ngna  nà  ipNissa  careslia, 
e  eel  a  l'à  comensà  4  patir  la  fafti. 

Mf  E  a  rè  'ndèt  f^  piatasi  a  na 
persona  d*  eoi-  paia.  E  'Cei-là  al  l' è 
Manda  a  aoa'^aasinna  a  largar  f  pòr- 
^hèii. 
'!•.  B  a.l'HVlè  vòja  d'Jmpìsal  la 
passa  con  I  giandua  eh' a  mangiàven 
i  porehèll,  e  gnèn  a  j  na  daaJè.- 

«7.  Tornènd  pò  an  eeìf  a  rè  diti 
Qeantl  aervltòr  a  ca-d'  me  pari  a  l'àn 
del  pan  fin  ch'a  vóien,  é  mi  si  i  moro 
d*'fim4.  * 
.  18.  A 1^ è  mèi  ch'i  m'àusaa,  t  ch'i 
ve  da  ttiè  pari,  e  ^h'i  j'di^a:  Pa,  i 
l'ò  rèt  frane  mal  ;  i  i'  ò  ofléis  Koagnòr 
e  vai; 

%9,  Par  aùri  mèrito  pi  nin  d'è^aer 
eTamèvoa  flpl;  tralèmi  mac  com'-un 
di  vos  aervilòr. 

to.  E  ausaàndai  a  s'è  incannila 
vera  la  ca  ti*,  so  pari:  E  "'ntraméht 
ch^  ii}'  efsynoór  lontàn,  aò  pari  al  l'à 
visi,  l^*còm|taaalón  al  rà  pià^  e  cor- 
rèodaj'è'auitàalcòt,  e  al  l'à  basa. 

Sfl.  'L  051  aj'à  dit:  Pà,  iVò  tòt 
frane  mal;  ì  rò  offéts  Nosgnór  e  voi; 
aùr  i  m' mèrito  fn  ohe  vul  im'  clami 
vos  fidi. 

28.  Ma  so  pjlri  a  l'àdit  ai  servitór: 


l[»rest,  dèi  foi*  'I  vestì  ch'a  rav)è  pri- 
ma«  e  bfitèilo  adòs;  but^é  l'anèl  'nt 
il  dì,  eli  aeaii^r'nt  ì  pè. 

'2S.  Tire  for  'I  vèl  pi  g^s  cb'a 
J'é,  e  maaaèlo;  ch'H  mangt^h-,  e  eh' 
ia^n  aléglier. 

t4.  Porche  cpat  me  cìt  a  l'sfa  wavtl, 
e  a  l'è  arauscllà:  i-l'avièn  pera,  e 
1  ràft  tcovà.  E  u  a^ten  bèC»  a'  ri- 
botar:  .     '  ' 

8»..'NcòstmenM;Ì  flol^ii  vèich'a 
l'era  *n  Campagna-,  fdrnànd  a  cà  a 
rasenti  ch'a^oiraven  exh'a-caii*» 
làven.  • 

86.  E  a  l'à  clama  An  di  aervilòr, 
e  aj'à  dltr  Che  ch'a  Voi  dir  so-si? 
-  87.  E  c(^(-si  a  j'à  ^tiz  Vos  fradèl 
are  'ngnu,  e'voa  pari  a  l'à  Tèt  nàa^ 
aàr  n-pi  bèi  vèl,  porche  ch'a  l'è  tóìmà 
aan  e  aaiv.  .  •  /      .'     ^    '• 

88.  Senti  'al»  ndvl,  il  J^è  aautà  'I 
(ot,  e  a  vojè  'pi  bln  intràr.  '  'Lpàri 
'ndrónc'a  Tè  aorti,  e  a  l'à  èomenaà 
a  pregàio. 

89.  Ma  cel  a  T a  Vlapòal'  a  aò  pa- 
ri :  Vardè,  a  l'è  tanti  in  eh'  i  v'  si;rvo 
a  pontin,  e  i  t^'Ò'fèl  aempr  ao  ch'i 
m'èi  dit;  e  vul  1  ;n'èi  mai  dètgnanc 
tìn  cravòt  dà  atamni  àlégher  eon  I 
me  amia; 

50.  Ma  aprè^  ch'a  j'è  riva  còst  tò 
flol,ch'a  l'à  aghèrà  liil  con  li  alartdrl« 
]'  ci  rèt  maasàr  '1  vè^  pi  graa. 

51.  Ma  'I-pari  a  J'à  rispòalr  Fidi, 
ti  1  l'è  aèmper  con  mi,  e  tut  aò  ch'a 
rè  me»  a  l'è  tò; 

S8.  Ha  a  ventava  ben  alar  alégher 
e  apaaaàsla ,  porche  cost  tò  fradèl  a 
l'era  mort,  e  a  l'è  toma  arviver;  a 
Tera  pèrs,  e  a  s'è  trova. 


57 


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PARTE  TERI.% 


Dialetto -DI  Captellamosite  (Canavcse). 


ll.'NòiD  riva  aiii  fidi; 
•  la.  E  '1  pi  gióipiQ  di  dui  VA  dit  at 
pare  :  Para,  dh^mì  me  lòq  e  chèi  Vk 
fe(  U  j^fi  a  tuU  dui.  ]  .. 

18.  Da  li  an  poc  '1  fidi  pi  gióan 
ralMSsà^AiU  el.fèl  aov  s'  nSè  ll^àvià* 
loDtàn  lonftn,  e  li^  a  l'à  9g(pèi3i  liìU 
da  glig|làrd  xon  {e  fumne. 


fi.'Esgh'Srà  ch'a  rà'avu  iy)l,  u  .cattipagoa^gDèiìtacài-egiàvaiOfeoeo 


23.  E^ór  'i  vcl  'I.  pi  fl^s,  e  la- 
gnèlo:  t  tpan^rùma,  e  i  daràpia 'I 
•pa&t;  .  * 

.  'l4.  Purcilè  che  cuti  me  idi  a.  l'era 
mori,  e  a  òr  a  Tè  ortusclU';  •  rem 
sperdu,*e  a  s'è  inivà;  e  à  l'ào  cobi- 
neuBÌi  M  pasl. 

2tt.lli(  n  floi  p\  vèl,  ch'a  l'era  '■ 


cui  pan  J'è  riva  adòss  'na  graìi  6iid, 

•  cbèf  ara  eoAm^sà  a  pirtìr. 

,  Itt.  Eeyò  dòlurdrìa  ^  a  «'è  giu: 

V  ala  pon  ^B.  ben  d'  cui  pan,  cU'atrà 

manda  a  la*  caaslna  a  largar  I  por- 

clu&il.        ^      . 

•     .  . . 

if,  ^  Il  bramava  d'ai4>ÌMe  la  pausa 
^  r  agiànd  .ell'a  mangiavan  i  por- 
ch^t,  e  gnun  cb'a  na  dèiasa:  • 

17.  Onlù  lerniL  en  chèl  a  4i8iAva: 
Quinti  servitór  a  cà  d'  roè  (tare  cli'a 
ràq  d'  pio  da  mangiar  pi  ch^a  na 
vólcn,  e  mi  "sì-chi  cbèjo  d' fam! 

18.  Bèinoh'i  m'  rarùcura|;i,  I  an- 
drà dal  me  pare,  e  ]  dirù:  Pare,  |  u 
fètn^gl  anvèrs  del  (lél^canvòrs^'yui; 

19..  Sor  pi,AÌn  dégn  d'esser  ciamà 
vos  0dl,  Igpimi  ma  (us  un.d*  vos 
aervliùr. 

90.  E  su,  e  dèje  anvèrs  aò  pare;  e 
a.  l'era  auoór  lonlào;  che  'I  so  p*are, 
yk  già  visi  gnir,  e.  pia  da  la  coni- 
passlón^véslo,  mapcij^  'qconlra  Un- 
cl^a  j'è  cheìl  adòss,  e  l'à  basàslo.  " 
.  SI.  El  adi  j'à  dìt:  Pare,  i  ù  fèt  mal 
anvèrs  del  Gel,  e  anvèrs  d'  vui;  son 
pi  nin  dcgn  ch'i  m'  ciaine  vos  i\'ò\. 

88.  E  '1  pare  l'à  dilai  sòscrvilùr: 
Vito,  la  vestiméinta  la  pi  bela,  e  bùl- 
lèila;viloranèl  ai  dì, e  le  starpeaipc, 


ch'a*  seni  sonar  e  baiar. 

te.  Vito  a  dama  'n  ,a€nrltàr,  e  a 
J  dls;  Che  ch'a  voi  dir  a'.  Upagi? 
.  87.  E'I  aervitùr  J'à  $fU:  A-l'ègao 
'i  vo9  fradèi,  e.'l  vos  ifare  l'à  fet  aaa- 
sàr  '1  vèi  pi  gr^sa,  pur^ié  ch'a  l'a 
arbinà  san  e  salf. 

88.  E  per  so-ò  rè  andàt  tu  b^pUa, 
e  a  volava  nin  pr  ain  lnlràr;^'à 
dovi!  '1  pare  chèl  SQrlir  fór  «  è  •  i^è 
butta  a'pr({gàlo. 

89.  Ma/l  fio!  j'à  rispósi,  e  l'à  dll 
al  palle:  Vardè;  Tè  Uni  lèimpch'l 
v'  fon  'I  servitùr,  i  ù  sèmper  tèi  lAl 
so  ch'i  ih'èi  comanda,  e  1  m'ètnai 
dèi  iin  motlóii  iWi  m'el  mAogléiisa 
coni  i  me  amìs. 

^.  Ma  aura  ch'a  l' è  gnu  sló  vof 
ftòi  ch'a  rà  mangia  liii  M  aó  con  le 
pùtlane,  i  masse  per  cbèl  'I  vèl  pi 
grass. 

SI.  Uà  'I  pare  a  j'à  dil:  Fidi,  da- 
gagna  nirt;  li  l'è  sìèt  sèmper  icon-oii, 
e  tuUso.ch'  Fé  me,  l'è  Iq. 

58.  Vantava  bcio  far  legrla,  purché 
cust  tò  fradèi  a  l'era  mori,  e  bèkh» 
arsìiscilà  ;  a  l'era  sperdù,'  e  aùr  a  s*è 
Iruvà. 

Mèdico  TOMMASO  PULLIKO. 


DIALETTI  rEDEHOMTANI. 


53» 


Dialetto  di  Valferga  (CaiiBviuie). 


il.  iin  òm  n  j'à  avii  dili  fènt; 

19.  'L  pi  gióf  ep  d' lor  a  jSk  dii  al 
pare:  Parè^  dèmA  la  part  ch'a  m'  \én  : 
ecbièlaj  rà  dèu! 

flS.  Qa  lì  'B  pò,  '1  fi  pi  glóven  ar-, 
grià  USA,  a  l'è  andèl  an^  no  pais 
da  ICMi#,  •  li  a  rà  dsipa  '1  fèt  so  a 
far  n  dètbkuL. 

14.«Qiiaiid  eh' a  rà  avù  coniumà 
tui^  a  J'è  gnu  da  gran  cartella  'ut 
cai  pai»,  0  cbiàl  a  ì'à  cmensà  patir. 

flg.  A  l'è  parli 9  e  a  %'  é  aramba  a 
'n  SfDur  d'  pr  là,  eh.' a  Pà  manda  a 
la  fin  «asaln^  a  largar  i.  paì^.. 

f  g.  E  l'avìa  vdja  d^ouiisse  la  pausa 
die  giand  chM  /mimai  a  mlngiàvan; 
•  a  i'era  gnÓn  ch'a  J^na  déiss.   .^ 

f  f.  AirtgQu  pò  ent  chièi,  a  Vk  dU: 
TMi  aervitéf  en  càd'  me  pare  a  ràa 
d*  pan  sin  c^'a  vólcn,-  e  mi  si  imóiro 
d'IamM         . 

18. 1  m^  desvirù,  e' andrà  da  me 
pare,  e  J  diru:  Par^  i  m^  la  son  pia 
eoB-ftosgnàr  e  con  vui; 

f  •b  Lm^  mèalto  pi  nin  d'esser  cìamà 
voàl  fi:  pièffle  pr  untl4  vosi  serviiùr. 

to*.  A  8^  è  aussà  su,  e  a  s'è  'Qcam- 
ninà  pr  andar  da  so  pare.  A  l'era 
p6  ancor  da  lóns,  che  '1  pare  a  r.à 
già  vnl,  e  pia  dà  compassión  a  }'è 
oMiroii'q  contra,  a  j'àcbeit  s'el  còli, 
e  al  l'à  basa. 

ti.  E  '1  fi  a  j'à  dit:  Pare,  i  or'. la 
aon  pia  con  Nosgnùr  e  con  viti;  i  m' 
mèrito  pi  nin  d'esser  clama  vosi  fi. 

gt.  £  '1  pare  a  J'à  dit  al  so  scrvi- 
tùr:  Presly  tire  for  la  pi  l>ela  vesta, 


I  • 


e  vestilo;  e  bjilèje  l*anèl  ani  M  di,  e 
but^  le  scarpe  ant'l  pè. 

28.  E  mnè  'n  sa  te  vài  grasa^  aidaa- 
sèlo,  «  n)ingiòma,  •  st&nui  alléglier;^ 

'94.  Prché  cust  né  fi  a  rentinort, 
e  a  rè  arsussitg^  a' l'era  pera»  ea.ré 
^lèi  trilla;  e  g  s*  aon  buie  a  tlir  ìal* 

li^her.  •     .    •    '  ' 

8&.  JL  J'era  pò  '1  «è  ft  in  vi]  'if  «ani* 
pagna,  to  méblte  cfte*^chli1«ai  a  gaia, 
e  cb'à  l'ei^  glà^apprd  a  cà^'  a  yk' 
senti  a- sonar  e  otintàr.      '  '  ' 

86.  E  a  j'à  clama  un  di  aervllàr, 
e  a  fa  éliti  Che  Ch'a  l'è'su-siT 

87.  E  chièt  à  J'à  ritppndu:  A  J'^^ 
gnfi  vtfst  f radei,  e  vost* parie  a. .fa 
massa  'n  vàt.grass,  prché  al  Pà'tr*. 
lira  salf.  ,    •  •     ' 

^8;  AnIIora  aj'è  vgofi  n  fài)«iriià 
nin  andar  défn:  alcchèdiilke  a  fé 
sorti  so  pare,  e  a  s'è  biitlfl  piegàio. 

88.  Ma  chièl  a  yk  risponda,  8 l'à* 
dlt:  Deicbé  'n  pò,  jlen|e  ago  di' i  v* 
servo,  1  v'òi'n«  mal  dsubdi  gnanc  oa 
vota,  e  vui  i  Wii  mai  dèi  'a  cra^él 
prcb'i  stéiss  ànégb^r'Uuèni  al  me 
amir. 

so^  Ma  siibit  Che  cust  vo'st  K,  £h^a 
J'à  dsipà  n  fèt  8Ò  cun  le  plandre, 
a  rè  gnu,  a  J'èi  massk'n  vè^ grata. 

51.  £  '1  pare  a  J'à  dit  al  fi:  Ti  I  t'è 
sèmpr  cun  mi;  so  cb'i^  l'è  me,  a. l'à  tè. 

sa.  A  ventava  ben  trattar  e  far  tè- 
sta ;  prehè  cust  tò  f radei  a  l'era  mori, 
e  a  l'è  arsùssilà;  a  s^era  perdù,  e  a- 
rèslèttruvà. 

Dottor  Bellor»* 


555 


VARTB  TIRZA 


Dialetto  di  Posit,  Aluttiì  e  Fr\s«I!«etto. 


l'I.  N'òm  R  l'.RvÌR  diii  fiòi; 

12.  E'I  pi  fióv^n  R  Tr  ditRlpRr«: 
PRre^dàmelRBilN  pari  cb'a.m'locca; 
e  l'ivirei^J  L*à  dette. 

IS.  BdR  1Ì.RB  pochi    ili   R  s'è  Rti- 

Utcà'tut  ?l  fidi  pi  iróvanv  •'  n'è 
'  andà  tonta»  ro  t'.un  paìs  froslér,,é 
U  R  l'R  grupiooR  tiU  lo  ch'a  rRvia^ 
diindae  Rt  bel  tèlmp. 

fl4.'«  dopo  RVRlr.niRDi^ià  tùt,  R  J  è 
vgoa  UBR  gran  CRreStìi^  rd  cui  pf  is;» 
e  chiàl  R  l'R  comensR  a  trovàse  ant 
le  flilserìe.  ^ 

fltt.  E  a  t'D'è  pRrti,  e.R  rè  Rodà 
V^Mrvir  'D  Rgo^r  d' cui  prìr.  E  r1  rà 
mRndl  R  Ir  sor  cascina  a  iRrgàr  I 

pOfSrf         '        ^       ^ 

f  e.  E.  fl  Tr vri^'  mangia  volonlér  d' 
olile- gtondé  eh'R  niRogiavan  1  po;^; 
e  niùn  r  J  ur  dR9tli.     " .  ' 

I7;Dr  U  torni  ru  cIiIrì,  r  I'r  àii: 
QuROtR  geni  'n  cà  d'  me  pare  a  màn- 
glRn  4*  PSB  siBjch'a  vòlon ,  e  mi  i 
son  RI  ch'i  nòjrò  d'  faoi! 

IR.  A  vèlnlR  ch'i  m' disvia,  e  eh*  i 
vrJr  dR  me 'parerli  eh' J  dlsR:  PRre, 
i  o  (et  mRl  cpntra  ISosgnqr,  e  contrR 
d'  vul; 

IO.  toon  pi  nin  dcgn  d^  èsser  ci  a  ma 
vost  fidi;'trRttèm.e  ro'uu  vosi  secvitór. 

to.fdyndse  ardris  a  rè  torna  da 
so  pare;  e  essfènd  Rqcora  lonlàn  da 
CR,  '1  so  pare  a  Tà  vist,  e  a  l'è  slct 
pUà^dlR  compR'ssión,.e  andàndje  in- 
contra a  rà  RbbrRSsà  pel  còl  e  a  l'à 
hasà. 

SI.  E  'I  flòl  a  j'à  dit:  Pare,  i  d  manca 
centra  Nosgnór  e  contra  d'  vui;  già  i 
son  pt  olndégn  d'esser  ciamà  vost  fiól. 


ss.  'L  pare  poi  a  l'à  dit  Ri  so  ser- 
vitór:  Prest,  portèje  'Iprlm  vesti  e 
vestìfo;  e  butt^e  en  man  l'anèLe 
le  scarpe  al  pè. 

S5.  E  andè  piar  iin  vèl  grass,  rrmz- 
tèlo,  e  'mRngióroa*e  stòma  Rilegar: 

'  S4.  Perché  cost  me  ilol  r  I'otr  mori, 
.e  a  l'è  arsuscità;  a  l'er^poVperdsc, 
e  R  s'è  trova;  e  r  Tàn  eomelntà  a 
slfar  airég'ar. 

S».  ML  so  051  pi  vèj  eh'R  Pem  an 
campagna^  vgnènd  e  RVslta&odsR  a 
la  oà ,  R  r'à  sitbti  sònar  e  ennliir. 

S6.>£  R  l'à  ciRmà  uD  doLienrilór» 
e  R  l'à  hiterrogirdtoèindjo,  rh^  l'en 
un  pare  tripudio? 

^7.  fi  M  servMór  r  fa  dit:  Afe  vnd 
vost  frRdèl/e  '1  vost  pRre  .r  l'à  fèt 
nbizàr  un  bei  vèl  grRsàyporclié  cb*R 
rè  toma  R  cà  SRB  e  srIv. 

SS.  A  J  è  vgnu  Ir  rRbblR^  e  it  velia 
nfn  intràr.  Ma  sorti  'I  so  pare^R  l'i 
comRnsà  a  ciaihàr. 
.  se.  Ma  chiàt  par  risposta  r  l'à- dit 
a  so  pare:  Mi  eh'  par  tenti  agn  I  V5 
servi ,  e  i  V'  5  mai  dsùbidi ,  e  1  m'avì 
mal  dèt  un  cravòt,  ch'i  mRnglàIssa 
con  i  me  amisi; 

30.  Ma  aura  eh' R  l'è  Rrrivà.eost 
vost  fidi  eh'  a  rà  mangia  M  IrI  so  R 
puttane,  aj'èi  roasaà  par  chiil  ihi  bel 
vèl  grass. 

SI.  Ma  'I  pare  a  j'à  dìt:  FioI,  ti 
faste  sempre  con  mi  r  e  tqt  so  ch'i 
J'ò  mi,  a  l'è  lo. 

SS.  A  vantava  pòi  che  1  féissan Te- 
sta, e  che  istéisscn  allégar,perch»slo 
tò  fradèl  a  l'era  mort,  e  R  Tè  torna 
arsùscilàr*,.a  l'era  pers,  ea  s'è  trova. 

A.  Ci^ifiiaosirii^ 


DlALBTtl  PFDKHONTANt. 


W1 


DiALRTTo  DI  Loca  N A  (Canavese). 


II.  'N.òftì  a  ra\éa.dùi  Ggl; 

It:  Et  pi  lióven  dethigU  duia  rà 
dit  asò'pare:  Pare,  dppie  la  pari 
d'ardHà  eira  mMocca;  e-ci51  a  gl'i 
Kpaiii  riirdità. 

15^  E  d9po  pòdii  di',  eosi  figi  pr 
giòven,  piglia  Ini  son  cti'a  gravgn^a, 
a  f'è  parti  da  sòl  paìs,  e'aTè  andà 
Ioga  )ogn;  e  là,  vivènt  aiegramént, 
a  rà  dsipà  le  soe  sostanse.  ^ 

14.  IS^  dopo  aver  consuma  lut,  ani 
col  pab  a ,  gr  è  vgnu  na  gran  care- 
stia, e  clol  a  rà  coibnsà  avèi  bsògn: 

|g,E^  l'è  scapa  via  da  la^  e  a  8*è 
arambà  a  'n  spnór  de  cole  pari,  ch'ai 
r  à  nftandà  è  na  sOb  cassinna  a  largar 
i  por^L 

I6k  E  là ,  pr  la  tanta,  fìam  cli'a 
patisséa,  a  a'  saréa  contenta  .d'  min- 
giàrd^aglànti,com'a  mingiàven  i  por- 
che!; ma  gnGn  a  jìia  daséa. 

17.  Arvgnù  ani  eiol  a  rà  dil:  Quai^ti^ 
servilór  a  J  son  ani  la  cà  de  né  pa- 
re, a-  ràn  tutti  aboirdansa  d'  pan,  e 
mi  i  moérò  si  de  Cam  1 

18.  I  yegi  Iva  me  da  si,  e  1  végC 
aiidàr  da  me  pare,  e  diglie:  Pareli 
gl'òn  manca 'neon tra  Nostosgnór,  e 
'nchnlra  vi; 

19.1  son  pi  gnip  dògn  d*èsser>ciamà 
voslo  Agi:  fème  un  d'i  vQsti  srvitòr. 
^.£0.  E,  ausandse,  a  l'è  vgnu  a  cà  de 
ile  pare:  so  pare  al.Tà  vis^  da  logne; 
pia  cla«la  compasslón,  a  Tè  marcia  a 
'inbrassàlo,  e  ài  rà  basa. 

5tf.  Anllora  el  agi  a  gr  a  dit:  Pa- 
re,! gì'  òn  manca  'nt'ontra  ^ostosgnór 
e  'neonlra  ai;  i  son  pj  gnin  dògn 
d'èsAcr  riama  voslo'  ligi. 

22.  El  pare  a  Tà  dil  hì  mic  servi- 


ter  :  Porte  si  prò^  la  prima  v 
ev8lìlo;«d^glie  Panét^'iit  le 


vslimenla, 
doglie  ranél*'nt  lesoe  aian^ 
e  le  scarpe  'ni  i  soe  pei.  /    . 

28.  E.  meioò  un  veli  graasi  e  nai* 
sàio,  e  mangióma  alegninijèiil}     •  , 

24.  Prché  cust  ii|e.figra  l'era  mdtt, 
e  ara  a  l'è  arsiisità;  a  l'ora  perdu« 
e  ara  a  s'è  trova;  e  a  l^an  conàensi 
a;  mangiar  alegram^nl. 

2».  El  so'  figl  pi  vegìjà  Vera  'ni  èì- 
'camp,  e  cante  ch'aTè  vgnu,  e  cli'a 
s'è  aprocià  alia  pii,  a  l'i  slnlì  'J  son 
e  'I  cani  de  \^  musica. 

2G.  A  l^à  ciamà  un  d'  1  servltór  e 
al  l' à  'nfi'ogà  pr  savérson  ch'a  gV  era 
de  nof? 

27.  JEcul  servilór  a.  gì'. à.-dH:  A 
l'è  vgnu  vosk)  fradè),  e  >ost0.4Nire 
a  rà  massa  un  veli  grasa  pr  arglofs* 
sansa,  eh'a  l'era  torna  a'i;!  san^  \ 

22.  (fusi  Ogi  pi  vègi  desfignàde 
sonsi  a  volca  p(  gnin  'nlran 'n  cà:  el 
pare  a  l'è  sorti, 'e  a  l'à  coménsà  eia* 
màio. 

29.  Ma  cidi  a  l'à  rspondii,  e  a  l'i 

*  «  ■ 

dit  a  so  pare:  Ecco,  mia  l'èglàlèiati 
agn  eh'  i  v'  servo  .e  1  v'  òn  5èm|^r 
ùbidi,  e  vi  i  m'èi  mai  dèi  un  crav^ 
pr  ch^i  sl^;iss  lilcgr.con  ^amia: 

so.  Ila  dopo  ch*a  l'è  vgnu  coM 
voslo  flgU  ch*a  rà  dsip^  'i  so  patri" 
moni  malamcnt,  vi  j  èl  aiaasà  iin  véli 
grass. 

31.  Ma  M  pare  a  ^'  il  respondii: 
Ile  ligi,  li  1  l'  è  sèmper  «con  pii,  e 
li]t^9  le  mie  soslanse  a  son  lóe. 

33. 'A  mantaxa  ben  fard'anvil  e 
aie^ria,  prchè  cosi  lo  fradèl  a  Tera 
mòfl,  e  ara  a  l'è  arsusità;  a  l'era 
Iperdù,  e  ara  a  s'è  trova. 

Dollor  Taro  Carl'  Avcnpo 


liiB 


PAHTC  TERZA 


Dialetto  di  Sparo!«b  (Cinarcsé). 


fi:  Vn  sceist  ònit  Tavia  dói  fidi; 

it  E  M  pi  giovo  d'  còsti  ara  dit 
al  8Ì;pare:  Pàfe,  dème  la  porsión 
eh' a  m'  tocradle  sostMise;  e  a  rà 
au|>it  divida 'tiA  cpstl  le^soslair^e.  ' . 

18.  E  da  Ila  pochi  di,  rilfrànt  futt 
1;  presse  dlèisóesoataÓBe,  có'it  fWjl  pi 
glévo  à'-t'  n'.è  andàsne  via  ^  paìs 
lOBtan,  e  là  a  t'adissi  pà  lutte  sóe 
sò^tanse  ^Ivènt^^lussuriosamént.  ' 

M.  E  dop'd'ayéi  òonsomà  luti,  a 
J'è  sficceJQje  fina  gran  fi^m  ant  cól 
paìs;  e  chièl  a  coiAeirsavà'J;ià  a  èsse 
bsognòs^ 

Is.  E  da  li  a  s'è  allonlanàKe;  dop 
so-si  a  s'è  convDuse  con  uo  slladin 
À'  c6\  pais,  M  Iquat'  a  t'à  manda  a 
p^scolè  i  pprs. 

46.  E  ehlil'a  desiderava  d*nipi$se 
'sòa  pensa  d' còlie  ^i&n'de  ch*ai^an* 
gfava  1  pérs,  e  /psun  a  J  na  dasia. 

,17.  Rifletfenl  ^oÌ  ih  sé  sless  a  l'à 
dit:  0  quanti  servilór  a  sóli  'ni  la 
oà  d'  me  pare,  cb'a  l'àn  d'  pan  fln 
ch^a  na  veloce  mi  sì  i-moire  d' Tain  ! 

"la.  1  m'àusró,  e  I  andrò  dal  me 
parè^  è  J  dirò:  O  mè'clitr  pare,  mi  i 
òn  p^a'  'ncontra  '1  Slél  e  dnans  d' vói; 

le.'Tsònpìnén  dégn  d'èssfr  clama 
pr  vost  flól;  considefème  pr.  l'avnì. 
com'un'di  vòét  sc'rvitór. 

20.  E  subii  a  s'è  aussàse,  e  a  s*è 
porta  *n  vers  II. pare;  e  essènt  'ncora 
'n  pò  loritàn,  '1  so  pare  al  l'à  vdulo^- 
e  pia  4s  compassión,  corrcnrn  pressa 
a  s'J  è  cascft  s  *ì  so  col  ^  e  al  l' à  ba-; 
sàio. 

SI.  E'I  fio)  a  J'à  dije:  0  pare,  mi 
i'on  pcà  ancontra  '1  Slél  e  dnans  d' 
vói;  i  son  pn  pi  dégn'  d'esser  clamò 
vost  flól. 


82.  Allora. 'I- pare  a  Cà  Iditai  so 
servilór:  Pòrte  subii"  si  la  vesta  pi 
bella,  e  vstifó;  è  bulèje  l'ariè^'n  !^ 
man,  e  I  scarpe  ai  so  pé%  . 

25^  E  porte  sì  un  vailèt  gres,  e 
'masséto,  e  mjingròftaa,  e  buvòina; 

24.  Prpbò  còst  me  flól  a  Pera  nort, 
ea  l'è  torpà  a  %'ive;  a  l'era  Mu  < 
a  s'è  trovàse;  e  a  soa  buttasi  a 
mangc. . 

'2«.  E  M  fiòl  pi  vèi  a  i'era.'n  cam- 
pagna, é  vncnt  e  avsinàoUse  a  cà,  a 
Pà  saniì  d' sinfonìe  e  d'  cant. 

20.  E  a  l'à  clama  un  di  serfflór, 
e  al  Pà  Interrogalo,  tfosa  ch'ji  l*%n 
tnlsósìy 

27.  E  ctUkì  a  jà  dìje:  'L  fò'ffadèl 
ai'è  vnuy  e  *l  lo  pare  a  P%  niiissà 
un  vailèt  gras,  prche  ch'aNPà  ffra- 
vàlo.   '     . 

88.  'Nrabbtò  còst<^  a  velia  pi  néa 
'nt^è  'n  cà;  sortènt  'I,  so  pare,  a  s' è 
bu lasse  a  pr^ghèlo. 

2é,.Ma  chièl  rlspondèntje  a  j'à  dit 
a  ^ò  pare:  Guardè  'n  pò;  mi,  ja  son 
già  da  tanti  agrt  ch'i  v'  servo,  e  i  v' 
son  sempr  stèt  ubidiènte  e  pura  i 
m'èi  ^i  dame  un  'eravòt,  eh'  I  Io 
mangcisa  con  i  mè'amìs; 
'  so.  Essènt  por  vnu^vost  flól.  eh' a 
Pà  consuma  tutte  le  sostanse  con  '1 
puttane,  }  a  vi  massa  j  e  un  vailèt  gfas. 

\i.  È  chièl  a  ]'à  dìje:  Blè  flòI,'  If  i 
p4  ^empr.  s^èt  con  pii;  e'  lut  Pon 
ch'a  Pè  me,  a  l'è  tò. 

82.  'i^  còsta  occasióp  a  bsegnava 
mangè  e  sto  allégr,  prché  c^t  lo 
f radei'  a  Tera  mori,  e  a  Pè  toma  a 
vive;  n  l'era  prdu,  e  a  s'è  trovàse. 

Sacerdote  Verlcca  Giacomo. 


DIALVCri  PRDCVOKTAI^I. 


H49 


DuLETTo  DBi.LA  V KiCt  DI  $0ATi4'  (Ingria,  Rofico,  Volprato  e  Campiglia). 


fl<.  Uo  gori  Jro  al  avù  cliii  figU 

12.  È  \9  pigfòvno  ho  al  dli  u  soa 

'0h:  Pa|Ȉ,;doiianime  lu  mia  pari,  chi 

4ne  vini  de  tot  le  falle  nostro;. ^  lo 

bon.durbi  glie  l'à  donà^  edividua: 


is.  D^apré  a  pochi  gcr  aveiit  ra-    bèi  vfl,  m^sciclo,  preptfràdeftn  boti 


slféil  tótia sua  larga, se  flglpi glóyno 
sci  ho  M  n'e»l  ale  logiiòn  ante  de 
pai^  forestér;  e  lai  con  sia  compagni 
bb  at'  mjureà  tof tji  la  tai^ga  di  son  pà 
ali-  vm  poc  de  tèn,  men%nt  irna  vlla 
^a  niaunèU  vl^nftrdéì*/ 


e  nostro  noglìn  bb  al  comensià  estre 
eia rglà'd^ ogni  miserj. 

15.  Die  màneri  che  )io  Pest  sta  co- 
alrélsl  a  cast^ifjie  un  baudròic  d^  sii 
jtontór',  e  se  baud/óic-.«i  ho  lo  at 
naofli  a^goeriiàur  le.crùina  an  una 
sia  cassina. 

lo.  ^d  qvrìtt  murcà  d&scènt,  chi 
cùcafit  li  chexsa,  se  ho  n'uBset  porsQ 
avéir;  ma  gniin  gnc  ne  donavate; 

It»  Ho  at  pbibin  pensa  da  se  mc- 
détai  ani  fàile  siri,  e  determina,  di- 
selli: i2*ian  ti  famàut  a  cospa  db  ro'on 
ffurbi  J'aVànsuni  de  gerp,  e  ghigió 
gè  creyo  sci  de  ghèlsi  ! 

lé.41o  s'è^'rèsòlt  de  tornar  a' son 
pè,e  geli  dirrè:  G'èi  fàit  luiti  li  mal^ 
o  moD  papà,  ver^  lo  bon  Pierlq,  e 
.vó,  mob  bon  diìVbi;  , 

19.  Gè  mèrito  pi  d'eslrc  diniuifdà 
vostro  poglin,  m;^  tenìolme  mas  hhc 
com'iin  d'i  vostri  famàut. 

tO^  flo  s'^est  bùia  in^carcheri,  ed 
bo  t*est  venù  a  soii  pà;  essèot  ancor 
lon(,  lo  son  bbn  dQrbi^lo  at  vlii,  ed 
ho  a*est  rendìì  eonipassión,rest  fuieit 
AH  conh-e,  sautà  ni  c^ul,  ed  ho  Tal 

basià.  * 

91.  B  sojì  ligi  ho  at  dit  a  soh  pà: 
P*pà,  g'èi  fàit  liiili  li  nini-  vere  la  bofi 
k>ÌerlO'efl  a  vuo,  inon  |>»pà;  gè  me- 
rifo  pi  d'èstre  dcmanUji  vostro  ligi. 

22.  Son  p:\  ho  nt  comanda  poij  e 


dit  a  sièi  famàut;  Prest,  vistilo  de 
gr-arbigluire  d9  brbci'cooic  dovànt, 
e  bùtàli  ranci. alll  dei  de  sia  man^ 
e  ciausèli  ^ie  nià  con  di  bli-Mvàt, 
S9..Alade  subit  a   prendere  lo  tM 


dinar,  che  ne  st^n  allegrò*; 

,84»  Perch'é  sre  mfn  pofjfn-aci  lo 
avo!  perdi,  e  4:reù  mort,  ed  ora  go 
IVI  trova  vi ,  e  f  la  vii  a  il^e  ;  C(im«i|* 
sén  .duncr<j  a  jitar  allégro,  inJBgén  e 
bevén  per  consolaslòo. 

OtK.  L'attiro  6g(  pi  vieti  ^  l'«ret 


n.  Apre' d^' avéir  cùcà  lol ,  J  est 
venua4!n-8li  eonlór  tk|a  gran  ciare-  1  Usy  per  la  eam|)agnir  e  aisànt  che  bo 
^lì,  ch'I  crevàvoiit  medi  do  tni^orda;  |  fall  peV  venir,  a  avisinàsse  a  maaèii, 


h(\  at  sentì  li  son  de  la  band^. 

20.  Hoat  demanda  a  un  de  fi  fa* 
niàut  scen  ch'o  Perai,  .od  'I  ftissopl 
scelc  adegrte  e  festìp?  *  *  •  ♦ 
.  ti.  8ce  famàat^l  ft»*|ì'a(  reépóli*> 
dii:  Ho  Test  venu  vostfojrare,  ^vo- 
stro dùrbl  percìiè.hoat  trova  son  po- 
gtin,  vostro  frare,  ho  at  fàJt  almma* 
sclèr  lo  vèt  pi  gra^,  chelio  avélt,  per 
donar  un  past  d'allegri  «e  conj$0ias(6n. 

28. 8ce  flgl-sci  primlér^bo  s'osi  en- 
rabià  con  Ira  son  pli,  e  ho*volélt  nieni 
entrar. 0  miisòn;  son  dùrbi  dbnc,  ho 
Pesi  sorli  fera  da'cospa,  ^  ho  l'hai 
prega,  che  ho  Intrissét.  - 

^o.SCìs  poglinpivlèglhoal  respon- 

dù  a  son  durbl  .Da  tedCi  ant  cbe  gt  w 

*servéiso,  e  v'èi  mal  dÌBÌifafbidi^m*éddc 

mal  dona  fin  cevrcì,  che  gè  Qiureas- 

so,  e  sUsso  allegro  co'iniei  cam^.; 

^0.  Ma  poi  asce  ttgUscI  pi  gfdvnp, 
che  ho  ai  consiiniài  ^nsenlbio  alle 
porcaz^e  lotta  sili  larga,  ora*  che  ho 
l'o^t  venu,  ^r  edde  amìnascià  to  vèt 

.  3t.  Lo  bon  durbi  ho  gl'ai  ^espondu 
cnt  esi  a  maneri:  Mon  caro  flg{,  te 
sempre  sia  ei  me.  e  son  che  ho  l'est 
inin^  ho  l'est  leu. 

52.  Ho  Test  poi  dosa  bona,  e  bin 
faiti  lo  rallegrasse',  e  far  fesla^,  per- 
c(ic  lon  freclo,  che  gè  lo  creoi  mori,,e 
pcrdu.ho  l'est  revìvii,c  gè  Tèi  trova. 


Il  Rettore  della  Parrocchia  di  Campigli». 


64a 


PARTI  tnUEA 


Dialetto  di  Bibi.i.a  (Canavese). 


.11.  Un  òm  a  l'éja  dui  Odi; 

ft.'E  l'ullJm  di  dui  a  yk  dià]ft  a 
80  pére:  Pére,  dème  la  mia  pari  d' 
scio  ch'à  m'  vèp:  e  céi  a  J'à'daéje  a 
tQé  dui  sóa  part. 

18.  Da.  M  a  uèro  dì,  stu  fio  pu  iu- 
vo,  a  l'à  biìtà  luti  'nsèmmii;  'e  a 
rà  faè  s6  (agM,  e  a  s' ii'è*  andàsbe 
'nr  lin  paia  da  luni ,  e  fÀ  en  ribolle 
d'taé  i  culjir  aVà  sgaii  luU  'i  faC  §ò. 

14.  Qbaot  ch'a  l'à  Jo  mangia  lùli, 
a  J'.è  vfiiuja  ^nt  cui  paia^à  n:i  gran 
carestia,  «•cel  a  Vk  cmansà  slanlè 
dia  fi^m. 

45.JS.a  s'  n'è  'nd&tpe,.e  a  s'è 
ajualàste  con  n'asgnùr  d'  Cui  paia, 
eb^^l  rà  mandalo 'nt  nà  sua  cas- 
siUna  a  guarnàj  por^l. 

I6..E  al  ré]a  c^I  la  yoja  d'ipplnìsse 
la  panscia  di  agiàod  eh' a  mangiavo 
I  porchill;  ma  gnun  a  J  ria  déja.  ' 
*  17.  (^ant  pò  cli'a^l'a  dvèr^  I  òé, 
a  Vk  die:  QÙanè  '8ervi4ùr  ^nt  la^tà 
d'  raè  pére  al' àn  d*'l'pan  a  sràg,  e 
mi  qui  i  ;n^  morqd' nella  ! 

18. 1  vé.aossèrae,  e  i  ve  andènme 
da  me  pére,  e  I  ve  dìje:  ^ére,  mi  i:ù 
pcà'ncontra^Sguòr  e  'nconlra  d'^'ui; 

iò.  Mi  i  ^n  p'  gnìtì  dégn. d'esse 
clama  .vòsfié;  tratl^c  com  l'uUim 
di  voa  servilùr.     . 

*8o.B  a  s'è  propi  aussàse ,  e  a  i'  è 
'ndàsne  da  so  perete  'ntàni  ch.'a  Tera 
'ncù  iontàn,  so  pére  al  rà*vgulo,  e 
a'  n'à  ajune  compassión,  e  a  j'é  cursjc 
'ncontra,  a  ]'à  butàje  i  brass  al  còl, 
e  al  l'à  basalo. 

Si.  E  'I  fidi  a  j'à  di£je  :  Me  car  pére, 
mi  I  ù  pcà  contr'  'I  Sgnùr,  e  conlrà 
d'  vui;  mi  i  m'  mèrli  p'  gnin  d*es8e 
ciamà  '1  vos  mài. 

28.  E  'I  pére  a  J'à  diéje  ai  so  ser- 


vilùr: Su,  sii,  viél,  tire  farà  la  Test 
la  pu  bela,  e  bulèjl'  adèia;  faiiròje  dcò 
l'anél  'ut'  'I  dì,  e  J' ascherpe  'ni  i  pè. 

as.  Mné  dcò  qui  'I  bùcin  pG  grtiss^ 
e  masséto;  eh'  i  vò  ch'imàogitt  e  cb'i 
slago>àlégher; 

.  24.  Parche  s'  me  mal  a  l'era*  mori, 
ea  l^é  lurnà/irsiisiitè;  a  s'era  prdii- 
se^  e  a  s'è  lurnàsse<ruvè.'B  'nlrtànl 
a  l'an  cmansà  siè  alégher. 

8K.  'L  fiol-  prim  p5  a  l'era  'n  cam- 
pagna ;  e  'nl/1  rilùrn  avalnàndse  a  cà, 
a  l'à  senio  1  lun  e  l  bài  eh*  a  s*11ja. 

26.  E  a  l'à  fafi-avni  iin  di  servllàr, 
e  a  J'à  ciamàje  sciò  c^^a  Ter»  sciu-li7 

27.  È  cél-là  a  j'à  ^pondfijei  A  fé 
iornàje  vos  (rèi,  e  vos  pére  A  l'à 
massa  'n  bel  vél  grasa,  parchi  di'a 
turoa  avèllo  a  cà.    . 

28.  E  céi  alurAi  a  Té  saulà  'a  he- 

•  •  • 

stia,  e  ^1  a  vria  p'  gnì  'nlrè  'nt  cà. 
'L  pare  donca  a  Té  sortì  da  d'  ^ra, 
e  a  s'è  butàsse  a  piélo  a  I'  bènne. 
.  29.  Ma  céMà  a  J'à.rsposlje,  e  a  J'à 
diCJe  a  so  pére:  A  son  Jà  lanÒ  ago 
eh!  mi  1  v'  servisi ,  e  i«u  aempr  fai 
tiitt  sciò  eh'  vui  I  m'èì  cmandàme; 
»vui  l-m'él  mai  daòfne  'n  cravót, 
ch'i  m*  lu  gudéiss  cun  i  amia. 

50.  Ma  dop  ch'a  j*é  vgniye  bV  vos 
mài,  ch'a  l'à  sgarà  lùlt  '1  Tao  sèi  con 
d' jé  slrùsasce,  i  èi-roassà  pr  cét  l' bn- 
cin  pii  grass  ch'j'  élsse. 

2fl.>Ia  'I  pere  a  j'à  diéje:  Me  car 
liò,  li  a  i'c  seropr.cuH  mi;  e  jiilltciò 
vìi*  i  ù  mi,  a  l'è  anca  lo. 

S2.  Ma  a  l'era  pù  .ch^giusl  d'  fé 
na  riboia,  e  d'  fé  festa ,  parche  sto 
tò  frél  a  l'era  mori,  e  dès  Tè  risot* 

■ 

sita;  a  s'era  prdusse,  el  l'urna  tor- 
nalo truvè. 

N.  N. 


DIALETTI  .PEDEìiONTA^II. 


Ui 


Di4i.rrro  ni  C\iavi?io  (Canadese). 


11.  Un  òm  a  réja  duj  ri: 

fsr'LpÌugióvpa]'àdi£a  so. pari: 
Dèmi,  pari,  so  eli*  am'  loca  d^  mia 
pari;  «  ^i.parijij'à  cf^is,  e  aj'à  àkf 
sóa  parL'  \ 

ìs.  Da  H,an  polc  di  apro  'Ifi  pi 
giovo  a  8'à  *iicaniinàssi,  e  a  9'  n'a 
'ndàtni  lontana  e  a  rà  manglasaà  tuU 
^1  fsè  9Ò4  moànt  una  vita  a  mal  mòd. 

«4.  CoDsiimà  cli*a  Pà  btu  luly  a  j,'c 
gnì^a  una  gran'  carestia  ant  cui  pais, 
«  «'l'a  emensà  trovasi  bsognós. 

IS.  E  ^nlani  avènl  gnin  da  man- 
giar, a  rè  'ndà  da  n'òm  d^cuf  pais 
prlèatcliM  déissa  d'  IravàJ  pr  podèi 
gavàai  la  f^m;  t  si'  òm  a  l*à  mandilo 
M  Da  sóa  eaacinna  a  largar  i  porcliil. 
^i^  An  tra  mentre*. a  desiderava 
Anna  à'  mangiar  la  giant  ch'i  dèjo 
ai  porchit;  ma  f  era  gmin  cK*  a  J  tia 
déiss. 

17.  A  l'à  butà  testa  a  parti,  e  a 
l^à  dio  da  prciàl:  Vuèiri  servitùr  cli'a 
l'è  me  party ch*a  l'ànd'pan  flncli'a 
volo,  é  nil  qui  i  ftiorio  d'  fam! 
^  18.  ^ll^Jl  l'è  mèi  cliM  ro'àussa  su, 
ch'i  vèjo  «la  me  pari,  e  cii' j  dijo:  Pa* 
riy  i  ù  manca  contra  Dio  e  contra  vai"; 

19.  J  mèrito  p^  gnin  d'essi  ciamà 
voti  (i\  pièiu'  almén  pr  vost  servitùr. 

to.  Ba  s'è- ausasi  su,  e  a  s'.n'à-'n- 
dasne  da  9Ò  pari.  Mentre. eh' a  l'era 
'ocòr  letali,  ^1  so  peri  *\  vi  vgùlo,< 
0  pia  ffa  la  comp^ssión  a  j'è  corùje 
*ncontr,  a  J'è.saulài  al  còl,  e  'i  Pà 
basalo. 

ti,  'L  fi  pò  a  j'à  die:  Pari,  i  ù  of- 
féis  Dio  e  vui;  i  mèrito  p'  gnin  d'essi 
fgnù  pr  vosi  fi. 

2S.  Ma  ^l^pari  clama  i  so  servilór, 


e  j  dì:  Presto,  qui  Torà  la  pi  bela  ve- 
stimenta,  vcslimlo.:  b.ulèj  l'anèl  ant 
M  eli ,  e  causèmio.  ' 

83.  Plè'.'^iì  vèl  grass,  masaèlo^  rh'l 
mangiómp,  e  cii'i  stòma  alégh'er: 

S4..Prchf  ciist  me  fi  a  Pera -mori, 
e  a  Pè  risùscila;  a  s^era  perdusi  e  a 
s'è  trova;  e  'ntratànt  a  s^  son  butassi 
a  mangiàf  e  sièr  aleghixr. 

8».  'L.fi  pi  vèè  pò  a  8/  trovava «^ii 
campagna;,  vnènt  donc,  e*vsinanlsi 
a  cà,  a  P  a  ^entQ  eli*  a  s*  sonavo  e  di^a 
s"*  baiavo. 

86.  Clamava  'n  so  servilùn  Che  cb^a 
Voi  dir  sta  novità? 

.87.  E  cial  a  j'a  rispòst.*  A  i'^  gmi 
vosi  'fradèl>  e  vost  pari^  tant  coiitènt 
eh'»  s'  Pes  vguslo  a  ca  'rdl^  P.à  M 
massài*  'I  vèl  pi  grass. 

88.  SAiti  sii  cosi  a  ì'è  gnuj  la  ca- 
gninna,  e  vuia  gbin  entra  'n  eà;  j'è 
9ÒTÌÌ  donc  9Ò  pari,  e  'I  Pà  prega  ch?a 
.'ntréissa.  -.     . 

t8.  Ma  ciàl  J'à  rispósi:  Hi  «h'a  Pè 
tene  ago  ch^  i  v'  servo,  e  chM  v'  ò 
Aempi  obdi  'n  tjjLl,  e  pr  lui,  i  sì  mai 
slaè  cui  d*  dàrtii  solamèifft  u|i  cravót 
pr  far  n'alcgria  col  roè  atiits.  • 

so.  31a  dop  c6*  j'c  goHJ  si  vest  (r 
chi,  ch*à  Pà  mangiasii^  tu(  '1  fàèsò 
'ndasànt  pr  trayèrs  ,  j['  èl.  subii  M 
massàr  'n  vèl  grass, 

SI.  Jtfècar  fi,  nfk  risposi  'I  pari, 
ti  t'è.sempi  con  mi,  e  lui  so  cb'a 
Pè  qaè',  l'è  lo. 

sa.  L'era  pò  tul  glùst  eh'  sicisso 
•alégher  e  eh'  i  félsso  festa  adèss,  eh' 
j'è gnùj  M  lo  fradél, prché  Pera  mori, 
t!  'dcss  Pè  risùscilà:  Pera  pers,  e 
'dess  <*h  Iruvà. 


N.  N. 


«45 


PARTIR  n.hl\ 


Di\t.cTTo  ni  AzFr.f.10  (Cànnvfìse). 


II.  Un  òm  a  rèja  dui  tioj: 

*i8.  R  *\  sicónd  a  Vh  iM  a'sò  pari: 
t^afi,  dcDitni  la  mìa  part  'àé\  l)éni 
eli'  i  m*  Vissriitsl.  E  col  pari  a  \*h  fèl 
le  part  dèi  beni  cli'à  i'éja. 
'  18.  E  dà  li, a  polc  dì,  el  sit6nd  fi, 
a  l'à  bQttà  (ilr  ansèm.è  s'.n'andà  'n 
tonlàn  pais,  e  a  Vh  .inanglà  ifit  in 
bagordar!.  "^   . 

.  V4.  Q&and  ch'a  VH  mangia  tut^  a 
j 'èra 'lia.  grossa  cnrUtU  *ol  col  pais, 
e  col  fi  a*4'à  pf  insipià  slantàr  de  lui. 

iti.  Quel  fi  a  rèandà  da  un  rie  d' 
cui  pais,  iqdala  Pà  manda  ani.  una 
*  spa  campagna  a  largar  f  porchii. 

ie.'E  \hi^  tanti  volti  n  'i  dslidejava 
d't^vàr  driigiànd  pr  Inplssi  fa  pan*- 
sa,  ch'a  mangiavo  i  porchii;' e  gnun  a 
j  da  déja.    .  «    '   . 

f7.  Ha  cosi  Ti  a  Vh  penvk  trà'cial 
e  ciaf,  e-a  rà  dìé:  Quepé -servi (ór  a 
j  Bdnf  Din  in  eà  d'  mf  pari  ,^ch'a  J'àn 
del  pan*  fin  ch'a  vólo,  e  mi  i  ro'  pa 
mori  d*  fam  I  * 

.  I8.-I  aostrd,  e  i  andrò  da  mi  pari, 
]  dirò*  a  dal:  Pari,  *ì  ]'ò  pck  contra 
HCiél  e  contra  vul; 

19.  I  son.pti  nin  dégn  d^  <!iamàmi' 
vds  Ti; 'trattemi  solamcnt  òome  un 
cfcì  "vos  ser\^tór; 

SO.  E  li  a  s'è  aussà,  e  a  Te  andà 
da  so  pari  ;  e  'ntramént  ch'a  l'era  an- 
cora lonUn,so  par!  a  rà  vgu,,e  subii", 
a  f'à.avu  gran  compassióne  e  a  j'à 
corni  'ncontra,  e  a  j'à  bQUà  i-bras 
^1  còl,  e  a  rà  basa. 

SÌ.  E  '1  fi  à  j'à  die:  Pari,  i  ò  pcà 
'  conira  'ICiél  e  contra  vui;  1  son  pù 
nén  degù  d'essi  clama. vos  fi. 


22.  K  'l.pari  a  l' a  di«  ai  sé  servi- 
tór:  Presi,  p reni,  ga ve  forala  vesta  pà 
t>ella  cìi'a  J.sb.  v  bQllégfla  adòss: 
bùtlèj  l'unèl  »I  di,  e  I  scarpinai- p^. 

95.  Eninc  qn  vc|  gras,  jnazaèlo,cli'i 
s'< mangia,  é  ch'i  fajo  bancàt. 

24.  Porche  cosi  roè  fi  g  t'era  mori, 
e  adès  ai  t'è  ris^ussUà  ;  a  l'era  perdo 
e  a  s'è  trova.  E  cosi  I  àn  o^enli  1 
far  |>àncàt.   * 

•  2».  'Ntlorr !•  prf ra fl arerà »n ean* 
pagna:  ent'l  lornàr  avsinandsl  a  tua 
cà,  a:.rà  santi  sonar,  e  chU  %'  baHava. 

26.  E  a  l'è  clama  «  un  servilér,  e 
t{\*h  domanda  che  ch'a  l'era  cella 
festa? 

27.  E  col  a  j'à  die:  Aj'è  (orna  ^  tò 
frad^l,  e  tò  bari  a  f'à  masià  «fi  vèl 
gYas,  Qrché  ch'a  rà  rlavS  san. 

*98.  E'I  pWm'fràdèI  al'è'artdà  In 
còlerà,  e  ai'vorria  nin  intràr  eii'Cà. 
E  M  pari  'nflora  a  l'è  soMì  for,  e  a 
l'àcmipsà  a  pregàio. 

29.  Mif  '1  prim  fi  a  J'à  rispósi,  e 
a  j'à  die  a  so  pari:  A  ison  tk  lène  )igB 
ch'i  V'  servis,  e  Ò'mai  dsobdi  'lvo< 
comànd,  e  pura  i  m'èl  oiìil  d^  an 
moKonàt  eh'  1  féls  una  marenda  con 
i  flxc  cnmpàgn. 

50.  Ma  poroiic  ch'ag'è  vgnli  l'àul 
ri  ch'a^'à  mangia  lui  con  d*  fònni 
(^'  catliva  vila,  j*èi  m'aiz)  un  vèl  gras. 

51.  Ma  so  paH  a  j*à  di£:  Fi,  11  l'è 
sempi  tUè  fi  ;  e  lui  col  eh'  i  J*ò  a  rè  tò. 

32.  Ma  a  l'aera  ^iust  d' far  bancat.  e 
d'  far  fcsla ,  porche  cosi  tò  fradèi  a 
l'era  mori,  e  aiiès  a  l'è  risìbsità;  a 
l'era  perdù,  e  a  s'è  trova. 

N.  N. 


ntALErri  p£demo?(Taki. 


Ui 


Dialetto  di  Honr.oii'Àsino  (Canàvò^r). 


fi.  Un  òm  a  hnvìa  dùr  fidi; 

fS»  't  picit  a  pà  <li&  a  »b  pari;: 
Pare,  dèine  lainia  parlch*a  ni'  tocca 
dlb^ni;  E- eet  a  J'à  subii  dlvidiije 
dasènije  lon  ch'a  j. toccava.  *   >• 

18.  Dop  poi  9tn  pochle  giornà  sto  fidi 
'l.pìì  glÀyb  avènd  'i^mtissà  tììl  lOn 
eVa  Vk  pudfi,  a  s^  n'è  parli  pr  un 
pais  lonlàn,.dunt  ch'a  l*à  déipà  jut 
cui  ch*a  l'avia  con  d'  merelrls.  ' 

I4.]B  dop  p5i  a'avé  cc^nsunià,  e  (laé 
Qnrar  lut,  ani  col  pais  a  j'è  vnujé  na 
gran  carestìa,  e  a  J'è  cressu  la  fam, 
maocànlje  ogni  sorl  d'  cose. 

Is.'A^l'è  andàje,àprd  a  un'd'  cui 
pais,  e  cust-qui  al  Tà  manda  a  na 
Silva  caslnna  a  larglrr  i  ^rcbìt.'' 

16.  E  lìt  cHa  s' figurava  d'ampisse 
la  pausa  con  cale  gianty  eh*  a  man- 
giavo Iporchìt;  ma  gnun  a  j  na  dasia. 

f  7.  Pi'nalménI  pò  a  s'è  bùtà  pensè 
tra  cel  e  cel;  oh  !  ten^sei^vilòrcb'al'à 
me  pare  ch'a  I*àn  del  .pan  d'avàns;e 
mi  I  m^  trovo  qui  ch'i  moro  dia  fam  ! 

18.  Studiànt  ben  a  l'à  di£:  1  m' 
•usrà^da  qUi,  e  i  andrù  da'vnè  pare 
e  J  dfrù;  Pare,  mi  i  ù  pcà  conlra  ^1 
Ciél,e  coAtra  d' ti; 

19.  Mj  i  SQP  pi  nén  dégn  d' esse 
ciauià  'I  tò  tfoK  tràtme  com'Gn  di  (o 
Mrvitór.  •       • 

20.  ^Qsàntsc  s'  n'e  parli;  auvsi- 
nànlse  a  la  cà  d^t  pare,  *ì  pare  l'à 
▼dfi  da  lODtàn,  al  Tà  conossii;  pia  da 
la  conpassión  a. s'è  butàss^  ciirean- 
dasènije  allMncónlr,  pianilo  pMcòl 
e  basàuUo.    . 

.21.  Ani  (Cui  moment  'I  fio!  a  J'n 
die:  Pare,  mi  i  ù  pcà  contra  'I  Ciél, 
e  contra  d'  ti;  mi  t  son  pi  néii  dcgn 
d'osse  ciamà  tò  lìdi. 

22.  E  'I  pare  a  J'à  dtjc  subii  ai  so 


servitóre  Ande  piar  la  ivi  bela  vesta 
ch'i  IrOVCf  e  vestilo  siùbil;  e  biitèjc 
anche  i'anèi  -aNÌt  al  di,  e  fé 'i$c.'\rpe 
anl.l  pé. 

'^,  E  andè]  a  piar  'I  vitèl  alpi  gras 
ch^a  j  sijo,  e  massèjo,  e  ch'i  Tòma 
un  Wq  banchèt,  e  ch'i  ituraa  tue  alc^ 
gherj  • 

24.  Parche  mi  cusl  Adi  i  lu  cred^it 
mort,  e  a  r  è  rtssuscilà;  i  lu  credija 
perdii  e  rù  rtrovà;  e  1  kn  comjensit 
skè  aléghar. 

25.  ^L  floi  maggior  Pera  'n  campa- 
gna, e  vnènd^  e  vsihmitse'a  labà, 
seni  d?  concert  d'  son  e  d'  hai. 

2G.  A  dama  un  di  sd  servttór,  e 
a  j'à  ciamàje:  Coss'èto  cusl  rumor? 

27.  'L  servHéc  a  j'à  rispondiijel 
A  Pf  tò  frèl  ch'a  l'è  torna  a  cà,.e.tò 
.pare  a  Pà  M  masse  1  vitèl  pi  gras, 
parche  al  ràvdu  sair  e  sahr:- 

•   ■ 

28.  Senténd  caste  ndvé,  cusl-qoi  a 
rè  saulà  ah  «òlra,*  e  a  l'à  nén  vfù 
in  Ire  ani  cà^  M  pare  sort  fora*-,  e  al 
rà  pregàio  d'anlrè.  ' 

29;  Ma  cel  a  ]'à*rfspunduje:'  Mi  a 
i^è  tene  agn  ch'i  V  «servo  e  i  J'd  ipal 
fa£  gioente  ccuTitra  'I  t^t-voléi;  e  a  mi 
V  m'è  àinì  dàmte  gnanra'un  cravòt 
ch'i  nr  lo'godélssa  con  f  me  aq^is. 

so.  Ma  cust  tò  (Idl'Ch'd  iVmangiji 
liite  y  suve  sostaiisc  con  d'  mere- 
tris,  e  cK'n  Pè  fdmà  a  cà,'ti  Pàs  M 
masse  '1  p\  bèi  vitèl  gras. 

SI.  'Lpafea  jrispùnd:  Ti  Pè  sem- 
pre con  iQi^;  i»mè  avéi  a  son  tue  tò. 

32.  Ma  adcs .  a  P  è  ben  giust  eh'  i 
(asso  festa*,  e.  ch'i  sluma  aiégher  tuo 
ansenia,  parche  lo  frcl  Péra  mori,  e 
a  Pc.rissiìscilà;  l'era  perdu,  e  al  s'è 
rtrovà. 

N.  N. 


S44 


P.4RTR  TERZi 


Dialetto  di  OmltAcco  (Canave^e). 


fi.  Un  òm  a  Pavia  Uói.fiòi;  ' 

12.  'Lpl  dov'o  a  J  dis  arpare:  Pà^ 
re,  lièmela  mia  pari;,  e. 'J  pare  allora 
a  Vh  spartì  a  lut'ìlói  il  patrimoni. 

fS.  Da  li  quale  dì,  fi  fi  pi  dt>vo, 
ramassà  e  pia  con  chèi  tul  'I  fat  so, 
a  s'  n^è  parli,  e  a  Tè  andàK  ant  un 
paìs'ìontàn;  dove  ti  l'à  manda  al  bro 
la  sua  roi)a ,  con  balossade. . 
•  14.  Dop  d'avéi  dissipa  tut  q^uant, 
a|tiiunl«ìndse  an  cui  paìs  dna. gran 
carestìa,  a  Tà  comensà  sentì  oh'a  i 
mancava  '1  necessark   . 

i».  Allora  a'Pè  andati  pr  là,  te^t 
aggiustèse  un  padróna  dal  qual  a  l'è 
filàit  manda  a  na  cascina  a  larghe  1 
pors. 

16,  E  la  al  d^sidrava  d'ampisse  la 
panza  d*  ctiì  agiànd  ch*a  manglavai 
pors;  n^a  a  n*a  podia  nént  avéi,  per- 
ché niun  a  J  ne  dava.  «•  •         ,  * 

i7.>IloraMporriòla  l'è  entra  art t 
chél,  e  a  t^à  camensà  dir:  Quanti 
servi  tur  a  1  sòti  jl  cà  d^  me  pare, 
eh*  a  madgio  pan  a  crepapapza,  e  mi 
al  log  i  moro  d'  fam!  • 

18.  Ah  1 1  m*  levro  ben  da  sì ,  e  1  an* 
dro. dal* pare,  e  J  dir5 ben:  P'are^  i  ^ 
manca  a  d ispèt  del  Giél  e  a  dispèt  vosi; 

19.  I  son  pa  pi  dégnd'èsserciamà 
vosi  fi;  picme  però  ancora  Qom£  vosi 
servi  tór. 

SO.^Con  cust  prop'onimcjot  a  rè 
andàit  dal  pare;  e  '1  pare  avendlo 
visi  da  long,  pia  da  compassiona  j 
cut  ancQfitra  ,  à  j  butta* ibrass  siil 
còl,  e  al  basa. 

81.  'L  fiol  a  J  dis:  Pare,  i  ò  offéis 
'1  Clél  e  voi;  i  son  pa  pi  dégn  d'es- 
ser clama  vosi  fi. 

82.  E  *l  pare,  vollàndsc  ai  servi- 
tur,  a  j  di!«:  Ande  pie  e  porte  prp<%t  *i 


vsli  pi  bel,  e  butlèjlo  adòis;  biit- 
lèje  Taqèl  al  di .  e  le  soarpe  ai  pè. 

85.  E  andè  pie  un  l>el  vèi  grttSi 
mas^èlp  (M-cst,  perch'  l' Casto  un  tfrsi- 
gnon;  .. 

"*  84.  Perché  cast  me  fi  «  l'era  mort^ 
aura  a  Tè  ai*susciti;  a  l'era  pers,  e 
a  rè  ar trova;  e  da  li  a  s'è  comeiisà 
far  feisla. 

^9.  'L  fiol   pi   vèi  a  t'era  in  cast 
fratèimp  ani  campagna^  tarnànd  a 
cà,  mentre  a  Pera  vnu  visin^  asèini 
*d'  rumùr  e  d'  danze. 

•86.  A  clama  a  unservilùrchecbe 
j  era  d*  nofs  e  perchè  a  s'/aiTia  culla 
festa? 

^.  SI'  servi  tttT.aj  dis:  A  l'è  toma 
tò  fratèl,  e''l  pare  a  Vk'fkli  ciaèchè 
un  bel  vèi  grass,  e  T  à  vqìu  fAr.lesIà, 
perché  che^l'è  torna  san. 

.  8&.  'L  fiol  pi  yèi  allora  a  l'è  an- 
dati ànt  rabbia,  e  a  volia  pa  pinénl 
anCrè  an  cà  ;  e  'i  pare  a  l' è  sorli 
fuor  a  ppegàlo. 

sa.  Ha  '1  fiol  a  j  à  risposi. parai: 
A  i  son  tèinéagn  eh'  i  v'  servo^  i  v*5 
maldisobJdi,  e  pur  io  m^i  avu  da 
voi  un  era  vèi,  perche  (iodéissa  le 
arsignón  coi  me  araìs.  ;    . 

so.  Ades"^,  perché  ch'a  toma  a  cà 
.ràut  vost  fiol,  dop  d'aVéì  mangia  lui 
'1  fat  so,  e  méinà  la' grama  vita,  i 
masse  per  chèI  'I  tèi  pi  grass. 

31.  Allora  'I  pare  a  j'à  rispósi:  Car 
lì,  ti  rè  sempre  con  mi^e  Uiche  Jó, 
a  rè  lutMò. 

S8.  Ma'  a  l'era  pr  àul  giust  ch'i 
férsso  un  arsignón  adèss^e  ua*argÌQÌs- 
sansa,  perchè  ch'cl  tò  fratèl  a  l'era 
mori,  e  aùr'  a  Tè  arsiiscità;  a  l'era 
pers,  f»  s*è  trovasse. 

D.  GtUMANo  Sa?iihii. 


DIALETTI  PEDBMOKTAKI. 


»4» 


Dialetto  .m  Ruesliu  (Cankvese). 


II.  N'òm  a  ri^  avù  du  fi; 

JS.  E  'I  i>ì  f  ióvan  a  l'à  di6  al  p:i« 
re:  Pare,  dèm'e  la  porsipn  clS'a  mì* 
vèn  :  é  'l  pare  a  j'à  dèe  a  (uè  ^  dO 
la  ada  pari. 

f  S*.  Da  li  aD'pòlc  dì  *1  fl^  pi  gióvan 
a  rè  parti,  dop  a  vài  stroppa  tut  so 
ch'a  l'à  possa  arabasàr^-ant  iìn  pais 
tanto  da  lóns,  e  bete  la  a  Pà  iriacià 
tut  so  cMa  l'*ava  con  na  parlia  d' 
sbianche. 

14.  E  dop  avai  macia  Hit,  a  i'è 
gnu  na  gran  (am  an  qui  pais,  e  a  Ta 
coiAansi  vesne  dia  bela. 
•   flSt  E  a  s'è  tujàit,  e  a  Tè  andà  a* 
sarvHór  con-  un  jd*  qual  pais,  '1  qnal 
al  Vk  manda  a  kirgfir  iporcbit.. 

«6.  E  a  l'a^'a^ója  d'ampise  la  pausa 
di  agiàn  ch'a  nlaòiatan  i  pprchit;  e 
a  ravB  gndo  cb*a  gn»  dàss. 

«7.  Dop  avài  armana<;jà  an  pocdas 
par  cbèl,  a  rè  die:  (ènÒ  sarvitùr  a 
cà  dal  me' pare  a  l'àn  cf  pan  d'a- 
và'ns,e  mi  si  a  carpar  d"*  fani! 

f^  I  lyrù  su,  e  i  ci'  n'andrù  'dal 
me  pare)  e  J  dirù:  Pare,  i  rò  fé  bèta 
grgastf  a  Kosgnór,  e  a  vui  tutta;  * 

§•.  I  m'  mèrito  pi  nin  cl^'  vo  i  ni* 
clami  par  vos  fi;  baJchème  mhc  pi 
com'un  di  vqs  sarvitùr. 

Jto,  E  ausànse  su  a  s'è  ^iraiu'uiiiià 
vera  al  so  pare:  e  mentr'  a  l'era  an- 
cor da  Ipns,  a  l'è  stc  \1st  dal  so  p^- 
re,''l  qual'Ciapà  daia  compassión  a 
j'è  corrii  subK  an  contrade  a  s'jè  (acà 
al  col,  e  a  rè  basa. 

SI.  E  '1  ^a  j'à  did':  Pare,  ì  Vò  fé 
bela  grossa  a  Npsgnór,  e  a  vui  tutta: 
i  m'  mèrito  pi  hin  eh*'  vu  i  ui'  ciami 
par  vòs  fi. 

P.  BlANCN^m 


2a.  E  H  pare  a  l'à  die  ai  so  sarvi- 
tùr: Vuito,- 'porte  si  la  pi  !>ella  va- 
slimanla^  e  vasiilo  da  driò,  dasije- 
n'aitèl  an  man.'e  causèlo  còm'a  s'  déf. 

95.  E  andg  avài  un  vèl  gras,  eam- 
massèlo,  e  maciùma  e  banctùma; 

24.  Porche  quast  niè  per  fi  i\  erjt^ 
sa  va  mort>  e  a  l'è  torna  «(rvivar;  ìi 
l'era  pardQ,  e  a  s'è  torna  trovar;  e 
li  a  rào  prinsipià*a  banctàr,  e 'star 
alégar.    ' 

Sf».  1S  *1  so  fi  pi  vèj  a  Tera'par  cam- 
pagna, e  meotr'  a  gnava,  e  a  -s'avai* 
nava  a  cà,  .a  l'à  sanli.  ck"chènd  e 
d'  sun. 

86.  E  a  rà  Clama  tip*  di  so  «ar^vl- 
tur,  e  a  j'à  diÒ,  ch'a  J  conCàissa  an 
pòe  ch'a  l'era  tilt  qual  romór?  - 

87.  Eqùala  j'à  dìo:  Aj'ègnii'^l/ 
lo  fradèi,  e  '1  to  pare  a  ì^k  ammassa 
un  vèl  gras, -porche  ch'a.  s*  L'è  vist 
a  unài  bel  san. 

'  88.  A  j^ è  gnu 'I  fot,  e  a  tifava  manca 
'qtràr;  ma  'liso  pare  Aorl'iànije  an- 
conlra  da  d' fora,  a  Ve  bùtà  a  pregalo. 

•  80.  Ma  chél  rispondànlje  ai  pare 
a  j'à  die:  Idi  a  j'è  tene  agn  ch'i  v' 
sèrvisso,  e  i  Xi  sàmpar  fé  tut  so  ch'i 
m'ai  comanda;  ma  vu  i  m'ai  mal  de 
ùii  era  voi  da  far  palla  coi  me  ami». 

50.  Ma  appàina  gnu  quast' àut  vòs 
fi  ch'a  rà  nfi.acià  tùlt  M  fu€  so*  con 
ja  sèlanche,  j'ai  ammassa  ùp  vèl  gras. 

51.  Ma  chcl  a  j'à  die:  Fi,  ti  t'è 
sànfpar  con  mi»  e  tut  sq  eh' e  me  a 
l'è  lo. 

38.Aùra  anlava  banclàr,e  arlgràse^ 
porche  quasi'  lo  fradèi  a  l'era  mort, 
e  a  l'è  torna  arvivar;  a  Tera  pardìi, 
e  a  s'è  torna  trovar. 

Bartolonmeu,  .\laestro  di  scuoia. 


»i|5 


PARTE  TERZA 


Dialetto- DKUA  Vaile  d'Andorno  (Camvesc). 


II.  Un  òm  a  réja  dui  malètl; 

f2.  .'L  pu  giovo  a  rà  <lièje  a  sq  pa? 
re:  Para,  dèóame  la  mia  pfurt  cìi'a 
ni*  tocca;  ce  'I  pare  i'a  dàcceila a\tuó 
e  dui.    ':    , 

15.  E  da  lì  a  quaic  4i  si*  groé, 
'  r^^ollèé n4ia ?sdò  cii'a  l'.éjà,  s'n'è 

'ndàsne  *ni  ùn«pais  da  Iud&,  e  ià  a 
l*à 'mangia  4ult  *l  faÒ  sa,  .faglicnd 
l'iiBggrón.       ^      ' 

14^  Aprc-th*à  l*à  jù  mangia  liht, 
a  J?è  vgoii|€  'na  granr  caristia  'ni  cu! 
'  pai»;  e  cél  »  1*9  cménsà  pati  fam.  ' 
.  IH:  E  l'è  andà  bùtcse.'a  servì  a  cà 
d*un  dgnór  d*  cui  pais;  e  si'  qui  rà 
mandalo  a»  4»mf>agna  a  vardò  i  por- 
chili.-.     *       ■  #  .      • 

16.  B  à  l'éja  l|nU'fam,-cii*ìLj  ti- 
>.  rava  fimia  la  gela  d'ampisse  la  vbu* 

tre  dlfi  gioQt  eh*  a  mangiavo  i  pò^- 
chill;  e  a  J  dcjo.gnanca  còlU^-là. 

17.  Andócca  a  Tà  divèrl  I  ógge, 
e'i.'a  di£  das  par  cól  :  QuenÒ  scrvìtór 
a  ci  d'  me  pare  a  j'àu  d'  '!  pan  d' a- 
vàns,  è  mi  qui  i  oior  d'  fam! 

18.  La!  i  ve  bugcmc  da  qui.  tornè 
n  cà  d'  me  pare,  e  dije:  0  pare,  i  ò 
fadneQnalropgrossaalSignór  eavui: 

10.1  morii  pd  gn^in  d*  ciamème 
vos  fiol:  -pièmmo  nume  par.vos  sar- 
vitórb^ 

Sb.  E  s^è  aussàsc,  e  l*ti  andà  a  cà; 
e  Tera  'ncòra  .du  luiiS  eli*  6Ò  pare  l'à 
vgiilo;  la  corapassión  l'à  pialo,  j' è 
andaje  presi  en  obia,  s'è  taccàse  al 
còl  e  a  rà  basalo. 


SI.  Andóeca  'I  fidi  J'à  diéje:  Pare, 
i  ò  offendùve  vai  e- '1  Signor;  son«,pu 
gnan  dégn  ii'esse  ciamà.vos  fiol. 
.'  2ft.  'L  pare  a  l*à  die  affò  servitór: 
Porte  presi  die  vestlroente;  vcstillo; 
bulèje  l'anèl.  ani  el  di,  e  càusèllo. 
■  25.  Ande,  masse  'n  vèl  Imo  grass; 
anche  ìrallómma  e  fòmmla  bran|iè; 

.2«.J>ar8ciò  chM  me  matt  r«n 
mori,  e  a  l'è  rsùv^ità;  Tera  pardiln 
e  a  l'cjrovà. 

25.  'L'prim  frèl  Tera  'n  campagna; 
tornànd  a  cà^.el  seni  cui  .Upigi; 

2(i.  £  al  dama  da  'n  servilór  che 
ch'a  l'era? 

27.  SI'  qur  a  J  dJs:  jeè  vnqje  lo 
Trèl,  e  lo  pa^e  M  tratta  paf  scio-li. 

29.  l/àulp J'è  vniUe  M  fai,  e. 'I  Viia 
gnin  airdè  d'inte;  '1  para  l'è'  vgai 
(ora,  e  s'è  butase  a  plèlo  il  bènae. 
'2e.  Ma  ràul  l'à  di^a:  A  l'è  teai 
agn  ch*i  l'  serviss;  son  Isempa  sUé 
ùbidical,  e  a^è  mai  daéme  'q  era> 
vci  par  fé  'na  giulissknaa  con  I  mk 
amìs.  ' 

«  SO.  E  adèss,  cb*u  j'è  vhuje  sfinì 
tò-fiòl  ch'a  l'à  mangia  'I  (aé  so  oaa 
le  cmare, .  par  cél  i^  è  /aè .  masaè  '1 
mèj  vcl  cb'i  abbio. 

51.  E  ràul  a  j  rispónd:  O  me  car 
Ipisóh,  li  l'è  sempe  cpn  mi;  *e  lati 
sciò  cli'a  rè  me,  l'è  tò. 

52.  Aula  va  bè  fc  'n  po'  d' festa  aa- 
clié  par  40  -frèl,  ch'a  l'era  moli,  e  a 
rè  rsiiscilà:  eh'  ì ^cherzìo  frane pa^ 
dii,  e  róninia  torna  Irovèlo. 


DIALETTI  PEDEMOXTANI. 


tt«7 


Dialetto  di  Settimo  Vittumk  (Ganavese). 


il.'N'òiQ  a  Favìa  dui  niiii; 
Ifi.  ''L  mulct  a  Vk  dit  a.  so  pare: 
re,  dème  M  iqè  toc  d' paìs  eh! a  m' 
d;  e  ni' à  panie. 
fìL  E  dop  ira  chela  f- a  Pà  ansacà 
(qoal«òftch'a  rà  tira,'  e  a  s'  n'à 
dàsoe  da  lons;  e  là  fa9ènd  viole, 
Iftjbàficle  ansèm  a  d*  lurOe  a  }'  à 
arlàn  «  tut.  \- 

|4.  TrdvàDM  con  pi  niente,   as- 
tile na  gran.famina  ani  cui  pah, 
'ara  6Mtrèi  a  Ur  'ì  rtdàiì. 
|tf.  EpuI  a  l'è  andèt  a  far  '1  ser^ 
&  ansèm  io  d'cul  pais  ch'a  'I 
lodava  a  larghe  4  Iqj. 
If.  Tentar  era  la  jBgurjiia  cb*a' 
ivki,  cb'  d«ide^avà  d*  fé  na  pél  d' 
If  gians  ^h'.a  mangio  i  tòj^  ma 
la  *gna  davi.  ' 

if.^À  rà  pensa  na  chela,.  <;  pu  a 
Icava  da  spar  cièlt  0  quentie  ser- 
tòr  e^'a  son  a  cà  d'  me  pare''  cb'a 
D  d|  pan  fin  ch'a  vólèn,  e  mi  come 
ridlin  i  Bioro  d'  niglial 
18.  A  rà  p'en^  ben  ì  su  vers  e  a 
idìU  1  vili  andà  a  trova  me  pare, 
vul  dìje:  J^are^i  ò  fel  néc  'I  bon 
Bsevul; 

I^.  Bérito  pa  pi  d'esse  vos  mùl .; 
BCjjBie  almén  per  vos  servitór. 
tO.  A  s'è-ausàsscL,  è  a  Tè  macia 
^  la.cà  d'  so  pare;  a^i'era  ancor 
..lòps  eh'  al  sa  pare  a  '1  -rà  nurfiu , 
k  dia  pompassión  a  Va  coru  vers 
BÙI,  al  rà  embrassà  e  a  j'à  fàje  ci. 
Si. .%  miilét  a  j'à  pricàje  al  pare: 
re.  i  ò  otfcis  '1  bon  Òlus  e  vni;  i 
D  pà  pi  dégn  d'esser  vos  mùl. 
t%:  'L  pare  ajlora  a  l'à  dit  ai  sar- 


vilór:  Porlème  la  soa  pi  bella  vesti- 
menta  e  qua  télo;  e«  biUèje  1  frìcio 
ani' al  dì ,  jd  le  oàusse  poniìe. 

is.  Ande  a  pié'l  vèl  pi  gras;  squa- 
jèlo  e  fóma  na  jribotta;   . 

24.  Porche  '1  me  mulct  ch'a  l'era 
mQrt,  a  l'è^arviyu;  l'avia  perdù,  e 
t' ò  trova;  e  a  l^àn^  copiensà-  a  far 
vjola,  e  a  star  alégher.. 

25.  Ani  cui  mcimént  'a  J'è  riva  a 
cà'M  mul  pi  vèj,  ch'a  l'er^'enl  i  pda- 
sès)  avslnànsè  a  cà,  a  l'à  senli  ch'a 
sonavo  e  ch'a  ballava. 

26.  A  rà  clama  an  ^ervil^i'V  e  a 
j  à  dije:  Cb'élo  s'  Upagp? 

27.  E't  servfl4r:  A  j'è- torna  vos 
frèl^  e  vos  pare  a  l'sf  féisqiiajà  '4  vèl 
pi  gras,  lanl  contènl  .p^r  avél.  anco 
visi  'i  so  miilél  piòlb  '  \ 

28.  A  j' è  sauU  'I  -fumèt ,  a  varia 
pi  andà  a.cà;  '1  so  para  a  t^ e  saffi 
fuor  a  prieàjé  e  a  blinàio. 

29.  Ma  a  l'à  raspondijje,  e#j'à  dil 
a  so  pare:  A  l'è  giàtènt  agn  che  son 
con  vui,  e  che  v'ò  scmpe  atUuve  be- 
'uc,  e  m^  avi  mal  dèi  un  cravci  par 
mangia  con  l  die  amie.  •    . 

,    5(k  Ma  siìbit  che  l'adi  vos  mìHèl  à 

l'è  riva,  e  ch'a  l'à  mangia  lui  cui  cb' 

j''avi  dàje,  ansèm  d'  lufflàsse^  j'avi 

massa  '1  vèl  pi  gras.    *         \        ^ 

31.  Antlorà  '1  pare  a  J'à  dije:  Me 
car  mul,  ti  l'è  sempe-  slèl  con  ini, 
e  tùj.t  1  niè  possès  a  son  par  ti. 

52.  Ventava  -ben  fé  na  ribotta  ,  e 
violò  ampbc,  porche  là  frèi  a  l'^a 
meri,  e  a  l'è  arsusità; l'ave  perdute 
rò  turnà  a  trova. 

N.  N.  • 


»4A 


PARTE  TCllZA 


DiALETTtf  Ale!>sandri?io  (  llonfcmno  ). 


Ifl.  In  òni  l'éiva  dól  Oóì; 

fS.  Er  pu  giuvu  d/  9ti  fiói- ri'dié 
il  so  pari:  Papà',  (kini  ra  pari  di  beni 
ch^o  m' Iucca;  e  IG  u  J'.à  spartì,  e  u 
J*à  daó  ra  so  pari.' 

15.  E  da  lèi  a  pòchi  dì^  er  flapù 
giuvii  l'a  M  sii  lui,  e  Tè  andàé  ani 
in  p»ìs  luntàii,  e  la  Pà- sgarra*  lui  er 
faò  «ò  a'fc  der  sbàuci.  '• 

14.  E  qtiand  cli'u  n'èiva  pil  nént 
affsé,  J^i  sta^  na  gran  carestia  ani 
cui  paìs,  e  IO  l'à  prinsipià  a  slànlè 
par  \M,  ' 

itt.'E  rè  andàé,  e  u  s*^  intrudut 
an  cà  d'J6n  di  jftiltadìn  d'  col  pais, 
ch'u  Vk  manda  a  ra  so  cassénna  a  fc 
ra  vuardhi  ai  ^èn. 

16.  E  bramava  d'ampiis  ra  panca 
der.giànduri  ch'i  mangii^vu  i  ghén, 
è  anson  a  J  n^pi  dava. 

•  17.  Ma  quand  eh?  Vk  siii  usòdis- 
ingàn,  l'à  cti£:  0  quanla  geni  d^  ser- 
vissi an  cà  d^  ibè'pari,  .^h'i  àn  der 
pan'  ji  tiljfa ,  e  mei  acsi-thì'  a  m'  na 
mòr  dra'  fam  ! 

18.  L^è  mèi  ch'^  m'àussa,  e  cb'a' 
vaga  da  jnè  pari,  e  a.  j  dirò:  Papà, 
m^i  a  i  ò  -manca  conlra  u  Sé  e  con* 
4ra  lèi  ;  , . 

19.  A  n"*  mcril  gnìanca  pu'd*cssi 
ciamà  Ic^  Ilo;  trat-uii  cmè  eh' a  fissa 
Jon  dù  lo  servissi. 

20.  E  su  eh'  rè  slui,  rè  anilàé 
da  so  pari;,cn  Irattànt  eh'  l'era  an- 
cura  lunfàn,  so  papà  u  l'à  vjst,  e 
pia  darà  cofifpassión,  u  j^è  curs'an- 
cc^ntra,  e  u  j'à  brassà  er  tòl,  e  u  Vk 
bazà. 

ai.  E  ist  lió  u  j'à  dio:  Papali  ò  manca 
conlra  u  Sce  conlra  d' tèi:  a  n* morii 
gnìanca  pii  d'essi  clama  tò  tìó. 


2a.  ter  pari  l'à  dii  al  so  servìtàr: 
Pifstu,  lire  fora  ravsit  pu  presiù«, 
c'bullèigH  iindòsv  t.  miuy  Tanè  an 
t'u  di,  e  i  slivàlén  a(  pè.* 

25.  E  aknnè  cbi'er  videi  grat,  e 
massèli',  e  ch'u  s^  mangia,  ech'us'k 
slaga  alegramcnL 

24.  Perchè  isl  m&  Ho  l'erh  «Min, 
e  l^'è  risuscita;  u  s^era  pène  oVè 
Iruvà;  elèi  1  àn  prinsipià  a  tèlo graa 
pasl,  e  sièssni  alégher. 

2tt.  Aniura  ei'fiò  prlm  Tera  an  can- 
pagna,  equìind  cfa^  taraava>  ani- 
nàndsi  a  ra  cà,  Vk  santi  eh*  I  snuava, 
e  eh'  i  bali  a  vii» 

26.  E  i^à  oiamà  Jon  di  servll^r,  e 
u  rà  aiìterrugà  se  eh*  Per*  an-chl? 

27.  C  l'àler  rà  rispósi:  L*^  Una 
a  cà  lo  fradèi ,  e  tò  pari  l'à'  maait  ia 
videi  gras,  perchè  ù  Vk  -ricpperà  laa 
e  saly.  ' 

28.  E  lùTè  andàò  rà  ìcòlca,  e  n* 
vurrìva  pG  ànlrè  dreni  ;  donea  rè 
filarti  fora  er  pari ,  e  F  à  prfntipià  a 
preghèli.   * 

29.  Ma  lù  rà  rispósi,  e  l^à  die  a  so 
pari:  L'èzà  lane aAi  che  méi^raenr, 
e  a  n'ò  mai  trasgredì  Jdn  di  lèòr- 
dinVc  n'  t'  m'ài^mal  da£  iA  cravèl 
par  eh'  a  m/  la  gndissa-con  i  mèamb. 

io.  Ma  da  dop  ch'Q  f*  è  avni  cbì  bl 
tò  fio,  eh*  rà  divurà  lui  ei'.faèfò 
CQd  dei*  doni  dDà'sl  eéja,  Cài  massa 
par  fiì  er  videi  ^ras. 

51.  Ma  er  pari  u*J'à  die:  Fio ,  lèi 
l'  è!  sèmper  eon  ;nèi,  e  lui  col  cb'a 
j'ò  mei ,  rè  tò. 

52.  Ma  l'era  ben  giibl  da  fé  in  graa 
past.  e  da  Te  festa,  perchè  isl  tò  fra- 
dèi  icra  mori,  e  l'è  risuscita;  u  s'era 
pers  e  u  s'è  truvà. 

ThMoa. 


DIALKTTI  PEDEMONTANI. 


H»» 


Dialetto  di  Castbllazzo'Camondio  (Monfèrrino). 


II.  In  òm  l'ava  dui  hinciòU; 

-11.  B  irpi  peni  dM«  ch'a  eòi  Vk 
die  a  saparì:  fiip&ì  dénH  ra  paYl  d' 
tilt  cui  eVa  m'  tncca.'Ecblll  u  J'i 
Ile  inIÉr'Iùr  ir  p|irl  dir  Uè  so. 

18.  B  da  lèi  a  pòir  dèi ,  cass^  Icaas 
antemmo,  ir  fi  pcitt  u  s*  ji'^  and&é 
ali  di  iMlb  laolan ,  e  là  an  abàuèi  Vk 
•falrii  mt  eul  eli'  l'élva. 

14.  B  ardlé  aii  -sbrìa ,  ani  cul^  paia 
u  yh  tÌMÒ  gran  carisalia ,  e  eli  iti  la 
csaBlè  atl  di'  aptil. 

•a.  B  ì^è  akdàé,  e  u  a'è  arrambà 
da  Jéi  k'  col boQ alaghènC d'eul  paH, 
ch*o  l'à  asaodà  a  ra  sa  easaélna  a 
vmrdè  i  ihél. 

!••  B*  Fàorélvà  ampìsL  ra  pausa  dir 
glawlri,  chM  nangiav»  i  gkèl,  e  u 
«I'  «ra  pei  joh'a  |,na  dava.         '  * 

a7.lli-laét6^ta,i*àdié;  Quanòaeiw 
vìlùr  ao'eà  d'  me  pari  i  àn  dir  pan 
a  afta,  e  mèi  coi  a  tu*  na  mor  dra 
iam!'  •  *•  *    V 

IB.  A  a^  Uvrò'  set  ;  e  aqdrò  dk  me 
pari,  e  a  ]  dirò  a  chiti;  Pari,  a  i  ù 
lillà  eoUtraf'dn  8èj  e  centra  d'  vùi  ;  . 

iS.  A  n'  800  pi  dégn  d'essi  dama 
ynmtt  fit  tratèibl  ciffièjéi  di  vodfami. 

Ha.  B' atvà  sèi,  i'è  andàè  da  so 
parik  B  afmènl^  che  chili  i'era  ancàr 
laaiào,  so  papà  u  i'à  visi,  e  n  s'è 
aiovi  a  compassièr,  e  u  l'è  curs  an- 
èónter,  e  o  fa  cassa  ir  brassl'  ar  còl, 
e  u  l'à  basa. 

al;  B  ir  A  o  i'à  die:  Pari,  a  i  ù 
falla  eonlni  du  Sé,  e  contra  d^  voi: 
a  n'  son  pi  dégn  d'essi  ciamà  vosir  f r.- 

18.  8o  bapà  rà  dìo  ai  sol  aervitùr: 
Afgagià)  4lrè  forara  gippa  ra  pi  bel- 


la, e  bittèira;  casè^  raaè  ani  u  di, 
e  Ir  af^rpi-  ani  f  pè.  ' 

M.  E  amai  coi  Ir  boeèl  graaa,  a 
masséti;  eh'  Vh  Irmp  d' laanfè  e  d^fè 
banchèl;  ^ 

B«.  Perchè  .isi  aie  fi  l'ora  moM  o 
l'è  arsosìrà;  U'S'ora'por^  e  u  8*è 
Uova;  0  i  ^  emcnsà  a  boiK^tfr. 

a«.  Aura  Ir  fanei^tt  pi  grane  Iforà 
a  par  lèi  :  e  ant  u  turnè|  aoslnàndai 
a  cà  l*à  stnti  191  mlalca^o  tr  cnrrèàti. 

te.  E  l'à  ciaM.Hrdl  sortllèr;  e 
u  j  à  sireà  cséi'ora  stHcoi? *   ' 

27.  E  chili  u  J'arspù^:  Ve  'toiM 
vòstr  frèl,  e  v^i'  pari  t*à  massi  Ir 
bucèi  grass ,  perelìiè  Vis  tOml*i  ce 
ardi. 

50.  E  chiii  i*è  andàè  an  còfra,  i 
n  n'  vorèiva  màvc  aiilri.-  Ani  célia 
sorba^  rè  aurti  datt^lM,  0  11  rà 
emcnsà  a  babQrèl!^      '  '  ""' 

BO.  Ha  chili  Parspàa,  e  Tk  die  a 
su  pari:  L'è  fa  lììné  agn  ohe  BÌéi  'à  v* 
ierv,  e  a  n'ò  oi«Ì  trasgrodi  Jèl  dl^roé 
emànid ,  e  I  n'  m'ai  m/U  Aie'  in  fièg 
da  godjni  an  cui  mèi  ^mis. 

80..1la  dapòi  ^'  rè  avni>  cà  ist 
voslr  lam^lòU,  ch>  Pàavarpà  ilttii 
so  an  curt  cttT  donni  j  fkì  imissà  por 
dilli  ir  buecèi  grasè: 

51.  Ma  ir  pari  u  j  à  di£:  Me  fi,  tèi 
V  èi  d' lung  cum  mè^  e  liti  cui  ob'a 
J'òl'èUttlò. 

80*  Ma  l'era  gisl  d'  siè  ai^er,a' 
d'  fé  festa,,  perchè  isl  tu'frèirrera 
•  mori,  0  l'è  arsusità;  u  s'era  pèrs^ 
e  u  s'è  trota. 

K.  N. 


58 


ttKO 


PARTE  TERZA 


Dialetto  di  Castilnuovo  Bórnida  (Monferrino). 


11.  Vote  a  l'è!  va  dof  fidi; 

iS.  Et  pi  giovo  »  rà  dit  «  so  pari: 
l^apài  dèm'  un  poc  «lilla  jiarlebe  on 
pè  IqcdiiMiii;  i;d  il  .pari  q  J'à  dàt  la 
so  porsiòn  a  tutti  doi. 

fS.  Da  li  a  p^  dit  uiess'- ansèm 
tùli  le  s4  cosej  il  fló  pi  giovò  a  l'ò 
andè  ant  up  pais  beq  lonJàn ,  e  la 
rà,fai4iadè  il  r»t  so  ant  vizi  e  bii- 
fforìMa. 

i4.  E  flop',^che  Vk  consuma  ogni 
coM^  a. rè  arriva  una  gran  (ani  aift 
cui  pais,  9  diii  iy*  comaosà  ave  un 
gmB  baògD. 

tll,^E.cliil  •  a^  n'è  an'dà,  e  o  s'è 
apdf^à  ad  09  ^nir.d'  cui  pab;  a 

•  Pà  manda  alla  so  cassina  a  guarda 

*  por». 

ia.  E  ohi!  u/leaidarava  d'ampi  la 
pensa  d'  cui  f landa,  eh*  I  màdgivo 
i  pCMTs ,  a  nessun  0  )  na  dava. 

j^.  Ma antnapol  io  sa slèss ,  cosi 
0  s*è  ^ss.  a  di:  Dh!  qùan6  servitór 
aqi  là  X»  d'jPB^  pari  iàn  del  pan  in 
abbondamta  ,9  ma  a  m*  na  mor  d! 
fam  1         / 

'ta.  Ali  !  a  m'aisrò,  e  andrò  da  mi 
pari,  e'a  j  dirò:  Pari,  a  J'ò  pecca.» 
cantra  11  Sé  è  contea  vtfi.' 

19.  Già  a  n'sonnéné  dégn  d'essi 
clama .Msir  Oó;  femmi  comejin.dei 
voò  servilQr. 

tO.  E  alzàndsi  a  Tè  jindàl  da  so 
pari.  Ed  essinda  ancóra  txtn  lonlàn , 
so  pari  o  rà  visi,  e  a  l'è  sCà  pia  darà 
misericordia,  o  j''è  andà  anconlra  0 
>'à  eas»à  ir  brassi  aozima  al  còl,  e 
o  l'à  basa. 

21.  E  col  fio  0  j*à  ditt:  O  pari,  a 
j*ò  pecca  e  contra  u  Sé  e  contra  voi; 
e  me  a  n'  son  pi  dégn  d'essi  clama 
vostr  fló. 


sa.  mia  il  pari  l/à  dit  al  sol  servi: 
Portemi  prèsi  la  prima  vesta,  e  aìet- 
lìjla  addòs;  cassèj  l'anèl  ai|i  la  sé 
man,  e  i  calia.méni  ani  I  pài. 

SA.  E  andè  a  niè  un  vilèl  gmsa,  • 
mazzoli ,  e  a^  mangi  roma  9  alaroma- 
aléghér;  • 

91.  Percbé  M  me  l|6|i  L'era  iM>ri, 
e  a  l'è  arsù^eilà,  u  s'era  pecia-a 
s'è  trpvà;  e  i  àn  comioaà  a  «tè  alé- 
ghér 

2».  L' àter  fi»  pi  maggior  a  a*  a'afa 
in  campHgna,  e  avaioda  d^  ta  cam- 
pagna avslnàndsi  a  la  eà^  l'à.mli 
dei  cani  a.  dei  son. 

26.  E  l'è  clama  Jin  d^  a^rvH^»  e 

0  l'à  anlerogà  .cosa  l'era  .col  fneim? 
97.  Il  ferviiòr  0  J'à  riapòfii  4^  Pò 

torna  a  cà  vòsier'  f radei,  a  vèstar 

papà  M  Vfi  miMxk  un  vil^  graa,  ne^ 

che  cb'o  rà  riavi  san  a  aalv.- 

.  28.  Il  fio  priHi  a  l'è  andà  an  eèira, 

e  a  n'auréiva  néni  antrè  ani  eà;al* 

lora  il  pari  a»r  èsserli  lora^  e  l'è 

.eomansà  a  preghèl^<  -^     -    . 

29.  Ma  il  fio  cosi  rà  risposi,  a  l'è 

dii.a  so  pari:  Vuardè,  i  son  tanè  aa 

che  me  a  v'serv,è a n^òanallnagrarii 

dn  vòster  comànd ,  a  i  n*  m*èl  mai 

dà  un  agnè  da  godilmi  col  mtk  amis. 

50.  Ma  dop  che  a  l' è  veiii  lai  vò- 
ster fio,  eh'  l'à.  fa  andè  il  fei.sò  eaa 
personni  d'  mala  vita,  per  chll  J'èi 
mazza  un  vilèl  gras8. 

51.  Ma  ir  pari  ò  j'à  dit:  O  Uè,  ti 
l'èi  sèmper  con  me,  e  tìHi  irmi  oasi 

1  son  tifi. 

52.  Bsognave  poi  de  ùa  pasi,  e 
ralegrèsi ,  perché  isl  io  fcadèi  a  l'ara 
mori,  e  a  Tè  ar!*tiseità:  a  l'era  pèrs« 
e  u  s'è  trova. 

N.  K. 


DIALETn  ra)BlHWTA?ll. 


58 1. 


DuLirr6  u  Bistacmo  (Mooferrioo).. 


II.  In  òm  ff  réiva  dui  fanciòl; 

It.'Erpu  pql  di  dui  rà  di^  a  so 
perir  'Pàli ,  dèm  ra  me  pari  che  m' 
Uica;éclill  n  J*à  dVis. 

IS.  E  dff  H  a  càie  dìbfiOI  Ilu*an- 
ékm,  er  pu  lovu  u  s' n'èandà  an(  in 
pala  ttmlin,  eììVk  éheìfA  ioti  er 
fié  aò  a  mangè  e  beivi  e  fé  anpò  d^ 
Hit 

•é.Bdopd'aTéi  sgairi  luU  qUatkt, 
tt  J*è  sta  na  gran  caristla'  ani  q^al 
pàÌ9,  edili  ns'è  trovi  seciza  Ikiangè, 

^•.  t'th  andà  da  fin  *d'  qual  pais 
e  a  a*è'gÌSalà'da  servita:  Ist  cheqol 
V  l'à  mandi  a  na  so  càsclAna  a  scoi 
al  gblD.    '        . 

-M:*B'  n  s'èarèiva  ampi  aurahlé  ra 
fAnn  dm  gfaodr  cA*  i  mangiavo  I 
ftoft^BM  un*  J  era'niin  die  ]  rf9  déls?. 

«ir.Ha  arcnaselndsl  l*& die;  Qtiahé 
kHà  an  eà  d*.mè^  fiarl  cb'  i  inl>on- 
daaia  d*  pan ,  e  mi  qni  a  moir  d' 
raiam! 

l8#A:8atftfo  9Q,  e  andrò*  da  me 
pari  i  a  J  diro:  0  pari,  a  ^  o  II  pd 
canini  ti'SIgnàr,  é  conira  d'  vul; 

It.  m  an'  mèrli  pS  d'essi  «lama 
i9al1l;frattèmcm')un  di  Voè  ter» 
vllàr. 

10.  E  aasànd^l  l'è  andà  da  so  pa- 
ri. ApeMM  eb«  so  V'ari  u  l'è  visi,  da 
Matiin»  bj'è  vnu  compassiòn,  rè 
aori  pr  andè  an  cotftra,  u  l'è  braià  e 
a  Pi  bali.  •     ' 

"  -11^  Er  fi  l'i  die  «ripàri»  0  iwVi, 
a  I  ^fi  pdi  cantra  u  Signùr  e  con- 
ira vui;  a  n*  mèrli  pu  d'essi  elamà 
▼oilfi.    ' 

SÉ.  E  V  pari  rà  di£  al  sci  scrvi- 
fàr:  Perle  subii  er  robi  eh  'I  élva  an 


prGma  e  vestii,  e  bdtèi  l'anè  ani  u 
de,  e  *r  scaVpl  ani  I  ^..  , 

28.  E*  ninè  qui  Hi-  vldjsl  grass ,  é 
maxèll,  è  tpabglùmle  è  slum'  •lègr; 

a4.Perchè  lsl'mèAinc1òi|'M«/mari, 
f  l>i  arslùsdti;  Tert  *pèA,'  «  n  s'è 
travi:  a  I  in  emenxi  a  mapgfè. 

att.  Er  pu  grand  d'Ié  dal  fknoiòt 
^Péra  an  campagna,  e  avulìrtda  •  vsi- 
nàndsl  a  ci  l'i  senli  a'sunè/c  ett'i' 
ballvu.'  '*    ' 

ae.  E  Pi  clami  JQn  drWvilil  e  u 
Pi  Interagi  cosse  eh*  t'era  tStt  qnal 
fracass?  '•  '   *      •     •  ^ 

ar.  E  efall  u  fi  arsp6$!'  t^t  MI 
Pè  A'nn  a  ci,  e  inai  parf.Pi  fi  nàaè 
in  videi  grass  perché  Pi.vM  A^'ci 
ardi/  .    •  '     .  5 

as.  E  cbit  irVir  anrabfi  e  «  'iC 
vrélva  pA  andfc  a  di;  dònea  'r  pari 
Pè  Sòrti  e- Ti  cmanfipiia  pragh^t/ 

29.  Ma  er  (i  arspondèiidq  n  fi  diéi 
Yardè,  i  son  ii  tand  a^  ch^a*  vVfas. 
,u  servHà ,  e  <nian{li  chr  m'èl  cman-  , 
di,  a  v'o  sempr'obdi,  ^  t  nf  m'èl 
mal  di  In  cravètt'  da  godftil  con  i 

amii. 

'  80^  tu  pènna  eh'  Pè  rivi  lèi  vostr 
fanclòt  qui,  eh'  Pi  mangti-er  M  so 
con  der  doni,  tal  e  qua!  I  f  èi  fi  mate 
ih  videi  gràss.    ' 

SI.  Ma  cr  pai'l  H  j'a  ^12*:  aibnclòt, 
TI  Pél  Sem  pr  sii*  con' mi,  equalch'a 
J'5mi,Pètò.  * 

,     82.  Ma  l'ora  trop  d'ù  glust  ^*man- 
gè,*d'  bèlve  è  d'  fé  festa^  perchè  Ist' 
tò  frèi  Pera  mori ,  e  Pè  arslQsciti; 
u  s'era  pérs,  e  u  s'è  trov^. 

N.  Pf. 


ttttj 


PAUtt  TEHZ^ 


Dialetto  d'Alba  (Monferrino). 


11.  Un  òm  u  r*  avìa  dòi  lldl;- 

12.  'L  pi  pdt  un  di  u  r'à  dil  a  so 
pai:^:  Pare^dèiae  ra  par^.ch'a  tn*  vèn. 
''L  pare  seotèod  so-si^  u  r'à  fai  ra 
pari,  e  u  r*à  dije  lo  ch'J  locava. 

I  s.  Da  U  a  pocbi  di  »  ftl' Aol  u  r'à  ^u^liC 
lu}  et  i$\  si  ansèòi»  e  u  a'  n,'«è  ai^dàsne 
AiU  un  pai»  lonUo  nulubèo,  e  ansi  là 
u  r'à  s^iéirà  lui  ani'  fé  '{  ba|prdùn.< 

i4.  Penna  eli'u  r'à  finì  d'  fé  andè 
liilf  J'è  vnJUfs*  na  fran  carslìa  ani 
cut  paU,  è  tIMòl  ;U  r'à  5là  rid'jil  a 
méne  pi  avèi  u  necessari  pr  vive. 

i».  ^,i;«n4jè.pr  srvilH  ani  cà  d'un 
4'  c^l  paìs;  e  ctiièl-«i  u  r'à  mandàm 
a  na  ai|a  VHa  a  gulir^è  ì  crln. 
.  M.  ABai-là'jU  r'avìa  mane,  d'  ra 
giàivlrt  tk'\  daaìu  ai  crln,  baslàni 
dfk  9f  YMse  ni  fam. 

i7.  Àillura  pensand  ben  ben  al  so 
ca»,  u  r^à  dil  anlrà  c)»ièl:  Mal  Unti 
srvll&r.  ch'a  J'à  api  cà  d\ipà  pare  1 
r'àn  lati,  der  pan  Un  cli'ivoru,  é 
mi  àlag  si  a  fflurimne  d'  fajn  1 

18.  U  r*è  fflèj  die  n^'àussa  su.  e 
cbe  mi  na.  vaga  da  me  pare,  e  che 
i  d)ga  adri^uraparèi:  Pare,  mi  cu- 
nùaa  d' avèi  manca  centra  MoslSgnùr 
e  conlra  d'  voi; 

igl  Hi  sou  pi'Aàn  dégn  che  vuj  i 
ni'  ciàmi  pr  voslr  fidi;  iralékne  d' 
mac  com'ùn  voslr  sryilù. 

SO.  U  s'è  sùbjl  aussàse,  e  u  j''è 
subii  parlìsne  pr'  andè  Iruvè  so  pare. 
Menlrc  ch'u  r'.éra  ancora  discési  da 
hua  cà,  so  pare  a  r'à  'ntervisl,  e  piada 
ra  cumpasslon  u  r'é  curvge  aiiconlra, 
u  r'à  arebrassàru,  e  u  r*à  basàru. 

Sl.iAlura  si'  flòl  u  r'à  subii. d^e: 
pMre,  mi  r'ò  manca  conlra  ]J(ostSgnùr 
e  conlra  d'  voi;  mi  son  pi  nén  dégn 
ch'i  m'  ciàmi  pr  vostr  flol. 

22.  Ma  'r  pare  u  r^à  subii  dal  ór- 
din  a  ra  srvilù^ch'u  iKirtéisbO  presi 
lì  ra  pi  bela  vslimenla  ch'a  j  fùssa  an 


cày-e  eh**  ni-  vsléiss  subii  da  eap  a 
pè.  e  ch'a  j  buléissu  r*anèl  ani  i  dì 

23.  Andè,  V  r'à  dcò  dit,  lire  fera 
d'aul.ra  ^ala  er.pi  grassrveUèl  cè'J 
^sia^  masséru  subit,  che  v^  cIm  (asta 
n'arsinùn»  e  che  slago  .alégr  ; 

%l,  Prcbé  me  MI  a  r'érf  mocli  e 
u  r*è  riscossila;  r'jivia  prd&rn,  e 
r'ò*lu*naru  Iruvé;  e  pò  l&ti  fon  bit* 
làie  a  làula. 

2tt.  Ani  cusl  mentre  'r  ini  pi  v^ 
u  r'era  an  campagna,  e-loraàad'a 
eà,  quand  u  r'  è  sta  li  da  vaìg  'r'à 
senli  ph'a  a'  siinaya  e  cà'gV  balata. 

%%.  y  r'à  clamià  uo  di  •rvilùr.pr 
savèi  cosa,  r'era  tV  ^legrla? 

27.  ChiièI  o  i'à  rappadiUa:  J'à 
lurnàje  so  fralèl,  e  so  pare  u.Kàlal 
masse  un  gross  vellèl^  e  u  ^a  fae|a, 
prcbé  n  r'è  luraà  a/cà  saa^diapàiL 
.  28,  Senlénd  so^si  sto  fidi  pi  v^.  n 
r'B  sautà  'n  còtera,  e  u  vuM  fi  «én 
anlré  'ni  eà^  aò|>ar»cb'u  r^àiaavint 
u  r'è  surli  fora,  e  fion.d'  beto  pa* 
rote  u  r'à  srcà  d'cbiielèru. 
.  29.  Chièrperò  u  r'à  dlt  .a  sé: pi- 
re: Gom^  vàia?  MI  u  r'è  da  UoU  M* 
che  son  con  voij»  e  chje  v'  aervÌq|M* 
mónl^  e  v'ò  sempre  fai  4iii  le  cb'i 
m'éi  dimCf  e  yoi  r'è!  mal  dMB  in* 
raniénl  un  cravél  da  andè  a  sii  ì» 
poc  alégr  cou  i  me  amis.  . 
.  sgi  Ma  penna  ch^u  r'è  lucnàcosi 
vostr  051,  eh'  u  r'à  sghcirà  -  tùl  'r  fit 
so*cao  d'  (umre  d'  caliva  vito,  r'à! 
sùbtt  fai  masse  prchièi  iìn  graa  veilèt. 

IH.  Me  fiòl,  u  r'à  rispoai  ^r  pare: 
Ti  V  sèi  sempre  con  mi ,  •  lùtléche 
r'ò  mi,  U  r'è  In. 

32.  Ma  u  r'è  d'  co  gioslche  sléisN 
ùq.  poc  alégr  «  che  félssu  iio  pò  d' 
festa  pr  tò  frél,jch'u  r'era  mori,  e 
ch'u  r'è  ris:>ùssità;  r'ifviu  prdóru, 
e  r'óma  lurnàru  a  iruvè. 

N.  N. 


DIALETTI  PBDONMTAMI. 


9V7 


DlAtllTQ  IH  MMOOVÌ. 


•I.  CfR  ta  «  r*  ahra  do  Gf  ;      • 

•tt.  "R-  |rt  lovo  4ll  dóe  u  Vtt  die  a 
sòùpuae::  ftM»  <^b>^  'r  ^  ^9C  d'r 
laé  aè;  'tf*  ché^  u  r'à  af^arij  tra  d* 
rliél  rà  roba  ch'i  ynàiva. 

19:  Ha*  li  a  pocl  di^  ridarà  tot. 
'r*!  pi  taro  u  s'  n'è  andà  /«r  in 
paia  d»  tan»,  e  la  u  ir'à  M"  baie  Y 
M  aa*  vivèflMi  a  buca  eh'  votii. 

§4. 1  daé  ariia  a  tafv'nt  cui  paia. 
J4'-Taii|a  aa  ffan  iaaiiiMia,  e  chpi  u 
e^  Mhrèie  a  rabèl. . 

««;  Bur^é'ndà,  e  us'évgiustàéa 
eofl  un  Hfnur  d'  cui  pais,  eh' a: e*  à 
■mMìm^  a  fia'  aòa  caaninna  a  seo  ai 


viiù:  Dagafave-t  Irè'fSfa  hi  mia  ni 
pi  preilusa*,  bilvirc^anèl  'nt  a- di, 
eiatrvè'nlllpè;-:  tr  *  v. 

'  M.  fi  ainÀ  'n  v||èl'graaa,-inpsaèrè; 
mangema  e  Tania  gi^aidliiaMa  ;  . 

ti.-Prebè  sV  ma  ll'u  r^ara  «ori* 
e  aum.  u  r'è  raiacHàvu  a'^an  pari^ 
e  r' ama,  Iruvàra;  e  I  aè  aaà  alàf tfl 
alegraméni.a  Cava,  •   .       ^ 

s».  ¥«n  «h'  V  ft  pi  vèl  a  T'era  pr 
li  'n.AmpagBB,  a  Ifa  a^tfatft'a 
tarp4iva  «  d  a'avtoèlvita'eàf  a'i:'à 
aenli  re  obade  eì  bai.  ^.  .,' 

te.  E  u  ftà  M  «ni  >  Mrvftiì,> 
e  uj'àdaaiàcpaffiiala?  • 

tv.  E  cbai  u  J'àtftpaaRlÒa:  Vatif 


MjBttVaiva.vdjad^mplate'd^-ra,  frèl  u'r'è  turnà  vni,  eraalT  par»*u 


gia»ir  cbM  maagiàl^o  4  grin,  /e  gnia 
^•^ìAl1la^        .   .    • 

17.  Turnà  altpra  'nt  se  stéaa,  u.t*  a 
dièi  ItaanèiaerTilà  a  ce  4'  me  pare 
aauiBflu  dV  pan  a  crpa  panaa!  a 
M  «I  i' aiiir  d' fam  ! 

18.  I  v5i  aUzème  e  'ndè  da  me  pa<^ 
ra»«  I  dtardt-Papé^  i  o  (a4  pca  «onlra 
'I /M  e  tetiiira  d' ^'óe; 

IMI  piiafsA  Aéh  dégn  d.'«ssa  ciaoià 
««air  II;  Imllèma  armSd  tPud  di 
voatr  ìiervllà.  f        * 

■  S4lw.B  nj9*é  ausMse,  a  u  r'é  'ndà 
a*  ce  é'  aà  para.  E  'ni  'r  toenlUB  cb'u 
r'ara  'ttf  à  da  inna  «  so  .piira  u  Ki 
vlstni,  a  clapà  da  ra  compaaaión, 
•  |è«ttra  ;ncuntta,  u.  a'J  è  campàsje 
col' braaa  ar  cai  eìi  r'à.bafiro. 

ai,  E'r  fl  u  J'à  dìje:  Papà,  1«  fa^ 
mi- cantra  Dio  e  eontra-d^  voe;  i  ai' 
odUrlt  pi  néa  d'èase  clama  voiir  fi.  . 

ai.  E  u  9Ò  fi^rt,  u  r*  à  dM  ai  9Ò  ser 


e  k  manà  ila  vilM 


prrli^  u 


vr  è  turnè  '»  -bonaa  auittp    . 

n.  Ediél  «  Va 'j«dà/n  firiai,  4 
u  valva  nén*'nlrè.  PI*  lo,  so  parti  u 
r'é  'Baci  fera,  e  a  s'è  bulissè' a. pre- 
gherò. * 

19.  Il#  chél.  a  fA  rspòil  a  die  a 
so  pare:  I  son  fanf  agn  eh'  mi  I V* 
servf  e  1  soi»  sta  tavola  jEOmàpd^  e  i 
n\m'^i  4àme  'n,  era  vói,  chM  pa^ 
godroro  con  i  me  aam.'    •    ^ 

s<K  Aura  prdiè  a  J*  a  ^mS$é  si'  vastr 
reh' u  jr' à  baH^  »rM  sé  €od  ra 
pland^e,  ir' ai  mazsà  pr  chél  cui 
vUél  giHiM.  ? 

,  s^  Ma  'T  para  n  fi  diét  Ud^.M 
V  s(é  lavQta  eoa  mi ,  a  f r  'M.flli  u 
r'è  lo.  -       •'   •    r   ,    * 

ZX  a|a^  ù,  t'era  gliMl^  d'  slésaar  a 
lavo,  e  ci'  fé  rigaiìHo^  prché  sia  lo 
frèl  u  r'era  mort^  e  'uàré  u  r*  i  rsn  - 
scitì^  u  r't)ra>  prdii  a  u  s'è  Inivì^. 


Gio.  Edoahik)  Fersua. 


Mh 


pAtn  muu 


DiALBTT»-!»!  CAiM>.(Monlérrino). 


f«.  Vtkbm  Pàv»<lHÌ  Miv  » 

'ft.  U  dètliovii  rà'dié  a  so  \f%m 
Pupa,  dème  fa  pari  dl'benl  che  m* 
tocea.  B-eblèl  l*à  fì^  Ira  lar  érpart 
du  so  palrltfiofil. 

il.  Da^li'a  pochi  dì  561^*101  in- 
sftm  'si  fl5^clù  pei!  o  s»  n'  è  and*  Ini 
Inpab  lamàn,  e  qui  rà^sgboirà  lui 
*r  fai  so  In  slraviii; 
■  14.  pà  eh'  l'i  avu  fin  9  IGI,  l'è 
Irof 'ot'gns  caHstia  In  oul  pois,  e 
«  J'è  prllipMiJo  a  «nàndiè  u  iretes- 
sari  pr  vivi.  ■  "  #  ..  .■  , 
.  Iti.  L^è  andft  e  iiVè  inlrodul  press 
a  'n  parHeQ|àr d*  cai  pafs,  eh'  'u  l'à 
toandft  lol  'sa  tò  oascinna  pr  andè  a 
sedi  al  gM». 

i«;Jt*u  s*  sarétBsa*  Inei  vurtint^r 
ra  pan9a  dr  fiandr  oh'  mangiava  i 
|hint  ina  u  -n^J^ra- nun  eh'J  n'un 
déièsa; 

ly.  Me  torna  In  si  l'à  M:  Quanti 
servitili,  in  cà  d^  me  pare  i  àn  d'r, 
pali  Un  eh't  Nr5ru,  e  mi  qui  a  mU^ir 
d'  fami 

*I8^  A  n*  levrd  sii,  e  andrò  da  me 
ptfro^^afdlrà:  Pupa,  af  5  pdicon* 
Ira  u  Sgnù,  e  eonira  d'  voi;    '' 

IO.  A  iiMnèrileiiì  d'essi  clama 
vosth  Od;  Iraième  eum'  un  di  vostri 
servltài.    \ 

ao!  Did  e  fa;  rè  sta  su,  •  l'è  andà 
da<  so  plircf.  E  menir'  l'era  ancora 
Iòniàt)  '  sé  pare  u  l' è  ¥l»l  a  vnì ,  ra 


S2.  B''r  parola  Ve  vnlàBe  ai  ser- 
vilàr:  Prèsi,  o  J'A  die,  Urè-lore  ra 
veslfapenbi  dà  bela  e  Mllfra  IMòs; 
e-butèje^l'anè  ini  h  di,  •  fin  panid' 
scarpe  ini  i  pè.  ' 
'  is.  E  pie  un  vile  fris^  flomèlB,  e 
ch'u  a'  niìnfia  e  slama  alép'^- 

•4.  Perché  'si  me  fio  V  eri  «ort4 
r^  r'suscità;  ■  s'ora  pora,  e  •  i^l 
Irovài  B  P  in  eomeosà  a  Mogè. 

111.  in^  si'  fMèinp  >  Id  eia jnmi 
l'èra  in  campagna,  e  ini  m  r*tomè, 
avsinindse  d  cà  Pà  senti  a  aoaè  e 
a  baie. 

so.  L'à  clama  un  <li  sertltàioi 

# 

Pà  Inlerogà  cos'a  Pera  sia  cosol- 
ST.  E  chièl  a  J'à  riapòtt :  V  è  Iona 

▼ostr  frèl^evoth*  paro  l*à  A  ■•ni 

un  vHè  gras,  perché  ù  Pà  pfovfi-aMi 

e  (01  ardi. 
18.  E  chièl  l'è  andà.  in  eolrr,  e  a* 

voréiva  mane  intrè  lo  cà.  IHÌaca  'r 

pare  l'è  sortì  fora,  e  u  l*à  eomenaà 

a  prèghè. 

50.  Ma  chièl  u  J'à  riapiòol:  Son  là 
lanci  ani  cb*a  v'  serv  e  .a  f5  aempr 
fa  io  ch'i  nP èi  difl;  e.l  jqi'  m'H mai 
dà  àn  cravèl  da  mangà  oop  I  mèi 
amisi. 

80.  j»a  dop  eh 'si  voslr  Uà  cV  Pà 
m»nglà  luf.'r  fai  so  con^  d'r  palane, 
Pè  vnù  a  cà ,  j- èi  maxn  p'r  ehlèl  fin 
vite  f  ras.* 

51.  Ha  'r  pare  u  fjk  rìspòat:  Omè 


compddsión  a  Pà  pia  ,  e  u  j'è  ancia    flò>  li  Pél  «empr  coh  mi,  e  lol  loeh'a 


incanirà',  u  Pà  brasa  ar  còl/e  u  l'à 
baia; 

M.  E  *r  fio  u  J*à  did:  0  Pupa,  a 
J'o  pcà  conira  u  Sgnù  e conira  d' voi; 
a  n'  son  ciù  dégn d'essi  clama  vost r  fio. 


j' d  Pè  lo. 

«S.  Ma  Péra  giùsi  d'slèalégre 
fé  festa,  perché  'si  lo  CrèP  Pera  mori 
e  l'è  rsuseìtà;  n  s'era  pers,  e  u  <è 

trovàsp. 


DiAtiirri  PKDimoNtAKi. 


85K 


DiALSTTO  DI  Garb^sio  (Provtiicla  dl^ondovì). 


41.  Un  omo  l'ave  dui  fldf; 

ir  E  a  ciu  iono  d' sti  diìi  rà  diclo 
•  sé  pare:  vifé^  dame  a  parie  df  l>éiif 
eh*a  m' foca.  E  le  l'i  facfò  Ira  d*  lor 
re 'parte  di  bèni.  * 

If.  E  d^  li  a  pochi  di  bulào  luU 
In^me  alò  Ilo  clu  iono  a*  n'^i  àndào  ' 
ini  in  palke  lont&n ,  e  là  rà  Kglreirio 
iflUo  ir  fiaieio  ró  ini  I  bagórdi. 

14.  E  dopò  eh'  .rà  ftvuo  con9Ùinào 
tfttlo,  ini  col  pahe  u  J  è  vgnfior'n 
gran  rarstìa,  e  le  rà  comensào  a  avél 
baogno. 

ili.  E  rè  andào,-e  ■  s^èacordàoda 
tetgnór'd*  còl  paise  ch'u  rà  nian- 
dào  a.  'na  so  campagna  a  vurdàr  1 
porchi. 

M.'B  l'ave  \'d]a  d'fncirse'a  pansé 
dfé  giaAdre  eh'ì  mangiav''  i'  porchi, 
e  nsfin  u  In  dava. 

17.  Ma  'rvgnùo  int  le  rà  dlcio: 
Qaanei  sérvltór  fu  cà  d^  me  pare  àn 
dupanin  abundanza,  e  mi  lì  e  mòfro 
d*  Eamel 

i8.  E  ei'ìisrd  e  anilro  da  me  pa- 
re^  e  J  diro:  Pare,  o  peào  conlre  ii 
Sèi  e  centra  d' tf; 

ii.  E  ni  m'  nièrilo  ciù  d'esser  cia- 
nào  io  fio;  tràlnie  com'iìn  di  loi 
servitór. 

10.  E  essèndne  aussào  1%  aridào  da 
so  JMI^.  E  mentre  le  l'era  ancor  lon- 
làn^'SÒ  parcj  u  l'à  visto,  e  u  n'à  avQo 
eonpasaiòn,  e  u  j' è  corso  d  Pincon- 
t^O)  e  u  rà  abrassào,  e  u  Tà  llasào. 

ti,  E  0  Oòl  u  j*à  dlcio:  Pare,  6 
pcào  conira  ti  Sei  e  contro  d' ti;  e  n' 
m'  mèrito  ciù  d'esser  ciamào'  tò  fló; 

M.  E  u  pare  rà  diclo  ài  sol  ^c- 


vilor!  Posto,  gavèrfSra  a  vesta  ciù 
pretfosa ,  e  'bulèjla  a  co11o>  e  Tanèl 
Int.  l 'di ,  e  V^  srape  al  ile, 

SS.  E  aercbèi  u  vitelle  grisso,  e 
amassèllo;  e  v6jo  che  manj^moeéhe 
lénia  pasto.  '  ^  .  . 

31.  Perché  slò  me  Oò  l'erf  Àorté. 
e  l'è  rsciuscHèe;  u  s'erA'  perso/c  l'o 
tòrnào  a  CW>vàr.  E  I .  àn  'eomeitslo  a 
far^paslo.  ^ 

^8.  U  flò  Intanto  ci&  y^Jo  l'^Va  In 
campagna,  Ib  tomanQÒ  e  avsinàndse 
a  cà,  lli'tenlio  )  conoerA  e  I  soni. 

Su.  E  rà  aplào  àn  di  servilòr,  e 
u  J'à  ciamào  cos'u  foste  sto  tapage? 
.  27.  E  té  u  J'à  riportò!  L'è  tornèo 
tò  fràier,  e  tè  pafe  Vi  amassàd  fin 
vitello  grasso,  perché  u  l'è  loraàp  a 
Acquistar  san. 

%s.  E  le  ì''c  andito  In  cenerà';'  e  u 
n'  vorre  entrar.  Pi||lo-li  u  pafe  l^è 
sorlie,  e  rà.coménsàe  a  pregarlo. 

29.  Ita  le  rà  rsposto  ^  ^Tclo.a  so 
pare:  Vardèi  6n  jibco,'!  sèn  là  tencl 
agni  eh'  mi  1  V  servo,  e  1*5 'tem^p 
farlo  cos  ti  m'  eomandàvj;  ti  n'  n'àl 
mni  dào  un  crayotto  pr  omngiahnlò 
coi  me  amisi.  - 

SO.  Ma  aura  ch'are  vgn&o  sto  tò 
(ìA  eh"  Il  s'è  mangHip  u  taclo  so  cdh 
le  plandre.  Il  ài'amassào  Qn  vitello 
grasso. - 

Kì.  Ma  le  u  J'à  dicio:  Ile  Caicò  f^à^ 
ti  t'è  sempcr  con  mi»  etutto  u  facto 
me  rè  lo,       . 

52.  Ma  Tera  giAsìo  far  paslo*  «  star 
allegri,  prcbé  slo  tò  fràlcr  l'era  morto, 
e  rè  rsciuscitào;  u  s'era'  perso  ,  e  ti 
%*b  tor^o  a  Irovàr. 

Prof.  f).  DoNÌNico  Boxa. 


5»« 


PARTE   TCKEA  mALBITI  ^BOBMONTAMI. 


Dialetto  D'OaMRA  (Provincia  di  Hondovì). 


li.  Un  omo  ravta,doi  pòi:, 
it.  0  dù  iuvo  Vk  dteio-al  poà: 
Poà,  diime  lo  ch*a  ni'  pò  ìoet^k  dl^ 
mie  soajanse,  E  M  poà  o  J'à  dacio  la 

Ì8.  sfa  IF  a  pocht  dì  sto  flòp  ri' 
r^unà  'nsp-ipe  tji^lo  'I  so ,  poi  s' 
n'è  pafli»  e  js**  n'f^  andà  'nt'  un 
pàtse.Iunzi;  e  lì'r'i  d)sslp%  tulle  le 
8Ò  flostanse,  dasèndse  al  bon  tempo. 

14.  C  dopo  d'a verse  consuma  liiUo, 
r  è.  ygnu  Oda,  gran  carestìa  '  'ni  qual 
paite*'p  manera  che  coinenxava  a 
mancoà  d' lutò. .  ^    , 

iS.  Vk  pfi  'I  parti  d'  buttarse  al 
servili  dtjiiii  omo  d'.-qual  paisc,  ch^o 
vk  malldl^  a  scòa  I sporchi. 

16.  L'avreva  desidera  d^encissc  la 
pania  .d*  la  giandà  dì' a* mangiavo  I 
porehl;  ma  o  d*  poévar  manco  avéa 
a^sò  piasia.   * 

17.  L'è  'ntràlmalmente  'n.sè  slcs- 
fio,,  e  0  dlseva:  Qu/inci  servitòa  eh'  'n 
cà  d'.mi  poà  l'àn  dei. pan  d'avanzo, 
e  4QÌ  m'eq  moro  d*;  fame! 

.18.  ile  farò  .coragio,  e  ondrò  da 
me  pdà,  e  j  dirò:  Poà,  ò  manca  'n 
faccia  a  nosfroSignòà  e 'n  faccia  a  voi*. 

f  •.  M(  n^  son  dù  degno  d'esse  da- 
ma vostro  tlóa;  ligninie  coin'i  lignj- 
ràissi  un  di  vostri  servitòa. 

so.  E  fralanto  s'è  'ntliminà  da  so 
poà.  Va  quando  eh'  Tera  ancòa  da 
lungi,  so  pQp  0  l'à  visto,  e  o  s'è 
mòsso  a  compassiòn  ,  e  aiidàndje  a 
l'incontro,  s'j'è  campa  al  eòa,  e  o 
l'à  basa. 

2'l.  AUóa  l'à  diodo  'I  lìua:  Poà, 
mi  ò  pcà  'n  faccia  a  nostro  Signóa  e 
'n  faccia  a  vói  :  mi  n'  son  dù  degno 
d'esse  dama  voslr  llòa. 

22.  E  'I  poà  Vk  sùbito  comanda  ai 


servitòa  eh'  andàisso  a  pia  ^^na  vesta 
e  ch'i  lo  vestisso  ,  e  eh'  i  bulàisso 
t'an^  'nt  o  di,  e  cbli  lo  cabzàisso. 

ss.  t  poi  rà  comanda. ch'i  piilsso 
'0  dù  bel  vitéa,  e  ch'i  lo  aaiazaèisso, 
tlisendo:  Vòjo  eh'  i  stagmo  aUegri, 
ch'i  man^nio,  e  ch'i  béivmo; 

24.  Prchò  sto  me  flòa  eh'  Tera  morto 
l'è  risùs^ilS^  eh'  s'era  peno  'I  s'è 
trova.  £  quindi  l'àn  comenèà  a  «jtoà 
allegri. 

8».  E  'I  fiÒ9  ciù  vèjo  eh'o  vgniva 
d'  'n  campagna,  avsinàndse  a  ci^  l'à 

senti  a  sonoà  e  a  cantoà. 

«  * 

26.^''à  dama  ùq  servitòa  ooaa  losy 
sta  festa? 

27.  £'l  servitòa  J'à  dJceio:  Ve 
vgnù  voslj-flr  frèa ,  e  vostro  poà  Va 
faccio  amazzoà  o  ciò  t>el  yjléa  eh' 
l'avaisse,  prché  so  floa  o  s'  n'  è  torpà 
san  e  salvo. 

88.  Sto  nòa  ciù  vèjo  0  s'è  sdegna, 
e  0  n'c  ciù  vojù.^ntrà  'nt  cà.  E  '1 
poà  OS'  n'è  acorto,  l'c'  sorti  d'  'ni 
cà,  e  0  rà  prega  ch'o  'niràiase. 

2».  sia  '1  flòa  rà  risposto  a.sò  poà: 
L'è  lanci  agni  ch'i  v'seryo,  e  n'v^ò 
mai  maqcà  d'ùbidienza, e  i  n'  m'avài 
mai  daccio solamente  un erayota ch'io 
puìsse  starnine  allegro  con  i  mh  ami. 

so.  Ha  dopo  eh'  sto  vostro  fiòa  eh' 
l'à  scialaquà  tutte  le  sue  sostanze  con 
d' le  plandre  o  l'è  vgnu,  j'a^ài  facdo 
amazzoà  o  ciù  bel  vitéa  .eh'  j'avàissi 
per  lùi.l 

51.  Ma  'i  poà  o  j'à  diodo:  0  me 
fiòa,  ti  t'  sei  sempre  sta  con  mi,  e 
tulq  lo  ch'j'ò  mi  Tè  tò., 

52.  Stòma  dunque  allegri  e  ,maD- 
giàimo,  prchè  tò  (rèa  eh'  Pera  morto, 
l'è  risuscita;  tò  frèa  eh'  l'era  perso, 
0  s'è  trova. 

N.  N. 


*  ■  .      ri  .!■■    ,  . 


CAPO  III. 

SAfSGIO  DI  VOCABOLARIO  i^DEWO?fTAf^r>. 


Se  SI  considera  T  estensione  occupata  dai  dialetti  pedemonta- 
ni^ il  nùmero  e  T  importanza  delle  città  nelle  quali  sono  parlati, 
e  la  moltéplice  varietà  dei  medésimi  «,  reca  singolare  ibera viglia^ 
come  venissero  trascurati  sinora  dagli  studiosi.'  I  dialetti  lom- 
bardi, come  abbiamo  veduto^^anche  meno  estesi  e  meno  -distinti, 
posseggono  ornai  qtfasi  tuttj  uno  o  più  Vocabolarj,-  quali  soncr: 
il  Milanese,  il  Comasco,  il  Cremonese,  il  Cremasco  ed  il-  Brescia- 
no; un  Vocabolario  più  0  meno  esteso  hanno  quasi  tutti  i  dia- 
letti emiliani,  tra  i  qqali:  il  Bolognese,  il  Aomagnolo  rappre- 
sentato dal  Faentino,  il  Modenese,  il  Reggiano,  ti  Ferrarese ^if 
Mantovano,  il  Parmigiano,  il  Piacentino  ed  il  Pavese;  e  fra 
tutti  i  dialetti  pedemontani,  il  solo  piemontese  propriamente 
detto,  ha  ateuni  Vocabolarii,  che  in  vario  tempo  parecchi  dotti 
vennero  oompilando  ed  ampliando;  mentre  tutti  i  dialetti  capa- 
vesf ,  ttitti  i  monferrini,  e  gli  stes^  piemontesi  della  regione  più 
elevata,  rimasero  slAora  prìvT  del  rispettivo  loro  lèssico.  Questo 
difetto  rese  a  noi  malagévole,  e  pressoché  impossibile,  Tappre- 
stare  im, bastévole  Saggio  comparativo  delle  loro  più  distinte 
radici;  e  fummo  quindi  costretti  ad  accorttentarci  dei  pochi  ma- 
teriali che  Siam  .venuti  ^na  e  là  spigolando ,  è  che ,  sebbene 
scarsi,  saranno  per  avvenMira  sufficienti  a  pro.Vare  la  somma 
importanza  d'upa  compiuta  raccolta  dei  medésimi. 

Abbiamo^  denominato  Pitmonten  le  voci  che  appartengono  al 
maggior  nùmero,  0  a  quasi  tutti  i  dialetti  del  ramò  pedemon- 
tano, apponendo  alle  voci  proprie  di  uno  o  di  pochi  dialetti,  il 
nome  del  luogo  al  quale  esclusivamente  o  precipuamente  ap- 
partengono. 


558  PARTB  TERZA 

Siocome  poi  nn, nùmero  stragrande  di  voci  piemontesi  hanno 
il  loro  corrispondente  omòfono  nella  lingua,  o  nei  dialetti  della 
Francia,  cosi  dobbiamo  avvertire,  che  fra  queste  voci  abbiamo 
appuntato  solo  alcune  che  non  hanno  comune  radica  in  italiano 
o  in  latino,  come:  acabU,  cacete  per  opprimere^  nì^ilìo  e  sihiill, 
ommettendp  le  molte ,  che  sebbene  di  forma  affatto  slmile  alla 
francese,  Hvèlano  radice  latina- od  italiana,  come:  adusA,  oh* 
braxsè^  per  addolcire^  abbracciare^  ce.  , 

a 

Spiigazionì    • 
**    Ùèìle  abbtevlatune  impiegate  nel  seguente  Vocaholario, 


Aec«  —  Aeecgllò. 
Ales.  —  Ale39anilrÌno.~ 
Alp.  —  Alpigiano.    , 
Aitd.  —  AodMno. 
Ofo.  —  Ctpavese.     ^ 
Eni.  —  EmMlano. 
Fin.  — finestrelle, 
f  r.  —  Francese. 
Gael.  —  Gaèlico. 
Gto.  *—  GUgllone.   • 
Gr.  — Gi;eco. 
It.  —  llaliino. 


'l.  —  Latino. 
Lomb.  —  Lombardo. 
Ilant.  —  Mantovano. 
Mif.  -^.ìliUneae. 
Mond.  —  Mondovl. 
Mqnf.  —  Honferrlno. 
Piem.  -^  Piemontese. 
Piem.  ;iis.  —  Piemontese 
•  rùstico. 

Prov.  —  Provenzale. 
SeL  V,.—  Sèttimo  Vit- 
tone 


Sp.  -^  Spagmiolo. 
CJss.  —  Ùsseglio. 
V.  —  VfdL 
V.r  8.  •-  Val  Soapa. 
Vaia.— .ValdlerL 
Ver.  -^  Verona. 
Vin.  —  Vioadio. 
Voc.  Loffl. -7-Voeabolario 

LomtNÌrdò. 
Vqci  Ein.  ->  Vocspbolarlo 
Emiliano. 


Ababièse.  Piem,  Accosciarsi,  pa 
Babi,  che  stgnifiea  rojipo,  onde 
cùrritpondèreifbe' <k  rannicchiarsi. 

Ab  barena.  Use,  Raccògliere,  mèi* 
tere  insieme.  -  ^.  Barone. 

A  bi me.  Piem,  Inabissare,  sprofonda- 
re. -  Fr,  Abimer. 

A  boti.  P/efn.H {uscire.  •  Fr.  AWulir. 

Ab  u.  Mp,  Con,  appo,  appresso.  -  Già. 
Avo.  -  Usi,  A  vói.  -  Onoino.  Bii. 
-  jIcc,  Bo.  -  Kifn.  Embo.  -  Prov. 
Ab.  -  Fr,  A  ve  e.  Da  tulle  queste 
svariate  modiflcaziùni  della  radiée 
primitiva  latina  A  b,  rAe  serbò  lun- 
ftnnieuti'  la  signi fica2 ione  di  co»  . 


em&ge  manifesta  P  origine  dette 
voci  diverse  in  appartili»,  appe, 
appresso,  ambtf^  eome  pure  delia 
francese  ayec  ff .  E  m  b  o.  ^ 

Acab  le.  Piem,  Aggravare,  opprtoM- 
re.  Fr,  Àccabler. 

Aer  opi.  Piem,  Aggrovigliato,  aggrap- 
."paio.  -  fV.  Croupi.     - 

Ad  U  ss.  Piem,  Scaturìgine^  aorgeate. 
•  Notiti  la  pròssima  eosuotumTù 
della  voce  lombarda  à  v es,  cAé  pure 
significa  scaturìgine ^  sorgeille;  r 
delta  f»ooe'Afte»,  o  'Adesca  cAeè 
.  il  vero  notne  del  fiume  'Adige. 

Afaltè.  Piem.  Conciare.  -  Afaitór. 
Conciatore.  -  ^^  Falle. 

AIY.  Piem;  Brivi«lo,  spavertto.  -  fV. 
Affre. 


Agasftè.  Pi^m.EcciUre^aizzare,  ade* 
scare.  -  -y.  Anandiè. 

Aghi.  Piein,  Ghiro,  «cojàltolo. 

Ajassa.  Piem,  Pica,  gaiza. 

Ajdi.  Piem,  Ramarro.  r.*K.  Lajòh 

AIrór.  Piem.  Trebbiatomi.- X>a  Aira, 
jò  Era,  a|a., 

A I  a  rio  è.  Piem,  Intimorire.  -  Fr>  Aj- 
larme». 

Ali  cor  Di  Piem.  Cervo  volante. 

A I  p»  Piem,  Diceti  propriamente  un 
alto,  pàscolo  con  fabbricato  ^  ove  i 
pastori  condùconp  le  mgndre  dg* 
ranle  la  stale.-f^.  A I  p  nW  roc./.om6. 

Apbusc.  Pkm,  Divertire,  sollauare. 
<-  A*.  A  no  se r. 

Aiiand  iè.  Piem,  Eccitare,  stimolare. 
-*  f.  Agassè. 

Anast,  nasi.  Piem,  Odorato,  0uto. . 

Anbajè.  Piem,  Socchiùdere.  •  An« 
*l>ajà.  Soccliiuso;  e  per  irasluio: 
stùpido,  eatitioo.  •  y,  nel  f^oc'tom. 
Bada. 

Anbsirdè/  Piem.  Incamminare,  al- 
lestire. 

Aji  b  é  r  ferpj  è.  Piem,  Imbrogliaf e,  con- 
fondere. 

Anberborè.  Piem.  Dicesi  per  taf- 
l«re  nell^qua  tmpoco  di  iegtio  onde 
aesodanie  le  comìfusiure*, 

AnborgU4rè.  Piem.  Fugare,  dar  la 
teccia. 

Ai^liéBiifè.  /Virili.  Imbrattare, spor- 
care. 

A n bossi.  Piem.  li^Uriuilo,  tòrpido. 

ADbiodè.  Piem,  Acconciare  i  pan. 
nilini  nel  Uno  per  bucalo, 

AAbòss.  Piem.  Boqcone;  V opposto 
cU  suplqoi  -  An^bossè.  Capovòl- 
gere... 

▲  afaosta.  Ptem.  Manila,  giumelja. 

Anbrignèse.  Piem.  Non  ou rarsi , 
non  dare  ascolto. 

A  n buri.  Pieni.  Bellico,  umtiilico. 

A n  b  u ss  0  n è.  Piem.  Stipare ,  assie- 
pare. •  Dal  Fr,  Ruisson. 


DIALETTI  FEMMONTAFII.  KIH) 

Ancate.  Piem.  Osare,  aver  ardimeli- 
lo.  -Ancalur a. Coraggio^ ardire. 

-  r.  nel  ree.  Lom,  Scalàss.  •. 
Anche,  ^^d.*- Anodi.  Piem.  Oggi.  - 

F,  nel  f^oct  Em.  Inc6. 

Ajiciarraè.  Aem.  Ammaliare,  in- 
can4are.  «  Ft,  Cbarmer. 

Anclorgni.  /Ydn»  Assordare.  ' 

Ancona.  /Vem.  Tàvola  o  lei»  dipin- 
ta. "V.  Foe,  Lomb.  ed  Bm. 

A  n  e  u  t  L  •  Piem.  Aggroppato ,  aggro- 
vigliato. 

Andi.  fìref A.  Mossa,  via  nolo. 

ADdòìp.  Piom.  'Andito,  eorridojo. 

Ap^lrigia.  Piem.  Letame,  ^oneìou*. 

-  Andriìivè.  Concimare.  ^    i  ■ 
Anficèsè.  iVem.  Noo  curarsi,  non 

far  conto. 
Aline.  /Yem.  BrutlAre,  s|A>r«ippe.  - 
A  n  gag  è.  Piem.  Impegnar!):  -  Pr. 

Engager.  '    * 

i^ngarghi.  Pimn.  Impigrire^ 
Angassa.  iY<m.' Cappio.  •  AiHf»S' 

«iìn.  Cappletto.  -  r.l»agafta. 
Anglierna.  'Piem, Pieootai  ioeisiofle, 

tacca.-*  .  .       • 

Anghernì.  ^^m;  Cachàlloo. 
Anghielo  (Fò).  Piem.  Inanolire, 

destar  desiderio  ^1  quialcbe  oosi, 
A  n  g  i  a  V  l  è.  Piem,  Accovonare.  -  Fr. 

EnJaVeler.' 
Angringèse.  Piem, Introdursi, sc- 
olarsi dentro. 
Angrumtise.  Piem.  AggroviglUrsi. 

K.  Acropì  ed  Ancùtì. 
A  n  g  r  ù  s  s.  Ptem.  Doloroso,  spiacévole. 
Angusè.  Piem.  Ingannare,.  Imbro- 

.  gliare. 

A  n  m  a  r  1  è.  Pi«m.  Ammatassare. 

A nmasehè.  iVem.  Ammaliare,  in- 
canUjire. 

Anorfanli.  Piem,  Attònito,  stupe- 
fatto. 

Anpatagnè.  Piem.  Fasciare. 

Ansarise.  /¥pin.  Arrecare,  divenir 
ràuco. 


ttjfliO 

AnAÒrgh«.  Piem.  Rioorcare. 

Ani»,  h'em.  Imporla.  •  f^.  f'^ocLom. 
Anta. 

Antamnè.  Piem,  lÉanomètlcre ,  in- 
laccare.  Fr.  Enlamer. 

A  n  1  à  r.  itfsuL  V  a  n  là  r,  V  e  D  t  à  r.  Pk'em. 
Bisognare,  ponveoire.  Quesùt  è  un 
vef^  imper$onale;  uiai9  ^lo  in 
ierxa  persona^  come  :  v  en  ta  e  li*  a 
J  diav  ia  d'uopo «h'fo  le  dica ,  op- 
pure j  ventava  chM  aDdélss,. 
era  d'uopo  ch*Ìo  andassi-;  ed  è (7e- 
neraie  coù  -in  Pietmonte^  come  ira 
akune  prùpimiie  lombcarde  ed.  end- 
lianfi.  d  Pioosma  in'tuogo  di  vo4i- 
ta^  diceU  q venta:  inVaif^ersa- 
toa  ^  b frh  t a. .  jlUri  Mialeiti  fount^^ 
u$o  di  altre  voci  loro  ppùprie^  per 
U  qumii  y.  miyoc'Um.  Be  n  t à  r. 

Ante,  eniè.'/Vem.  Innestare.  -  Fr, 
Enier. 

A n tordo i.  Pifim,  Indeciso,  irreao« 
lutò. /bri^  (tal  I.  Lntor  duas?    . 

Antopì.  ,P(0fVi.  Coìprir  di  tolle.  Da 
iopa;  musco. /^«  Tepa. 

Anterpì.  Piem,  Pigro,  neghittoso. 

Anlesna;  /Vtfm.  Pìccola  Incisione, 
taeca.f'.AncAtfCra'n,  Angherna. 

A'Birapèse.  Piem.  Inciampare,  in- 
toppare. 

A  n  t  r  a  V  è.  Piem,  Impedire.  Fr,  £ji- 
iraver. 

Anvìa.  Piem,  Desiderio,  brama.  - 
Anviè.  Desiderare.  '  Fr,  Envie, 
envler. 

AnViròn.  A^m.  Circa.  -  Anviro- 
né.  Circondare.--  fV*.  Environ« 
environner. 

Anvuì.  Brozzo,  Udire. 

Aptfirè.  Piem,  Aver  tempo,  ogio, 
comodila. 

ApU.  P/mi.  Scure,  accetta. 

Aranbèsc.  Piem.  Accostarsi,  rv vi- 
cinarsi.-A  ranba.Alato,  vicino. 
-  /^.  P'oc,  Lomb,  Arèot. 

Arandòn.  Piem,  Sgarbo,  disprfsio. 


PAIITK  TEREA  . 

A  ran  gè.  Pi^m.  Orìlimiiv.  a(*ronHà- 
re.  -  Fr.  Arrang«r. 

A  r  b  uPiem,  Truogolo,- A  r  b  i  à.  Quanta 
contiene  iin  truogolo.  A.  Al  ve-us? 

Arblón.  Piem,  t  Lomk,  Piaciti.  •  V, 
yoc,  Lom, 

Arbogè.  Piem.  Rimuòvere.  •  Fr, 
Bou^gcr. 

Arbòire  (Far).  TaM.  FUr  festt. 

A  r  b  o  t  u.  Ptem.  ClpigUalo,  hf  osco. 

Arbroncè.  Piem.  Rlnclampilte.  1? 
per  tratia^:  Replicare. 

Arbus  (A  J').  Piem.  A  capriccio. 

Arcate.  Piem.  Ricomperala:  ^  A*. 
Raehete'r. 

Archinchè.  Piem,  Ad4abbare,  or- 
nare. 

ArcJampè.  PiVm.  Accmnolare,  ada- 
nare. 

A  r  e  i  n ..  Piem.  BafbaI  ella,  propàglne. 
•  r.  aiicAeCogÌóÌ#a.  •  Recia. 
Ffr,  iiffni/Ua  Racemo. 

Aréis.  Piem.  Inleramenle,  aiatlol 

Aresca.  Piem.  Spina.  -xJtfIf.  e  Fer. 
Resca. 

Ariana.  Pimn,  e  Parm.*Cloaea,  cessa. 

A  r  i  0  n  d  ì  n.  Piem.  Trltollo,  cruacMI- 
lo.  F.  Arprum. 

A  ria  n.  .l'Ami.  Sciupo.  •  Fé  arffìkÉ. 
Dissipare,  sciupare. 

Arlia.  Piem.  Ubia,  idea  s^persUiio- 
sa.  -  ^.  f^oc,  Ij^m,  ed  Em. 

Armangè.  l'teni. Rimbrottare,  rim- 
proverare. 

Armjs.  P/fm.  Lógoro,  frusto. 

A  r m  i s ter I.  Afm. Strèpito, fracassa. 

Armnùre.  Piem.  Capecchio.  -  F, 
Barbè-l,  Biùc,  Cucia. 

Armusòè.  Piem.  Rovistare*  ' 

A  r  n.  Piem.  Aratro.  -  f .  oncAe  SI  ò  l  ra. 

Arneachè.  Piem.  Rinvigorirsi,  faf- 
forca  ni. 

Arnós.  Piem.  Accigliato,*  melanco- 
nico. 

A  r  pai  è.  Pftfin.  Ristorare,  gtiarire. 

Arpriim.  Piem.  Tritfello.  -  f'.Bran. 


Arpussè.  Piem.  Respìngerò.   -  Fr. 

Eepoysser. 
Artài.  Piem,  Anelilo,  ambasci». 
Arsansè,  arsente.  Pieni:  •  B-e- 

s/BOtà.  W/.  -  Resentàr.'f^er. - 

Bisciaqiuirè ,  rilavare'.  -  Fr,  R  i- 

fenUr. 
Arsela,  arsìs^  Pì0h.  Slanlìo.  jig» 

#fimlé  di  pane  Secchio. 
Ars  là.  Broxzo.  Ascilugare. 
Arslgnón,  arsinùn.  Otn.  Goiio- 

viglia. 
Arsjvole.   Pimu.  Ciancia frùscóle  , 

Irivoltai^. 
Artòrt. /Và9i.  JiolUi. -fy»Ressorl. 
ArtaJòr/IVem.  Plszicàgnolo. 
Artonibè*  Piem.  Ricadere.  • 

Retomber. 
Artraosè.  Piem.   Risecare.  - 

Retraneher. 
A  fti.  itota.  Arnese. 
A  ti  nel.  Piem.  'Acino,  fiòcine. 
Atrope.  P4em.  Sorprèndere.  •  Fr. 

.Al  Ira  per. 
Attranté.  Monf.  VolenH^rh 
AntÌR.  Piem.  Vigila,  vignelo. 
Ava  ile.   PieHL  Agguatare,  stare  in 

agguato.  •*  f^.  Vaitè. 
AvatJ^r.  Piem,  PéviBl>a.  È  dano» 

tarsi  che  in  «louiii  diaieili  vèneti 

dieeei  i  ò  r  a ,  ed  <>i  alcuni  emiliani, 

léra  e  lòdra.  -.r.  nel  ^oc.  Lom. 

Lora,  e  nell'Em.  Lodra. 
Avischè.  Piem.  Accèndere.   Dieesi 

anche  Vi  sdì  è. 


Fr. 


Fr. 


Babi.  Piem,  Rospo. 

Bablgiiàrd.  Piem.  Ciarlone.  -  Fr. 

Babillard. 
Babòa.  /V^in.  Verme,  bruco.  •  ii^itcAe 

Sanguisuga: 
Babocia.  Piem.  Siero.    -   Fr.   Ba- 

beurre. 
Babòja.  Piem.  Spauracdiio;  anche 

capolino. 


DUMEtn  PBMMOMTAMI  8éf 

Ba  b  u  r  è.  jiles.  Blandire,  accarenare. 

Racajè.  Piem.  Parlare  a  spropétfto, 
balbutire.  -//V.  Bégayer. 

Bacèn.  Piem.  ViHano,  conladino. 

Baeiès.  Piem.  Slagno,  guanatojo.  • 
Baciasse.  Bagnare,  sprutivre  con 
aqua. 

Bade,  badola.  Piem.  Scimunito, 
baggèo; 

'Badine.  Piem.  Scbenare.  •  f)r.  Ba- 
diti e  r. 

B  a  f  0  j  è.  Pkem.Chiacc|ienire,;  cicalare. 

Bafra.  Piem.  ffotrimento,  penhgglo, 
alimento.-  Ba  f  ré.  Sbasofllare,  di- 
vorare. 

Baga  ra.*ffom.  Confusione,  tumulto. 

Ba  gò  I.  jécc.  Fagollo.  -  '    ' 

Baiehé.  fTiOi.  Perchè. 

BàJ.  /Vem.  Sbadiglio.  -  Bvjè.  Sba- 
digliare. 

B  a  l  a  fr  ò.  i'iffm.  Basof Bare ,  mangiare 
avidamente.  •  B a  I  a  f  r  6 n.  fìbiot- 
toheu 

Bai  ari  dòb.  P/em.  Baldoria,  tripu- 
dio, tiaceano. 

Baldi.  Piem.  Guercio,  balusanle. 

Baiò  ss.  Fece  generale.  Briecane, 
birlNinte. 

Ban as tre.  Piem, Masseriaie  di  poco 
0  nlun  valore. 

Ban  fé.  Piem,  Respirare,  ansare. 

Barane^  Piem.  Zpppo,  loppicante. 
/)topai  di  Ècrannm,  tàvolo  o  simiU: 
y.  oficAe  Baròs..  ^ 

B a  ra s  a.  Piem.  I^inda ,  luogo. stèrile. 
-  Dicni  anche  Ba  raj  a. 

Bara  vai.  Piem.  Pànico,  stoppia. 

Baravanlàn.  Pieni.  Stravagante^ 
ridicolo. 

Barbar,  ^ald.  e  Aiand.  Consuomre, 
dissipare. 

Barbe,  ficm.  Adunghiare,  Involare. 

Barbèl.  Piem.  Capecchio.-/!^.  A.rm- 
niire. 

Barche.  Piem.  -  Baleà.  tornii,  if 
Piac.  Cessare,  scemare. 


n5% 


&a  rd  òci. /Vffit.  Muletto. -/V-.Ba  r  d  o  I. 

Bariè.'/Yem.  Losco,  guercio. 

Barìcole.  Piftn,  Rullo  della  noce. 

Barivèl.  /¥em. Frùgolo^  sbarbaleUo. 

Barone,  baroni.  Piem.  Raccòglie* 
re,  mettere  insieme.      , 

Baròs.  Piem,  Sciancalo,  zoppo,  stòr- 
pio. 

Bariif.  Piem.  Mesto,  melanconico. 

Ba  9*1  e  ole.  Piem.  Gironzolare. 

Basorda.  f^.  .9.  Fame.  •  K.  Sgosa, 
Sgurnia. 

Baudéla.  Piem.  Suono  a  festa.  -Fé 
l^auiléla.  Suonare  a  festa,  scam- 
panare. 

Bau  do  ria.  Piem,  Gozzoviglia.  -  f^. 
Riguzì>gllo. 

B a tt d  r ò i e.  f^,.S,  Padrone. 

Bund  rÒR.  Piem.  Quella  spranga  che 
serve  d^appoggio  lungo  le  scale. 

BfùU.A'em.AUalenb.-Bau  ti  è.  Don- 
dolare. 

Bau  ila.  Piem.  Loggia,  ballatòjò.  - 
-Far.  BaladÒr. 

Bavo. /'/«ni.  Bìlico.  Spranga  df  legno 
alle  cui  estremità  si  app^dono  sec- 
chie, canestri  od*  altro,  e  si  mette 
in  ispalla.  -  Mil.  e  Mani.  Bàsol. 
L.  Bajulum? 
Bècia.  Piem.  Pècora.  -  y.  Fé  a. 
Bedàine.  Piem.  Scalpèllo' da  fate-» 

gname.  -  Ft.  B'ec-d'ànc. , 
Bedra.  Pfem.  Yen tnacola, grossa  pan- 
cia. -  Piac.  Bodriga.  Ventre. 
Bèg.  Alee.  jCa  pretto. 
Beghéna.  Pi^n^. -Pettégola,  scimu- 
nita.    ' 
Beglòja.  Piem.  Effigie,  imàgine  di- 
pinta 0  improntata. 


FARTI  TERZA 

dubitare  deW  origine  germàniea  a 
questa  voce,  da  Berg,  efìe  ffgni- 
fica  monte.  Daita  -etetea  derivò  la 
voce  Bergamina ,  che  nbi  dialetti  del- 


l^l//a  Italia  eigm/lea  un^  Intera 
^mandra ,  che  fu  da  taluno  deriPota 
da  Bergamo  ;  tenza  apparenza  al- 
cuna di  veriiimigUariza, 

Berghlgné.  Piem. Raggirare,  simu- 
la re,  Ingannare. 

frergiolè.  Piem.  Sereziato,  avari 
colori.  ' 

Borgna.  Piem.  Testilo  rozzo  eoola- 
dinesco.  •  Dieeei  ancora  Bergna 
cost'to  pianta  del  progno,  come  il 
frutto.  •  * 

Bergnaché.  /Vem.  Sdìiaedare, cai* 
pestare. 

Berla.  Piem-  Cacherello  dKpèoore, 
lepri,  topi  e  simili. 

Be  r  I  a  i  ta.  Scotta, sitro  deposto  dalla 
ricotta. 

Berna. Piem.eMil.  CroMafa, ranno. 

Bernage,  bernagi,  berBà8.Mai. 
e  Lomb.  Paletta ,  paUf  da  ftfoe«. 

Bersò.  Piem.  Pèrgola,  pergoialò  di 
fiori,  0  viti.  -  fV.  Bercc»u. 

Ber I  a,  Pie^n.  e  tA)mb.  Gazza. 

Berla véi.  JHem.  e  £om6.,l>eggaoa. 
Specie  di  rete  da  pesca. 

Ber  tèi.  Piem.  Tramoggiki.' 

Bcscàns,  bescànt.  iVem.  Obliqua- 
mente, a  isghembo. 

Btfscaré.  Piem.  Sbcrdare,  fallire  li 

segno. 

B  e  sèi  a.  /Veni.  Ciocca,  ciuffo. 

Bessiè.  Piem.  Balbettare,  scilin- 
guare. 

Bessón.  /Vcm.  Gemello,  binéilo, 


BeJcà,  ^e^ché.  Pfffw.eCan.  Guar-    Bestanlè.  Piem.  Indugiare,  dife- 
da re,  osservare.  K.ancAf  Buche. 


Berf9.  Piem.    Casìpola,  capanna.  - 

y.  Caborna,  Ciafiò;!. 
Benne.  Piem.  Prima  aratura. 
Bcrgé.  Ptem.  Pecorajo/ mandriano. 

-  Fr,  Bergor.  -  Aire  non  potersi 


ri  re. 


B  i a  I  e  r  a.  Piem.  Corrente  ,  gora ,  ri- 
gàgnolo. -  y.  onc/ie  Dò  Ira. 

Bianchisòsa.  Picrw.  Lavandaja.  • 
AK  Blanchisseufre. 

B i  b iu.  Piem.  Tachino,  pollo  dnadJa 


Biè.  Piem,  Bardotto  di  uiuralore.  y. 
Ferie. 

Biòtl.  Piem,  Vizzo,  appassito. 

Bifè.  A'fm.  Cancellare,  ràdere.  -  Fr, 
Blffer.  . 

Biga.  Piem,  Scrofa,  Iroja. 

Blgal.  Piem,  Filugello,  Baco. 

Biiiè.  Piem,  Arrivare  ^giùngere. 

Bia. /Yem.  Stia,  guard'lnfante  (es- 
autodlvimìni.  -  r.  ancAf  G  lì  e  r  MI  0. 

Bloecia.  Piem.  Ritaglio,  scampolo, 
frastaglio. 

Bioìa/Pfem.  Betulla.  , 

Blòn.  Piem.  Ceppo,  gran  tronco  d'al- 
bero. 

Bisa.  Piem.  Brezza.  •  Fr.  Bise. 

Usta 8 8 a.  Piem.  Birbanteria,  fur- 
fanteria; 

Bisòc.  Bitm,  Bigotto,  collo  torlo.  - 
Bisodiè.  Masticar  pater  nostri. 

Bi8tòr?../Vem.  Crescione,  nasturzio 
-  aquàtico. 

B  i  ù  e.  IVem.Capecebio.  -K.Ar  m  n  ù  r  e. 

Bi  um.  Pian.  Tritume  di  paglia,  pula 
di  fieno. 

Blioà.  SeL  F.lSitjìàire,  accarezza- 
re.  -  F.  Baburè. 

Boa*  Piem.  Bum.  Follia,  fanfaluca, 
fandonia. 

Bò.  Pietn,  Si,  appunlo. 

Boba./Ycm.  Smorfla,  sgrincia. 

Bodèro.  iVsm.  Corpacciuto,  panciu- 
to. -  B  0  d  é  i  a  f  i  in  alcuni  dialetti 
emUiani  iiffnifica  gonfio ,  enfialo. 
F.  Botcnfi. 

Bodrè.  Piem.  Mescolare,  melare. 


OIALCTTI  PEDBHOMTANI.  tf(^5 

Borncl.  Pietn.  Doccia.  -  Bornò.  Ca- 
naletto, tubo. 

Boraèse.  /^fom.  Limitarsi.  -  Fr.  Se 
borner. 

Boro.  Piem,  Errore,  sbaglio. 

Bocù.  Piem.  Bùrbero,  triste.  •  Fr. 
Bourru. 

Bo9.  Piem.  Acerbo,  immaturo. 

Bosa.  Piem.  Aq uff  stagnante. 

,Bosom.  Piem,  Scbiarèa,  salvia  sel- 
vàtica. 

fiòl.  Già.  Figlio. 

Botenfl,  bo ren fi.  Tiem.  Gonfia, 
enfiato.  EMI,  Bodélnfl. 

Botiira.  Piem.  Barbatella,  tralcio.  - 
Piceii  ancAe  Bronbc- K.  A  re  ili. 

B  r a  d  i  a.  Uu.  Presso,  appo.  F.  A  b  u. 

I  Forse  è  lo  stesso  che  Breda.  Bre- 
fcfdifO,  che  significa  possesso  cam- 
pestre.-£.  ,B  rosd  i  u  m? 

B  ràj.  Piem.  Grido,  rimpròvero.  - 
Brajè.  Gridare,  rtmpognare. 

Brande.  Piem,  ilari,  capifuoco.  - 
Xomò.  Brand  ina.  -  fVoe.  Brin- 
dnàl.  -  In  Gael.  BranMair  ff- 
gnifiea  Graticola  ferrea-. 

Brande  tignified  ancora  far  gran 
fuoco,  e  bollire  fortemente* 

Brassabòsc.  Piem.  Édera ^  abbrac- 
ciaboschi. 

Brave.  P/em.  Affrontare,  insolenlire. 
*  Fr.  Braver. 

Brèn,  bran.  Piem,  Crusca.  «K  Ar- 
prùm. 

Bric.  Piem.  Poggio,  colle.  -  Gael. 
Brlg.  Mucchio,  cùmulo. 


B  o  gè.  Pietn.  Muòvere.  -  Fr,  B  o  u  g  e  r.  >  B  r  i  n.  /Vem.'Ciocca,  ciuffo.  -  fV.  B  r  i  n. 


Boja  ca.  Piem.  cLomb.  Minestra,  |>ol- 

tiglia. 
Boléng.  Piem.  Laguna,  pantano. 
Bordò  e.  Piem.  e  Lomb,  Piàttola.  - 

L,  Blatta  orìen  tali*}. 
BÒrgno.  Piem.  Guercio,  losca.-  fV. 

3o  rgnc.  -  Jtal,  ont.  Bòrnio. 
Boria.  PìeiH.  Bica ,  covone.  - Bo r tè. 

Accovonare. 


Bri  sa.  Piem.  ed  ^mif.  Brìcciola,  mi- 
n  uzzolo.  Derip(^  dal  verbo  Meffuen- 
te,  che  il  Piem.  ed  il^Fr,.  òmUr- 

^    vano..  • 
Bri  se.  Piem,  Spezzare,  fràngere,  tri- 
tolare. -  AV.  Briser. 

B ro a.  Pietn.  Sponda ,  parapetto,  ripa. 

Broà.^  Pian,  -Broàr,  brovà.  Lowtix. 
Sboglienturc,  lessare.  F,  Brovè. 


K64 


PARTE  TERZA 


Bròc.  Piem.  Cavallaccio,  rozzo. 

B  ròci  a.  ftem.  Spiedo. -Fr.Br  oc  he. 

B  r  0  j  è.  PUm.GérmofflUre.  -  B  ro  j  ó  n. 

Geroioglio. 
Brón.  Piem,  Ciocca. 
Broobo.  Piem,  Tralcio,  rampollo.  ? 

r.  Bollirà,  Arcin  e  Brojón. 
.B ronda.  Piem.   Bamo  d'albero.  - 

B ronde.  Scapezzare. 
BropfM*  Piem^  Pslo,  broncone. 
Brovè.  Brozzo,  Castagne  bollile.  • 

f^.  Broà. 
Brus.  Piem,  Cacio  forte  con  droghel 
Brute.  Piem,  Brucare.  •  fV.  Br  o  t  e  e. 
Brute.  Piem,  Stajneggiat-e. 
Bjièst.  Piem.  Malaimo,  teompiglio, 

rovina. 
Bù.  Piem,  Manico  dell^aralro. 
Bu.  /Vem.Beopo, intento.  •  /V.But. 
Bua.  /Vffn. Denteo pupla. DieeeiMla 

foreheiia  e  simiii, 
Bucbè^  beicbè.  Piem,  Guardare, 

osaervàre.  -  B  u-e,  Guiardo,  sguardo. 
Bucì.  JU»,  -  Bocin.  Piem,  ViteHo. 
Buja.  Piem,U9i9ìe\\o,  Anche  lite^ran- 

core. 
Bui  verse.  Piem,  Métter  soasopra.  - 

Fr.  Bouleverser. 
B  ù  ra.  Piem,  Escrescenza  d'aqtie,  stra- 

ripainenlo. 
Busa.  i^em.  Letame  vaccino. -Buse. 

LetaoiHJò.  -  y.  Andrùgfa. 
Buss.Piem.Arnia,  alveare.  -AV. Bu- 
che. 

C 

Cabassa.  fYem.  Gerla,  cesta  di  vì- 
mini. •  Fr.  Cabas. 

Cablai.  Piem,  rus.  Bestiame  dato  a 
nutrire  in  società.-  Fr,  Cheptcl. 

Caborna.  Piem.  Casipola,  capanna. 
#^.  onc/ie  C i a b ò t  e  Bena. 

Cacè.  Piem.  Guardar  di  furio,  sog- 
guardare. 

Cacete.  Piem,  Sigillare.  -  Fr,  Ca- 
che ter. 


Ca  r^  r d.  iHem.  Ipòcrita ,  bacefaettone. 

FY,  Cafard. 
Calie.  Piem.  Calzolajo.  •  Ken.  Ca- 
le ghér. 
Carnato.  Piem,  Faechlno. 
Càmola.  Piem,  e  Iromfr.  Tlgnuòla. 
Camp  è.  Piem,  Gtttare,  lanciare.  • 

K.  ancAtf  Tampè. 
Camu.  y,  S,  Amico,  compakDo. 
Cantabruna.  /'^ein.  P^era.  •  Fr, 

Cbanteplenre.-  r.MtcAeAva- 

slór. 
Canta  rana.  Piem,  Raganella: 
Capala.  I*iem,  Bica,  covone. 
Carmassa.  /Yem.  Sudicia,  aporca. 

'Diceti  di  donna, 
Capàstr.  Piem,  'Astore,  uoedio  di 

rapina. 
Carpògn.  lYem. e £om6.  Pottinìeelo, 

mezzo,  avvlzzltor. 

CarrerR.  trotto,  Golifmda,  pa^ 

Caraài.P/aiii.  Gallaja,  apertora  adU 
siepe  onde  entrare  nei  cnnipi. 

Calò.  Pimn,  Comprare.  •  Fh,  kcke- 
ter.-  Ver,  Ca  l  àr.  ^Troirare. 

Catefle,  o  poterle.  PUm,  Clape. 

C  a  t  i  n .  Fin,  Meretrice. 

Cansaagna.  /Vem. ''Argine,  fossa* 
tello,  0  solco,  y.  ttel  yoe.  Umb. 
Cavedagna.  *  Z.  Caucfanea. 

Cavàgn.  Piem.  eLomb.  Paniere,  ca- 
nestro /atto  di  vimini. 

Cavalla,  Cavarla.  Piem,  Correg- 
giato, battènte.    . 

Ce.  Piem,  Nonno,  avo. 

Ce  a.  Piem.  Graticcio  di  canne,  ean- 
niccio. 

Ceca.  Piem.  Buffetto. 

Ceca  ir  e.  Piem.  Balbo,  balbuzienle. 

Cechc.Wem.Schiàcciare.-f.Ciachè. 

Cecojè.  PiVm.  Diguazzare, sclaqnare. 

Cemì,  durai,  rtcw.  Poltrire,  la- 

trislire. 
Ccnìa. /'icm.  Bruco. -AV.Ch  enfi  le. 
Cèl.  Con.  Figlio.-  y,  nel  yoc.iAfmIt. 

Sòèl. 


DIALrm  FflOBHOllTANI. 


H5B 


herpògD.  Piem,  Insipido,  appas- 
sito. 

Cheta  (na).  Set,  V,  Un  poco. 

Ch eia. K. .9. Porci,  majali.  -f^.Crin. 

Chi  tè. /Vem.  Lasciare. -Fr.Qu  i  Iter. 

C jabot.  Piem.  Casipola,  casuccia 
campestre.  -  K  Bona. 

Ciabrissà.  Piem,  dibassare,  fare 
schiamauo. 

Ciacbè.  Can»  Ammazzare,  uccidere. 

C  i  a  d  è  1.  Piem,  Disórdine,  scompiglio. 

Ci  a  die.  Piem.  Assestare,  aver  cura. 

eia  fé  ri  a;  Pifm.  Guancia.    - 

Cia-grin.  Piem.  Dispiacere,  afflizio* 
ne.  ''  Fr.  Chagrin. 

Cialàr,  claràr.  Mp.  Far  d'uopo, 
bisognare.  Forte  dcdPanlico  9erbo 
gpagnuoio  Caler,  di  effual  tito  e 
tigniftaio;  o  meglio  dal  9erbo  Ìcp- 
fjfio  Calere, f  dal mo derivalo /la- 
Uùno  G  a  1  e  r e,  e^  eignifea  impor- 
tare, prteere,  enrarti.  Ottnia^ver- 
òo»  com$  iuUi  gli  altri  di  eguale 
HgnificttMtim»»  è  difettipo  ad  imper- 
ttmaic,  eiùi  viene  adoperato  eolo  in 
terzapertona  ;  perchè  poi  tutti  sono 
a  noelroopHto  radici  primitive  d^ 
.rivate  da  antiche  lingue j  e  perciò  di 
somma  importanza  j  crediamo  op' 
porluno  ed  ùtile  allo  studioso  raccò- 
glierti qui  appresso. -Anta r.Jnd,  - 
Uantàr.Ctfn.-V^ntàr.  Yenlir. 
/Yem.-Cventàr.  Piac.  -  Rentàr. 
'  Fai  Ferzasca.  -  Ver  li.  Lorna:  Jnf. 
'  Hiàr.  Lod,  Mil.  e  Pomi. -Se ù- 
mi.  Bergam,  •  Mgnàr.  lìeggiano. 
-Cognàr,  scognàr.  Presso  al- 
cuni dialetti  riistici  lombardi  e  vè- 
neti. -  r.  Anlàr. 

Cianpairè,  s^iaiipairè.  P/em.Fu- 
gare,  sbaragliare.. r.Sbergìairè. 

C  i a p  u l  ò  i  r  a.  Piem.  Trilalojo. 

CI  às,  ciòs.  Piem,  e  Lomb.  Ricinto, 
brolo.  -  Dicesi  ancfte  C  i  o  v  e  n  d  a. 

Ci  cane.  riVm.  Cavillare,  sofisticare. 
-  Fr.  Chicaner. 


C  i  m  e  n  a.  Piem.  Uomo  dappoco,  ten- 
tennone. ' 

Cieca,  ciochin.  /Y^m.  Campana, 
campanello.  -  Fr.  Cloche. 

Cioma.  7Vem.  iNwl/eo.  Riposo  delle 
vacche.  -  Greco.  Kolmaow  Dor- 
mire. 

Ciòrgn.  Piem.  Sordo.  -  Sèiorg •& 
Assordare. 

Ciò  mia.  Fin,  MertUìtm,  '  Kmèeke 
Garùlla,  Loffia,  TaritUa, 
Garàude,  Gòria. 

Ciòs,  ciò  venda.  Tfem.  RIeInta,  si»» 
pe,  cinta. 

C  i  r  i  m  i  a.  Piem.  Zampogna. 

Ci  s.  Piem.  Foce  tolta  quale  i  conta- 
dini slimolano  i  buoi,  ^rrì  dei  To- 
scani. -  Cissè.  Stimolare.    . 

Cisampa.  A'cm.  Brina,  rugiada  o 
nebbia  congelata.  K.  anche  Gala* 
verna. 

Ci  u  m  is.  Piem. Tanfo;iittzra  di  luogo 
rinciiiuso. 

C i  u  pi.  Piem.  Chiùdere,  socchiùdere 

Ci  usi  è.  Piem.  Bisbigliare. 

Co  eh  in.  /Vem.  Furfante. -CoebiBè. 
Furfanteggiare.  -  fV*.  Coq n  1 D»  eo- 
qu  iner. 

Co  e  i  0  n  ù.  Piem.  Stopposo ,  disecca- 
lo. Dieesi  dei  limoni  j  aranci  e  si- 
mili. Dicesi  anche  R  a  v  1  à. 

Cogiòira.  Piem.  Barbatella ,  propli- 
glne. •  f^.  Arcin,  Boldra,  Bron- 
bo,  Brojón,  Garsdl,  Méir, 
Provana,  Risòi ra  ,  cAe  Aonno 
la  medésima  significazione. 

coirò.  Pian.  Zàcchera ^  pillàcchera. 

Cója.  Piem.  Bagatella ,  ciandafrù- 
scola. 

Col  issa.  Piem.  Incastro,  incanala- 
tura. Fr.  Coulisse. 

C'ona.  Piem.  Cótica,  cotenna. 

Ounba.  Piem.  Bassa  valle.  •  FT. 
Combe. 

Conche.  Piem.  Paraninfo. 

Conserge.  Piem.  Castellano^ custo- 

30 


U6 


PAITE 


de.  -  Fr,  Conci  erge. 
Cóp,  cup.  Piem.  e  Lomb.  Tégola. 
Copròs.  Piem,  Caprifoglio. 
Corba,  gorba.  P/«m. Cesta,  paniere. 
Coriór.  Piem.  Conéiatoi'e  di  pelli.  - 

L.  Cerio m.  Pelle. 
Cospa.  y.  S.  Casa. 
Coti.  Piem,  Mòrbido,  pastoso,delica(o. 
Co  tu  re.  Piem.  Arare  on  campo.  • 

lomb.  Co  tura.  Campo  arato. 
Goviello.  Piem.  Buffone,  zanni. 
Craehè.   Piem.  InOoocchiare,   dar 

panzane.  -  Fr.  Craquer.  •  Cra- 

queur.  Spaccamonti. 
Gran.  Piem.  Tacca,  inUglio.  -  Mil. 

Ore nn a.  Fessure.  -  F.  Antesna. 
Crasè.  Piem.  Schiacciare.  -  Fr^  t- 

craser. 
Creata,  trozze. .  Timore.  -  Frane. 

Crainte. 
erica.  Piem.  e  Lomb.  Saliscendo.  - 

Cricad'  bosc.  NòUolo.    . 
Crin.  Piem.  Majale.-Gia.  Carrin.  - 

/Ite.  Curin.  •  Mond.  G ri n.  •  f". 

•^.Cruina.-f^.ancAeTòi  eGbén. 
Cri  olia.  Piem.  Scrofa.  //  primo  n  è 

affatto  naeale.  Ne  tono  derivale  le 

foc^- Crinale.  Porcaro;  Crine. 

Grugnire. 
Croàs.  Piem.  Cornacchia;  uccello. 
Croc.  Piem.  Gancio.  -  Crocèt.  Un- 
cinetto. •  fy,  Croc,  Crochet. 
Crofa.  Oulx.  Ghianda. 
Cròi.  Piem.  Fricido,  marcio.  -  Mil. 

Cròi,   tignifìca  rùvido,   fàcile  a 

rompersi. 
Cr 09.  Piem.  Cavo,  profóndo.  -/»>•. 

Creux.  -  lomb.  Sup.  Cros. 

Crossa.  P<>iii.  Gruccia. -3/<7.  Se  róz- 
zo I. 

Cucàr.  r.  S.  Mangiare.  -  Piem.  Cù- 
chò.  Assorbire. 

Cucia.  Piem.  Capecchio.  -  f^.  Bar- 
bèi,  Biùc. 

Cugir.  Elva.  Costrìngere.  -  Z..  Co- 
igerc. 


TBiZA 

Cùj.  Piem.  Cògliere,  raccògliere.* 

Fr.  Cueillir. 
Cupe.  Piem,  Tagliare.  -  Fr,  Co  u  per. 
Cùria.  Piem.  Tinozza. 
Cu  sin.  P/tfin./anzara.  •  Fr.Cousin. 
Cussa.  Piem,  Zucca. 


Dabòrd.  Piem.  Da  prima.  -  fy.D'a* 
bord. 

Dagn.  PIfm.  Falce.  -  F.  LadròI, 
Poiràs. 

Dagnè;  Piem.  Gocciolare,  slillare. 

Dangros.  Piem.  Doloroso,  molesto. 

Davano. PiVm. Annaspare.  -  Davi- 
nòlra.  Naspo.'  -  /V.  Devider, 
devidoir. 

Debite.  Piem.  Spacciare,  dar  ad  io- 
tèndere.  -  fV*.  D  é  b  i  t  e  r. 

Debordò.  Piem.  Traboccare,  stra- 
ripare. -  Pr.  Déborder. 

Dcò.  Piem,  Ancora.  Qwui  dicem: 
'  Da  eò;  dacapo.-fy.  De  recbef. 

Degh Isè.  Piem.  Travestire, nasebc- 
rare.  -  fr.  Déguiser. 

De  gol  è.  P/em.  Appassiire,  avvizzire. 

Degùn,  dgùn.  jilp,  edOccil.  Nes- 
suno. 

De  lab  re.  Piem.  Rovinare,  lacerare. 
-  Fr,  Del  ab  re  r; 

D e  m 0  r è.  Piem.  Trescare,  vezzeggia- 
re. -  Demorìn.  Vanerello,  vei- 
zeggiatore.  -  71.  Dame  ri  no. 

Derbl,  derbis,  èrbls.  Piem.  Vo- 
làtica, serpìgine.  -Affi.  Dèrblta. 

Desabùsè.  Piem.  e  Afil.  Disingan- 
nare. -  Fr.  De  s ab  user. 

Desalterc.  Piem.  Dissetare.  • /•>". 
Désaltérer. 

Desbàucia.  Piem.  Straviuo.  -  Fr- 
Débauché. 

Dcsbela.  Piem.  Dissipatore. 

Desblè.  Piem.  Scassinare,  schian- 
lare,  scomméttere. 

Dcsbrossè.  Piem.  Spalare. 


\ 


Desdè.  Piem,  Slacciare,  rallentare. 

Dea  doli.  jPiem.  Sgangheralo,  sgar- 
bato.-F.  0dit.    . 

Desgagèse.  Picm.  ACfrc^Uarsi.-Fr. 
Se  dègager. 

Desga vigne.  Piem.  Sviluppare, 
sbrogliare. 

Desgerbi.  Piem,  Dissodare  il  ter- 
reno. -  y,  Gerb  e  Gèrbola.  • 

Desgicbè.  Piem.  Dicioccare,  levare 
i  germogli  d'una  piante. 

Desgognè.  Piem.  Schernire,  sver- 
gognare. -  Fer.  Far  le  sgogne. 

Desgrojè.  Piem.  Sgusciare,  smal- 
lare. 

Desmolè.  Piem.  Erpicare. 

Desnandiè.  Piem,  Distògliere,  dis- 
suadere. -  y.  Anandiè. 

Desolile.  Piem.  Sbrattare,  tògliere 
dal  fango.  •  F.  Nitta. 

Desmolè.  Piem.  Slacciare,  sciòglie- 
re. -  Fer.  Dessolàr. 

De  stenebrò.  Piem.  Disordinare, 
sconjiaginare.  -  f^.  S  t  e  n  e  b  i  è. 

Deste  mi.  Piem.  Smattonare.  Forse 
dal  L.  Sternere? 

Destiss.  Piem.  Estinto,  spento. - 
jinche  Distrutto,  esausto. 

Dea  tra  vis.  Piem.  Strano,  disusato. 

Dieta.  Brozzo.  Tempo,  època. 

Doit.  Piem.  Garbo,  grazia. 

Dója.  Piem,  Boccale,  brocpa. 

Dò  Ira.  Piem.  Rigagno,  canale.  È 
anche  nome  proprio  di  due  fiumi j 
la  Dora  bàllea  e  la  Dora  ripària. 

Don  tré.  Piem.  Alcuni,  pochi. -Do  n- 
trè  di;  alcuni  giorni.  Qtiasi  di- 
.  ceste:  Due  in  tre.  -  Fald.  Don- 
tràl.  -  Già.  Gjontrài. 

Do^ssa.  Piem.  Macello,  siliqua. 

Dròc.  Piem.  Abbondanza,  in  gran 
copia. 

Drolo.  Piem.  Faccio,  gioviale.  •  Fr. 

Dróìe. 
D rosse.  Piem.  Abbàltere:  cardare. 

-  Fr.  Drosser. 


OlALBTtl  PBDBIfOflTAIII.  5(^7 

Dr  u.  Piem.  Grasso,  fèrtile.  Dicesi  di 
terreno.  La  voce  antiquala  francese- 
D TU  significa  apptmio.  (orìe,  ro- 
busto, gagliardo.  Da  questa  radiee 
deriva  forse  la  seguente. 

Drùgia.  Piem.  Letame,  concime.  - 
y.  Andriigia  e  Busa. 

Duo.  Piem.  Vagò,  leggiadro,  avve- 
nente. 

Duna.  Piem.  Presto,  sùbito. 

Dupè.  Piem.  Ingannare,  uccellare.* 
Fr.  Duper. 

Durbi.  F.  S.  Padre. 

Diiso.  Piem.  Gufo.  Uccello. 

Diìssia.  Pi0m.  Ghiera,  cerchieito. , 


G 


Egajè.  Piem,  Rallegrare.  -  Fr,  tgsir 

yer. 
E  Imo  la.  Brozzo.  Lagrima. 
E  m  bo.  Fin,  Con,  appresso.  -  K.  Ab  a, 

e  Bragia. 
Enta.  Piem.  Innesto.  -  Ente*  laD»» 

stare.  -  Fr.  Ente,  enter. 
E  rea.  Piem.  Madia. 
Erio.  Piem.  Smergo.   -  F ò  T  e  r  I  o. 

Insolentire,  divenire  arrogante. 
Eva.  Piem.  Aqua. 


Face.  Pk>m. Disgustare,  IndispoUire. 

-  Fr.  Fàcher. 

Fai  tè.  Piem.  Conciare.  -  Faltór. 
Conciatore  di  pelli. 

F a  1  u  s  pa.  P/«iii;  Favilla. 

Famàut.  f^.  «S*.  Servo,  famiglio. 

Fa  mina.  Pm/i.  Carestia.  -  Fr.  Fa- 
*  mine. 

Fàmula.Pifm.Fantesca.-£..Famula. 

Fara,  fiara.  Piem,  Fiamma. 

Fara  bùi.  Piem.  Ciarpiere.^  smar- 
giasso. 

Fard.  Piem.  Finto,  simulato,  falso. 

-  Fr.  Fard. 


KOS 


PARTE  TERZI 


Fa  ssèlla.  Piem.  Cablino,  forma  del 
cacio.  -  Lomb.  Pitrm.  e  fìeg.  Pas- 
sera. 

Fa  L  Piem,  Scipito,  sciocco.  -  Fr.  F  a  I. 

Fa u dal.  Piem.  Grembiule,  zinale. 

Fèa.  Piem.  Pècora.  -  Anbaroaè  le 
fèe;  raccògliere  le  pècore;  aggre- 
giare. 

Feramiù.  Piem.  Ferravecchio. 

Ferdonè.  Piem.  Strimpellare.  -  Ft. 
Frédonner. 

Ferfói.  Piem.  Serpentello,  frùgolo. 

Feria.  Piem.  Germoglio,  rampollo. 

-  L.  Ferula. 

Fé r teca.  Piem.  Ferita,   squarcio, 

taglio. 
Ferlochè.    •   Piem.  Ch  laccherà  re , 

cicalare, 
f  ersèja.  Piem.  Legumi  fn  gènere. 

Ceci ,  Unti  e  iimiti. 
Fertè.  Piem.  Fregare,  stropicciare. 
Fiat  rè.  Piem.  Putire,  puzzare. 
Fiàp.  Piem.  Vizzo,  avvizzito. 
Fiàona.  Piem.  Buccia,  coda.  Dieeii 

del  gambo  deW  aglio  ^  delle  cipolle 

e  ùmili. 
Fic.  Piem.  Presto^  immantinente.  • 

Jlp.  Fit. 
Fiesca,  fiosca.    Piem.    Spicchio. 

Dicesi  d'aglio  e  simili. 
Filón.  Piem.  Mariuòlo,  borsajuòlo.- 

.  Fr.  Filou. 
Flacìj.  Piem.  Smargiasso,  albagioso. 

-  y.  anche  Flón. 

Flambar.  Fald.  -  Flambé.  Piem. 
Dissipare,  scialaquare.  •  Fr.  Et  re 
flambé.  Essere  rovinato. -KFri- 
cudè,  barbar,  sgairc,  sgu- 
liardàr. 

Flato.  Piem.  Lusingare.  -  Fr.  Fiat- 
ter. 

FI  ina.  Piem.  Rabbia,  stizza.  -  y. 
anche  Zara. 

Flón.  Piem.  Spaccamonti ,  smargias- 
so. -  Fio  ne.  Pompeggiare. 

Fófa.  Piem.  Paura.  -  Fófòn.  Pau- 


roso. -  Mil.  Fifa,  fi  fon.  -  Dial. 
Em.  Foffa,  fifa,  faffa.  Paura. 

Fogagna.  Piem.  Sbirraglia. 

Fojè.  Piem.  Frugare,  rovistare. 

Forlì.  Piem.  Asseverare,  persistere. 

Fosón.  Piem.  Abliondanza,  auinealo. 
-  Fosonè.  Abl>ondare,  créseerc.- 
Fr.  Foison,  foisoaner. 

Frapè.  Piem.  Colpire,  tàtlere.  -I>. 
Fra  p  per. 

Frassa.  Piem.  Catena  dell'aratro.- 
y.  anche  Provèl. 

Frecio.  K  ,y.  Fratello. 

Fricio.  Sei.  y.  Anello. 

Fricudè.  Già.  Dissipare,  telala- 
quare.  -  y.  Barbar,  Flambar. 

Fri  pò  n.  Piem.  Mariuòlo,  guidone. - 
Fr.  Fripon. 

Fris.  ^rozzo.  Poco.  •  An  fris.  Un 
poco. 

Frissón.  Piem.  Brivido.  -  Frlsso- 
né  Abbrividire.  •,.  fV*.  Frisson, 
frissonner. 

Fròi,  frùL  Piem.  Chiavistello,  a- 
tenaccio.  -  Frojè.  Chiùdere  eoa 
catenaccio. 

Furfa.  Piem.  Turba.  Le  permuta- 
zioni delle  consonanti  f,  b,  v,  ■ 
50710  assai  frequenti  nei  dialetti  pe- 
demontani ,  of e  trovasi p.  e.  bù  rbo 
per  furbo;  a  malòc,  pera  lialoe- 
chi ,  m  a  n t à  r  per  vantar  e  simili. 

Furvàja,  fervaja,  friàja.iVaa. 
Brìcciola,  mica.  -  Lomb.  Fergùi. 


Cable.  Piem.  Contèndere,  cavillare. 
-  Gablós.  Rissoso,  accattabrighe. 

Gadàn.  Piem.  e  Mil.  Sciocco,  ba- 
lordo. 

Gagè.  Piem.Scoméltere.-/>.Gager. 

Calaverna.  Piem.  ed  Emil.  Brina, 
rugiada  o  nebbia  gelata. 

Gala  via.  Piem.  Trebbia. 

Galiicè,  gal  US  è.  Piem.  Sbirciare, 


DULETTI   PeDIMONTAKI 


559 


guardar  ili   Iravfr^o.    -  r.  anche 
Lorgnè. 
Galufrè,  galupò.  Piem,  Scuffiare, 

pacchiare. 
Galùp.  Piem.  Ghiottone. 
Gamoro.  Piem.  Bùrbero,  zòtico. 
Ganivèl.  Piem.  Sbarbatello. 
Garàude.  <j/a. Bagascia^  meretrice. 

-  y.  più  avanti  G  a  r  u  11  a. 
Garbé.  Piem.  Ventre,  pancia. 
Garbin.  Piem.  Alveo,  truogolo.  •  K. 

Arbl. 
Gargarìa.  Piem.   Poltroneria,  vi- 
gliaccherìa. 
Gariè,  garibotè.  Pi>m.  Scavare, 
•  vuotare.  -  r.  G  ù  r  è. 
Garnàc.  Piem.  Ciarpe,  ciarpame. 
Garsamèla.  Piem.  Laringe. 
G  a  radi.  Piem.  Tralcio  della  vite, 

serroeDlo,  magliuòlo.  -  K  anche 

Risòira,  Cogiòira. 
G  a  r  u  1 1  a.  Ou!x.  Bleretricc,  libertina. 

f^.  Ciòrnia,  Lùffia,  Tartusa, 

Garàude,  Gòria. 
Ga  rv.  Piem.  Sello.  Dicesi  di  terreno 

non  assodato. 
Gasse.  Piem.  Eccitare,  stuzzicare.  - 

py.  Agacer.  •  (^r.  Akazèin. 
Gatìi.   Piem.  Sollético,  diiético.  - 

Bresciano  Gatigol.  •  Mil.  G  a  1  i  1 1 , 

garìtt. 

Gavass.  Piem.  Gozzo- 

Gavia.  Piem.  Conca,  catino. 

Gene.  Piem.  Impacciare,  disturba- 
re. -  Fr.  Géner. 

Geo  il.  Piem.  Puro,  mero,  genuino. 

Gerb.  f.  .S.  Pane.  -  Piem.  e  Mil.  So- 
daglia, landa,  luogo  stèrile.  .-  f^. 
anche  Gèrbola. 

Ctrhsi.  Piem.  Covone,  manipolo.  - 
-  Gerbè.  Accovonare. 

Gèrbola.  Piem.  Landa,  sodaglia. 

Gerle.  Piem.  Sudicio,  sozzo. 

Ghedo.  Piem.  Garbo,  grazia. 

Gliéisi.  y.S.Fsime.  -  f^.  Sgòsa, 
Basorda,  Grangia,  Néglia. 


Chén,   gbin.   -  Monf.  Blajali.  -  f^ 

anche  Crin  r  Toi. 
G  h  e  n  i  a.  Piem.  Cosuccia ,  baziècola. 
G herbe.  Piem.  Rigògolo,  beccafico. 

-  MiU,  Gaibé.  -  f^.  nel  f^oc.  Lomh. 
Galbéder. 

G  h  e  r m o.  Piem.  Stia,  carrucolo  fatto 
di  vimini.  Dicesi  anche  hi  9i  eGro- 
mo.  -  Mil.  Còreg. 

G  iài.  Piem.  Nero.  -  Alp.  Voglia,  de- 
siderio. 

Gianin.  Piem.  Bruco,  vermicello. 

Già  ri.  Piem.  Topo,  ratto. 

G  i  b  0  r è.  Piem.  Sconvòlgere. 

G  i  t.  Piem.  Gajo,  vispo. 

G idi.' Pi>m.  Loglio. 

Giòia.  Piem.  e  Br.  Baldoria,  alle- 
gria. -  y.  nel  Voc.  Lomb.  -Giòia. 

Giora.  Pi'ém.  Vacca  vecchia,  magra. 

-  Bresciano.  Gloria. 

Giùc,  giòc.  Piem.  Pollajo.  •  Gio- 
che.  Appollajarsi. 

Glissò.  Piem.  Sdrucciolare,  scivola-  ' 
re.  •  Fr.  Glisser. 

Gò.  Piem.  Pitocco,  misero. -Gosaja. 
Poverume,  ciurmaglia  di  pòveri.  - 
Fr.  G  u  ejii  X. 

G  0  d  r 6  n.  l\fm.  Catrame.  -  Fr.  G  o  u- 
dron. 

Gèi.  Pii^.  Lisca. 

Gòi,  gòja.  Piem.  Laguna,  stagno. 

Gola.  Piem.  Bernòcolo,  pùllca. 

Gora.  Piem  •  ò  o  r  i  n .  Mil.  Vermena , 
vinco.  -  Di  qui  la  voce  piem.  G  òr 
regn.  Tiglioso,  màzzero,  come  ag- 
giunto di  pane  stantio. 

Goti.  F.  S.  Uomo. 

Gòria.  y.  S.  Meretrice,  bagascia.  - 
y.  sopra  G a  rulla. 

Grangia.  Piem.  Fame.  -  y.  Basor- 
da, Ghéisi  e  Sgòsa. 

Grave.  Piem.  Scolpire,  incidere. - 
-  Fr.  Graver. 

Crei.  Piem.  Fórfora. 

Gribòja.  P<em.  Scioccone,  melenso. 

Gridi  in.  Piem.  Vispo,  snello. 


«70 

Cri  DI  ft  ss  è.  Piem,  Lagrimare.  -  FY. 
Grimacer. 

Grlnfa.  Ptem.  Zampa,  artìglio.  - 
«  Or  in  fé.  Ghermire,  abbrancare. 

Grinte.  P/^m. Spicbe o bacelll  smal- 
lati. 

G rióne.  Piem.  Frugare,  mondare. 

Griòta.  Plem.  Amarasca  (frutto).'- 
fy.  Griotle. 

GriTa.  Plem.  Tordo.  -  fV.  Grive. 

Grivoó.  Piem.  Uomo  accorto,  disin- 
volto. -  Femm,  Grivoésa.  -  Fr. 
Grivois,  grìvoise. 

Grdja.  Piem,  Guscio,  scorza.  -  K 
nòia. 

Grò  la.  Piem,  Ciabatta. 

Grosón.  Plem,  Giallo  càrico,  arancio 
(color  d'). 

Grfiflè.  iVem.  Scuffiare,' mangiare 
avidamente. 

GQrè.Pìffm.8ventrflfre,  tirar  fuori  le 
interiora.  Jnche  mondare  pozzi , 
fogne  e  iimili.  -  r.  Sgu  rè,  e  nel 
yocLomb,  Sgurà. 

Gdsaria.  Piem,  Indigenza,  miseria. 
-  V,  Gfi. 


Ighéra,  eghiéra.  Piem,  Brocca, 
vaso  per  aqua.  -  Mani.  Inguéra. 
Truogolo.  -  Pr,  Aiguière. 

Imita.  Brozzo,  Eméttere. 

In  or  fan  tè.  Piem.  Istupidire. 

Iona.  Piem.  Fallo,  sbaglio,  balordà- 
gine. 

Isì.  Alp,  Qui.-  Già.  Itiè. -Fr.  lei. 

Istór.  Piem.  Busi,  Lavorante,  con- 
tadino. 


Lab  ré.  Piem.  Ghiotto,  goloso. 
Ladròt.  Piem.  Falcetto,  falcinola.  - 

r.  Dagn. 
Lajol,  ajdi.  Piem.  Ramarro,  lucer- 


PARTI  TIRZA 

telone.  -   f.  nel  Voc.  Lamb.  Lin- 
gori,  e  neWEm.  LIgór. 

Lam.  Plem.  Rallentato,  rilassalo.  • 
Lamé.  Allentare,  rilasciare.  Qll^ 
sia  voce  ha  molla  affinità  cof  leio- 
me  lemme  di  Dante, 

Landa.  Piem.  Smòrfia,  leziosàgine. 

Lapin.  Piem,  Coniglio. -'Fr.  La  pio. 

Largar,  larghe,  largià.  Qm. 
Condurre  al  pàscolo,  pascolare. 

Lén.  Già.  Sùbito,  Immantinente. 

Lesa.  Piem.  Treggia,  tràino.  -Parm. 
e  Beg.  Le  zza. 

Leta.  Piem. 'Scelta,  elezione. 

Levertin,  luvertin.  Pfem.  Lup- 
polo. -  K.  nel  Voc,  Lomb,  Loer- 
tis;  e  nel  f^oc.  Emil,  Lovartis. 

Lifròc.  Piem,  e  Mil.  Scioperato. 

L  i  m  0  e  i a .  Piem.  Plgros  f entennooe.- 
Limocé.  Indugiare,  esitare. 

Livrè.  Piem.  Terminare,  compiere, 
consumare. 

Lo  e  è.  P/em.  Tentennare,  tMirdollare. 
Fr.  Locher. 

Lo  i  r a.  Piem.  Pigrizia ,  svoglialeiZL 
-  Loiròn.  Pigro,  poltrone.  -Mii 
Loj.  Pigrizia,  sonnolenza.-  Llròn. 
Pigro. 

Lorgné.  Piem,  Sbirciare,  addechia- 
re.  -  Fr.  Lorgner. 

Lesa.  Pi'em. Xavagna ,  ardèsia. 

Lo  sua.  Piem.  Baleno,  lampo.-Losnè. 
Balenare.  -  K.  Ferzasea.  Leso.  • 
Boi,  e  Beg.  Losna.  -  Mil.  Las* 
nada,  Lampo.  -  F.  Slussi. 

Lo  tra.  'Piem.  Lontano.  Forte  dal 
laMJItra? 

LQcsubi.  Piem.  Stùpido,  tiabbèo. 

Lùffia.  Set,  l\  Bagascia.  -  F,  Ga- 

rulla. 
Lurón.  Piem.  Furbo,  astuto. 
Lùsà.  Piem.  Caduta,  stramazzo. 
Lùsché.  Ptem.  Rapire,  involare  de- 
stramente. 


Il  a  e.  Piem.  Sdaroenle,  appena.  7>t- 
cefi  anche  Nume,  noma. 

Macblgoón.  Piem.  Sensale  d i  ca- 
valli. -  Fr,  Maquignon. 

Magna.  Piem.  Zia. 

Il  a  g  n  i  n.  Piem,^  Caldera] o.  •  Lombi 
ed  Em-,  Magna n. 

Mag&n.  Piem.  Lorna,  ed  Em.  Aceo- 
ramentOy  dolore,  rancore. 

Mai.  Mp.  Più. 

Mala.  Piem.  Valìgia.  -  Fr,  Malie. 

Malés,  maléflo.  Piem.  Larice,  pi* 
no.  Di  qui  forse  il  nome  proprio  di 
H/to09to^  Malesco,  luogo  cinto 
di  larici,  in  Val  ^egezza. 

Malòros.  Piem.  Infelice.  •  Fr.  M al- 
be u  re  ux. 

Mal  pina.  Brozzo.  Affaticare,  pe- 
nare. 

Malsoà.  Piem.  Affannato,  inquieto. 

Manàn.  Piem.  Rùstico,  incivile,  vif* 
laDO*  -  y.  Maunèt. 

Mantàr.  Con.  Far  d'uopo,  bisogna- 
re. -  y.  Antàr  e  Clalàr. 

Maràja,  marajota.  Pi>fti.  Bambi- 
na, bambinello.  Nàtiti^  che  Mar, 
neWanlicd  lingua  islandese  signi- 
fica figlia,  e  Mercb  nei  dialetti  càm» 
tirici.  •  y.  nel  yoc.  Lom.  Ma  ràS  e 
Marò. 

Mara  man.  Piem.  Forse,  a  caso. 

Ha  reta.  Piem.  Matassa. 

Marèsc^  ma  rase.  Piem.  Fuscelli- 
no,  fettuccia. 

Mar  gài.  Piem.  Cencio,  straccio. 

Marghé.  Piem.  Latlajo,  formagiajo.  - 
JLom6.  Malghe,  maighés.  Man- 
driano, proprietario  di  vacche. 

Marlàit.  Piem.  Un  tantino,  un  po- 
co. -Marlestio.  Un  pocolìno. 

Marmlìn.Plem.eAfanf.  Dito  migno- 
lo. ^  Mil.  M a r m è I.  -,  Irlandese 
'  Marmmcar. 


DIALirn  PBDBWnTAM.  574 

Mar  mora.  Brozzo.  Predicare.  Si 
raffronti  alla  voce  iUUiana  Mor- 
morare. 

Mar  òca.  Piem.  Lomb.  ed  JFmIi.  Ma- 
rame, scarto. 

Maruf.  Piem.  Ritroso,,  fastidioso. 

Harùisè.  Piem.  Tògliere  i|  filo  ad 
arme  da  taglio. 

Masc.  Piem.  Stregone.  -  Ma  se  a. 
Strega,  maliarda.    - 

Mascarpin;  P/em. Cacio freseo  fatto 
con  fior  di  latte.- Afi7.  Ma seber* 
pa.  -  Piac.  Maséiarpéin.  Ri- 
cotta. 

Masnà.  Piem.  Fanciullo,  ragazaa. - 
Masnajà,  masnojada.  Ragaf- 
lata,  fanciullàgine. 

Massàcber.  Piem.  Tànghero^  til- 
lansone. 

Ma  s  ù  ra.  Piem.  Catapecchia,  casolare 
cadente.  -  y.  Ben»,  Caborna.  ' 

Hat,  mate t.  /Yem. Fanciullo, figlio. 
-  Femtn.  Mala,  ffi|iteta. 

Maunèt..  K.<9.  Disonesto.  -  Piem. 
Sporco,  sudicio.  />*.  Malbonné- 
te.  Villano,  incivile. 

M  é  i  r ,  m  é  i  I.  Piem.  Sermento ,  ma- 
gliuolo, tralcio.  -^.  Cogiòira, 
Garsol,  Provana,  RIsòira. 

Méprisè.  Piem.  Dispreziare.  -  Fr. 
Méprìser. 

Miana.  Piem.  Paura,  -y.  Fòfa,  Pa- 
vana. 

Min  di.  Pi0m.  Pigro,  tardo. -MI  noj  è. 
Tardare,  indugiare. 

Mòea.  'Piem.  Smorfia,  visacclo. - 
Mochèse.  Boriarsi.  -  Fr.  Se  mo- 
quer. 

Mogia.  Piem.  Giovenca.  -  Mogión. 
Vitello. 

Majìs.  Piem.  Palude,  terreno  uligi- 
noso. -  Mil.  MoU. 

Món-  Piem.  Mattone. 

Morù,  m oro nù.  Piem.  Rabbuffato, 
ciplgliato. 

Mossón.  Piem.  Topo  selvàtico. 


»7S 


PARTS  miA 


Mótrta.  Piem,  eLomb.  Cipiglio,  cef- 
fo, visaccfo. 

M  0 1  u  r  a.  P/em.  Macinatura,  DNcinata. 

Mnl,  mulèt.  jipl.  f^.  Figlio,  fan- 
ciolio.  •  r.  Cèt,  Poglin,  Toi- 
8Ón,  Toto,  Masoà. 

Món.  Eha,  Maggiore,  primo  nato. 

Murcir,  murcbìr^f^. 49. Mangiare. 

Mora.  Piem,  Villanione,  tòlico. 

MQscis.  Piem,  Meschino,  sconcio.  •: 
Jnehe  miseramente. 

MGsè.  Piem.  Pensare,  riflèttere. 


IV 


Nà.  Stozzo.  Andare. 

Nàè.  iVtfVi*  Camuscio.  -  Nacè.  De- 
^lùdere,  adontare.  -  F,  Né  e. 

Hai  ve.  Piem,  Annaqoare,  macerare; 
dicali  della  cànapa  e  timiU, 

Nasi.  Gen.  Odorato,  fiuto.  -  Lomb.  e 
yèn.  NaaliT. 

Nata.  Piem.  Sùgliero,  severo. 

NaTÌa,  nevia.  Piem.  >iòtloia ,  sa- 
liscendi. -  f^.  erica. 

Nèc.  Piem,  Corrucciato^  di  mal  umo- 
•re. -ilfl/.  Gnèc.-i9ef.f^.  Far  nèc. 
Cprrucciare,  offèndere.  -  K.,Na£. 

Néglla.  ^/e//a.-Niglia.  Sel.y,  Fa- 
me, inedia.  -  KBasorda.  G bei- 
si, Grangia,  Sgosa. 

Niss.  Piem.  Livido,  fràcido.  -Lomb, 
Nifi,  niz. 

N  i  t.  Brozzo.  No,  non.  -  Ted,  N  i  e  h  t. 

Nitta.  Piem,  e  Piac.  Melma,  limo. 

Nùansa.  Piem.  Gradazione,  sfuma- 
tura. •  Fr.  Nuance. 

Nùfiè.  Pfem,  Fiutare,  odorare. 

nume,  Jnd.  -Noma,  doma.  Lom, 
Solamente.  F.  Mac. 


Oriol.  Pian.  Rigògolo.  Uccello. 
Or  issi.  Piem  rm.  Uragano.  -  77ci- 

nae. Orisi,  Aurizi. ••  Bomaqnok. 

.Aurizl. 


Obada.  Piem,  ru$.  Serenata. 
Obia  (en).  And.  Incontro.  -  £.  Ob- 
viam. 


Paci  oche.  Ptem.  Diguazzare. 
Painàrd.  Piem.  Tànghero,   Tiilan- 

zone.  -  y.  Manàn,M^firs. 
Pan  tal  èra.  Piem,  Tettoja,  tenda. 
Pa  p 0 1  è.  Piem,  Vezzeggiare. 
Parie.  Piem.  Scomeltere.  'Fr.  Pt- 

rier. 
Farmela.   Piem.  Gànghero.  -  Fr. 

Paumelle. 
Paraù.  Set,  y.  Scorto,  visto.  -  Ft. 

Apper^u.  ' 
Passón.    Piem.  Palo,  ^roncone.  - 

Passonà.  Palafitta. 
Patanu.  Piem,  Ignudo. 
Paté.  Piem.  e  ijomb.   CeneiajQOlo, 

rigattiere. 
Patói.  Piem.  Goazzabagifo,  aoonpi- 

glio.-PatoJè.  Scompigliare, scoa- 

vòlgere. 
Favài  re.   Piem.  Non  molto,  poco. 

-  y.  Vài  re. 

Pavana.  Pf'fm.  Spavento,  paura.- 

F.  Fòia  e  Miana. 
Pcé.  Piem.  Nonno,  avo.  -  P  ce  rèo. 

Bisavo,  bisnonno. 
Pen.  Piem.  Goccia. 
Per.  yald.  Prèndere. 
Péri  a.  Ptem.  Pévera.  -  y.  A  vasi  ór, 

Verslór  e  Cantabrùna. 
Pevìa,  pùja,  pùvìa.  P/cm. Pipita. 

-  Mil  Pili  da. 

Plaje.  Piem.  'Arerò,  plàtano  sei- 
vàlico. 

Fianca.  Piem,  Tàvola ,  passalòjo.  - 
Fr,  Planche. 

P  i  0 1  a.  Piem,  Ascia ,  accètta. 

Plot.  Sei,  y.  Sano ,  vispo. 

Pista.  Piem.  Beffa,  célia. 

P  i  s  t  ó  r .  Piem,  Pigiatore ,  ammosti- 


•ore.  -  Fer.  Fornajo,  paneltlerc. - 
L.  Pislor.  Fornajo. 

Pila,  f^a/d.  Più.  -  Piem,  significa 
Pollanca. 

Pìtlma.  Pftfm.  Accorto,  furbo.-l.om. 
Cavilloso,  flemmàtico. 

PI  Ti.  Piem,  Rondone,  róndine  mag- 
giore. 

Poglin.F..9.  Figlio.  -  #^.  Cèl,Mùl» 
Tolsón; 

Poi  ras.  Piem,  Roncone,  falcinola.  • 
y,  Dagn,  Ladròt,  Ransa. 

Pois.  Piem,  Pisello.-  Fr,  Pois. -K 
anche  Arbión. 

Pondrà.  -Piem,  Pojana.  Specie  di 
falco. 

Posse.  Pi'tfm. Spingere.  -  Fr.  Pous- 
ser. 

Poterla.  Piem,  Bianco  spino. 

Prè.  Piem,  Ventriglio. 

Pricàr.  .Spi.  f^.  Dire. 

P rocce,  f^in.  Vicino. -Fr.  Procbe. 

Pròn.  Hem,  Scojàttolo. 

Pros,  prùsi.  Piem.  Porca,  solco.  - 
-  Mil,  Prosa.  *  Mani.  Presòt. 

Provana.  Piem.  Propàgine,  ser- 
mento. -  y.  Arcin,  Coglòira, 
Garzol. 

Provèi.  Piem,  Catena  dell'aratro.  - 
y.  anche  Frassa. 

Prù.  Piem.  Abbastanza.  -  Brozzo. 
Prò. 

PrQs.  Piem,  Pera.  -  L.  Pyrus. 

Psuc.  Piem,  Becco,  rostro. 

Puisè.  IHem,  Vuotare,,  consumare  - 
FS\  Épuiser. 

Piiss.  Piem.  Lezioso,  affettato. -Pus- 
si  è.  Carezzare,  adulare.  -  F.  Ba- 
bure,  Blinà. 


Rabadàn.  Piem.  e  Lomb,  Ctiiasso, 
baccano.  •  Prw,  Roumadàn. 

Rabarè.  Mond,  Raccògliere,  radu* 
nare. 


MALrrri  pedbmoiita.iii.  K73 

Rabascè.  Piem.  Raccògliere,   radu- 
nare. 
Rablè.  Piem.  Strascinare,  trainare. 

-  Rablòn.  Carpone. 
Rablòira.  Piem.  Lumaca.  -  Fone 

da  Rablè. 

Rabòt.  /^em. Pialla.  -Rabotè.  Pial- 
lare. -  Fr.  Rabot,  raboter. 

Radolè.  /'fem.  Vaneggiare,  delirare. 

-  /V»  Radoter. 

Rajc.  Piem.  rus.  Separare. 

Ra  i  n  ù  ra.  Piem.  Incavatura,  scana- 
latura. 

R41I,  ral.  A>m.  Gallinella  aquàtica. 

Rama.  Piem,  Spruzzata.  Dicesi  di 
pioggia. 

Ramognàn.  Piem,  Melìac4i. 

Ranche.  Piem.  Strappare,  svèllere. 

Rande.  Piem.  Scolmare,  ràdere  le 
misure.  -  Lomb.  Arènt.  Rasente, 
a  randa. 

Ransa.  Piem.  Róncola,  falcetto. 

Ransonè.  P/fm.Taglieggiare,  estór- 
quere.  Fr.  Ran^onner. 

Ratavolótra.  Piem.  Pipistrello,  nòt- 
\o\si,- Propriamente  significa:  Ratto 
volante.  Cosi  appunto  la  nòmina  il 
Lodigiano  R a  t-sg 0 1  a  d  ó.  -  r.  fie/ 
yoc.  Lomb.  Grignàpola,  le- 
gna, TegnóI  a. 

R  a  va  gè.  Piem.  I>evastare.  -  Fr.  Ri- 
vAger. 

Ravlù.  Piem.  Stopposo.  -  F.  anche 
Cocionu. 

Refrèn.  Piem.  Ritornello.  -Fr.  Re- 
frain. 

Regretc.  Piem.  Compiangere,  ram- 
maricare. -  Fr.  Regretter. 

Réid.  Piem.  Rattrappato,  rigido.  - 
Fr.Koìdì. 

Reta.  Piem.  Striscia,  fila. 

Rema.  Piem.  Travicello,  corrente. 

Rèn.  jllp.  Nulla.  -  /•>•.  Rìen.  Forse 
dal  L.  Rem? 

Ren,  rèssa.  Piem.  'Ordine,  fila, 
rango.  -  K.  Reta. 


»74 


PARTI  TBIUe.4 


Revè.  Piem.  Sognare,  fantasticare. 
Riào;   Piem.    Riirronc^  scavo  fallo 

dalle  aque. 
RIana.  Piem.  Fogna-,  sentina.  -  F. 

Ariana. 
Riho  tè.  A'tfm.  e  ^m6.  Gozzovigliare. 
Rigiizigllo.   Mond.    Gozzoviglia.- 

Piem.  Rigo  sic. 
R  tondi  n.  Piem.  Tritello.  -  ^.  Ar- 

prum,   Ariondin,  Bran. 
Ri  so  ira.  /Vem.  Tralcio  di  vite.  -  K. 

ancAeGarsot,  Arcin,  Co  gioirà, 

Bolùra,  Brojón,  Provana. 
Rista.  Piem.  Cànapa,  garzuolo. 
Rd,  ròl.  Piem,  Cerchio,  cìrcolo. 
Ròcol.  Piem.  e  Lorna.  Ragnaja ,  uc- 

ccllalòjo. 
Ról.  Piem.  Ròvere,  quercia. 
Ròta.  Piem.  Hallo,  guscio. 
Ronsa.  Piem.  Rovo.  -  Ronsé.  Ro- 
veto. -  /V.  Ronce. 
Rosine.  Piem.  Piovigginare. 
Ross.  Piem.  e  Lorna.  Penzolo,  mazzo 

di  frulla.  K.  nel  Voc.  Lomb.  Ròs. 
Rosse.  Piem.  Bàttere  senza  pietà.  - 

Fr.  Rosser. 
R  uà.  Piem.  Baco,  bruco.  -  lìom.^ Beg. 

e  f^er.  R uga.  -  L.  Eruca. 
Rubi  ola.  Piem.  Pìccolo  cacio. -Aft7. 

Robiola,  robiora. 
Rum  è.  Piem.  Grufolare,  razzolare.- 

Rumenta.  Immondizie,  lordura.- 

f'.  nel  yoc.  Lomb.  Romént. 
R ù p i a.  Piem,  Ruga. -Rupi. Rugoso. 
Rusa.    Piem.  Furberia,   pretetto. - 

Rusè.    Pretesta  re.   -   Fr.  Ruse, 

ruser. 
Rùslè.  Piem.  Rovistare,  frugare. 
Rùss.  Piem.  Sommaco.  -  f^.  nélf^oc. 

Lomb.  Rusca. 


S 


Sabàrd.  Piem.  Tànghero,  zoticone. 
Sacagnè.  Piem.  Scuòtere,  scrollare. 
-  Fr.  Saccader. 


Sagrine.  Pfem.  Affliggere,  rattri- 
stare. -  /'>.  Cltagrlner. 

Saglir,  sair.  dip.  Uscire,  venir 
fuori. 

Sa  na.  Piem.  Bicchiere,  càlice. 

Sànàt.  Piem.  Vitello  da  latte. 

S  a  n e  r è.  Àfm.  Inca vare.-FVr.  fi cb a n* 
crcr. 

Sa  pél.  Piem.  e  Bre$.  Cai laja,  varco. 

Sara,  zara.  Piem.  Còllera,  stizza. 

Sa  mèi.  Piem.  Crivello.  -  Forte  dal 
L.  Cernere? 

Sarslòt.  Piem.  Beccafico,  ueeello. 

Saruzz.  Piem.  Ribrezzo,  brivido, 
ghiado.  -  ^.  ancìie  Sglii. 

Sarvàn.  Piem.  Incubo,  affanno.  - 
iHi/.  Sai  va  n.  -  Mil.  ru$.  Lénteg. 

Sa  ti.  Piem.  Addensare,  comprimere. 

Saviij,  savj.  Piem.  Ago,  pungi* 
gitone. 

Sbajè.  Piem.  Socchiùdere.  -  F.  nd 
t^'oc.  Loutb.  Bada. 

Sbardè.  Piem.  Spàrgere,  sparpi- 
gliare. 

S  barn  è.  Piem.  Spaventare,  sbara- 
gliare. 

Sbergiairè.  Piem.  Dar  la  fuga,  io- 
calzare.  -  y.  Clan  pai  rè. 

Sbergnicbè.  Piem.  Soppeslare, 
schiacciare.  -  Mil.  S  g  n  1  cà.  -  Parm. 
S  g  n  a  e  a  r. 

Slùa,  splùa.  Piem.  Scintilla,  la- 
vi Ila. 

Sboi.  Piem.  Spavento,  sbalordi- 
mento. 

S  bore.  Piem.  Sbruca  rc-^ficike  sd^l^ 
ciolarc,  scivolare.  -  F.  Scbiè. 

S^bra masse.  Piem.  Sgridare. 

Sbrinò.  Piem.  Spruzzo.  -  Sbrincè. 
Spruzzare. 

Sbris.  Piem.  e  Lomb.  Lógoro,  là- 
cero. 

Sbrolc.  Piem.  Sfrondare,  brucare. 

Sb ù  r d  i.  Piem.  Spaventare, atterrire. 

Scarabèo.  Piem.  Sgorbio. 

Scarpentà.  Piem.  Scarmigliato. 


DULETTI   rEDEMOKTANl. 

Scèrner.  ^aW.  -  S ce rr e.  .-/cr.  Sce- 
gliere. 


57» 


Schio,    sgbiè.     Piem.   Scivolare, 

sdrucciolare. 
Sciancar,  f^ald.  Scoppiare.  -  Piem. 

S  ò  i  a  n  e  h  è.  Stracciare,  squarciare. 
Sdiàss.   Piem.    Flllo,  compallo.  - 

Solasse.    Comprìmere,  serrare.  - 

j|fi7.  Silàss,  séiàsser.  -   Piac. 

Séiàssag.  Fidò,  compatto. 
Séiavandé.  Piem,  Boaro,  bifolco. 
So  io  n  fé.  Piem.  Scoppiare. 
Sélorgni.  Piem.  Assordale. 
Sco.  Mond,  -  Scoi.  'Biit.  e  Cairo.  - 

Scóa.  Ormea.  Pascolare,  pàscere. 

-  K.  Largar. 
Sconsubla.  Piem.  Comitiva,  bri- 
gata. -  Prw.^  Mani,  e   fieg.  Mol- 
titùdine. 

Scòp.  Piem.  Tronco,  ramo  reciso.  - 

Scope.  Scapezzare. 
Sc6r.  Piem.  Nàusea,  schifo.  -  Dicesi 

anche  Stri. 
Scossai.  Piem.  e  Lomb.  Grembiule. 

-  f^.  nel  Voc.  Lomb.  Scòss. 
Scravassa.  Piem.  Setola. 

8 eros.  Piem.  Sozzo,  sùcido.  -  K.  an- 
che Bla  une  t. 

Scrussì.  Ptem.  Scrosciare,  screpo- 
lare. -  Fesso ,  screpolato. 

Sé  ber.  Piem.  e  Lo^nb.  Bigoncia,  ma- 
stello. -  Sebré.  Bottajo. 

Seiràss,  sairàss.  -  lHe:m.  Ricotta. 
For$e  dalla  voce  siero? 

S  fra  sé.  Piem.  Abortire,  dispèrdere 
il  parto.  Dicesi  solo  degli  animali. 

Sfurniór.  Piem.  NIdace.  -  à fur- 
ti fòt.  Implume. 

Sgairé,sgheiré,  sghelràr.PiCTw. 
Sciupare,  dissipare.  -T:  anche  B  a  r- 
bàr.  Flambar,  Fric'udc».  Sgu- 
llardàr. 

Sgarbél.  Piem.  Squarcio.  -  Sgar- 
blà.  Squarciato. 

Sgaré.  Piem.  Sviare,  deviare.  Pr. 
Égarer. 


Sga  rogne.  Piem.  Scalfire. 

Sghiè.  Piem.  Scivolare.  -  Sghiós. 
Sdrucciolevole. 

Sgiài.  PiVm.  Brivido,  ribrezzo. -3ff/. 
Sca||^. 

Sgnachè,  sgnichè.  Piem.  SchiaC' 
ciare.  -  T.  S  b  e  rg  n  I  cb  è. 

S gogne.  Piem.  Contrafare,  far  le 
flche. 

Sgosa,  8g58ia.  Piem.  e  Can.Tanit. 
'  Loìnb.  Sgajósa.-ilfayi/.Sghiza. 
-  f.  Basorda, 'Ghélsi;  enei 
Voc.  Emil.  Sghe^sa. 

Sgul lardar.  Can.  Dissipare.  -  f '. 
Sgaire. 

Sgurc.  Pi>m. -Sgurà.  Lomb.  Astèr- 
gere, forbire,  -  Gael.  Sgur.  -  V. 
nel  Voc,  Emil.  S  g  u  r  à  r. 

Sgurma.  Set.  V.  Fame.  V.  Sgosa, 
Basorda,  Grangia,  Negli  a. 

Sìa.  Piem.  Secchia.  -  Fr.  STéau. 

Sim.  Piem.  Sego. 

Sire,  sirogné.  Piem.  Tòrcere,  pie- 
gare. 

Siri.  Piem.  Gallo  alpestre; 

Slvignòla.  P/ftn.  Manubrio,  mano- 
vello. 

Slipè.  Piem.  Sbiecare,  tagliare  obli- 
quamente. Di  qui  diconsi  hip  e  le 
scìieggie  dei  rami  tagliati. 

SI ó ira.  Piem.  Aratro.  Dicesi  anche 
Arn. 

Slòje.  Can.  Sfinito,  languente.  -  V. 
L5J  nel  Voc.  Lomb. 

Slussi,  si  il  ss  I  è.  P»cm.  Lampeggia- 
re. -  Fer.  Slusnàr.  -  K.  Lósna. 
Smisi.    Piem.  Stemperare,  dissòl- 
vere. 

Smone.  Piem.  Olfrire,  esibire.  -  Fr. 
Semoncer. 

Smorbi.  Piem.  e  Lomb.  Schifiltoso. 

Soà.  Piem.  Tranquillo,  quieto. 

Soàstr.  Piem.  Cànapo,  gómena. 
Sobòc.  Piem.  Rimbalzo. 
Soli.   Piem.  e  Mil.  Liscio.  -  ^oliè. 
Lisciare.  -  Em.  Sóli,  sollà. 


576 


PARTB  VBKU 


Sorobre.  Piem,  Oscuro,  tetro.  -  Fr. 
Sombre. 

Sonar.  Jlp,  Chiamare,  appellare. 

Sonde.  PJem.Tasteggiare.  -  Fr.  S  o  n- 
der. 

Sp a  r  m  è.  Piem.  Temere ,  pavjentare. 
•  S  par  ni.  Terrore,  spavento. 

Spiar,  f^ald.  Chièdere,  Interrogare. 
-  Piem., Spìe. 

S  più  fri.  Piem.  Uenolo,  floscio. 

Sqoajà.  Set.  V.  Ammanare. 

Sq  u  a  r  è.  Piem.  Sdrucciolare ,  scivo- 
lare. V.  Se  hi  è,  Sborè. 

Squieè.  Piem.  Franare,  scoscende- 
re. -  Sqaita.  Frana. 

S t é  b  i.  Piem.  Tramezzo,  assito.    - 
,   Stèle. /Yem.eKer.Scheggle,  scaglie. 

Stenebiè.  Pieim.  Disordinare,  scon- 
vòlgere. -  V.  Deslc4iebrè. 

Stermè,  streme.  Piem.  Nascónde- 
re, celare.  -  Strèm.  Nascondiglio, 
ripostiglio. 

Sterni.  Piem.  Lastricare,  mattonare, 
ciottolare.  -  L.  S  te  mere? 

Stravis.  Piem.  Strano,  prodigioso, 
incredìbile. 

Stri.  Piem.  Nàusea,  schifo.  -  V.  an- 
che Se  or. 

Slrojassèse.  Piem.  Sdrajarsi. 

Stròp.  Piem.  Stormo,  stuolo. 

Sul,  ass&l.  Piem.  Scure,  àscia. 

Sùsambrìn.  Piem.  Giùggiolo. 

Sùsnè,  sùsnì.  Piem.  Agognare, 
bramare  ardentemente. -AfiT  Sus- 
si. -  Boi.  Sunsir. 

Sust.  Piem.  Cura,  sollecitùdine. - 
Sùstós.  Sollécito,  attento. 

Sva che.  P/em.  Sparire,  dileguarsi. 

Svalùrì.  Piem.  Scolorire. 

Svàss.  Piem.  Sciupo,  scialaquo. 


Tabalòri,  tabalùc.  Piem.  e  Mii. 

Sabbione,  baggèo. 
Tabi  a.  Pitm.  Deschetto,  scanno. 


Tachignè.  Pt>m. Litigare, altercare. 

Taconè.  Gen.  Rattoppare. 

T  a  f  i  à  r.  Can.  Mangiare ,  pacchiare. 

Ta  f  US.  Piem.  Trabocchello,  trappoli. 
-  Anche  Carcere. 

Tajóla.  Piem.  Carrùcola,  girella. 

Tampè,  tanpè./Vem.  Gettare,  lan- 
ciare. 

Tanpa.  Piem.  Fossa,  sepoltura. 

Tapage.  Piem.  Fracasso,  tumulto.  - 
Ft.  Tapage. 

Ta  ragna.  Piem.  Filare  di  viti. 

Tarèf.  Piem.  Blalaticcio,  aciaccoso. 

Targa,  y.  S.  Patrimonio,  avere,  so- 
stanza. 

Tartùsa.  Piem.  Bagascia.  -K.  Ciò^ 
nia,  Garàude,  Garùlla,  Ca- 
ria, Ltìffia. 

T  a  vota.  Piem.  Sempre,  ognora. 

Téó.  Piem.  Grasso,  pingue.  -  TeL 
Diclc. 

T  e  n  p  1  è.PJem.Annojare,  Imporlunars. 

Tèpa.  Piem.  e  Liomh.  Zolla,  còtlft; 
onìehe  musco. 

Té  pò.  Piem.  Bica,  mucchio  di  paglia, 
e  ùmili. 

Terla.  Piem.  Óioja,  allegrezza. 

Tòi.  .Sel.KMajaIe.-K.Crin,  Ghén. 

Toirè.  Piem.  Mestare,  agitare. -Tòi* 
ro.  Miscuglio,  guazzabuglio. 

Toisón.  AnA.  Figlio.  -  Mii.  e  Prw. 
T.ós.  -  V.  Tota. 

Toma.  Piem.  Cacio  fresco. 

Top.  Piem.  Oscuro,  bujo. 

Tòpia.  Piem.  Pèrgola,  pergolato. 

Tota.  Piem. Giovinetta  dicondizioae 
civile.  -  Toto.  Giovinetto. 

Tra.  Piem.  Spago.  -  De  Irà.  Dare 
ascolto,  dar  retta. -Afi7.  Dà  a  tra. 

Tracassè.  Piem.  Inquietare,  mole- 
stare. -  Fr.  Tracasser. 

Tramane t.  Gtfa.  Fracasso ,  susurro. 

Tran  sì.  Pk'em.  e Lom6.  Assiderato, la- 
tlrizzìto.-.W/.Strasì.-PV.Transi. 

Travonde.  Piem.  Trangugiare, lo- 
ghiottire. 


DIALETTI 

Trfpa.  Picm.  Lottib.  e  f'cn.  Pancia, 

ventre. 
Trìssè.  Pian.  Ingannare,  truffare. 
Truna.  Piem.  Sotterraneo. 
Tuna.  Piem.  Beffa,  burla.  •  De  la 

luna.  Beffare,  schernire. 


V 


lljÓD.  Pinn,  Pùngolo,  stimolo, 
un  in.  Piem,  Usitato,  manomesso. 
Usèl.  Pitm.  Abbaìno. 


Vai.  Piem,  Rado^  dod  Alto. 

Va  ire.  Piem,  Molto,  guari.  •  Fr. 

Guère. 
Val  tè.  Piem.   Agguatare,    stare  in 

agguato. 
Va  losca.  Piem.  Loppa,  pula.  -  y, 

aftcA«Vorva.    . 
Vane.  Piem,  Vagliare,  veutllare. 
Vantar,  vani  è.  Gen.  Far  d'uopo, 

bisognare.  -  f^.  Antàr  e  Cialir. 
Varlopa,  verlopa.  Piem.  Pialla. 

-  FY.  Varlope. 


PEDEMONTANI.  577 

Vanda.  Piem.  Landa,  pianura  In- 
colla. 

Ve  ir,  vlr.  Piem.  Vanga.  -  Va  ire. 
Vangare. 

Versi  ór.  Piem.  Pévera,  Imbuto.  - 
^.  Avaslór,  Pèrla  e  Canta- 
bruna. 

Ve  so.  Piem,  Grillo,  uzzolo. 

Veligli  a.  Piem.  Bazzècola,  Inezia. 
-  Ve  li  gì  le.  Cavillare,  sofisllcare. 

VIàl.  Brozzo.  Volla,  fiat». 

Vièl.  Piem,  Appassito,  vizzo. 

Viola  (Far).  Set.  V.  Gozzovigliare, 
far  festa. 

V  i  r.  Piem,  Giro ,  cerchio.  Z>j  gtii  V  i- 
ra,  vire,  per  anello.  •  Vi  rè.  Gi- 
rare. 

Vischè.  Piem.  Accèndere. 

Vii.  Piem  Presto,  sùbUo.-fV.Vile. 

Vorva.  Piem,  Pula,  loppa. 


Zagajè.  Pieim.  Schiamazzare,  cin- 
guettare. -  Za gajà.  Tafferuglio, 
chiasso. 

Zara,  sarà.  Piem.  Slizza,  còllera. 


CAPO  IV. 

Cenni  istorici  nulla  letteratura  dei  dialetti  peiteiuontani. 

Quando  ci  facciamo  a  considerare  il  nùmero  e  l'importanza 
dei  componimenti  vernàcoli i,  che  dal  sècolo  XVI  io  poi,  in  quasi 
tutte  le  Provincie  d' Italia ,  vennero  successivamente  io  luce ,  per 
òpera  di  valenti  ingegni,  non  possiamo  imaginare,  come  tanti 
eruditi  che  imprèsero  a  raccògliere  ed  ordinare  gli  annali  delle 
lettere  itàliche^  quali  furono  il  Crescimbeni,  il  Quadrio,  il  (m* 
niani,  il  Ginguené,  il  Tiraboschi  ed  il  suo  continuatore  il  Lom* 
bardi  y  abbiano  potuto  accontentarsi  di  passare  in  rivista  le  tante 
òpere  immortali  lasciateci  in  retaggio  dai  nostri  maggiori  neUe 
eulte  lingue  del  Lazio  e  dell'Amo,  obliterando  affatto,  o  toc* 
cando  appena  di  volo,  qualche  Saggio  di  letteratura  vernàcola. 

Noi  abbiamo  già  visto ,  nella  ràpida  enumerazione  degli  scrit« 
tori  che  in  varii  tempi  illustrarono  i  dialetti  lombardi  ed  emi* 
liani,  come  fra  questi  emèrgano  uòmini  distinti  e  sommamente 
benemèriti  delle  lèttere  clàssiche,  quali  furono:  tra  i  Lombardi, 
Carlo  Maria  Maggi,  Domenico  Balestrieri,  Cari' Antonio  Tanzi, 
Girolamo  Cerio,  Giorgio  Giulini,  Pietro  Verri,  Giuseppe  Parini, 
Giuseppe  Bossi,  Tommaso  Grossi,  Francesco  Cherubini,  France- 
sco  De  Lemene,  Lorenzo  Mascheroni  e  Cesare  Arici;  tra  gli  Emi- 
liani, Giulio  Cesare  Croci,  Maddalena  e  Teresa  Manfredi,  Anni- 
bale Bartoluzzi^  Pietro  Zanetti,  Claudio-Ermanno  Ferrari,  Pietro 
Santoni,  Antonio  Morri,  Giovanni  Paradisi,  Girolamo  Baruffaldi, 
ed  altrelali,  nomi  tutti  assai  c^iri  alle  lèttere  ed  alle  muse  ita- 
liane; e  vcdrem  pure  come  fra  i  cultori  della  poesia  piemontese 
non  isdegnàssero  prender  posto  Silvio  Balbis,  Delfino  Muletti, 
Vittorio  Alfieri.  Edoardo  Calvo.  Michele  Ponza,  ed  una  schiera 


PARTE   TERZA    OlALCTTl   rEOEHONTANI.  570 

di  benemèriti  coltivatori  delle  lèttere  clàssiche.  Abbiamo  altresì 
dimostrato,  come,  se  la  màssima  parte  dei  componimenti  di  al- 
cuni dialetti  constano  di  canzoni  da  trivio  o  d'insipidi  almanac- 
chi, ve  n'ha  pure  un  nùmero  ragguardévole,  che  per  origina- 
lità ed  elevatezza  di  concelti,  per  squisitezza  di  gusto  ed  ele- 
ganza di  forme  possono  collocarsi  a  buon  dritto  fra  le  distinte 
produzioni  delle  letterature  moderne.  Che  anzi  egli  è  ormai  di- 
mostrato e  dalla  ragione  e  dai  fatti,  che  nessuna  lingua  eulta 
è  cosi  atta  a  ritrarre  al  vivo  il  pensiero,  i  costumi  e  la  vita  di 
un  pòpolo,  quanto  la  favella  volgare,  nella  quale  sola  ei  può 
trasfóndere  i  sentimenti  e  le  passioni  che  lo  informano  e  ne 
determinano  il  modo  di  esìstere. 

A  rèndere  escusata  ed  a  spiegare  in  buona  parte  questa  non 
curanza  generale  delle  letterature  vernàcole,  ci  si  afiEàcciano  al- 
cune fòrti  e  giuste  ragioni.  La  prima,  perchè  da  principio  i  dia- 
letti furono  introdotti  dagli  scrittori  nei  loro  componimenti,  per 
célia  <)  e  divennero  il  linguaggio  esclusivo  dei  buffoni  nella  Co- 
media'.,  e  degli  scrittori  da  4rivia  negli  Almanacchi.  La  seconda^ 
perchè  ogni  produzione  vernàcola,  comunque  pregévole,  è  pa- 
trimonio esclusivo  del  municipio  o  della  terra  nativa,  oltre  i 
confini  della  quale  non  le  è  dato. spiegare  le  penne,  giacché  non 
v'ha  dubbio,  che  fa  d'uopo  aver  succhiato  col  latte  la  robusta 
e  vibrata  favella  del  verzajo  milanese,  per  intèndere  appieno ^ 
sentire  e  gustare  le  inarrivàbili  bellezze  delle  ispirazioni  del 
Larghi,  del  Porta  e  del  Grossi;  come  è  mestieri  aver  temprata 
r ànima  sotto  l'influenza  del  profumato  cielo  di  Sicilia,  o  tra  le 
festévoli  e  plàcide  isolette  della  vèneta. laguna,  per  bearsi  nelle 
delizie  dei  canti  del  Meli,  o  per  assaporare  gli  arguti  sali  e  le 
dolci  melodie  del  Grilli,  del  Lamberti  e  del  Buratti.  La  terza, 
perché  i  profondi  studj  preliminari  e  il  vasto  corredo  di  sòlida 
erudizione  indispensàbili  a  chi  le  coltiva,  rèndono  in  fatti  le 
clàssiche  lèttere  a  buon  diritto  venerande  sopra  d'ogni  altra,  e  al 
loro  altare  attraggono  senza  eccezione  i  tributi  di  tutti  i  pòpoli; 
giacché  le  lèttere  clàssiche  non  solo  parlano  alle  intere  nazioni , 
mentre  ^le  vernàcole  ai  sìngoli  municipj  ;  ma  sono  ancora  le  sole 
intèrpreti  delle  scienze  e  delle  belle  arti. 

Se  queste  brevi  osservazioni  valgono  a  rèndere  ragione  del 


R80  PARTE  TERZA 

poco  onore  tributato  generalmente  alla  vasta  e  splèndida  lette- 
ratura dei  moltéplici  dialetti  italiani,  non  scemano  ponto  per 
questo  i  pregi  eminenti  della  medésima,  né  provano  meno  ùtile 
e  meno  importante  lo  studio  dei  dialetti,  per  poterne  gustare  le 
peregrine  ed  esclusive  bellezze;  giacché,  fa  par  d'uopo  il  dirlo: 
ogni  dialetto  principale  forma  quasi  una  lìngua  separata,  che 
lia  Vóci  e  modi  proprj ,  elementi  esclusivamente  locali ,  e  quindi 
ìndole  e  vita  distinta. 

Una  prova  ineluttàbile  di  quanto  siamo  venuti  sin  qui  espo- 
nendo ci  porge  appunto  la  letteratura  dei  dialetti  pedemontani, 
ricca  oltremodo  di  produzioni  originali  e  di  miràbili  compcud* 
menti  poètici,  sebbene  assai  poco  noti  oltre  i  patrìi  confini,  e 
solo  apprezzati  come  coiiviensi  dai  culti  nazionali. 

Prima  di  farci  a  tracciare  il  sommario  prospetto  della  medé- 
sima, gioverà  preméttere  alcune  osservazioni  generali  intorno 
alla  sua  estensione  ed  al  suo  caràttere  distintivo. 

Quanto  alla  estensione,  essa  appartiene  presso  che  esdusivt- 
mente  al  gruppo  piemontese  propriamente  detto,  o  meglio  ai- 
cera  al  solo  dialetto  della  Capitale,  mentre  tutti  gli  altri  di  ogni 
gruppo,  o  mancano  affatto  di  componimenti  stampati  o  scrìtti, 
o  ci  pòrgono  appena  qualche  poesìa  d'occasione,  senza  impor- 
tanza e  di  tenulssimo  pregio. 

Abbiamo  appuntato  questo  fatto,  come  quello  che  si  ripete  in 
ogni  famiglia,  ed  in  ogni  ramo  principale  di  dialetti,  ove  co- 
stantemente il  dialetto  centrale  che  rappresenta  il  tipo  comono 
è  il  solo  che  vanta  Tenore  d'una  propria  letteratura,  mentre 
gli  altri  furono  negletti.  Noi  abbiamo  visto  fra  i  dialetti  lom- 
bardi il  solo  milanese  possedere  una  vasta  ed  eletta  letteratura; 
giacché  se  nel  gruppo  dei  lombardi  orientali  anche  il  Berga- 
masco fu  celebrato  da  parecchi  scrittori,  ciò  deriva  dall'essere 
quel  grup|K)  distinto  dagli  orientali  per  modo,  da  poter  quasi 
costituire  un  quarto  ramo  separato  della  famiglia  gallo-itàlica, 
del  quale  appunto  il  Bergamasco  rappresenta  il  principal  tipo. 
Similmente  nel  ramo  emiliano  vidimo  accordato  esclusivamente 
al  Bolognese  l'onore  d*una  letteratura  propria;  e  lo  stesso  av- 
venne in  tutte  le  altre  famiglie  dei  dialetti  itàlici,  ovo  frai 
Liguri  il  solo  Genovese,  fra  i  Vèneti  il  Veneziano,  fra  i  Càmid 


DIALETn  PBOBMONTANI.  K8I 

r Udinése,  e  cosi  di  sèguito,  furono  illustrati  dar  una  speciale 
e  più  o  meno  Tasta  letteratura.      ' 

Né  questa  osservazione  è  vera  solo  per  le  vernàcole  lèttere;  mit 
altresì  per  le  clàssiche,  lo  sviìnppo  delle  quali  è  precipuamente 
dovuto  alla  prevalenza  d'un  dialètto  privilegiato,  al  quale  tutti 
gli  scrittori  vennero  mano  mano  uniformandosi.  Cosi  infatti  la 
clàssica  letteratura  italiana  si  venne  informando  sul  .dialetto,  to- 
scano, la  spagnuola  &a\  casigliano,  la  francese  sul  parigino,  la 
tedesca  s(tillo  svevo,  cbe  alla  lor  volta  prevalsero  su  tutti  gli 
altri  dialetti  della-  penisola  itàlica  e  dèli' iberica,  della  Gallia  e 
della  vasta  Atemagna-.       -  .       • 

Quanto  al  caràttere  distintivo,  la  letteratura  pedem'ontanaV 
del  pari'cbe  quelfa  degli  altri. due  rami,  è  affatto  priva  di  comi 
pomm'enti  tradizionali,  vale  a  dire  di  quei  canti  popolari,  che 
accennano  al  primo  sviluppo  dèli'  incivifiniento  nelle  ^popolazioni; 
ma^ln  quella  vece,  surta  %otto  gli  aiispicj  d'una  civiltà  "già  tna- 
Uiira^  e  quasi  novella  intèrprete  della  medésima^  essa  è  fntfa 
artificiale,  e  tentò  contribuire  al  suo  perf^onamento.  Perciò 
essa  eéttsla  generalmente  di  composizioni  originali  intese,  o  ^a 
celebraire  stòrici  avvenimenti  ;  t>  a  reprimere  1  pf e^udizj ,  i  so- 
pr'usi'ed  i  corrotti  costumi  dei  tempi  col  mezzo  della  .salini,- 
gènere  di  componimento  al  quale. cosi*  il  dialetto,  come  il  genio 
subalpino,  "sono  mirabilmente  appropriati.  Invano  si  cerchereb- 
bero nella  bibliografia  pedemontana  quelle  poesie  d'imitazione, 
che  abbondane  nelle  altre  letterature  vernàcole,  e  ideile  quali 
sprecarono  il  prt)pri'o  ingegno  e  tanti  anni  dt  lavoro  valenti 
eruditi,  qhali  sono:  la  Versione  della  Gerftsnlemme  Liberata^ 
dell'Eneide  e  slmili,  che  costarono  tante  inùtili  fatiche,  e  forse 
non  furono  mai  lette  per  intero  da  alcuno.  Se  si  eccettuino  al- 
cuni brani  dei  poeti  clàssici  italiani,  V^rte  poètica  del  Bòileaa 
ed  alcune  fàvole  del  La  Fontaine  rese  liberamente  pien^ontesi, 
la  letteratura  vernacola  subalpina  è  tutta  originale  e  diretta  per 
lo  più  a' promuòvere,  ora  coli' apòlogo,,  ora  colla  sàtira  {ed  <»' 
colla  fifvolà,  le  più  ùtili  histituzioni,  e  le  riforme  sociali. 

Ciò  non  pertanto  anche  questa,  come  le  precedenti,  incomin- 
ciò' colle  produzioni  facete  intese  a  trastullare  le  brigate,  giac- 
ché non*8ono  da  considerarsi  come  parte  della  letteratura  ver- 


iàì% 


582  PARTI  TERZA 

nàcola  i  più  antichi  Saggi  di  quei  -dialoUi ,  che .  nell'  infanzia 
della  lingua  àulica  generale  tennero  luogo  di  questa  ad  uso  cosi 
dvile^  come  religioso.  Tali  sono:  Gli  statali  sopra  Vo$piih 
della  Socielà  di  S.  GiorQio.del,  pòpolo*  di  ChieìHj  ed  il  Giura* 
mmto  che  dovèano  prestare  i  Rettori  di  quella  Società;  come 
pure  le  Laudi ^  e  le  Orazioni  dell'  antica  Casa  di  Disciplina  di 
Saluzzo.  i  primi,  che  ci  furono  serbati  solo  in  copia  mss.  nella 
Raccolta  dell'avvocato  Montalenti  di  Cbieri^e  che  furono  pù- 
blicatiper  Inderò  dal  chiarissimo  L.  Qbrario^  nel  II  VoIuiBe 
della  Storia  di  Chicrij  portano  la  data  del  25  luglio  i5Sf. 
Dal  medésimi  appare  manifesto,  come  a  quel  tempo,  dopo  la 
pnblicazione  dello  Statuto  neirincòndito  latino,  «i  suolessé  vol- 
garizzarla, per  intelligenza  comune,  trovandosi  in  più  luoghi  alla 
lipe  d'uno  Statuto  la  fòrmola:  Lettum  et  puèlicatum^  et  tn^ga- 
rizàtum  fuit.  Le  seconde  sèrbansi  in  ui^-Còdicf  di  Saluzzo,  scritto 
in;  sullo  scorcio  dei  sècolo  XIV,  ora  posseduto  dal  conte  Vittorio 
Bayneri  di  Lagnasco»  e  furore  publicate  nel  Voi.  IV  delle  Ut- 
morie  ^lòrico'iliplomàtklie  appartenenti  alla  Città  ed  ai  ifar- 
chesi  di.jSalusso^  raccolte  dall'a^^^ocato  Delfino  Muktti,  e  pti- 
blitate  con  addizioni  e  note  da  Carlo  Muletti  (Saluzzo,  iS^f). 
Questo  Còdice,  che  fu  un  vecchio  Uffizio  dei  Confratelli  deHa 
Gasa  di  disciplina  -in  Saluzzo,  oltre  ai  Sahni  ed  alle  consuete 
proci 'latine j  racchiude  trentadue  inni  o  canzoni  spirituali,  dettie 
Laudi j  nell'incòndita  lingua  italiana  di  quel  t^mpo,  mista  di 
voci  comodi  vernàcoli  piemontesi,  e  dieciotto  Orazigni  dette 
RefSomendaciones  a  nel  dialetto  locale  di  qi|el  tempo. 

Egli  è  quindi  manifesto,  che  tutti  guesti  monumenti,  anziché 
appartenere  alla  letteratura  vernàcola  pedemontana,  valgono 
piuttosto  a  tracciare  i  primi  sforzi  ed  i  primi  tentativi  fatti  dagli 
scrittori  onde  pulire  i  rispettivi  dialetti,  ed  a  pòrgerci  un  Sag- 
gio, comecché  imperfetto,  delle  forme  dei  Caletti  medésimi  a 
quel  tempo,  che,  come  agevolmente  si  scx)rge,  beo  poco  diffe- 
rivano dalle  odierne.  Sotto  questo  aspetto  appunta  considèràa- 
doli,  noi  li  oiTriremo  ai  nostri  lettori  nel  Capo  seguente,  insieme 
ad  una  Iscrizione  in  versi  martellianì  rimali,  che  si  legge  sopra 
un  muro  dirupato  della  chiesa  votiva  oretta  nell'anno  1403  dalla 
pietà  dei  Saluzzesi,  a  S.  Sebastiano,  in  occasione  d'una  pesti* 
lenza  desolatrice. 


DIAlfETTI  PBDBHONTArfl.  589 > 

Né  dèvesi  rìsguardare  altrimenti  una  Canzone  senza  metro 
Sterminato, 'scritta  in  3ul  principiò  del  sècolo  XV,  snlla.resa 
li  Pancalieri  alle  Brmi  di  Lodovico  principe  d'Acaja^  awenuU 
l'anno  IMO.  L'originale  si  conserva  manoscritto  negli  Archi^ 
Jella  Città 'di  Torino;  fu  publicsita  per  la  prima  volta  nei  II  Vo* 
lume  della  Storia  dei  prìncipi  di  Sa^ja  del  ramo  d*j4caja 
[Tjorino,  1852  ),  e  riprodotta  dal  Vallaurì  nella  Storia  della  Poe- 
IMI  Ì4i  .Piemonte j  componimento  rozzissimo,  affatto  privo  dì 
idee,' che  non  è  scrìtto  né  in  versi ^  né  in  prosa,  non  ih  lingua' 
italf^a^  né  vernàcola,^  ove.  (anno  rima  at^w  con  bombarde s 
ore  con  ottobre,  e  che  per  conseguenza  nuli' altro  attesta,  fuor-  ^ 
cbè  l'imperizia  e  te  dabbenàgine  deU' anònimo  autore. 

Il  principio  della  letteratura  vernàcola  pieìnontese  fu  propria» 
mente  segnato ^da  Gipvan  Giorgio  Aliene,^  nòbile  astigiano,  che 
in  sul  principio  del  sècolo  XVI  scrisse  e  .publij;^  le  sue  Opwa 
fociindaj  metro  macharronico,  materno  et  gallico  Qompositaj  4»  ' 
noi  ricordate  nella  Bibliografia  dei  dialetti  ^lombardi j  e  ddtte 
coi  varie  .edizioni  porgeremo  in  quella  dei  pedemontani  piùcirr 
coslanziate  notizie.  In  questo  libro,  oltre  ad  upa  poesia  msiccà-- 
rùnica^  che  precedette  dì  molti  anni  la  tanto  celebrata  del  Fo«: 
lengo,  sopranominato  Merlin  Cocajo^  ed  oltrQ  a  parecchie  poesie 
francesi  intese  a  celebrare  la  gloria  delle  armi  francesi  ija^Jtalia^ 
a' suoi  tempi,  ^tto  il  regime  cioè  di  Carlo  Viti  e.  di  Luigi  XII, 
tròvansi  racchiuse  una  Comedla,  otto  Farse,  una  Sentenza.,  una' 
Frottola^  una  Canzone  ed  un  ^ff^it^dicì/ie^  in  dialetto  astigiano.* 
Dalla  natura  di  questi  componimenti  è  agévole  scòrgere^  .come 
fossero  destinati  ad  intrattenere  lepidamente  le  brigate, ^1  qnale 
scopo  appunta  4' Aliene  si  valse  a  preferenza,  del  patrio  dialetto. 
Questo  fine^  è  chiaramente  manifesto  dagli  argomenti  delle  farse 
medésime,  non  che  dal  Ss^gio  che  ne  porgereipo  nel  Capo  ser 
gaeiUe,  ed  è  attestato,  da  Agostino  Chiesa  nel  Catàlogo  di  IjtéUi 
li  Mmitori  piemontesi  (  Torino  ,1614),  ove  jdice  :  :  Giorgio  jÌ liane 
d^jteii  Bcrisse  wi*  opera  m'olio  diletlei^(e  in  ver^j  parte  della 
Mac€ùroiH€a^  parte  d*  altri  di^rsi  capricci  in  lingua  astegianaj 
dove  vi' sono  molto  ridepqli  farse  et  altre  h  fatfe  cose  da  recj- 
tarei  sopra  i  balli  nel  tempo,  del  carno^ale^  ec.  Qò  non- pertanto^ 
cosi  nella  Comedia,  come  nelle  Fajrse,  sebbene  assai  slegato 


ìiSh  PARTK  TERZA 

r  intreccio,  è  spontaneo  e  naturale  il  diàlogo  sparso  qua  e  la  di 
arjguti  ^àli  e  di  circoslanziati  racconti,  alti  a  somiDinistrarci  im- 
portanti noGzie  sui  costumi  italiani  e  francesi  di  que*^ tempi. 

Per  mala  ventura  la  pittura  troppo  fedele  e  mordace  di  co* 
stumi  assai  depravati  nelle  classi  più  distinte  della  società  costò 
all'Aliene  una  lunga  e  dura  prigionia,  dalla  quale  non  potè  ri- 
scattarsi, se  non  colla  solenne  ritrattazione  de-'  suoi  scritti,  che 
furono  arsi  è  distrutti  dal  Santo  Ufficio.  Ond'  è  clìe  della  prima 
edizione  di  quelli  sèrbansl  appena  in  Europa  due  o  tre  esem- 
plari conosciuti,  essendo  le  edizioni  posteriori  non  solo  mutilate 
di  moHi  componimenti,  ma  castigale  in  quelli  che  vi  son  ri- 
prodotti, ove  anche  la  lingua  fu  ritoccata  e  resa  più  conforme 
alla  parlata  del  sècolo  «successivo.' 

Di  qiil  %ì  vede,  còme  anche  la  letteratura  pieiboQtese,  dei 

> 

pari  che  fa  lombarda  e  T emiliana,  traesse  i  suoi  primordj  dal- 
,  l'ilarità. di  alcuni  scrittori,  che  mentre  si  valsero  degli  idiomi 
culti  negli  argoiùenti  gravi  e  severi,  assegnarono  i  dialetti  ai 
faceti  ed  ai  loro-bizarri  caprìcci.  E  di  fatti,,  oltre  alle  rìdk^4>l6  farse 
dell' Aliene,' intomo  alla  metà  del  sècolo  XVI,  troviamo  ma  Vil- 
lano innamorato  y  che  parla  il  dialetto  pfemontese  in  una  Cotnedia 
pastorale  in  ottava  rima  di  Bartolomraeo  Braida  da  Sommariva, 
dedicata  a.hiadama  Francesca  de  Foys  contessa  di  Tenda  e  di 
Sommariva.  Giusta  l'opinione  del  Quadrio,  il  Braida  era  lo  stesso 
^rtolommeo  Abrato,  -grande  amico  del  Marini;  il  Vallauri,  che 
fra  |(K  altri  componimenti  del  Braida  fa  menzione. di  questo 
dramma  in  cinque  atti,  ebbe  a  dire,  che,  sebbene  vizióso  in 
quanto  all' orditura  j  neti  nianea  di  un  cerio  pregio  per  la  verità 
del  caràttere,  pel  diàlogo  fàcile  e  ììaturale,  e  per  lo  stile  quasi 
sempre  elegante  e  poètico  j  e  ne  adduce  in  -Saggio  una  starna. 
Noi  non  possiamo  partecipare  deir  indulgente  giudizio  di  quello 
scrittore,  ed  in  Saggio  della  dappocàgine  di  quel  componimento 
'  prodorremo  a  suo  luogo  un  brano  del  melenso  diàlogo  del  Villano, 
che  varrà  insieme  a  pòrgere  un'idea  del  dialetto  a  quei  tempi. 
Altro  Villano  che  parla  11  dialetto  piemontese  fu  inserito  fra 
gli  interlocutori  di  altra  Comedia  pastorale,  intitolata  Margarita, 
di  Marc' Antonio  Gorena  da  Savigliano,  che  si  conserva  mano- 
scritta fra  i  còdici  della  Biblioteca  dell'Università  di  Torino. 


DIALETTI   PEDMONTAM.  B81$ 

Qncsto  HlramrKia  moitollato  suW /^fmintn  del  Tassai  sul  Pattar 
Fido  del  Guarini,  rappre$9ntato  pochi  anni -prima  in  Torjno  di- 
nanzi atia  R.  Corte  di  Savoja  ^  è  un  impasto  mal  connesso  di  cast 
amorosi,  appropriato  al  gusto  dei  tempi;  ed  il  f^illano  col  suo 
dialetto  fu  introdotto  insieme  al  Pedante  che  sfoggia  ricercate 
frasi  e  sentenze  italiane  e  latine  per  rendere  gioviale. la  rap- 
presentazione. Questo  Villano,  col  nome  Toni,  fu  in  sòlito 
l'intèrprete  degli  seri  Aeri  vernàcoli  piemontesi,  niiishne  nelle 
pocsÌB  d'occasione,  cosi  appunto  come  Baltram  da  la  Cippa',  ed 
il  Bosin  lo  furono  dei  poeti  milanesi;  ond'è,  che  ancora  oggidì 
chiàmaqsi  in  Piemonte  Toni  le  Canzoni  popolari  cantate  dai 
cerretani  sulle  piazze,  che  corrispóndono  Me^Bosimule  milanesi. 

Nel  vòlgere  del  sècolo  XVII,  e  pel  corso  di  quasi  tutto  il  XVIII 
non  s'ebbe  il  dialetto  piemontese  più  nòbile  o  miglior  destina- 
zione, mentre  tutto  questo  lungo  periodo,  ci  tramandò  ^appena 
alcune  frivole  Canzoni  affatto  prive  di  mèrito,  fra  le  quali,  solo 
per  l'importanza  stòrica  degli  argomenti,  possiamo  mentovare 
Yjirpa  discordata,  ove  è  descritto  l'assedio  della  città  di  Torino 
sostenuto  dalle  truppe  francesi  comandate  dal  Duca  della  Fogliada 
negli  anni  1705  e  Ì706;  ed  una  Cantone  suU' assedia  della  for- 
tezza d'Alessandria  combattuta  dalle  truppe  collegÀte  di  Spagna,. 
Francia,  Napoli  e  Genova  negli  anni  1741^  e  1740*.  Ambedue 
questi  componimenti  anònimi  della  prima  metà  del  sècolo  XVIII, 
sono  òpera.del  sacerdote  Francesco  Antonio  Tarizzo,  autore- d'al- 
tra descrizione  in  prosa  italiana  dell'assedio  di  Torino  (Torino, 
1707,  presso  Zappala,  in  8.'').  Constano  di  versi  ottonarj  rimali 
a  due  a  due,  e  neW.'/rpa  di^conìaia  interpolati  irregolarmente  da 
alcuni  endecasìllabi.  L'assoluta  loro  dappocàgljie  non  è  solojcon- 
tcasegnata  dalla  mancanza  cl'idce  e  di  pensieri  originali,  ma 
aHresl  dalla  rozzezza  delle  forme  e  delle  espressioni,  e  persino 
dalla  misura  sbagliata  dei  versi,  che  in-  gran  parte  abbiam  ten- 
tato raddrizzare ,  lasciandone  per  altro  buon  nùmero  senza  mi- 
sura  e  senz'accento,  per  non  alterare  le  forme  del  dialetto,^ 
come  può  scòrgersi  nei  Saggi  da  noi  prodotti  nel  Capo  seguente. 

Il  dialetto  piemontese  servi  ancora  dì  lèpido  intermezzo,  par- 
lato da  alcuni  interlocutori  in  vari  componimenti  drammàtici  per 
mùsica,  dati  in  luce  nel  1777  in  Torino ,  da  anònimo  autore. 


680  PARTI'  TEHIA 

Tali  sono:  Il  Notajo  onorato',  VAdelaria,  ed  Adelaide  regina 
d'Italia  e  poi  imperatrice.  Sul  pregio  letteràrio  dei  quali  gio¥eii 
«tèndere  no  beAèfico  velo.  Interlocutori  piemontesi  hanno  parte 
principale  nella  Gomedia  del  marchese  d'Entraques  intitolata:  // 
CpntéPiolettoj  e  tutta  in  dialetto  piemontese  fu  scrìtta  la  graziosa 
comedia  Siir  Pomponio  d'anònimo  autore,  publicata  nei  4800. 

Gli  altri  componimenti  vernàcoli  di  questo  stèrile  periodo,  o 
sono  canionette  volanti  d'ocx^sione,  o  scherzi  Urici  in  morte 
d'uba  gatta,  che  formano  parte  di  due  Collezioni  di  poesie  ila- 
liane  sullo  stesso  argomento,  publìcaie  nelDa  seconda  metà  del 
medésimo  sècolo,  col  tìtolo  di:  Miccvide,  e  Nuora  Jlficcèide; 
ed  altretali  aberrazioni  dell' umano  ingegno,  che  caratCertzzaiio 
I  gusto  depravato  del  tempo. 

Il  primo  che,  versato  nelle  buone  lèttere  clàssiche,  sollevò 
il  patrio 'dialetto  a  dignità  di  forme,  e  ne  mostrò  in  alcune  poe- 
sie fuj^gilive  tutta  la  forza  e  le  grazio  sue  proprie,  si  fu-  l'abate 
Silvio  Balbis  di  Caragllo,  che  fiori  in  Saluzzo  in  sullo  scorcio 
del  sècolo  gassato.  Forbito  ed  elegante  scrittore  italiano- e  ver- 
sieggiatore  distinto,  il  Balbis  non  isdegnò  talvolta  valersi  del 
patrio  dialetto  nelle  sue  poètiche  inspirazioni,  e  lasciò  alcani 
.Sotielti,  che  per  eleganza  di  forme,  proprietà  d'espressioni  e 
spontaneità  del  verso  sono  sempre  ammirati. da' suoi  coneittadiai. 
I  primi  Saggi  furono  dall'  autore  stesso  publicati  in  un  Vòlnme 
di  poesie  vari(^nel  1782*  Essendo  questo  diviso  in  tre  parti^  che 
raccoglievano  le  poesie  sacre,  le  profane  e  le  bemcsohe,  egli 
precorse  la  pùblica  censura  col  seguente  Sonetto,  che  ci  prova 
Mi  facilità  della  sua  vena: 

r 
*•      ■  •  é 

A  fan  nén  tanti  lunes  i  cane; 

Tiro  nén  tanti  punti  i  Ciavalin; 
.  Giuro  nén  tante  volte  i  viliirin; 

S^  conta  nén  tante  nove  dai  prùcBc; 
S'vòd  nén  tante  manissc'al  méis  d'gené; 

A  otóber  a  s'vod  nén  tanti  ca|>(in; 

rè  nén  tanti  po|trón  tra  i  spadassìn; 

J*  è  nén  tante  prsone  s^sa  dné; 
I  music  a  fan  nén  tante  grimassc;  - 

Sculo  nén  tante  bute  i  sonadòr;  * 

Sui  cafè  j'è  nén  tanti  marca-casse; 
Quante  rai>ón  pr  drit  e  pr  travcrs 

A  s'faràn  da  pr  lui,  me  car  Dolor, 

Sili  tom  prini  e  sccónd.  e  dcò  sul  ters. 


DIALETTI  peduiokitam.  KB7 

La  maggior  parte  peraltro  delle  poesìe  piemontesi  del  Balbis 
furono  publicate  l'anno  successivo  nella  lUiccolta  del  Pipino, 
ove  sono  in  nùmero  di  sédici.  < 

Contemporaneo  e  rivale  del  Balbis  fu  il  P.  Ignazio  laler,  del- 
l'Ordine dei  Trinitarj  della  Crocetta  presso' Torino,  il  quale 
nell'anno  1799  vi  publicò  una  serie,  di  canzoni  vernàcole  in 
buona  parte  eròtiche,  nelle  quaK  con  lèpido  ingegno  pose  in 
bella  mostra  gli  arguti  sali  e  le  svariate  forme  del  patrio  dia- 
letto; e  versato  com'era  nella  teòrica  del  Co'nlrapunto,  apprestò 
ancora  le  melodie  musicali  adattandole  al  rispettivo  metro  delfo 
canzoni  medésime,  le  qnali  melodìe  si  conservano  manoscritte 
nella  doviziosa  biblioteca  del  cav.  Promìs  a  Torino.  Sebbene  la 
voluttà  licenziosa  di  alcuni  fra  questi  componimenti  male  s'ad- 
dica a  penna  religiosa,  ciò  nullameno  le  grazie  poètiche  oqde 
sono  qua  e  là  segnalati,  li  rèsero  ben  presto  popolari  in  patria, 
oTe  se  ne  spacciarono  in  breve  perìodo  ben  sei  edizioni  suc- 
cessive. 

Se  il  Balbis  e  Tlsler  ebbero  per  tal  modo  il  vanto  d'illustrare 
pei  priYni  il  patrio  dialetto  con  poètiche  produzioni  degne  di 
plauso  per  originalità  di  conqetti,  proprietà  d'imàginl  e  spon- 
taneità di  versi,  uqu  si  serbarono  meno  lungi  da  queHa  soda  e 
maschia  poesia,  che  investigando  le  segrete  molle  del  cuore 
umano,  lo  commuove  e  lo  spinge  a  generose  impresse,  o  inda- 
gando le  cause  e  misurando  la  profondità  delle  piaghe  sociali, 
si  erige  in  campione  del  salutare  incivilimento.  Tale  infatti  è  la 
precipua  ed  esclusiva  missione  delle  letterature  vernàcole,  le  sole 
cui  sia  dato  favellare  alle  masse,  e  penetrare  nelle  loro  viscere; 
laddove  i  componimenti  dei  sullodati  poeti,  per  la  leggerezza 
degli  argomenti  sui  quali  s'adirano,  e  per  la  piacévole  ilarità 
onde  sono  svolti,  appartengono  a  quella  classe  numerosa  di  pro- 
duzioni, che  ricreano  lo  spìrito  e  i  sensi,  ed  intorpidiscono  il 
cuore.  Noi  non  sapremmo  abastanza  commendare,  pei  lèpidi  sali, 
per  lo  grazie  poètiche ,  per  la  scorrevolezza  del  verso  e  per  la 
condotta,  il  celebrato  ISonetto  del  Balbis,  che  incomincia:  /  fjfiart 
a  l'ero  li  chièt  eli* a  ronfiwo ,  e  che  produrremo  per  intiero  nei 
seguenti  Saggi;  ma  quando  ci  facciamo  a  considerare,  che  il 
poeta  trasse  argomento  da  un'orrenda  sventura,  quale  si  è  un 


tf88  «UTC  TERZA 

.incendio  campestre,  per  ischerzare  pocUnde  sulla  morte  dei 
sorci,  bruciati  vivi,  non  possiamo  perdonargli  né  la  leggereoa 
del  pensiero,  né  la  ferocia  del  sorriso.- 

La  gloria  di  sollevare  la  poesìa  piemontese  air  altezza  delle 
più  <;uUe  vernàcole  era  serbala  al  mèdico  Edoardo  Calvo  in  sullo 
qMmtare  del  sècolo  presente.  Dotato  dalla,  natura  di  mente  nò- 
bile ed  elevata,  di  magnànimo  cuore  e  di  genio  eminentemente 
poètico,  educato  alla  scuola  dei  clàssici  greci  e  latini  e  temprato 
alle  rìgide  prove  della  sventura,  moalre  da  un.  lato  sollevava 
eolle  sue  cure  Y  umanità  languente  nel  maggiore  spedale  di  To- 
rino;)  dall'altro  rivolse  tutti  i  suoi  studj  a  rimpiàngere  e  rimuò- 
vere le  pùbiiche  sciagure  che  a  quel  tempo  opprimevano  la  sua 
patria.  Posto  fra  due  sècoli  »  l'uti  contro  l*  altro  armato  ^  te- 
stimonio dei  pregiudiq*,  dei  delirj  e  dei  sopr'us^  che  •laceravano 
ìl^.vicenda  il  suo  paese,  durante  la  Rcpùbìica  Cisalpina,  ei  ù 
lllfnci^.igeneroso  neir  agone  tentando  col  prestigio  della  sua  Musa 
di  sradicare  i  primi  e  fulminare  i  secondi.  Accorto  schermitore, 
egli  si  valse  della  potente  arme  deli' apòlogo ,  e  in  una  serie  dì 
Fàvole  mirabilmente  esposte  in  tecza  rima  rappresentò  cosi  al 
vivo  i  costumi,  gli  errori  ed  i  delitti  del  suo  tempo,  che  salu- 
tato sin  d'allora  V Esopo  subalpino j  rimase  .poi  sempre  modello 
inarrivàbile  della  vernàcola  poesìa  piemonlese.  Siccome  il  Calvo 
amava  il  proprio  paese  e  professa  \;a  principj  liberali,  così,  fedele 
seguace  dell' Alfieri,  detestava  il  governo  francese  ed  i  suoi  rap- 
presentanti; e  quindi  le  sue  fàvole  e  le  sue  allegorìe  avéano 
sempre  un  colore  politico,  e  teudéano  per  lo  più  a  méttere -ia 
luce  l'albagìa  e  le  prepotenze  dei  pnìTenus.j  e  la  spietata  dila- 
pidazione che  si  faceva  del  pùblico  erario.  A  quest'ultimo  fine 
era  appunto  diretto  altro  componimento  grazioso  dello  stesso 
Autore,  ancora  inedito  e  che  porgeremo  ai  nostri  lettori  nei  se-- 
guenti  Sag^i,  intitolato:  /ivtabàn  baslonù.  Durante  la  Kepùbiica, 

*  reggéano  la  pùblica  cosa  nel  1797,  come  triumviri,  Carlo  Bossi 
di  Torino,  Carlo  Bolla  di  S.  Giorgio  Canavcse,  e  Carlo  Giulio  di 
Vercelli,  che  il  pòpolo  collettivameiite  ap|)ellavaM'  tre  Cario. 
Essendo  stata  un  giorno  il  Rossi  bastonato  da  un  anònimo  sotto 
i  pòrtici  di  Po,  il  Caho  ne  trasse  argomeplo  per  la.poesia  sum- 
uientovata. 


DIALEfTt  PE0BM011TANI.  B89 

Non  meno  miràbile^  come  poòtìcp  componimento,  sì  è  per 
la  robustezza  dei  concetti,  per  la  vivacità  delle  imàgini  e  per 
la  fàcile  scorrevolezza  del  verso,  il  poema  in  tre  Canti,  che  il 
Calvo  publicò  col  titolo  di  Follìe  religiose  j  ma  per  mala  ven- 
tura  lo  spìrito  irreligìosfo  clie  lo  ha  dettato  e  l'aperta  opposi- 
zione 2(Ua  santità  del  Vangalo,  mentre. dall' un  lato  annichilarono 
un  lavoro  che<«arebbe  stalo  pregevolissimo,  dall'altro  scatena- 
rono contro  l'Autore  una  Varila  d'irreconciliàbili  nemici,  che  gli 
amareggiarono  l'esistenza.  Perciò  il  Calvo  moriva  in  sul  fior 
dell'età  nel  1804,  né  una  sola  biografia  venne  an(K)ra  descritta 
del  più  grande,  del  sommo  fra  i  poeti  subalpini.  Checché  ne 
si^,  se  la  Patria  non  gli  eresse  peranco  monumento  condegno, 
il  nome  del  Calvo  vive  imperituro  nella  mente  e  nell'ammira- 
aione  de' suoi  connazionali,  che  a  gara  insegnano  ai  figli  a  re; 
citarne  le  Fàvole ^  e  persino  il  colono,  dall'alpe  e  dall' apennioa» 
sino  al  Sesia  ed  al  Po,  va  cantando  giulivo  la  sua  Ode  stilta 
vita  di  campagna.  .      *        . 

Contemporaneo  e  rivale  del  Calvo  si  fa  l'abate  Carlo  Gasalis, 
\alente  verseggiatore  e  cultore  distinto  del  patrio  dialetto «»  che 
illustrò'  con  .una  serie  di  pregévoli  componimenti.  Oltre  ad.  una 
Comc,dia  in  tre  Adi  meritamente  applaudita,  così  per  l'ingegnoso 
intreccio,  come  per  la  spontaneità  e  naturalezza  del  diàlogo,  il 
Casalis  arricchì  la  patria  letteratura  vernàcola  con  uns^  serie  di 
stupendi  sonetti  e  poesìe  in  vario  metro  sopra  argomenti  sacri 
e  morali,  e  con  un  scelto  nùmero  di  fàvole  morali  in  versi, 
nelle  quali  per  lo  più  prese  ad  ìmìlaro  e.parafhisare  gli  squi- 
siti lavDri  del  La  Fontaine.  Sebbene  collocalo  a.  buon  dritto  fra 
i  migliori  poeti  subalpini,  il  Casalis  non  raggiunse  peraltro  né 
la  forza,  né  la  spontaneità,  né  il  gusto  del  Calvo,. il  quale  forse 
non  sarà  per  lunga  pezza  a  nessuno  secondo. 

Sollevata  per  tal  modo  all'altezza  di  molte  letterature  mo- 
derne, la  subalpina  vantò  ben  presto  una  schiera  di  eletti  cul- 
tori, che  la  illustrarono  con  ogni  genere  di  componimenti.  Il 
conte  Joannìni  Ceva  tentò  con  ingegnoso .  ardimento  di  traspor- 
tare in  versi  pìenioiilesì  alcuni  brai^i  scelti  del  Dante,  del  Tasso ^ 
del  Petrarca,  del  Metastasio,  e  persino  Y  Oreste  dell' Alfieri; 
l'avvocato  Regis  applicò,  per  la  prima  volta  e  con  felice  riu- 


K90  PARTE  TERZA 

scita,  il  palrio  dialetto  air  epigramma  9a0ri(*o;  la  lirica  fu  col- 
tivata con  gusto  dal  c^valicr  Borelli,  dal  MoreUa,  dal  Pansoya, 
dal  Bùssolino  e  dal  Peyron.  Quest' ùltimo  tradusse  ancora  in 
Tersi  eròici  Vj4rte  poètica  di  Boileao.  E  sopra  tutto  venne  trat- 
tata'mirabilmente  la  Sàtira  dal  genio  veramente  poètico  di  Nor- 
berto Rosa  e  dall'arguto  e  versàtile  ingegno  di  Angelo  Brofferìo, 
gli  squisiti  componimenti  dei  quali  formane  le  delizie  del  pòpolo 
subalpino.  Alcuni  Saggi,  in  parte  inèditi,  dei  medésimi,  che  in- 
seriremo nel  Capo  seguente,  varranno  meglio  d'ogni  elogio  a 
pòrgere  idea  adequata  dei  distinti  loro  pregi. 

In  tanta  gara  di  scrittori,  a  salvare  dall'oblio  il  crescente 
nùmero  di  poesie  d'occasione  e  di  naziopali  componimenti,  non 
cbe  ad  aprire  un  agone  di  comune  convegno,  fu  institnìto  sin 
dall'anno  1831  un  nuovo  Almanacco,  il  quale  col  titolo  di  Pamài 
piemontèis  venne  destinato  a  raccògliere  tutte  le  produzioni  poè- 
tiche piemontesi  èdite  ed  inèdite  d'ogni  autore;  e  quivi  infatti 
nel  vòlgere  degli  anni  successivi  comparvero  alla  Ineef'  nuovi 
graziosi  cbmponimenti  di  vario  gènere  di  nuovi  poeti  nazionali 
Troppo  lungo  sarebbe  il  voler  ennméfare  le  molte  prododom 
in  4anti  volumi  racchiuse,  ben  meritévoli  di  circostanziati  com 
menti.  Restringendoci  quindi  ai  puri  cenni  che  ci  siamo  propo 
sii,  avvertiremo  solo,  come  oltre  alla  ristampa  di  molti  compo 
nimentì  èditi  df  vari  autori,  il  Parnaso  piemontese  contenga 
ancora  molti  graziosi  capricci  del  Pansoya,  una  serie  di  poesie, 
ballate  ed  una  traduzione  delle  Furberie  di  Bertoldo y  di  Cario 
Silva;  alquante  fàvole,  sonetti  e  poesie  di  Casalis  e  di  Norberto 
Rosa,  col  poema  Don  Chisciotte  di  quest'ultimo;  molti  compo- 
nimenti in  vario  metro  di  Onorato  Pellico,  del  Prof. -Robiola, 
d'Ignazio  Santi,  Luigi  Bonis,  G.  Jano,  Taja  Cròni,  G.  Rigola, 
Raimondo  Ferraudi,  De  Gregori  "ed  avvocato  Pater!;  un  Diti- 
rambo del  teòlogo  Merlo;  la  versione  piemontese  dei  primi  tre 
Ganti  del  Dante,  e  varie  poesìe  del  pseudònimo  Aldo  Marzio 
Tuarda;  la  versione  di  sédici  Odi  di  Orazio  con  varie  poesìe  di 
Maurizio  Tarditi;  ed  un  nùmero  considerevole  di  cx>mponimenti 
più  0  meno  pregevoli  di  anònimi  àutorì. 

Gloriosa  di  sì  ricco  e  nòbile  patrimonio  la  letteratura  subal- 
pina, superiore  a  molte  delle  vernàcole,  non  cede  il  primato 


DIALETTI   PEDSMOMTANI.  ttO  1 

se  non  alla  siciliana,  alla  napolitana,  ed  alla  veneziana  per  il 
prestìgio  delle  grazie  e  dei  nùmeri,  ed  alla  milanese  per  la 
copia  delle  produzioni. 

Un  dialetto  di  tanta  importaìiza,  cosi  per  l'intrìnseca  sua 
natura,  (*ome  per  l'estensione  delle  regioni  ov'è  parlato,  e  per 
la  vastità  della  letteratura  che  possiede,  non  poteva  restare 
lungamente  negletto  per  quanto  concerne  gli  elementi  fonda- 
mentali onde  consta ,  vale  a  dire  nel  lèssico  e  nelle  forme.  In 
fatti,  se  dobbiam  crédere  alla  testimonianza  del  mèdico  Pipino, 
sin  dall'anno  187^^  Michele  Vopisco  publicava  a  Mondovl  un 
piccolo  f^ocabolario  piemontese- latino j  che  lo  stesso  Pipino  as- 
serì d'aver  veduto  nella  libreria  del  Barone  Giuseppe  Vernazza. 
A  dire  il  vero,  non  sappiamo  che  altri  Io  vedesse,  oltre  il  Pi- 
pino, mentre  il  solo  Vocabolario  supèrstite  del  Vopiscó  fu  stam- 
pato nel  4K64  col  titolo  di  Promptuarinm,  ed  è  piuttosto  ita- 
liano-latino, che  piemontese,  mentre  anche  le  voci  piemontesi 
The  vi  si  trovano  hanno  desinenza  italiana,  come:  a  [roso,  aU' 
chwaj'amolàp\  per  nfrósj  anciùaj  amale j  e  slmili.  Il  Pipino 
soggiunge,  che  l'Autore,  nella  prefazione  a  quel  Vocabolario, 
avvertiva,  come  molti  autori  avessero  bensì  raffrontate  le  parole 
italiane  alle  latine,  ma  nessuno  fino  allora  avesse  ihiaginato  di 
ferlo  colle  piemontesi  ;  ciò  che  darebbe  a  crédere ,  che  realmente 
quel  Vocabolario  avesse  esistito.  Checché  ne  sia,  anche  il  citato 
Promptnariìtm  può  in  qualche  modp  risguardarsi  come  piemon- 
tese-latino ^  nella  stessa  guisa,  che  abbiadio  citato  come  latino- 
berganuisco  quello  del  Gasperini. 

Il  primo  lavoro  di  tal  fatta ,  che  veran^ente  può  dirsi  piemoU' 
iese^  fu  intrapreso  e  publicàto  nel  1785  dal  mèdico  Maurizio 
Pipino,  il  quale  si  accinse  ad  illustrare  conipiuiaracnte  il  patrio 
dialetto,  instituendo  un  regolare  sistema  ortogràfico  che  lo  rap- 
presentasse in  iscritto,  fermandone  le  leggi  grammaticali  che 
ne  règgono  le  forme,  e  compilando  una  raccolta  di  voci  alle 
quali  pose  in  riscontro  lo  corrispondenti  italiane,  latine  e  fran- 
cesi. Se  consideriamo  la  vastità  dell' impresa,  senza  verun  soc- 
corso di  studi  preliminari  e  senza>  materiali  precedenti,  non 
possiamo  abbastanza  commendare  il  magnànimo  ardimento  del- 
l'Autore,  che  volle  inoltre  corredare  il  suo  penoso  lavoro  di 


893  PARTI  TBRZA 

alcuni  cenni  stòrici  sulle  vicènde  del  dialeUp  medesimo  docu- 
mentati con  antichi  Saggi  ^  con  vari  componimcnU>  in  prosa  da 
lui  medésimo  a  tal  fine  apprestati ,  e  con  una  Raccolta  di  poesie 
scelte  da  diversi  autori,  che  racchiuse  in  un  terzo  Volarne.  Ma 
come  avviene  sempre  a  chi  si  accinge  pel  primo  a  lavori  di  tal 
fatta,  che  richièggono  non  solo  molli  e  molli  anni  di  stud^,  ma^ 
altresì  la  collaborazione  di  parecchi  dotti,  il  Vocabolario  del 
Pipino  non  fu  se  non  un  primo  Saggio  proposto  ai  futuri,  che 
aspettava  ehi  lo  ampliasse  e  rettificasse. 

Il  bisogno  d' un  libro  che  col  riscontro  delle  voci  vernàcole 
agevolasse  ai  suoi  concittadini  lo  studio  della  lingua  italiana,  era 
stato  frattanto  sentito  ad  un  tempo  dal  sommo  Alfieri ,  il  quale 
pure  si  accinse  ad  apprestarlo;  ma  l'anima  fremente- del  trìgieo 
itaKano  mal  s'apponeva  alle  pazienti  indàgini  richieste  a  quel- 
l'uopo^ come  ne  fanno  ampia  fede  i  pochi  materiali  supèrstiti) 
che,  raccolti  religiosamente  per  rispetto  all'Autore,  furono  po- 
blicali  nel  1827  in  Torino  dal  chiarissimo  Luigi  Gibrarìo,  col 
titolo:  F'oci  e  modi  toscani  raccolti  da  littorio  Alfieri^  con  U 
corrhpondeìize  de*  medéHimi  in  lingua  francese  ed  in  dialetto 
piemontese. 

intorno  a  quel  tempo,  e  propriamente  nella  seconda  metà  del 
sècola  passato,  un  lavoro  colassale  sul  dialetto  piemontese  venne 
intrapreso  dal  mèdico  astigiano  Nicolò  Gioachino  Brovardi,  il 
quale  moriva  nel  1796  senza  darlo  alla  luce.  Esso  consta  di 
ùndici  Volumi  manoscritti  in  folio,  nei  quali,  oltre  ad  una  serie 
di  osservazioni  grammaticali,  tròvansi  ordinate  le  voci  e  le  frasi 
piemontesi  colle  corrispondenti  italiane,  latine  e  francesi,' e  si 
conserva  nella  Biblioteca  della  R.  Academia  delle  Scienze  in 
Torino. 

A  sopperire  alle  lacune  lasciate  dai  precedenti  lavori,  il  con- 
te Luigi  Capello  di  Sanfranco  publicava  nel  1814  a  Torino 
un'Opera  in  due  grossi  volumi  10-8-.%  intitolata:  Divtiqnnaiir 
portali f  piémonlaiS'fratiQaiSj  stiki  d'un  p^ocahnlaire  fran^isdes 
terntes  usiiés  dàns  ies  arls  et  nìélwrs,  ec.  Il  primo  di  questi  vo- 
lumi^ oltre  al  Vocabolario  piemontese- italiano,  racchiude  ancora 
un  .-/JH'irii  ile  noticvs  efyniologiiiucs  du  dìalccto  pihnontais  ciVi- 
pri$  si's  rapports  mcr  Ir  latin  j  rilaliett ,  Iv  fran^ais^  r-espngnol 


DIALETTI   PeDBUO.>TAKU  K93 

et  i'anglais;  il  secondo  porge  135  vocabolarietti  tecnològici  ap- 
partenenti ad  altretanti  mestieri:  Questo  {>ure,  come  agevol- 
mente può  scòrgersi  dal  piano  dell'Opera,  fu  un  Saggio  più 
elaborato  e  più  esteso,  anziché  un  compiuto  Vocabolario:  ond'è, 
che  nel  successivo  anno  i8i5  lo  studioso  piemontese  salutava 
con  gìoja  r apparizione  d'un  nuovo  Dizionario  piemontese'iitU' 
liano'talino'francese  che  il  sacerdote  Gisimìro  Zallì  di  Chieri 
publicò  in  Carmagnola  in  tre  grossi  Volumi.  Ivi  infatti  V  autore 
produsse  tale  un  numero  di  vocàboli  nuovi,  di  frasi  e  di  pro- 
verbi piemontesi,  da  lasciarsi  di  gran  lunga  Indietro  quanti  lo 
avéano  preceduto.  Ciò  nulladlmeno  non  mancarono  censori  che 
lo  tacciassero  d'inùtile  spreco  di  tempo  e  di  fatica,  per  aver 
aggiunto  alla  versione  italiana  eziandìo  la  latina  e  la.  francese. 
Ove  peraltro  si  ponga  mente  alla  stretta  affinità  del  dialetto 
piemontese  colla  lingua  francese,  màssime  nella  parte  lessicale, 
si  vedrà  quanto  facilmente  chi  si  accinge  a  lavori  di  tal  fatta 
debba  trovarsi  astretto  a  slmili  raffronti,  i  soli  che  neir idènti- 
che radici  gli  pòrgano  la  precida  rappresentazione  delle^  idènti- 
che idee.  Né  meno  ùtile  al  filòlogo,  all'etimòlogo  ed  al  linguista 
toma  ib  raffronto  della  voce  latina,  la  cui  consonanzii  o. disére- 
panza  dalle  corrispondenti  piemontesi  vale  a  tracciare  un  cri- 
terio per  le  origini  di  quelli  che  ne  fanno  uso.  Che  se  nella* va- 
stità dell'impresa,  questa  nuòva  produzione  riesci  alquanto  im- 
perfetta per  ommissioni  di  voci,  inesattezza  di  spiegazioni  e 
definizioQi,  e  simili,  come  ebbe  ad  avvertire  acremente  l'^h- 
notatore  degli- exTori  di  lingua  j  oltre  che  slmili  iftaperfezioni 
sono  più  o  meno  da  imputarsi  a  tutti  i  Vocabolaristi,  l'Autore 
pensò  ancora  a  porvi  riparo,  per  quanto  crai  ad  uomo  concesso, 
in  una  seconda  edizione  incominciata  nel  1830,  e  compiuta  per 
òpera  del  tipògrafo  Barbié,  còlto  essendo  l'Autore  da  morte 
immatura. 

Frattanto  l'implacàbile  censore  del  Zalli«  del  Barbié,  l'abate 
Michele  Ponza,  dopo  aver  dato  alla  luce  un  piccolo  Vocabolario 
piemontese-ilalianoj  che  disse  di  aver  compendiato  su  quello  del 
Zalli,  e  del  quale  publicò  nel  1827  una  seconda  edizione,'ap- 
préstò  un  lavoro  più  vasto  che  vide  successivamente  la  luce  dal 
1830  al  1833.  Ma  sebbene  sostenuto  dall'opera  dei  benemèriti 


590  rian  nuA  Mium  pedommitaiii 

seguenti,  che  insieme  ai  due  Sonetti  nei  dialetti  d'Aqoi  e  di 
Vondov),  formano^  per  quanto  ci  consta,  tntta  la  letteratura 
BMioferrìna. 

Ora  da  questi  ràpidi  cenni  appare  evidente,  che  la  poesia 
vernàcola  piemonlese^  del  pari  che  la  lombarda  e  VemiNana, 
sebbene  traesse  i  suoi  prìmordj  sin  dal  principio  del  sècolo  XYI, 
non  ricevette  un  compiuto  sviluppo,  se  non  nella  seconda  metà 
del  sècolo  scorso  e  in  sul  principio  del  presente;  e  che  ogni 
qualvolta  fu  coltivata  da  uòmini  d'ingegno  ed  informati  alla 
scuola  dei  clàssici,  trovò  nei  patri!  dialetti  quell'arrendevolezza 
e  quella  copia  di  risorse,  la  cui  mercè  potè  raggiùngere  la  spon- 
taneità, la  forza  e  T  eleganza  che  si  ammirano  nei  versi  del 
Calvo,  del  Rosa  e  del  Brofferio. 


CAPO  V. 

óa^gft  di  tetieratura  v€rfiàrx)la  lìedemonlana. 
Gruppo  Piemontese. 

Dialetto  di  Chlerl^ 

I39Ì.  Siccome  il  più  antico  monumento  del  dialeltoi  piemon- 
tese ci  Tiene  somministrato  negli  Statuti  sopra  r  ospizio  della 
società  di  S.  Giorgio  del  fìòpolo  di  Chiari ,  cosi  stimiamo  op- 
portuno premétterne  un  brapo,  non  già  come  Saggiò  di  lette- 
ratura, ma  bensì  del  dialetto  di  Cbieri  in  sul  principio  del  sò^ 
colo  XIV,  al  quale  il  seguente  documento  appartiene.  E  poiché 
non  abbiamo  veruna  sicura  norma  dalla  quale  si  possa  desùmere 
la  pronunzia  di  quel  tempo,  cosi  onde  non  alterarne  in  venm 
modo  le  forme,  lo  trascriviamo  letteralmente  quale  fu  publicato 
dal  cav.  Gibrario,  nel  II  Volume  delle  Storie  di  Chkri. 

Alo  nom  del  nostr  Segnor  Yhii  Xpst,  amen.  A  l'an  dala  soa  natività 
131  i  ^  ala  quarta  Indicion  en  saba,  a  28  di  del  mels  de  loign,  en  lo  pien 
e  general  conscgl  dela  compagnia  de  messer  saint  Georz  de  Cher,  a  soa 
de  campana  e  a  vox  de  crior.  En  la  chaxa  delo  dit  comùn  de  Cher  al 
mod  usa,  e  congrega  el  fu  statuì  e  ordonà  per  col  consegl,  e  per  gle  con- 
5egler  de  lo  dit  con«egl,  e  per  gle  rezior  dela  dieta  compagnia,  gle  qual 
adóne  gli.  éren  en  gran  quantità,  e  gnun  de  lor  discrepante  fait  aprèa 
solenn  parti  che  gU  infrascripl  quatrcent  homegn  de  la  ditta  compagnia 
séen  et  debien  esser  perpetuarmeint  e  se  debien  nominer  un  hospicil  co 
e  hospicil  dela  compagnia  de  sein  Géorz.  1  quagl  hom^n  debien  e  seea 
enlegnu  perpetuarmeint  consegler  a  drit  e  learmeint  la  ditta  compagnia 
e  i  consol  e  gli  homegn  de  colla  compagnia.  E  se  el  entrevenia,  que  Dee 
nel  vogla,  che  alcuna  persona  que  ne  fus  de  la  ditta  compagnia  de  qnita 
condicion  o  stat  que  sea,  feris  alcun  de  la  ditta  compagnia,  o  veiramenl 
fes  ferir  o  vulnerer  o  veirement  a  fer  la  ditta  ferua,  o  vcirament  deis 


($98  PARTE  TERZA 

consegl  OD  favor,  o  se  el  enlrevenìs  de  houre  enaint  che  alcun  o  alculgn 
qui  no  fossen  de  la  dilla  compagnia,  o  com  col  o  veirament  prandcs 
guera  com  lor,  que  gle  infrascripl  quatrcent  homegn  de  la  ditta  com- 
pagnia seen  enlegnu  e  debien  precizament  e  senza  tenor,  porter  e  defe- 
rir pareisament  arme,  zoè  falchastr,  iuxerma  o  sea  spà  o  maza  e  brazal* 

0  sea  tavolaza,  lant  quant  porterea  col  o  coigl  de  la  dilla  compagnia, 

1  quagl  bavea  o  avcs  la  dilla  discordia,  e  tant  qoe  la  vindita  se  feis 
de  la  ditta  ferua,  defln  a  tant,  que  col  qui  avea  la  discordia*,  o  chla 
serea  falla  la  ditta  ferua,  o  qui  ferea  la  dilla  venditla  o  pas,  ossea 
•oncordia,  pervenis  con  I  sol  a  andèr  e  retornèr  e  estèr  con  col  qui 
avea  la  ditta  discordia ,  e  col  enoompagnèr;  a  la  qual  irioditta  fer  ooigi 
quatrcent  bomegn  e  eh  un  de  lor  seen  enlegnu  e  debien  preclsament  en- 
ter^rdoign  (i)  do  la  dita  compagnia,  e  ellamdee  fer  e  percurèr  con  effet 
con  coigl  de  la  dilla  compagnia  que  la  vindita  de  la  percussion  que  se 
ferea  a  coigl  de  la  ditta  compagnia  se  faxa  e  se  debia  farsemlgllanteinent 
Oltra  da  zo  ayant  espressament  dit  que  se  entraveness  que  atcao  qui  ne 
fos  de  la  ditta  compagnia  feris^  o  féis  ferir,  o  fos  a  fer  cola  percuslon, 
o  dàs  conseigl  eltorl  o  favor,  o  vulneràs  alctia  o  alcoign  de  colla  com- 
pagnia »  e  col  .0  coigl  de  la  ditta  compagnia  qui  seen  ferul  se  -vendìcas* 
seU,  0  feÌ39en  la  vlndilta  en  mod  de  lo  dit  maieflci  en  col  o  cofg!  qui  sea 
en  alcoign  de  cola  parentela ,  qui  no  fus  de  cola  compagnia  que  o  reifor 
0  sea  i  reziòr  de  la  dftla  compagnia  que  serea  enlourà  o  que  aereo  eo 
cola  compagnia, "e  gle  omen  de  cola  compagnia  e  la  ditta  compagnia aeeo 
entegnu ,  e  debien  preclsament  e  senza  tenor ,  e  sol  la  peina  e  liand  da 
cent  lire  de  astesan  per  cbun  rezior ,  extraher  e  fer  extraber  de  l^avéir  da 
colla  compagala»  col  o  coigl  qui  feren  la  dilla  vindilla,  e  1  lor  coavllor 
varder  senza  dagn ,  o  fosen  i  dlt  coaiulor  de  la  ditta  compagnia,  o  no,  e 
in  se  fer  cura  cum  efet  e  eompir  que  ossea  dan,  e  se  debla  der  a  col,  o 
a  coigl  qui  feren  la  dilla  vlndilta,  benna  pas  e  ferma  concordia  confra 
coigl, xonlra  i  quagl  serea  falla,  e  con  tut  gli  altre  de  la  lor  parentela,  o 
fossen,  0  veirament  no  fossen  de  la  dlla  compagnia,  e  lor  costrenzer  a  fer 
\^  dilla  pas  infra  dol  mels  poi  que  I9  dilla  vindilla  serea  fallA  pisr  la  vi- 
gor de  la  ditta  compagnia,  e  se  el  enìreveniss,  que  col  0  coigl  contra  el 
qoàl  se  ferea  la  dilla  vindilla,  e  coigl  de  la  so  parentela,  0  sea  de  la  lor 
parentela,  0  fossen  de  la  dilla  compagnia,  0  no,  no  vorressen  consentir 
en  la  dilla  pas  fer  sarament,  e  sol  cola  nieisma  peina  tiielir  la  man  a  Tar 
ma  presi  e  robuslamenl,  e  corer  centra  coli  qui  ne  voren  consentir  en 
la'diltii  pas,  e  lor  Init  en  tufi  niod  qui  poran  costringer  en  lò  qui  fazen 
la  dilla  pas,  e  cola  pas  obscrvèr,  e  secnl  entegnu  perpetuarmeAt  incorda 
in  se,  e  en  tal  manera  sea  coslreit  per  col  e  tuli  gli  atre  de  la  soa  paren- 
tela a  far  ìa  dilla  pas,  e  a  lenir  cum  effet  per  Io  rezior  e  per  li  rezior  de 
còlla  compagnia,  e  per  la  compagnia  suditta;  que  se  col  0  coigl  de  soa 

(I)  Fr4  gli  altri. 


DIALETTI  PBIM9I0NTANI.  K9Ì' 

pirentela  ne  volessen  far  la  ditta  pas,  o  falta  tenlr^  que  o  rezior»  o  aea  I 
rezior.de  la  ditta  compagnia  e  eolla  compagnia  sea  entegou  pr^clsament 
vastèr  encoqteDent  i  soi  ben*entejrament,  e  nUnchan,  e  tenì)r  vasta  per* 
petuament  soe  chassa,  vigne,  choiv  e  prai  (;),  de  ci  a  tant  qat  i  avena 
consenti  en  la  ditta  pas;  e  se  alcun  de  la  ditta  soa  parentela  poi  qoe  1  predit 
ben  jfosseir  vasti,  deissen  alor  alcun  consegl  eitori  o  sostegn  parelsamenl 
o  privla  (9),  qne  i  ben  de  col  0  de  coigl  qui  deran  col  tal  eonsègi  eltorl  o 
favor,  le  debién  tenir  semplglantment  devaatèr  e  lenir  minch  ap  vasterl . 
In  se  coffl  el  è  de  sor  (s)  e  dit;  e  se  alcuna  persona  qui.  fossen  de  cola 
compagnia,  0  no,  fossen  deis  0  feis  alcun  mal  0  injurla  en  la  persona, 
vo  (4)  en  le  cosse  de  col  0  de  coigl,  qui  ne  voren.  far.  la  ditta  pas,  quo 
cola  tal  persona  qui  averéia  dait  col  mal  sea  e&tract  semiglantemeint  senza 
dagn  per  la  ditta  compagnia,  e  eclam  dco  conserva.  I  qoagl  quatrcent 4ut^ 
vote, e cbnna  vota  eiLiuint  a  lor  0  comanda,  0  cria ,  o  veirament  aleuto  autr 
segn  ordonà  a  fer  de, la  part  del  resior  de  la  ditta  compagnia,  a  sé  qui  v«r 
nissen  a  lor  con  arma  0  senza  arme,  qui  debien  venir  ao  loo  («)  la  onde  lo 
dit  rezior,  o  sea  i  rezior  fossen,  0  là  onde  i  ferfen  crlèr  lassa  chuna  coa|^ 
a  fèr  pef  acii^npfr  le  dissori  dille  cosse  e  ì  lor  comandament,  e  col  que 
a  lo  dil  rezior  ossea  I  rezior  piasirà,  e  l'onor  e  lo  profft  de  I»  ditta  cbm* 
pagnla.per  la  vertù  del^arament  e  set  la  peina  e  band  de  xUre  de  aste- 
san  per  cbun  e  per  clmna  vota,  e  eeiam  de  por  ter  Tarme  tan^  quanl  fi  * 
lo  dit  rezior,  0  sea  gli  rezior  de  la  copipagnia  seen  antegnu,  e  debien 
minch  an  del  mels  de  luign  fer  appelèr  e  rezerchèr  lo  dit  hospici  del  dii 
-quatrcent;  e  seei  entreveniss  que  alcun  fos  mori,  de  fèr  e  suroger  un 
aotr  bon  e  sufficient  en  Io  de  col  djt  passa  de  costai  vita  presente,  insi 
qoe  sempr  mai  lo  dit  hospici  rentagna  en  la  entera  quantità  e  nómer  de 
qoatrcent;  i  quagl .quatrcent  debleii  jurer  de  attènder  e  de  observèr  cum 
effet  tojle  le  predite  e  sìngole  cose  e  que  tuit  1  quatrceni  abien  lo  escu  a 
Parma  de  seint  Ceorgz;  le  quagl  tute  e  singole  cosse  vaglen  e  tegnen,  e 
se  de^ian  perpetuarmeint  observèr  per.  Io  rezior,  ossea  per  li  rezior  d^ 
la  ditta  compagnia,  eiper  gli  univers  oniegn  de  colla -compagnia  infra* 
script  a  la  volontà  e  dcclaracion  scmper  de  coi  0  de  eoli  qui  averèq  la 
discordia  in.se  com  el  è  dit  dessori)  e  de  notra  part  se  faza  e  se  debla 
fer  public  instrum'ent  a  chun  qui  uxa,  Io  quar  ^nstrument  sempr  se  de- 
bla observèr  in  se,  com  s'el  predit  capitol  se  trovas  script  en  lo  volùm 
di  capitor  de  cola  compagnia  in  se  com  gli  aitr  capìtor  de  la  compagnia; 
e  se  alcun  féls,  diés,  0  venìs  contra  la  predita,  0  alcuna  delle  predite 
cosse,  que  0  sea  se  reputa  e  se  possa  appelèr  de  tuit  treitòr  e  rebcl  de 
cola  compagnia,  e  contra  col  se  possa  e  se  debia  proceer  Insi,  com  se  a 

(1)  E  devait'ar  p«i]iettiara«Bte  case,  vigne,  rm$ù  e  pralù 

(2)  PalesemcnU,  o  in  privato. 

(3)  CorQe  è  cleUo  di  sopra. 
(^4)  O,  dal  latino  iv/. 

(5)  Al Inogo. 


600  PARTE  TERZA 

Favcs  metu  la  man  en  alcun'om  de  la  dita  compagnia.  La  qval  capitor 
sea  frem  e  preeìs,  e  ne  se  possa  remover;  ma  se  debia  per  chun  reziòr 
0  reziogl  e  dmegn  de  la  dita  compagnia  attènder  e  observèr  sol  la  peina 
e  band  de  vint  e  v  lire  de  astesàn  per  chun  e  per  chana  vota,  olra  Cale 
te  altre  e  singule  pene  que  se  conlènen  desorl,  neint  de  mein  remanèint 
luH  gli  atre  capUor  de  la  dita  compagnia  en  col  qui  fosten  pi  fori  en-lòr 
férmeia,  en  col  velrament  que  al  present  capitor  fos  pi  fort  de  gli  altri 
8ea  derogatori  vo  otra  dlt;  e  excepta  que  si  alcun  de  la  dita  compagnia 
slasént  for  de  la  Jurdiclon  del  comun  de  Cher  aves  discordia  con  alena 
0  alcoign  qui  no  fossen  de  Cher  o  del  poelr,  que  lo  predit  capitor  no 
abia  loo  quant  a  portèr  le  arme,  en  le  altre  cosse  velrament  remagna  en 
la  ftoa  fermezza.  Amen. 

Tiello  stesso  Còdice  trovasi  volgarizzata  la  fòrmula  del  ginri- 
mento  che  dovèano  prestare  ì  rettori  della  suddetta  socieli  di 
S'.  Giorgio.  Noi  lo  trascriviafoo^  deipari  che  i  precedenti  Sta- 
tuti, letteralmente,  eccetto  qualche  leggera  modificazione  orlo- 
gràfica  atta  ad  agevolare  T  intelligenza  del  testo,  e  lo  pòrgiamo 
qual  monumento  prezioso  dei  primi  tentativi  fatti  onde  trar  fuori 
dai  vulgati  dialetti  municipali  la  lingua  àulica  nazionale. 

Fòrmula  del  Giuramento. 

Vos  domini  rectores  de  la  compagnia  de  messér  salnt  Georz  6  del  pò- 
vor  de  Cher  el  vostr  saramcnt  sera  tal:  o  jareral  al  selgnt  De  e  vangere 
de  reze^  e  de  mantenir  a  benna  fai  e  senza  engàn  ni  dol,  le  cosse,  te 
persone  e  le  rassóign  de  la  compagnia  de  tuta  vostra  possenza  e  fòrza, 
Juxta  1  capitor  e  gli  Statuì  de  la  ditta  compagnia,  e  mancant  capitor,  o 
sea  statuì  secónd  le  bonne  usance  aprovài^  e  capitor  o^sea  consuetuden 
mancant  sécond  le  lai  romane  tant  e  se  denàr,  o  sea  ceins  o  rassóign  de 
colla  Compagnia  jierveràn  a  le  vostre  main,  colle  .lagi  eosse  salverai,  e 
férai  salvèr  e  vardèr;  e  cola  tal  monca  e  rassóign  no  lasserai  occupèr  a 
gnuna  persona,  ne  de  colla  ferai  alcnn  don,  e  colla  compagnia  e  'nrezi- 
mcnt  lasserai  second  el  rood  e  la  forma  dei  capitor  de  cola  compagnia. 
Sic  jurabunl,  eie. 

I§alaxxe«e« 

4<iOO.  Dall'universale  naufragio  in  cui  perirono  tanti  preziosi 
monumenti  del  patrimònio  nazionale  non  pochi  sopravlssero  sino 
ai  giorni  nostri,  comecché  inavvertiti,  o  sepolti  ignominiosa- 
mente  fra  le  misteriose  latebre  degli  archivj.  Per  buona  ventura 
fra  la  massa  compatta  degli  inerti  salta  fuori  talora  qualche 


DIALB1TI   rEDEMONTANI.  601 

magnànimo  intraprendente,  che  razzolandovi  per  entro,  ne  estrae 
preziose  memòrie  e  mette  in  luce  notizie,  che  tutta  sconvòlgono 
la  mal  connessa  e  mal  digesta  dottrina  precedente.  A  provigrci 
l'anzianità  del  dialetto  sulla  lingua  italiana  eziandio  in  Saluzzo 
a' pie  delle  alpi,  venne  pochi  anni  sono  avvertito  da  Carlo  Mij^- 
lelti,  editore  delle  Memorie  slorko-diplomatiche  appartenenti 
alla  città  ed  ai  marchesi  di  Saluzzo  di  Delfino  Muletti ,  un  Gò- 
dice  prezioso  del  sècolo  XIV,  nel  quale  tròvansi  racchiusi  im- 
portanti Saggi  degli  incunàboli  della  lingua  italiana  e  del  dia- 
letto allora  parlato  in  quel  remoto  àngolo  della  nostra  penisola. 
Questo  Còdice  è  un  vecchio  uffizio  dei  confratelli  della  casa 
di  disciplina  in  Saluzzo,  ove  oltre  ai  Salmi  ed  alle  consuete  preei 
latine,  sèrbansi  trentadue  laudi  neir  incòndito  italiano  del  sècolo 
di  Dante,  misto  di  parecchie  voci  vernàcole  piemontesi,  e  die- 
ciotto orazioni  col  titolo  di  recoràendaciones j  in  dialetto  salnz- 
zese  dello  stesso  tempo.  Lieti  quindi  di  poter  offrire  agli  studiosi 
un  Saggio  cosi  dei  primi  passi  di  nostra  lingua,  come  dell'an- 
tico dialetto  saluzzese,  trascriviamo  qui  appresso  una  iscrizione 
composta  di  quattórdici  versi  martelliani  rimati  che,  oltre  al  ci- 
tato còdice,  lèggesi  ripetuta  con  alcune  varianti  sopra  òn  muro 
dirupato  della  chiesa  volivi  già  eretta  dalla  pietà  dei  Saluzzesi 
a  S.  Sebastiano,  nell'anno  i403,  in  occasione  d'una  p^tilenza 
desolatrice.  A  questa  poi  soggiungiamo  alcune  delle  mentovata 
preghiere  vernàcole. 

Iscrizione, 

Bon  Jhesù  i  mi  lamento  —  e  pianzo  cum  dolore 
Che  alo  mn  core  ì  no  senio  —  de  lo  tò  doze  aniore: 

E  cum  Jhcsù  i  mi  lamento  —  e  pianzo  cum  trlsteza, 
Che  alo  me  core  i  no  sento  —  de  la  soa  dolccza. 

Signore,  dame  alegrezza  —  per  la  toa  bontade, 
^on  vardèr  a  li  miei  pecài ,  —  oi  doze  creatore , 

0  creatore  mio  pietoso,  —  cum  (e  i  voglio  far  pax. 

1  sunto  (i)  tristo  e  doloroso,  —  che  i  sunto  stalo  si  marvax  (s); 

(I)  lo  sono.  (2)  Malvagio. 


B     ft 


*Mm^^ 


im^^  »  yiwi»  m.  -yìM, 


e-^-i 


^^0^  t0t.    u   '^Artilis*    ff    }Mi»  t  fj^t    «spi*r    'III!  mi.    •    d    -r*   -  d 

t0    ^cHkftMrtf»    J^s'  If::    l/Mf.^.    )^f:A      iJUKL. 

éià4*r4J^é  «  «wC^r  ««u^  ;«  lf<i*flJ4  CTMilJXii.'U  il»  anr-1  -r  of  «ni 

*■  u^fpUt  *itf  hi ,  *'  %éì*t^*\hu  4éc  Uff  ktttfH^.  Uuì  th*  lA  dìcfa  comonità  potf> 


I;  M#-*"i#  (^;  StA^ttHiH  (  5/  4  H##  PhI* 


DIALETTI  PEIlDMniT4M 

Noi  se  lorncrcma  a  la  gloriosa  Vergcna  M*rìk   Imiw^  .^ 
fnrt  e  speransa  di  pecca tór,  che  el  gli  piaia  ò«  pt»^  r  i.^. 
per  salvasión  de  tiita  la  umana  generassión,  cdb^  i»  ^  ^^^^ 
questa  preera,  che  sum  enc6l  avue  falle  en  ehctCa  cm».  *  x^ 
vèrs  mund  per  la  soa  sanctisslma  pietà  e  mlsericM^i».  ft,  «««^  « 
riosissima  e  benignìssiina  mare  de  Dò  nos  oda,  più  ìmì  ^ 
%\  dlréro  en  soa  reverensla  una  SaX^e  regina j  ce.  "" 

Ì4i0.  Sebbene  considerato  qual  componimenfo  j^^s^a    v« 
pari  che  siccome  Saggio  di  lingua,  non  \a1ga  a  pr«Mb^«:  w 
runa  autorévole  testimonianza,  ciò  nullostante  non  fr^rrthani  a 
spensarci  dal  produrre  la  già  da  noi  mentovata  Gànuin^:  ainii» 
resa  di  Pancalieri  alle  armi  di  Lodovico  prìncipe  d'Arap;  «^ 
sto  componimento  fu  inserito  nel  11  Volume  della  SUnin  ^^ 
princìpi  di  Sa^oja  del  ramo  d^Acaja  (Torino  4833),  ove  r»!^ 
biamo  attinta. 

Che  lo  Castel  de  Panealér 
Che  tuit  Icmp  era  frontcr, 
E  de  tute  maloestil  fontana 
Per  mantener  la  bauzana, 
E  al  pais  de  Peamónt  tratèr  darmage, 
E  li  segnùr  de  chel  castèl  n'aven  lo  coragc; 
Ora  le  bon  prlncl  de  la  Horea,  Luis 
El  li  à  descazà,  e  onorevoimcnt  conquis, 
Che  0  grà  80  est  ferma, 
E  tùt  entórn  environà 
De  gent  da  pc  e  de  gcnt  d'arme 
Unt'érent  trèi  coglàrl,  e  quatre  bombarde. 
Ma  per  la  rcrtùi  de  madona  Luisa, 
Chel  Castel  a  cambia  dcvisa, 
Sì  cl|c  Pan  1410,  circa  le  ss  ore. 
Lo  mercol  a' di  vini  nof  de  ottovrc, 
Chil  dei  Castel  se  son  rcndu. 
E  ala  merci  del  dit  princi  se  son  metu, 
Che  gli  à  de  dlntre  soe  gent  manda, 
E  la  soa  bandiera  sura  lo  caslèl  àn  buia; 
La  qual  naia  banda  broua  à  traversa, 
En  criant  ante  vós:  viva  lo  princi  e  part  versa. 
Al  qual  Dio  per  la  soa  bontà 
Longament  dea  vittoria,  e  bona  santa. 
Amen. 


604  PARTI   TCRZA 

Pfementeaé  rAstle*< 

I550Ì  II  solo  componimento  che  ci  fu  fatto  rinvenire  in  Sag- 
gio del  dialetto  piemontese  alla  meti  del  sècolo  XVI,  si  è  una 
Gomedia  Pastorale  di  Messcr  Bartolommeo  Brajda,  nella  quale 
introdusse  fra  gli  interlocutori  un  Villano  che  parla  in  rùstica 
favella.  Comecché  esigui  e  di  niun  valore,  per  mancanza  di 
migliori  materiali,  onde  riempiere  questa  lacuna,  ne  produ- 
ciamo pochi  versi: 

f^illano. 

E  vogli  andè  trovè  qualcun  • 
Che  me  mostra  a  bin  parler 
E  sor  tut  a  fé  l'amò. 

{S'abbatte  in  un  cortigiano.) 
Bon  di  ve  de,  me  bel  signó,  , 

U  me  simìglie  tùt  in  st^galànt; 
Per  cert  ò  dei  esse,  anamorà , 
Se  l^antandmént  ne  m^à  anganni; 
O  sei  coi  elle  vogni  cercànd, 
E  ve  pri  per  sen  Bertrand, 
Glie  me  mostri  a  fé  l'amò. 
Se  ne  fùs  pà  si  bin  comprés 
Né  bin  vestì  me  vegbessi  adès. 
Basta  che  ne  gli  è  cosa  and' ne  me, fica. 

Torinese. 

4706.  In  sul  principio  del  sècolo  XVIII,  come  abbiamo  altrove 
avvertito,  fu  publicalo  in  Torino  un  poemetto  col  tìtolo:  l'Arpa 
discordata^  nella  quale  sono  descritti  i  fatti  principali  durante 
l'assedio  della  città  di  Torino  negli  anni  1705-6.  In  Saggio  del 
dialetto  piemontese  a  quel  tempo,  basti  che  ne  produciamo  la 
prima  parte,  non  permettendoci  la  lunghezza  e  la  melcnsàgine 
di  quel  componimento  di  pòrgerlo  per  intero. 


DIALETTI   PEDBMONTA?!!. 


605 


UArpa  discordata 

nellaSpriìna  e  teconda  venuta  del  signor  Duca  della  Fògliada 

sotto  Torino. 


A  rè  pur  venu  el  dis 
Al  me  cavai  Pegàs 
De  parie  de  la  tragedia  en  suscint 
De  Tan  mllèslm  set  centèsim  quint. 
De  pième  uo  pò  de  spass, 
Esponènd  el  trcmolàss 
D'una  man  di  Turinèls 
A  Parìf  di  Fransèls 
Vcrs  Civàss  e  la  montagna , 
Pais  antic  de  cucagna. 
O  Dio!  chi  podria  racontò 
La  gran  fùria  de  raenè  el  pè? 
Tut  el  mond  era  de  trot 
Pr  cmballè  i  so  fagòt, 
Camlse  e  linglaria 
Con  la  pecitta  femia, 
A  de  parti  a  la  mojér, 
Chi  per  le  bande  de  Clièr, 
Chi  per  Carmagnola,, 
Al  Blondovi,  e  Salussola. 
En  somma  I  pi  goltós 
Deventavo  generós. 
No  s'  vedeva  che  Calessànt 
Su  e  giù  andè  girànt 
Con  la  patròna  e  la  creada, 
E  semiava ,  che  la  Fojada 
A  j  caminàss  da  ré 
Per  sparèje  qualch  morte. 
Arcoiqandàndse  ad  àuta  vos 
Ai  protetór  dei  paurós , 
Per  tute  quante  le  venue 
Se  vedio  de  carosse  cornùe 
Caria  de  servente  e  d'arvendjòlre, 
D' aramine,  cassui  e  scùmòirc; 
E  me  sautavo  mille  rabie 
De  vèdle  ancor  en  cole  gabie 
Con  de  gran  creste  en  testa 
Da  porte  el  di  de  festa, 
Con  de  manto  fuit  a  buona  man 
A  garofo  e  tulipàn. 
^^  èlo  pa  una  vergogna. 


Vende  el  lard  e  salàm  de  Bologna, 
El  giambón  e  la  ventresca, 
Lingue  sala  e  sautissa  fresca 
E  volèi  gire  con  tante  roasche,  -^ 
Con  tante  pompe,  tante  frasche? 

A  j  era  una  con  la  vantai  na 
Meza  morta  de  cagnina. 
Che  plorava  com'una  vi 
De  chìttè  el  so  ear  mari, 
E  quas  Pavcss  su  l' estomi 
iìn  canon  de  Monsu  Vandomi, 
Se  sfogava  en  coste  parole 
Veramént  compassionose  e  drde. 
Ah!  me  car  omo,  t'àl  bin  tori 
D'  sto  en  Tur  in  spetè  la  mori  ! 
Oh!  che  poc  giudizi 
De  fèto  bombarde  per  caprili, 
E  d* èsser  causa,  che  mi  tornànd  a  cà 
L^abia  d^andè  sa  e  là 
A  serchème  un  autr  spòs 
De  buona  fama,  condizión  e  vós! 
Ali  non  te  podria  mai  lodò 
De  volèlte  fé  sbùdlè, 

0  da  buon,  opur  en  fala 

Da  quale  bomba,  o  quàic  baia. 

Sia  maladèt  ei  tò  coragl , 

Che  sarà  causa  d' un  àutr  marlagi  ! 

Nel  senti  costi  piór 
(Jn'àutra  de  buon  umor, 
E  mi,  dlss,  ch'i  ò  lassa  me  pare, 

1  me  fr<idèi  e  la  mia  mare, 

E  con  tùt  lo  i  son  de  bona  voja, 

E  ne  fas  pà  tan  la  menoja  I 

Mediànd  eh'  i  possa  andè 

Costa  sèira  a  Moncalc , 

Poc  m'emporta  die  menasse 

Che  fan  i  Fransèìs  de  sue  carcasse. 

Da  lì  a  poc  i  vedo  a  comparì 
Un  niostàs,  ma  proibì. 
Una  fomna  vestia  da  dol 
A  cavai  d^ùn  bestiol 


606 


PAITB  TBHZA 


Con  due  gran  sacchclte 
Piene  de  scàtole  e  de  cornette , 
De  sorlót  e  de  brascière^ 
Piesse,  corset  e  menagere, 
Fissu ,  collarette  e  nianción , 
Cb'a  Pero  -tùt  el  patrimoni 
De  cola  bruta  demoni. 

Poe  aprèss  arriva  una  carrossa 
Tira  da  un  cavai  e  da  una  ròssa^ 
E  dentr  madama  Pocflia 
Con  madamisela  Cbiìa, 
DIsènt  la  santa  corona, 
E  vestìe  ala  buona 
Ben  e  bin  aplicà 
A  pensè  ai  so  pecca, 
Credèndse  per  camin 
De  vede  a  brusè  Turin, 
Pressànd  el  vitùrin  d^andè  de'tcot, 
E  guardèae  da  TAlbergòt. 
Giunt  ch'i  fiir  a  san  Satvari, 
Quanti  cofo,  e  quanti  armari! 
E  benché  fii9^  di  de  festa 


Se  scapavo  dia  tempesta 
Certi  spadassin  de  prima  riga, 
Gente  sensa  pensé  e  sensa  briga , 
Geot  da  poc,  e  gent  da  nént. 
Coi  capei  borda  d'argènt» 
E  piavo  le  viette 
Come  tante  fomnette, 
E  credo^cbe  da  per  tuli 
A  temèisso  quoie  cosa  de  brutt. 
Olà,  Signori  Messia, 
Taja-cadenne,  zerniblu. 
Dov'è  la  gloria  e.ron&r 
D'artirèse  vers  Cavór? 
Ha  andèvne  pur  geute  da  cagatela, 
Endégn  de  porte  Iji  cotela, 
Andève  a  sconde  In  t'ùp  pertus 
Con  la  foca  e' con  el  fus» 
f  levève  coi  barbia 
Che  ve  stan  sot  le  narìs, 
Per  fé  de  scandescenze 
Fqor  de  le  buone  ocorenie. 
ec«  ec«  6c* 


4746.  Il  brano  seguente  fu  tratto  dalla  Relazio^  dell' assedio 
della  città  d*^lessandiia  e  blocco' delta  cittadella  d*essa  soste- 
luito  negli  anni  1746-46,  scritta  in  versi  piemontesi  da  un  con- 
temporàneo. 


Acostève  bella  gent, . 
E  SCO  téme  tiili  atént; 
1  son  dame  l'atensión 
D' fé  ve  un  pòc  la  descrlsión 
Dia  cativa  e  bona  sòrt,  ' 

D'Alessandria  e  d'sé  fòrt 
Per  l'assedi  e  bloc  sostnQ 
Con  valor  e  gran  virtù. 
I  Spagnói  uni  ai  Fransèis 
A  son  stàjo  sot  sinc  mèis 
Per  fé  nén  ch'I  fanfaluc, 
E  poi  vèdse  a  sta  s' un  siic. 
L'è  prò  vèi,  eh'  lu  sitadela 
L'àn  butala  a  la  copèla. 
Col  pensc  d'^fèsne  padrón 
Sensa  gnanc  sparé  un  canon; 


A  rasón  a  credio  mai 
De  Irò  ve  el  marchés  Caràl 
Cosi  pràtic  del  meste  ;  • 
L' àn  pensa  eh'  a  dvéls  non  stè 
La  metà  d' Io  eh'  a  T  é  f tàA, 
E  Ioli  pdi  fùssa  fàit,   . 
Che  pia  ben  per  la  |;aiiasM 
I  armetèisa  pòi  la  piassa. 
Ma  credèndse  d'esse  al  ben, 
L'à  bsognà  mnè  '1  pelandòo, 
Plé  'I  baviìl  con  doe  man 
Abatu  com  tanti  can, 
A  troverò  iin  goernatór 
eh'  a  fasìa  giùst  per  lór; 
Ma  fa  nén,  Tàn  pà  pers  tut, 
Bin  eh' a  sio  resta  brut  brut. 


\ 


DULBTTI  PEO^ONTA?!!. 


60  7 


Quand  a  1*  àn  devu  chitè 
Le  trincere  su  doi  ph. 
Stavo  alégher,  ma  da  amis, 
Che  d' frango!  e  die  pernis 
A  n'àn  piane  pà  tan  pòc, 
Fin  eh' a  Pà  dura  col  blóc.  ' 
V  era  giusta  la  stagión 
D' rène  bona  provjsión  ; 
L' è  per  lo  eh'  &J  rincresìa 
De  devélsne  tire  via.' 
A  8*  faràn  mai  pi  si  arlónd 
S'andèisso  bin  al  fin  del  mond. 
Porsi  adès  Pavrio  die  stent 
A  pose  per  si  1  so  denti 
Ha  venómo  uh  pòc  al  fàit, 
A  conte  coma  Tè  'ndàit 
Tut  Tafè  con  realtà. 
Prinsipiànd  dala  sittà, 
Giust  el  bel  di  d' san  Brundn 
Son  venu  fé  i  fanfarón; 
Ma  con  tuta  furbaria, 
E  fracàss  d'moschetaria, 
Vers  ci  bastiòn  d'san  Martin 
Con  un  strèpit  sensa  fin. 


L'^àn  studia  de  vnie  d'nòlt. 
Sul  pensé  d^  sorprende  coit 
Tùli  coi  dia  guarnisón, 
E  cfi^a  fusso  sì  tomón. 
Cosi  garj^,  cosi  mufi, 
A  lassèse  pie  'ndurmi; 
H^  '1  disègn  an  t' el  pi  bel 
A  rè  'ndàit  su  dM  fornèi 
An  t'un  pcit  quart  d'ora,  o  tant 
Tuli  i  nostri  vigilànt 
A  marcerò  a  pìQ  so  post; 
E  trovàndse  tQt  dispósi, 
A  i  àp  fàje  tant  fo  adòss, 
C^e  J  àn  fin  brusàje  1  oss; 
E  *nt  un  ora,  e  fors!  mane, 
A  J  àn  faJe  sbati  i  flànc; 
Ch'el  canon  d'^eslra  fortessn 
A  j  à  tniìjc  la  cavessa , 
Scusa  la  moschetarìa 
Ch^a  n^à  fànc  na  cujia; 
Cosi  furo  cori  so  smac 
Obligà  a  chitè  l'atàc. 
ec.  ec.  ec. 


Dialetti  di  SidoBBe  e  d^  Elva. 

1780.  Il  primo  scrittore  piemontese  che  sollevò  il  patrio 
dialetto  ad  eleganza  e  dignità  di  forme  ^  come  abbiamo  avver- 
tito nel  precedente  Capo^  si  fu  T  abate  Silvio  Balbis^  del  quale 
abbiamo  anche  riprodotto  un  grazioso  Sonetto.  A  meglio  con- 
statare la  spontaneità  del  suo  lèpido  ingegno  troviamo  acconcio  il 
soggiùngere  ancora  Taltro  Sonetto^  da  noi  mentovato,  per  un  in- 
cendio, insieme  alla  versione  presso  che  letterale  del  medé- 
simo ,  nel  dialetto  di  Elva  proprio  della  valle  di  Macra ,  d' a- 
nònimo  autore.  Per  tal  modo,  insieme  ad  un  Saggio  poètico  di 
quest'ultimo  dialetto,  avrà  il  lettore  un  fàcile  raffronto  tra  il 
medésimo  ed  il  saluzzesc. 


608  PARTE  TERZA 

In  occasione  d'un  orrìbile  incendio 

micitàlosi  per  colpa  d'una  i^ecchia  squarquoia 

denominata  Margritassa. 

Sorbito 

I  giari  a  l'ero  li  chièt  eh' a  ronfavo, 

Cogià  ant  un  gran  pertus  vsin  a  un-  legné; 

E  ant  cól  moment,  chi  sa?  forsi  a  sognavo 

Omessi  entra  ant  quale  dispensa,  o  ant  quale  grane. 
Maramàn,  quand  a  Tè  eh'  mane  a  J  pensavo,  ' 

S'son  sentise  ant  un  nén  tutti  a  brusè. 

Garra!  so-sì  rè  '1  fo!  Carrai  E  tentavo 

Con  i  barbis  rafi  d'podéi  seapè. 
Ma,  povre  bestie!  a  Pà  venti  stè  li; 

E  i  pare,  e  le  masnà,  e  le  giarie  Incinte, 

E  I  giari  da  marie,  tutt  Tè  rusli. 
Ohi  che  malori  Quante  famie  distinte 

In  linea  d' giari,  ch'no(  i  avio  pr  si 

An  causa  d*  Blargritassa  s^  son  estinte  1 

Vertiùne  del  tnedèiimo  Sonetto  d'anònimo  autore  nel  diatetio  di  El/fo, 

I  giari  éron  achi  chièt  che  ronflivon 

Coigià  ant  un  gross  suciér  vsin  al  villàr; 

E  a  quel  moment,  chi  sa?  forsi  i  sumiàvon 

D'esse  entra  ant  un  selllér  a  raspignàr. 
Maramàn,  quant  che  mane  i  s^u  pensa von, 

i  s'son  sentii  ant  un  rèn  lucci  a  brùsàr. 

Gara  !  èi ,  so-isi  ès  Io  fuec  1  £  pé  tcntàvòn 

Abu  i  barbis  rasi  d'pulér  scapàr. 
Ma,  paures  bèstiesl  Cialia  star  achi; 

E  i  paire,  les  meinà,  giàries  provistes, 

I  mendic  da  mariàr,  tùt  es  rusti. 
Oh!  che  malùr!  Quantes  avéro  mai  vistes 

Famìes  de  giari  ch'nus  avion  pr  eisi 

Brusàr  per  Garitùn  cma  tantcs  ristes! 

1790.  Il  sommo  tràgico  italiano  Vittorio  Alfieri  non  isdegnò 
talvolta  di  far  uso  nei  propri  versi  del  patrio  dialetto,  come  ci 
attesta  il  seguente  Sonetto  da  lui  dettato  contro  alcuni  severi 
censori  delle  sue  Tragedie. 


MALBTTl  PEDEVONTANI.  600 

Sonèt  cT  tVn  y^stsdn 
an  diféisa  d*  l  sili  d'tóe  Tragedie. 

Son  dùr,  lo  so,  sod  dSr,  ma  i  parlo  a  gent 

Ch'àq  r ànima  tant  mòla  e  desiava, 

Ch'a  rè  pa  da  stupì,  se  d' costa  nià 

I  plaso  apenna  apenna  a  l'un  pr  scnt. 
Tutti  s'amparo  M  Metaslasio  a  ment, 

E  a  n'ào  Porie,  'I  cor  e  i  di  fodrà; 

I  eròi  a  i  volo  vedde,  ma  castra; 

'L  tràgic  a  lo  volo,  ma  impotènt. 
Pur  i  m^dugn  néo  pr  vint,  flo  cb'a  s' decida, 

8' a  s'dev  tronè  sul  pale,  o  solfegiè; 

Strasse  ^1  cor,  o  gatlè  marlàit  Tona. 
Già  ch'ant  cost  mond  Tuii  dràutf  bsogna  eh' a  sgrida» 

I  d  un  me  dubièt,  di'* a  ydi  ben  ben  rumiè:  ' 

STè  mi  ch'son  d'fer,  o  1  ItalTàn  d'potia? 

Top|iie0e« 

1785.  Perchè  lo  studioso  possa  meglio  conóscere  le  fórme 
del  dialetto  torinese  ia  tutta  la  naturale  purezia,  colla  quale 
era  parlato  sullo  scorcio  del  passato  sècolo,  stimiamo  opportuno 
soggiùngere  un  Discorso  in  prosa  del  mèdico  Pipino,  ove  la  lin- 
gua non  è  in  verun  modo  forzata,  né  dal  ritmo,  né  dalla  rima; 
a  tal  uopo,  fra  le  varie  lèttere  proposte  dallo  stesso  nella  sua 
Grammàtica  a  Saggio  del  proprio  dialetto,  abbiamo  preferito  la 
seguente,  poiché  vi  ragiona  sull'indole  del  dialetto  medésimo, 
sulla  sua  importanza  e  sugli  studj  che  furono  anteriórmente  in- 
trapresi per  diffónderne  la  coltura. 

LUra  d*  Discors, 

I  lo  so,  me  car  amìs,  eh' a  j*è  motbèn  eh' a  rio,  cb'a  s' badino,  ch'i 
m'sia  butàme  a  voléje  mostre  a  scrive,  e  a  voléje  de  d' règole  sul  parie 
plemontéis.  I  so,  eh' a  j'è  motbèn  cb'a  dio,  ch'I  nost  llngoage  a  l'è  'n 
patoà  falt  tut  d' parole  cujìe  e  ramassà  quasi  da  tute. le  nasslón.  Ma,  Dio 
bon!  E  a  m'crdne  forsl  ch'i  sia  così  al  scùr,  ch'i  n'sapia  nén,  ch'Io  cb'a 
8'  dis  dai  foreste  dia  nostra  llngoa,  Tlstcss  a  s'pol  disc  d'tutc?  SM  Isómo 
i  prim  autór^  cb'a  Tàn  comensà  a  scrive  '1  Franséis,  i  trovóma  un'Infi- 
nità d' parole,  eh' al' ora  d'adèss  i  antendrio  pi  nén;  d' parole  ch^a  l'àn 
ramassà  dcò  lor  un  pò  dai  un,. un  pò  dai  altri.  SM  volòma  esaminò  i  prim 


010  PARTB  raoA 

Italiàn,  com  sarìa  Cino  da  Pistoja,  Dante  da  Blajan,  Fra  GuUón  d^Aréa, 
e  poi  motbèn  d'eòi  cb'a  l'àn  scritt  aprèss  a  lor,  quante- parole  j'incoD- 
trómne  provensalc  e  latine?  Voi  di^  cb'a  J^è  poi  nsùn  mal^  s'el  oost  parie 
a  partecipa  prinsipalmént  dritallàn  e  d'i  franséis,  doe  llngoe  a  nostri 
temp  ben  bcle  e  ben  famose  pr  I  gran  scritór  oh' a  j'è  stàje.  Seve  qual  a 
i'è  '1  mal?  'L  mal  a  Tè  ch^el  piemontéls  l'à  avù  la  dlsgrassia  d'esse  poe 
stima  dai  foreste,  e  trascura  tùt-afàit  dai  stess  nassionàl.  Ha,  tùt  curt, 
un  à  tùt  quand  ìin  pòi  esprime  con  un  ìingoage  comM  avòma  noi  tiìti  1 
nostri  sentiménl  con  natùralessa,  con  forsa,  con  grassia,  con  nobiltà. 

I  so  dcò,  eh' a  J'è  monsu  d' Montagna  ch'essènd  poc  informa  die  cpia- 
lità  d'I  nost  diale!,  a  na  parla  nén  trop  lusn,  e  dls:  Qui  $i  parla  ordina- 
riametite  francese ,  e  pajon  lutti  molto  divoti  alla  Francia.  La  lingua 
popolare  è  una  lingua  la  quale  non  ha  qua$i  altro  ch$  (a  pronunzia  ila' 
liana;  il  restante  sono  parole  delle  nostre.  Ma  i  voi  gnanca  pième  '1 
criissi  d'riprovèlo,  prchè  ch'avansa  una  cosa-chM  crdo  ^h'a  J  sfa  nsan 
eh' a  conossa  ncn,  chTà  pia  dcò  sì  'n  scapus,  com' a  n'a  piane  Unti  altri. 

Per  mi  i-5  senpre  crdii,  ch'el  dialèt  piemontéis  a  fussa  non  solaméot 
preferU)il  a  qualonqu'-àutr  ch'a  J  sia.  'nt  l'Italia  e  '«t  la  Fransa;  ma  ch'a 
podéisa  'nt  quàicb  manera  compete  con  la  llngoa  fransélsa,  e  con  ristessi 
italiana,  prchè  ch'la  nostra  gent  d'Gort  a  l'àn  sempre  usalo,  bench'a  sic 
tutte  prsone  ch'a  san  e  l'italiàn  e  '1  franséis  ugualmént  coma  '1  piemon- 
téis,. e  ch'a  ràn  bon  giist;  e  l'è  slcur  ch'a  l'avrip  nén  spetà  adèss  a 
sbandi  '1  nost  parie  da  la  Cort,  s'  l'avéisso  nén  "podu  esprime  al  itìr,  con 
proprietà,  con  polissia,  con  precislón  ogni  cosa  ch'a  J  podéissa  eapltè, 
e  fl^l'avéisso  nén  stimalo  un  parie  nòbll  e  propri  d'una'  Gort  tanl  rlspe- 
tàbll,  com  l'è  la  nostra. 

Còst  a  l'è  '1  molìv  ch'I  m'je  son  afessionà,  e  ch'i  5  dàit  d'man  ben 
volonté  a  fé  cost' òpera  tan  fastidiosa,  massimamént  poi  quand  1  ài  savù 
ch'S.  A.  R.  la  Sora  Prinsipessa  d'Plemont,  con  tut  lo  ch'a  sapìa  a  la  per- 
fessiòn  la  soa  lingoa  cosi  bela,  a  l'à  pia  geqio  al  nost  parie,  s' l'è  fasto 
mostre  dai  so  prinsìpi,  e  l'à  'nparàlo  tùt  ant  un  nén  d'manéra,  ch'a 
s' spiega  cosi  ben,  com' i  posso  spleghcse  noi,  e  a  lo  parla  con  piasi. 

I  osservo  dcò,  ch'a  j'è  tanti  e  tanti  d'i  nostri  Vesce  selànt,  ch'a  l'àn 
arcomandà,  e  ch'arcomando  ai  so  pàrochi  d' prediche  an  piemontéis, 
prché  eh' ràn  ricouossii,  e  eh'riconosso  da  una  part,  che  con  '1  nost 
parie  a  s'pol  conserve  la  dignità  con  la  qual  devo  esse  tratà  le  cose  sa- 
cre, e  ch^a  n' manco  nén  d'ìespressión  pr  caparèse  la  bcnevolensa  d' i 
udilór,  pr  de  adòss  al  vissi,  pr  anime  a  la  virtù;  da  l'àutra  la  necessità 
eh'  la  parola  d'Idlo  a  s' promulga  d'una  manera  ch'a  sia  a  la  porta  d'tntl. 
E  in  futi  com' mai  vole,  ch'antendo  l'italiàn  tante  fie  e  tante  fòmne,  tanti 
fioi  e  tanti  omini  ch'a  son  mai  andàit  a  scòla,  e  tanti  ch'a  J  son  andàlt, 
e  che  tùtl'dn  l'antcndo  né  tut,  nò  mès?  A  l'è  ben  slcur,  eh' le  prèdiche 
e  le  dullrtne  devo  esse  fàite  pr  tùti,  e  prinsipalmént  pr  le  prsone  igno- 
rante. S'a  volo  di  la  vrità  tanti  pàrochi,  tanti  predicatór,  tanti  missio- 


DlALBTTi  PeOEVONTANL  0 1  1 

nari,  oli!  clic  magiór  profit  L'àn  ricava  da  dop  eh 'a  s'sóu  bùiàse  a  pre- 
diche 4inl  nosì  lingoage!  Che  magiór  concórs  d'prsone!  Prché  cosi  a  s'fan 
aniende  da  tuli. 

Lo  ch'I  dìo  die  prèdiche  a  s'podrìa  d'cò  di  dMante  altre  materie.  Cól 
paisàn,  cól  idiota  ^h'a  fa  un  cens,  ch'a  dà  na  dota,  ch'a  compra  'n 
€lal)òt,  cb^a  fa  una  scritùra  d'òbllg,  un  lestamént,  s'a  Vk  d^antende  lo 
ch^'a  j' è  'nt  la  sccitOra,  bsognlo  nén  ch^el  nodàr  a  j  lo  spiega  'n  plcmon- 
Icis?  E  so-si  rè  ncn  upa  cosa  nova.  Goardè  'nt  la  crònica  dM  Monfrà  scrila 
da  Benvnu  Sangiòrs,  J  trovrè  ch^quatsènl  e  slnquanl'anl  fa  an  Ast  a  J'era 
l'usansa  d^spiegbè  'nt  M  Ilngoàgc  volgàr  dia  sita  i  ordinati  d'I  Consél,  e 
9''a  fussa  nén  fasne  la  spicgassióri,  l'ordinato  valla  nén.  A  Chèr  del  mlle- 
qtiaUènt  I  podestà  a  piavo  sempre  '1  so  giùramént  an  plemontéis^  ftll  1  5 
robligassión  d' coste  doe  notissle  a  Cin  v.er  amalòr  die  lélere,  ch'a  m'à 
dcò  grassiosamcnt  comtin|càroe  un  àutr  monùmént  d'i'istessa  sita,  ch'a 
rè  la  pi  vecia  qosa  ch'i  c'onossa  scrita  ant  nost  lingoage^ 

Ma  so-si  rè  nén  M  tut.  Non  solamént  a  s' trovo  d'antich  manuscrit  'nt 
la  lingoa-d^l  pais;  ma  anche  d'cose  a  stampa.  Fin  sul  nasse  d'ta  tipogra- 
fia un  Nissàrd  a  l'à  stampa  'At  so  dlalèt  un  tratato  d'Aritmètica  sì  a  Tùrln 
d'I  I49s;  Glors  Arión  iin  lìber  d'Cooiedie  e  d' poesìe  d'I  ia4o;  Bertromè 
Bràida  una  comedla  pastoràl  d'I  flttttO,  dova  introduv  an  sena  un  per- 
sonage  ch'a  parla  picmontéls;  e  lo  ch'a  v'farà  stupi  a  l'è,  eh' già  d'I 
fltt74as'è  stampàse  al  Hondvi  un  pcit  vocabularl  piemontéls  e.latìn  , 
ch'i  0  dcò  vist  con  piasi  ant  la  libraria  d'cól  sgnor  ch'I  v'o  nominàve 
poc  fa.  L'autor  d'cóst  vocabiìlari  Ve  Michel  Vopisco  napolitàn,  bon  lati- 
nista, eh' l'era  stàit  professor  a  Padoa,  e  *nt  la  prefassión  a  dis,  cb'j  era 
già  motbén  d'autor  ch'ravìo.uni  le  parole  italiane  con  le  latine;  ma 
nsun  fin  alora,  ch'a  l'avclssa  pensa  d'iinije  1  picmontéls. 

I  parlo  nén  d' tante  poesie  ch'a  son  stampàse  un  pò  si,  un  pò  là  a  nost 
rlcòrd;  ne  i  parlo  dia  famosa  Comedla  d'I  Coni  Piolètj  né  d' tanti  bei 
componimént  ch'a  giro  scrit  a  man.  Ora,  s'tiit  so-sì's'é  podùse  fé  fin 
adcss,  ch'pr  scrive  'i  piemontéls  J'era  nsune  règole,  e  nsùn' altre  maiiere 
ch'servise  dl'alfabèt  d'i  latin,  quant  pi  a  s'podràlefè  pr  l'avnìcon  Tagiut 
d'raia  Gramàtica?  Prcbè  i  spero,  eh' mia  Gramàtlca,  fasènd  conosse  un 
sèrt  numer  d'son,  eh' poi  ma  ch'esprlmse  con  l'alfabèt  piemontéls,  Ivrà 
tute  le  dificoltà  e  luti  i  dùbi,  eh' ant  'I  léslo  e  serìvio  s'incontravo  anche 
da  le  prsonc  leterale,  e  ch'a  san  ben  'l  piemoutéis,  prché  cb'flD  adèss 
ognun  a  l'à  scrit  a  so  caprlssi.  E  infali  i  o  osserva  tante  volto  ch'a  J  va 
tiila  la  pena  a  lesto  com'a  s'dev,  màssime  la  prima  volta,  e  ch'ansi  cer- 
litin  lo  stento  a  lese  dop  d'avèllo  scrit.  Pensò  poi  com'mai  a  l'avrìa  podù 
fé  un  pòver  foreste!  MI  i  penso  d.'avèje  trova  la  strà,  eh' fin  a  costi, 
anparà  ch'l'avràn  ben  'I  valor  d'Ie  litere,  a  podràn  léslo  ùgualmént  i>cn 
com  noi. 

L'è  ben  vera,  eh' ant  vari  lo  a  j  voi  la  viva  vós  d'I  magìster;  ma  'nt 
poche  lessión  tùt  a  s'Impara  con  fasilità,  ce.  ce. 


643  PARTB  TERZA 

1800.  Sian^o  lieti  di  poter  produrre  ih  Saggio  della  poesia 
vernàcola  piemontese  in  sul  principio  del  presente  sècolo,  un 
componimento  inèdito  in  versi  martelliani  del  più  rinomato  scrit- 
toro  del  Pamasso  subalpino,  vogliam  dire  del  celebre  mèdico 
Edoardo  Calvo,  autore  di  molte  squisite  poesie  vernàcole.  In 
esso,  oltre  al  pregio  letterario,  è  da  notarsi  l'importanza,  come 
stòrico  monumento  del  disòrdine ,  degli  abusi  e  della  corrozione 
del  tempo  in  cui  fu  dettato,  a  reprimere  i  quali  fùVono  appunto 
sempre  diretti  gli  scritti  di  questo  celebre  autóre.  E  siccome 
egli  fu  egualmente  grande  in  ogni  gènere  di  compotpimento  e 
ne' vari  metri,  cosi  a  pòrgere  bastévole  idea  dell'importanza 
della  letteratura  piemontese,  soggiungiamo  ancora  tre  compo- 
nimenti dello  stesso  autore,  vale  a  dire  una  delle  argute  sue 
fàvole  morali,  alcune  Stanze  contro  il  governo  francese  di  quel 
tempo,  ed  un'Ode  sulla  Fita  della  Campagna.  A  quest'ultima 
poi  poniamo  in  riscontro  la  non  meno  graziosa  parodia  del  si- 
gnor Prunetti  sulla  Fila  della  Città, 

li  primo  componimento  ancora  inèdito  è  il  seguente: 

j4  j  vèn  pr  tùit  la  soa 
0  sia 

jdrtabàn  bastona. 

Parti  Prima. 

La  sena  rapresenta  adès  una  gran  plassa; 

S^  osserva  da  na  banda  na  Cesa ,  e  a  s*  trova  an  fassa 

Un  porti  spassìós,  duv  a  s' fa  tùt  1  di 
.    Marca  dMe  sciele,d'  Pài,  di  c^,  e  che  so  m). 

Da  caot  a  j'^  'n  palàs  guarda  da  d'sentinele; 

A  rè  li  drint  eh' a  i  àbito  cule  tre  giojc  bele. 

Apena  a  s*d5rv  la  sena  a  s'vod  na  proccssión 

DM  Mamaluc  eh' a  marcio  tuit  con  d'petisslón. 

Chi  va  dame  giustlsla;  chi  va  ciamè  pietà; 

Uo  àutr  misericordia;  un  àutr  la  carila; 

E  tiiil  a  s'aucamino,  umll  com  tanti  can 

Vers  el  palàs  dov'abita  dispòtic  Artabàn. 

Trovo,  calànd  le  scale,  d'àitr  con  la  facia  smorta, 

Ch'a  j  dìo:  franse  la  pena,  si  la  Giùstisia  è  morta. 

Ma  pur,  con  la  speranza  d'esse  pi  fortuna, 

A  sèguito,  e  a  sdamasse  cui  povri  desgrasslà. 


.    Dtium.  PiDBfoirrAeM.  613 

La  sena  a  rapresenU  adèss  dol  slatise  vsin: 

Ma  dui  ùssié  a  la  iK>rla  uà  aèp^ro  I  confni.  --    - 

La  prima  è  l'àDtieèméra  del  pòpol»  tovrin, 

Ch'a  fuma,  e  ch'a  desidera  rudlénsa  d'AfUbèi»; 

Antórn  ale  rairaje  J'è  scrii  su  d'gran  cailèl:- 

Si  ttìti  comandóma;  i  ióma  Hiti  frèi,  . .  >■  - 

Ma  'nUot  vsìn  a  là  porU  cb'à  l^àulra  dà  ringrèss,  .  ^ 

Ipèrbole  e  Ironia  a  dàn  a  goii»  Tacèss, 

Disènd  a  chi  s'presenU:  CoU-n  Ve  *i  temp  (tiupèi;     • 

4dè»$  Artabàn  t'ócupa  ant  *l  C^mitàt  s^grèt, 

TYoUmd  i  affé  dM  Stat;  ava  nén  deitorbà;  ^ 

j1  a'àcùpa  d 'la  fnibliea  eomun  felicità! 

Coste  e  mile  altre  fròtole,  Uni  pr  tratoì-]e,  a  J  dls 

Ipèrbole  e  Ironìa^  gblgnànd  sot  ai  barbis. 

Ani  la  seconda  siansa  d  ìì  coroltèt  sfgrèt 

J'  è  Mustafà,  Arlabàn,  Rapina  e  Bijatèt. 

An  mèi  à-J'è  na*  tènia  parie  pr  le  sedilte; 

A  j'è  d'capón  an  sima,  d'^lbié,  d'pàstiss  e  d^lrQte^ 

D'sorbét  e  d' confiture,  tute  sort  d'vln  pi  bon, 

Tùt  lo  eh' a  sHrdva'an.  somma  de  mèlanf  là  stagión. 

Ani  un  cantón  pr  fera  J'è  4anti  sae  de  dné, 

E  un  pcìt  taulìn  ch'a  computa  Rapina  fl'Fliitoslé^ 

eh' a  s'àussa,  e  pòi  à  dis:  Ei  e<mi  oa  M  oAT^fÉbl;    ' 

'L  qualr  intra  ani  seni  mila  vittietine  vaie  ffUki: 

Sentènd  Io-li  .Artabèn ,  eh'an  bOM  eompagnia 

A  sta,  d'un:bon  capòn  fatènd  r anatomia, 

Rapina y  iève  matif  a  J  dis,  i  wfi  faHla; 

A  l'è  pr  Ire  eh' a  *'de^  dÌ9Ì4e  cui  »enl  milaf 

'L  qualr  j* intra  pr  niente,  -—  GenUria  makmtMnaj 

Toe  d'un  eùiònj  an  coirà  respénd  «lór  Rapina,  •     • 

E  pènslù  mò  eh'i  vója  fé  ma*  eh*  pr  Ula  papa?-  '   ^ 

1  so  nén  eoa* a  m'ièhaj  se  la  paeierita  m^$capa,    ■  •=»'';■*?»* r 

Da  una  parola  a  rèiitra  a  s^scèudo  ch'a  smio  iiMll(  *  '    '  ^** 

A  son  lì  pr  lirèse  quasi  ant  la  faela  i  piètt; 

Ma  Miislafa,  eh' a  Tè  pi  fnrb  e  pi  prudènt,» 

A  j  fa  segn  d'apasièsey  prchè  dMè  a  j'èd'lRfèDi,      '  '-••   ' 

E  a  j  dls:  Pr  emta  vota  Rapina  a  l'à;¥nkàn^K  *     •  •  -'  ^•'' 

A  l'è  giùstch'a$'di9ida  la  torta  an  qmit  pamtén;    ■  ^^  ' 

An  verità  a  s' lo  merita  j  eh*  l'è  *n  b<m  rUflàn  dà  dné; 

Crdej  a  saria  dipeil  trovèlo  a  rimpiaisè»    ' 

Un  bueonsin  parèi,  ogni  sino  di^  éio  pòet 

Su  l' istèss  pè  i' a  sèguitOj  sempre  l* avrà  $ò  tèe.  f 

CapasUà  Artabàn,  dà  na  feflò  ai  barbis;  . 
Ven  sìy  Rapina  j  basme;  tumuma  bon  amis, 

42 


•»  •      .•  ' 


614  PARTB  TERZA 

Uentr'a  soo  lì  oh' a  maAglo  tGII  quatr  anl'na  scQdela, 

Pr  na  segreta  porta  j' intra  oa  g^ùjpà  bela. 

ildèii  i  aon  da  chUa;  i  àèho  ma  ek'na  vota. 

Dia  Artabàn;  lÀUtàriag  eamitagna  d*ià  ala  fola.    . 

Ma  antàot  a  aon  tre  ore  chM  povri  ManalOc 

A  8' trovo  ant  l'anticàmera,  e  a  htio  a  sia 's' fio  sfic, 

Asptànd  ch'a  la  fialssa  eoo 'I  dovui  rlspèt 

La  graq  seduta  màgica  d'I  comilàt  seg rèi. 

Qhaicduo  chM*è  vsio  d'Ia  porta,  a  J.smia  senti  d*aniiòr} 

-L'àntr  cb'a  Tà  'I  nas  pi  Iting,  a  senle-bon  edàr;     - 

Ud  a  comensa  a  -dilo  a  n'aotr  pian  ant^n^orìa; 

An  i'un  moment  un  mormora,  n'àutr  giura,  n'avir  bsbU. 

Ipèrbole,  eh' a  osserva  luti  cui  muviméhf , 

Fa  finta  d'  nlent,  e  sghia  d' là  lesto  pr  iìn  moménl. 

Padroni j  eh* a  i'digagio»  eh' a  vena  df^à  martìdt; 

S^nòj  i  Uamalùe  a  iniroj  e  ai  eiàpo  tf«Jii4  fàiL 

Anlora  tuit  esclamo:  O  che  fotu  tnUté 

L'è  mai  eul  d'eite  prtHiil  a  $'pol  jd  gnanc  mangè! 

D^e,  eh'adèii  i  andumo;  e  H,  licbio,  ilebii. 

Fan  dspariè  la  tàula,  e  porle  via  i  tasclièt; 

E  poi  a  s'^esto  titi  d'I  manto  dMMmposlura, 

E  da  gran  òm  d'aOé  eompono  la  figiira. 

D'antórn^  ^,4èle  ewi»  a  Tàn  pr  oonsultór 

S6spèt',  BaplDAy  OrfOf Uo,  Ipocrisia,  livór. 

I  Mamalue  a^lnehlno»  spòrsènd  sóe  pttÌ8Si6n; 

Lor  fan  grassla  d'arsèlvje  con  aria  d^proteseión; 

A  8' degno  gnanca  d'iésje,  lant  men  d'éenli  padè: 

Guardrój  pensro  s'a  i  dijo:  tome  da  iì  q^ààio  di. 

(Avansè  pur  la  pena,  ch'tant  n'avri  pà  d''pi; 

8' a  sUrata  d'na  bon' òpera,  con  seria  sort  d'gènt, 

El  temp  (ùtik*  J'è  sempre,  ma  mai  a  yè  U  presèdt.) 

I  povri  Mamalue,  vedènd  che  l'asnaria 

Comensa  aodè  al* incanì  bin  d'pi  d'Io  eh' a  bsognria, 

Dan  un  racòrs  a  Giove,  pregàndlo  pr. pietà, 

Ch'a  I  libera  'n  pò  d'una  d^^i  tre  can  anrabià. 

Giove,  ehM'era  già  gonfi,  savènd  eh'  s'a  i  podio. 

D'un  del  a  vorio  sballo,  e  fèse  lor  tre  Dio, 

8'arlama  'n  pò  M  brsje,  e  con  un  tón  seriòa 

A  dis:  d' la-mia  giSiiisia  ouervè  un  colp  famòs  I 

I  vad  traiife  adèii^  eom'i  ó  tratà  un  gigànL 

Dit  lo,  a  lassa  corre  un  pel  altitonànt, 

Ch'a  slrissia,  e  ch'a  j  presipita  sMa  lesta  com"l  tròn; 

A  i  fot  giii  da  sui  Irono,  e  a  I  fa  reste  d'cojòn. 

I  Mamalue  alora  resto  smamaiùcà; 


DlàtBTTI  KDBIIOIITà?!!.  ftiV 

E  quand  6n  (Teal  tre  passa  pr  li  pr  Ì6  eontrà, 

A  8' bùio  tfilt  a  rie;  p  qaaod  a  J  «ob  da  vslo , 

Eco  un  d' cui  primi,  a  dio,  eh' a  «oi»  dvUUà  Jrlkhir^ 

PAETB  SiCOIIDA. 

A  s'vdd  na  gran  eonlrà  eoa  d'porij  fin  al  fònd. 
Da  cant  tempio  d* Minerva;  a  I  va  su  é  gli  d'graii  mònd. 
A  sMéz  tacà  ai  pllàatr  fin  scrii  an  italliu: 
A  i  vèn  pr  tuli  la  soa^  $H*è  nén  ancSij  domdit  (f)w 
La  vòlp  a  perd  'i  pèii,  ma  perde  U  vissi?  Oìbòì 
Tot  àitr  sana  confns;  ma  rAttabàn,  sor  no: 
Clilàl  cli^a  l'à  i  dné,  s^n^an  fot;  pi  fler  cVun  aso,  un  nui, 
A  marcia,  cti^la^ei^nisa  a  J  teca  gnanca  M  cui;  ' 
E  sentiènd  chMe  sacoeie  a  son  tfit  àutr  che  flape, 
A  va,  eh' a  smia  eh' a  ti^  fin  Paria  con  le  cispe. 
Ma  cui  cert  scrlt,  eh' a  s'Iéz  tacà  su  pr  i  eantòn, 
A  r  eccita  an  i'I  pfilHIf  diverse  riflessiòn. 
Generalmént  a  s'dis:  ^/  $*lò-l^fUua  oer*^ 
Miraco,  ma  quaicdun  eh' a  van  con  atta  fiera 
Msurànd  con  insolensa  da  eap  ape  ia  ghif, 
Miraco,  tanti  làder  eh'avipo  ùnpuneméni^ 
TantiG..J  maeuiivalof  al'èbeÌ0fMf  *  ' 
L'è  morta  la  giustiaia,  e  cM  l'à  afm,  ti  omì. 
Sentiènd  tante  beslémle  ch'a  s^dis  pr  la  sltèt 
Un  òm  sessagenari  con  dui  gran  slgn  crosti. 
No  noj  eh' a  l'è  nén  morta,  a  dis,  l'è  un'ereektj 
Poi  nén  muri  giuitiisia;  quàie  vota  al'è^'ndénma; 
Ma  l'è  tant  pi  teribil,  quant  pi  a  l'è  iarda;  e  a  $*  iroea 
D'  vote  mane  ch'Uni  penta;  i  n'a  pedré  laprópa, 
A  J  passa  lì  ant  cui  mentre,  con  n^arla  da  scop4ss^ 
Fier  Artabàn,  pretènd  eh' a  J  cedo  tuti  '1  pass. 
Cui  vèl  a  J  pensa  gnanca;  chiàl  d'  sòl  a  J  dà  ^n  bftlAii  ; 
Aniora  '1  vèi  a  s'  vira,  e  con  un  ben  bastòn 
8ù  cule  ex-regie  spale,  invidia  di  purtor,  -  * 
A  J  mola  na  quatrena  d'  sarache  propri  d'  eBr* 
Chiàl  a  s'Ia  sua  tute;  vorèlslo  dèineaseonl 
Una,  eh'  V^  una,  a  s'  poi  disse,  eh' a  va  néa  •■  flialora. 
A  s'  forma  ant  un  moment  d'antórn  usa  etrona 
D'I  pòpolo  sovràn,  eh'  lo  gnarda  e  lo  cojona. 
Cust-si  saria  'I  moment  de  vedde  a  Pevldensa 
Ch'i  avi  l'amor  d'I  pòpol,  la  stima  e  eohfldeosa! 

(1)  Tìtolo  d'una  Comodia  èht  si  iipprtMDtaTa  in  «^IPisteiio  giorno. 


01  ft  KimfK  TERZA 

Ma  a  8on  lanle  b&tie;  la  cosa  a  Tè  contraria; 

Di  vostri  amis.a  l'è  Parmiida  Jmagioaria; 

Durvi  'd  pò  1  of  na  vota,  guardè:  d'i  vòster  mal 

Tuit  rio ,  e  crio  :  Rèplica  m  richiesta  ùnivenàL 

Tra  ie  risade,  i  rèplica,  e  *l  son  d^  le  bastona 

A  s'  sent  lontàn  dui  isole  'I  tapage  ant  la  conlrà. 

Filosofia»  cli^a  s^  trova  da  li  quatr  pass  lontàa, 

A  cà  d'  Minerva,  i  ciama:  C/i'  diwo  èio  eh'a  fan? 

E  intani,  cuin*a  l'è  i&ikina]»  cQrlosa, inanco  mail 

Cor,  pr  andò  dunna  «  vedde...  ma  quasi  cb'^a  J  vèn  mal. 

Qoand  a  sent  cb' un  filòsof  d'  la  posta  d'Artabàa 

A  rè  stài!  sott'  ai  portj  russe  gi&lt  cott^ao  can. 

Filosofia  esclama,  gridèad  anta  vendetta: 

S*a  $'  na  dà  nén  n^  esempi  j  pericola  li^  sella.' 

Su  (ève  anànij  o  dott^  filòsof j  ciarlatìmj 

yhij  mendiche  le  ipale  contuse  d'ÀriobànJ 

Ma  tati  cui  piidrooi ,  studlànd  I  vers  d^  Caldo, 

Scapànd  i  armór,  s'Ia  sbrigo  dare  d^lprlm  cantén. 

Poltrona  alora  esclama  Filosofia  sdegnosa  \ 

Fora  9oi  àitri  donca^  o  gioventù  stùdioeaj 

Fot  àitr^  cA'tm  diprun  Urs  sé  fa»e  imi  onàr^ 

1  vendicri  9oi  àitri  Vinèult  d'un  professor, 

Respónd  un  d'  ool  Uardassa,  cb^a  rè  pi  cb'l  altri  ardi: 

Noi  àitri  i  s'  itnUriod'  fèto  eh'  *'è  fosse  un  di; 

Ma  adèsSj  con  vùsira  vènia,  siira  Filosofia^ 

Sùffri  ch'i  9*  dio,  eh*  la  causa  l'è  pa  pi  nén  paria. 

jinlora  ant,  'IMcèó  i>urio  fé  *n  urs  baie; 

S'I  bai  Vi  suta  ai  por^,  N  nén  di  nostri  affé. 

Piena  d'  dispèt  e  d'  rabbia,  Filosofia,  e  d^  sagrìn, 

A  s'  mord  i  pugn ,  e  smania ,  a  s'  scar^cnta  ]ì  crìn. 

Vedènd  na  tal  catàstrofe,  pia  dala  compassión, 

Sort  da  'na  speasieria  fliòsof  Epiplón. 

A  j  vèn  aprèss  aò  pare  con  un  sanìn  d*  cord  lai  ; 

Filosofia  lo  ciùccia,  a^J  passa  'n  poc  so  mal. 

Antera  cui  fliòsof.  Mia  caea,  avèi  pctssiemaj 

A  j  dis ,  noi  eh*  i  V*  parlóntOj  ptarlóma  pr  esperiensa. 

Cui  tal  ch'à  smi9»a  un  vèi,  eh'  l'à  dàit  te  bastona. 

L'è  la  Giustisiia  stessa,  l'è  na  divinità. 

Cui  so  boston  l'è  un  Ègida  eh*a  fa  reste  impietri: 

Me  pare  a  lo  poi  (UdIo,  i  9*  lo  póss  dir  mi. 

lAUsè  donca  eh'a  fossa  GiùstiÉsia  tuit  so  curs, 

A  9oi  cosa  v'ampòrtio,  eh'a  gal9anizo  un  urs? 

Filosofia  convinta  a  lassa  andè  IMmpègn, 

E  pensa  d'  riservèse  pr  quale  sogèt  pi  dègn. 


N 


niALnn  p»nK>KTA!^i  617 

* 

Ad  mcz  ale  ricade  da  Tira  soffoca, 

Ciapa  Arfabàn  In  porla*  e  va  piòrànd  a.eii^ 

A  f^se  baftsinè  dop  cula  Aera  omión , 

Ch^a  rè  lo  ch^j  andasia  pr  fèlo  re  da  bòn. 

I  spetatór  a  venero  la  Providenaa  aleroa,    .* 

eh' a  cui  ch'son  degn  d^  la  pena  a  teni>  e  Id  ]  la  gaerna* 

Glùstìssia  cambia  d^  forma,  mostrànd  àò  ver  aspèt^ 

Fasènd  silenzio  a  tuli,  proclama  so  decrèt. 

DbcrAt  ' 

Considerando  eh' a  m'ordina  suvènt,  pr  d'  fin  profónda 
,   La  savia  Provldensa  d'  scompari  dal  mónd. 

Quantùnque  lo -lì  a  sìa  pr  vedde  solamént 

Fin  duva  a  polo  giunze  i  vissi  d'  seria  gèni, 

Ch'  a  j  lassa  a  bella  posta  ampì^  la  sua  m'sura; 
"W  a  i  paga  d'  vote  lard ,  ma  a  i  paga  con  usura  ; 

eh' a  s'  vod  an  conseguensa  le  birbe ji  trionfa. 

Quantunque  i  so  trìònf  a  posso  non  dure. 

Con  tot  lo  a  m'  capàsita,  ch*i  bon  eh' a  s'  trovo  opress, 
'   Contra  d'I  Ciel  a  mormoro  come  an  capita  adcss; 

Che  bin  eh'  d'altri  esempi  eh'  già  Pan  passa  s'io  dasse 

Sì  pochi  pass  lontàn,  a  s' son  nén  emendasse 

Cui  serti  làder  public,  cui  serti  spìrit  fori, 

eh' a  j  dev  tochòje  a  tuH  sicur  la  stessa  sort; 

eh'  ansi  a  fan  pez  ancora,  e  che  pùblicamént 

Insulto  ncn  ma  ch'i  omini,  ma  Dio  Ponnipotènt; 

Conslderànd  eh' a  importa,  s'a  s'  pòi,  d'  prevnì  i  delìtt, 

Dag  órdin,  e  i  decrelo,  ch'avenna  subii  scritt 

El  fallo  memorando,  la  vergognosa  islj^ria 

Ch'  j'c  capita  a  Artabàn,  pr  rèndla  pi  notòria; 

eh' a  sia  scritt  an  doi  lingue,  tacà  s'  tùli  i  cantÒB; 

eh'a  deva  publichèla  pr  lùt  'l  mond  M  tròn; 

eh' a  tute  nov  le  Muse  s'  na  deva.dèsne  part, 

eh'a  sìo  informi!  dcò  tute  le  slenze,  e  tute  I  art; 

eh'an  Cesa,  fin  sul  pùlpit,  a  s'  deva  pùbiichèse; 

Dai  birichìn  eh'a  s'  deva  pr  le  contrà  eantese^ 

Pr  rèndlo  ancor  pi  public,  e  pr  cb'àna  sentensa 

A  pòssa  altestè  ai  pòsteri  i  elTèt  d'Ia  Provldensa. 

I  voi  eh'  a  devo  sùbit  Polìss  e  Tribunal 

Pie  cognissiòn  d*l  fatt ,  e  scrive,  e  fé  d'  v.erbài. 

Espressamént  pòi  i  ordino  a  luti  cui  eh'  a  l' ào 

Da  giùdichè  la  causa  d'I  bastona  A rtabàn , 

Ch'a  penso,  an  giùdlcànd  con  el  pi  gran  rigor, 

eh'  s'a  vèn  la  sòa  pr  1  àitri,  a  pòi  dcò  vni  pr  lór. 


018  fAATB  TWtML 

AnfiD  i  dag  llcensa  a  i&U  1  Sagislràt 

S'a  vdlOy  d^  beDedìJe;'iDa  1  vói  eb'a  dventa  malt 

Tur  dm  eh' a  J  véna  an  testa,  cfaiunqoe  bmÌ  stri, 

D^  levèje  da  ale  apaie  na  sola  battona. 

Comando  Unalménl,  ch'a  a'  dera  ant  euat  piÌMìr 

sabit  mnrè  sa  lèpide  d'  granit  o  d'alabàstr, 

An  80  la  qua!  a  s^  féia  a  lltre  cubitali 

Spere  ant  la  Pracidmuaj  o  oaij  ch*i  iè  *ni  i  ffuài; 

dùittiiia  a  l'i  nén  morta;  mane  eh*  un  j  pema^  a  t'  trova, 

1  voih'  trionf,  o  birbe ^  san  cùrt^  n'avi  la  prova; 

A  ivèn  la$óapr  tuti^  $'  l'è  nèh  aneoij  domàn. 

jineói  afe  arrivàje  la  9Óa  pr  Jrtai^àn. 

Taeà  ai  orìe  tacchèvej  o  ielmrà  impoitùr: 

A  I  YÈN  Pa  TUIT  L4  804:  VlBHT  VOUE  CBACim  lOR  Tooat 

Fra  i  molti  componimenti  poètici  di  qnesto  autore  emèrsero 
specialmente  le  sue  Fàvole  Morali j  che  pnbticò  in  dae  fascicoli, 
e  che  non  possiamo  abbastanza  commendare,  cosi  per  T  origi- 
nanti del  concetto,  come  per  la  morale,  per  lo  spirito  e  per 
l'eleganza  e  spontaneità  dell' esposizione.  Eccone  on 

PAULA. 

r  Intendènt  e  7  Alt  (4  j. 

Vera  Tan  dia  créaasión  mila  e  tnènt, 

cioè  dnans  di  diluvi,  i  animai 

L'avio  la  parola  e  U  sentimént. 
Ansi  J  è  chi  pretènd,  ch'ai  Paraguèi, 

Ant  'iMiaslasipi,  ancora  adèss 

Le  bestie  e  I  abitènt  a  parlo  ugual. 
Cosi  suta  cui  clima  a  l'è  permèss 

Ai  givo,  al  prpojin,  al  can,  ai  gatt 

D^  risponde  biff  e  baff  al  re  istèss. 
E  mi  an  V  vtù  manQscrìt  ruslè  dal  ratt, 

I  rèi  truvà  na  nià  d^  sii  racònt, 

Ch'a  son  tuli  dati  dai  seni  e  quatt. 
Fra  i  altri  a  J  n'era  fin  lèpid  pr  V  apòni 

Tra  dn  Pul  e  n' Intendènt,  ch'era  Comést 

D'  Serse,  M  qual  regnava  s^  l'Elespènt. 
Sto-si  l'era  un  fachin  costrut  esprèss 

Pr  stè  con  la  canaja  sul  cantón 

A  ramasse  i  stivai ,  vende  se  stess. 

(I)  Il  pidocchio. 


k' 


.....  *  - 

DiAunm  PBMiioirrAPii.  619 

Mi  pur  la  bonna  grassia  d^  so  patron 

L'à  fÀDe  un  Intendènt  lì  su  dui  pè« 

Con  spa,  prùca  e  visti  caria  d'  galón. 
Sensa  conosse  ToidIm*  d'  so  meste, 

Savènd  apenna  scriire  e  fé  so  noni| 

L^è  stàii  an  do  'a  Ire  di  brav  finansié. 
ScortiaTE  tant  i  rie,  cum  i  povr*  òm; 

Creava  pgpl  stagión  di  nòvi  tass; 

Tratava  cui  pais . . .  nos-Sgnùr  aà  comi 
Vistièndse  od  dì,  s'è  visi  cure  aa  iin  brass 

Ón.ptti:  mez  an  riànd:  E  ti  birbànt, 

A  J  dis ,  «Mi  me  galón  V  na  oos  a  Mpaaf 
£  ered$lù  fors  ch*i  sia  un  memdicàiU, . 

Un  go.  Un  àm  d'ia  plebe,  ùa  4i9grauià, 

Un  tàianeghfangas  un  pòver,  un  furfemiT 
A  l'è  eula  geni  U^ek*  eon  eonéium 

A  èsee  rùàià  pìp  dot  perm,  dai  jmi. 

Ma  nén  w\  òm  ek'a  l*à  l'or  a  pala.  -«- 
Che  gran  dUtamaJ  èlo  pai  ira  nuit 

L'àirtr  a  j  rispónd  ;  aavìve  forti  nén-^ 

Ch'i  urna  l'iilése  ànpiég,  e  mi,  e  tmir 
La  diferenea  a  l'è  tra 'l  pi  e  'l  mm^ 

D'I  reetnui  i  pIpuhki  e  Vim  t  l'àui 

D'i  iang  d'  la  pamra  gèni  e  d'I  aò  ben. 
E  com  ani  la  natura  un  mangia  Ifàni, 

L'aràgn  mangia  la  moeca,  e  pai  etrunèi 

Ciapo  l'aràgnj  e  pò  'l  farchèi  pi  àul 
Grimpa,  quand  a  j  arri9a,  i  altri  otit ^ 

Fin  tant  chH  $trù$8,  o  l'aquila,  a  'l  milàn 

Divaro  pò  'l  farchèt  da  ban  ftalèi; 
Cosi  l'è  pi  che  gOUt,  che  un  pui  pianipian 

A  rùsia  pr  dritt  public  n*  inlendini 

'L  qutU  l'à  già  ruiià  'l  gèner  umàn. 
Olire  d*  ló-Uj  nui  dui  euma  parènl, 

E  mi,  s'i  l'ai  da  dive  la  vrità, 

1  san  vostra  progenie  an  dissendènL 
Mi  san  nàit  da  no  lendna  ma  eh'  Jér  d*  là. 

La  qual  a  l'è  pòi  fia  d'  cute  fol^ 

Ch'  i  aoie  ani  i  caeèi  qumdes  di  fu. 
Dit-lò,  'I  pui.  vola  via,  e  i'àuL  sonai 

A  .resta  tùtt  broda  con  tanto  d'  oas, 

Seoliènd  ch'I  poi  e.cbièi  a  Tero  ìigMi, 
E  fàii  d'  IMstessa  pasta,  e  d'  Tbtéss  tas. 


620  PARTE  TERZA 

.Peiissión'  d' i  Can 
ali*  Eceelensa  Ministr  d*,  la  PoUxs. 

Eoceieosa,  ilustrÌMim  ftiUctio, 
Cosa  i  àne  mai  faje  ì  povri  can 
DI  eireondari  ed'  la  sita  dM*urìn, 
eh' a  *1  1  voi  tùli  mort.d^ancd  a  domin, 
DliI  pi  groaa  Cora  fin  ai  pi  peli*  Ooghìn, 
Sensa  goanca  buie  un  ComikUràn,  • 
Gh'  rè  pr  casi,  o  pr  cui  fùt  deiii, 
Ch^a  n^  condada  a  la  mori,  e  a  n*è  proscrìt? 

An  eoDCluaiÒD,  i  suina'  luti  uguài; 
La  lege  a  rè  pr  tuit,  o  luralmane, 
S''al  rè  nèn,  a  dovria  esse  parèf. 
L^àn  dìlo  i  ciarlatàn  fina  aul  banc, 
Ch'a  fé  gluatissia  giusta,  mai  e  poi  mai, 
(Scùsème  s'i  parluma  un  po'  trop  frane), 
Tant  aut  'i  Criminal,  ch'ant  'I  Clvil, 
A  s'  dev  condanè  gnun  sensa  sentii.' 

Cli'a  sospenda  Gin  moment  ddnqae,  £ccelens.i, 
E  eh' a  n'  lassa  parie  prima,  e  eh^a  n'  senta, 
D'nans  fé  esegui  €u1a  fatai  sentensa! 
Ch'a  lésa  i  nost  pape,  e  ch'a  s*  conten' 
lyesaminéje  bin,  e  p5i  ch^a  pensa, 
8M  uma  tort,  o  rasòn  ciàira  e  patenta; 
£  s'a  l'è  nén,  parland  con  poc  ris'pèt, 
Na  vera  -porcaria  cui  sé  Decrèt. 

Tùt  nosir  delit,  da  lo  ch'i  uma  sentì, 
A  consìst  poi,  eh' un  d'  sti  di  passa    ■ 
Un  can  a  rà  raordii,  andasànd  pr  li, 
Un  gal,  ch^a  svolastrava  ani  na  contro. 
Cust  gal  becco-fotu,  per  nén  di  d^  pi. 
S'è  botate  a  crié  eh'  l'era  anrabià. 
Chièl  a  drìttura,  prché  a  l'era  un  gal  » 
A  voi  fé  un  cagnisldi  ùniversàl? 

Già  ch'a  l'è  vera,  i  Io  negóma  pa, 
(Ch'an'  casca  'I  nas  s'i  dióma  la  bùsìa) 
Ch'i  suma  dal  pi  al  mane  tuli  anrabià; 
Ma  a  rè  nen  nostra  rabia  idrofobìa j 
Nostra  rabia,  pr  dila  com'a  va, 
A  l'è  un  mal  nóv,  ch*a  s'dis  Gallofobia, 
Pr^dòi  da  l'odio  ch'i  uma  centra  i  Gal, 
Autor  d^  Dostre  miserie  e  d'  nòstri  guài. 


;  ■<• 


DIALETTI  PCDEMOMTANI.  6^1 

* 

A  dcv  savèi  chM  gal  ajit  nost  p^ìs 

Son  sempre  stàltcl^bsèi  d'  catlv  aCguri  ; 

eh' a  SOR  considera 'co m  d'  iiH'mis 

Ant  la  sita,  an  campagna,  ani  i  tuguri; 

Guài  dov^a  ficco"*!  b^c,  magara  amb, 

A  ràn  pi  gnun  rigu&rd,  a  son  d^  diurf; 

A  s^  poi  pi  nén  regnè  né  di,  oè  nSìl,    ' 

fin  cb^'un]  torsa  Tcòl,  ^  eh'' a  sio  coit. 
Pr  podèje  Inirè  ant  cÀ,  sti  bosàrón 

Dan  da  Intende  CìiPa  veno  pr  guarnè, 
.   eh**  a  saràn  vfgilànt,  e  ch*I  padrAn 

A  poi  djQrmì'tranquil,  e  fé  1  s6  afl!è; 

Ma  gik\  s*a'j  créd',  é  guaU'a  fa  '1  cojón; 

Ch'a  s^androma  un  mbm^nl!  costi  sparve 

A  j  salito  al  còl  col  bèc,  e'^a  J  ga\'o  I  6\ 

Sensa  ìnlserieordla  ni  parò,  e  ai  fioi.       / 
E  poi  aprèss  a  s'  bGto  a  sganassé, 

Cum  s*à  Tavèlsso  fàit  quàic  coita  d^  bel. 

Dì  iin  pò  ch^ùn  a  s^  ^orèiss  ma  eh'  lamentè? 

Aniora  si  cVa  fan  un'Idei  ciadèlt 

Aniora  a  s' parla  subii  d* amasse, 

E  pr  tormént  maggior  e  pi  crudét/ 

Pretendo,  ch^a  J  dìo  ancor,  biri  pbVgà! 

D'avèìye'gavà  i  51^  e  assasslilà. 
Noi  àitri  chM  Tavóma  pr  natura 
.  L'istìn^  d'isse  fedél  a  chi  n*  dà  d'  pan, 

1  lassiima,  Eccelensa,  eh' a  s*  figura, 

S'i  poduma  suffrì,  bln'  ch'I  sìo  à'  can', 

'N  ihgiùstissia  tanl  néira  e  tanto  dura , 

Da  d'  futu  gai,  ch'^a  veno  da.  lòàtàn 

Afàiri,  spliifrì  e  tuit  piéh  d'  prpuìn, 

Pr  vni  a  robe,  e  comande  a  TiirihI 
1  diroma  nén  àut,  eh'  sti  balòss, 

Dop  d'^avéje  mangia  e1  bon  e**!  mèi, 

Dop  d^avcje  roba,  ma  giù  a  Tlngròss, 

Tute  le  provislón  e  '1  fondo  véi , 

A  pr  tendo  pr  lur  fin  cui  qualr'*  osé 

Dscarnà,  dspolpà,  ch^a  smìo  d'  ràstei, 

E  eh' a  son  sempre  stali,  cuna  a  sàràn 

Fin  ch^  mond  a  sarà  mond,  roba  d'i  can! 
Son  nén  contènt  d'avèine  pia  la  nel, 

Mangia  le'carn,  el  coìr,  If  frlc^sSa,' 

D' avèine  ciùccia  *l  sang ,  i  6Ì  e  *i  servèl  ; 

D*iEiVèlne'scÌatti|iaIrà  fin  fora  d'cà; 


6)i  PAKTt  naiA 

0'  avèlne  roba  '1  pan,  butà  a  rabèl 

Pi  d'  lo  ch^a  fusso  lor  d'oans  d*  vnì  an  sa; 

Ch^  a  volo  sta  geoorla  malandrbia 

Fin  plèoe  i  oss  pr  fèse  d^  .geiadlna. 

La  passleiisa  a  va  bin  fin  a  ^na  iDira; 
A  8^  sofr  IlD  ch^a  s'  poi;  ma  al  fin  d'I  Ad 
DU  et  proverbi:  A  tèkmctk  thi  frop  IJra. 
I  urna  Alt  Doslri  cont«  e  pensa  bla , 
Cb'  pr  muri  a  pcit  fo»  rùslà  da  Pira, 
Pes  ch'i  séiàv  aol  le  man  dM  Tfinisìn, 
A  Tera  mèi  virèje  un  poc  1  dent. 
Posto  eb^uD  dev  muri,  muri  contènt. 

Chi  rà  sercàne  1  prim»  a  soq  stàit  lor; 
Noi  altri  senslblor  stasio  taot  blol 
A  pena  a  f(*  son  flcàse  st'  Impostór, 
A  n*è  tocàae  d^  fé  la  mala  fln. 
Lor  pretendo  la  vita»  I  dné  e  Tonòr; 
Dunque  a  d|Je  so  nòm,  son  d'assassin; 
%  a  mostra  H  drit  d'  natura  e  cui  d'  le  gèni, 
Srùn  a  V  voi  morde  U^  ti  tirU  i  dènL 

Noi  I  uma  dit;  adèss  a  toca  a  voi 
A  decide  la  cosa  Imparslalmènt, 
A  gludicbè,  chi  abia  rasón  dU  dol, 

0  i  povri  can,  o  I  gai  impertinènt; 
E  s' cula  arsela  eh'  i  avi  fòit  pr  noi 
A  convèn  nén  a  lor  pi  glustaméAt; 
B  8'  pr  Ani  ant'  na  vota  tuti  I  guai , 
8Via  nén  mèi  tire  n  còl  a  tùU  i  gai? 

Ma  noi  altri  I  clamóma  pa  nén  tant« 

1  suma  pi  diserei  d'  molo  bin; 

Ch'a  ciapo  ma  eh' so  cui  con  le  doe  man, 
Ch'a  vado  al  diavo  lor,  e  1  so  prpuìn^ 
E  ch'a  s'  fermo  mal  pi  fin  ch'a  saràn 
Tant  lontàn,  cum  adèss  a  n'  son  da  vsin. 
Ma  Io-li  va  falt  subii,  e  l  glùròma. 
Basta  ma  ch'a  s'  na  vado,  1  perdonóma. 
Ma  8'  mai  1  pretendèlsso  ancora  d'  stè« 
A  r  avràn  mal  pi  pas  su  nostra  tera; 
S'i  v51e,  I  sé  padron  d'  fène  masse; 
1  miiriruma}  ma  a  sarà  mai  vera, 
Ch'  i  molro  da  poltròn.  Tùtl'Cin  a  Tè: 
Murlruma  glorlòs,  fasènd  la  guera, 
E  guera  a  mori,  levèvlo  pur  d'àn  testa, 
eh'  massrè  ancor  so  nimis  Tultlm  ch'a  J  resta. 


màURi  PBDBtfOirràiii. 


095 


Su  la  i?ita  d*  Campagna. 

Ode  d' Calvo. 

Com  rè  mal  lèpida, 
L^è  mai  )>agSana 
Cl'idea  cli'à  stasaica^ 
La  rasaa  umanày 
Ch'ani  la  metrèpoii, 
Dov  le  gèni  vivo  » 
Sussuro  e  bulico 
Parèi  d' i  givo , 
Cula  sia  runica, 
La  mèi  manera 
D'vive  an  sMa  teral 

Prcbé  eh*  là  a  s^'pràUca 
D'gran  pereonagi, 
J'è  d'cà  magnìflche 
D'bei  echipagi, 
D'^butegbe  splèndide 
D'gran  elegansa, 
D^magìster  d'jnusieay 
DM  mètre  d'dansa, 
L'è.pien  d'^oréflci) 
D^  meste  eh'  frastorno 
D'soldà  ch'tamboroo. 

Èia  pur  r  ultimai 
Pi  gran  arsursa 
Porte  con  ènfasi 
La  spà  e  la  bursa? 
L'avèi  d'ia  sipria^ 
p*  visti  eh' a  lùso, 
Tratè  d'beiìssime 
Ch^s'ampiastro  'i  muso? 
Vive  da  machina» 
Sdiàv  dM  caprissi» 
D'i  pregindissi ? " 

Cos  mai  signiflcne 
Tante  fandonie  » 
Tichette,  règole 
£  si  rimónte? 
Tute  de  visite 
Pr  conveniensa , 
Smorfie  ridicole 
Fàite  an  cadensa? 
Sechèse  a  F  Opera , 
A  la  Comèdia 
MOri  d'inèdia? 


Sii  la  finita  d*Siià. 

Ode  d'Peurìt. 

Com  rè  bisbètica, 
Com  rè  mai  drola 
L'idea  eh' a  domina 
Certi  badola , 
Ch'ant  le  vilòtole, 
Doa  s'fà'na  vita 
Gofa  e  patètica 
Parèi  d'i  armlta, 
Là  sol  a  sWègetà, 
Là  ma  eh' a  s'goda 
Ant  la  mèi  moda! 

Prcbé  eh' là  a  s'tràflga 
Con  d' teste  dure, 
S'ved  die  cà  sèmplicf, 
Gnune  vitiìré, 
D'bu teghe  tòpiche. 
Mén  d'simetria. 
Là  j' è  nèn  d'musica» 
Né  unbalch'érvias 
J'è  nsun  órèflcfy 
GnQa  meste  an  moto,  ' 
Né  d' soldi  cb' trofèi 

Élo  na  màssima 
Tanf  d' importansa 
L'esse  misàntropo 
Sensa  elegansa? 
D' lasse  la  sipria, 
1  àbit  eh'  a  lùso  y 
Pr  d'fumne  rustiche 
Cu  verte  d'rùso? 
Vive  da  làpari 
Sèiav  d'un' idea 
Cosi  plebea? 

Senne  nén  lèpide 
eie  fiere  jìsànse 
D'I  Cinic  Diògene, 
Gè  mal  creanse  - 
D'mai  vede  'n  ànima 
Sensa  interesse? 
Nén  descompònise»- 
Mai  Inchinèsey 
Abori  l'Opera, 
Tult'  1  spetàcttl 
Pr  fé  Toràcul? 


6S4 


.  PAaT£  TI9ZA 


Su  la-vila  W  Cwnpoffna, 

Pur  cust'  imàgfné 
Forma  la  6ult 
BeaUtudfne 
ChU  mov  la  gula 
D*le  gènt  pi  còmode  y 
Pi  colle  e  80de,.- 
Ch'a  moiro  marlire' 
Scnsa  mai  gode 
Kc  d' Tarla  lìbera, 
Ne  d'ia  verdura. 
Ne  i  don  d' Natura. 

Cui  di  ch'a  mMimiU 
'L  destin  ancura, 
Pudèissne  gòdmle 
Fin  l'ultini'ura 
Com  i  desidero 
A  'n^  campagna, 
Lesènd  me  Seneca 
Sul  na  castagna, 
Sentlènd  le  lodale, 
4  usèi  ch^ tripudio, 
Mentre  ch'i  stùdio! 

Che  vita  plàcida, 
Contenta  e  chleta, 
Pr  ròm  eh' a  medita, 
Pr  chi  sMIleta 
D^  i  piasi  sémplici , 
D' na  sort  onesta; 
eh' voi  vive,  e. s'evita 
Lo  eh'  lo  molesta  i 
Che  vita  angelica. 
Che  sort  fiuria 
Per  mi  saria  1 

Così,  m'acàpillo, 
ChM  voi  nén  léze? 
Ciapo  na  górbina, 
Vad  pr  cerese , 
Vad  sercfaè  d'àmpule, 
D'oeapo,  d'griote; 
Sinenno  d'iartifule, 
Pianto  d' carote; 
I  ento  d'Ic  mandole, 
Vad  può  la  vigna  : 
E  chi  s'n*ambrigna? 


Su  la  vita  (T  Sita. 

Pur  J'  è  chi -s'augura 

D'vive  sfa  vitft; 

S' trova  ehi  spècola 

D' moire  t rapita; 

J'  è  d'gent  rikbissfme, 

D' persene  do  te, 

Ch'van  a  nìMtcéndise 

Coro  Me  mamiote; 

eh' san  gnanc  pi  l'època 

0  'I  di  eh' a  vivo. 

Ne  i  cas  ch'arlvo. 
Fin  eh'  I  6  sta  fisica 

Povra  eaistensa,-' 

ni  m^la  v5f  gòdemla 

Con  dlNgeitsa, 

Coro'  i  la  glCklico 

'Nt  le  Sila  Indosfrl, 

Lesèndme  i  òpere 

D'I  aut^r  lllQstrl, 

Scutànd  le  dispdte 

D'i  dolch'ia  séiàiro 

Fin  lant  ch'I  pilro. 
Che  Tllà  angelica 

Contenta  e  vaga 

Pr  Toro  ch''a  s' applica, 

Pr  cui  eh' a  indaga 

Le  sode  pràtiche 

Dia  geni  attiva, 

Ch'  voi  gode,  e  medila 

SMò  ch'io  ravviva! 

Pr  mi  ■delibero 

Sii  le  atlrative 

De  sto  bel  vive! 
SMa  ment  s'Intorbida, 

Ch'el  sliidi  m' secca, 

J'è  'n  trGc  oh' a  mMndta, 

Dovrò  la  slecca; 

Bagàt  a*ro'8liìsslca 

N'àutra  partia; 

Vad  a  'na  moslca, 

Trov  d'compaaia. 

Pr  iìitim'anàllsl 

rè  'na  pllnra, 

S'ved  na  scollìini. 


^ 


iHALerrt  pedbmo?itam. 


éw 


Su  la  viia  d*  Campagna. 

Se  lò-li  a  m^ìàusea. 
Che  l'estro  a  m'pa^a, 
Siè'caii  a  m^ sellila, 
Sor  lo  a  la  cassa;     . 
Vad  pr  le  gèrbole, 
Snictànd  le  fanne, 

0  ch'I  m'industrio 
Pr  ciapè  d' ranno; 
Tendo  d'Ie  tràpole. 
D'i  lass,  dM  arsie; 
Lo -lì  m' fa' rie. 

Opùre  i  m'òcfi'po 
Crusiànd  le  rasse^ 
Fass  cantè  d*  passare. 
Parie  d^ajasse; 

1  arlevo  e  propago 
Diverse  bestie, 
D^colómb,  e  d' tórtore, 
D'ànle  domè^le, 

DMe  era  ve  d'Angola, 
D'gallne  bid fanne. 
D'oche  mahluanne. 

I  erbe  specifiche 
Pr  cui  eh' a  s'tajo, 
Cui  eh'ràn  la  còlica 
La  frev  ch*i  tnajo; 
Pr  cufdMc  scròfole. 
Cui  ch''son  brusàse; 
Le  fumne  Istèriche, 
Pr  le  searràsse, 
Pr  fé  dM  bàlsamo; 
Sii  ste  erbe  I  cojo 
QuandM  m^ànòjo. 

Se  '1  lemp  s'intorbida, 
Ch'a  s'buta  a  piove, 
Trovo  an  mecànica    ' 
D'I  arsurse  nòve, 
ll'angigno,  1  fàbrlco 
D'i  atràss  d' campagna, 
Uila  giorgiàtole, 
D'gablóh  d' cavagna, 
Turnisso  d^sòtolc, 
Fass  d'Ie  ghingaje 
Pr  le  marajè. 


Su  la  vita  d'  Sita. 

S'i  0  d'ànt  cVa  m'bitstlea, 

Cambi  de  scorta;^ 

Sere  l'aria  lìbera, 

Vo  fora  d'aporia 

I  5  'n  borch'a  s'Iglla 

D^orllìe  madore, 

Fa  'I  baga,  i'arviscula. 

Pòi  gava.d'pere, 

ChièI  cur  e  s\ànima/ 

Taca  na  ròsa; 

Lo-lì  m'amOsa. 
0  chM  m' apròssimo 

D'i  avìs  eh* a  sMaco; 

I  entro  a  l'esamina, 

E  fra  1  mfraco 

Vedo  d' fenòmeni 

D' va  ria  natui'a,  ' 

D'osèI,  d'quadrOpedl 

D'ogni  fig&rà; 

Osservo  d' machine  ' 

Suèns'ingegnuse, 
D' forse  cùrluse. 
Oltre  la  serie 

D'Ie  cose  scarse, 
SMe  piante  m'òcfipo, 
I  ò  d'bele  arsurse^ 
Là  ant  le  botàniche 
Viaggio  a  la  China 
Tra  I  erbe  célèbri 
DMa  ìnedfsioa; 
Conòs's  l'orìgine 
D'Ie  spesie  fine 
D' nostre  cQsInc. 
Se  '1  temp  scanni  vola, 
S'a  vén  guastèse, 
J'é  pò  an  mecànica 
Dcò  d'amusèse 
Ant  le  metròpoli 
Con  avantage, 
Tratànd  I  artéfici 
Ch'a  ràn  d'usage, 
Truvànd  a  l'Impeto 
'Nt  Qna  ocoreosa 
1  ordégn  d'ìirgensa. 


«M 


PAR^  TflUU 


Su  la  viia  d'  Cainpogna. 


Uà  quand  s'tpròssima 
La  8laglÓQ  bela, 
QnaDd  la  canìcola 
C58  la  servela» 
Opure  a  l'època 
Ch^a  a*  (a  M  vendummie, 
Caotànd  an  orasica, 
Ciapànd  d'ie  suoninie 
Con  la  cooibricola 
DMagèntd'lasapa, 
L'è  un  stè  da  papa! 
Tuli  aUgràciUr 
Con  sua  butèlia, 
Destlànd  la  cenava, 
Sfujànd  la  mèlla. 
Con  nostra  tàvola 
Sul  na  nuseni. 
Le  fumne  e  1  omini 
Seta  pr  tera, 
Contànd  dUe  fròtole, 
Mangiand  d'salada, 
S'fa  la  balada. 
Libidi  se  a  s^ capita, 
D'aprèss  d'Ia  slna, 
Quaicnn^ch^a  bùstlca 
'N  violìn,  na  crloa, 
An  mez  d^  la  ciùlica 
Con  eie  matote 
Leste  com  d'róndole, 
eh' fan  virè  ^1  cote. 
L'è  propi  ÙQ  gòdise 
Baléne  un  pàira 
Lì,  bete,  ant  Taira! 
Kissùn  s'imàgina, 
Gnùn  poi  descrive 
Quant  mal  a  giubila 
L'òm  ch'a  sa  vive 
An  solitudine 
Su  na  briccola 
Con  la  gènt  rùstica, 
Con  di  badòja, 
Ch*a  studia  e  a'òcùpa 
D*lò  ch'a  J  poi  rende 
Sensa  dipende  1 


Su  la  vila  d' Si 


Quaod  a  predomina 
'L  sol  su  la  tera, 
Ch^el  càud  incòmoda 
Nostr^emisfera, 
Al  frese  dMe  publlche 
Ombre  d'vcrdiira, 
LIgà  con  d'esseri 
Ch'a  ràn  d' coltura, 
S'fa  dMe  magnifiche 
Bele  partie, 
Ch'a  Invito  a  rie. 

Tutl  d'un' indole 
Pr  divaghèse, 
S'propòn  le  trìfule; 
S'van  a  mangèse,    . 
Con  dMe  belissime 
Ch'abrevlo  Tare, 
D'autre  ch'a  9' modero 
Pr  fèse  care; 
Svoidànd  poi  l'àmole» 
8'  parla  an  poesia, 
S'god  rallegria« 

8' le  sere  antbipo, 
Ch'a  ]  sia  chi  baia. 
Ma  eh' con  iin  òrgano 
Pr  li  'nt  quale  sala, 
S'ved  già  dMe  mótrle 
Ch'a  'nparadlso, 
Sautànd  an  règola 
Mentre  ch'a  friso, 
Ch'amiiso  i  omini, 
Serco  d'piasie 
Con  d'ie  folio. 

Chi  mai  determina. 
Chi  poi  descrive 
L'aura  benèfica 
D'I'om  ch'a  sa  vive 
La  vita  enèrgica 
D'Ilògnotàbil, 
Con  dMeste  d'ordine^ 
D'sogèt  tratàbll, 
Ch'a  s'bata  an  càriga. 
Fa  so  interesse 
Sensa  abassèssel 


DiAum 

Su  la  vHa  d'  Campagna, 

Lassane!  le  màssime 

Wìe  sita  grande, 

ChièI  va  con  d^sòcolc, 

Sort  an  mudande; 

Mai  nén  F  intórbida 

Gnuii  Comissari, 

Gnùn  Rompa-scàlolc, 

Gnun  sur  Vicari, 

Gnùn  d' la  Statistica, 

Gnùn  d'cui  d'Ie  buie 

I  secco  V  miule. 
Così  chièl  evita 

D' senti  U  clapette 

DMc  gènt  politiche, 

D*cui  d'Ie  gazette; 

Ved  gnùn  Ipòcrita 

Da  dui  caràter, 

Gnùn  d'cui  tal  èsseri 

Ch*a  mastio  d"* Pater, 

eh' a  dovrò  d*  sillabe 

Sùcrà,  turnie. 

Poi  son  d'arpie. 
Tranquil  ani  T ànima 

Chicl  va  cugièse; 

8'arvùita  e  sgàmblta, 

Poi  torna  a  'Ivèse; 

Mangia  dui  sèferi 

Con  quale  faccnda. 

Pòi  dìsna  e  rèplica 

'N  bocón  d'marcnda; 

E  intànt  a  vègeta, 

S*na  fa  una  vita 

Da  bon  arnilta. 
O  voi,  ch'i  strèpito 

Pr  truvè  d* glòria: 

Voi-àit,  cbM  vMàmbiche 

D'vive  ani  l'istòria; 

E  voi,  chM  giùdiche 

Ch*le  sita  a  sic 

Un  ver  em pòrco, 

'L  pab  d'Idio, 

Si,  voi  rispóndlme, 

S'I'è  nén  mèi  vive 

Com'i  rài  dive? 


KM, 


-la 


0S9 


■i<>«iión, 

Cbi.. 

Gnùn  d  u  sj, 
Gnun  sur  \-,^^^  ' 

^Wnd  aoa  U|^ 
Pi  gnùn  lo  imj^ 

Se  n  cas  J  acagiù 
Ch'a  j  riva  d'senie 
Su  la  politica 
D'gare  insolente, 
S' a  ved  d' le  màmole 
Rampe  con  divisti, 
D' pèrfld  Ipòcrita 
Pleo  d'artiflssl. 
Ghie!  a  8* dissimula. 
Gassa  sta  plissé 
Pr  divertisse. 

Contènt  eh' a  giubila 
Chièl  va  arposèse; 
Drom  in  ApòlIlDe, 
Slenta  desvièse; 
Clama  quale  bòstfca 
S'Faptìt  lo  tenU; 
Poi  mangia  a  tàvola 
Lo  eh' a  s'Inventa; 

Fratànt  a  pròspor^» 
VIv  con.  cui  brìo 
ChM  sena  consio. 
Voi  alt  ChM  fabrlche 
Vosi  ni  'nt  na  buta» 
Voi  alt  ChM  v'òcùpe 
De  sta  eonduta. 
Voi  alt  ch'I  ▼' releghi 
'Nt  una  campagna. 
Ch'i  fé  d'i  antipodi 
'N  pais  d'eùcagna, 
Adèss  difèndi  ve; 
8^ no,  di  ch'I  stime 
Ste  donlrè  rime. 


638  PARTB  TBRZA 

• 

1810.  Per  non  defraudare  il  lettore  d'un  Saggio  delle  gra- 
ziose poesie  del  teòlogo  Casalis,  soggiungiamo  una  delle  sue 
fàvole  morali  sul  nolo  proverbio:  Un  buon  con;i^jUo  vale  uno 

Stalo.  '  . 

/  Rat  an  consét. 


Una  fauaióna  d'  rat  domicilia 

Già  da  longhissim  temp  ant  UD  gran* 

,     Vjvio  da  sgnór,  e  aii  piena  libertà. 

Li  dop  la  colassión  ]  vnio  M  dlsnè; 

E  fàil  iin  toc  d^  marenda,  alòn^  s*  fasìa 
Doi  flàut  pr  pie  d'aplit,  e  pòi  iioè» 

E  tut  so-si  d'  boDÌssima  armooia, 
^  sensa  pur,  ch'i  gat  e  1  so  padrón 

'    Smlava  ogo**  dì  cb'a  piéisso  d'andurmia. 

Bla  com'a  st*  mond  sagrìn,  consolAssión, 
Rlchcssc ,  povertà ,  tal  Tà  so  fin,. 
L'è  doò  vniìjc  pr  lor  so  tour'd'  Mìon, 

Venta  oh' un  gal  d'un  oianoàl  lì  vsin^ 
Pi  maire  d'im  qierluss,  sensa  licensa 
A  m'  fica  'nt  cui  grane  i  so  barblsin  ; 

E  fisi  eia  ialunghera  d'  rat  immensa ,  . 
Imaginómse  se  con  tant  aplil 
Podia  esso  eapacc  d'astinensa! 

S'J  iavsina  al  prlm  ch'incontra,  e  a  lira  drit» 
E  pia,  croca,  anfornà  l'è  un  punì  istèss; 
J'è  gnune  disllnsión  né  d'gross,  né  d'  pcil. 

Bin  fortuna  (uil  I  àitri  cb'a  j  rièss' 
De  mnè  lo  gambe,  e  d'  fèsla!  Ha  tut-ùn 
S'  trovrìo  ant  cui  lafus  forse  'I  di  aprèss. 

Dùnque  che  partì  pie?  Bsogna  eh'  qualcun 
Propooa,  com  podrio  'nt  eia  circostansa 
Garantìse  da  st*  gatt  fier,  importùn. 

ty  acànt  a  cui  grane  j*era  na  stansa 
J>iena  d'  sape,  d'  rastèi  e  d*àitri  arnéis, 
E  là  i  rat  a  l'àn  fàit  soa  radunansa. 

Un  d'  lor  d'Gn  genio  intraprcndènl  e  estéis, 
Ch'  Tavìa  gira  'n  pò  'I  mond,  e  frequenta 
b*  famose  librerìe  pr  d'ani  e  d'  mèfs; 


«■  .■« 


DIALETTI   PEDBMONTANI.  OS 9 

Che  .ira  i  aufór  i  qual  Tavia  rusià 

Pr  empise  d'ogni  specie  d'  cognissión , 

Pr  bondr  s'era  tniisse  ai  pi  amomà, 
D'  maoera  ch*i  Aristòlcl  e  i  Platon 

J'ero  passòjc  an  sang,  e  similméol 

I  Demostene,  I  Tullio  e  i  dói  €atóii; 
Sto  rat,  tra  i  so  stima  pr  esse  eloqaènt, 

L'è  stàil  ^1  prJm  a  sauté  su  s'  na  mina, 

E  s*  eonta,  ch'aringhciss  cosi  soa  geni: 
u  Frate! ,  dop  d'esse  sta  'nt  la  bambasina 

ff  Da  pare  an  fiòl ,  chi  d'  noi  r  avria  cherdii 

»  D*  trovcse  adèss  su  l'orlo  dia  rùina? 
«  E  J  sómo  eh*  trop  !  E  eh*  trop  f  avómo  vdi) 

«  La  glornà  d'  jér  cornea  son  slàit  tratà 

«  Tanti  dM  nost  sul  fior  dia  gioventù! 
M  Cbcrdc  pa  ncn,  eh*  a  n''  lassa  an  libertà 

*»  Pr  un  pèss  da  bestia  na  pr  fohe  d*  mal, 
'  «>  E  nolt  e  dì  'na  guera  'nd tavola. 
<t  E  s'  mai  d'ancoi  arpièissa  cui  fler  bai, 

»  Di  *n  po',  cos'èlo  chM  podris  fò  noi, 

»  Pr  garantìsc  da  si'  originai? 
<«  Mi  vod  gnùn  àut  spedlènt,  eh' un  d'  cusli  dói; 

»>  0  d'  balse  e  muri  anscm  da  disperà, 

'>  0  d'  fcsla,  e  porle  via  i  nost  ratatói. 
4i  Su,  dccidómsc,  e  presi;  un  e  mnassà^ 

»  £  '1  perìcol  a  s'  fu  sempre  pi  vsin; 

M  Pcnsóma  a  salve  voi,  fomne  e  masaa. 
«  Sii  ogèt  prcsiós  aspcio  so  deslìn 

9$  Da  cui  parli  eh'  voi  sé  pr  pie  a  st'  moment; 

n  Savé  'I  dover  eh'  un  à  d'-^orèje  bin. 
<«  I  0  dit  baslansa;  a  d'  rat  com'  voi  prOdèni 

M  Fa  pi  non  bsogn  d 'agiunse  altre  parole^ 

»»  Pr  disponvc  al  parli  pi  convenlènt.  n 
Dop  sto  discórs  una  d'  eie  teste  drole 

Ch*a  fan  la  pùnia  ai  fùs,  e  eh*  pi  d'  tuit  1  àit 

Volo  savèiia  lunga,  e  a  son  d'  sùbiolc, 
L'è  sautà  su,  e  l'à  dit:  «  Spetè  marlàit; 

n  Dnans  ch'i  v'  dcidu  pr  un  d'  cui  doi  parti, 

»  N'o  da  propònvne  un  ters  mèi  tut  afàit. 
M  Nò,  fa  nèn  bsogn  né  d'  batse,  né  d'  muri, 

99  Né  d'  decampé  da  un  clima  cosi  bon, 

w  Dov'  un  è  nà ,  e  iin  god  d' i  bei  piasi. 


43 


050 


PAETI  THUA 

«  Basta  ch'i  ataco  al  còl  d^  cui  fier  luròh 
n  Un  bon  ciochìn;  sentèndio  a  vni,  a  J.  tarìa 
99  Temp  e  lempissim  a  mnè  M  p^tandóo.  n 

M  0  bravo,  bravo!  n  L^adunania  a  CntL, 
n  Velò  cb'a  J  va.  ••  Ma  eoi  prim  oratór. 
Del  progèt-e  d'i  bravo  a  s'  na  ridia; 

E  dcò  elamànd  s'a  j  fùss  qualcun  tra  d' lor, 
Cb'a  j  basléissa  'I  mes  sold  d^andà  dal  gatt 
Pr  cula  impresa,  oh!  gnun  ambia  pl'onór. 

Un  bon  consél,  a  si*  dl$,  cb'a  vai  'n  Stai; 
Ma  bsogna  che  vedèndne  la  bontà, 
A  s'J  antepona  nén  quale  tógn  da  «at , 

0  quàic  Donchissiotada  strambala! 


1850.  In  Saggio,  cosi  del  puro  dialeUo,  come  della  soda  e 
spontanea  poesia  degli  ùltimi  tempi,  ci  gode  T ànimo  di  poter 
offrire  ai  nostri  lettori  alcuni  componimenti  inèditi  dell'esimio 
poeta  di  Susa  Norberto  Rosa,  uno  dei  più  popolari  e  merita- 
mente apprezzati  scrittori  viventi. 


Barba  Giove. 

CkWÒn  PIBMOKTilSA. 


Barba  Giove  stuffi  d'  sente 

Le  grlmasse  d^  cule  geni 

Ch^a  destaco  a  forsa  d^  piente 

I  plafón  del  firmamént, 

Un  bel  di y  sensa  dì  nén, 

L''è  cala  su  custa  tera, 

E  volCàndse  a  sii  vorièn 

A  j'à  dìjc  su  la  cera: 

Oh  che  farfo!  oh  che  fabiòl 

O  che  teste  d'articiò! 
A  che  prò  cbM  v^  descadeoe 

Contra  '1  cicl  cb'a  V  voi  si  bln? 

Con  che  tìtol  ch^  voi  i  vene 

A  gonfième  i  chitarin? 

MI  v'o  dàve  M  necessari 

Pr  ch'i  vive  an  ategria; 

S'i  fé  tùtt  a  rincontrar! 

Cosa  vole  mai  cbM  v**  dia?. . . . 

Oh  chi  farfo!  oh  che  fubiò! 

Oh  che  teste  d'urticiò! 


Mi  v^o  dà  ve  la  rasón, 
Vera  mare  dresperlensa, 
Pr  ch'i  vcdde  '1  gram  e  'I  boti, 
E  chM  v'  guide  an  consegueusa; 

Se  voi-àit,  bruti  salàm, 
Dispresiànd  i  don  divin. 
Lasse  'I  bon  pr  tnive  al  gram. 
E  poi  dop  i  fò  I  piangin. 
Oh  che  farfo!  oh  che  fabiò! 
O  che  teste  d'articiò! 

Pensànd  ma  cb'a  vost  t>onor. 
Con  paterna  teneressa, 
V'd  bullàvc  an  sen  ììq  cor 
Tùt  amùr,  tuta  dolcessa; 

I  v'o  dàve  ancur  sul  pat 
Un  Islint  pr  conserve  ve; 
S^  i  se  amis  com  can  e  gat , 
S'i  v'  amdse  a  massacrève. 
Oh  che  farfo!  oh  che  fobia! 
O  che  teste  d'articiò! 


DIALITTI  PIOEMONTANI. 


#3! 


Pr  eh'  i  vive  an  santa  pas 

Vaine  dunque  inutilmént 

Dàve  d'  vin  eh' a  sàuta  al  nas 

E  tanli  àitrl  amùsamént? 

Pr  coss^èlo  ch*i  mMnvoche 

Quand  I  v^  lire  d'  cólp  d'  canon? 

Credve  forse,  o  teste  gnocbe, 

Che  le  baie  a  sìo  d^  bombón? 

Oh  che  farfoj  o  che  fabiò! 

O  che  teste  d' articiò! 
Credroe  pur,  mei  cari  fioi, 

Mi  son  niente  amis  dia  guera; 

L*  è  la  pas,  la  pas  eh'  i  voj 

E  '1  ben  essere  dia  tcra. 

S' i  son  pare  di  Franséis, 

Di  Spagnòi  e  di  Italiàn, 

Sónne  M  boja  di  Chincis, 

Di  Kalmulc  e  di  Egissiàn? 

Oh  che  far  fa!  o  che  fabiò! 

O  che  teste  d' articiò! 


Resta*  inùtil  ch*i  m'  piLure 
I  uialòr  dl'umaoità; 
S' i  sé  voi  eh'  i  v' ji  proGÌlre 
Dévne  stèoe  mi  d'  metà? 

Abrùli  da  Tignoransa, 
E  corùt  da  le  passión, 
Chi  poi  sente  Timportansa, 
L'eecellensa  d'  soa  missión? 
O  che  farfo!  oh  che  fabiò! 
O.cht  teste  d* articiò! 

Cui  gran  dì  ch'I  v'6  crcàve 
'Aine  pia  pi  d' un  ikiodèl? 
Dime  un  pò  s'I  v'o  nén  Cave 
Tutti  cguài ,  tutti  fratèl? 

Se  voi-àit,  fasènd  pà  cas^i 
D'  vostra  prima  dignità, 
8è  lassavo,  parci  di  aso, 
Butte  'I  bast  e  là  soma. 
Oh  che  farfo!  oh  che  fabiò! 
O  che  teste  d'articiò! 


^L  cer  filòsofo. 


Mi  rò  non  pr  tiitta  cà 
Ch'una  sémplice  cabanna, 
Marli-penna  ripara 
Da  la  bisa  d' tramontanna; 
Là,  lontàn*  d'ogni  fracàs, 
Sensa  sus(,  scusa  amba  ras, 
Tut  oscùr  e  dcsnientià 
Godo  an  pas  mia  libertà. 

Grassie  al  cél  eh' a  m'  voi  sì  bin, 
Ali  rd  dcò  lì  poc  lonfàn 
Un  toc  d' vigna,  un  pcìt  giardìn 
Ch'i  coltivo  con  mie  man. 
S*  a  m'  avansa  d'  fondo  vèj , 
Na  fas  part  ai  me  fra  tèi, 
eh' a  son  tutti  i  Adi  d'Adam , 
Sensa  seme  i  bon  dal  gram. 


\Ii  'm  fa  nén  d'esse  '1  ghignóa 
Dia  Fortiina  eh' a  l'è  mata; 
Sta  per  tera,  comM  són, 
L'è  difficil  ch'i  rubata. 
Quaùd  i  veddo  ti  dsur  d' la  roa 
Cui  eh' un  di  l'ero  a  la  eoa, 
I  ni'  na  rio  d'  sol  erròr 
E  i,rinonsio  al  so  favor. 

Pcnsè  trop ,  à  va  nén  ben  ; 
Chi  trop  sa  rè  mlseràbil; 
Lo  eh* a  passa  a  torna  non, 
E  l'avni  l'è  Impenetràbil. 
Contentòmfte  del  presènt 
E  godòmlo  onestamént: 
Chi  'nt  so  cor  !' à  'nsun  rlmòrs 
Viv  allégber  con  san  Glòrs. 


Un  vèj  solda. 


Oh  eh*  a  l'è  degenera 

La  cariera 

Cosi  fiera  j 
Oh  eh*  a  l*è  degenera 
La  cariera  del  sotdà! 


IJna  volta  l'arrogansa, 
L*ossio,  '1  giogh,  iìn  c5r  da  lión , 
La  dcsblniceia,  rignoransa 
L'ero  nostre  distinsión. 
Oh  ch'a  l'è  degenera  ec. 


059  PARTE 

Si  ch'allora  a  %'  conossìa 
Cui  sistema  folfotu, 
D' lasse  vlv  pr  cortesia    . 
L'inlmis  ch'a  s'è  rendut 
Oh  ch*a  rè  degenera  ee. 

Cosa  Servio  adès  ch'a  n^  mando 
Conlra  I  Turch ,  eontra  I  indiàn , 
Se  dnàos  d' parte  'a  n'  raccomaodo 
D'esse  das,  gentil  e  ùmàn! 
Oh  ch'a  l*è  degenera  ec. 

Cosa  l'ànne  mai  da  fé 
I  sorlltùr  d'  filantropia 
Con  noi-àitri  vieux  troupiers 
Ch^un  à  l'anima  impietrili! 
Oh  ch*a  l*è  degenera  ec 


TERZA 

Èlo  nén  da  pusìlànim 
Arfudè  na  sfida  al  duèl? 
Cosa  J'  èlo  d'  pi  magnànim 
Ch'anfilèsseida  fratèll 
Oh  ch*a  rè  degenera  ec. 

Che  drolìsslma  costuma 
Ch'a  J' è  nàje  al  sècol  nostl 
Fé  la  guera  con  la  piuma, 
An  lo  d^  sang  verse  dMnclòst! 
Oh  ch'a  l'è  degenera 
La  caricra 
Ch)si  fiera. 
Oh  ch'a  l'è  degenera 
La  carlera  del  soldà  ! 


L*  fndipendèfiL 


1  voi  pi  nén  lassème 
Guide  com'un  bambìn. 
Pi  'osun  vcnna  a  parléme 
D'  gramàtica  o  d'  latin. 
Voi  esse  M  prim  goflFàs, 
Ma  vive  com^a  m'  piàs. 
Ah! ..,  i  veddo  realmènt 
Ch'i  son  indipendènL 

Secónd  ch'a  dis  mia  mare. 
I  fidi  del  temp  andàit 
Scutavo  ancora  'I  pare, 
E  l'ero  giàd'om  fàil! 
I  pare,  a  nostra  età, 
Stan  sul  a  le  masnà. 
Ah!,.,  i  veddo  realptènt 
Ch'i  ton  indipendènL 

Ch'a  m^  parlo  pà  d'  preghiere, 
fse  d^  cose  d^  rcligión. 
A  son  tiilte  chimere, 
Tu  Ite  siiperstissión. 
S'an  cesa  I  vad  quàich'  vote 
L'è  per-  squadre  le  tote. 
Ah!...  I  vedilo  realmènt 
Ch'i  ion  indijtcndènt. 


V  Italia  ! . . .  oh  che  parola 

Per  fé  gire  ^1  servèl  ! 
.    Darmagc  che  sta  fola 
L'à  pia  '1  tupin  dl'améll 
Ma  s'i  tornumo  a  guera... 
Mi  scapo  a  pausa  tcra. 
Ah! ,,.  i  vcddo  realmènt 
Ch'i  ton  itidipcndèni, 

Pr  dème  untarla  fosca 
E  seconde  M  gran  tón  » 
I  m'  lasso  vni  la  mosca 
E  eresse  i  santilión. 
La  mosca?...  bagatele! 
Tre  mèls  a  Fenestrele  ! 
Ah! .,,  i  veddo  realmènt 
Ch'i  son  indipendènL 

Con  me  sigàr  an  bocca 
I  vad  ani  un  caffè; 
'L  garsón  d'  bottega  a  mMocca: 
—  Monsiì,  s'  poi  nén  fumé.  — 
Mi  fiìmo;  un  Comissarl 
'M  fa  cure  dal  Vicari  ! 
Ah!...  i  vcfUlo  realmènt 
Ch'i  son  indipendènL 


I«r  sèira  a  la  tragedia, 
Già  stiiffl  dal  bajè, 
Per  Dcn  muri  d'inedia 
I  m'  son  prova  a  flséiè 
La  guardia  clfa  s'è  accorta , 
M'à  fame  pie  la  porta. 
Ah!,,,  i  vedilo  realmènt 
Ch'i  son  indipendènt. 


DIALETTI   PEDEMOIlTAm.  05 S 

Voiènd,  con  aìrogansa, 
Tornèmne  sui  me  pas^ 
A  m'  mostro  la  creansa 
Dasèpdme  un  pugn  sul  nas. 
Mi  m*  sùvo  cui  sgrugnón, 
Ma  ncD  cula  lessión. 
Ah! ...  i  veddo  realtnèni 
Ch'i  stm  indipendènt. 


La  vita  d*  Campagna. 

Heatus  Uh  qui  proeul  itegotH»,  tr% 

IIORAT. 

Sbstimb. 

Oh  beai  chi  pòi  vive  i  dì  a  l'antica! 
Clil,  lontan  dai  fracas  e  dai  ncgossi, 
Durmènd  sul  dùr,  rusiànd  na  grama  mica, 
Revènd  ijn  vin  pi  ributànt  che  ^1  tossi, 
A  s'  diverlis»  a  coltive  la  tera.... 
Con  i  cuaL  a  le  man  e  la  drnera  ! 

Chièl,  fabricànd  soa  cà  s'una  montagna, 

A  resta  assicura  contra  1  naufragi. 

•* 

Un  sol  gavàs  eh'  a  l'abbia  (  bela  cagnal  ) 
A  manda  a  piste  d*  fùm  cui  di  tiragi. 
Nojùndsc  ant  i  auticiimcrc  di  sgnùr 
A  s' amusa  a  bajè  'nt  el  coridùr. 

Adcs  a  va  beàndse  a  sèiapè  d'  roc; 

Adès  a  fé  d' fatighe  da  borie; 

Adès  cnta  d'  papàver  sM  articiòc. 
.    Slùffl  d'  custe  deiìssie  a  dovrà  '1  pie; 

Adcs,  tajànd  i  branc  a  n'arbra  pina. 

Casca  per  tera  e  s'  romp  el  fil  dia  schina. 

Un  dì  s' amusa  a  depurò  l'amél; 

Un  àutr  a  spormc  '1  làit  ant' una  gàvia; 
S'  la  vólp  a  j  pia  un  polàst,  o  '1  luv  n^agnèl, 
S'i  masnà  son  descàuss^  la  fumna  gràvia, 
0  s'a  j  manca  la  sai  pr  la  polenta, 
Ciapa  M  pifer  e  suna  na  corenta. 

Al  mcis  d'agóst,  quand  i  sùdómo  a  sie, 
Stravacà  sut  a  un  rol,  long  e  distèls, 
Scuta  la  vus  d'un  arsignol...  d'i  urie, 
E  passa  di  moment ...  eh'  a  smijo  d'  mèis. 
Or  a  ciapa  un  tavàn;  or  na  furmia 
A  J  rampia  su  die  gambe  e  lo  gatia. 


6Z^ 


PARTI  TERZA 

AI  méi8  d'ottòbety  poi,  che  piasi  mal 
Ch^a  prova  a  taslè  M  vin  a  la  spinela, 
Prvendlo  a  IMndomàn  a  strassa-pat 
E  p&ghè  n' usurari  eh' a  lo  pela! 
Che  piasi  pie  na  ciucca  an  companià. . . 
Di'  us^ié  eh' a  ven  a  fèje  uà  sesia! 

IVinvèrn  eh' un  à  la  fioca  sui  barbìs 
Chièl  a  s^amùsa  a  séiampalrè  la  vólp, 
0  a  tende  d'  lass  ai  merlo  e  a  le  pemìs; 
Intani  eh' a  l'è  li-lì  pr  tire  '1  colp. 
Un  sergént  santa  fora  d'na  ciò  venda, 
A  J  pia  '1  fùsìi  e  a  j  f a  paghe  l'emenda. 

Che  da  soa  pari  una  fomna  d'ardris 
A  l'abfa  cura  die  facendo  d'  ek, 
Lassandje  a  temp  e  log  so  fo...  destis, 
Preparàndje  soa  mnèstra...  ravioli, 
Ch'a  travaja  di  e  n5it...  a  fé  d' maràje, 
Pr'  esente  l'òm  dal  pagaménl  die  ta{e; 

Ch'a  la  malin  bon-ora  a  vada  antòrn 
A  portèr  la  fiùr  d'  làlt  al  iifllssiài, 
E  ch'a  consegna  a  l'òm^  a  so  rltórn, 
Fedelmént  I  dol  ters  d'i  so  travàl. 
Ohi  allora,  sfido...  i  sfido  Dante  al  duèl, 
A  Irovème  ani  so  infèrn  un  stai  pi  bel. 

Rapi  da  ste  delissic,  '1  méis  passa 
Crispin  a  s'è  fissasse  a  la  campagna, 
Vìvcnd  an  santa  pas  e  libertà, 
Sautànd  com'un  cravòl...  quand  un  lo  sagna. 
Darmage  ch'a  l'è  mori  d'  malinconia! 
Dcsnó  chi  sa  che  d'  temp  ch'a  s'  dlvertia! 


'L  Progrès. 


Chi  l'à  dlt  che  casta  tera 
L'è  n' immensa  gabin  d'  mal, 
A  r  à  dil  na  cosa  vera 
Come  dói  e  dói  fan  qual. 
Che  d'ambroj!  che  d'  gofarìe! 
Che  d'  facendel  che  d'afTcl... 
Jh  lassème  rie,  rioj 
S'nò  i  finis to  pr  piurè. 


B^ogna  lese  le  gascltc. 
Per  conosse  bin  sto  mònd. 
Quanti  guai!  quante  ciapctte 
Da  la  sima  Un  al  fóndi 
Quante  gueré  inviperìe 
Sensa  prò ,  sensa  perchè  ! . . . 
Jh  lassème  ricj  ricj 
3*1/10  i  finisso  pr  pittrè. 


DI  A  Lem 

Quante  ciance  a  le  tritHincl 
Che  d^  «oldà  con  i  barbisi 
Quante  legi  con  d'  lacune, 
Voj  poi  dì,  quanti  paslia! 
L^òm  con  tutte  ste  fulìe 
Tal  a  l'era,  tal  a  Tè: 
^h  lassèmc  ricj  rie. 
S'ito  i  ftnisso  pr  piurè. 
Quanti  pasl  fra  i  diplomàtici 
Quanti  dùèi  pr  d'opinion! 
Che  d'  parti!  quanti  fanàtic 
Carota,  butta  an  persón! 
Che  d'  progèt!  che  d'utopie! 
Quante  spèlse  da  paghe! 
Ah  lassèmc  rìcj  ricj 
S'nò  i  finisso  pr  piurè. 
Oh  che  lapa  benedeta, 
Che  sogiórn  privilegia 
Ch'a  saria  sto  pianeta 
S'ùn  avèis  un  pò  d'  lo-là! 
Gioventù!...  dùrvi  I  urie... 
Comi  i  vòle  pà  scutè? 
Jh  lassèmc  rie  ^  rìCj 
S'nò  i  finisso  pr  piurè. 


A  rè  fàitl  J'è  pà  tnanera, 
rè  pàmod  d'avnine  al  fin! 
L'iòni  rè  un  urs,  una  paniera 
Cb'a  divora  chi  a  J  fa  d' bln; 

0  s'ascuta  lo  ch'i  j  die, 
Tant  a  fa  com*  a  voi  fé  : 

Ahj  lassème  rie^  rie, 
S'nò  t  finisso  pr  piurè. 
Chihì,  s'i  J  parie  d'  massacrèsse 
A  va  tùt  an  brò  d'  fasoj; 
Dije  ma  eh'  a  bsogna  amèsse, 
fi  I  lo  vede  a  virè  'I  f5j  1 
Con  die  teste  d'  fer  parie 
Cosa  Servio  rasonè? 
j4h  lassèmc  rie,  rie^ 
S'tiò  i  finisso  pr  piurè. 
Gnanca  mi  voj  pà  buttème 
A  drissè  le  piote  ai  can; 

1  m'  contento  d'  amùsème 
Esclamànd  Irà  mi  pian  pian: 
0  nassiòn  insivilie! 
ÈlO'SÌ  '1  progrès  cbM  fé? 

Ah  lassème  rie,  rie,. 
S'nò  i  finisso  pr  piurè. 


Astlgflano. 

1500.  Tra  ì  Saggi  della  letteratura  astigiana  non  possiamo 
intralasciare  d'inserire  un  brano  di  Farsa  tratta  dalle  Opere 
giocose  di  Giorgio  Aliene,  sebbene  a  dir  vero,  e  per  la  tenuità 
del  componimento  e  per  la  scorrettezza  della  stampa  e  delVorto- 
grafia  sempre  vacillante,  torni  ben  poco  ùtile  allo  studioso,  sia  che 
si  consideri  qual  monumento  letterario,  sia  come  saggio  di  lingua. 

Farsa  da  Perón  e  Clieùina  . 
giugalij  che  UUgorno  per  un  peUo, 

IKTROITUS. 

Segnór  e  donne,  al  cui  plasir 
S'è  congrega  ista  bela  festa, 
Ve  prcg  eh' Ognun  voglia  tasir 
Pr  antènder  nostra  farsa  onesta. 
Su  la  calunnia  manifesta 
Conlra  una  donna  per  stricón 
De  so  mari  rud,  meza-testa 
Chi  fu  tratta  pos  da  bagón. 


050  PARTE  TSaSA 

Comedie  e  tslorie  de  sustansia 
L'altr'ér  se'fìson  an  tribunal; 
Tanta  non  è  th  nostra  arogansia. 
Che  presumìsson  andè  a  l'anguàl; 
Ma  con  Ilcensia  tal  e  qual 
Ve  sarà  sport  qui  o  nostr  solàz. 
De  grossis  pur  su  o  naturai 
E  slond  el  borg  del  cavalàz. 

Pr  un  pel  tra  Cbeirlna  e  tra  Perórt 
Mari  e  moglie  fu  gran  dlscòrd;^ 
Al  vescovà  la  gre  Plumcrón 
Nost  pellucau,  vèl  de  tal  sort, 
Che  Perón  bench'el  fùss  ascòrl^ 
Fu  condanna  cun  desonùr. 
Per  ciò  ch'el  done  a  dril  e  a  tori 
Per  tùt  àn  sèihper  mai  favùr. 

Ognun  s^aslrenza  e  stea  quatiu 
Perchè  a  Pè  de  necessilà 
,  Oi  el  prinsìpi,  el  mez  e  el  fin 

Visi  ch'ani  la  eòa  è  la  bontà. 
Che  mal  pos-ch'cl  mond  fu  cria  * 
Me  fu  proccss  mogi  debatlu 
Benchi  n^àn  dag  una  pota 
A  Pcrón  chi  se  gì'  è  ambatlu. 
ce.  ec. 

Cfieirina  uxor  incipii, 

0  doza  consola  Maria, 
Granda  è  la  penna  e  fantaski 
Del  done  a  governc  una  cà 
Sensa  serventà;  gnun  no  sa 
Se  non  De,  e  mi  povra  Cheirlna 
Che  sol  pr  attende  a  la  cùsina 
Ne  me  bastrca  quatr,  ni  scs  brasse^ 
Par  coglian  si  à  qui  del  besiasse 
Tutte  a  remùs^  da  redrissèr; 
Fors  ch'el  spii  perle  d'anfrissèr! 
Dràip  de  lava,  scucile  e  peirò, 
Aiortèr,  pislón,  poi  e  grlso; 
Dcr  mangia  al  porz,  e  fèr  lessia. 
0  ne  séiàir  za  guùn  tcmp  chi  sia 
De  Sta,  d'Invèrn,  ni  Primavéira, 
Póura  Cbeirina^  che  me  s|>élra 


DIALBTTI   PBDEMONTAMl.  637 

De  reposòr  ni  lani -ni  quanl. 
POS  va  0  nost  Perón  remogniinl 
Dia  bigotta  e  dia  previessa 
Se  vag  at  prich,  o  che  oda  messa 
A  penna  el  feste  comanda, 
E  ch'abbia  pr  recomandà 
L'anima  mia  e  ancor  la  soa 
Perch'  a  ne  sòiàir ,  che  gli  è  mantoa 
1  fra  del  zocre,  o  se  dà  ai  pcs; 
Bla  ven  a  tagl  za  ch^el  cogné^s, 
Che  o  l'às  clancie,  a'el  braglia  ben. 
Per  cost  ne  lassi  a  fèr  del  ben, 
Che  vogr  andèrmene  adèss  adèss 
Troyè  el  roè  ben  fra  Austin  qui  press 
Dcscarièrme  d^ùn  c«rt  pecca  ^ 
Antànt  che  Perón  è  andà  al  marca , 
Che  ben  sarò  torna  a  ben' ora. 
Perón. 
Ond**  sarà  tndà  isla  traditora 
t)c  mia  mogliér?  Mai  non  sta  an  i;^; 
Guardè  che  bella  cura  Tà 
De  tcni  an  órdon  so  meinage! 
0  diao  !  gP  è  apàrt  al  mariage 
Ch'i  me  n*àn  da|;  una  pota; 
Mcgi'  fiu^TÒSi  ccrt  ch'éiss  accatà 
ijna  vaca  da  scs  dùcàt/ 
Ch'afmànc  e  m'an  spagréa  a  bon  pai. 
Ond'ùtu,  olà,  madona  bionda? 
La  sarà  andà  adèss  an  nessonda 
An  bresgie  con  quarch'  soa  comare! 
Nà,  a  glc  besogna  ascurcèr  Tare» 
Che  ne  vogP  pu  eh'  la  vada  insì, 
Ch'o  sapi,  e  son  ben  óm  per  sit 
0  gre  ancor  da  lave  i  sol  asi ,    ' 
E  porrca  ben  disnè  a  bcll'asi, 
A  ne  veg  ch'a  l'abbia  fag  o  Icj;, 
Ni  cog  0  cervclà.  DespòJ, 
Che  ne  vogl  dir  dra  pettczcni , 
eh*  a  ne  sa  ancùr  In  mìa  mei  nera; 
Lassra  venir,  che  veggro  piira 
Chi  avrà  inco  la  lesta  pQ  dura. 
E  se  sarò  merda,  o  mossér. 

Chcìr. 
Uon  dì,  bon  di. 


038  PARTE  TERZA 

1810.  Per  non  defraudare  il  lettore  d'un  Saggio  delle  gra- 
ziose poesie  del  teòlogo  Casalis^  soggiungiamo  una  delle  sue 
fàvole  inorali  sul  noto  proverbio:  Un  buon  consiifUo  vale  uno 

Stalo. 

/  Rai  an  consci, 

'  «■ 

Una  faiuiona  d'  rut  domicilia 

Già  da  lùnghìssim  tcmp  ant  ÙD  gran« 

Vivio  da  sgnór,  e  an  piena  libertà. 
Lì  dop  la  colassión  J  vnìo  't  disnè; 

E  fàit  un  toc  d'  marenda,  alòn^  s'  fam 

Doì  sàut  pr  pie  d'aptìt,  e  pòi  slnè. 
E  liit  so-si  d'  bonìssima  armonìa, 

E  sensa  pur,  ch'i  gat  e  i  so  padrón 
-    Smiava  ogn**  dì  eh' a  piéisso  d'andurmìa. 

Ma  com'a  si'  mond  sagrìn,  consolaasión, 
Richcsse ,  povertà ,  tut  Tà  so  fin,' 
L'è  dcò  vnùjc  pr  lor  so  tour  d'  bàion. 

I 

Venta  eh' un  gat  d'un  manoàl  lì  vsìn» 

Pi  maire  d'ilo  merlùss,  sensa  licensa 

A  m'  fica  'nt  cui  grane  i  so  barbisin; 
E  flst  eia  talunghera  d'  rat  immensa, 

Imaginómse  se  con  tant  aplìt  ^   - 

Podia  esse  capace  d'astlnensa! 

S'J  avslira  ai  prim  ch'incontra,  e  a  (ira  drit, 
E  pia,  croca,  anfornà  l'è  un  pùnt  istèssr; 
J'è  gniine  dlslinsión  né  d'gross,  né  d'  peli. 

Bin  fortuna  tuli  i  altri  eh' a  j  rièss' 
De  mnè  le  gambe,  e  d'  fèsta!  Ma  tut-iìn 
S'  trovrio  ant  cui  tafùs  forse  "1  di  aprèss. 

Dunque  che  parti  pie?  Bsogna  eh'  qualcun 
Propooa,  com  podrio  'ni  da  circostausa 
Garanlìse  da  8t'  gutt  (ier,  importiio. 

ly  acànt  a  cui  grane  j'era  na  stansa 
J^icna  d'  sape,  d'  rastèi  e  d'àitrl  arnéis» 
E  là  i  rat  a  l'an  fàit  soa  radùnansa. 

Un  d' lor  d'tin  genio  iutraprendènt  e  estéiSy 
Ch'  Tavìa  gira  'n  pò  '1  mond,  e  frequenta 
D'  famose  librerìe  pr  d'ani  e  d*  méfs;  •" 


-i>  1 


...^■.■1 


DIALnri  PEDEMONTANI.  039 

»f  Cunósslo  cui  barbrìn  d'i  bali  nei? 
»  A  j  ro  dig,  gira  Baco,  eh' a  u  s'n'anficcla, 
»  S'ù  |)agi  è  bijrb,  s'a  u  sbarda  ncn  der  mèi. 
»  Ma  che  d'si  ch'mi  l  farò  (ni  la  strà  driccla; 
w  Che  d'si...  eh' a  u  8faga  a  vugghi  s'a  i*«  >cl! 
»9  Anco  voi  propi  mi  deje  na  sficcia. 

99  Da  th  chM  ò  pQ  nén  d' ciccia, 
»  Sauti'5  tilt  d'ascóndón  an  groppa  ar  pagi» 
»  E  pò  che  d'si  ch'i  fard  fé  euragi. 

A  disia  d' a  vantagli 
Ma  (ùtl  ant  un  moment  i  ò  duvèrl  i  òi, 
E  soii  truvàme  an  niez  ai  mò  linsòi. 

Alòn,  piève  nén  d'sbol, 
0  Crislofln,  avlve  pa  srcnli? 
S'a  s"* verìfica  'I  sogn,  alòn,  ardì!  > 

SOKÈT 

J*è  certe  brutte  lingue  da  stroplà, 
Ch'a  mordo  e  malcdisso  i  ortoran, 
Disènd,  eh' a  son  canàja,  e  eh' a  van  pia 
Con  d'mole  o  con  tros  d'eòi,  parèi  d'i  can. 

Ste-sì  son  lingue  degne  d'na  tnajà, 
Criticànd  i  ortoràn  eh' a  son  iimàn; 
Son  paste  d'sucher,  dvot,  bon  com'cr  pan, 
E  gcnt  d'ripùtassiòn,  nost  Sgnór  lo  sa! 

I  dnc  che  i  àiiri  spendo  ant  i  quarlin, 
An  onór  dra  Madona  a  i  àn  spendù, 
Aussàndje  un  campanin  con  un  ciochìn. 

Lor  son  nén  spadissin,  porto  niùn  guai, 
Son  semp  (ranquii,  e  sensa  parie  d'pu, 
Vi  dag  per  tanti  galantòm  au  tài. 


Dialetto  di  Polrlno. 

i80^.  Anche  il  dialetto  di  Poirino,  pìccolo  villaggio,  forma 
parte  del  rùstico  astigiano.  In  esso  publicava  alcuni  scherzi 
poètici  Agostino  Bosco,  prendendone  argomento  dal  passaggio 
per  Poicino  del  Sommo  Pontéfice  Pio  VII,  il  12  novembre  1804. 
Sebbene  privi  di  gusto  e  di  sale  poètico,  no  abbiamo  trasceltp 
alcuni  in  Saggio  di  quel  dialetto. 


040 


l>AIITI  TmZA 


I. 


I  0  visi  cr  Papa; 
E  chi  8*n*nnfót! 
Mori,  pia  ra  sapa, 
E  picme  ar  mot, 
Chi  scQnpa,8canpa; 
Fame  ra  tanpa. 


I  ò  vlst  er  I^apo; 
Mi  8on  san-àl 
Ra  mori  eh*  a  m'ciapa. 
Mi  mai  danà. 
Vor  con  Biatris 
An  Paradis. 


II. 


Cól  eh' a  J  dìo  *r  Papa, 

Mi  folfotu  pensava, 

0  Toma,  eh' fusa  un  pcit  eh' mangia  ra  papa, 

E  ch'o  comensa  già  ciamè  papà. 

Papa  Pio  r*ù  un  galàt  ch'o  fa  pi  pi, 

Disóc,  coma  fa  'r  gal  chichìrichì; 

In  soma  ai  na  masn«! 

Ma  quan  r'o  vist;  oh!  cass're  licic  bote, 

Ò  dit;  r*è  un  òm  ch'o  mangia  già  r'pagnole! 
—  Ti  i' piavi  duncr  un  l>5  pr  n'crbaro; 

Na  ròi  pr  un  faso; 

E  rn  mura  dr  frc  pr  can  dr  Maire! 

Ti  Tr^anlendi  pa  vàirc; 

T'ài  da  fc  com'Tomn, 

Ch'à  mai  viQ  crde  fin  ch'o  r'à  loca.' 

Sal-lu  chi  è  'r  Papa?  San  Por,  chMul  »  *aii , 

Ch'o  Icn  re  ciav  dr  paradi»  art  man  !  — 
M' ro  dorbìss  an  pò  a  mi  !  — > 

Va  pa  tan  a  dorbilro; 

Pr  dìtro  sì  latin, 

Ani  na  parola,  basta  ma  eh' fu  bin. 

Fò  blH  cos'cio? 

Lo  oh'ò  d'Sésre,  sia  d'St'^src; 

Lo  eh' è  d'Idìo,  d'Idio; 

E  lo  ch*c  d'nii.  Margarilìn,  sia  mio. 


Gruppo  Canavese. 


l^èreellese. 


Abbiamo  avvertita  nel  precedente  Capo  l'assoluta  mancanza 
di  produzioni  letterarie  nei  dialetti  canavcsi;  e  perciò  siamo 
lieti  d'aver  potuto  rinvenire  due  poesie  d'occasione  che  qui 


DiALirrn  ^montani.  Oli 

soggiungiamo,  cioè:  un  Sonétto  inèdito  pel  giorno  natalmo 
d'un  amico j  in  dialetto  di  Vercelli,  ed  alcune  quartine  nel- 
l'antico dialetto  di  Brozzo,  per  l'elezione  d'un  pàrroco.  Siccome 
poi  quest'ultimo  dialetto  per  la  corruzione  delle  voci  anche  de- 
rivate da  radice  latina  è  presso  che  inintelligìbile,  cosi  a  cò- 
modo dello  studioso  che  indaga  le  orìgini,  crediamo  opportuno 
pòrgerne  in  sèguito  la  versione  letterale. 

Pr  el  dì  d'ia  festa  d*un  amis, 

SONÈT. 

Me  car  Luis,  Tè  ben  domàn  tóa  fesla? 
Ma  sì ,  domàD  :  oh  1  quanti  bei  bochèt 
Rotónd,  piramidài  t'piovràn  s'ia  testa, 
Mentre  forse  t'savè  ancora  a  lèt! 

Chi  va,  chi  vèn,  chi  cur  con  gamba  lesta, 
Portàndii  d'biciolàn,  d'busie,  d*confct; 
La  gioja  s*vdd  su  tuti  manifesta; 
!  amis  i  arivo  a  ses  pr  volta,  a  set. 

Già  la  stansa  l'è  ingombra,  e  cosi  piena, 
O  gèntùs  gèntus!  dMante  bcle  cose, 
eh' a  fèje  tute  stè  a  ]  tol  d'Ia  pena. 

Ma  dime:  j'è  ancor  post  pr  un  Sonclìn 
D'un  mat,  eh' a  sa,  nén  fé  ne  vers,  né  prose?   - 
Oh!  fàji  bona  cer^i,  Luisin! 

Dialetto  di  Brono. 

Pigliàtìd  possèis  a  la  parrochiàl  d*  Bróss  lo  tant  illiislar  e 
riverèìid  Sgnó  Don  Pero  Lofpts  Sartoris  d'Novreilla,  Rim  an 
stil  véri  d'Bròss, 

Cb'a  n^sìcn  arsiè  gl'elmole  anc'anviàtt 

Cause  d'pla  pèrdila  dal  Don  Cariitt, 

E  eh' a  torno  lùse  culla  dielta 

Applà  da  tuie  quciné  nl-èt  prediletta! 
Ch*a  bàico  anca  sgnó  Fede  Lovis, 

Con  la  soi  bell'aria  dal  paradìs, 

Cuurmai  Brdss  ài  piàin  d'consolassión 

An  Tììì  \\ì\à  ancontra  d'un  prió  si  Imn! 


64S  .  PARTI  TERZA 

.  Col  CO  tènere  piàin  d'allegria 

E  ansòiD  a  cusla  Gerarchia 

Ch'a  s'è  degna  d'vrai  bùia  Fiere 

Par  nost  Pasto  an  custe  carrere, 
Cogno9su  prò  con  gran  sodisfassIÓQ 

Dai  sóen  franche  prove  d^ tutta  affessión, 

Che  tant  spiritual ,  che  tamporàl 

A  poziava  vrèine  gniun^cd  ugual  ! 
Ah!  quàglie  vux  purànnc  ni-èt  imita 

Pr  poèi  anca  an  fris  ringrazia 

Lo  nost  Pare  àut  eterno  patron 

D'un  sì  tant  istraordinari  dóni 
Abastansa  i  poàn  nit  ringrasslà 

Lo  zelo  de  llonsgnó  d'avài  scondà 

Le  vós  dau  cicl,  e  sóen  inspirasslòn , 

In  parmelline  un  Cura  si  bon. 
Pasto,  contai nt  i  sén  abastansa 

D' cusla, fortunata  alliansa; 

eh'  a  prJco  ma  eh'  lassù  sainsa  crenta , 

Ch'a  srà  provist  d'brovée  i  d' polenta. 
Kandiènt  grassie  al  pi  bàut  Suvran  - 

D'ave!  anvoèrt  tant  i  pò  la  man, 

D*  colmane  d' tanta  consolassión , 

IncsplicàbiI  con  le  nuste  razón  ; . 
Partià  I  prcgràn  tal  Sublimità 

Pr  una  vita  lunga  i  d'sanità, 

Pr  anvuilo  a  nacheta  marmerà 

Tut  farvó  mustràne  la  giusta  strà. 
Sien  esaudie  le  nuste  preghiere 

Pr  intercesslón  delle  Schiere, 

Che  dopo  d'ava!  an  quasi  mond  malpinà 

Con  ChiàI  lassù  tùie  quèiné  i  pòsson  nà  i 

dolb  cuiosetto. 

Versione  letterale  di  qubst^Oltimo  componimento. 

Prendendo  possesso  della  Parrochiale  di  B rozzo  il  molto 
illustre  e  rcv^crendo  Signor  D,  Pietro  Luigi  Sartoris  di  iVora- 
reglia  j  Rime  nel  vecchio  stile  di  Brozzo, 

che  ci  siano  rasciugate  le  làgrime  anche  una  fiata 
Cagionate  da,  e  per  la  pèrdita  del  Don  Carrèt, 
E  che  torni  a  risplenderc  qu^l'  età 
Chiamata  da  tutti  quanti  npl-altrl  prediletta  ! 


DIALETTI  PIOniONTANI.  01$ 

Osservi  anch' egli  signor  Pietro  Luigi 

Colia  sua  bella  faccia  da  paradiso, 

Come  mai  Brozzo  è  pieno  di  consolazione 

Neir andar  tutti  incontro  ad  un  Prfore  si  buono! 
Col  cuore  tenero  e  pieno  d'allegria, 

E  insieme  a  questa  gerarchia 

Che  s'c  degnata  di  voler  méttere  Pietro 
.  Per  nostro  Pastore  in  queste  contrade; 
Conosciuto  abastanza  con  grande  soddisfazione 

Dalle  sue  franche  prove  di  tutta  affezione. 

Sicché  tanto  per  lo  spirituale,  che  pel  temporale, 

Potea  venirne  nessun  altro  eguale! 
Ahi  quali  voti  potremmo  noi-altri  eméttere 

Per  potere  tanpoco  ringraziare 

Il  nostro  Padre  grande,  eterno  Signore, 

D'un  cosi  grande  straordinario  dono! 
Abbastanza  non  possiamo  ringraziare 

Lo  zelo  di  Monsignore,  per  aver  assecondato 

Le  voci  del  cielo,  e  le  suq  inspirazioni 

Kel  permétterci  ìin  Cucato  si  buono. 
Pastore,  slamo  contenti  abbastanza 

Di  questa  avventurosa  alleanza; 

Preghi  solo  lassù  senza  timore, 

Che  sarà  provvisto  di  castagne  bollite  e  di  polenta. 
Rendendo  grazie  all'altissimo  Sovrano 

D'aver  aperto  cotanto  la  mano, 

Di  colmarci  di  tanta  consolazione 

Inesplicàbile  colla  nostra  ragione; 
Pertanto  pregheremo  quella  Sublimità 

Per  una  vita  Innga  e  sanità. 

Per  udirlo  lunga  pezza  predicare. 

Tutto  fervore  mostrarci  la  retta  via; 
Siano  esaudite  ie  nostre  preghiere 

Per  intercessione  delle  Schiere, 

Sicché,  dopo  d'aver  affaticato  in  questo  mondo, 

Con  Quel  lassù  tutti  quanti  possiamo  andare! 

Gruppo  Monferrino. 

Anche  ì  dialetti  monferrini^  come  abbiamo  avvertito,  furono 
generalmente  negletti;  né,  per  quantq  ci  consta,  vennero  mai 
alla  luce  colle  stampe  componimenti  intesi  ad  illustrarli,  ove  si 
eccettuino  una  Canzone  alessandrina,  ed  un  Sonetto  in  dialetto 


^u 


PAETB  TBRX.% 


di  Mondovì^  inseriti  nella  priitia  e  nella  Nuova  Miccèide.  Ciò 
non  pertanto  qualche  poesìa  d' occasione  girò  talvolta  modesta- 
mente manoscritta  nell'uno  e  nell'altro  municipio,  e  special- 
mente in  Alessandria,  o,ve-  la  Società  degli  Immòbili  mantenne 
vivo  per  qualche  tempo  V  amore  pe'  buoni  studj.  Di  queste  pro- 
duzioni inèdite  appunto  facendo* qua  e  là  ricerca,  ci  riusci  rin- 
venirne alcune  di  qualche  pregio  nei  dialetti  alessandrino,  ac- 
quense  e  mondovito,  e  ne  arricchiamo  la-prèscnte  raccolta,  in 
Saggio  cosi  della  poesia,  come  delle  svariate  favelle  monferrinc. 


A  Ic«8aii4rl  ■!•. 

Ina  Cansdn  poptitàr  scticcia  in  dialètt  Lissandrén. 

In  fati  8iiccès:s. 


chi  vò  senti  ré  do  róji 

Ista  bela  novità? 

A  I*c  turna  ti  tcmp  d'er  siréji; 

L^è  In  bel  cas  chM'è  capita. 
A  n'è  nenta  'na  nuvela. 

Ma  l'è  capita  da  boa;, 

Isla-clii  r'è  propi  bela 

Pr  amparc  s'u  s'è  minciòn. 
Ina  dona  lissandrcnna, 

Ch'r'ò  la  fia  d'in  barge, 

A  s^è  faccia  ina  matcnna 

Da  na  zcngra  s.lrolugliè. 
J'à  'ndvinà  eh' a  r'è  mariàja, 

E  ch'r'à  pia  za  doi  mari; 

An  poc  lenip  a  r'à  aucantàja 

Con  pareli  da  sturdì. 
Cula  stréja  maladclla, 

eh' r' era  fora  par  grifTè, 

Con  na  lengua  da  sajetla 

J'à  squallà  diversi  affé. 
J'à  parla  d'er  piirgalori, 

D'sò  mari  eh'u  j'era  an  dreni; 

R'à  Iruvà  na  tabalori 

Cb'a  j  d'J  à  mai  rispondi  ncnl. 
Con  in^aqua  a  r'à  sbrinsàja, 

Ch'r'éiva  an  drenta  ani  ih  sucòt; 

R'à  Ani' d'essi  ancantàja 

Fandji  vigghi  cui  dtauvròi; 


A  j'à  dio  d'er  parolassi, 

Ch'a  r'à  fàccia  stralùnè; 

J'à  fa£  vigghi  deri  ombrassi 

Ch'  1  son  robi  da  scapè. 
A  J  r'à  dàccia  ben  d'anlendi 

Par  piidéi  fèj  l'arzantén, 

E  con  tiìli  cr  so  faccndi 

A  j' à  pia  fina  i  durén. 
A  j'à  pia  l'avsti  da  spusi, 

E  in  scussa  ben  ricama; 

Tuli  er  robl  ch'r''élva  scusi, 

E  ch'a  I  Inlva  ben  lugà. 
A  j'à  pia  deri  àter  robi 

Aniuppà  ani  i  fas6ulètl, 

A  r'è  stàccia  na  zanobi 

A  lassèsi  fé  'r  fiuchètt! 
A  r'è  slaccia  na  mindónna 

A  lassèsi  slrolughè 

Da  na  rassa  bozarónna 

eh'  r*  era  fora  par  mignè  ! 
A  u  r'à  propi  ncnt  capia. 

Che  sta  geni  ch'i  giru  'r  mond. 

I  sòn  tiÒ  d'ina  famia, 

Ch'u  so  nom  l'è  gabamònd; 
Che  par  fera  pù  sicura  , 

Lur  a  parlu  bel  a  pian, 

E  po*dop  a  ra  drittiira 
'    I  sgrdfflgnu  eoo  er  man. 


DIALnri   PBDE3fOXTA.1l.  645 


O  r'mé  doni.  Ini  da  meni, 
Quand  ch'i  vorru  slrolughèv, 
Ciamè  Tom,  o  dTatra  gent, 
Par  ch^i  v'possu  nént  rul>èv; 


Mandè  véju  sta  genoria; 
Sarè  l'ùsR,  e  stèviii  a  cà: 
S'I  tenréi  su  chi  a  memoria, 
Hai  pQ  ansóo  a  v'ra  flcrà! 


Ba  Fàbula  der  Fazàn. 

SONÉTT. 

Quaod  ch'er  bestie  i  parlavu,  ani  iu  pule 
Gh'a  J*era  gali^  galeoni  e  d'i  capón. 
Con  l'ijss  dUvèrt,  perchè  fera  d'amsóit, 
U  j'è  antrà  drenta  in  bel  fazàn  anvè. 

I  capòn  chM  Tin  vist,  i  àn  dio:  Cs*è  ch'I* è? 
eh' a  Tveni  ansema  a  noi  ant  Isl  pajòn? 
Et  an  disgrassia,  di,  d'u  tò  padrón? 
Parla,  dì  sii,  o  va  fora  d'i  pè. 

Sentènd  a  fèsi  d'isti  complmcnt, 
L'à  dio  a  verta  cera:  Coi  banàn 
Mèi  a  son  sòlit  eh' a  n^rlspónd  inai  nént. 

Anlura  na  galénna  eh' l'à  censì,' 
A  J'à  ciamà  con  grassià:  Sur  fazàn, 
Ch'u  ffl'diga  'd  po'er  molìv  che  lù  Tè  chi?  - 

A  tèi  à  i'ia  voi  dì. 
Perchè  i'èi  rispetlusa  pù  che  lur, 
Ch'ar  besUi  fénni  i'a  J  sài  dèj  d'u  siùr; 

E  par  feti  'r  favùr 
Yen  fora  bela  sula  a  V  aria  scucrta , 
eh' a  l'dirò  tùl,  sta  pur  sicura  e  certa. 

Ila  'r  gali,  ch'u  stava  a  l'erla, 
Per  nenia  ch'u  J  succeda  der  balladi, 
L'à  die,  che  lù  u  u'  v«>  meja  d'fazanadi; 

E  con  dii  0  tre  cantadi, 
L'à  cria  tant,  che  sta  galénna  smorta 
M'à  gnanca  buia  1  pè  fora  d'ra  porta; 

E  con  ina  vns  forta 
Da  fés  sentì  tre  mija  e  pù  lontàn , 
L'à  sbalordì  e  fa  scapè  'r  fazàn. 

Sia  fàvola  ra  dls:  chi  vó  stimèsi, 
Ani  serti  post  a  bsogna  nént  flchèsi; 

E  pò  ra  dis:  che  l'óm  quand  ch'u  J' arriva, 
Fa  vnì  la  dona  benna,  s'r'è  cativa. 


hh 


Clh6  PAHTB  TERIA 

Par  va  Mudona  d'ra  Concesiión 

Sonìtt. 

Vurréls  che  cui  serpènt  flss  d venti  mut 

Quandi  chM'à  tenta  Adam  e  so  mujc 

Con  cui  paroli.dusf  cniè  rame 

Par  ch'i  mangéissu  tutti  doi  der  frùt. 
Ahi  se  cui  pum  er  fissa  slaé  pu  brut. 

Chi  sa,  ch'u  n' fissa  ancora  da  stacbè? 

Ma  Pera  bel...  Val' a  fé  buzanchè! 

Tra  jùn  e  l'atra  i  l'à  mangia  pò  tut. 
Yardè  cs'è  ch'er  vó  di  èssi  cùriùs, 

A  de  da  meot  a  cui  ch'i  n'son  nént  giusti 

Dop  d'ra  vergogna  I  s'era  fina  scus. 
Ma  cs'è  ch'àn  guadagnai  par  fé  in  pcà  d'gura? 

I  àn  guadagna  la  mort  par  plèsi  in  gusl, 

E  I  àn  trae  i  so  fiói  tÌÒ  an  maturai 
E  stéissa  lei  ancural 

Da  culla  pianta  ciri'à  tuccà  Adam, 

U  J'è  surti  ra  pest,  ra  uerra  e  fam. 
A  l'era  in  affé  grami 

Par  tutti  noi,  par  Uè  l  pecatùr, 

S'u  n'j  a  nassiva  nénta  u  nost  Slgnùr; 
Che  par  fés  Redentùr 

E  avni  ant  ist  mond,  u  s^è  sercà  na  Marna, 

Cb'r'a  bulla  sutt'ai  pé  culla  pél  grama. 

1790.  Dopo  i  componimenti  inèditi  surriferiti  stimiamo  far 
cosa  grata  allo  studioso  riproducendo  la  Canzonella  del  Padre 
Agostiniano  L.  P.  \.  iM.  D.  tu  morie  d*una  gatta  j  già  inserita 
con  altri  componimenti  vernacoli  nella  Ntiom  Miccèide,  Per  tal 
modo,  aggiungendovi  ancora  il  Sonetto  inèdito  susseguente  del 
Dottor  Ferraris,  avremo  riunito  qnanto  di  èdito  ed  inèdito  è 
giunto  a  nostra  cognizione  nel  dialetto  alessandrino. 

Canzone. 

Voi  savi,  che  o  Ritrattista^ 
£  pudrón  dra  brava  Mìccia, 
Ó  n'à  iuissi,  cb'ra  foss  mai  diccia. 


0  i  me  car  ver  patriot, 

Si  m'cognsi  ch'a  son  sol  bon 
Da  fc  vers  da  culissón 
E  d'rimlè  cm'i  fuii  i  bò, 

Perche  mai  sti  me  ciapòl. 
Ch'i  son  faÒ  a  rn  carlona, 


Ch'ó  so  pnèl  ra  ritratàss; 
E  pò  a  vri  vlghi  adèss  ista 
Pr'ina  galla?  In  sporcacén 


E  tira  zìi  zu  n  ra  bona  i     Ch^ó  n'var  guanca  in  raez  qualrcn 

1  m'zerchè?  Mi  zert  n''al  so.         *     Ch'mela  fora  i  so  spcgàss? 


DIALETTI  .PEDEMONTANI. 


647 


A  i  metrò;  dirò,  ch^ra  gatta, 
eh' a  s'dis  morta,  son  tanè  anni, 
E  za  staja  a  angrassc  ar  cani, 
R'è  ancor  viva  ant  ist  moment. 

Sèi,  r^è  viva ,  e  mangia ,  e  a  8' gratta , 
E  ra  zaffa  ancor  di  ose; 
S' lecca,  a  s' lappa,  e  an  zima  al  slè 
Ciapa  ratt  alegramént. 

Sèi,  r'è  viva;  e  con  razón, 
0  s' pò  dì  :  86  chi  è  dottor^ 
E  ben  brav  ant  n'art,  ó  n'mór, 
E  ó  n' dovrà  mal  pii  morì. 

Ra  vlv  doDca;  e  vlv  da  bon. 
Se  pò  6  8'vni,  che  fin  dM*otanta 
Stampa  I  àbo.  e  d' nóv  ò  s' canta 
Ra  so  mort  per  ar  Mondvi, 


Sta  razón  vai  poc,  o  nenta; 
Perchè  Miccia  an  tanè  gattén 
Vivrà  sèmper  senza  fén, 
E  vivrà  gloriosamént. 

Ra  zitta  r'è  ben  contenta 
D'vighi  spars  pr  1  so  cantón 
Ista  gran  generasslòn 
E  d'contèni  di  bei  zent. 

Se  pò  a  Miccia  i  sméjo  i  fiói, 
An  Mondvi  (Pè  zert  el  fatt), 
0  i  sarà  pu  gatt  che  ratt, 
E  mane  dagn  an  lutt  ar  ci. 

Sarà  ancor  Pistèss  da  noi. 
Se  ra  rassa  d'i^  gattén 
A  s'farà  \'er  Lissandrén, 
Coni  r'è  za  tiitt  ra  zitta. 


1790.  Sullo  scorcio  del  passato  sècolo^  avendo  il  Re  dì  Sar- 
degna fatti  tagliare  alcuni  boschi  in  una  landa,  sulla  quale  la 
Repùbiica  genovese  pretendeva  diritti  di  proprietà,  un  poeta 
scrisse  un  Sonetto  in  vernàcolo  genovese  contro  questa  pretesa 
usurpazione,  scagliando  basse  contumelie  al  Duca  di  Savoja. 
In  difesa  quindi  del  proprio  sovrano,  il  mèdico  alessandrino 
Ferraris  dettava  il  seguente  Sonetto  colle  stesse  rime  del  ge- 
novese, al  quale  rispondeva: 

Sometto 


Lassa  slè,  bèc-fotù.  Casa  Savoja, 
Buzarouón  figon,  chi  t'à  mostra 
Gomitè  coi  tò  vers  da  disperà? 
S'a  so  chi  t'èi,  a  t'fas  passe  ra  voja. 

Mostra  V  mostàss,  tió  d'na  pitana  troja, 
Bensa  tire  d'scondón  ist  tò  sassà; 
Sci  ch'u  nost  re  o  niMassàs  an  libertà, 
A  t' farei  va  terme  gist  cmè  na  foja. 

E  cosa  a  l'crédti?  È  'r  chTabi  d'i  dindìn  ? 
£  mei  dra  roba  a  j'ò,  cujonón  ghemo. 
Da  stretji  drent  gist  cmè  ant  ra  fanga  i  ghin. 

Tei,  e  chi  fa  per  tèi  tió  quanò  ansemo. 
Sortì  pur  fora,  ch'cn  faruma  V  fin. 
Che  i  fio  d'Gajàud  i  nMremo  ncnt,  i  n'  (remo  1 


VtkH  rARTt     TERZA 

Blaletto  d^Acqwl. 

Non  avendo  potuto  conseguire  una  versione  ben  fieitla  della 
Paràbola  del  figliiiòl  pròdigo  in  questo  dialetto,  né  molto  meno 
valerci  di  quella  del  Cbabrol  inserita  nella  Stab'stica  del  Di- 
par  timento  di  Montenotle j  perchè  male  parafrasata,  e  ripiena 
d'errori,  ci  riputiamo  avventurati  di  poter  produrre  in  Saggio 
del  dialetto  medésimo  i  due  seguenti  Sonetti  inèditi  dell' avvo- 
cato Emilio  Manara  d'Acqui,  nel  primo  dei  quali  con  molta 
grazia  e  fluidità  di  verso  descrive  i  pregi  della  sua  patria;  e 
nel  secondo  tentò  voltare  nella  nativa  favella  il  Sonetto  inarri- 
vàbile del  Filicaja: 

Italia,  Italia y  o  lUj  cui  die  la  torte,  ec. 

I. 

A  snistra  d'Bórmia^  an  lesta  a  *na  gran  vai. 
Da  bel  colione  e  vigne  circonda, 
U  J'è  la  8iU  d*Àlcq,  la  capital 
D'settantadùi  pais,  e  d'ràut  Honfrà. 

A  drfccla  d'I'istéss  fiQm,  a  mira  ega&l, 
O  s' trova  i  famós  Bagn  osé  rinoma, 
Per  i  aque  fresche  e  càude  naturai, 
D'virlu  miracolosa  spermenlà. 

L'aqua  bojenta  poi  drenta  M  paìs, 
Cadèmia,  Ornato,  bri  slradin,  leàter, 
Son  lite  cose  da  traini  l'amìs. 

V  yk  d'bonissim^uria,  e  d'òtlim  vin; 
U  j'è  M  progress ,  e  pòi ...  me  ne  v'dlg  àter: 
U  j'èM  pé  gran  bel  cor  ani  I  Moufrìn. 

II. 

Italia,  Italia,  o  te  chTài  avQ  'n  sort 

El  don  sgrasslà  dia  blessa,  eh' a  t' procura 
Fortìssim  guai  un  quantità,  di  pura, 
Ch'a  Imporle  serio  un  faccia  per  gran  tori. 

Foste  men  bela,  o  a\ ciste  *i  brass  pé  fori, 
Ch'i*avéiss  pé  lant  «la  spaventóse,  o  pura 
T'amciss  pé  puc  chi  do  lo  bel  denatura 
Hi  par  ch'cl  spasinu,  e  cs'è'lV  0  t' sfida  a  uort. 


OIALRTTI    PEUEMCKVTAM.     .  ft'4  9 

Che  7Ó  dui  Alpe  a  strop  nò,  cb'a  n*vogréi^R 
Calè  d*i  arma(le«  e  lita  ansanguìnàja 
Béive  ronda  del  Fa  cavai  franséisl 

Nò  'l  fer  cli'o  n*è  nén  lo  tesare  butlÀj^, 
he  coi  strangé  per  batte  coi  so  arnéi». 
Per  servi  semp,  p  vittoriosa,  o  sfàja. 

Dialetto  di  Mmì^I^tì. 

Come  Saggio  del  dialetto  e  della  poesìa  di  Mondovì  ci  riuscì 
rinvenire  i  due  seguenti  Sonetti^  il  primo  dei  quali  è  di  Giu- 
seppe Bruno,  in  morte  della  galla  d'un  pittore  di  Mondai,  e 
trovasi  inserito  nella  prima  Mìccèide.  Il  secondo  d'anònimo 
autore  fu  dettato  in  occasione  di  Nozze. 

Sonello  di  G/tisrppe  Bnnin. 

Lassma  'n  pò  sto  u  latin  e  r'itallàn; 

S'purranne  nén  fé  i  vers  an  Piemonlàis? 

0  eh' a  sì  'n  Plemontàis^  e  già  ch'i  s^fàn, 
l^ra  smìa  d'^sentìje  a  scorre;  olà  sma  *ntàis. 

Ma  mi  fé  di  sonèt?  0  'rbrOt  bagiàn^ 
Lo  ch'dwiné  gnìin  dr  me  par  n'*à  mai  prtàis, 
E  mi  vorò  cantò?  m'aera  ''n  pò  pi  san 
ChMspeta  'ni  Maj^.  ch'alora  o  srà  Vme  màis. 

Tutt'un,  fa  ncn,  tanl  i  voi  di  carcòss. 
v* credevo  ch'ra  mia  Musa  sea  tant  fola, 
eh' a  n'sapa  nén  armane  fé  'n  a%ocà? 

A  n* somma  cosa  dì?  v'pensevo  foss. 
Ch'i  v'vòja  mnève  in  long?  ant  na  parola: 
Cwntìa  pi  brava  eh' sta  »'è  nmi  trova! 

Sonetto  per  Nozze. 

Me  car  Bunada,  sàvu  lo  ch'i  ò  faè, 
Pr  prsentève  dercò  mi  do  fiù? 
Sogn  'ndà  na  noè  a  gatagnàu  e  quàÒ 
Su  'r  bric  der  Muse  sensa  fé  armò; 

Ma  1  ai  va  pàu  eh'  carcun  slàiss  ar  avàò, 
E  eh-  u  m'  quoràiss  ben  ben  con  'n  tertù. 
Ora  fuffa  d'  nén  insì  d'ani  cui  impàò, 

1  termoràiva  tant,  ciri  o  scu  a  pie  I  dru. 


oso  PARTI  TERZA  DIALETTI   PBDBMOIITANI. 

Vanamàn  i  m^  but  li  con  tanta  góe 
A  scardasse  pr  dri£  e  pr  travèrs, 
Ch'an  lo  d'  pie  di  viuré»  i  o  pia  di  eòe. 

E  cum'èlu  cVu  8'  paìva  fc  divers? 
Confus  au  scu...  Ha  a  disru  si  'ntra  nòe, 
Fàmajc  còse,  e  tùt  andrà  nén  iiers. 

Prchè  a  spieglièvra  'n  vers, 
EIcna  r'^è  trop  bela,  e  a  r'à  i  di  viv; 
Vóe  a  V'  scàudi,  m'è  vis,  pur  tuo  e  dòe, 
E  un  po'  d'  brò  d*  eòe  u  saréa  nén  caliv. 


i 


CAPO  VI. 

Pibliografìn  dei  dinfetti  pedvmontani. 

Gruppo  Piemontese. 

Opera  jocuiìda  No.  D.  lohannis.  Georgi]  Alionl  astensis,  metro  aiack»rrv 
nico,  materno  et  gallico  composita.  Impressuiii  Asl  per  FranclHcuu  4« 
Silva,  anno  Domini,  1021.  —  JVui  abbiamo  citato  quetl'òperaj  e  te  dm 
ristampe  che  se  ne  fecero  nel  I601  e  nel  I6S8,  nella  Bibliografia  dei  dU» 
letti  lombardi^  poiché  in  una  Farsa  si  trova  il  Milanese  che  vi  porla 
fin  incòndilo  dialetto  lombardo,  A  compiere  quel  cenno  che  qui  a^rtbbt 
avuto  un  posto  meglio  appropriato j  aggiungoremo  j  che  prima  delle  due 
ristampe  mentovate ^  altra  venne  publicata  col  titolo:  Opera  molto  piace- 
vole di  No.  M.  Giorgio  Arione,  Astesano,  novamente  e  con  diligenza  cor- 
retta  e  ristampata  colla  sua  tavola.   In  Venezia,   ittoo,  in-a.  Sebbene  il 
frontispizio  accenni  chiaramente  yenezia  come  luogo  di  publicazione , 
Gio,  Andrea  Irico  nella  sua  Storia  di  Trino  afferma^  che  fu  publicata  dai 
Gioliti  in  Trino:  Opera  molto  piacevole  di  No.  M.  Gio.  Giorgio  Alione, 
cosi  si  esprime^  apud  lolitos  Tridini  edita  ittoo,  ut  typi  indicant  apertis- 
sime, quamvis  Venctiis  in  fronte  cxcusa  dicatur. 

Ciò  premesso,  siccome  tutte  le  edizioni  posteriori  sono  mancanti  di 
molti  componimenti ,  e  della  primuj  distrutta  per  òpera  dell'Inquisizione^ 
è  quasi  un  prodigio  il  rinvenire  un  esemplare  compie  lo  j  slimiamo  opporr 
luna  offrire  ai  nttslri  lettori  ttn  Indice  dei  componimenti  vernàcoli  nella 
medésima  contenuti;  i  quali  sono: 

I.  El  Prologo  de  Tauctorc: 

s.  Comedìa  de  l'homo  el  de  sol  cinque  sentimenti; 

3.  Farsa  de  Zohan  Zavulero  el  de  Bialrix  sua  mogllere^  el  del 

prete  ascoso  sotto  il  gromello; 

4.  Farsa  do.  doe  vcgie  repolite^  quale  votivano  reprcnder  le  giovane; 
».  Farsa  de  la  dona,  quale  del  Franzoso  se  credla  bavere  la  robba 

de  veluto; 


6Ì52  PARTB  TERZA 

6.  Farsa  sopra  al  litigio  de  lu  robba  tic  Mcolao  Spranga  Astasano; 

7.  Farsa  del  marito  e  de  la  mogllcrc,  quali  liligoreno  insieme  per 

un  petlo; 

8.  Farsa  de  due  vegie,  le  quale  fecenn  acconciare  la  lanterna  et 

el  soffietto; 

9.  Farsa  de  Sebrina  8|K)sa,  quale  foce  ci  figliolo  in  capo  del  meyse; 
IO.  Farsa  del  Braclio  et  del  ^lilaneyso  innamorato  in  Ast; 

fl  I.  Farsa  del  Francioso  ailogialo  a  i'hosleria  del  Lombardo; 
18.  Sententia  in  favore  de  due  sorelle  spose  contra  el  fornaro  de 
Prumello. 

13.  Frolula  de  le  done; 

14.  Cantione  doe  per  li  frati  de  Sancto  Angustino,   contra  li  disci- 

plinati de  Ast; 
18.  Uno  benedicite  dus  et  uno  reflcial. 

Per  le  ulteriori  notizie  vè(jgnii  ciò  che  aObiam  detto  nella  Bibllografla 
milanese,  e  nei  Cenni  istorici  sulla  letteratura  pedemontana. 

Comedia  paslorule  di  nuovo  rem  posta  per  Messer  Bartbolomeo  Brayda 
di  Summariva,  et  oltre  più  versi  del  medésimo.  Nel  fine  la  dolce  e  lieta 
Tfla  che  alle  campagne  si  pro%'a.  —  In  Torino,  appo  GioVan  Maria  da 
SalUEzo,  i8«6.  —  7Va  (jli  interlocutori  della  Comedia  fu  introdotto  %m 
Fatano  ohe  parla  il  dialetto  pieìnontcse. 

I  Fréschi  della  Villa,  dove  sf  contengono  barcellette,  canzoni,  sdroc- 
elolly  disperate,  grotteschi,  bischicchl,  pedantesche,  indovinelli,  sere- 
nate, sonetti,  gralianate,  sestine,  et  un  echo  molto  galante.  E  tutte  co^ 
piacevoli  composte  da  Giulio  Cesare  Croce,  aggiuntovi  in  ultimo  I* Egloga 
pastorale  di  Lilia,  di  Luchina  et  sopra  il  tramutar  al  San  Michele.  — To- 
rino, 1063,  ad  istanza  di  Giovanni  Manzolino,  in-is.  —  In  qìiesto  vo/m- 
metto  di  48  pàgine  icrilto  in  italiano  j  la  sola  aggiunta  è  picìnontete,  t 
comincia  a  pag.  se^  contenendo:  La  Canzone  di  Madonna  Luchina,  la 
Canson  di  Dist)auchia,  Canzone  della  Ballouria,  Canson  pr  M  tramuè  d* 
San  Michel. 

L^Arpo  discordala,  dove  dà  ragguaglio  di  quanto  occorse  nell'Asse- 
dio 1703,  1706  della  città  di  Torino.  —  Torino,  nella  stamperia  Fontana 
nel  palazzo  di  città.  Con  permission,  in-is.  —  L* autore  di  guest* opit' 
scolo  in  versi  endecasillabi  e  settenari  rimali  piemontesi  è  D,  Francesco 
Antonio  Tarizzo  prete  ^  cittadino  torinese  ed  autore  di  un  altro  Raggna- 
glio  istòrico  dell'assedio  e  liberazione  della  città  di  Torino,  ifi  prosa  ita- 
liana. Sebbene  manchi  la  dala^  è  noto  èssere  stato  publicato  nel  I708. 
Posteriormente  se  ne  fecero  due  ristampe;  la  prinw  forse  in  7br/«o, 
senza  data,  col  titolo:  L'Arpa  discordata  nella  prima  e  seconda  venuta 
del  signor  Duca  della  FogHada  sotto  Torino,  In-is.  La  seconda  j  pure  in 
Torino j  senza  data^  col  titolo:  L'Arpa  scordata  nella  prima  e  seconda  ve- 
nuta del  signor  Duca  della  Fogliada  sotto  Torino.  ^4  quest* ùltinui  furono 
aggiunti  altri  componimenti  poètici  piemontesi j  rioò:  Canzone  sul  segreto 


UlAUTTl   PBOEHO.ITANI.  6tt5 

di  togliere  il  fumo  ai  cammlDi^  e  la  Relazione  dell' assedio  della  città 
d'Alessandria  e  blocco  della  Cittadella  d'essa  fatto  dalle  truppe  di  Spagna 
alleate  con  quelle  di  Francia,  Napoli  e  Genova,  cominciando  dalli  e  ot- 
tobre J74ji,  sino  U  IO  di  marzo  1746.  Quato  componimento  consta  di 
872  veni  settenari  piemontesi j  dopo  i  quali  segue  una  Canzonetta  sullo 
stesso  proposito.. 

Canzonetta  nuova  sopra  la  perdita  de'dpagnuoli  e  Franzesi,  ed  alle- 
grezza de'  Piemontesi  —  Sopra  l'Aria  di  Tolon.  —  Foglio  volante^  senza 
data,  che  è  l'anno  I74S.  Jl  componimento  consta  di  dódici  strofe  in  versi 
settenari  piemontesi. 

Satire,  ossia  Tragicommedie  italiane  e  piemontesi.  —  Torino,  presso 
Ignazio  SofOeltì,  in-ia.  Senza  data  che  dev'èssere  Iranno  1777.  QtM- 
sV òpera  divtdesi  in  tre  tornii  con  frontispizj  separati,  che  sonò  i  seguenti: 
1.®  II  Notajo  onorato,  Satira  ossia  tragicommedia  italiana  e  piemontese 
per  musica.  Tomo  primo.  Torino,  nella  Stamperia  d'Ignazio  Soffietti,  /pi 
quattro  interlocutori  parlano  il  dialetto  piemontese ,  e  tre  in  lingua  ikh 
iiona.  s.®  L'Adelasia,  Satira  ossia  tragicommedia  italiana  é  piemontese 
per  musica.  Tomo  secóndo.  Torino,  dalla  stamperia  d'Ignazio  Soffietti. /«{ 
tre  interlocutori  ed  il  coro  parlano  italianamente j  e  due  ora  l'italiano 
.ed  ora  il  picnwnUse.  5.*"  L'Adelaide  regina  d'Italia  e  poi  imperatrice^ 
tragicommedia  italiana  e  piemontese  per  musica.  Tomo  terzo.  Torino, 
nella  stamperia  d'Ignazio  Soffietti.  Sette  interlocutori  vi  parlano  lUta- 
tianoj  un  personaggio  ed  il  coro,  in  dialetto  pieìnontese. 

La  Alicceide,  ovvero  Raccolta  di  poesie  piacevoli  di  varj  autori  pie- 
montesi in  morie  di  lUiccia,  gatta  di  un  pittore  di  Mondovì.  —  In  Uon- 
dovì,  1781,  per  li  fratelli  Rossi.  In  questo  volume  in-e  di  pag.  190,  tra- 
vasi  il  Sonetto  in  dialetto  di  Alandovi  di  Giuseppe  Bruno  di  Frabosa,  che 
abitiamo  già  recalo  nei  Saggi, 

Saggio  di  poesie  varie  di  Silvio  Balbis.  Vercelli,  1788,  dalla  tipografia 
patria,  in- 8.  Questo  volume  è  diviso  in  tre  parti j  nella  terza  delle  quali 
tròvansi  tre  Sonetti  piemontesi ,  e  due  in  piemontese  italianizzato, 

A  r'occasion  d'  na  festa  d'  bai  d'  paijsan  eh' a  s'è  dasse  a  Gvon  apres 
r'Inocuratìon  dre  vajrore  a  Soe  Altezze  reai  r^  prlnsi  e  ra  prinsipessa  d' 
Piemont  e  ai  Duca  d'Aosta,  d'  Genois  e  Cont  d'  Moriana.  Cantada  ar 
Astsana.  —  An  Ast,  1783,  ant  ra  Stamparla  d'  Fransecb  Pila.  —  Questa 
poesia,  che  è  in  dialetto  rùstico  astigiatu),  viene  attribuita  dal  f^allauri 
(Storia  della  Poesia  in  Piemonte)  a  G,  F.  Oggeri  di  S.  Damiano  d'Asti. 

Vocabolario  piemontese  del  medico  Maurizio  Pipino.  —  Torino,  nella 
reale  stamperia,  1783,  in-8.  Quest;* òpera  è  divisa  in  varie  parti,  cioè: 
f.**^ Vocabolario  domestico  conun*Aggiunta;  2.''  Raccolta  di  nomi  derivati 
da  dignità,  gradi,  uffizi! ,  professioni  ed  arti;  3.^  Raccolta  dei  verbi  i  più 
famigliari,  avverbj,  preposizioni,  congiunzioni  ed  interjezionl;  4.?  Sup^ 
plimento  al  Vocabolario. 
.    Grammàtica  piemontese  del   mèdico  31aurÌzio  Pipino.  —  Torino,  nella 


6tt4  PARTI  TERZA 

reale  stamperin,  iies.  —  Questa  Grammàtica  è  divisa  in  a  capi^  ed  è 
seguita  da  una  raccolta  di  lèttere  piemontesi  ed  italiane  ,  e  da  ttna  roc- 
colta  ben  più  interessante  di  proverbj  e  modi  properbiali  pietnontesi. 

Poesìe  piemontesi  raccòlte  dal  mèdico  Maurizio  Pipino.  —  TOrliiQ,  nella 
reale  stamperia,  irss. —  Questa  preziosa  raccolta  contiene  Sonetti ,  Stante 
e  componimenti  di  varii  au^orij  fra  i  quali  sedici  poesie  dell'abate  Silvio 
Balbi Sj  e  quindici  Canzoni  del  Padre  Jsler^  oltre  ad  una  Noia  sull'alfa- 
beto e  pronunzia  piemontese.  Oltre  alle  suddette  òpere ^  l'Autore  lasciò 
morendo  varj  scritti  inèditi  in  dialetto  piemontese,  fra  i  quali  trovasi  un 
Dizionario  universale  ragionato  di  medicina^  ed  una  raccolta  di  poene. 

Esponendosi  al  solito  corso  del  Palio  nella  città  d'Asti,  per  Tanno  itm, 
il  Cavallo  Barbaro  dalla  molto  Ven.  Confraternita  della  Misericordia,  80- 
neUi.  ID  Asti.  Folio  volante.  —  Quivi  tròvansi  due  Sonetti  in  dialetto 
astigiano  urbano^  ed  uno  in  dialetto  rùstico. 

La  fera  d'  Moncalé.  Ditirambo  inserito  itorr  Almanacco  Piemooteie 
del  1764.  Torino,  in-S4. 

Il  Conte  Pioletto.  Commedia  piemontese,  edizione  originale.  Torino,  itm, 
presso  Gianmichele  Briolo,  in*8.  —  Questo  componimento  anònimOj  come 
appare  dalla  ristampa  che  se  ne  fece  più  tardi  e  che  riportiamo  qm  sottOj 
è  di  Carlo  Giambalista  Tana  marchese  di  EntraqueSj  e  quindi  a  torto 
net  Catalogo  dei  Libraj  Reycends  dell'anno  1786,  venne  attribuito  a  certo 
Leonij  come  pure  per  isbaglio  venne  citato  dal  Ponza  nel  suo  DIziOBarlo 
Piemontese,  col  titolo  di  Tragicommedia  H allana- piemontese.  LoCoauiierfio 
è  scritta  in  versi  per  mùsica  ;  tre  interlocutori  vi  parlano  in  dialetto  pie- 
montese j  qìuxttro  in  italiano ,  ed  uno  alterna  l'italiano  col  piemontese. 

il  Conte  Pioletto.  Commedia  piemontese  di  Carlo  Giambatìsta  Tana 
d^Entraques.  —  Torino,  presso  Giammiehele  Briolo  {senza  data)  in-it. 

La  Nuova  Alicceide,  ovvero  seconda  raccolta  di  prose  e  poesie  piacevoli 
di  vaij  autori,  in  morte  di  Miccia,  gatta  d'un  pittore  di  Mondovi.  —  In 
Mondovi,  1790,  per  Giovanni  Andrea  Rossi,  in-8.  —  Questo  volumetto  di 
pàgine  i6b  contiene  componimenti  poètici  piemontesi  di  varj  autori  j  e 
sono:  1  Sonetto  piemontese  dell'avvocato  Delfino  BluletU  di  8alu»o; 
1  Sonetto  piemontese  di  Giambalista  Colombo  di  Mondovi  :  i  Dialogo  pie- 
montese in  versi  d'un  Anònimo;  1  Sonetto  italo-piemontese  di  Donna 
Salustia  Z;  Versi  marlclliani  in  dialetto  astigiano  del  Priore  Stefano  incisa 
d'Asti;  1  Sonetto  piemontese  di  un  fondacliiere  di  Saluzzo;  ed  una  Can- 
zonetta in  dialetto  alessandrino  del  Padre  Agostinianu  L.  P.  A.  M.  D. 

Raccolta  di  alcune  poesie  eroiche,  bernesche,  tenere  e  critiche,  la 
maggior  parie  inèdite  dell'avvocato  Ferdinando  Gibertini.  —  Senza  note 
tipogràfiche j  in-8.  —  Questo  libro  dev'èssere  stato  stampato  nel  1788,  0 
tuli' al  più  nel  1790.  Contiene  due  poesie  in  dialetto  piemontese,  cioè,  un 
Sonetto j  ed  uym  Sesta  rimOj  intitolala  Toni ,  contro  Arpalindo  Elicrislo. 

Canzon  neuva,  su  l'aria:  Dcje  ai  NobiI,  masse  i  NobiI,  e  giugn  I7ii 
(senza  indicazione  di  luogo).  Sono  fi  strofe  di  otto  versi  ottonari j  stam- 
pate in  folio  volante. 


\ 


DIALKTTI   PEDEMONTA!«II.  OttK 

Poesie  piemontesi  del  Padre  Ignazio  Islcr,  già  ministro  provinciale  dei 
Canònici  regolari  d'Italia,  e  celebre  poel a  nel  dialetto  piemontese.  Prima 
edizione  compiuta  secondo  Toriginale  dell'Autore.  —  Torino,  I790,  presso 
lo  Stampatore  Denasio,  in-is. — Di  quest'opera  che  consta  di  HA  Canzoni 
furono  publicate  in  sèguito  in  Torino  cinque  ristampe j  quattro  delle  quali 
da//a stamperia  d'Ignazio  Soffletti  negli  anni  I804,  i8ii,  issi,  §826,  ed 
una  dal/a  tipografia  Canfari,  nel  1884.  Queste  ristampe ^  oltre  alle  64  Can^ 
zoni  delta  prima  edizione,  contengono  un  frammento  della  istt."  ed  una 
notizia  biogràfica  dell'autore j  e  sono  tutte  m-fls. 

Sur  Pomponi ,  o  sia  '1  Segretari  d'  Gumnità.  Comedia  an  Plemontcls. 
—  A  Turin,  isoo,  da  Michel  AngcI  Moran.  — Questa  graziosa  commediola 
è  tutt'ora  anònima. 

Rime  piemontesi  di  Agostino  Bosco  da  Poirino.  —  Carmagnola,  dalla 
Stamperia  di  Pietro  Barblé.  —  Senza  dataj  che  è  l'anno  1801,  tn-s.  Que- 
sto volume  è  il  IX  delle  poesìe  di  guest'  autore  raccolte  in  dieci  volumi j 
che  per  altro  non  hanno  un  comune  frontispizio  collettivo,  lìacchiude  ot- 
tanta  svariate  poesie  nel  dialetto  di  Poirino  poco  dissimile  dall'  astigiano. 

Follie  religiose.  Poema  in  ottava  rima,  scritto  in  lingua  piemontese  con 
note  italiane  dell'autore.  —  Italia,  anno  IX  republlcano.  —  L'anònimo 
autore  di  questo  poema  è  il  mèdico  Edoardo  Calvo  ^  il  Corifeo  dei  poeti 
piemontesi j  del  quale  ablnamo  parlato  a  lungo  nei  Cenni  letteraria  ed 
offerte  varie  poesie  nei  Saggi,  Fu  stampato  in  Torino^  nel  isoi,  dalla  ti- 

m 

pografia  Bianco  ;  ed  è  diviso  in  tre  Canti  j  che  insieme  sommano  itis  ottave, 
A  un  Scoulè  d'  Zenon  arsuscUà  cli^a  l'è  pa  d^  vajre.  Diatriba,  coli* epi- 
grafe: Amor  ferisce  i  cuori  e  l'Inguinaglie.  Senza  indicazione  tipogràfica^ 
in-folio  potante.  —  Sono  sette  strofe  d'ottonarj  contro  certo  Giovanni  Hu$j 
detto  stesso  Calvo. 

Al  so  Amis  compare  Toni 
Dà  '1  bon  dì  barba  Gironi. 

A  Gastranopoli,  air  insegna  di  Zenone.  —  È  questa  una  Canzone  in  96 
strofe  di  versi  ottonari  del  medésimo  Calvo  contro  lo  stesso  Hus  summen- 
tovatOj  in  folio  sciolto j  stampata  pure,  come  la  precedente ,  in  Torino 
nel  1801. 

Favole  morali  scritte  in  terza  rima  piemontese  da  Messer  Edoardo  Cal- 
vo. Coli' epigra  fé  : 

Io  v'offro  i  carmi  alla  stagion  del  pianto; 
Ma  canta  il  cigno  ullor  che  muor,  ne  sia 
Chi  nicghi  al  cigno  moribondo  il  canto! 

Deodata  Saluzzo. 

L'anno  X  republicano  (I802).  Senza  indicazione  di  luogo  che  è  Torino j  in-s. 
Favole  morali  scritte  in  terza  rima  piemontese  da  Messer  Edoardo  Cal- 
vo. —  Fascicolo  secondo.  —  L'anno  \I  republicano  (i80s),  dalla  stam- 
peria di  Matteo  Guaita.  Questo  fascicolo  forma  continuazione  al  prece- 
dente,  e  si  l'uno  che  l'altro  contiene  sci  fàvole. 


ftttf)  PARTE  TERZA 

Su  la  vita  iV  campagna.  Ode  plemontelsa  (di  EOonrdo  Calvo),  —  Tii- 
rtn,  r«n  XI,  slamperìa  Guaita. —  Questo  miràbile  componimenio  in  verti 
quinarj  fu  ristampato  in  Vercelli,  anno  XIV,  èra  repubUcana,  da  Zanolti 
e  Bianco. 

Favole  morali  scritte  in  terza  rima  piemontese  da  Messcr  Edoardo  Cal- 
vo. —  Torino,  1814,  presso  la  vedova  Pomba  e  figli  libraj  in  principio 
della  contrada  di  Po,  in-8.  È  una  ristampa  j  nella  quale  tròcansi  unite 
le  li  fà\'ole  e  l'ode  sulla  Vita  di  Campagna,  fatta  nella  stamperia  Gal- 
letti, —  j4llre  ristampe  si  fecero  posteriormente  eon  AgQiunte  di  altre 
poesie j  che  sono: 

Poesie  scride  in  dialetto  piemontese  da  Messer  Edoardo  Calvo.  Quarta 
edizione  con  aggiunte.  —  Torino,  isic.  presso  la  Vedova  Pomba  e  figli, 
in  8.°  —  Questa  edizione j  oltre  alle  i«  Favole j  contiene  ancora:  Stanse 
a  Mssé  Edouard;  La  Pelission  d*j  can;  L'Ode  su  la  vita  d' campagna,  eri 
in  riscontro  la  parodia  della  medesima ,  cioè  l'Ode  su  la  vita  d''sltà«  del 
mèdico  Prunet.  —  Le  posteriori  ristampe  colle  indicate  aggiunte  furono 
fatte  in  Torino j  nel  1843,  l'inia  presso  Pompeo  Magnaghi,  l'altra  presso 
G.  B.  Binelli. 

La  festa  dMa  Pignata,  ossia  Amor  e  Convenienza.  Comedia  an  tre  Att, 
e  'n  vers  piemontcis  d'D.  Carlo  Casalis  professor  d' filosofia.  —  Turin, 
an  XII  (1804),  'ni  la  slamparin  filantropica,  in  4.'> 

Nel  passaggio  per  Poirino  di  S.  Santità  Pio  vii  addì  I2  novembre  I8a4, 
Poesia  Comica  di  Agostino  Bosco. — Carniugnola,  dalla  stamperia  di  Pietm 
Barbio,  in  8.**  —  In  questo  volumetto  di  se  pagine  tròvansi  I4  scherzi 
poètici  dello  stesso  autore  sul  medèsinw  argomento j  in  dialetto  di  Poirino. 

Quaresimal  sacociabil  an  vers  piemontcis-italian  con  l'aggiunta  d'doi 
Poemct  d'i  Prof.  Cario  Casalis  Donlor  d'Sacr.  fac.  prof.  em.  d'fliosotìa, 
Accadcniicli  immobil  d'Alessandria,  e  altualment  professor  d' lingua  la- 
tina e  franseisn  ani  le  scole  d'Valenssa. — Alessandria,  nella  stamparla  Rossi, 
18015,  in  8."  —  Questo  volumetto  conitene  30  Skmelti  piemontesi  eolla  ver- 
sione in  versi  sciolti  italiani  ;  un  poemetto  in  settenari  piemontesi  sulla 
limosna;  un  Ricordo  in  ottave:  un  Avvilo  ai  malati;  mi  epigrasnma  ed 
un  Sonetto  j  in  diali  Ito  piemontese. 

Nel  passaggio  di  Pio  VII  pel  Piemonte.  Ecloga  latina  e  piemontese.  — 
^Torino,  180»,  dalla  stamperia  d'Ignazio  Soffietti.  —  Componimento  anò^ 
nimo  di  io  pàgine  in  n." 

Paraphrase  de  la  parabole  de  P enfant  prodlgue  cn  vers  piémontais  avec 
une  note,  par  Charles  Cas.-ilis  Docleur  en  Ihéologle,  ancien  professe» r  de 
philosophic,  menibre  de  rAcadémie  irnprriale  d'Alexandrie  el  Professeur 
adjoint  aux  classes  de  langiie  latini!  à  l'ócole  secondaire  de  la  ville  de 
Turin.  —  Turin.  ibor,  de  riniprimerie  de  J.  Glossi,  in  b.®  —  Questn 
paràfrasi  in  83  o//aPC  piemontesi  fu  riittampata  nel  Parnaso  pientontete 
del  1851,  colle  note  francesi  ^  ed  in  quello  del  insQ.  senta  note  ,  ma  eoi- 
raggiunta  di  alcune  fàvole  inèdita. 


DIALETTI  pBonoirrAxi.  057 

Parafrasi  delia  paraboia  del  dgliuol  prodigo  verseggiata  in  ottave  pie- 
montesi dal  sacerdote  Raimondo  Ferraudl  saluizese,  a  richiesta  del  signor 
Sotto-Prefetto  del  Circondario  di  Saluzzo.  —  Cuneo,  presso  Pietro  Rossi 
stampatore  della  prefettura,  ises,  in  4.** 

Diclionuaire  portatif  piémontais-fran^ais  suivi  d'un  Vocabulaire  fran- 
f^is  des  lermes  usités  dans  les  arts  et  métiers  par  ordre  alphal>étique  et 
de  matlère,  avec  leur  expllcation,  par  Louis  Capello  comte  de  Sanfranco. 
Turin,  de  l'imprimerle  de  Vincent  Bianco,  iai4,  Voi.  s  in  8.*  —  Nel 
primo  f^olume^  oltre  al  Vocabolario,  trovasi  un  Aper^u  de  nollces  étymo- 
logiqoes  du  dialecte  piémontais  d'après  ses  rapports  avec  le  latin,  Pìta- 
llen,  le  fran^als,  Tespagnol  et  l'anglois. 

Disionari  piemonteis,  italian,  latin  e  franseis  compost  dal  Preive  Casi- 
-miro  Zaili  d^Cber.— Carmagnola,  tei  il,  da  la  stanparia  d^Peder  Barbié  , 
Voi.  s  in  8.®  —  L'Autore  fece  più  tardi  nel  185S  una  ristampa  di  que» 
st* òpera,  col  titolo: 

Dialonario  piemontese,  italiano,  latino  e  francese  compilato  dal  Sacer- 
dote Casimiro  Zallf  di  Chieri.  Edizione  seconda  riordinata  e  di  nuovi  vo- 
caboli arricchita.  —  Carmagnola,  dalia  tipografia  di  Pietro  Barbié.  — 
Voi.  8  in  4.®  —  Siccome  l'Autore  mori  dopo  avere  incominciata  appena 
la  ristampa  del  primo  Volume ,  cosi  le  Aggiunte  sono  òpera  del  tipògrafo 
Barbié. 

Il  Missionario  di  Campagna,  di  Giuseppe  Fontanonc.  —  Torino,  I817, 
in  8.*  —  In  questo  volinnelfo  di  io  pàgine  tròvansi  dódici  Sonetti  in 
piemontese. 

Rimedi  sicurissim  centra  le  pclechie,  ossia  Novela  moral  picmontelsa 
de  Fauride  Nicomedan  (Ferraudi  Raimondo)  de  Salusse  ex-Caplan  di 
Cavaleger  d'I  Re,  tra  ]'  Accademich  d'Cher  'I  Verace.  —  Turin,  I8i7, 
da  la  stamparla  Fontana ,  in  8.®  —  Questo  componimento  in  ottava  rima 
fu  ristampato  nel  Parnas  Piemonteis  del  isstf. 

Cclebransi  ra  festa  d'ra  Madona  d'ra  Kqv,  r'ann  1883,  ce.  Sonet.  — 
In  Asti,  stamperia  di  Giovanni  Battista  Massa.  —  Folio  volante.  —  Que- 
sto  Sonetto  è  in  dialetto  astigiano  rùstico. 

La  medicina  curativa  del  signor  Le  Roy.  Poemetto  piemontese  in  due 
Canti,  di  un  borghigiano.  —  Torino,  senza  nome  di  stampatore  e|seitza 
data,  che  è  del  188«. 

Istradamento  al  comporre  nella  lingua  italiana,  approvato  dalla  R. 
Direzione  delle  scuole,  e  seguito  da  un  Dizionario  piemontese- italiano.  — 
Torino,  1828,  stamperia  delia  Vedova  Ghirlnghclio  e  Compagno.  Voi,  s, 
in  18."  il  secondo  dei  quali  contiene  il  Dizionario,  che  l'Autore  dice 
compendiato  da  quello  del  Zalli,  Il  nome  dell'Autore,  l'abate  Michele 
Ponza,  trovasi  in  calce  della  lèttera  dedicatória.  Se  ne  fecero  in  sèguito 
due  ristampe  coi  titoli  seguenti: 

1.®  Dizionario  piemontese-italiano  approvato  dalia  R.  Direzione  delle 
scuole.  —  Edizione  seconda.  —  Torino,  I8«7,  stamperia  della  Vedova 
Ghiringhclio  e  Compagno,  in  12." 


GttB  PAUTB  TEMA 

a.®  Dizionario  piemontese-italiano  contenente  le  voci  puramente  pie- 
montesi e  di  uso  famigliare  e  domèstico,  del  sacerdote  Bllchele  Ponza.  » 
Terza  edizione  correda  ed  ampliala.  —  Torino,  dalla  stamperia  Reale, 
1854,  in  18."  —  Per  le  ulteriori  ristampe  ed  aggiunte  fatUvi^  lèggati 
in  sèguito. 

Delle  Storie  di  Cbieri  del  cav.  Luigi  Cibrario.  —  Torino,  tipografia 
Alliana^  1027.  — Voi.  s  in  a.**  IVel  Voi.  II  a  pag.  ss?  trovanti  in  intiero: 
Gli  Statuti  sopra  l'Ospizio  della  Società  di  S.  Giorgio  del  popolo  di  Chieri, 
ed  11  Giuramento  ctie  debbono  prestare  i  Rettori  della  detta  Società. 

1  Fiori  deirAlpi.  —  Torino,  presso  P.  G.  Pie  librajo,  1837.  Questo 
Volume  in  8.^  che  racchiude  una  raccolta  di  poesie  e  lèttere  in  prosa, 
per  la  maggior  parte  del  cav.  L.  Cibrario  ^  contiene  altreù  un  grazioso 
Sonetto  piemontese  inèdito  del  conte  Risbaldo  Orsini  d'OrbasaanOj  e  due 
stupendi  Sonetti  piemontesi  del  cav.  Borelli. 

Voci  e  modi  toscani  raccolti  da  Vittorio  Alfieri,  con  le  Gorrispondenie 
dei  medesimi  in  lingua  francese  ed  in  dialetto  piemontese.  —  Torino,  per 
TAIIiana,  a  spese  di  P.  G.  Pie  librajo  della  R.  Accademia  delle  Scienze, 
1827.  —  Veditore  di  guest' operetta  in  8.°  di  sole  48  pagine  fu  il  co». 
Luigi  Cibrario j  come  appare  dii/r Avviso  al  Lettore. 

Vers  piemonleis,  ossia  quatr' estri  scrit  Tauton  d'I  1827  a  la  campagna 
d'Siosse  da  G.  A.  M.  —  A  Turin,  dal  stampador  Louis  Sofflet,  in  s.*  — 
L*  autore  pseudònimo  di  questi  camponimeìiti  poètici  è  Giovanni  jinkmio 
Moretta. 

Dojra  grossa  ant  Pambrunì.  —  Turin,  con  permission.  —  Canzone 
satirica  di  io  pagine  in  8.®  stampata  nel  18S7.  L'anònimo  autore  è  Gith 
vanni  Ignazio  Pansoya,  autore  pure  dell'opera  seguente  j  e  di  parecchi 
Capricci  inseriti  nel  Parnaso  Piemontese  colle  iniziali  P.  G.  I. 

Ricrcassion  d'I.'Auluun.  Vers  piemonlcis  scrii  da  un  Piemontels  ch'a 
s'dsplemontscrla  mai,  gnanca  pr  fc  d' tragedie.  —  Turin,  da  Carlin  Sylva 
stampadour,  1827.  —  Sono  cinque  Salire  anacreòntiche  ed  un  Sonetto 
dello  slesso  Pansoyaj  il  quale  nel  toso  publicò  un  altro  libricciuoto  col 
medesimo  tìtolo  j  e  coi  tipi  dell'jéllianaj  che  fa  sèguito  al  precedente,  cou' 
tenendo  tre  Capricci  nello  stesso  metro  e  forma. 

Dojra  grossa  vers  mesdi,  parodia  a  Dojra  grossa  ant  Tambninì.  Gan- 
soun  pìcniontcisa.  Turin,  cun  permission.  —  Senza  l'annOj  ch'è  il  itti. 
L'anònimo  autore  è  Enrico  B assolino j  die  in  varie  poesie  edite  ed  inèdite 
si  denominò  L'Armila  d'Cavouret,  ora  distesamente ^  ed  ora  colle  sèm' 
plici  iniziali  L.  A.  D.  C,  come  si  scorge  in  altri  suoi  componimenti  che 
riferiremo  più  oltre. 

L' Amis  die  Sluse  picmonleìse  ai  Autor  die  doe  poesìe  su  Dojra  grossa.  — 
Turin,  da  Lisander  Fontana  slampadour,  I827.  —  Questo  cosilo  di  >• 
Ottave  endecasillabe  fu  ristampato  nel  Parnaso  piemontese  del  leas. 

Risposta  a  T  Armila  d'Cavouret  Amis  die  Muse  piemonteise;  Vers  a  la 
'randa  de  G.  B.  Autour  dia  poesia  intitoulà:  Dojra  grossa  vers  mesdì. 


DIALETTI  PEDBMOIITA?!!.  G59 

parodia  a  Dojra  grossa  ant  l'ambruni.  —  Turin,  senza  datUj  che  è  Iran- 
no 18S7. 

Mia  Musa  giù  d'ienna,  mancandje  un  Mecenate,  ossia  J'  eclissi  dl'om 
e  soa  elisia  moral.  -—  Ode  an  risposta  a  'a  medicli  me  amis,  eh' a  inMa« 
vita  a  scrive  die  poesìe  piemontcise.  —  Turin  1889,  dai  libre  8peiraa  e 
Vaccarin,  in  12.*  J  piedi  delle  20  strofe  quinarie ^  onde  consta  quesC opùr 
scoloj  la  segnatura  L.  A.  D.  C.  rivela  autore  il  Bussolino,  ossia  L'Armita 
d''Cavouret.  Jl  medésimo  autore  appartengono  i  tre  componimenti  ano' 
nimi  seguenti: 

Poupouri  a  la  Sènevra,  esplourassion  teorico  pratica  di' altitudine  ch^a 
rba  noster  diulett  a  la  poeséja,  scrviends  d^j  espressioun  comunne  a  le 
personne  ben  educa.  Part  prima.  —  Turin,  I8S0,  da  la  stamparla  Botta , 
coun  permissioun.  <—  Quest'opùscolo  contiene  varie  poesie  in  vario  me- 
trO'  La  seconda  Parte  non  venne  mai  alla  luce. 

Ultima  espanssion  a  Dijo  d'un  Piemontcis  coronel  d'Ozar  mort  a  Paris. 
Sonett.  Jn  fine:  D.  T  Armila  d'Cavouret.  —  Turin,  da  la  stamparla  Botta, 
con  permission.  In  folio  voiantCj  setiza-dafa. 

La  Consolassion  d'j  Piemontcis.  Cansson.  —  Da  la  stamparla  Botta.  — 
Folio  volante,  senza  luogo  ed  anno,  che  sono  Torino  tasi,  avendo  per 
oggetto  l'avvenimento  al  trono  del  Be  Carlo  Alberto, 

Saggio  di  poesìe  piemontesi  di  un  gènere  affatto  nuovo.  —  Torino,  dalla 
tipografia  Alllana,  f  889,  in  8."  —  KSono  traduzioni  in  versi  piemontesi 
di  varj  brani  del  Dante,  del  Tasso,  del  Petrarca,  del  Metastasio  e  del' 
l'Alfieri,  L'anònimo  autore  è  il  conte  Luigi  Joannini  Ceva  di  S,  Michele, 

Memorie  storico-diplomatiche  appartenenti  alla  città  ed  ai  Marchesi  di 
Saluzzo  raccolte  dair avvocato  Delfino  Muletti  Saluzzese  e  pubblicate  con 
addizioni  e  note  da  Carlo  Muletti.  —  Saluzzo,  Lobelli-Bodoni,  18S9.  —  Nel 
Tomo  ly  a  pag.  89tf  tròvansi  le  Kecomendaciones  dei  fratelli  della  Casa 
di  disciplina  in  Saluzzo,  nel  dialetto  locale  di  quel  tempo,  tratte  da  un 
Còdice  del  sècolo  XI^,  delle  quali  abbiamo  riportato  un  Saggio. 

Vocabolario  piemontese-italiano  di  Michele  Ponza  da  Cavour.  —  Torino, 
dalla  stamperia  reale,  1 830-1853.  Voi.  3  iu  8.®  —  Questo  yocabolario  sin 
dal  principio  della  sua  publicazione  fu  argomento  di  parecchi  scritti  cri" 
tici,  dei  quali  noteremo  i  principali,  e  sono:  Piote  critiche  al  primo  fa- 
scìcolo del  Vocabolario  piemontese-italiano  di  Michele  Ponza,  del  prete 
Giuseppe  Antonio  Ramello  da  Vercelli.  Torino,  tasi,  presso  G.  B.  Para- 
via, io  8.°;  Osservazioni  di  Mastro  Simone  Barbiere  sopra  VAnnotatore 
degli  errori  di  lingua.  Torino,  stamperia  Cassone,  Marzoratl  e  Vercellot- 
ti,  1831,  in  8.**  Opera  del  signor  Boccili  professore  di  Bettòrica  alle 
Corcare;  Di  Blichele  Ponza  e  suoi  Censori.  Torino,  i83i,  presso  Mando 
e  Speirani.  Opera  dell'avvocato  Nota  figlio  del  celebre  scrittor  di  Comèdie: 
Osservazioni  di  Mastro  Simone  Barbiere,  sopra  Topuscolo  intitolato:  Di 
Michele  Ponza  e  suoi  Censori,  Torino,  §831 ,  stamperia  Ghiringello,  in  8.^; 
Osservazioni  di  Mastro  Leonardo  Ciabattino  sopra  il  Vocabolario  pietnon- 


ff0O  PARTE  TERZA 

tese-italiano  di  Michele  Ponza,  Torino,  iBSi,  stamperia  Bianco,  In  8.": 
Osservazioni  di  Mastro  Leonardo  Ciabattino  sopra  II  Vocabolario  piemon- 
tese-italiano j  sul  B,  C,  D,  di  Michele  Ponza.  Torino,  issi,  dal  tipi  di 
Bianco,  In  8.®  Avvertasi _,  che  questi  due  ùltimi  opùscoli j  rum  sappiamo 
con  guai  fondamento  j  vengono  d* ordinario  attrilmiti  al  cav.  Luigi  Cifrra- 
rio,  Féggasi  più  avanti  T  Appendice.  » 

I  cattivi  medici.  Poemetto  piemontese  di  N.  H.  (Norberto  Uosa)  —  Susi, 
dalla  stamperia  di  Gerolamo  Gatti.  Senza  l'agno  j  che  dev'èssere  il  laso, 
Ili  8.*> 

Follie  plemonteìse  d'un  Armita  Canavsan  {l'avvocato  Giuseppe  Maria 
Jìegis).  —  Turin,  isso,  da  Masper  e  Serra.  Questo  volumetto  in  8.*  con- 
tiene 18  epigrammi  sattrici  j  gènere  di  componimento  non  mai  iraitato 
per  finanzi. 

Li  sent  Evangile  de  nostcr  Seigneur  Gesù  Christ,  confourma  seni  Loca  et 
sent  Giano  rendu  en  lengua  Valdesa.  —  Par  Pierre  Bert  ancien  Modératear 
des  Égtises  Vaudoises  et  Pasteur  de  la  Tour,  —  A'  Londrcs,  de  l'impri- 
merle de  Moyes.  Took's  Court,  Chancery  Lane,  isso,  in  a.* 

'L  Consolator  d^ coni  eh' a  perdo  a  la  lotarìa.  Glorna!  piemonteis  con  la 
tarifa  dMe  monede  pr  Fan  issi.  —  Turin>  tipografia  Cassone,  Marzoratl 
e  Vercellottl.  Questo  Giornale  in  is.*"  contiene  sette  componimenti  poètici 
piemontesi. 

Opere  piemonteise  d*V.  A.  Peyron.  —  Turin,  isso-si.  —  Voi.  5,  in  8.* 
I  primi  tre  Volumi  contengono  144  Fàvole  j  un  Pròlogo  ed  una  eoncMu- 
sionCj  e  furono  stampati  nella  tipografia  di  Vittorio  Picco.  Il  quarto, 
contiene  I44  poesie  diverse.  Il  quinto ^  TArte  poètica  d'Bolleau  tradota 
an  vcrs  croich  piemonteis,  con  ci  test  a  front.  I  due  ùltimi  stampati  dalla 
tipografia  Mando,  Speirani  e  Compagni. 

La  Musica  apologetica  a  la  prima  part  del  Popori  a  la  Senevra,  ossia 
Capitol  sui  Capitoi,  otavc  f^u  le  otavc,  e  paragon  sui  paragon,  preceda 
da  dol  Sonet  in  lode  del  dialct.  Assag  poetich  d'V.  A.  Peyron  scrit  se* 
cond  soa  neuva  ortografia.  —  Turin,  issi,  tipografia  Picco. 

L'Autoun,  o  sia  i  piasi  dMa  campagna.  Rime  piemonteise  scrite  an 
Tu^in  da  un  Turineis,  ch'dop  d'avel  goodu  1  piasi  dMa  campagna  j'è 
vnu  M  schiribiss  d'scrivie  an  poesia.  — Turin,  18.11,  stamparla  dMa  Vid. 
Ghiringbel  e  Comp. ,  in  8.® 

Raccolta  delle  poesie  piemontesi  del  Padre  Giuseppe  Frloll.  —  Torino, 
1851,  presso  Carlo  Grosso  in  contrada  del  Callo,  in  8.**  È  questa  una  rac- 
colta di  canzoni  che  vengono  luti' ora  cantate  dai  ciarlatani  per  le  me, 
e  che  furono  anteriormente  stampale  in  fogli  votanti'  —  Lo  stesso  stam- 
patore ne  publicò  una  seconda  edizione  in  ic."  net  1858. 

Parnas  piemonteis.  An  prim,  issi.  —  Turin  da  la  stamparla  Alliaoa. — 
In  quest'anno  ebbe  principio  la  publicazionc  di  questo  Almanacco,  desti- 
nalo a  contenere  una  svariata  raccolta  di  componimenti  poètici  piemontesi 
èditi  ed  inèditi  di  ogni  autore.  Nell'anno  successivo  I85«  ,  ceduta  la  tipo- 


MAuem  MDBiHNrrAfih   -  '66  i 

-grafia  AìUana  al  Fodratti,  quesii  volle  rkomineiarne  la  itrie  eolla  pro- 
prio firma  j  e  la  conlinuò  Mii  gli  anni  $ubcetfi9Ìj  sino  a  noi;  di  modo  che 
rullerà  collezione  con$la  di  t*  tolwnellf  in  i»,  che  iolio  il  Hlolo  bene 
approprialo  di  Paroas  Pienionteis  nu-chiùdono  un  dovizioso  repertòrio 
della  maggior  porle  delle  poesìe  pietnonlesi  finora  comparse  alla  luce» 

SusUnia  de  la  Storia  Senta  et  dar  Cataquisine  rendu  en  leoga  Valdese 
par  P.  Bert.  —  Londra,  i8S2,  in  is.^ 

Storia  dei  Principi  di  Savoja  del  ramo  di  Acaja  (  del  eop.  Pietro  Datta),  — 
Voi,  t  <fi-8.  —  Nel  $econdo  volume  ,  a  pag.  t87 ,  si  legge  la  già  da  noi 
Hporlota  Canzone  snlla  resa  di  Pancalieri  nel  i4id.  Fu  ristampata  nella 
Storia  della  Poesia  in  Piemonte,  di  T.  Vallauri. 

INO  primi*  ogét  d^amor  e  d^  consolassion,  cootenent  la  golda  del  Cristian 
€  la  ilasofla  del  Vangeli.  Dedica  a  rillastrissim  e  reverendìssim  IlL  Gioan 
Batista  Giraod.  —  Turin,  1 8:111,  presso  V.  A.  Peyron  a  la  stamparla  po- 
U^tta.' 

Appefidice  al  Vocabolario  piemontese-italiano  di  Uicbele  Ponza  da  Ga- 
ironr,  nella  quale  si  contengono  circa  dodici  mila  tra  voci  e  frasi  piemon- 
tesi non  più  registrate,  ne  fatte  italiane  nei  precedenti  dizionarj.  —  To- 
rino, stamperia  reale,  183S,  Ìn-8. 

Ultima  descuerta  ch*a  s'è  fasse  dU  mond  d'Ia  Iona.  —  Tnrin,  dal. libre 
Cloan  Batista  Binelll,  issa,  In-iV 

Una  bela  carota  grossa  da  vende ,  ch'a  l'è  rubata  giù  d^ant  el  mond 
dia  luna.  —  Turin,  da  Gioan  Batista  Binelli,  isse,  Ìn-8. 

Grammatica  piemonleisa-italiana  {di  Enrico  Geymet).  —  Turin,  da 
G.  Pomba  e  Compagnia,  1837,  in-i2. 

L'illuminassion  a  gas.  Caprissi  d'G.  I.  P.  {Giovanni  Ignazio  Pansoya). 
—  Turin,  da  Giusep  Ballator,  1838,  in-8. 

Donato  piemontese-italiano,  ossia  Manuale  della  lingua  italiana  ad  uso 
dei  maestri  e  degli  scolari  piemontesi,  di  Michele  Ponza.  —  Torino,  1838, 
tip.  Baglione,  Melanotte  e  Pomba,  in*8.  La  seconda  parie  consta  di  prose 
e  poesie  piemontesi  di  vari  autori. 

Notizia  intorno  ai  Còdici  manoscritti  di  cose  italiane  conservati  nelle 
Biblioteche  del  mezzodì  delia  Francia,  del  cav.  Costanzo  Cazzerà.  —  To- 
rino, stamperia  Reale,  188G,  Ìn-8.  Ivi  trovasi  un  Sonetto  piemontese  di 
Fittorio  j4lfieri. 

Canzoni  Piemontesi.  —Lugano,  tipograQa  Ruggia  eComp.,  1839,  in-it. 
Questo  anònimo  volumetto  contiene  S4  Canzoni  e  tre  poemetti  j  che  sono 
dell^avvocato  Jngelo  Bro/fetHo  di  Castetnuovo  d'Jsti,  —  Fu  ristampato 
più  voltej  con  aggiunte,  in  data  d'Italia. 

I  Fumeurs.  Facessia  polemica  d'  Fauride  Nicomedan,  fra  j  Irrequiet  *1 
Verace.  —  Savigllano,  tipografia  Daniele  {senz'anno),  in- 12. 

Le  Strade  ferrate.  Sestine  piemontesi  {di  Norberto  Uosa).  —  Torino, 
tip.  Chirio  e  Mina,  1840,  Ìn-8. 

Storia  della  poesia  in  Piemonte  di  Tommaso  Vallauri.  —  Torino,  tipo- 
US 


003  PABTE  TOUA^  OIALETTI  PEDEMOiTTANI. 

grafia  Chi  rio  «  Ulna,  §841 ,  voi.  s  in-8.  —  Ji^t^  fra  i  molti  Saggi  di  poetie 
italiane,  latine  e  franceti  prodotti  ad  itluMlrazUme  della  storia  poètica 
nazionale j  se  ne  trovano  alcuni  in  dialetto  pienumtese. 

La  Giardiniera. 

Canzonella  sopra  le  figlie  che  hanno  ricusato  di  maritarsi  neir  età 
giovane. 

Risposta  alla  precedenle. 

Canzone  sui  pastori  che  dalla  montagna  discendono  in  pianura. 

Le  Comari.  Questi  ùltimi  cinque  componimenti  appartengono  al  nùmero 
indeterminato  di  quelle  Canzoni  anònime,  che  i  cerretani  coniano  nelle 
pùbliche  me,  alcune  delle  quali  divengono  popolari  per  eccellenza,  e  si 
diffondono  rapidamente  nelle  Provincie,  o  pel  soggetto  d'occasione  che  in- 
teressa, 0  pel  ritmo  musicale  che  piace  ;  altre  invece  scompaiono  appena 
nate,  e  cèdono  il  posto  alle  nuove»  Olire  che  sono  tutte  oscure,  e  di  più 
oscuri  autori,  vengono  d'ordinario  stampate  in  folio  volante,  senza  tìsogo 
ed  anno.  Negli  anni  addietro  autore  di  parecchi  fra  questi  composùmentì 
si  fu  il  Padre  Giuseppe  Frioli;  vèggasi  più  sopra  al  titolo:  Raccolta  delle 
poesie  piemontesi  del  P.  Giuseppe  Frioli.  Torino,  issi. 

Vocabolario  piemontese-italiano,  ed  italiano-piemontese  del  sacerdote 
Michele  Ponza.  ^-  Torino,  tipografia  Paravia,  i84;i,  in-8. 


APPENDICE 

alle  precedenti  bibliografie  dei  dialetli 
Lombardi  ed  Emiliani» 

Sebbene,  come  abbiamo  esplicitamente  dichiarato  néìVInlro- 
duziotie  e  confermato  nel  (itolo  di  questo  libro,  nostra  inten- 
zione precipua,  redigendo  il  presente  lavoro,  fosse  quella  di 
tracciare  un  piano  di  ordinamento  dei  varii  elementi  che  insieme 
costituiscono  e  determinano  l'indole  speciale  e  caratteristica  dei 
singoli  dialetti,  onde  pòrgere  allo  studioso  la  sicura  norma  per 
la  classificazione  dei  medésimi,  e  non  già  quella  di  riunire  una 
compiuta  raccolta  di  notizie  e  dei  materiali  a  tal  uopo  indispen- 
sàbili, ciò  nulladimeno,  avendo  nel  corso  della  presente  publi- 
cazione  rinvenuto  qua  e  là  aìqnante  notizie  bibliogràfiche  intorno 
ai  dialetti  lombardi  ed  emiliani,  che  potrebbero  per  avventura 
interessare  ai  coltivatori  di  slmili  studj ,  stimiamo  opportuno  ag- 
giùngerle qui  appresso  in  Appendice  alle  bibliografìe  rispettive. 

Dialetti  Lombardi. 
mianese. 

CoDsonancic  di  echo.  — Sema  luogo  ed  annoj  in  8.*  —  Opùtcolo  rarOj 
stampato  probabilmente  a  Venezia  intorno  al  itf40.  Dopo  le  Coosonancie 
in  onore  di  M.  Laura j  trovasi  un  piccolo  poema  inlitolato:  Le  Kozze  del 
Zane  in  vari  din  le  (ti  ^  cioè:  bergamasco  ^  napolitano  j  roìnano^  milanese  ^ 
genovese j  veneziano  j  bolognese j  ferrarese  j  romagnolo,  piacentino,  ino- 
denese  e  mantovano, 

Disgratie  del  Zane,  narrate  in  un  sonetto  di  diciaselte  linguazi.  — 
«Slenza  indicazione  tipogràfica.  —  Opuscolftto  forse  stampato  a  Venezia 
intomo  al  i»»o,  ove  sono  rappresentati  i  dialetti  mantovano j  veneziano, 
milanese,  napolitano,  romagnolo,  ecc. 


G64  PARTE  TERZA 

Avvertimenti  della  lingua  sopra  il  Decanieronc,  del  cav.  Lionardo  Sal- 
viati.  —  Venezia,  i»84,  s  Voi.  in  4.^  —  Alla  flne  del  primo  Volume 
trovasi  una  novella  del  Boccaccio,  tradotta  successivamente  nei  dialetti: 
bergamasco^  veneziano,  friulano.  Istriano,  padovano,  genovese,  manto- 
vano, milanese,  bolognese,  napolitano,  pcmglno  e  fiorentino. 

Diporti  acadcniici  di  D.  Agostino  Lampognani  abbate  Caslnense.  —  Ui- 
lano,  isss,  appresso  Lodovico  Monza,  in  b.^  —  In  fine  di  quesi'^fipera, 
il  diporto  decimosesto  tratta  de' Dialetti  Invero  degli  Idiotismi  d'alcune 
città  d'Italia,  ed  ivi  trovatisi  atcutii  Saggi  in  prosa  dei  diateiti  fiorentino, 
bergamasco^  veficzianOj  milanese j  pavese ^  piacentino^  bolognete  e  genovese. 

In  occasion  del  faustlssem  matrimoni  del  sciur  D.  Fraozesch  Piazza  de 
Pont  In  Valtellina  colla  sciura  Donna  Marianna.  Himm  mllanes.  —  Nova- 
ra, 1797,  in  8.® 

In  morte  di  S.  E.  Giovanni  Benedetto  Borromeo  Arese,  rime  di  Dome- 
nico Balestrieri.  —  Milano,  Agnelli,  1741. 

Poesia  ai  so  ncvodinn  Marina  e  Cecca  Balestrer  che  se  fann  moncgh. 
Milano,  pel  Marcili,  i7«4.  In  folio. 

Arco  trionfale  consacralo  ai  reali  sposi  l'Arciduca  Ferdinando  d'Austria 
e  la  principessa  M.  Ricciarda  d*Este,  da  Domenico  Balestrieri.  —  Milano, 
per  G.  B.  Bianchi,  I77i,  in  a.® 

La  Pioggia  d'oro  e  la  Fuggitiva,  di  Tommaso  Grossi.  —  Milano,  per  Vin- 
cenzo Ferrarlo,  isss,  in  is.^ 

I  donn  no  han  tori.  —  Milano,  pel  Borsani,  ists,  in  it.* 

Amor  di  figlio  e  avidità  delPoro.  Novella  In  ottava  rima  milanese,  di 
Giovanni  Ventura.  —  Milano,  pel  Brambilla,  1894,  In  la.® 

La  Norma  resiada.  Sestinn.  —  Mìlan,  stamparla  Malatesta  de  Carlo 
Tincll  e  Comp.  1838.  —  Volumetto  in  8."  di  16  pagine. 

La  Rattcide.  Poemetto  in  sesta  rima  milanese  di  L.  S.  Almanacco  per 
l'anno  bisestile  I832.  —  Milano  a  spese  di  Benedetto  Bouvier. 

On  sogn  de  Mcneghin  Pccceiina.  Canti  due  in  dialetto  milanese,  per 
felicitare  la  ricuperata  salute  del  signor  Duca  Pompeo  Litta,  di  Carlo 
Cambiaggio.  —  Milano,  per  Fusi  e  Comp.,  isStf,  in  b.» 

CarfAmbròs.  Versi  milanesi  di  Giovanni  Ventura.  . —  Milano,  per  Cu- 
glielmini,  1840,  In  8.® 

In  occasione  deirEcclisse  totale  di  sole.  Sestine  di  Ambrogio  Alberti, 
in  dialetto  milanese.  —  Milano,  per  Chiusi  e  Comp.,  i84t.  In  te.* 

Dicerie  e  narrazioni  sull'Ecclisse  dell' 8  luglio  I84S.  Sestine  in  dialetto 
milanese.  —  Milano,  per  Tamburini  e  Valdoni,  in  8.® 

Viaggio  fatto  in  sogno  sulla  strada  ferrata  da  Milano  a  Venezia,  ec. 
Canti  cinque  in  dialelto  milanese  di  Luigi  G  lardi.  —  Milano,  per  Placido 
M.  Visaj,  1843,  in  18. 

Descrizione  e  ragionaroenlo  sulla  strada  ferrata  da  Milano  a  Venezia. 
Rime  milanesi.  —  Milano,  per  Tamburini  e  Valdoni,  fl84S,  In  it.* 

Uno  scherzo  sulla  nuova  illuminazione  a  gas  in  Milano.  Rime  vemaeole 
di  Leopoldo  Berzaghi.  —  Milano,  Tamburini,  I84tf,  in  8.* 


DIALETTI   PBDBMOIITAKI.  06tf 

Chi  cerca  troeuva;  ossia  ei  progress  ^e  la  gtornada.  Seslinii.  de  Frusti- 
Diane  Schieltipa.  —  Milano,  Plrotta  e-Comp.  1847 ,  In  8.° 

TuU  i  coss  a  soo  teiop.  Sestine  di  Fortunato  Bonelli.  —  Milano,  per 
Redaelli,  1848,  in  8."* 

Raccolta  di  poesie  in  .dialetto  milanese,  per  Luigi  Malveizi.  —  Milano, 
Ti^ilmant,  1848,  In  8." 

Vita  e  testamenl  de  Tomm  de  Preja,  di  Giuseppe  Elena.  —  Milano, 
per  Chiusi  e  Comp.,  istfo,  in  8.® 

L'ultima  messa  celebrata  nella  chiesa  della  Rosa  in  Milano,  o  sia  un 
racconto  che  fa  conoscere  cos'erano  quei  tempi  (i4  maggio  §798).  Tiri- 
tera in  versi  milanesi  di  G.  B.  Fumagalli.  —  Milano,  per  Redaelli,  isso. 

Scritti  in  dialetto  milanese  di  Giuseppe  Sommariva.  —  Su-  i  donn ,  gió 
i  omen.  —  Al  noeuf  or  de  sira.  —  A  Morivion.  —  Milano,  pel  Messaggi, 
it4ii,  in  8.® 

Meneghin  a  Roma.  Abort  d'una  Strenna  per  el  i8«i  (di  Giuseppe  iSòm- 
maripa).  Milano,  pel  Messaggi ,  in  8.® 

Macchin  per  Londra.  Fantasia  in  dialetto  milanese  di  Giuseppe  Som- 
nari  va.  —  Milano,  Messaggi,  istfi ,  in  8." 

I  misteri  de  Milan.  Scenn  de  la  vita  {di  Giuseppe  Sommariva).  —  Mi- 
lano, Gio.  Messaggi,  iSiss,  In  8.® 

El  pover  Pili.  Versi  milanesi  di  Giovanni  Raibcrti.  —  Milano,  per  Giu- 
seppe Bernardoni ,  tatti.  In  8.® 

1  Piazz  de  Milan.  Guida  strasordinaria  per  ei  isss,  compilada  dal  mi- 
lanes  Giusep  Sommariva.  —  Milan,  Messaggi,  tSM,  in  8.^ 

I  Fest  de  Natal.  Versi  milanesi  di  Gio.  Raiberti.  —  Milano,  per  Giu- 
seppe Bernardoni,  laas.  In  8.^ 

BcrM^amasco. 

Coniedia  nova  de  Notturno  napolitano,  intitolata:  Gaudio  d^  Amore.  — 
Vlnegia,  March.  Sessa,  issi ,  in  8.^  Questa  Comedia^  divenuta  ossm  raraj 
è  scritta  in  terza  rima,  ed  uno  degli  interlocutori  vi  parla  il  dialetto 
ùergamasco. 

Errori  incogniti,  Comcdia  di  Pietro  Buonfauli  da  Bibbiena.  —  Firenze, 
G.  Marcscotli,  iisoo  (In  flnc  ì6Si),  in  8''  Ivi  fra  gli  altri  personaggi 
Zanni  vi  parla  il  bergamasco  corrotto. 

La  Farinella,  comedia  di  G.  G.  Croce.  —  Bologna,  per  Antonio  Pizarri. 
Senz'anno,  in  I2.° 

Gli  otto  assortili,  Comedia  di  Giovanni  Sìnibaldi.  —  Venezia,  per  Ales- 
sandro Vecchi,  f  eoo,  in  la."*  Gli  interlocutori  vi  parlano  il  dialetto  ber- 
gamasco  ed  il  veneziano. 

U  diversi  linguaggi.  Comedia  di  Verg.  Veruccl.  —  Vlnegia,  per  Ales- 
sandro Vecchi,  1609,  In  is."  Gli  interlocutori  vi  parlano  varj  dialetti, 
fra  i  quali  il  berganuuco. 


Ci6i)  PARTE  TEMA 

Il  doltor  Baccheton;  Comedia  di  Bonavvenhira  Gioanellf.  —  Venctia, 
1619,  in  is.  —  È  8(Til(a  in  vari  iHnlettij  fra  i  quaU  anche  il  bergamoiCù. 

Uascarale  et  capricci  dilettevoli  recitativi  in  ComedlC)  et  da  canUrsi 
n  ogni  sorte  d'instromenti,  operete  di  mollo  spaso,  di  P.  Yeraldo.  — 
Venesla,  per  Angelo  Salvadori,  tese,  in  itt.'*  —  Neil' oPverHmento  l'au- 
tore annunzia,  che  gli  interlocutori  vi  parlano  diveni  dialetti  ^  cioi^  il 
napolitano  j  il  bolognese  ^  il  tedesco  italianizzato,  il  bergamoieo^  il  geno- 
vese ^  il  norcino  ed  il  romano. 

La  Rosalba.  Conicdia  di  Angelo  Scaramuccia.  -*-  Veiletri,  I6S8,  in  fi.* 
È  scritta  in  dipersi  dialetti  j  tra  i  quali  si  trova  pure  il  bergamaieo. 

La  schernita  Cortigiana.  Comedia  di  Giovanni  Maria  Alessandrini  da 
Loniano.  —  Bologna,  per  Giovanni  Longhi,  ittsn,  in  it/  —  Un  inier' 
tocutore  vi  parla  bergamasco. 

Il  titolo  non  si  sa.  Opera  del  dottor  Sottogisnio  Manasta.  —  Milano, 
per  Lodovico  Monza,  1675,  in  ì^.^  —  È  scritta  nei  dialetti  bergaauLico, 
bolognese^  veneziano  e  napolitano. 

Pantalone  mercante  fallito.  Comedia  del  Simontomadoni.  —  Veneiia« 
per  Domenico  Lovisa,  loos,  in  is." —  Fra  gli  inlcrloeutori  trovasi  il 
bergamasco, 

Trufaldino  medico  volante.  Comedia.  —  Bologna,  pel  LoDgbI.  Senza 
l^anno^  in  is.*  —  Tra  i  vari  dialetti  vi  è  parlato  pure  il  bergamaseo. 

Pantalon  spetier,  con  la  metamorfosi  d'Arlech ino  per  amore.  Scenica 
rappresentanza  di  Gio.  BonicclU.  —  Venezia,  Domenico  Louisa.  Senz^anno, 
in  i«."  —  Ivi  pure  è  parlato  il  bergatnasno» 

Trufaldin  Anto  papagalo  per  amor,  filosofo  per  conversatione  nell'as- 
semblea de' matti.  Comedia  di  Nicolò  Monasenl.  —  Vcnctla,  per  l>omenico 
Louisa.  Senz'danno,  in  12.°  Fi  si  parla  il  dialetto  bergamasco. 

L"* invidia  in  corte,  o  vero  le  pazzie  del  doltor.  —  Venezia,  per  Louisa. 
Senz'anno,  in  it.'*  —  Fi  è  pure  parlato  il  diaUtlo  bergamasco. 

Arlechino  finto  bassa  d'Algeri.  Opera  scenica  di  Bonav.  Gioanelli.  — 
Venetia,  Domenico  Louisa.  Senz'anno,  in  is."  —  Fra  gli  interlocutori 
trovasi  il  bergamasco. 

La  Fortuna  de' pazzi  ha  cura,  ovvero  dall'offesa  il  beneficio.  Comedia 
di  Fabrizio  Manni.  —  Bologna,  pel  Longhi,  I7if ,  in  la."  —  Fi  si  parla 
pure  il  bergamasco. 

La  gelosia  schernita  et  la  costanza  premiala.  Opera  scenica  di  Carlo 
Sigismondo  Capeci.  —  Bologna,  pel  Longhi,  I7I4,  in  12."  —  Fu  scritta 
nei  due  dialtlli  bergamasco  e  bolognese. 

Chilonida.  Opera  da  recitarsi  dagli  alunni  del  collegio  Capranica.  — 
Roma,  171»,  in  I2.°  —  Ivi  Scudellino  parla  il  dialetto  bergamasco, 

Instrumcnto  del  dolor  Dcsconzo,  in  lingua  bergamasca,  cosa  rldlculosa 
con  molti  secreti.  —  Senza  Indicazione  tipogràfica.  —  Quest'opùscolo  fu 
tampato  intorno  al  itf40. 

Opera  nova  dove  sì  contiene  una  caccia  amorosa  trasmutata  alla  ber- 


MALim  KDOiOlilTANI.  067 

gamasca,  et  altre  bellissime  battaglie,  con  un  biasmo  della  caccia  d^a- 
more»  et  capItoU  bellissimi.  —  Senta  Indicazione  veruna.  —  Quetto  raro 
opùscùio  racchiude  varie  poetie  licenzio$e  in  dialetto  bergamasco.  La  eoe* 
eia  d'amore  è  in  italiano ^  ed  ogni  quariina  è  seguita  dalla  parodia  nello 
iietso  dialetto.  Fu  probabilmente  stampato  in  Venezia  j  prima  del  laao. 

Marldaz,  over  sermó  da  fa  In  maschera  a  una  sposa,  in  lengua  berga- 
nasca,  ee.  **  Senta  veruna  indicazione,  in  8.®  •—  Quest'opùscolo  ,a$tai 
probabilmente  fu  stampato  in  Venezia  j  pel  Sindoni  j  nel  laao. 

Bermon  da  far  In  maschera  ad  una  sposa,  in  lingua  bergamasca.  Cosa 
molto  dilettevole,  con  due  Canzonette  in  lingua  veneziana.  —  Senza  in« 
dicazione  tipografica;  ma  pare  stampato  in  Venezia^  intomo  aU'asmo 
isao,  in  8.^ 

Vanto  del  Zani,  dove  lui  narra  molte  segnalate  prove  che  lui  a  (atto 
nel  magnar.  —  Senza  veruna  indicazione,  in  8.** —  Questa  poema. in  ol- 
iopa  rima  è  scritta  in  bergamasco, 

Capitolo  in  lode  del  Bocal,  con.  un  sonetto  di  un  viaggio  del  Zani  a 
▼enetia.  —  Senza  luogo  ed  anno,  in  8.®  —  Stampalo  forse  in  Venezia, 
intomo  al  i8«o. 

La  piacevole  astrologia  del  Ravanello.  —  Senza  luogo  ed  anno,  in  8.^  -•- 
Questa  facezia  è  seguita  dalla  Genealogia  del  Zani ,  in  dialetto  bergama* 
SCO,  Fu  stampata  nel  sècolo  XVI, 

Opera  nuova  nella  quale  si  contiene  un  Invito  de  alcuni  ortolani,  eon 
la  risposta;  et  la  Pastorella,  con  la  tramulatione,  et  alcune  stancie  in  lin- 
gua bergamascha.  —  Senza  luogo  ed  anno,  in  8.*  —  Le  sole  Stanze  sono 
in  dialetto  bergamasco ^  e  racchiùdono  l'elogio  delle  taverne. 

Il  spasso  della  villa  del  Mantovano,  con  una  Canzon  tramutata  in  lin- 
gua bergamasca.  —  Senza  luogo  ed  anno,  in  8.** 

Le  piacevoli  notti  di  GIo.  Fr.  Straparola  da  Caravaggio.  —  Vlnegla, 
Comin  da  Trino,  I880-S4.  Voi.  f ,  in  8.**  —  Fu  ristampata  pure  in  Ve- 
nezia j  nel  1599,  da  Alessandro  De  Vecchi,  in  4.®  Za  terza  Novella,  Ber- 
toldo de  Valsabia,  della  V  notte  j  è  scritta  in  prosa  bergamasca. 

Di  Sulpizia  romana  trionfante.  Trattenimenti  cinque,  ec.  di  Camillo 
Scaligeri  dalla  Fratta  (j4driano  Banchieri),  •»  Bologna,  Giovanni  Battista 
Ferroni,  f068,  in  12.^  —  ji  pag.  7S  e  seguenti'  vi  si  trova  un  racconto 
ed  una  breve  poesìa  in  bergamasco. 

I  sccrèc  del  me  Nono,  ossia  Raccolta  di  cognizioni  ùtili  e  dilettevoli 
(di  Bonfant  Pasti).  Almanacco  per  l'anno  1846.  —  Bergamo,  pel  Sonzo- 
gni,  in  ss.® 

Bresciano. 

Ai  Glaccobi  de  la  quondam  Repubblica  Cii^alpina.  Capitol.  —  Brescia, 

1790,  in  8.® 


(109  '  .  PARTE  TBR2A 

Dialetti  Emiliani. 
Balo||iie«e« 

I  parenti  godevoli,  opera  piacevolissima  di  G.  C  Croce.  —  Vologna, 
seni' anno,  in  e.*  —  Jn  quetUt  comtdia  famigliare  Graziano  e  Pedroiktù 
cantano  alcune  itanze  in  dialetto  bologneee. 

Li  diversi  linguaggi.  Com.  di  Verg.  Verucoi.  —  Vinegla^  per  Alessandro 
Vecclif,  1600,  In  it.°  —  fVa  i  vari  dialetti  parlati  dagli  interlocuiori  n 
trwa  anche  il  bolognese.  . 

Bravata  di  Bablno,  parte  in  lingua  romagnola,  parte  toscana.  Opera  da 
ridete  di  G.  C.  Croce.  —  Bologna,  Bartolommeo  Cocchi ,  leiT,  la  8.*  — 
Quttto  cùmponimento  è  scritto  in  terza  rima, 

II  dottor  Baccheton,  Comedia  di  Bonavventura  GloanelU.  •—  Veneala, 
I6I9,  in  f  t.®  —  Jn  questo  componimento  in  vari  dialetti,  un  interlocu- 
tore ^drla  il  bolognese. 

Il  Pantalon  imbcrtonao.  Comedia  di  Giovanni  Briccio.  —  Veneiia,  f  ete^ 
in  18.*  —  Graziano  vi  parla  il  proprio  dialetto. 

Mascarate  et  capricci  dilettevoli  recitativi  in  Comedie,  et  da  cantarsi 
In  ogni  sorta  dMnstromenti,  operete  di  molto  spaso,  di  P.  Veraldo.  — > 
▼eoezia,  per  Angelo  Salvadori,  lete,  in  is.®  —  Fra  ì  vari  diaieiU  par* 
Mi  dagli  interlocutori  j  si  trova  anche  il  bolognese. 

La  Rosalba.  Comedia  di  Angelo  Scaramuccia.  —  Velletri,  tese,  io  it.«— 
Fra  gli  interlocutori  trovasi  pure  il  bolognese. 

Il  titolo  non  si  sa.  Opera  del  dottor  Sotlogisnio  Manasta.  —  Milano,  per 
Lodovico  Monza,  1075,  in  is.**  —  Un  interlocutore  parla  il  dialetto  bo- 
lognese. 

Il  Fazoletto.  Opora  scenica  del  Brignolc.  —  Bologna,  per  Giovanni  Lon- 
ghi;  1065,  in  it.®  Jvi  il  dottor  Graziano  parla  il  bolognese. 

Pantalone  mercante  fallito.  Comedia  del  Simontomadool.  —  Venezia, 
per  Domenico  Louisa,  I095,  in  if.®  —  Un  interlocutore  parla  il  dialetto 
bolognese. 

La  finta  Zingara.  Comedia  di  Aeginaldo  Sgambati.  —  Bologna,  senz'anno, 
in  19.'' 

Pantalon  speticr,  con  le  metamorfosi  d'Arlecbino  per  amore.  Scenica 
rappresentanza  di  Giovanni  Bonicelli.  —  Venezia.,  Domenico  Louisa,  senza 
data,  In  is.^  —  Fra  gli  allori  trovasi  pure  il  bolognese. 

Il  matrimonio  in  maschera.  Comedia  di  Fabrizio  Nanni.  —  Bologna, 
pei  Longhl.  Senz'anno,  in  12.® 

Trufaldin  Anto  papagalo  per  amore,  filosofo  per  conversazione  nel- 
r  assemblea  de' matti.  Comedia  di  Nicolò  Monaseni.  —  Vcnctia,  Domenico 
Louisa.  Senz'anno,  in  I9.°  —  È  scritta  in  vari  dialetti ^  tra  i  quali  il 
bolognese. 


DIALETTI  PEDEMONTANI.  6G0 

LMnvidia  in  coric,  o  vero  le  pazzie  del  dollor.  —  Venezia,  Domenico 
Louisa.  Senz^anno,  in  I2.^  —  Tra  t  vari  dialetti  che  vi  sono  parlati  trò- 
vasi  pure  il  bolognese. 

Arlcctiino  finto  bassa  d'Algieri.  Opera  scenica  di  Bonav.  Giovanelli.  — 
Venctia^  Domenico  Louisa.  Senz'anno,  in  is.**  —  Un  attore  vi  parla  il 
dialetto  bolognese. 

Lamento  di  Tugnol  da  ftluierbl  per  esserli  stala  rubbata  la  borsa,  ri- 
dona a  modo  di  comedia,  composta  da  Francesco  Draghelli.  —  Bologna, 
Girolamo  Cocchi.  Senz'anno,  in  a.**  —  È  scritto  per  intero  in  bolognese. 

La  fortuna  dei  pazzi  ha  cura,  ovvero  dall'offesa  il  benefizio.  Comedia 
di  Fabrizio  Manni.  —  Bologna,  Longhi,  f7ii,  in  is.°  —  Fra  i  diversi 
dialelii  i9i  parlali  trovasi  pure  il  bolognese. 

La  gelosia  schernita  et  la  costanza  premiala.  Opera  scenica  di  Carlo 
Sigismondo  Capeci.  —  Bologna,  pel  Longhi,  f7i4,  in  fs.^  —  È  scritta 
nei  due  dialetti  bolognese  e  bergamasco. 

lì  savio  delirante.  Comico  divertimento  per  musica.  —  Bologna,  iTse, 
tn  19.°  —  È  veramente  strana  un*  Opera  in  dialetto  bolognese  per  musica! 

Zanin  dagl* istori.  Lunari  nov  per  Tann  isoe.  —  Bulogna,  in  16.^  — 
Questo  lunario,  che  fu  riprodotto  diversi  anni,  contiene  in  cascun  anno 
una  comediola  in  dialetto  bolognese. 

Progetto  di  Ortografia  bolognese  proposto  da  un  Accademico  del  Tri» 
fello.  ^-  Bologna,  dai  tipi  del  Nobili  e  Comp.,  issa,  in  8.^ 

Questa  è  una  farsa  recitata  a  gli  excelsi  signori  di  Firenze,  nella  quale 
si  dimostra,  che  In  qualunque  grado  che  l'homo  sia,  non  si  può  quietare 
et  vivere  senza  pensieri,  ec.  Sema  luogo  ed  anno^  ln-8.  —  Questa  farsa 
è  in  versij  ed  è  forse  stampata  a  Firenze  sullo  scorcio  del  sècolo  xy*  M 
un  interlocutore  parla  il  dialetto  pavese,  ed  un  altro  il  piacentino. 

Diporti  Academici  di  D.  Agostino  Lampognani.  —  Milano,  letts,  presso 
Lodovico  Monza,  in-8.  —  Ivi  fra  i  vari  Saggi,  trovasi  un  Bacc'onto  in 
prosa  pavese. 

Giarlaett,  Tacquei  ardìcol ,  crif ich  e  moral  dael  sur  Giarlaett  con  j  09- 
sarvazion  di  Paisàn  sgond  zerti  di  e  sfaglon  dPan,  ec.  In  tla  me  zitta, 
l'an  1784  pr  al  I70».  Pacr  Afarcantoni  Por.  —  Questo  Almanacco  consiste 
in  un  lungo  ed  insipido  Diàlogo  in  dialetto  pavese,  e  termina  con  due 
cattivi  Sonetti.  Fu  ristampato  nell'anno  lese  col  seguente  tìtolo: 

Il  vecchio  Giarlaett  del  i7B8.  Muovo  Almanacco  parranno  bisestile  I8S8. 
Pavia,  per  Luigi  Landoni. 

Alla  cara  memoria  del  D.  Defendente  Sacchi  morto  il  so  dicembre  1840. 
Sestine  pavesi  (di  Giuseppe  Bignami).  —  Pavia,  libreria  della  Minerva 
di  Luigi  Landoni,  i84i. 

I  Piecroiogiì.  Imitazione  del  Fusinato.  —  Poesìa  in  folio  volante  di 
G.  Bignami. 

II  pio  orfanotrofio  maschile  di  Pavia.  Sestine  in  dialetto  pavese  di  Giu- 
seppe Bignami.  —  Pavia,  pel  Fusi,  1848,  in-8. 


APPENDICE 


Mentre  avevamo  sotto  il  torchio  gli  ùltimi  fogli  di  questo 
Saggio  j  il  signor  Gabriele  Rosa^  indefesso  cnltore  degli  studj 
linguistici^  e  sopra  tutto  di  quanto  può  giovare  all'illustrazione 
della  storia  patria,  c'inviava,  con  una  lèttera  erudita,  alcuni  an- 
tichi monumenti  del  dialetto  bergamasco,  da  Ini  rinvenuti  fra  i 
manoscritti  e  gli  archivii  della  città  di  Bergamo,  i  quali,  seb- 
bene svisati  da  una  incerta  e  capricciosa  ortografìa,  bastano 
per  avventura  a  constatare  resistenza  delle  forme  caratteristi- 
che di  quel  dialetto,  intorno  alla  metà  del  sècolo  XIII,  prima 
cioè  che  la  lingua  àulica  generale  si  venisse  sviluppando  nella 
nostra  penisola,  a  supplantarvi  il  corrotto  latino.  A  questi  mo- 
numenti per  molti  riguardi  preziosi  potremmo  aggiùngerne  altri 
contemporanei  propri  d'altri  dialetti  lombardi,  emiliani  e  pede- 
montani, non  che  vèneti,  càmici,  campani  e  siculi,  da  noi  rac- 
colti allo  scopo  di  tracciare  colla  scorta  dei  monumenti  le  rimote 
orìgini  dell'italiana  favella.  Mentre  peraltro  ci  riserbiamo  a  coor- 
dinare di  propòsito  queste  importanti  reliquie  in  una  pròssima 
publicazione,  crediamo  far  cosa  grata  ai  nostri  lettori  porgendo 
loro,  a  corredo  di  quanto  slam  venuti  esponendo  nel  corso  del- 
l'opera, i  componimenti  comunicatici  dal  signor  Rosa  insieme 
alla  lèttera  che  li  accompagnava.  R  poiché  non  abbiamo  sot- 
t' occhio  i  documenti  originali  dai  quali  furono  tratti,  e  nella 
malferma  ed  incerta  ortografia  colla  quale  sono  espressi,  assai 
malagévole  torna  il  determinare  con  precisione  la  retta  pro- 
nunzia delle  singole  voci;  così,  per  tema  di  alterarne  il  valore, 
preferiamo  rinunziare  al  sistema  ortogràfico  da  noi  superior- 
mente stabilito,  trascrivendoli  fedelmente  quali  si  trovano  nel 
rispettivo  originale. 


APPENDICE  67  i 

A  compimento  poi  del  presente  Saggio,  ed  a  maggiore  8chia* 
rimento  della  classificazione  generale  da  noi  proposta-,  e  della 
divisione  topogràfica  della  grande  famìglia  dei  dialetti  Gallo-ità- 
lici j  abbiamo  stimato  ùtile  corredare  tutta  T  òpera  con  nna  Carta 
topogràfica  deiritalia  superiore,  nella  quale  abbiamo  tracciato, 
oltre  ai  confini  generali  delle  distinte  famiglie  càrnìca,  vèneta, 
gallo-ilàlica,  ligure  e  toscana,  eziandio  le  principali  divisioni  e 
suddivisioni  dei  dialetti  gallo-itàlici,  indicando  specialmente  i 
nomi  dei  luoghi  ove  sono  rispettivamente  parlati. 

Per  tal  modo  verrà  agevolata  T  intelligenza  di  quanto  siam 
venuti  mano  mano  esponendo,  e  lo  studioso,  abbraciando  con  un 
solo  colpo  d'occhio  l'estensione  e  le  speciali  suddivisioni  di  tante 
svariate  favelle,  scorgerà  nelle  naturali  barriere  la  ragione  delle 
medésime,  e  potrà  forse,  mercè  up  diligente  raffronto  delle  di- 
visioni linguistiche  colle  molte  divisioni  etnogràfiche  e  politiche 
alle  quali  l'Italia  superiore  andò  col  vòlgere  dei  sècoli  soggetta, 
conseguire  nuove  ed  importanti  rivelazioni. 

Tale  è  il  fine  al  quale  noi  abbiamo  dirette  le  malagévoli  e 
coscienziose  nostre  ricerche.  Allo  stesso  fine  ci  proponiamo  di 
continuarle,  coordinando  colla  scorta,  dei  fatti  e  coli' assistenza 
che  invochiamo  degli  studiosi  tutte  le  altre  famiglie  degli  itàlici 
dialetti,  pienamente  convinti,  che  una  Carta  linguìstica  del- 
l'Italia moderna  per  tal  modo  tracciata,  corrispondendo  in  ogni 
sua  parte  alla  Carta  polìtico-geogràfica  dell'antica ,  varrà  meglio 
d'ogni  altra  guida  ad  appuntarci  con  certezza  le  prische  sedi 
delle  itàliche  tribù  primitive,  che  se  ne  disputarono  il  possesso. 


Carissimo  Amico. 

Da  qualche  tempo  essendomi  posto  a  rovistare  fra*  manoscritti  ed 
archivii  di  Bergamo,  onde  raccògliere  notizie  stòriche  e  linguìsti- 
che, mi  vennero  mostrate  dal  sig.  Stefano  Borsetti,  Cancelliere  di 
questo  archivio  Notarile,  ed  esperto  paleògrafo,  fra  T altre  cose, 
due  composizioni  poètiche  volgari,  Tuna  del  i2B5,  l'altra  del  1340, 
ignorate  sino  ad  ora ,  scrìtte  a  Bergamo  in  lingua ,  che  si  direbbe 
signorile  bergamasca,  perchè  non  è  il  bergamasco  popolare,  ma 


67  i  APPCflDIGE 

quello  di  chi  si  aiuta  colla  conoscenza  del  latino  notarile ,  e  del 
parlare  de*  colti  lombardi  »  di  farsi  capire  ed  ascoltare  piacevolmente 
anche  dai  non  bergamaschi.  La  composizione  del  1253  è  anteriore 
di  12  anni  alla  nascita  di  Dante,  e  di  i7  alla  poesia  milanese  di 
fra  Bonvesino  da  Riva,  ed  al  lamento  della  donna  veneziana  che 
ha  il  marito  alle  crociate,  da  voi  ridotte  a  buona  lezione,  illustrate 
e  pubblicate  nel  fascicolo  di  novembre  1847  della  Rivista  Europea. 
Se  quelle  vanno  fra  più  antichi  monumenti  di  un  tentativo  di  lin- 
gua letteraria  italiana  con  fondo  milanese  e  veneziano,  la  nostra  lo 
è  di  simile  esperimento  con  prevalenza  di  clementi  bergamaschi» 
mentre  con  base  sieula  ma  più  pròssima  alla  lìngua  colta  più  co- 
mune, toglievano  a  formare  un  volgare,  illustre  Ruggerooe,  Riuieri 
da  Palermo,  la  Nina  Folco  da  Calabria,  Guerzoloda  Taranto,  Man- 
fredo, Enzo,  Federico  U,  Pier  delle  Vigne,  Guido  da  Messina;  con 
materiali  toscani,  romani,  emiliani  eletti.  Brunetto  Latini,  Rinaldo 
d'Acquino,  il  Guinizzelli^  Onesto  e  Guidotto  da  Bologna,  S.  Fran- 
cesco d*Assisi,  Fabruzzo  da  Perugia,  Mastro  Agnolo  da  Camerino, 
Jacopone  da  Todi,  Guittone  d'Arezzo,  Papa  Bonifacio  Vili,  Ricco- 
baldo  da  Ravenna,  la  Beata  Chiara  da  Rimini,  Virginio  Laurent! 
da  Cori;  mentre  a  loro  si  ventano  accostando  ncU* Italia  settentrio- 
nale Albertano  giùdice  da  Brescia,  Gotto  da  Mantova,  Albertino 
Ciròlogo  da  Pàdova,  Saladino  da  Pavia,  Polo  Lombardo,  Pietro 
Barsegapè  da  Milano. 

Così  questa  poesia  é  insieme  il  più  antico  documento  della  Lom- 
bardia di  lingua  italiana  e  bergamasca,  e  mostra  come  la  storia 
delle  origini  della  lingua  letteraria  italiana  non  possa  andare  disgiunta 
da  quella  de*  vernàcoli  d*onde  esci.  Questi  monumenti  quindi  si 
coordinano  alla  storia  si  della  lingua  italiana  che  dei  dialetti,  ed 
acquistano  maggiore  importanza,  e  diventano  più  ùtili,  quando 
sono  collegati  criticamente  cogli  altri  monumentalo  più  tardi  potrò 
coordinarli  a  studii  locali,  ma  ora  non  potrei  farli  conóscere  che 
nella  loro  grettezza  isolata,  onde  verrebbero  giudicati  di  quelle 
composizioni  plebee  anatomizzate  da  Dante.  Divisai  quindi  mandarU 
a  voi,  coiriaggiunta  di  alcune  altre  cose  inèdite,  che  danno  un 
saggio  del  volgare  bergamasco  ne*  secoli  successivi  KV  e  XM , 
pensando  che,  ove  vi  pajano  convenienti,  li  potete  pubblicare  in 
appendice  al  vostro  prezioso  lavoro  sui  dialetti  gallo- itàlici,  ove 
nel  proprio  ostello  saranno  illustrati. 


APPBNDICR  675 

ri  Decàlogo  {Ì26S). 

Questa  composizione  era  fra  islrumenti  privali  legati  ìd  un  solo  volume 
di  pergamena  del  f98S,  scritta  coiridèntìco  caràttere  clie  parecchi  di 
quegli  islrumenti,  onde  se  non  è  anteriore,  è  almeno  loro  contemporànea. 

In  uomo  sia  de  Crisi  ol  di  presenl 

Di  dcs  comandamel  alcgramet , 

1  qua!  dà  de  pader  onnipotenl 

A  morsis  per  salvar  la  zel. 

Ciri  ì  des  comandament  obscrverà. 

In  vita  elcrna  cum  Xrislo  andarà. 
Et  primo  comandament  ol  di  bonorar, 

So  ver  omnia  cossa  ama  ol  creatore 

Cbo  lamma  e  cbol  cor  e  cbo  la  mei 

£  in  lu  meter  tuli  ol  nostre  amore. 

E  la  rason  per  que  no  ol  debnem  amare, 

Se  vo  m**  ascolte  so  voi  cbuytarave. 
Per  zo  ebe  a  Ja,  sua  ymagen  al  na  formalo, 

E  lo  libero  arbitro  lu  sma  dato. 

Tute  le  cose  a  nostra  utililad 

E  del  so  sang  precios  al  na  recomperalo, 

E  su  la  eros  al  sulTri  passione 

Per  la  nostra  rederaciope. 
El  secondo  comandamento  de  observar, 

El  nomo  de  deo  en  va  noi  menzonarc 

Ki  in  sperzur,  ni  in  blasfemare. 

Ni  in  faluri,  ni  in  idoli  menare. 

Non  cri  ai  indui,  cb^a  Ve  rasia, 

Ni  in  vana  cossa  chi  in  sto  mondo  sia. 
Solu  che  se  spcrzura  biaslcma  ol  creatore, 

E  queii  che  lo  madise  el  digo  ancora. 

In  ydoialri  ere  i  miser  pecadore 

Ai  ere  ai  induì  el  ai  Incantadore. 

In  asse  vlserse  pò  deo  biaslemare, 

Unde  ve  prego  che  vei  dcbie  guardare. 
In  lol  vegio  teslamenlo  se  trova  seri  pio, 

Sianl  ol  povel  de  deo  Cora  d'Egipto, 

Ei  fo  un  che  biastemava  deo  bencdlglo 

E  per  parola  de  deo  padre  ol  fo  digamos 

E  de  fora  ay  lo  fi  menare, 

E  si  io  fi  lapidare. 
E  pò  vide  San  Grlgori  de  deo  servente 

Un  fanti  lo  qual  avea  zinqui  ani , 


A  74  APPENDICE 

El  qual  blasfema  Xrist  nninipotentt?; 

01  padre  noi  castigava  de  mente 

E  binsf cmando  deo  ol  padre  en  braso  Tava , 

01  damon  a  so  dispregio  de  brazo  ito  tolava. 

Et  terso  comaDdamcnto  de  ol>servarc. 
So  è  la  festa  de  deo  ben  guardare» 
Andar  a  la  glesia,  a  li  messi,  e  udì  predice, 
LI  nostro  creatore  de  rograoiare, 
Con  tut  ol  cor  e  no  co  la  fc  vana. 
De  zo  che  al  ne  prestad  in  la  seteniana. 

A  noi  se  de  andar  tenasando 
Ma  pover  e  infirmi  revesetando  , 
E  ovra  de  misericordia  faxando. 
Le  doni  non  de  al  bai  andar  cantando, 
Ha  tirarse  la  vanitad  dal  cor  e  da  la  testa; 
Alora  guadanariano  la  bela  festa. 

Ciascheduna  dona  che  va  disonestamente 
Alla  offende  a  Xristo  omni potente 
E  fa  vcrgonsa  azescando  so  parente, 
Com  fi  una,  in  tot  vcgio  testamento. 
Un  bel  esempi  ve  dirò  de  presente. 

Fiola  de  Jacob  a  la  era  hi  veritade 
Donzella  alora  piena  de  vanitàde 
Novamcute  a  la  riva  a  una  zitade. 
Li  doni  la  vito  andar  per  li  gorade , 
Quella  donzella  fo  prisa  e  vcrgonlata, 
E  duramente  la  fo  lapidata. 

Li  so  dudcs  fradel  sol  tcn  a  desonorc, 
E  li  piò  la  zitade  a  gran  forore, 
Hooieni  e  femini  e  fantini  ancora 
Per  lai  de  spade  li  misi  al  bora. 
Perzò  chi  a  fioll  li  castigi  per  razone 
A  so  chi  no  li  pecbi  per  vostra  casone. 

El  quarto  comandamento  de  observare, 
Se  tu  e  pader  ni  mader,  tu  li  di  honorare 
Faie  honore  e  riverencia  quanto  tu  poxe 
Perchè  li  ta  dati  la  caren,  ol  sangc, 
Li  nostri  padri  che  na  inzenerati, 
E  li  nostri  madri  che  in  corpo  na  portati. 
A  se  mali  noti  e  dì  yamo  (i)  dati 
E  del  so  sange  eli  na  resazlati. 
Eli-  na  acquistati  la  roba  con  grado  sudore , 
Onde  no  poscmo  stare  a  grande  honore, 

(I)  y^^mo  per  abbiamo. 


APPENDICI 

Se  DOD  facemo  cum  fa  lo  re  servente 
Che  non  coniosse  ehi  lo  serve  de  mente. 

Cum  fi  un  flol  menescredenle 
01  qua!  aviva  ol  pader  vegio  certamente, 
01  pader  era  vegio,  xaziva  al  sole 
Or  udì  quel  que  faxlsa  quel  re  fiolo  : 
01  pader  che  era  vegio  si  spudava , 
El  fiol  r  aviva  a  schifi  e  sMl  piava 
Per  li  caveli  dredo  sol  strascinava 
Fin  ad  uno  loco  ch^el  pader  si  parlava. 
Al  disse  al  fiol  più  no  me  strascinare. 
Fin  chi  Ioga  e  (i)  strascinò  ol  me  padre. 
Chi  bate  pader  e  mader  mal  gne  fenire. 
Cosi  farà  li  so  fioi  alor  senza  fallre. 

Chi  mal  farà  per  certo  mal  convè  avlre 
Che  Jesu  Cristo  ni  farà  pentire. 
Qua  de  li  son  vegi  de  non  abir  vergonity 
Tolemo  esempio  che  ne  da  la  xigonla. 
Quand  la  zigonia  è  vegia  e  no  pò  volare 
La  zigonia  zoven  se  la  met  a  covare. 
E  si  ie  per  casa  cosse  da  mangiare. 
Quando  on  oselo  ne  da  amaestramento 
Inprendime  senza  demoramento. 

El  quinto  comandamento  nlsu  fa  morire. 
Col  cor  ni  cola  lengua  ne  con  sentire 
Ni  coli  honori  guarda  non  fallre 
Che  a  Jesum  Xrist  farese  a  despiasire 
La  zobia  (s)  sancta  Crlst  in  orto  disse: 
Chi  de  agide  fere  de  egide  perisce. 
Se  la  morte  de  nessun  te  consentisse 
Tu  l' ulcissi  xi  cum  se  tu  ferissi. 
Ben  che  el  re  Erodes  li  puer  non  taiasse 
Perchè  a  li  fé  morir  sententia  de  le  madre, 
Al  deventa  levrus  a  men  tenendo 
El  ven  en  fastodi  a  sì  et  altra  zente 
E  pò  se  despiro  scavasse  de  presente. 

El  sesto  comandamento  non  di  furare, 
Usura  ni  ranpina  non  di  fare , 
A  to  Taltru  per  forza  ed  a  robare, 
A  to  raltru  el  demoni  te  liga. 
Et  a  satisfari  al  to  molto  gran  briga, 

(I)  ehihgm  dicono  tuttavia  latioamtnt*  i  Dostri  ruUici  p«r  ^uj.  «  per  #f/i. 
(a)  mobm  ptr  giovedì  si  dice  ancora  dai  villici  brMciani. 


675 


070  APPB?IDICE 

Qusindo  l'omo  è  amalato  ài  vcn  a  confessione, 

El  preito  ie  domanda  laUsfaccione; 

mora  ol  damoni  ie  da  tentaptione 

E  8Ì  ie  dis  tu  guarire  ben  a  se  se  a  du  fare  rason. 

Se  Tomo  mor  in  quela  e  no  abia  renduto. 

Pepsa  ben  sul  e  salv  o  perduta. 

El  seplimo  comandamento  non  adulterare 
Volontera  ol  damoni  tei  Consent  a  fare 
Perchè  do  anime  in  quel  fa  pecarc 
E  da  ramur  de  Cristo  i  fa  a  lui  tenare. 
Per  zo  ol  dumoni  ol  fa  biastemare. 
Molli  na  quista  per  quel  peccalo 
Chi  lo  tei  via  de  la  luxuria  perseverate 
Con  sigo  ol  damoni  lo  monaraie» 
Se  In  questo  mondo  penitenda  non  faraie 
L'amor  de  Cristo  el  tutto  perdaraie. 
Per  quel  peccato  bruto  e  desonesto 
Un  bel  esempio  ve  dirò  manifesto. 
Al  se  lese  che  air  era  xinque  diade 
Morbi  e  grasi,  pieni  de  gran  vanitati; 
Homen  e  femini  e  cuven  in  veritade 
Usava  luxuria  cum  granda  camalitatl. 
Per  quel  peccato  deo  li  fé  abissare 
Se  no  tre  persone  che  scampa  de  lorc. 

E  rodavo  comandamento,  si  obcdiente 
E  non  fa  11  falsi  sagramenti. 
Tu  biastemi  Deo  omnipotenle 
A  voli  provar  quel  che  non  è  mcnle, 
Como  fi  quei  do  in  tei  vegio  testamento. 
In  tei  veglo  testamento  se  trova 
Queli  do  vegi  Susana  acusa 
Per  que  a  no  lai  volu  consentire. 
A  là  disse  che  in  adulteri  la  Irovaiio, 
E  per  quel  de  via  fi  lapidata. 
Sovra  quali  deo  le  manda  sentenza. 
Daniel  profeta  vcn  e  dis  allora 
Questa  sentenzia  non  è  Insta  seniore. 
Ai  Uva  accusata  falsamente, 
E  lapidati  tur  fo  duramente. 

El  nono  comandamento  non  desiderare 
L^allrui  moier  ni  fiola  ni  scrore 
Che  a  Jesum  Cristo  faresti  a  despiasire. 
De  David  profeta  ve  voi  dire, 
La  moier  tolse  ad  un  so  cavalere. 


ApranviGi  677 

E  pò  ordinoe  e  flcelo  morire. 

Deo  ie  mandò  Paogel  e  licevol  pentire. 

AI  fl  penltencia  de  quelo  gran  peccato, 

E  pò  di  so  fieli  se  \itcl  trebulato. 

Un  di  li  floli  zaziva  cole  sorore 

E  li  altri  fradeli  sei  ten  a  desonore. 

A  li  ulsis  Aman  ad  Ira  ed  a  furore , 

E  posa  contra  ol  padre  se  revoltale. 
Quando  Caim  ulcis  Abel,  la  terra . . . 

E  de  quel  peccato  lustltla  domandava 

Po  un  di  cavaler  quel  Axalon  ulcis 

Per  quel  pecad  che  David  si  comls. 
El  decimo  comandamento,  ubedisel  per  ruon. 

Non  desiderar  T  altrui  possession. 

Torà  ni  vini,  ni  bosco,  ni  masone 

Cavai,  ni  bò,  ne  pegra,  ni  ronzone. 

Per  invidia  Caim  alcis  Abel, 

E  li  fioli  de  Jacob  vendi  so  f radei. 
Per  invidia  li  Zudei  alsi  Cristo  belo. 

Per  invidia  si  desfà  zitad  e  caste! , 

Per  invidia  se  met  guerra  e  razia 

E  molti  personi  se  met  en  mala  via. 

In  altro  libro  di  {strumenti  del  1540  trovasi  inserta  una  narra- 
zione in  forma  poètica ,  di  cui  vi  copio  solo  quelle  parti  che  la  de- 
cenza concede  publicare. 

Confessando  la  mia  defeta  l'altrer  a  Sant Agostino 
me  requerse  d'amor  fino  ol  bon  ronco  frate  Sbereta, 

A  quello  Sbereta  fratre  menando  molto  conceta 
Glie  disse  ol  meo  peccato:  perdoname  mia  fallita. 
Quando  vene  a  far  partita  misse  man  .... 


De  color  tuta  me  mosl 

Credia  che  santo  fosse,  e  tu  sle  cosi  villano. 
To  penscr  è  fol ,  e  vano  Tinimigo  chi  te  tanta 
Se  tu  trovi  che  te  consenta,  da  De  sia  maledeta. 


e  via  di  questa  risma. 


46 


078 


AdPKNIMCI 


Il  Calvi  Del  Campidoglio  de*  Guerrieri  (  Milano ,  VigoDe»  1068) 
a  pag.  295,  pubblicò  queslo  epitafio  di  Guiscardo  Lanci,  morto  in 
Bergamo  del  I3tt2. 

Qui  giace  l'eccellente  cavalieri 

Msser  Guiscardo ,  ebe  de  Lansi  nato 
El  quale  di  virtù  fa  tanto  ornato 
Che  dirlo  in  breve  non  seria  leieri. 
Questo  de  iustitla  fo  sentieri , 
Prudeute,  forte  fo,  e  temperato, 
E  deir  altre  sorelle  accompagnato 
Onde  redi  fico  suo  bel  venlerl 
Del  Dobile  Hilan,  che  oxl  è  il  mazore, 
Podestà  fo  in  Cremona,  e  in  Piaceosa» 
De  Brescia  capitano  fo  e  rettore, 
Genova  podestò,  e  sua  potenxa 
Compagno  fo  del  milanes  signore, 
E  consiglier  compiacque  a  sua  clemenza. 
Mille  trecento  con  cinquantadoa 
Correva  de  luio  11  dì  secondo 
Che  el  fé  fine ,  e  nsd  de  questo  mondo. 
Christo  el  riceva  nelle  glorie  sue. 

Il  sig.  Borsetti  mi  comunicò  alcuni  fogli  di  carta  lógori ,  sui  quali 
in  bei  caràtteri  è  scritto  un  prezioso  racconto  sacro  della  passione 
e  morte  del  nostro  Signore,  che  forse  si  cantava  nelle  Chiese. Non 
hanno  alcuna  indicazione  di  tempo,  ma  le  forme  delle  lèttere  e  la 
lingua  lo  farebbero  crédere  del  sècolo  XIV;  ma  Tèssere  sopra 
carta  simile  a  quella  che  s*  incominciò  ad  usare  da  noi  nel  1400 
m* induce  a  créderlo* di  quest'epoca.  Eccolo: 


Chi  voi  odi  del  nost  Signior 
Cum  el  morì  cum  quant  dolor. 
Che  ve  diro  del  comenzament 
Cum  li  Zude  fi  ol  tradiment. 
Nostro  Signor  volei  tradì 
Ma  no  ga  sai  trova  chi. 

Quant  cum  li  dislpoi  Christ  cenava 
Xi  fortement  lu  suspirava: 
Dis  un  de  vo  me  tradirà, 
Puz  a  la  cena  questo  sarà. 

Tug  i  discipoi  a  Christ  guardava, 
E  sant  Zovan  Christ  domandava 


Bfagister  me  diri  a  mi 

Chi  sera  quelu  che  ve  dcrà  tradì. 

Christo  ie  respos  e  tei  diro: 
Quelu  a  chi  ol  pa  e  sporziro, 
E  sant  Zovan  molto  stremi 
In  brazo  a  Christ  stramortì. 

El  so  disi  poi  falsament 
De  sira  fi  lo  tradiment; 
Basand  la  boca  lo  tradì 
Tug  i  discipoi  sen  parti. 

Juda  el  vendè  quel  traditor 
Trenta  dener  ol  so  Signor, 


APPE!fDlCB 


079 


A  modo  de  un  ladro  ai  lo  mena, 
Denanz  ad  Ana  lo  acusa. 

Ana  respos  con  gran  furor. 
Si  Io  Inquirì  per  mal  falor. 
Tosi  a  Galfas  ol  menari 
Che  al  dis  che  a  le  re  di  Zudc. 

Denanz  a  Gayfas  Crist  fo  menad 
E  8i  aspiava  (i)  Cristo  head; 
E  lu  quelo  che  se  fa  re  di  Zude, 
Crist  ie  respos  ni  bo  ni  se. 

E  Crist  ie  dis  xi  humelmcnt 
Per  que  me  def  questo  torment, 
E  ho  semper  parlad  palis 
Beat  color  che  me  averà  intis. 

E  un  de  lor  la  ma  levava 
Una  goltada  si  ye  dava; 
E  Crist  ie  dis  questa  reso 
Per  que  me  def  senza  caso. 

A  una  coIona  ay  lo  ligava 
Tuta  la  nog  ay  lo  frustava, 
Peccad  no  fl  (<)  a  quei  Zude 
Che  lo  sangue  ie  ve  fina  in  di  pe. 

Quant  la  nog  che  al  fo  frusiad 

.  In  la  doma  che  al  fo  menad 
Denanz  a  Piiad,  al  fo  acusad 
Ana  e  Gaifas  gè  la  mandad. 

Piiat  si  dis  a  quey  Zude 
Al  re  Erodes  vo  sii  menari, 
Cum  al  vora  vo  sin  fari 
Caso  (5)  ados  a  lu  noi  trovari. 

E  'I  re  Erodes  a  Cristo  guarda, 
Cum  grand  furor  sì  lo  domanda. 
E  tu  quel  che  se  fa  re  di  Zudc: 
Crist  no  respos  ni  bo  ni  se. 

El  re  Erodes  comanda 
Vestì  lo  daves  de  porpora 
Per  fasen  bef  quei  Zude 
Per  que  a  noi  vois  in  lur  credi. 


Cum  furur  ai  lo  menava, 
Denanz  a  PlIat  ai  lo  acusava, 
Cescadu  crida  e  fa  remor 
Digno  a  le  de  mort  senza  demor. 

Piiat  Zude  sii  fi  frusta 
In  la  doma  sii  fl  mena, 
Caso  no  so  trova  a  quest  doctor, 
Toli  baraban  che  le  malfaclor. 

E  lu  comenza  a  cridà 
Che  Cristo  faza  crucifica. 
Se  tu  noi  fé  justisia 
Denanz  a  Cesar  tam  acusa. 

Respos  Piiat,  i  ma  men  laf  (4) 
De  che  ol  voli  re  siel  dad, 
A  dos  ye  rais  una  eros 
Per  dai  torment  più  angustios. 

E  azi  ol  fasi  va  quel  Signor 
In  terra  spes  per  fai  desnor 
E  per  me  la  faccia  ye  spudava 
E  de  spi  pongentl  1  incoronava. 

E  su  la  eros  ay  lo  drizava 
Lì  ma  e  y  pe  che  ay  linchiodava; 
De  grandi  dolori  che  al  senti. 
Poco  fo  de  me  che  a  noi  morì. 

E  Jesu  Cristo  cridava  fori 
Per  li  grandi  peni  de  la  mort, 
E  per  li  peni  ch^el  portava 
E  molta  zent  lu  si  salvava. 

E  Jesu  Cristo  sì  el  angustios, 
Sid  ho  (tt),  dis  in  plana  vos^ 
Ased  e  fel  ie  de  1  Zude, 
Bla  to  non  vois  ol  fiol  de  De. 

Ay  pe  de  la  eros  1  fo  xì  grandi  plur, 
Non  ne  al  mondo  cor  cosi  dur. 
Che  no  planzis  amarament 
0  Zant  Crist  fa  gran  lamcnt. 

Sancla  Maria  pris  a  dì  : 
0  fiol  me  tum  fé  mori 


(1)  E  così  interrogava.  11  vrrko  spiar  \ìer  chiedere  trovati  ancora  iu  alcani  dialeUi  (»e- 
(lemontani. 

(2)  Non  mosse  a  comjNissione.  Peccato  per  compassione  è  usato  gencralmeata  nei  dialetti 
lomhardi  e  vèneti. 

(3)  Caso  per  colpa  ;  quasi  dicesse:  Cagione  di  condanna. 

(4)  Me  ne  lavo  le  roani. 

(5)  Ho  sete. 


680 


APPK5ID1CI 


Quant  a  te  guardi  fiol  me  bel 
01  cor  me  passa  d^un  cortei, 

0  fiol  me  quc  doyc  fa  (i) 
Più  In  questo  mondo  no  voyc  sta 
Quando  tu  nassis  a  malegre 
No  vegc  ben  lo  dolor  me. 

0  santo  Zoan  dilcclo  me 
De  la  facla  del  floi  me 
Sanguancnta  fina  In  di  pe 
Se  al  fo  mai  dolor  al  me. 

0  dolor  grand  tu  me  fé  morì 
L'anima  mia  tu  la  fé  parli. 
Signor  Zude  fidnenpiatad 
Dol  fiol  me  tanto  formentad. 

0  erbor  formad  en  eros 
Al  me  fiol  così  dolz 
No  le  da  tormenti  cossi  angustio» 
Ay  member  cossi  doloros. 

E  pò  se  Tolse  a  san  Zovan 
Che  stava  li  dolent  e  gram, 
E  pò  le  dis,  0  Zoan  me 
Da  mi  se  part  ol  spirito  me; 

E  pò  se  volsive  a  le  Marie 
Che  planziva  tutl  tre 
E  dis  seror  que  doye  fa  * 
Ch'el  cor  me  se  fent. 

Marce  te  (2)  gram  floI  me  car 
Zoan  e  mi  que  demo  far 
Credlva  avi  de  ti  confort, 
Per  ti  fiol  voref  ia  mori. 

0  fiol  me  de  pietad 

Asse  di  to  fa  abandonad 
Sola  romagnio  dolzo  fiol 
Zoan  e  mi  stam  in  gran  dol. 

Pariom  fiol  me  che  ten  preghi 
XI  cum  la  glaza  mi  dclegul  (s) 
Spesso  le  guardi  curo  gran  dol 
£  de  sangue  fiol  e  ol  to  color. 

Tu  me  lassas  cosi  furilina 
Per  tua  madcr  e  per  ancilla 
E  te  nudrlghc  cum  gran  delect 
Quei  may  Zude  te  ma  tolet. 


Sie  vo  gram  signior  Zude, 
Rendim  a  mi  ol  fiol  me. 
Credi  m  a  mi  la  veri  (ad 
Che  a  le  Si^nur  del  regnio  bead. 

E  pò  reguarda  ol  so  fiol, 

0  lufl  del  mondo  de  te  me  dol 
Quant  a  (e  vego  xi  stradiortìd 
De  grani  dolor  noy  pu  morir, 

Po  dis  o  dolzo  fiol  me 
No  me  lassa  viver  de  dre. 
Consola  mi  e  li  seror 
E  la  Mandalena  che  ha  dolor. 

E  Jesu  Cristo  ie  respos, 
Femina,  ic  dis  in  plana  vos, 
£  le  do  Zoan  per  to  car  fiol 
Che  te  go  no  posso  star  cum  e  sol. 

E  tu  Zoan  la  di  guarda 
E  per  mader  la  di  ama. 
Cristo  guardanti  firmament 
Clumel  so  pader  de  present. 

0  pader  me  e  le  recomandi 

01  spirito  me  che  te  Io  mandi: 
Abassa  li  ogÌ  e  st remorti 

'L'anima  illora  se  parti. 

Longino  ebreo  no  demorava 
Cum  una  lanza  l'impiagava. 
Donde  sangue  e  aqua  si  ne  insì, 
La  luna  el  sol  si  fa  scuri. 

Quant  a  la  vid  ol  so  car  fiol 
Che  era  mori  a  xl  grant  dol 
Caziva  in  terra  strangossava 
Per  che  ol  fiol  la  abandonava. 

E  illora  fo  plang  angustios 
Da  li  do  parti  de  la  eros 
La  mader  crlda  0  floi  me 
Cum  gran  dolzor  e  taleve. 

0  fiol  me,  le  vegc  sta 
Su  la  eros  xi  rcpossa 
Che  tu  no  senti  za  più  di 
Che  romagni  cum  grand  dolor. 

Più  se  turba  el  mar  el  vent 
E  li  stelli  del  firmament 


(1)  Cba^dcgg'io  fare? 

(3)  Tua  mercè. 

(^)  Coti  comt  il  ghiaccio  io  dileguo. 


E  i  morg  insi  de  li  molimeng 
Qiiant  ai  odi  xi  gra  toriueng. 

E  li  planziva  forlament,  \ 

La  Mandalcnr»  verameiil , 
E  li  Marie  planz  e  plura 
La  vlrgina  sancla  e  pura. 

O  zcnto  giiardod  ol  me  fluì 

Se  al  mondo  fo  ma  dolor  iii  del 
Guardo  cum  i  sia  i  ma  e  i  pu 
E  '1  lad  circ  fcrid  do!  fiol  me. 

Quel  che  fo  saiiclilicad, 
Del  Spirito  Saiicto  fo  annunciad 
In  dol  me  corp  ciim  gra  dolzor, 
Ma  non  perdi  la  sua  fior. 

O  Gabriel  tu  ma  saludas. 

3Iader  de  Crislo  tu  me  giames 
Tu  me  benodis  ol  frulo  me, 
Tolet  me  Ta  i  fui  Zude. 

L'angel  rcspos,  tu  salvare 
Mader  de  Crjjjto  chi  tu  %'orc 
Al  terzo  dì  le  aparirà 
Quel  che  tug  ne  salvarà. 

E  san  Josep  e  Mcode 

Tols  zo  de  la  eros  ol  fiol  de  De, 
Quand  zos  de  la  eros  fo  deponud 
I  iiuol  die  al  fo  che  a  tera  nud. 

Al  moliment  Cristo  fo  pnrtad. 
Li  Marie  dred  ie  vu  plurant, 
Dred  i  va  Sane  tu  y.nvÌA 
Che  soslenis  no  se  podia. 

Lo  secondo  dì  che  Crislo  morì 
La  Mandalona  sii  qneri; 
Cum  onguent  precios 
Da  onzes  Crislo  glorio^. 


4-' 


V  '^ 


fi8S 


*• 

E  H  *i  tPi  .. 

01  corp  Uè  tri.'..,'  J..  ' 
E  elio  si  \^  ,t^,^*'  'j; 
TorneU  iiidred.  ii^^,' 

Ch«  al  sia  fori  e  li.  .J..;'"  "- 

Che  in  Galilea  aparirà 

Al  dì  de  Pasqua  eh'  \\  n^  ^ 
Alegramcnt  indred  torna    '* 
La  Mandaiena  si  lo  guarda 

E  si  era  uno  orto  iU6  a  pe 
E  Jesu  Crislo  dentro  si  andè 
La  Alandalena  si  lo  guarda 
E  si  yc  dis,  0  ortolà 

S*avre*ttu  novella  del  meyster  me; 
^o  me  locha  zo,  dis  a  lo 
Guardei  al  vis  sii  cognove 
£1  dolzo  Cristo  si  tol  da  pe. 

Indred  torna  cum  grang  dolor 
Illora  dis  a  li  seror 
Lo  vezud  ol  me  Signior 
S'il  vols  tocha  cum  grand  amor. 

Chi  voi  ser\i  a  Jesu  Crist 
Di  so  peccad  sia  ben  contrit 
Prcnza  Libilo  de  la  caritad 
La  eros  vermeya  el  campo  bianeh. 
Amen. 


Il  dottissimo  Barnaba  Vncrino  ncll' òpera  Gli  scrittori  di  H èrga- 
mOj  Bergamo,  Antoinc,  1788,  nioslrn  che  Giovanni  Brcssano  nalo 
in  Bergamo  nell'iUO,  compose  intorno  n  setlantnmila  pezzi  poètici, 
parie  Ialini,  parie  italiani,  parie  bi^rgamnsclii,  che  in  grande  parte 
andarono  dispersi,  ed  ulonni  vennero  pnblicnti  a  Brescia  sotto  il 
titolo  di  Tumuli  da  voi  citati,  nitri  sì  unirono  in  un  libro  mano- 
scritto, che  ai  tempi  del  Vaerìno  era  posseduto  dal  conte  Marco 
Bressani,  disrendcnle  dello  scrittore,  e  che  ora  e  serbato  nelln  pii- 
blica  biblioteca  di  Boriiamo.  In  questo  vennero  trascritte  eziandio  com- 
posizioncclle  bergamasche  di  Pietro  vSpino  e  di  Fra  Benedetto  CoUconi 


683  APPumci 

degli  Umiliati,  il  quale  aggiùnsevi  anche  dae  sonetti  in.  lingua  no- 
varese»  che  farò  seguire  a  queste  notizie.  Dice  il  Vaerino  che  a*  suoi 
tempi  «  fra  le  scritture  bergamasche  si  ricordavano  la  traduzione 
della  novella  0.%  giornata  i.*,  del  Boccaccio ,  fatta  da  Salviati,  e  la 
traduzione  delle  Metamòrfosi  d*  Ovidio  per  D.  Colombano  Brescia- 
nini  Benedettino,  e  nella  biblioteca  di  Bergamo  si  conserva  un  ma- 
noscritto col  titolo:  nime  di  Giulio  Quinziano^  90tio  il  nome  di 
Tonello  9  bergamasche  e  bresciane  e  misticalCf  che  sembrano  della 
fine  del  secolo  XVI. 

Questa  canzone  del  Bressano,  fra  le  manoscritte,  è  importante 
anche  per  pittura  di  costumi. 

Per  le  noxxe  di  Francesco  Jgosto  e  Margarita  PesH. 

Non  com  più  voja  aspecia  ol  di  'natal 

E  la  vendumia  i  pug,  e  per  nò  'oda 

A  scola,  e  per  avi  sover  chef  zal 

L^octava  d' Pasqua,  gne  colui  chi  s'ba 

Promelut  e  dig  si  per  matrimoni 

Al  tep  cbe  d'gras  no  mangia  1  bo  critchià. 

Gne  com  tal  desideri  Sant'Antoni 

Per  vend  beligog,  pom  ,  caslcgni  pesti 

Da  Pollranga  e  Surisel  specia  !  doni,  (i) 

Gne  ai  desidra  ch^as  faghl  di  festi 

I  Madoni  pomposi  e  balarini, 

Per  baia  e  per  mozà  i  su  zoil  e  vestì , 

Gne  più  specia  quel  di  'indasmeti  i  spini 

Sui  vasei,  ch'alor  dia  da  scud  i  f\i 

Olirà  i  daner,  capò,  anadròg,  galini. 

Insomma  più  ca  i  oxepi  cho  scrig 

Chal  pasi  carnaval ,  ol  bel  Ronzi 

Desidra,  e  quest'ai  l'ha  più  %'olti  dig, 

Per  podi,  com'el  fava  a  sbaraii, 

Zuga  con  quest'e  quel,  ma  spccialment 

Con  quel  so  concorrent  ches  clama  0pi, 

Per  que  za  più  d'u  mis  fc  'n  sagramct 

De  no  zoga  fi  cMia  noi  fos  passai 

01  dì  chi  fa  tal  matezà  la  zet- 
Es  dis  de  am  faghi  romagni  stropiat 

Sa  zugi  Dna,  me  e  stag  in  cervel 

E  (Ina  'ncù,  sebc  le  stag  cinzet. 

(1)  Anche  oggidì  nel   giorno  di  S.  Antonio  le  donne  di  Sorisole  •  di   PooUraDka   f^* 
fpao  a  Bergamo  ■  vrndrre  rattagnt  secche  e  pomi. 


APPUDICI  C88 

A  le  be  vir  eh*  al  gben  va  io  ^1  budel 

Quand  al  te  met  vergo  a  ioga,  e  cbe  In 

No  pò  a  80  mud  manezà  quel  osdel  (i), 

E  quel  dì  ch^  e  pasat  a  u  per  u 

E  ch^a  da  gol  tati  setmani  ac  par, 

Dapo  cb^a  quel  seonxor  as  laghe  fndu 

E  stag  al  ga  pò  es  no  pog  de  car 

Cb'al  babi  babut  da  piadeza  col  zogu» 

Cbe  a  tus  rincres,  gne  stag  u  bo  repar, 

E  se  diraf  coi  uliscbi  d' pom  codogn 

0  i  brugna,  figa,  dag  u  bo  cavai 

E  fai  plani  tat  eh'  al  gnis  zo  M  mlzogn , 

S'al  sa  metis  ma  più  sto  pis  ai  spai 

Ixi  ac  d' ioter  come  ac  ne  pareg 

ChMs  uncia  quand  ai  perd  pu  tri  marebeg. 

Questa  è  del  Quinzaoo. 

Olem,  sales,  castagn,  alberi,  nos 

Li  rover  coi  onis,  opoi  e  spi, 

SI  comMe  de  quest*tep  qui  fura  zos 

Cbe  sui  so  ram  noe  cata  più  oselì. 
Ixi  sto  mi  per  queste  vai  ascos 

Dal  me  sol  lonz  ojde  cbem  fa  morì , 

Ma  s'ha  da  vegn  quel  oter  ombrios 

Per  que  cum  quei  n^bol  mi  da  reverdì? 
Ch''el  me  bel  sol,  de  quel  cblar  nom  vestut 

Cbe  fassa  el  rossol  d^  uf  prima  del  gus 

Et  ai  maleg  refresca  le  l>ais  (s). 
Sto  mes  che  ve  Tharà.  In  so  virtut 

Em  rivarà  j  so  raz  fina  sul  us 

E  resseti  em  farà  brocb  e  rais. 
Se  gho  per  ti  crudel  vendug  i  bu , 

EI  car,  el  piò,  li  zapi  col  restei 

L'berpeg,  la  gol,  coi  oter  osanel  (s) 

Che  sdma  nei  bailo  (4)  da  fa  i  fag  su. 
Ho  fat  tut  quest  per  fa  cbe  dai  fag  tu 

Havcs  quel  buo  più  dolz  di  brofadei , 

Ma  The  d'ol  cur  tat  dur  i  picanei 

Ch'o  trat  via  tut  senza  podin  potu. 

(I)  Osdtl  e  osadei  per  utensUio  ael  i5oo  era  comuotineote  aulo  a  Bergamo,  ora  non 
li  lerUa  cbe  nella  lingua  rùstica  suborbana. 

(a)  Bmis  per  fàuci  f  ora  ti  oia  solo  per  quelle  de*pcKÌ. 

(3)  Oumei  per  osadei, 

(4)  Bmiio  per  case. 


tBh  AmRDlCI 

Si  che  po8  tu  li  braghi,  e  fa  u  Michel, 

E  fo  per  i  US  mo  ancia  cerched  dol  k» 

Canled  coi  me  aiglor  quesroracio. 
Amur  m'ha  fat  vedi  quel  giocarci 

Zo  chivi  al  mid  goe  ni  ho  del  resi  serva 

Oter  che  quesl'suglor  che  sciega  buo. 

Questa  poesia  sa  più  del  bresciano  da  Quinznno,  dove  il  nostro 
Giulio  sembra  avere  dimorato.  Prettamente  bergamasca  antica  ap- 
pare invece  la  frottola  seguente  di  Fra  Benedetto  Golleoni  che  pare 
scritta  intorno  il  1600. 

U  de  ste  dì  ali'  hostaria  zc  u  babió 

A  Putsanpeder,  pos  bora  d' compieta, 

A  Phoslera  agb  demag  una  polpeta 

E  cog  a  rost  d'u  bis,  u  balatró  (i) 
Cum  dag  intend  ch'ai  era  u  laciét  bo: 

LvL  mangiè  tut,  e  la  nog  sol  a  pietà 

01  vetr  agh  brontolava,  gne  trop  neta 

La  cosa  andèy  gne  sentiva  da  bo. 
Gb'al  vegnMn  rota  col  marit  dM'hostera 

Dighet  ch'ai  g'hiva  dag  quae  ribalda 

Da  mangia,  e  biestemmava  sant'Antoni. 
E  lu  grignct  confesse  com'aPera 

Cum  dì  quesl:  am  la  fag  p6r  bufonà 

E  i  balatró  ch'ai  è  i  lacicg  di  doni. 
E  lu  dis,  am  dcsponi 

D' mostra  a  vostra  mojér  cola  reso 

Ch'ai  è  più  ch'ai  laeieg  dur  i  coió. 

Lo  Stesso  Fra  Benedetto  scrisse  in  lingua  novarese  questi  Sonetti 

Contro  i  medici, 

Ar  san  de  guenglcr  uni  musa  dra  sent, 

Che  fusen  inpichc  zti  procurù 

E  'n  dra  gora  zcané  tug  i  dotù 

Cha  no  sentruva  un  hom  da  ben  in  chient. 
Ai  tran  dra  bonza  i  dnè  a  travimcnt, 

E  s'vuren  i  rie,  i  tezlon  i  zcu, 

Sti  gran  radron,  maria,  sti  bic  morsu 

Fin  cha  noi  masi  tug  no  zon  contenl. 

(1)  BaUlrò  p«r  rnman-o. 


APPENDICI  08  tf 

Ar  è  tri  ago  e  più  cli'o  pfevesava 

Ra  dota  che  perven  a  mia  ceru 

E  più  ella  d'nans  ai  me  r'han  ingarbiav» 
E  t*  m^  han  perà  fu  i  per  a  vun  a  un 

E  tan  ho  spes  or  flà,  cor  e  corava. 

Che  no  crcs  più  d'havè  per  In  dor  cu. 

Racconto  dCuna  lite. 

I  ban  fa  i  remò  in  contrada  d'san  Vichlu 

Histro  dreni  Zchìton  marslagorè 

Gontra  mlstro  Zuan-anger  Teceré 

Ch^al  s'ban  dai  di  peténgb  intra  tul  du, 
E  8' a  nor  gnlva  tozt  or  gob  brentu 

A  intraroesà  ra  strava  dor  pasque 

Criend  artniro,  artnìro,  or  zu  zie  n  dre, 

Zuan-anger  no  portava  a  cà  or  co. 
Ar  rhiva  con  Zctiiton  tant  mar  parava 

Per  quera  ghemba  ch'ar  no  pò  drisà 

Ch^ar  fé  cor  cu  d'pagura  una  fritava. 
E  ra  cason  ch'ai  se  vuren  tant  ma 

Ar  è  ch^ai  fen  chrustiù  sta  zia  passava, 

Dar  temp  che  Ingh  comensa  a  pinchirà. 


//  9oslro  affiesionntiftim^ 

Gabriele  Rosa. 


FINE 


ERRATA 


CORRIGE 


Pag. 

n 
n 
n 

n 


84 

Ivi 

Ivi 

Sto 

ivi 

819 
881 
864 
463 
464 

ivi 

880 


lin.  1  g 

M  8  « 

n  H  X 

99  89  Forl>e8oni 

»  ss  Forbesoni 

99  84  Borgotarese 

n  8  Ramo  Boumhbsb 


M 

n 

M 

n 


i 
i 

i 

Parlesana 
Parlesana 
Frignanese 
Gauppo  Boi.ooaisa 


I  Si  sopprimano  le  parole  Diautti  Romacnou 

48  Forbesoni  Partesana 

I  Forbesoni  Partesana 

4  Forbesoni  Parlesana 

81  orientali  occidentali 


INDICE 


Nota  Preliminare Pag,  ni 

Introduzione n  v 

Prospetto  generale  dei  Dialelli  Gallo-Ilàlici »  xlv 

PARTE  I. 

CAPO    I. 

%  f.  Divisione  e  posizione  dei  dialetti  lombardi n  s 

n  8.  Proprietà  distintive  dei  due  gruppi  occidentale  ed  orientale»*  « 

w  8.  Proprietà  distintive  dei  singoli  dialetti »  7 

fy  4.  Osservazioni  grammaticali  in  generale '»  18 

CAPO   II. 

Versione  delia  Paràbola  del  Figliuol  pròdigo  nei  principali  dialetti 

lombardi n  zz 

Lingua  Italiana n  zs 

Dialetto  Milanese >»  86 

n        Lodlgiano m  87 

n        Comasco w  88 

»        di  Groslo  (f^altellinese) »  se 

»        di  Bormio          »          '>  40 

»         di  Livigno  "  "41 

99        di  Val  Pregaliia  (Cantori  Grigioni-yaltellinesé)    .    .  »  4« 

»        di  Val  Maggia  (Ticinese) »  45 

»        di  Val  Verzasca        »         w  44 

M        di  Val  Leventina      »         n  AZ 

>»        di  Val  dì  Blenio       »          »  46 

>»        di  Locamo               »>         »  47 

»>        d'Inlra  .    (yerbanese) »>  48 

M        di  Borgomancro    n            n  49 

"        Bergamasco »  80 

>9        Cremasco »  81 

»        Cremasco  rùstico »  tts 

99        Bresciano »  88 

»9        di  Valcamònica  (Bresciano  rùstico) »  84 

*9       Cremonese »»  88 


088  juDici 

CAPO  III. 

Saggio  di  Vocabolario  dei  dialetti  lomlMrdi Pag,    »r 

CAPO  IV. 

Cenni  istorici  sulla  letteratura  dei  dialetti  lombardi >»    S9 

Letteratura  dei  dialetti  occidentali .  »»    ti 

f»           dei  dialetti  orientali .     •  >»  !•« 

CAPO  V. 

Saggi  di  letteratura  vernàcola  lombarda •»  ut 

Dialetti  occidentali »   ivi 

Milanese n   Ivi 

Ticinese «»  iir 

Verbancse   .    •    • •    .  m  ut 

Lodigiano «...«IM 

Comasco »  iso 

Dialetti  orientali n  lai 

Bergamasco •»    Ivi 

Cremasco m  lit 

Bresciano «iti 

Cremonese *»  i6t 

CAPO  VI. 

Bibliografia  dei  dialetti  lombardi >»  f7i 

Milanese »    Ivi 

Lodigiano «»  I8i 

Comasco w    ivi 

Ticinese »    ivi 

Verbanese »>     Ivi 

Bergamasco *9  I8S 

Cremasco »  ita 

Bresciano    • »    ivi 

PARTE   II. 

CAPO   I.  • 

J  I.  Divisione  e  posizione  dei  dialetti  emiliani «^  loi 

»  8.  Proprietà  distintive  del  tre  gruppi  Bolognese,  Ferrarese  e  Par- 
migiano   »  !•« 

»*  3.  Proprietà  distintive  dei  sìngoli  dialetti «>  I97 

M  4.  Osservazioni  grammaticali  in  generale »ait 


INDICI  680 

CAPO  II. 

Ycnione  della  Paràbola  del  FigUuol  Pròdigo  nei  principali  dialelti 

emiliani Pag.  iss 

Dialetto  Bolognese n  884 

99        Faentino  {Romagnolo) »>88tf 

*t        Ravennate       »             m  st6 

M        Lughese           n            >t  887 

n         Imolese              *•               n  888 

99        Forlivese          «t             »  8«t 

*»        Riminese          9$             m  8S0 

H        Cervese            »            19  83t 

*»        di  Cattòlica      »>            »  2ss 

"»        Modenese »»  8S3 

»        Reggiano ..••••»  8S« 

99        Frignanese  (di  Sestola) m  8sa 

>»        Ferrarese »  8S6 

»        Comacchiese •»  8S7 

M        Blirandolese •  w  8S8 

»        Mantovano n  t38 

'9        Parmigiano •  *»  tic 

»>        Borgo-Tarese »  841 

»9        Piacentino 99  848 

"        Bobbiese m  84S 

»        Bronese »»  844 

»»        Valenzano »»  84tt 

>»        Pavese »  8  48 

CAPO  111 

Saggio  di  Vocabolario  emiliano »  847 

CAPO    IV. 

Cenni  istorici  sulla  letteratura  dei  dialetti  emiliani m  898 

Gruppo  Bolognese »    ivi 

»        Ferrarese w  sto 

»>        Parmigiano f»  sis 

CAPO   V. 

Saggi  di  letteratura  vernàcola  emiliana •>  sai 

Gruppo  Bolognese >»    ivi 

Boiognese w   Ivi 

Forlivese t»  884 


• 


ft90  INDICE 

Gruppo  Fusignanese  {Dialetto  Bomagnolo) Pag,  set 

Lughese     .                >f             ,  n  S7S 

Uodenese »  87§ 

Reggiano »  sts 

Frignancse n  401 

Gruppo  Ferrarese »  406 

Ferrarese »»    ìyI 

lliraodolese m  4ti 

Mantovano n  4t4 

Gruppo  Parmigiano n  487 

Parmigiano »   iri 

Piacentino »f  4SS 

Pavese »  441 

CAPO   VI. 

Bibliografia  dei  dialetti  emiliani »  4<i 

Bolognese n  Vs\ 

Romagnolo «9  4 ss 

Modenese »   Ivi 

Reggiano n  4as 

Ferrarese f»  ivi 

Mantovano n  4f  4 

Parmigiano »  461 

Piacentino n  466 

Pavese «Ivi 

PARTE   III. 

CAPO   I. 

§  I.  Divisione  e  posizione  dei  dialetti  f)cdemonlani      .     .     .  «9  47i 
§  9.  Proprietà  distintivo  doi  tre  gruppi  Piemontese,  Canavesc 

e  Monferrino n  474 

§  A.  Proprietà  distintive  dei  sìngoli  dialetti k  478 

^  4.  Osservazioni  grammaticali  in  generale •>  49u 

CAPO   11. 

Versione  della  Parabola  del  Figliuòl   pròdigo,   tratta  da  S.  Luca, 

cap.  W,  nei  principali  diale! ti  pedemontani n  So4 

Dialetto  Torinese •>  «05 

9>        Asiigiano  (Piemontese) »  ttoe 

»'         di  Tossano »>  507 

»»        di  Cuneo »  Kot 

V  di  Caraglio  (Valle  della  Stura,  prov.  di  Cuneo)   .     .  »  50S 

V  di  Torre  (Valdese) ?»  5io 


INMCI  SVI 

DlBldlo  di  Lanio Pag.  iii 

»  di  CoriD n  SII 

•<  di  Limone u  bis 

»  di  Vaidieri  (Valle  di  Ce»o,  prov.  di  Cuneo)  .     .     .  >'  ai4 

u  di  Vioadio »  aia 

M  di  CiutelmaBuo  (  Valte  di  Grana,  pruv.  di  Cuneo)  »  Bit 

>>  di  Elva  (Valle  di  Uacra)       „  tu 

»  di  ACCeglio  (Vaile  di  Hacra) n  sie 

»  di  San  Pcyre  (Valle  di  Varàila) »  sia 

d'Onelno  (Valle  di-1  Po) •>  mio 

»  di  Fencslrclie  (Vaile  di  Prageias) »  su 

»  di  Ctagllone  (confine  di  novulcsa) »  ssi 

»  d'Oulx  (Valle  di  Dora  Riparia) »  a» 

»  di  Viù  (Valle  di  Lanzo) n  ttt 

H  d'Us»egl[o  (Valle  di  Lanzo) »  sia 

•>  d'Ivrea  (Cuiiavp^e) .  «  sje 

»  di  Vercelli  (Canaveael n  bit 

»  di  S.  Bernardo  preaso  hrca  (Cunavesc) »  sib 

»  di  Pavone  (Canavese) n  sa» 

»  di  Vlslrorio  (Canavese) i>  830 

»  di  Caluso  (Canave^e) >>  su 

•>  di  Strambino  (Canavcsc)       n  si* 

»  di  S,  Giorgio  (Canavese) «  sss 

»  di  Caslcllaaiontc  (Canavcse) •>  si4 

••  di  Talpcrgn    Canavese) »  ssb 

»  di  Poni,  AlpcUc  e  Frassinello »  use 

»  di  Locana  (Canaveae) »  B3T 

»  di  Sparane  (Canavese) „  m 

'<  dcilH  Valle  di  Soana  (Ingria,  Ronco,  Vatpralo  e  Cam- 

piSliu)        „S39 

•t  di  Ririla  (Canavese) „  S4U 

■'  di  Caravino  (Canavese) „  B^i 

»  di  Aiogtio  (Canavese) ■>  s«a 

»  di  Bo^omaslno  (Canavese) „  k^j 

"  di  Drusarco  (Canavese) »  s-i* 

"  di  Rueglio  (Ciinavese) „  jm 

"  della  Viilic  [l'Andorno  (Canavese) »  s^s 

»  di  Setlinio  Viilonc  (Cnnavesc) a  t*7 

'•  Ales<ianclrinn  {lUonlcrrlnu) u  B*a 

"  di  CaMcItazzo  Gumondio  (Monferrino) b  B4B 

"  di  Caslctnuovo  Bòrmida  (Montcrrinn) nato 

»  di  BislagDo  (llonfcrriiio) »  bbi 

••  d'AHia  (Monfcrriiio) „  sai 

"  di  Jlundovi „  .., 


*        4. 


603  INDICI 


> 


Dialetto  del  Cairo  (Mouferrioo) Pa^r.  st« 

t>        di  tìarcssio  (Provincia  di  Mondovi) j»  ssi 

M        d'Omiea  (Provincia  di  Mondovi) m#M 

CAPO  III.  *: 

Saggio  di  Vocabolario  pedemontano »  «gy 

CAPO    IV. 

Cenni  Istorici  sulla  letteratura  dei  dialetti  pedemontani      .     .     .  m  B78 

CAPO    V. 

gaggi  di  letteratura  vernàcola  pedemontana n  b9i 

Gruppo  Piemontese t»    ivi 

di  Cliieri »    Iv 

Saluzzesc n  «00 

PioiRoiifcse  rùstico .  ■*  §0i 

Torhìesc »»    UV 

di  Suluzzo  e  d^EIva •»  ••? 

Torinese n  eot 

Astigiano »  83< 

Astigiano  rùstico n  osa 

di  Poirino k  63« 

Gruppo  Canavese n  «io 

Vorrellese »>    ivi 

Brozzi'sc »  841 

Gruppo  Monferrino »  ew 

Alessandrino       »  014 

d'ACipii K  64t 

di  Mondovi 9f  e4t 

CAPO   VI. 

Blbliografla  dei  dialetti  pedemontani n  osi 

Gruppo  Piemontese n    Ivi 

Appendice  alle   precedenti  bibliografie  dei    dialetti  Lombardi  ed 

Emiliuni n  901 

Dialetti  Lombardi »    ivi 

Milanese       »>    ivi 

Dergamasco »  B63 

Bresciano »  067 

Dialetti  Emiliani *!  668 

Bolognese «    Ivi 

Pavese "  e6f 

AproDicE.  Lettera  di  Gabriele  Rosa »  ii70 


;.    1 


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I 


4. 

,1 


I