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600069621 W
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SAGGIO
SUI
DIALETTI G4LL0-IT4LIGI
DI
B. BIOINDELLI
MILÀINO
PHESSO MCS. BERNARDOM Di (;I0.
1853
J^J, ^. /.
I dialdli rlmàogoDO ùuica neiDoria di quella prisra Europa , cbc non rbbr
istoria • Don laKiò nonunienli.
% .0»- X
IWOTA FHtSEéiMilVAHMS
La redazione e la stampa delVOpera che diamo alla
luce ebbe incominciamento da alcuni anni^ e ne fu pro^
messa molto prima la publicazione. Se non che la som-
ma difficoltà di compiere la collezione dei matenali^
màssime di quelli che spettano a dialetti lontani e sinora
meno avvertiti^ accresciuta dalle disastrose vicende po-
lìtiche che sospèsero il corso così delle investigazioni j
come della stampa j ritardarono eziandio V adempimento
della fatta promessa.
Frattanto alcuni Scritti vennero in lucCj dei quali
notàvasi la lacuna ^ o si annunziava la prossima publi-
cazione nel corso del presente Saggio. Tali sono: il Vo-
cabolario doi Dialetti Comensi dclVahate Pietro Monti^
il Vocabolario Cremonese del professore Angelo Peri _.
ed il Vocabolario Cremasco del professore Bonifacio Sa-
mnranij opere tutte frutto di lunga lena e di coscien-
ziose ricerche, le quali, se non raggifmgono compiuta-
infante il nòbile scopo mi sono dirette, racchiudono ciò
ri i^/r^^mo arra %o% ciiiia c*it al^a^^ rLl:%^^ f d^
futuri progrem di taU ftmdii prt^f^ di kct
alla lar^ma dei mtixmci tr^ni biblk>-i^^'^ . ^hi^ìnamo
tìfma per la omnmimtme di al funi aìtri f>rr\:u ternàeoli
éi mme^ emUo. ehéf vemurro pMblieafi nfì ^^rfc defila
pretentéf tdizmme.
INTRODUZIONE.
Pochi anni sono publicavamo nel Politècnico al-
cuni cànoni fondamentali per lo studio comparativa
delle lingue in generale (0, ed alcune Osservazioni
suir italiana favella in particolare (*), nelle quali ac-
cennavamo air importanza dei dialetti nella ricerca delle
orìgini, cosi delle lingue, come delle nazioni che le
parlano. Siccome gli studj da noi a tal uopo instituiti
sugli itàlici dialetti, e dei quali porgiamo un brano
nel presente Saggio, sono appunto fondati su quei
canoni per modo, che si possono considerare come ap-
plicazioni speciali dei medésimi, cosi reputiamo cosa
ùtile , se non necessaria , il preméttere riassunto in po-
che pàgine quanto venivamo più diffusamente espo-
nendo in quelle due separate Memorie.
(i) Vedi il Politècnico, repertorio mensile di studj applicati alla pro^
«perità e coltura sociale. Voi. II, pag. 161-184. Milano^ 1839.
(t) Ivi. Voi. Ili, pag. IS5-141.
TI INTRODUZIONE.
I.
Dappoiché lo studio comparativo delle lingue venne
generalmente riconosciuto qual mezzo eflìcace e sus-
sidiario deir istoria nella ricerca delle origini e dei rap-
porti delle nazioni, i linguisti procedettero nelle loro
speculazioni per due vie diverse, mentre alcuni prè-
sero a principal fondamento il vocabolario , come rap-
presentante la materia , altri invece preferirono la gram-
màtica, come rappresentante la forma delle lingue.
LMnsufficicnza di ciascuno di questi mezzi preso iso-
latamente, per la soluzione di qualsiasi problema lin-
guìstico, venne abbastanza dimostrato dalla dissonanza
delle rispettive loro induzioni. Infatti è a tutti palese,
oome la simiglianza lessicale di due lingue possa di-
pèndere, o dalla comunanza d^ origine, sia che der^r
vino da un ceppo comune , sia che V una proceda dal-
r altra, o dallMnfluenza che un pòpolo esercitò suir al-
tro , sia con diretto dominio , sia per iscambièvolc
commercio, sia finalmente per mezzo della letteratu-
ra , che più sviluppata e più ricca nelF una lingua ,
lasciò impresse alcune traccie nelF altra. Talvolta an-
cora il vocabolario d^ una lingua rassimiglia in parti
eguali o diseguali a quelli di due o tre lingue di fa-
miglia e natura discordi, senza che Feguaglianza o la
dìseguaglianza delle parti condur possa ad induzioni
certe e fondate; come avvenne appunto nella Gran-
Brettagna. Troviamo colà una lingua, il cui lèssico in
parti diseguali ha manifesta parentela col cèltico, col
sàssone e col latino. Se l'istoria non ci avesse edotti,
che i primi abitanti di quell'isola erano Celti, soggio-
gati nel VI sècolo da alcune tribù germàniche ^ le quali
INTRODUZIONE. VII
alla loro volta soggiacquero neìV XI alla conquista dei
Normanni già lungamente stanziati nelle Gallie fra pò-
poli anticamente conquistati dai Romani, come potrebbe
il linguista, col solo soccorso del lèssico, sciògliere il
problema di quel miscuglio d^ elementi disparati, e di-
stìnguere fra i varj che compóngono la lingua inglese
r idioma primitivo di quelle tribù ? Ora simili miscella-
nee sono appunto avvenute più volte sul nostro globo ,
senza che la storia ne serbasse reminiscenza. Il mondo
è antico; innumerevoli pòpoli lo percórsero più volte
in ogni direzione, e poi scomparvero; Pavidità di do-
minio accozzò insieme più volte le più disparate nie
zioni ; più volte si confusero i vincitori coi vinti , e T i-
storia , troppo gióvane per isquarciare T impenetràbile
velo dei sècoli, ci addita troppo vicino il tèrmine, oltre
il quale non può spaziare il nostro sguardo!
Senza mendicarne gli esempj nelF America, nelFA-
frìca o nelFÀrcipèlago indiano , ce ne porge abbastanza
la nostra Europa nelle nazioni cèltiche, nelle valacche,
nelle albanesi ed in quelle persino che coltivano la pe-
nìsola itàlica.
A provare T insufficienza del sistema grammaticale
abbiamo sott^ occhio le moderne lingue dette latine,
appunto perchè derivate principalmente dalla lingua del
Lazio; ma se poniamo a riscontro le rispettive gram-
màtiche, vi scopriamo le più radicali differenze. L^uso
deir artìcolo a tutte comune ed ignoto alla latina, la
mancanza del nèutro , la sostituzione delle preposizioni
alle flessioni, la combinazione dei verbi ausiliari coi
participi d^ altri verbi per la formazione delle voci pas-
sive e delle passate attive, che mancano in tutte le de-
rivate, ed altretali varietà, costituiscono la più radi-
vili IKTRODUZIONE.
cale dissonanza tra la grammàtica latina e quella delle
sue derivate. Arroge T enorme differenza della sintassi
derivata dal vario reggimento delle parti del discorso,
differenza molto importante pel linguista, giacche il
diverso ordine delle parti nel discorso importa niente
meno che una diversa successione d^ idee nella filiazione
dei concetti, e quindi vario il principio lògico ed il
processo intellettuale. La medésima osservazione po-
tremmo estèndere a tutte le moderne lingue d^Europa,
le quali sostituirono il processo analìtico al sintètico,
distintivo degli antichi idiomi dai quali derivarono;
ond^è manifesto, quanto erronea sarebbe un^ induzione
dedotta dal sémplice confronto grammaticale.
Né intendiamo con ciò eliminare dallo studio com-
parativo delle lingue i due mezzi che ne sono prin-
cipal fondamento; ma bensì mostrare la necessità, che
questi insieme combinati procèdano di pari passo, e di
più concordino con altri elementi atti a contrasegnare
la natura delle varie lingue. Infatti , se V affinità les-
sicale di due lingue manifesta probàbile comunanza di
rapporti fra le nazioni che le parlano, non vMia dubio
che, aggiungendovi V affinità grammaticale, questa pro-
babilità diverrà certezza ; onde avremo una forte pre-
sunzione per amméttere eziandìo la loro comunanza
dWigine; mentre air opposto la sola simìglianza lessicale
trar due lingue essenzialmente discordi nella gramma-
ticale struttura , provando la diversa orìgine rispettiva,
accuserà nelFuna e nelF altra T influenza di due lingue
diverse, delle quali una dev^ èssere stata la prima.
Esaminando questo fatto presso le nazioni delle quali
ci sono palesi le istòriche vicende , osserviamo general-
mente , che quando una nazione fu condutla dalla forza
INTRODUZIONE. IX
degli avvenimenti ad adottare la lingua d^ un^ altra, per
una recòndita legge naturale, adattò più o meno il nuovo
lèssico alle forme della lingua nativa , il che vuol dire :
che una nazione può colla influenza sua sospingere fino
ad un certo punto un' altra a cangiare i nomi mate--
ria li delle cose; ma non a dare nuova forma e nuovo
órdine al pensiero.
Di questo fondamentale principio abbiamo irrefra-
gàbili testimonianze nelle tante nazioni slave germa-
nizzate lungo le rive del Baltico, e persino in tutte le
moderne lingue latine, sopra tutto nella francese e nelk
valacca, le quali serbano le più distinte affinità gram^
maticali colle lingue che le precedettero prima ancora
della romana invasione ; e quindi emerge spontaneo
un cànone importante per la linguìstica, che cioè, ogni"
qualvolta il lèssico e la grammàtica d^un dialetto
appartengono a due idiomi disparati , la grammà-
tica indicherà i rapporti naturali ^ ed il lèssico i for-
tuiti y della nazione che lo parla j con quelle^ alle quali
gli idiomi affini appartengono.
Di qui emerge altresì evidente la causa della molté-
plice varietà dc^ nostri dialetti, la quale consiste ap-
punto nelle disparate orìgini delle nazioni che li par-
lano. Quante radicali discrepanze non serbano essi dopo
tanti sècoli scambievolmente tra loro , e quindi ancora
colla lingua scritta I Di fatti V italiano letterale fu pri-
mamente uno di questi tanti dialetti, che, a poco a poco
prevalendo come intèrprete comune di tutti i pòpoli
d^talia, dovette partecipare deir ìndole e del vocabo-
lario di tutti i rispettivi loro diaielli, e accògliere ele-
menti divaria natura. Tanto è vero che, per parlare e
scrìvere italianamente, dobbiamo imparare questa no-
X INTRODUZIONE.
stra lingua con lunghi e laboriosi studj , poco meno che
se apprendessimo la latina o la francese ; e a malgrado
deir affinità sua coi nostri dialetti, e del continuo lèg-
gere , scrìvere e parlare V italiano , ben pochi giùngono
a trattarlo come conviensi, e grandi e frequenti sono le
difficolta che incontriamo, ogniqualvolta vogliamo e-
sporre con chiarezza e proprietà le nostre idee , poicliè
veramente dobbiamo tradurre il nostro dialetto in altra
lingua y vale a dire , rappresentare sotto diversa forma i
nostri pensieri. Perciò appunto , ancora oggidì in Pie-
monte, ove Tuso d^ istruire la gioventù nella lingua
francese , anziché nelF italiana , prevale in alcune classi ,
trovasi di sovente chi agevolmente esprime in lìngua
firancese ciò che non saprebbe fare italianamente , seb-
bene parli un itàlico dialetto. E non ha guari, che in
molte Provincie d^ Italia, ove lo studio della lingua latina
era materia principale e quasi esclusiva dell^ insegna-
mento, restando negletto quello deir italiana, trovàvansi
sovente scrittori, che più facilmente e con maggiore
proprietà esprimevano in latine forme i loro pensieri,
che non italianamente. Senza più, qual v^ha sconcio più
mostruoso e ridìcolo , che il sentire un uomo illetterato
dei nostri paesi a parlare F italiana favella?
Ora questa medesima osservazione , essendo applicà-
bile del pari a presso che tutte le nazioni incivilite, ci
porge un importante corollario, ed è: che assai male
8* appone colui , il quale , intento a classificare una na-
zione , si fonda sulla lingua scritta della medesima; poi-
ché, essendo questa per lo più convenzionale, e risul-
tando dalla riunione di più dialetti, può differire es-
senzialmente dalla lingua parlata; o, ciò che vale io
stesso, per pronunciare sulV orìgine e sui rapporti
INTRODUZIONE. XI
dei POTI pòpoliy è necessario studiare partitamente i
laro dialettiy e non la lingua àulica loro comune.
Gli altri elementi da noi enunciati, che necessaria-
mente concórrono colla grammàtica e col vocabolario
a determinare V indole peculiare di ciascuna lingua ,
sono due , cioè : la serie de^ suoni costituenti la pronun-
cia d^ogni popolazione, ciò che noi abbiamo altrove
designato col nome di sistema sonoro, o fonètico, e la
filiazione dei concetti desunta dal modo di esprìmerli
proprio d' ogni nazione , ciò che abbiamo denominato
sistema concettuale o grecamente ideotòmico. A questi
due elementi, che sopra tutto costituiscono la fisiologìa
e la filosofia delle lingue , ci sembra doversi dare la pre-
ferenxsL nelle linguistiche ricerche.
Quanto al sistema sonoro: decomponendo le voci
d^un diiiletto nei loro elementi, è certo che si avrà
una serie più o meno lunga di suoni sémplici, dalla
coi varia combinazione deriva appunto la sua partico-
lare pronuncia. Se, disposte in egual órdine le serie
dei suoni proprj di molti dialetti, le confrontiamo tra
loro, osserviamo generalmente, anche in dialetti affini
d'una medesima lingua, un maggiore o minor nù-
mero di radicali dissonanze , mentre ogni serie possiede
qualche suono distintivo mancante nelle altre. Da que-
sta radicale dissonanza degli elementi appunto derivano
le tante varietà di pronuncia tra le nazioni. Progre-
dendo neir osservazione , veggiamo ancora che que-
sta diversità di pronuncia si mantiene costante nelle
nazioni, non solo attraverso una lunga serie di secoli,
ma in onta al più frequente commercio , ed agli sforzi
fatti per annientarla. Rasles, che soggiornò dieci anni
tra gli Abenàchcri, dolèvasi di non saper pronunciare
XII IIO'RODUZlO^ìE.
la meta dei suoni proprj della lor lingua; Chaumont,
dopo cinquantanni di commercio cogli Huroni, non
sapeva esprìmere la varietà dei loro accenti; ma questi
sono fatti individuali; ne abbiamo esempj ben più^
nerali e convincenti. Oual più avito e più frequente
Gonunercio, che quello del cittadino milanese colFabi-
tante de^suoi vicini contadi? E pure, non sì tosto apre
questi la bocca sul pùblico mercato, che è noto se traesse
i natali sulla collina o sul piano.
Questa tenacità d^ogni sìngola nazione nel conser-
vare la rispettiva pronuncia dèvesi attribuire sopra tutto
alla costituzione degli òrgani destinati alla formazione
ed articolazione dei suoni, i quali òrgani, educati sin
dair infanzia a quelle determinate flessioni, divengono
col tempo inetti a funzioni diverse. Né giova opporre
che, gettando un bambino d^una nazione nel mezzo
d^un^ altra di vario stìpite, questi, sviluppandosi, as-
sume la pronuncia che gli viene insegnata, senza
manifestare traccia di quella della nazione propria; poi-
ché una simile obiezione , lungi dalF affievolire il no-
stro principio, giova anzi ad avvalorarlo, mostrando
la prevalente influenza dclF educazione. Ora i bambini
imparano sempre a proferire i primi accenti dalle ma-
dri, che sono le più tenaci nel serbare i suoni nazio-
nali, e perciò quand'anche una nazione vengaacan--
giare il proprio dialettOy eonsefva sempre qualche di-
stintilo della nativa pronuncia.
Questo cànone ci spiega per qual ragione le tante
cèltiche tribù, sostituendo la latina alla propria favella,
serbarono fino ai dì nostri i proprj suoni, attraverso
tanti secoli , e in onta alle successive invasioni di tanti
pòpoli d^ altre stirpi. Perciò i pòpoli ibèrici, rinun-
INTRODUZIONE. XIII
riandò ai loro primitivi dialetti, impressero nelle voci
latine quei suoni aspirati e gutturali ^ che eredità-
rono dai loro maggiori (0; e perciò quando la lingua
germànica venne parlata dalle nazioni vènedc setten-
trionali, vi depose la naturale sua asprezza. Dalle quali
considerazioni ci sembra dimostrato, che F anàlisi del
sistema sonoro delle lingue è utilissima e necessaria
guida al linguista, giacché, se una nazione potesse as-
sùmere la lingua d'un^allra, senza alterarne la yram-
màlica y né il vocabolario y il solo esame della pronun-
eia basterebbe a svelarne l'orìgine diversa.
Parlando de^ suoni, non possiamo ommèttere d^ ac-
cennare air imperfezione de^ mezzi usati sinora per rap-
presentarli. Tutte le lingue d^Curopa , tranne le poche
situale neir orientale suo lembo, vengono scritte cogli
scarsi e mal determinati segni delF alfabeto latino , la
nii manifesta insufficienza diede luogo alle più arbitrarie
ed assurde combinazioni. Il medesimo segno, e la stessa
combinazione di segni rappresentano dieci suoni diffe-
renti in dieci differenti lingue, mentre alP opposto il
medésimo suono è rappresentato da segni diversi in
lingue diverse. Ciò nulla di meno qualche suono manca
in ciascuna lingua di segno rappresentativo, mentre
altri ne hanno più d^uno nella medésima lingua. Di
qui ebbe orìgine queir intricato labirinto di sistemi
ortogràfici^ nel quale si smarriscono gli scrittori, ogni-
\i) A quelli che aUribuìf^ono T origine de' suoni gutturali spagnuoli al
lungo dominio degli Arabi in quella penìsola, si potrebbe chièdere: per
foal ragione questi suoni gutturali non si trovano nelle Provincie compo-
Aeiiii il Portogallo, già soggette agli Arabi per varj sècoli, e tròvansi in-
vece piò frequenti e più forti fra le balze dei Pirenei occidentali , ove gli
Arabi non penetrarono mai?
XVI IITRODUUONI.
generalmente affatto diverso il processo mentale nella
forma rappresentativa drogai concetto complesso: ciò
che appunto costituisce prìncipaUneate la diversa na-
tura delle lingue medésime; ma la stessa osservazione
si ripete assai sovente eziandìo negli idiomi costituenti
una medésima famiglia e, quel che é più, nei dialetti
d'una stessa lingua ! Esaminando questo fatto nelle lin-
gue, delle quali ci é nota fino ad un tèrmine abbastanza
rìmoto ristoria, abbiamo assai di frequente riconosciuto
che le naziorii, le quali si ridussero a uìutare la propria
lingua, trasportarono nel nuovo dialetto le forme men-
tali proprie della primitiva favella. Ne pòrgono chiari
e convincenti esempj i dialetti lombardi e pedemontani,
le cui forme, dissonando dalle latine, concordano per lo
più con quelle dei cèltici dialetti, sui quali il latino vo-
cabolario fu innestato. Parecchi esempj ne pòrgono i
moltéplici dialetti inglesi, nei quali prevalgono pari-
menti le forme del cèltico, e più chiare prove ci sommi-
nistrano i pòpoli finnici e slavi germanizzati, i quali,
sebbene parlino e scrìvano in lingua tedesca, ciò nul-
ladimeno tèndono a scrìvere una lingua piana, la cui
costruzione palesa nello scrivente T orìgine diversa.
La forza prepotente delF abitùdine potrebbe per av-
ventura èssere bastévole spiegazione di questo fatto;
giacché egli è ben agévole immaginare quanto diflicil
cosa esser debba alla massa inculta d'una nazione il
rappresentare i proprj concetti con idee e forme di-
verse da quelle alle quali è assuefatta sin dalla pueri-
zia; ed é ben più naturale che. serbando queste forme
nella nuova lingua impóstale, le tramandi alla poste-
rità, insegnandole nel commercio domèstico alla prole
crescente; ma una ragione del pari suflìcteote ci sem-
INTRODUZIONE. XVH
bra poter desùmere dalla varia tendenza delle facoltà
intellettuali deir uomo. Egli è certo, che la potenza del
concetto, del confronto e delF induzione non e eguale,
uè molto meno temprata sopra una medesima forma in
tutte le nazioni ; ma ciascuna , a norma delP intensità
e del grado delle sue attitùdini, vedendo e considerando
sotto aspetti differenti gli oggetti, ne concepisce in varia
guisa e per diverse vie resistenza ed i rapporti^ ed il lin-
guaggio , il quale , come collaboratore del pensiero , ne
riflette Timàgine sensibile, deve quindi essere modellato
sulla medésima forma. Ora il complesso delle facoltà
intellettuali delF uomo è strettamente coll^ato agli òr*
gani materiali componenti il suo cervello , i quali , ma-
nifestandosi per lo più anche nel complesso delle forme
esterne del cranio , costituiscono ciò che i fisiòlogi chia-
mano tipo, o impronto distintivo di ciascuna nazione.
Perciò al bel cranio ovale della stirpe caucasea va
unito il più dovizioso corredo di facoltà intellettuali,
mentre la tardità mentale del pòvero Negro si annuncia
dal cranio deforme e compresso. Dopo ciò, se , come at-
testano le costanti osservazioni dei fisiòlogi, questo im-
pronto segnato dalla divina Providenza in ogni na-
zione si mantiene invariato a traverso T avvicendarsi dei
sècoli, e in onta al cangiamento del suolo e del clima,
come potrà variare ad un tratto T attitùdine mentale,
che è il vero produttore e regolatore del materiale?
Né con ciò vogliam dire , che i dialetti parlati siano
stazionar)', come una lingua morta deposta nei còdici
delle biblioteche; è ormai dimostrato, che le vicende
della vita imprimono una mobilità continua nei dia-
letti viventi ; essi cangiano inosservati ogni giorno; no-
velle voci succèdono ad altre che passano in oblivione:
2
XTUI I5TR0DUZ1O?IE.
frasi ^-anno sosUtuèndosi a quelle che rappre-
sentano idee o costiunì che più non sono, per modo
che , nel vòlgere deUe generazioni , eziandio senza cause
violente, ed in virtù del mero órdine naturale delle
cose, tutti i dialetti soUscono inevitàbili trasforma-
zioni; ma queste restrìngonsi per lo più alle parole,
alle frasi ed a certi modi , senza estèndersi alle forme,
le quali non si pèrdono interamente mai; e quindi stabi-
liremo, che ogni quaholta, decatnponendo varie prò*
posizioni idèntiche in due o pia lingue dioer^y W
riscontriamo eguali elementi insieme collegati da una
medésima legge , la communanza d'orìgine tra le due
nazioni che le parlano è assai probàbile.
Quanto abbiamo sin qui esposto ci sembra sufCciente
a provare la necessità d^a^r^arc T anàlisi sonora e
concettuale alla grammaticale ed alla lessicale nel con-
fronto delle lingue, onde sollevare anche questo studio
al grado di scienza positiva. Prima però di chiùdere
questi cenni normali osserveremo per ùltimo, come
appaja dai medésimi manifesta la falsità degli ing^nosi
sistemi di Herder, Gondillac, Nodier e dei moderni
linguisti teutònici, i quali, considerando il linguaggio
come òpera delle generazioni , gli attribuirono una con-
tinua lògica progressività, come se dalF informe em-
orìone d^ una lìngua sémplice , formata di sole inter-
jezioni, Fuomo avesse potuto passare a poco a poco
a queir artifizioso edificio grammaticale , col quale rap-
presentò più tardi le minime gradazioni e modifica-
zioni del pensiero. Sebbene sia questa una questione
estranea al nostro divisamento, ciò nuUostante, por-
gendosi ovvia la soluzione negli esposti riflessi , osiamo
asserire che V incomprensibile dono della favella venne
INTRODUZIONE. XJX
latto all^ uomo dalla divina Previdenza , quando gli in-
fuse un^ ànima pensante, e gli diede un apparato d^ òr-
gani atti alla rappresentazione sensibile del pensiero;
qualunque fosse però il linguaggio delle prime genera*
zioni , esso fu òpera deir uomo, il quale, obediente alle
leggi della creazione, sviluppò questo suo naturale istin-
to per sodisfare agli incessanti bisogni ed enarrare la
gloria del Creatore ; e questo sviluppo, entro certi lìmiti
di necessità, dev'èssere stato istantaneo, come quello
della farfalla , che , uscita appena dalla crisalide , librasi
sulFali, e spiega ardita il volo per le fiorite campagne.
II.
Passando ora dalF astratto al concreto, ed applicando
questi principj generali alla patria nostra favella^ sarà
manifesto, quanto male s'apponessero coloro che pro-
nunciarono suir orìgine della medésima prima di stu-
diarne partitamente i dialetti, e paghi delle più ovvie
sue simiglianze grammaticali e lessicali colla latina, la
dissero derivata da questa, senza curarsi di rintrac-
ciare se elementi di natura diversa avessero per av-
ventura più o meno contribuito alla sua formazione.
Raccogliendo le antiche tradizioni scorgiamo, che^i La-
tini èrano la minima parte delle tante genti, che ai
tanpi di Romolo coltivavano la nostra penisola; e
queste aveano senza dubio linguaggi proprj più o
meno distinti da quello del Lazio. La successiva potenza
di Roma diffuse a poco a poco quest'idioma su tutta
la penisola colle leggi e col culto; Etrusci, Tusci,
Umbri, Equi, Volsci, Sabini, Marsi, Piceni, Sanniti,
Liguri, Vèneti, Euganei, Garnii, Galli, Siculi, Aurunci,
XX INTRODUZIONE.
Osci, Ausoni, Campani , Lucani , Bruzii ed altri, buona
parte de^ quali parlavano lingue disparate, vennero
fusi coi sècoli in una sola nazione, che si chiamò
Romana y e scrisse un solo idioma comune, il Latino.
Ma le lingue, come abbiamo veduto, non si dettano
ai pòpoli come le le^i; T unita romana poteva bensì
condurre tanti milioni d^uòmini ad assùmere il latino
come lingua scritta; non già costrìngerli a parlarla
domesticamente. Il miscuglio di tante nazioni {negli
esèrciti, il pùblico insegnamento e F influenza della
religione e del governo rèsero infatti generali le voci
latine, sebbene con molte eccezioni; ma ogni provincia
parlò latino a suo modo, cioè vestì di latine voci il
proprio dialetto, poiché non era in suo potere dimenti-
carne interamente le forme, né molto meno la nativa
pronuncia.
Di qui appunto ebbe orìgine quella varietà di dia-
letti che distìnguono tutt^ora le varie provincie dUtalia,
e che, sebbene riguardati generalmente come varietà
d^una sola lingua, racchiùdono a vicenda elementi i
più distinti e disparati. E siccome questi elementi in
alcuni dialetti derivano ad evidenza dalle antiche lin-
gue che precedettero la latina, così egli è certo, che la
lingua parlata da ogni sìngola popolazione dovette ès-
sere diversa in ogni tempo dalla lingua scritta. Questa
differenza fu notata anche in Roma dagli stessi Romani ,
i quali appellarono latina la lingua scritta , e romana
rùstica o plebea quella che parlàvasi nelle campagne
e nei |trivii. Onde pare più verisimile, che la pura
lingua latina fosse patrimonio esclusivo degli scrittori,
e, tutf al più, venisse parlata dalle classi più istrutte,
come appunto avviene oggidì di parecchie moderne
lingue d'Europa.
INTRODUZIONE. XXI
Passati i bei tempi della repùblica e delF impero^ e
sottentrato il governo arbitrario, scomparve la cultura^
e la distinzione delle stirpi s* affievolì. Roma , già in
braccio di mercenarj stranieri, non ebbe più oratori
eloquenti, o forbiti scrittori; gF imperatori non furono
più tratti dalle famiglie patrizie; ma F esèrcito li elesse
n^r esèrcito; e T arbitrio militare, come indeboli la
potenza dello Stato, distrusse ancora in gran parte la
primitiva civiltà, onde la latina non fu più se non la
lingua degli scrittori.
Air anarchia militare succèssero quei sècoli di fero-
cia, che, distruggendo le reliquie della passata cul-
tura, rèsero sempre più rari quelli che sapevano scri-
vere il latino corretto; per modo che, verso il mille,
tutte le Provincie si trovarono col solo linguaggio
plebeo corrotto in parte dalle invasioni; ed appena
alcuni notaj ed alcuni mònaci studiavano grettamente
il latino, qual depositario delle municipali e delle
religiose istituzioni. Allora fu che, per provederc ai
bisogni della vita socievole, ogni provincia ebbe a far
uso del proprio dialetto, il quale, col nome generale
di lingua romanza y venne poscia disciplinato nelle
tenzoni e nelle serventcsi dei Trovatori ; ed appunto
da questa favella romanza, anziché direttamente dalla
latina, derivarono le moderne lingue delF Europa me-
ridionale. Qui però fa mestieri premettere che cosa
intendiamo per lingua romanza. Fra i molti che ne
scrissero, varii la considerarono come una lingua sòia,
usata indistintamente nelF Europa latina, dai tempi di
Carlo Magno sino al tèrmine delle Crociate; noi, diver-
samente, intendiamo la favella parlata nelle provincie
romane prima e dopo la caduta delF impero, che nei
XXll I!^TR0IHJ21O5E.
sècoli d'i^^noninza successe, come linguai scritta* illa
latina. Ma questa lin^^ua^ come aTYertimmo^ era par-
lala in più dialetti, non sok> in Italia dai diseeodenti
ife^i Etrusci. dei Vèneti, dei Galli, dei Liguri e di
tant' altre stirpi disparate; ma exiandìo nella penisola
ibèrica dai nipoti dei 1 iir^itani , dei Turdetani. dei CàjA-
tabri, dei Bàstidi; in Franeia dalle numerose tribù gaè«
lìcW e càmbricbe^ e più tardi dai Franchi^ dai Goti
e ilai Bur^(uiidi; e tutte <|iieste varietà di dialetti, pas«
^ttdo iiaU'uua alPaltra ^nenuione^ compànrero di-
stilile netta Uu^tun scritta d^ile varie provineie^ come
^còr^^esi dì le^ijcert si^ si eoniròatano le poesie dei Tro-
vatori proìicusali con i|uelW dei Trovieri della Francia
setlentrioiiale^ o Tidionia dei GiuUari catalani con queUo
d^ podi italiani di quell'eia. Perciò abbiamo riputato
uei^e^^sartOs nella nostra dassiticazioue delle lingue d*£ii-
ro|Mk raccògliere tanti dialetti in varìi gruppi, dislin-
^(uèuiloli coi nomi di romanzo itàlico y gàllico ^ ì^pò»
iMca« titia» e ra/orco. Forse perchè sentiva la nece»-
^à di questa distinzione, lo Speroni, parlando dei
ku^i saggi degli scrittori d^ltalia, diiamò la lor lingua
t^fmmmxo itàlico; e Brunetto Latini, dicendo nel Te-
wi*^ che preferiva la lingua franzesca air Italia tèa,
ttiui (H>le\'a allùdere se non ai dialetti romanzi dei due
paesi« dappoiché le due lingue italiana e francese non
èrano ancora ben detcrminate. Egli è vero bensì che,
iwsèndosi prima d^ogni altro sviluppali i dialetti oc-
citànici, sotto gli auspicj delie corti di Barcellona e di
Tolosa, molti poeti italiani e francesi li preferirono
nei loro componimenti; ma questo non toglie, che i
dialetti delle altre provincie fossero diversi. P^clla Spa*
gna. sin dai tempi delle Crociate, veggiamo distinto il
INTRODUZIONE. XXII
romanzo eastig liana dal catalano; né possiamo com*
prèndere, come tanti scrittori abbiano potuto risguar*
dare come una stessa lingua quella dei tanti scritti
di queir età!
Di più: le lingue parlate, per loro natura, non sono
mai starionarie; ma fedeli intèrpreti ddlo spirito delle
generazioni, ne seguono tutte le vicende; e perciò anche
i dialetti romanzi, in quel tempo di transizione, nella
bocca di pòpoli risurti a nuova vita, e puliti da scrit*
tori inesperti, la cui sola norma era il naturai senso
e più sovente F arbitrio, dovettero subire una lunga
serie di modificazioni. Ogni anno del medio evo,
come osservò anche il Lanzi, era un passo i>erso un
nuovo linguaggio, e perciò non vi fu lingua stàbile
in fotta FEuropa latina fin dopo il milletrecento, quando
cominciarono a determinarsi gli idiomi moderni.
Distingueremo per ùltimo la vera lingua romanza
dalla favella arbitraria di certi antichi monumenti, che
si suole talvolta confóndere dagli scrittori sotto lo stesso
nome. E noto che, mentre zelanti scrittori s^ adopera*
vano a dar forma stàbile alla lingua vulgare, altri, seb-
bene ignari d^ ogni elemento, vollero scrivere latino, ed
apponendo latine desinenze a voci triviali, ed inserendo
fra le romanze qualche latina locuzione, impastarono
una lingua bastarda, che non fu mai scritta, né par-
lata. Si distìnsero in questo nùmero i notaj ed i chiè-
rici dei bassi tempi, i quali, nella generale ignoranza,
si diedero sovente maestri di latinità , e ci tramanda-
rono gran copia di documenti, confasi a torto da alcuni
coi pretti romanzi. Cosi a torto fu proposto dagli scrit-
tori a sa^o di lingua romanza il giuramento di Lo-
dovico il Germànico, nel quale si ravvisa appena il
à
XSSf lOTBaDCZKKIE.
Gngoai^gio d^im Tèolono. ehe tenia invano staccarsi
daHlntuna costmzioDe e dalle forme deUa lìngua nativa.
Ad acgrcscefc la corrozione dei dialetti romanzi eon-
triboìrono altresì le migrazioni dei pòpoli settentrionali^
parte dei qnali fondarono r^ni nella nostra penìsola,
e dopo varii secoli di dominio si sommèrsero Ira gli
indigeni. Goti. Vàndali, Longobardi e ?iormanni inse-
rirono quindi alcune straniere voci nei nostri dialetti ,
e li rèsero alquanto forse più discordi; e le po&tìclìe
Tioende, che più tardi frastagliiurono la penìsola in pic-
cioli Stati , perpetuarono le dissonanze.
Tale era la condizione d^ Italia verso il XIII sècolo,
senza unità nazionale^ senza lingua e quasi senza nome.
I primi in tutta T Europa latina^ che si adoperàss»t> a
et^tivare ed illustrare il proprio dialetto^ furono i Pro-
venzali. La celebrità che raggiunse quella lingua sotto
^ auspicj della corte di Tolosa chiamò a sé molti Ita-
liani, che poscia ne trasportarono in pàtria i nùmeri
e le grazie. Tra le varie provincie d'Italia prima ne
diede il segnale la Sicilia, o>^ Federico II e Manfiredi
premiarono e stipendiarono alla corte loro Trovatori
nazionali, che cantarono nel proprio linguaggio ad imi-
tazione dei Provenzali. Carlo d' Angiò re di Napoli s^uì
r esempio dei re di Sicilia, e dappoiché Tarte di iar
versi amorosi veniva {H*emiala da tutti i principi, quasi
tutte le città d' Italia ebbero ben presto i loro Trovatcuri.
Genova ebbe Folchetto, Calvi e Doria^ Venezia, Giorgi;
Pàdova, Brandino; Faenza, i Pùcciola; Pisa, Lucio
Drusi; Mantova, il Sordello; Bologna, Ghislieri e Fa-
brizio; Torino, Micoletto; Capua, Pietro dalle V^e;
e sopra tutte si distìnsero le città toscane, ove fiorirono
Guido, Lapo, Cin da Pbtoja, Cavalcanti, Brunetto La»
INTRODUZIONE. ' IXf
tini ed altri molti. Sd)bene però questi scrittori vul-
gari dessero la prima spinta a stabilire la nuova lingua,
egli è certo, che, [HH>cedendo di quel passo, V Italia sa-
rebbe divenuta ben presto una nuova Babele; impe-
rocché, mentre gli uni pohvano il vulgar fiorentino,
altri scrivevano il siciliano, altri il napolitano ed altri
preferivano il provenzale. La gelosia delle piccole re-
puMiche imponeva a ciascuna di far uso del proprio
dialetto; né v^ era città, che col peso del suo primato
dettar potesse ima lingua sola a tutta la nazione.
A liberar V Italia da questa confusipne di lingue ern
d^ uopo, che un potente ingegno, spoglio di pregiudizj
municipali e rivolto alla patria grande, ne mettesse a
contribuzione tutti i dialetti ed, estraendone la parte
nòbile, fondasse una lingua nazionale, cui perciò a buon
diritto si addicesse il nome d^ itàlica. Si grave assunto
adempì Dante Alighieri, verso il principio del sècolo XIV^
e concepito Talto disegno, lo espose nel trattato del
bulgare Eloquio e nel Conni^iOy ponendolo ad ef-
fetto nella Divina Comedia. Tbàc appunto fu F orìgine
del nostro idioma, che in sulla prima aurora eclissò le
snervate lettere provenzali. Quando V Alighieri scrisse
il poema con parole illustri tolte a tutti i dialetti
d'Italia^ e qtuindo nel libro del Vulgare Eloquio con-
dannò coloro che scrii;>èvano un sol dialetto y allora
diren^o ch'ei fondasse la favella italiana ^ ed iìise-
gnasse ai futuri la certa legge d^ ordinarla , conser-
varla ed accréscerla. Cosi avvertiva il Perticari, e cosi-
in; perocché tutta Italia, invaghita dagli aurei scritti
ddr èsule fiorentino, abbandonò Torgoglio municipale,
segui r esempio del gran maestro, ed ebbe una sola
lingua scritta, la lingua sancita da lui. E perciò nello
XXn IIOmODUZMMiB.
shtdio dei dialetti italiani, meglio che tu qmalrìam
altra fante, dokbiaìno attìngere le orìgini del nostro
idioma, e cercar la ragione, così delle sue leggi, come
delle moltéplici sue wiriaziom.
DI.
Ciò premesso, ci resta a vedere quali stndj veoìssaro
institoìti sinora sui Dosfari dialetti, e quali materiali si
apprestassero per determinarne T indole e le proprietà.
Raccogliendo quanto fu publìcato sinora so questo ar-
gomento, scorgiamo bensì, che parecchi tra i princi-
pali dialetti italiani possè^ono più o meno vasta let-
teratura; ma questa generalmente consta di poesie
satiriche o dramàtiche, intese a solennizzare muni»
cipali av'venimenti, o a reprimere le ridìcole tendenze
dei tempi. Quasi tutti i munìdpj italiani hanno pure
i loro vocabolarj vernàcoli; ma, oltreché il lèssico d^un
ilialctto^ come abbiamo avvertito, costituisce uno solo
d^i elementi che lo compóngono, questi vocabolaij
furono compilati a fine d'insegnare T italiana divella
alle classi meno eulte dei rispettivi municipj, anziché
per race^liere e méttere in evidenza le radici distin-
tive e proprie di tante lingue diverse; inoltre furono
per lo più ristretti nell'angusto recinto delle città e
dei loro sobborghi, restandone per tal modo escluso
il prezioso patrimonio della campagna e dei monti,
depositarii tenaci d'ogni avito retaggio.
Meno ancora si é £aitto, onde rivelare le proprietà
grammaticali dqiruna o dell'altra favella, e il rispetti>'0
sbtema sonoro^ tanto importante nelle linguìstiche di-
squisizioni. Appena qualche saggio grammaticale
'\
INTRODmiONE. XXVII
tentato sinora di pochi dialetti, nel .quale invano si
cerch^^bbero le molte leggi del principio orgànico
e della sintassi rUpelUva; nessun piano ortograflco
venne determinato sinora, comune almeno agli scrit*
tori d'uno stesso municipio; sicché torna pressoché im-
possìbile allo studioso formare sui libri una bastévole
idea dei suoni distintivi delFuno o delFaltro dialetto.
La mancanza appunto di tali studj preliminari rese
impossìbile presso di noi uno studio comparativo dei
nostri dialetti, e diede orìgine alle assurde ed arbitrarie
dassilicaxioni proposte da varii scrittori. Per tacere di
Adelung, di Malte-Brun é di quanti stranieri s'accìn*»
sere a quest'ardua impresa, basterà accennare la strana
nomenclatura proposta da Adriano Balbi nella compi-
lazione déVjàtlante etnogràfico del globo. Ivi, poste
in un fiiscio le favelle genovesi e piemontesi , che sono
radicalmente dissonanti, mentre i pòpoli che le parlano
hanno solo e da pochi anni comune il governo, Fautore
annovera tra i dialetti della Francia meridionale quello
dei Valdesi, eh' e pretto piemontese; divide dal Berga-
masco il Bresciano che ne è un suddialetto, ed unisce
in due gruppi distinti il Bresciano coi dialetti essenzial-
mente discordi di Mantova, Ferrara, Parma e Mode-
na, ed il Bergamasco col Bolognese , che rappresen-
tano due gruppi per ogni riguardo diversi. Per tal
modo , rotto ogni vìncolo che insieme collega i dialetti
emiliani, negletto l'altro più importante, che rivela la
non dubia fratellanza d'orìgine di tante genti cìsaU
pine, distinguendole dalle venete, dalle toscane e dalle
altre famiglie della penìsola , la classificazione del si-
gnor Balbi ridùcesi ad una confusa nomenclatura, nella
quale, non che i principj della linguìstica , sono travolti
xxnn nmoDirzioiiB.
i pia onrii efemenli deD^etnognfn; guiodiè se, riiH
nendo i nomi dei dialetti italiani in nn^imia, si estraès»
sero a sorte per formarne più grappi^ non si otter*
reUbero per certo pio incongroe cornhinaiionit (0
Volendo or noi ovriare ornili sconci, abbiamo av-
▼isato, in tanta inopia di stodj preliminari dorersi ap^
prestare prima di tutto i materiali necessarj all^ erezione
dell^ edificio; ed a tal fine, raccolto quanto preesisteva,
abbiamo intrapreso un particolare esame dei multiformi
dialetti italici, Tisitando i luoghi OTe si parlano, e met-
tendo a contribuzione la scienza degli studiosi d^ogni
paese. Di questo lavoro appunto, da noi esteso a tutte
le famiglie italiane , poliamo un brano nel pre-
sbite volume, inteso a stabilire la classificazione ra-
^onata dei dialetti galt(hitàlici , designati con questo
nome, perchè parlati in cpiella regione d'Italia, che
prima della romana potenza era abitata dai Galli. A
procèdere impertanto con órdine in argomento sì gra-
ve, dopo avere tracciato i naturali confini entro i quali .
tutti questi idiomi si parlano, li abbiamo decomposti
nei loro più sémplici elementi, esponendo mano mano
le loro proprietà distintive, sia sonore, sia gram-
maticali, e racci^liendo in brevi pagine un estratto
comparativo dei loro vocabolarj, col dùplice scopo di
(i) Ci siamo falli solIèciU di notare qnesli errori normali» ai qaali po-
tremmo aggiùngerne una ragguardevole serie, poiché, il compilatore di
queir opera essendosi querelato più volle nei pùbiici fògli, che altri nasi
fitto bello del suo lavoro, abbiamo creduto necessario prevenirne i lettori,
onde, altingefido in a^'venire a questa fonte, sappiano a che attenersi.
V. JtUu Ethnographique du Globe, oPtcenviroH sepi centi vocabulairesdet
pHndpamx idiemn eo/mau, etc, par Adrien Balbi, Pùrii imo. Tab. XSL
NB. Questi settecento Vocabolarii dei principali idiomi sono raccliiusi in
cin<|ue sole tàvole, nelle quali sono tradotti io nomi e i primi dieci nù-
meri cardinali In alcune lingue ed in molli dialetti e suddialetti!
INTRODUZIONE. XXtX
rivelarne le orìgini ed i rapporti; e per prò vedere
quanto meglio per noi si poteva alla chiarezza del-
r esposizione, abbiamo corredato le moltéplici nostre
osservazioni di Saggi, sì in prosa, che in verso, por-
gendo così allo studioso copia di materiali, onde prò*
cèdere nelle ricerche, ed arricchire di novelle induzioni
la scienza, che sola potrà rivelarci un giorno chi noi
siamo, e quali furono i nostri maggiori.
Per ciò che risguarda il sistema sonoro , la necessità
di rappresentare scritturalmente in tanti e sì svariati
dialetti una lunga serie di suoni, in parte diversi dagli
italiani, e F insufficienza del troppo esìguo alfabeto la-
tino, ci costrìnsero a far uso di alcuni segni conven-
zionali, per quei suoni speciali, pei quali T alfabeto e
r ortografia italiana mancano affatto di segno rappre-
sentativo. Invano avremmo tentato valerci delle mo-
struose combinazioni di lèttere usate a capriccio da
qnanti sinora imprèsero a rappresentare i dialetti in
iscritto, le quali, alterando il valore primitivo dei se-
gni, e nascondendo le radici dei vocàboli, rèsero più
difficile la lettura, senza prò vedere al bisogno. Onde
accoppiare la semplicità alla chiarezza, anziché inven-
tare nuovi segni, o imaginare a capriccio nuove com-
binazioni, abbiamo preferito far uso dei segni adottati
generalmente dal maggior nùmero delle nazioni eu-
ropee per le lingue dotate d^una copiosa serie di suoni,
quali sono le germàniche e le slave; giacche egli è
ormai tempo che si debba riconoscere da ogni nazione
Futilità e la necessità d^un comune sistema ortogrà-
fico , il quale possa venire inteso dal maggior nù-
mero possìbile di nazioni. La patria comune assegna-
taci dalla natura è T Europa, e più presto varrà a colie-
If Hf imi popolanooi
ififc^ldlrniie eouimio n ittt«a 0ito;:nfi» fé-
che iMMi la piò fitti rete di slnde
Fonditi sogoesto priacipio, fmIàMkiq
ortofn&i. qMMJD haslò iB' appo . ihhiiMO prese
dii|ji alfabeli dcHe fidine fcmàniche. smiifinìviche e
riiif i fcapii A. o. i. per nppresenlare i sooni conispoiH
deotLdei qoili mjuìci b Kiigui iUiiiBi: cioc.il «gap éy
ftet esprimere fl sooao aperto ae dei Liliiii« ai orfano e
dei FnnoesL che partecipa d'ambedue «peste mcali^e
Doo può csiere definito, ma solo designalo colla Toee:
£ eqnifale al segno ó dei Tedeschi, ai segni e«« oen
dei Francesi, i appi esentandone lo stesso snono; ed •
equivale parimenti alla ai dei FranoesL In td modo^
oltre il ìfantaiggio d*mia espressione più semplice, pia
precìsa e pia generalmente intesa, abbiamo enuMfio
quello di serbare intitte le radicali, e di rendere quindi
più Savoie lo studio delle deriraiaoni. giaocliè più
pi«to nvrìseremo sotto le forme cor, /09. mori, le
radici latine cor^ focus, tmorior. che non sotto le al»
treaeiir, fotugk. mutmriy le quali, sebbene usate dai
Francesi e dai nostri scrittori vernàcoli, non ripcf;nano
meno al buon senso. Per le graduanoni delle altre
vocali, che variano oltremodo in ciascnn dialetto, ci
siamo ristretti a distìnguere le aperte dalle chiuse per
mezio <legli accenti grave, acuto e circonflesso.
Abbiamo impiegato il scj^no k a rappresentue Taspi-
razione, seguendo in ciò pure resempio di molte na-
zioni europee; e volendo eonsenrare in tutti la sm in*
tegrìtà rorU^raTm italiana, lo abbiamo impiegato ezian*
dìo a rèndere duri i snoni delle e. g colle vocali e. t. A
rappresentare poi i suoni mancanti nelF italiana favella*
urraoDUzioRE. xxxi
e pei (piali in oons^uenza 1^ alfabeto latino non porge
verno s^no , abbiamo tolto a prèstito dalle moderne
ortografle slave testé promulgate dai cèld)ri Gaj e dafa-
Hk, i segni i, Ì, ^^ i, dei quali il primo esprime il suono
sibilante je^ o gè dei Francesi; le c^ ^ valgono a
rappresentare il suono dolce di queste medesime lèttere,
ogni qualvolta T ortografia italiana non vi provede ,
quando cioè tròvansi in fine di parola, come in Mk^
faCy diiy oppure in lé§, vià^, eorég; e quando la e,
sebbene preceduta dalla Sy deve pronunciarsi staccata,
come nelle parole shiòp^ 9ciùmay sèèty nelle quali al*
trimenti confonderèbbesi col suono italiano sce, 9eiy
tanto svariatamente espresso dalle altre nazioni d^Eu*
ropa. (^iqualvolta peraltro V italiana ortografia bastò
da sola a precisare i suoni dolci delle e^ 9^ ci siamo
astenuti dal far uso dei nuovi segni, scrivendo eervèly
dàeeTy giwin, mangia^ e simili. 11 segno s vale ad esprì-
mere il suono italiano sCy ogniqualvolta si trova in fine
di parola , od è seguito da consonante, come nelle voci
ttraiy pajàsy stat, stala; e Tabbiamo ommesso quando
bastarono le due se insieme combinate, come nelle
parole sciar y scìmes, cascia , e simili. Per tal modo ab-
biamo fiducia d^ aver ridutto alla più sémplice e precisa
espressione la scrittura dei dialetti, non che d^ averne
agevolata la lettura agli indìgeni, del pari che agli stra-
nieri; e quindi &cciamo voti, affinchè gli scrittori ver^
nàcoli italiani, persuasi della rettitùdine e delF utilità
dei nostri principj, ne seguano d^ora inanzi T esempio,
o ne propongano un migliore , onde porre àrgine una
volta alla crescente Babele ortogràfica.
JNelI^enumerazionc delle proprietà distintive di tante
e sì svariate favelle . anziché dilungarci , compilando un
XXXIl IKT&ODUZtONE*
esteso trattato grammaticale , e porgendo soverchi mo-
delli di declinazioni e di conjugazioni, ciò che avrebbe
dato luogo a stèrili e soverchie ripetizioni, abbiamo
preferito resfarìngerci a méttere in evidenza i punti prin-
cipali in cui i dialetti gallo-itàlici, e si allontanano
dalla norma fondamentale della lingua scritta, e divèr-
gono tra dì loro, onde porre cosi in mano allo stu-
dioso il vero bàndolo, che solo può èssergli guida a
svòlgere T intricata matassa delle origini rispettive. E
perciò ci siamo trattenuti precipuamente nelF avvertire
le principali permutazioni ed inversioni , così delle lèt-
tere nella formazione delle parole, come delle parole
nella costruzione delle frasi, contenti d^ accennare ap-
pena alle flessioni dei principali dialetti, ed alle leggi
che i medésimi hanno comuni colF itàlico idioma.
Volendo poi darne un Saggio comparativo a com-
plemento, ed in prova di quanto siamo venuti mano
mano esponendo intomo air oi^anismo speciale di eia*
scun dialetto , abbiamo prescelto la versione della Por
ràbula del figliuòl pròdigo^ fatta a bella posta sulla
latina da studiosi dei luoghi rispettivi , dei quali ab-
biamo notato i nomi a suo luogo, onde convalidarne
r autenticità ed attestare a ciascuno la sincefa nostra
riconoscenza. Ad escusare questa scelta, gioverà av*
vertìre, che questo brano evangèlico, dappoiché venne
preferito dal benemèrito Stalder, che lo fece voltare
in tutti i dialetti elvètici (0; dal Ministero delF In-
terno del cessato impero francese, che lo volle tra-
dòtto in tutti i francesi ; dalF Àcademia Cèltica e dai
più illustri moderni filòlogi d^ogni nazione, che ne
(i) Staidcr. Die Landeèsprachm der Schiveiz^oder tchwàzerische Dia'
Ukiologic. Aarau» loio.
I?rrRODUZIONE. XXXllI
imitarono T esempio, è divenuto la pietra del paragone
pel lingmsta, più agevole a rinvenirsi dovunque, e ad
ogni modo più atto al confronto, che non la breve e
simbòlica Orazione Dominicale prescelta dai filòlogi del
sècolo trascorso.
Procedendo nella disàmina delle radici, onde i nostri
dialetti compòjdgonsi, sebbene la massa principale ap*
palesi manifesta orìgine latina, ciò nuUostante ne ab-
biamo trovato eziandìo un nùmero ragguardévole di
forma affatto diversa, e di estranea derivazione. Valgano
d^ esempio le quaranta voci diverse (e sono assai più),
colle quali dai soli dialetti gallo-italici viene espresso
il nome di figlio. Tali sono: bèdery canaja^ cèt^ creai ày
tffànty enfàfiy ères, fancy fanciòty fi, fi^l, fio^ fidi, fi^òl^
fiùly figliòly màcan^ marajay marài^ marty rmisàchery
masiy mal, matèly malèly matògn^ matu, miilèty pòi,
putèly ràiSy ràissa^ rèdes, rès, scèt^ sciàt^ sciàt^ tós,
tus. Così il nome padre viene espresso colle voci: atta^
hapy bobày pày pàder^ padriy pàirey papà^ pare, pari,
parìa y pupa, tà, tata, ed altre molte, delle quali,
sebbene il maggior nùmero tragga manifesta T orìgine
dalle radici latine creatura, hoeres, infans, filius, mas,
pater, ciò nuUostante alcune hanno tutt^altra deriva-
zione <0. Ora, considerando il ragguardévole nùmero di
queste voci dalla lingua del Lazio discordi, ed espri-
menti idee od oggetti comuni a tutti i tempi, appare
assai verisimile, die traessero F orìgine dalle antiche
lingue nella stessa regione parlate prima dclF invasione
ronrnna; giacché egli é ormai dimostrato, che le lingue
non si distrùggono, se non distruggendo i pòpoli che
(l) Vèggansi (ulte queste voci nei Saggi di Vocabolario inseriti in que-
^r òiwra.
3
le pàrtaMio. Plrìott che dbi Roiimii, li siorii ci ad-
dila 3 nostro paese occupalo dai Celti, che. dnFisi m
Iflsiifari. Scnooi. Boj ed altre tribè. si ri-
I TÌeeoda il dominio delle nostre pianare.
Etti avevano fingi» e dialeUi lor propi] diversi dal-
rìdauma romano, dei qmli per aiieuUna aknne re-
Gqiiie sopranriroDO in appartale rcg:ioni delI'Annòrica
e delle isole britanniclie. e dei quali, per consegmen-
XI. dovea radicarsi afanen qoaklie traccia sol nostro
«olo. Ma i Gdli enno p.m. stnnkri in Ibli.. già
abitata da nazioni indìgene e straniere, prima che
Beloveso ^i trapiantasse le bellicose soe calenne. Essi
infitti ebbero a luttare cogli Etrosdii. cogli Umbri e
coi Lìgorì. che. rì^-arcando TApennino. abbandona-
rono ai Druidi le fiorenti loro campagne. Prima degli
Etruschi r Italia ebbe più aoticfai abitatori, che gU sto-
rici distinsero col nome di .\bongeni. forse per dino-
tare che avérano lingua e costumi lor proprj. Appunto
dì queste antichissime popohzìoni nessun altro mono-
meolo ci rimane, se non per a^^-entura ì pochi rùderi
sparsi nei nazionali dialetti, giacché « qnanto pia ù ri-^
uUe la corrente del tempo, ogni nazionalità n risolve
ne' suoi natiH elementi; e rimosso tutto ciò che vi
è di uniforme y cioè di straniero e fattizio , i fiochi
dialetti si rapivano in lingue assolute e indi pendem-
tiy quali furono nelle native condizioni del gènere
limono (*)».
Gò premesso, è manifesto che. depurando i nostri
Tocabohurii vernàcoli daUe radici latine, non che dalle
più recenti attinte a lingue moderne, ed eleggendo tra
(I) Inlroduzume del dottor Cario Cattaneo alle Notizie UmimraU e dviU
tuila LomUfordia. Milano, I8f4. Voi. 1, pag. Wll.
IRTRODUZIOME. XXXT
le rimanenti quelle voci che rappresentano oggetti, o
idee comuni a tutti i tempi, e quindi alle prische del
pari che alle moderne generazioni, verrebbero raccolti
e sceverati i rùderi più o meno corrotti degli antichi
idiomi, sui quali instituendo giudiziosi confronti colle
lingue conosciute, si potrà forse giùngere talvolta alla
scoperta delle orìgini delle moderne favelle, o ricom-
porre in parte taluna delle antiche, ciò che invano si
tenterebbe per altra via. Su questo principio abbiamo
compilato un piccolo Vocabolario dei dialetti gallo-ità-
lici, dividendoli nei tre rami principali lombardo^ pe-
demontano ed emiliano, riunendovi solo alcune mi-
gliaia di voci di strana forma e di oscura radice,
alle quali per conseguenza con maggiore probabilità
attribuire si possa antichissima orìgine e derivazione;
avvertendo nel tempo stesso che questo Saggio , da noi
con molta fatica raccolto, potrèbbesi notevolmente am-
pliare, ripetendo accurate indàgini nelle campagne, e
sopra tutto nei monti. Per condurre a buon fine un
lavoro di tal fatta e di tanta importanza, lungi dal
bastare F òpera d^un solo, è necessaria la prestazione
di molti, che prima dì tutto raccòlgano i materiali,
compilando con sana crìtica e speciale diligenza i vo-
cabolarii d^ogni paese, onde potere poscia instituire
un ragionato confronto sulla loro parte estrattiva. Per-
ciò , redigendo il nostro Saggio comparativo, prima di
tutto abbiamo estratto quanto ci parve più acconcio al
nostro scopo dai Vocabolarii già publicati , vale a dire:
pei dialetti lombardi, dal Milanese-Italiano di France-
sco Cherubini, dal Latino-Bergamasco del Gasparìnie
dai Bresciano-Italiani del canònico Paolo Gagliardi e
Pitiro Ìkm6 «lànwb
W jiilift éa Obcadi»
fil ifi ilii 4tfl> V»ip», isgj^ ~ T<
Murrt r«wu^ |cr Kdr» CmIi. im#. —
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FraoKioro Xaaaiu. Femn. i€*s . per pi errdi 4Ì
l^M, fMT 6. B. BókU e C. 1CS7. — DuMMario riiM<iiM Itiliian. di
Uaui* rteédbMTl Parsa , dalla «UBIieTn BliDfkoA, itst. T«l. s »-«.' —
f-rfal^f» di ««ri M^dcTw pttmtiwMlafiaDP, dd casMìr» rtwrae» M-
<*<U. Pfiattsta, pel Tedc!!ebK isas. — Vocabolari» Piaciatìi IHIHwi, di
Utnmm FonsOL Piacenza, pei FralelU dd IMino, it»*.— KiìoBario do-
•«ti» Pi%C3(«^laliaoo. Fatìa, tipo^rafu Biuonì^ l«»-
<»| %oeil«lano PieB09le«e, dH nedm Maarìiìo Pipno. Torino , nelb
% ^Umptrvt, nz%, — m^iooarì Piroioatèis. Ilalian. Latin e Fraitóèis',
IXtRODUZiONE. XXXVII
làrii dei dialetti Cremonesi e' Gomasctii, abbiamo otte-
nuto dalla loro gentilezza un estratto dei loro mano-
scritti, che speriamo vedere quanto prima alla luce per
intero. Per gli altri dialetti , e specialmente per quelli
della campagna e dei monti , abbiamo raccolto sui luò-
ghi stessi quanto era possìbile in ripetute peregrina^
zioni, ed abbiamo sollecitata la prestazione di alcuni
studiosi, tra i quali professiamo sincera riconoscenza
al conte Sanseverino per un florilegio di voci crema-
sche, al signor arciprete Paolo Lombardini di Calcio
per alcune voci cremonesi e bergamasche ed al prof.
Cesare Vignati per alquante lodigiane.
Sebbene principal nostro divisamento fosse il raccò-
gliere in questo Saggio le sole voci che , per la forma
e significazion loro, si possono riguardare come rùderi
degli antichi linguaggi italici, vi abbiamo tuttavìa no-
tate alquante voci di manifesta orìgine e forma latina,
escluse però dalF italiana favella, onde si vegga quanto
sono tenaci i dialetti nel serbare a lungo le antiche ra-
dici; e vi abbiamo pure indicate alcune voci attinte
alle lingue straniere moderne , perchè si conosca quanto
poca influenza ebbero queste sui nostri dialetti, in onta
alle lunghe e successive dominazioni straniere nel no-
stro paese. Abbiamo poi avuto cura dMndicare a qua]
dialetto ed a qual luogo speciale ciascuna voce esclu-
sivamente appartiene , onde rèndere proficui questi ma-
teriali alle osservazioni dello studioso. Infatti, il pìcciol
composi dal prcive Casimiro Zalli dXher. Carmagnola^ f sitt, da la stam-
parla d'^Peder Barbié. Voi. s in-8.® — Diclionnaire portatif Piémoniait'
FnmciUs, suivi d*un f^ocabtUaire Franqais dcs (ermes usilés dans Ut ari$
et méiiers, eie,, par Louiz Capello, comle de Sanfranco, T\win, de V impri-
merle de y incent Bianco, I8i4. Voi. s in- 8.® — Vocabolario Picmon tese-
Italiano, di Michele Ponza. Torino , isso, dalla stamperìa reale.
XXXVIII INTRODUZIONE.
nùmero delle voci comuni a tutti, o alla maggior parte
dei nostri dialetti, a confronto di quelle che radica!-*
mente differiscono da luogo a luogo, manifesterà di
leggieri un^ antica pluralità di lingue, o almen di dia-
letti, nelle rispettive provincie. Àirincontro la più fre-
quente comunanza di radici strane ed antiquate, che
scottesi in alcuni dialetti, come nel bresciano, vallel-
linese e veronese, rivelerà un antichissimo nesso dWì-
gine tra i primitivi coloni di quelle regioni , nesso che
dovette precèdere le invasioni dei Vèneti e dei Cèlti, e
le cui tracce non furono da queste, né dalle posteriori,
interamente distrutte. Ecco le principali considerazioni
che c^ indussero a porre talvolta a canto alla voce lom-
barda, emiliana, o pedemontana la corrispondente vè-
neta, tedesca, francese, spagnuola, romanza, latina,
greca o cèltica, onde cioè più agevolmente e con più
di ragione dedurne si possa a prima vista , o V antico
nesso d^ origine, o la moderna introduzione, in forza
deir immediato commercio coi pòpoli vicini. Tra que-
ste voci di straniere lingue abbiamo sempre preferito-
quelle che più si accostano alle nostre vulgari, così nella
forma , come nel significato ; e, diffidando di noi medè-
' simi, abbiamo consultato le migliori e più autèntiche
fonti, che abbiamo potuto procurarci, quali furono;
pei dialetti armòrici , i Dizionari di Le Pelletier e di
Le Gonidec; pei càmbrici, quello di Price; pei Gaèlici,
il gran Dizionario compilato per cura della Società del-
l'alta Scozia; per le voci greche, i Vocabolarii di Schre-
velio e di Riemer •, per le lingue romanze , quelli di
Roquefort, Raynouard e Conradi; e per le lingue mo-
derne, i Vocabolarii compilali dalle varie Academie.
Né abbiamo inteso con ciò spaziare di pie franco
INTR0DU210NE. XXXIX
neir arduo e periglioso campo delF etimologia , tanto
iìrnttaoso ove sia perlustrato da retto criterio e da*
mente spoglia di prevenzioni , quanto screditato da
quelli che vi si provarono sinora. Pur troppo gli eti-
mòlogi che ci precedettero, colia sémplice scorta dei
classici idiomi, e tutto al più di qualche cèltico dia-
letto, quasi ignorando resistenza d^ altre antichissime
lingue , stiracchiarono , mutilarono ed alterarono in
mille guise le voci e il loro valore, o crearono nuove
lingue a loro talento, onde ridurre ad elemento ellè-
nico, cèltico o latino le più disparate favelle 1 Gonscii
della somma importanza delle etimològiche investiga-
zioni e della necessita di lunghi e severi studj prelimi-
nari, fondati sulla piena cognizione di molti idiomi
antichi e moderni, per condurle a buon fine, ci siamo
ristretti a raccògliere parte dei materiali da sottoporsi
ad esame, accennando qua e la le corrispondenti ra-
dici straniere, solo quando ci si offerse spontanea la
consonanza delle forme. Dichiariamo peraltro franca-
mente, èssere stato nostro divisamente il proporle co-
me dubii, e non come stabiliti giudizi! ; ed appunto per
questo vi abbiamo apposto sovente un segno d^ interro-
gazione. La sola intenzion nostra, in tutto P ordinamento
di questo Saggio, si fu quella di rivelare quanto co-
piosi appaiano i rùderi d^ antiche lingue, onde i nostri
dialetti compòngonsi; di raccòglierne quel maggior nù-
mero che ci fu possibile, nelF attuale inopia di mezzi,
ordinandoli ad un medésimo scopo , e porgendoli sotto
il loro più sémplice e naturale aspetto; e di tracciare
la vera strada, per la quale giunger potremo un giorno
alla piena cognizione dei medésimi, alla scoperta dei loro
mutui rapporti colle antiche e moderne lingue, e per
ùltimo a quella delle origini dei pòpoli che li parlano.
Onde supplire aDe molte imperfiaDoni dà
capi^ ed aceenoaure al grado di cultma da ciasmn dia-
leUo ragponto nel vòlgere dei smoli^ e DelT a^TÌeeo-
darsi degli a^^enimeoti polìtici e monli. abbiamo poi
toltalo delineare uà quadro istòrico della letteratura
vernàcola^ aooeanando all'orìgine della medésima ed
alle successive sue fasi sino ai dì uaslri. L* assoluta
mancanza d* anteriori studj su questo aigomenlo, è
rimportanza del medesimo, d danno a ^ìerare che sarà
per riuscire gradito ai nostri lettori questo primo leo»
tativo^ per redigne il quale ci fu d*uopo laccógliae
e studiare la màssima parte delle produzioni èdite ed
inèdite in tanti e sì svariati dialetti, produzioni, i cui
esemplari sono in parte assai difficili a rinvenirsi; ed
abbiamo corredato le nostre osservazioni d*una colle-
zione di Sa^i, incominciando dal più antico monu-
mento che ci venne fatto conoscere d*ogni dialetto, e
scendendo di mezzo sècolo in mezzo sècolo sino ai di
nostri. Per tal modo il lettore, mentre vedrà raccolti
in un solo manìpolo i Sa^ di tutte queste favelle di-
verse, onde instiluime un iacile confronto, potrà an-
cora scòrgere nelle successive produzioni d^ogni fovella
le fasi e le alterazioni da questa subite nel vòlgne dei
sècoli.
A completare questa successiva serie di Saggi in cia-
scun dialetto non abbiamo risparmiato le più accurate
indàgini nei lu<^hi rispettivi, uè calde e ripetute sol-
licitazioni ai molti nostri corrispondenti e collabora-
tori ; ma in onta ai moltéplici sforzi , non potemmo
riuscirvi , se non per alcuni dialetti principali, per quelli
cioè che hanno più antica e più copiosa serie di com-
ponimenti : mentre ve n^ ha parecchi . la cui letteratura
INTRODUZIONE. XLI
ebbe solo da pochi anni ìncominciamento; altri invece,
e non pochi, sono af&tto privi di produzioni edite ed
inèdit43, SI in prosa, che in verso. Perciò , ogniqualvolta
ci fa concessa lìbera la scelta, abbiamo preferito fra i
migliori componimenti quelli di men lunga lena , die ci
parvero più acconci a prestare idea precisa, così della
lingua, come del gusto e dello spìrito dei tempi; ejfum-
mo abbastanza avventurati, per poter arriccliire questa
raccolta di alquante produzioni inedite, non solo in
dialetti meno conosciuti, quali sono il lodigiano, il co-
masco , il cremonese , il mantovano , il bresciano , il
ravennate cc^li altri romagnoli , il modanese , V ales-
sandrino, Taquense, il saluzzese ed altri molti, nei
quali pochissimo o nulla fu publicato a stampa; ma
altresì di produzioni inèdite di autori distinti , e di non
comune pregio poètico , antiche e moderne, da noi dis-
sotterrate dagli arclìivii, o procurateci dalla gentilezza
di varii corrispondenti , dei quali abbiamo con solleci-
tùdine e riconoscenza ricordati i nomi a suo luogo.
Ove peraltro mancavano le inèdite, abbiamo riempito
ì vani, riproducendo, fra le èdite, quelle che ci par-
vero meno diffuse colle stampe; ove mancarono com-
ponimenti pregévoli, abbiamo supplito con altri di mi-
nor conto, onde valessero almeno a saggio di lingua
e a documento delle istòrichp nostre osservazioni; ed
abbiamo lasciato le lacune, ove ci costrinse F assoluta
privazione di Saggi èditi ed inèditi, buoni o cattivi.
Per ùltimo , a più chiara prova di quanto siamo ve-
nuti nel ragionamento istèrico esponendo , ed a pòrgere
sott* occhio allo studioso tutte le fonti, alle quali potrà
attìngere i materiali necessarii a conseguire piena co-
gnizione di tutti questi dialetti, abbiamo soggiunto,
XLII niTRODUZIO.NE.
quasi Appendice, una lista bibliogràfica dei medésimi.
In essa, il ragguardévole nùmero di produzioni edite
nei dialetti milanese, bergamasco, bol(^ese e tori-
nese attesterà , come questi fossero meglio d^ogni allro
e da più lunga stagione coltivati ; mentre lo scarso nù-
mero, o r assoluta mancanza di produzioni in altri, pro-
veranno il minor grado della rispettiva loro cultura.
Similmente il vario gènere dei componimenti nei varii
tempi, e il maggiore o minor nùmero delle rispettive
loro edizioni, indicheranno F origine, il progresso, la
maggiore o minor popolarità e il vario spirito d^ogni
letteratura speciale, e mostreranno in qual conto fos-
sero quei componimenti tenuti presso le varie popo-
lazioni.
Sebbene abbiamo adoperati tutti i mezzi in nostro
potere, onde arricchire questa raccolta del maggior nù-
mero possibile di notizie, ciò nulladimeno siamo bea
lungi dal crédere d^ èsserci accostati al suo compimen-
to. Oli divisasse di produrre perfezionato un lavoro di
sìmil fatta , può rinunciare da bel principio al suo pro-
pòsito, mentre ogni giorno scappano fuori notizie nuo-
ve, ed ogni giorno si discoprono nuovi materiali e nuovi
autori. Non esistendo simili lavori pei nostri dialetti^
se si eccettuino alcuni Saggi premessi ai Vocabolarii
vernàcoli, ed a collezioni di poesie, abbiamo scelto a.
punto di partenza questi Saggi medésimi, ai quali ab-
biamo aggiunto quanto ci venne fatto scoprire nei ca-
tàloghi delle pùbliche e private biblioteche, mettendo
ancora a contribuzione la scienza di molti studiosi,
delle cose patrie appassionati cultori. Quindi, pei dia-
letti lombardi buona messe di notizie ci porse la co-
piosa collezione di òpere vernàcole serbataci ueirAm-
II<iTRODUZlONE. XLIU
brosiana , e la ragguardévol lista di scritti milanesi pre^
messa alla Collezione delle migliori òpere scritte tn>
dialetto milanese^ in dodici pìccoli volumi. Per gli emi-
liani, ci fu di non lieve giovamento la lista d^ òpere bo-.
lognesi premessa da Claudio Ermanno Ferrari al Vo-
cabolario di quel dialetto; i catàloghi delle bibliotedie'
di Bologna, Modena e Parma, e le indicazioni sparse
in molti libri vernàcoli, sopra tutto nella Serie degli
scritti impressi in dialetto veneziano ^ compilata da
Bartolomeo Gamba , ove furono rostrate molte òpere,
che, oltre il veneziano dialetto, altri ne racchiùdono
italiani e stranieri. Tanto per gli emiliani, quanto pei
lombardi , ricca messe di notizie bibliogràfiche ci porse
ancora il signor Carlo Salvi, il quale spese lunga serie
d^anni a far raccolta delle coso agli itàlici dialetti spet*
tanti. La bibliografia piemontese poi è tutta òpera del
dotto nostro amico Giovenale Vegezzi-Ruscalla, al quale-
siamo ancora debitori di presso che tutte le versioni
della Paràbola nei dialetti pedemontani ed in parecchi
altri d^ Italia, della màssima parte dei Saggi di quella
letteratura, e d^una copiosa raccolta di materiali, che
ci furono di sommo giovamento nella redazione del
presente lavoro.
L^ amore della brevità non ci permise di estènderci
lungamente sulle notizie risguardanti tante òpere ver-*
nàcole, le loro edizioni o i loro autori; ciò nullostante
non abbiamo intralasciato di citare le edizioni princi*
pali, di svelare parecchi anònimi e pseudònimi, e di
unirvi quelle notizie che ci parvero di maggior rilievo
al nostro scopo.
Da tutto il sin qui esposto è chiaro, che abbiamo
divisa quest'opera in tre parti, nelle quali abbiamo
fi iIei m «Midiviia fli f€fl Qjftf. Bcl fnH> «lei qBili
le pr«f|kntft ittitialTO iowwv e
diapente le Tcràùfii deft» PMrmif>Jm dei fjlimol
fo. Bei piMM'i|nli dUelti m1 opai ^riip|M> appar-
kmenli. bcI Uno Mnatmio nccàiaso ■■ Sàgyo eli Vo-
caLofarki: ad cpurto m Svilo ktòfico dc& rìspeltha
ieileralata: Del (|iiiiilo mai GJIcziùae di S»^ èditi ed
■ifnfili «Topii lettenfam Tcrmàcob speciale: ad sesto
Smahnemte on Saggio di bìfaGopafn TcraàctìbL Per tal
■kmId Dotrìaiiio fondala sperama d'aver laccoila in
qaerfo Ifliro ima copia d" importanti malerialL uu^giof e
di quanto si è fUto sìnora. e di a^erquinfi aperta ed
asolata la rb aDo studio dei patrìi dialetti, scopo
fondamentale defle penose e loiq^he nostre invest^a-
xioni. Se quest'ardoo tentatiTo . die proponiamo come
Si^io. cottscii delle moltéplici sue imperiÌRiionL verrà
coronato dal pùblico CiiTore. ci proponiamo di conti-
nnare senza intermzione la poblicaiione d'altri amili
brorì ddìneati sullo stesso pbno e col medésimo scopo,
enandio per tutte le altre Cun^lie de^Ji italici dialetti,
pei €|oali abbiamo già apprestata doviziosa raecolta di
nom-i e pregévoli materiali.
(i> la prfsa di qoeae tic pvti fa scrìtta, scbbcse 'm^msa^msim orii-
, Cd a fofaiia di scapUce Botiiia , per le }S§tizie Mtemli e errili ni
tm LtmAmràia, Belle q«alì tottarii Tcm 'nwMMiiwralr nseriU.
PROSPErrO GENERALE
DEI
DIALETTI GALLO-ITALICI
I dialetti che ora si parlano nell'alta Italia divldonai propria-
mente in quattro famiglie distinte per radicali varietà di suoni ^
d'inflessioni^ di costruzione e di radici, e sono: la famiglia ti-
gurCj o genovese j la gatto-itàlica j la vèneta e la càmica o friulana.
La prima è ristretta nell'angusto lembo racchiuso tra la i^osla
marittima, che dalla foce della Magra si estende sino a Montone,
e l'Apennino ligure ; la càmica occupa solo V estremo àngolo orien-
tale alpino, ove confina coi dialetti slavi e tedeschi della Camiola
e del Tirolo; quasi tutta la parte orientale è quindi occupata dalla
vèneta famiglia, che dalle rive deli' Adriatico, comprese tra la foce
del Timavo e quella del Po , si estende fino al lago Itenaco ed al
Mincio, e dalla catena delle Alpi sino al Po. Per modo che, ol-
tre a due terzi dell' alta Italia racchiusa tra Y Alpi e V Apennino
sono occupati dalla vasta famiglia gallo-itàlica. Più partitamcnte
parlando, i naturali confini di questa sono: a settentrione, la catena
delle alpi rètiche, lepòntiche e cozie, che la dividono dai dialetti
romanzi , tedeschi e francesi della Svìzzera ; ad occidente le alpi
graje e marittime , che la separano dai dialetti occitànici della Sa-
voja e della Francia meridionale; a mezzogiorno, la catena degli
Apennini liguri e toscani sin oltre la Marecchia , i quali la divìdono
XLVI PROSPETTO CE>(ERALE
dai dialetti genovesi e toscani; ad oriente, le rive dell* Adriatico,
da Cattòlica sino alle foci del Po, e quindi, risalito il fiume sin
presso alla foce del Mincio, il corso di questo fiume, il Iago Be-
naco, i monti che dividono le valli della Sarca e del Mincio, e
finalmente T eccelsa catena camonia, che la separa dalle valli del-
TAdige. E qui gioverà avvertire, come a questa naturale divisione
dei dialetti itàlici settentrionali corrispóndano per avventura le
prische sedi dei pòpoli liguri, cèltici, vèneti e càmici, e quanto
pili verisimile appaja quindi la derivazione di quelli dalle antiche
lingue di questi primi invasori!
Hestringèndoci ora a favellare della sola famiglia gallo-itàlica,
e fondandoci sulle proprietà distintive degli innumerevoli dialetti
che la compóngono, ci si offre spontànea la prima sua divisione
in tre rami, che dalla regione rispettivamente occupata abbiamo
distinto coi nomi lombardo ^ emiliano e pedemontano. Sebbene pa-
recchi fra i dialetti componenti il primo ramo non appartengano
politicamente alla Lombardia propriamente detta, ed all'opposto
alcuni di quelli che vi si parlano spettino al secondo, ciò nullo-
stante l'abbiamo denominato lombardo ^ e perchè infatti il mag-
gior nùmero dei dialetti che lo compóngono, tra i quali i prìiK
cipali, sono parlati in Lombardia, e perchè in tempi non molto
da noi lontani la divisione polìtica meglio corrispondeva alla lin-
guìstica, che non al presente. I suoi confini sono: a settentrione
le Alpi rètlche e lepòntiche , dalla catena camonia sino al monte
Rosa; ad occidente, il corso del Sesia, che da questo monte sca-
turisce, sino alla sua foce nel Po; a mezzogiorno, il corso di
questo fiume dalla foce del Sesia fino a quella dell' Ollio, tranne
un pìccolo seno, il quale abbraccia la città di Pavia e i vidiù
distretti sino alla foce del Lambro e al tèrmine del Naviglio di
Uereguardo; ad occidente, una linea trasversale dalla foce del-
l'Ollio a Rivalta sul Mincio, indi il corso di questo fiume da Ri-
valla a Peschiera, il lago Benaco, i monti che dividono le valli
della Sarca e del Mincio e la catena camonia. b quindi manifesto,
che il ramo lombardo comprende i dialetti parlati nel regno Lom-
liordo, tranne il pavese e il uiantovano; i dialetti della Svizzera
ilaliiinn , ossia Cantone Ticinese ; e i dialetti del regno sardo com-
pri»! fra il Sesia, il Po ed U Ticino.
DEI DIALETTI GAIXO-ITAtICI. XLVII
Similmente abbiamo denominato emiliano il secondo ramo^
sebbene i dialetti ad esso spettanti occupino una regione pia
estesa dell'antica Emilia. Questa comprendeva bensì il paese rac-
chiuso tra il Po e l'Apennino da Borea ad Austro^ e da Lievante
a Ponente il lungo tratto che stèndesi da Rimini a Piacenza^ o
meglio dalla moderna Cattòlica alla Trebbia; ma il Po, due sè-
coli prima dell'era volgare, aveva un corso ben diverso dairo-
diemo, mentre, attraversando la grande palude Padusa, che in-
cominciava nel territorio mantovano meridionale e nel basso mo-
danese, e intersecando la pianura del bolognese, del ferrarese e
del romagnolo propriamente detto, metteva foce nel mare a Ra-
venna. Esso percorreva quindi l'alveo ora denominato Primaro e
percorso dal Reno, piegando ad Austro per raggiùngere Ravenna,
dalla quale ora dista per ben dieci miglia; e la sita foce era qua-
ranta miglia distante, verso mezzogiorno, dall'attuale bocca di
Maestra. Da ciò è manifesto , che l' antica Emilia comprendeva le
legazioni di Forlì e dì Ravenna, la romagnola ferrarese sulla de-
stra riva del Primaro, il territorio bolognese, tranne il distretto
di Poggio Renàtico, allora sulla riva sinistra del Po, il Modanese,
il Reggiano, il Mantovano cispadano, il Guastallese, il Parmigiano
ed il Piacentino sino alla Trebbia; per modo che n'era esclusa
la legazione ferrarese, adesso una delle più ricche e più estese,
ed allora vasta palude seminata di pìccole ìsole, o polesini. In
quella vece i naturali confini del secondo ramo, da noi detto emi-
liano , sono: a settentrione, il corso del Po da Valenza sino alla
saa foce nell'Adriatico, abbracciando ancora oltre il fiume i dia-
letti pavese e mantovano ; ad occidente e a mezzogiorno, una li-
nea trasversale, che da Valenza sul Po raggiunge serpeggiando T A-
pennino presso Bobbio, indi la cresta degli Apennini fino alla
sorgente della Marecchia , d' onde si prolunga fino a Cattòlica ;
ad oriente, le rive deirAdriàtico , da Cattolica sino alle foci del
Po. Esso adunque comprende i dialetti parlati nei ducati di
Parma e di Modena, eccetto i transapennini , i bolognesi, i ro-
magnoli, il mantovano, il pavese e i pochi ristretti fra il Po e le
falde deirApennino, nell'estremo lembo orientale del regno sardo.
Finalmente il ramo pedemontano è conterminato, a settentrione,
dai monti che divìdono i superiori tronchi della Val -Sesia e della
XLVIII PilOSPETTO GENERALE
Vallo d'Aosta dalle sottoposte valli del Cervo, dell'Orco e della
Stura; ad occidente, dalle Alpi graje e marittime; a mezzogiorno
dalle stesse Alpi marittime e dall' Apennino ligure; ad oriente, da
una linea trasversale serpeggiante , che congiunge Bobbio colla
* foce del Sesia, e quindi dall'intero corso di questo fiume.
Giova però avvertire, che queste linee, come quelle che ver-
remo in appresso e con maggior precisione tracciando, segnano
bensì la zona, lungo la quale un gruppo, o un singolo dialetto
si va mutsmdo nell'altro; ma non sempre, anzi quasi mai, un
confine di ràpido e deciso passaggio , poiché in generale i dialetti,
mano mano che si scostano dal centro del loro dominio, smarri-
scono a poco a poco le loro proprietà distintive, e vanno assimi-
landosi alle estreme emanazioni dei dialetti confinanti.
L'esposta divisione, come avvertimmo, è fondata sulle pro-
prietà distintive delle famiglie medésime e delle singole loro
membra; sebbene dai Saggi che siamo per pòrgere dei tre rami
gallo-itàlici, e da quelli che ci proponiamo publicare in sèguito
delle altre famiglie italiane, appariranno abbastanza manifeste le
radicali dissonanze, per le quali ima famiglia naturalmente distln-
guesi dalle altre, e divldesi in più rami, ciò nuUadlmeno, prima
di procèdere nei particolari, stimiamo opportuno proporre alcuni
esempi atti a chiarire la via da noi seguila nel corso di questi
studj.
La màssima parte dei dialetti gallo-itàlici ha comuni i suoni ti
ed ò affatto ignoti alle altre famiglie itàliche , la sola genovese
eccettuata, la quale d'altronde ne è chiaramente distinta per una
serie di proprietà diverse; in quella vece alcuni suoni sono co-
rnimi alla màssima parte dei dialetti d'un ramo ed ignoti agli
altri due; cosi il lombardo distlnguesi dall'emiliano e dal pede-
montano pel suono z, che questi non hanno; d'emiliano distln-
guesi pel suono a, mancante nel pedemontano e nel lombardo.
Simihnente ò proprietà distintiva e comune a tutti i dialetti
gallo-itàlici il troncare generalmente le desinenze delle voci, ciò
che avviene di rado nelle altre famiglie, tranne la sola friulana,
d'altronde chiaramente distinta per altre radicali impronte; ma
(]uesto troncamento medésimo varia alquanto tra loro, mentre
p. e. i verbi italiani terminanti in arcj che nei dialetti lombardi
DB! MALCTTI GALLO-ITAUCf.
XLDL
serbano la sola ci finale, negli emiliani terminano generalmente
in ar, e nei pedemontani in é:
Itauaih)
portare
andare
colare
pensare
LOSBARDO
porta
andà
ipolà
pensi
EnUAXO
portar
andar
volar
pensar
Pedcho^itaivo
porte
andè
9olè
pensè.
In pari modo variano con determinate leggi in ciascun ramo
le inflessioni dei participj e di tutte le voci dei verbi.
Così V emiliano e il pedemontano discordano dal lombardo per
la proprietà a questo ignota di elidere sovente le vocah radicali
nel princìpio e nel mezzo delle voci, come:
iTAUAIfO
bisogno
disotterrare
pizzicare
pesare
LOXBAROO
bisògn
desoterà
pizigà
pesa
Emiua^io
bsògn
dsotràr
pzighdr
psàr
PeDEH0!<ITA!(I0
bsògn
dsotrè
psighè
psè.
Per ùltimo la costruzione delle frasi fóndasi d'ordinario sopra
ona serie di leggi, parecchie delle quali sono comuni a tutti i
dialetti gallo-itàUci, mentre variano più o meno da quelle onde
la sintassi delle altre famiglie viene retta; ciò nuUadlmeno sovente
i Lombardi, ad esprìmere un medésimo concetto, fanno uso di frasi
diverse da quelle degli altri due rami, ciascuno dei quali pos-
siede a vicenda una doviziosa raccolta di radici di esclusiva sua
proprietà. Bastino questi pochi cenni a mostrare la via da noi se-
guita, e i càrdini fondamentali della di>1sione da noi proposta e
tratta dall'intimo organismo dei dialetti medésimi. A provarne
r esattezza, e ad enumerarne le varie eccezioni, varranno le mol-
téplici osservazioni, ed i copiosi esempi , che mano mano verremo
separatamente esponendo.
^
PARTE PRIMA.
DIALETTI LOMBARDI
CAPO I.
2. i. Divisione e posizione dei dialetti lombardi.
Divisio:ic. — Se nei dialetti lombardi consideriamo attenta-
mente le moltéplici dissonanze di minor conto, che li contradi-
stìnguono, indeterminato ne è il nùmero, e impossibile moa esatta
classificazione, mentre non solo ogni città ed ogni terra ha il
proprio dialetto, ma persino nel recinto d'una città medésima
parlasi dall' un capo all'altro con diverso accento e varia flessione.
Con tuttociò, se, afferrando le precipue loro variazioni e le pro-
prietà radicali più distintive, ne consideriamo il complesso ed i
rapporti, agevolmente ci si afiE&cciano ripartiti in due gruppi,
che per la posizion loro abbiamo denominato occidentale ed orien-
tale. Ciascuno di questi é rappresentato da un dialetto principale,
quasi modello, che racchiude in sé solo, e meglio sviluppate,
presso che tutte le proprietà distintive dei singoli suoi membri,
e intorno al quale tutti gli altri si ravvolgono con gradi più o
meno pròssimi di parentela. Questa affinità per altro sta per lo
più in ragione inversa della distanza dal centro comune, per
modo che i più vicini più si accostano al dialetto centrale, e i
più lontani, serbando appena le traccio d'un' affinità lontana, se-
gnano quasi il passaggio dall' uno all'altro gruppo, o dall'una al-
l'altra famiglia, colla quale si vanno mano mano assimilando.
La linea che, da settentrione a mezzogiorno scendendo, separa
con bastévole precisione questi due gruppi, incomincia dalla ca-
tena delle Prealpi orobie che divide l'estesa valle dell'Adda da
quelle dell'Ollio, del Serio e del Brembo, e percorrendone le creste
che separano la Val Sàshia dalle confluenti della Val Brembana,
« PàMTt. PUMA.
ngpmige l'Adda poco inferìonnenle a Leeeo^ iii£ ne segue il
eorso sino alla sua foce nel Po. deriàndoDe sol breve tratto verso
oriente, da Cassano cioè fino a Rnbbtano.
Il dialetto principale rappresentante fl gruppo occidentale si
è fl Milanese, e ad esso più o meno affini sono: fl Lodigiano, fl
Gmasco. fl Valtellinese. fl Bormiese. fl Ticinese e fl Verbanese.
n gruppo orientale è rappresentato dal Bergamasco^ al quale
sono strettamente congiunti, per eommii proprietà, fl Cremasco,
0 Bresciano e fl Cremonese.
Posizion. — D Milanese è fl più esteso fi tutti. Oltre alla prcr
▼inda di Milano occupa una parte deUa pavese fino a Landriano
e Bereguardo; e. varcando quivi fl Ticino, si estende in tutta la
Lomellina e nel territorio novarese compreso tra fl Po. la Sesia
ed fl Ticino, fino a pocbe miglia sopra ^vara.
Il Lodigianc si parla entro angusti limiti, nella brere lona
eompresa tra l'Adda^ il Lambro ed il Po, risalendo fino all'Ad-
detta nei contomi di Panilo: inoltre occupa un piccolo lembo
lungo la rÌTa orientale dell'Adda, intomo a Pandino e Rivolta.
n Comasco estèndesi in quasi tutta la provincia di Como, tranne
V estrema punta settentrionale al di là di Menagìo e di BeUano a
destra ed a sinistra del Lario; e in quella vece compraide la parte
meridionale e piana del Cantone Ticinese, sino al monte Cénere.
Il Faltellinese occupa colle sue varietà le valli alpine deU'Adda,
della Mera e del Uro, inoltrandosi ancora nelle Tre Pievi, lungo
la riva del Lario, in tomo a Gravedona, ed a settentrione nelle
quattro valli dei Grìgioni italiani, Mesoldna, Calanca, Pregallia
e Pusdrìavina.
L'estremità più elevata settentrionale deUa valle deU'Adda, cbe
comprende a un ^presso il distretto di Bormio, colla pìccola
valle di Livigno situata sull'opposto pendìo del monte GaUo, è
occupata dal dialetto Bormiese,
Il Ticitiese è parlato nella parte settentrionale del Cantone
Svìzzero d' egual nome, al norte del monte Cénere, in parecchie
varietà. Ira le quali distìnguonsi sopra tutto le faveUe deUe valli
Maggia, Verzasca, Leventina, Blenio ed Onsemone.
Il Ferbanese estèndesi tra il Verbano, fl Ticino e la Sesia,
dalle Alpi lepAntieiie fin presso a Novara, ed è quindi partalo
DlAUrm LOMBARDI.
lungo ambe le sponde del Verbano, spaziando ad occidente in
tutte le vallate che vi affluiscono^ ed insinuandosi nella più estesa
della Sesia colle sue affluenti del Sermenta e del Mastallone.
n Bergamasco confina a settentrione col Valtellinese, da cui
io divide l'alta catena delle Prealpi orobie; ad occidente col Co-
masco e col Milanese. Esso occupa le valli del Brembo e del
Serio, confinando ad oriente col Bresciano, e, giunto alla pianura,
si stende tra Y Ollio e l'Adda, scendendo fin sopra i Mesi dì Crema.
n Cremasco è una breve continuazione del Bergamasco, a mez-
K^omo del quale si estende sino alla foce del Serio, occupando
i soli distretti Vili e IX della provincia di Lodi.
Il Bresciano è parlato nell'estesa valle dell' Ollio, in quella del
disio fin entro il Tirolo, e lungo la riva destra del lago Benaco
fino a Desenzano; di là per una linea trasversale, che discenda
fino a Canneto sull' Ollio, confina col Mantovano.
n Cremonese per ùltimo giace tra gli indicati confini del Lodi-
giano, del Cremasco e del Bresciano, e la riva sinistra del Po, che
segue dalla foce dell'Adda sin presso a quella dell' Ollio, dove
confina col Mantovano.
2. 9. Proprietà distintive dei dìM gruppi occidentale ed orientale.
Tra le molte proprietà, onde gli orientali dialetti sono dagli occi-
dentali distinti, le più generali, costanti ed ovvie sono le seguenti :
Gli occidentali hanno varii suoni nasali, slmili ai francesi e
ignoti affatto agli orientali; e questi suoni tròvansi cosi nel fine,
come nel principio e nel mezzo delle parole:
lontano àndito imposta
lontàn àndeg anta
gtiardanidio incìdere
bene
ben
Italiano pane
D. Oc. pan
Italiano
D. Oc.
Italiano ptino
D. Oc. pth
Italiano
D. Oc.
sereno
serén
éndes
India
India
ptcctno
piscinin
buono divozione tingere
bon divozión óng
énsed
utensili
fUatojo
filanda
contenta
contenta
accipigliato
inguàtìguel ingrintd
unghia incontro
ótigia incónter.
In vece gli orientali sopprimono in fine di parola, e d'ordinario
andie nel mezzo, la lèttera n^ accentando la vocale che la precede :
O PARTE PRIMA
Italiano mano pane bene fine buono tuono
D. Oc. man pan ben fin bon tron
D. Or. ma pà bé fi bii tu
Italiano quanto contento solamente momento tante
D. Oc. quant contènt solamént moment tanti
D. Or. quat cuntét sulamét mumét tate.
Il suono tagliente ed aspro della z assai frequente nei dialetti
occidentali, e tanto più intenso e ripetuto quanto più si avvicina
alle montagne, ove sovente sta in luogo della s italiana, si cangia
all'opposto in ss negli orientali, ai quali è presso che ignoto.
Italiano razza acciajo azione grazia ozi^
D. Oc. razza azzàl azión grazia osi
D. Or. rassa assà assiti grassia om.
Gli Orientali sopprimono di frequente la lèttera v, permutàn*
dola alcuni in fòrte aspirazione, mentre gli occidentali non aspi*
rano laai.
Italiano camallo alari dolere ne secchio né gumne
D. Oc. ca^àl ca^edón dover né pèc né gi(hen
n Or ^ ^^ i caedà i doér gné ec gnè zùegn
Icahàl ìcaliedù idohér gné hèc gné zùhegn.
Da alcuni esempi già riferiti appare ancora come gli orientali
permutino di frequente la vocale o in Uj mentre essa rimane
sempre la stessa negli occidentali:
Italiano
fiore
vapore
paragone
lontanò
ortolano
D. Oc.
fior
vapor
paragón
lontàn
ortùlèn
D, Or.
fiiir
vapùr
paragù
luntà
urtuld.
Gli occidentali sopprimono la desinenza re nelle voci italiane
terminanti in ere^ accentando la vocale precedente, e cangiano
parimenti in é o é la desinenza italiana ajo, mentre gli orientali
terminano le stesse voci in ér:
Italiano barbiere sentiere candeliere pollqfo selUgù
D. Oc. barbe sente candite polé seti
D. Or. barbér sentér candilér pulér sdir.
DIALETTI LOMBAEDI.
Simihnente gli indefiniti dei verbi italiani nei dialetti occiden-
tali pèrdono tutta la sillaba finale re, mentre negli orientali ri-
tengono la r:
Italiano andare portare lèggere ùngere dire venire
D. Oc. andà porta lég mg dì vegni
D. Or. andar portar lézer ónzer dir vegnir.
L'occidentale termina d'ordinario i participj dei verbi in d^ o
in t ^ o in ù^ con suono prolungato quasi in doppia vocale, mentre
r orientale conserva sempre la caratteristica t del participio ita*
liano, mutandola solo talvolta in c^ e Tfi dell' occidentale in i:
Italiano portato
fatto
finito
cisto
bevuto
D. Oc. porta
fa
fini
pecifi
bev^
D. Or. purtdt
fac
finit
fpedtlt
beit.
^. 5. Proprietà distintive dei singoli dialetti,
Il^dialetto milanese j rappresentando il gruppo occidentale, e
raccogliendo quindi in sé solo i principali caràtteri comuni, è
meglio distinto da' suoi affini per le proprietà eselusive di cia-
scuno di questi, che non per le proprie. Se non che, essendo
parlato nel centro della lombarda civiltà, e trattato per ben tre
sècoli da una lunga serie di valenti scrittori, emerge fra gli altri
per dovizia di voci, politezza di forme e dolcezza di suoni, ac-
costandosi sempre più alla lingua àulica generale. Esso infatti va
perdendo tutto giorno i vocàboli più strani e più vulgari, ai quali
sostituisce mano mano i corrispondenti italiani, ed alle antiche
permutazioni di lettere, persistenti nelle campagne e nei vicini
dialetti, va sostituendo a poco a poco le forme dell'italiana fa-
vella. Per esempio, la passata generazione soleva cangiare so-
vente la / in r^ la f in c^ la d in g, dicendo scara j vorèj per
scala, volere j lèc, strec, per letto, stretto j [rèi per freddo e sl-
mili; mentre il Milanese d'oggidì preferisce le forme scala, volè,
lèt, strèt, frèd, ec.
La passata generazione faceva uso del passato assoluto nei
verbi che la presente ha àCEatto perduta, ed al quale sostituisce
8 PARTB PRIMA.
il passato composto coli' ausiliare; onde in luogo delle voci if<K>èj
disèj fèj per trwò, disse, fece, suole ora adoperare Va trow^
tà ditj l*à fa. Le quali antiche proprietà, serbandosi tuttavia in
vigore nella campagna e nei vicini dialetti, valgono precipua^
mente a separare da questi il Milanese propriamente detto. Esso
però distinguesi ancora dagli altri per la maggiore frequenza, e
pel prolungamento dei suoni nasali che vi prodùcono una spe-
ciale cantilena. Suddivìdesi quindi in civico e rùstico j il primo
è parlato dal pòpolo milanese; il secondo nelle campagne, ove
si parla con infinite varietà, e queste vanno a poco a poco assi-
milandosi ai più vicini dialetti.
Il Lodigiano, come tutti gli altri della pianura su minore su-
perficie diffusi, of!re un minor nùmero di varietà. Le sue proprietà
più distintive a poco a poco si smarrirono nel continuo commercio
colla capitale lombarda, e solo alcime sèrbansi ancora nelle più
appartate campagne, ed in particolare nella terra di s. Angelo,
e in quella parte inferiore della città, posta suU'Àdda, che si
cliiama Lodino. Le principali consistono nel terminare con vocale
i plurali dei nomi, al modo comune itàlico, dicendo : galli, sassi,
porte, scarpe, ec, il che si stacca da tutti i vicini dialetti. La stessa
proprietà estendèvasi nei tempi addietro anche ai singolari di
parecclii nomi, come scòrgesi nei Saggi da noi proposti dello
scorso sècolo, e come si suol pronunciare tutt'ora in alcune ap-
partate campagne.
Inoltre il Lodigiano suol permutare in én nasale la desinenza
im, dicendo: giardén, spén, azzalén, per giardino, spino, ac'
ciarino j proprietà comune eziandio al vicino dialetto Cremonese,
ed a parecchi fra gli emiliani, ai quali queste due favelle si vanno
assimilando. — Volge sovente To' dei Milanesi in u italiana, di-
cendo: fug, fura, ugi, invece di fog, fora, oc, ossia fuoco, fuori,
occhi, — Termina in e disaccentato gli indefiniti che negli altri
dialetti si troncano, come: iege, %fede, sente, dorme, per ^-
gere, vedere, sentire, donnire. — Pèrmuta in e Ta degli imper-
fetti nei verbi , dicendo: andana, portéf?an, laporéss, mangiéss^
per anda{?a, portolano, lavorasse, mangiasse, — Termina in di
i participj passati dei verbi irregolari, e in ài, ìt, iit quelli dei
verbi regolari, che il Milanese suol troncare in a, i, fi:
DIALETTI LOVBAEDI. 9
Italiano andato fallo sialo cantato sentilo veduto
Lodigiano andai fai stài cantàl sentii pecttiif
KQanese andd fa sta canta senti Qedu. ^
Questa proprietà è comune ai dialetti orientali, e quindi al
▼idno Gremonese, al quale il Lodigiano sempre più si accosta
nfso mezzodì, come verso Pavia e Piacenza agli emiliani. Nella
città peraltro tutte queste proprietà dileguano notevolmente ogni
amio, sicché è assai probàbile che in poche generazioni, eonti-
nnando l'attuale órdine di cose, il Lodigiano diverrà unsuddia-
letto de! Milanese.
I! Comasco cangia in ol l'articolo ed il pronome personale
il, eglij espresso dal Milanese colla voce elj come: ol f?entj
ol dàrj ol diSj ol cred, per il {>enlOj il lume, egli dicej egli ere-
de. — Serba la voce sémplice dei passati assoluti nei verbi,
proprietà comune non solo agli altri dialetti occidentali, come
accennammo, tranne il Milanese; ma altresì agli orientali, coi
quali il Comasco si fonde lungo il comune confine. — Inoltre
pèrmuta, come il Lodigiano, in e Ta negli imperfetti dei verbi. --*
Volge sovente in ng le desinenze nasali milanesi, Vs in Zj o
ìnzy e di mano in mano che, verso occidente, s'inoltra nei
monti, assume una successiva serie di leggere permutazioni si
nelle vocali che nelle consonanti, difficili a descrivere non che
enumerare, e che solo può rappresentare chiaramente la voce. —
Nel Comasco del pari che nel Valtellinese la $ impura prende, come
V V V V
nella lingua tedesca, il suono Sj dicendo stala, slatj spin, in
luogo di statta^ statOj spino.
Il F'altellinese si distingue dal Comasco e dal Milanese per
maggiore asprezza e più frequente concorso di sibilanti, per al-
cune forme esclusive di reggimento, e pel nùmero ragguardévole
di radici strane e forse vetuste. Se non che, sparpagliato quasi
per trenta ìniglia di lunghezza nella valle dell' Adda e nelle sue
eonvallì, non che in quelle della Mera e del Uro, benché lungo
la strada che percorre il fondo della valle serbi una certa uni-
formità, si suddivide in un gruppo di suddialetti, ciascuno dei
quali ha proprietà distinte di suono, di flessioni e di radici. I più
(btinti sono parìati nelle valli di Chiavenna, Pr pallia, Masino,
Malenco, Vennina e Roasco. Gli uni partecipano dei dialetti ré-
10 PARTE PRIMA.
liei della vicina Engadina, dai quali trassero parecchie forme e
radici; gli altri sono misti di radici germàniche; e mentre quelli
si distinguono dagli altri lombardi per la frequenza delle dolci
sibilanti e delle liquide romanze, questi fanno uso delle più aspre
tolte ai vicini e rozzi dialetti tedeschi.
Solo, e quasi isolato sulla vetta della stessa valle, il Bormkse
distaccasi da tutti gli altri lombardi, per la mancanza del suono
Uy in cui vece fa uso dell'aperta vocale toscana u. — ^ Pèrmuta
sovente in / la t, nei dittonghi ia, te, iUj dicendo: implenirjplu^
plauj clamar j o clamor j in luogo di ètnpierej piùj piano j chia-
mare e shnili. Queste due proprietà, costanti particolarm^ite
nelle voci latine d'egual forma, lo assimilano al dialetto rètico,
o romanzo, della vicina Engadina, alla quale in parte geografica-
mente appartiene, essendo T annessa vaile di Uvigno sul decli-
vio settentrionale deirAlpe. Ivi infatti s'accosta al rètico ancor
più che non lo stesso Bormiese , cangiando in er la desinenza dei
verbi italiani in are, come: fer, stèi*j comincièrj ^ev fare, stare,
cominciare j e volgendo sovente ìsl s e là g in s, Zj come: es,
foia, per seij foggia.
A spiegare questa dissonanza del Bormiese dai vicini lombardi
è da notarsi, come il contado di Bormio, dal Medio Evo sino ai
tempi dei Visconti, si reggesse con proprie leggi; come una forte
muraglia, della quale sopra vànzano alcuni rùderi, il dividesse
dalla restante Valtellina; e come ne' suoi Statuti, del 4500 incirca,
fosse inserito un appòsito capitolo de non habenda communione
cum hominibìés de Pialle Tellina.
Oltre alle accennate proprietà, il Bormiese suole terminare in r
gli indefiniti dei verbi che nei lombardi occidentali sono tronchi:
Italiano amare scrkere lèggere finire sentire
Bormiese amar scrìfper lézer finir sentir
MOanese ama scrif leg finì ^ senti.
Nella prima persona plurale dei verbi suole trasportare tra il
pronome ed il verbo la lettera m, caratteristica di questa per-
sona, non solo in tutti i dialetti italiani, ma in presso che tutte le
lingue derivate dalla latina, e termina quindi il verbo in vocale,
dicendo: no*m sèjno m"à, no 'm portai per noitiamo, «oiafr-
DIALETTI LOMBARDI. fi
ìj noi portiamo j le quali ùltime proprietà sono comuni al-
tresì al Ticino dialetto bergamasco, dal quale appijono derivate.
Come il Bergamasco, elide ancora talvolta il Bormiese la p^ nel
mezzo delle parole, dicendo: tornea j mangiàan, dda^ per tor-^
naoa^ mangiàpano^ dava. Per modo che possiamo riguardare il
Bormiese come anello che congiunge i dialetti lombardi ai retici,
e, tra i lombardi, gli occidentali agli orientali. Con tutto dò esso
distinguesi dagli uni e dagli altri per esclusivi caràtteri propri,
màssime nella costruzione e nelle radici, come vedrassi neir unito
Saggio di Vocabolario.
Il Ticinese, del pari che tutti i dialetti montani, varia non
solo da valle a valle, ma da luogo a luogo, per modo che so-
vente nella valle istessa distlnguonsi di leggeri tre o quattro dia-
letti diversi ripartiti in parecchie varietà. Ivi la sola proprietà,
che dir possiamo generale, consiste nella rozzezza delle forme e
dei sooni; ma sì le une che gli altri variano all'infinito, sicché
ardua impresa sarebbe il contrasegnarli ed enumerarli. Ivi, p. e.,
r artìcolo maschile prende successivamente le forme elj er, Oj
o/j Uj ulj nrj rOj ruj il saono duro della e viene raddolcito, o
scambiata a vicenda la vocale seguente in dittongo; cosi la pa-
rala carne vi assume le forme carn^ chiànij chèrn^ cMèrnj cem,
I partìcipj assumono da luogo a luogo varia flessione, termi-
nando in Val Maggia in ào o in èèj nelle Valli Verzasca e di Ble-
nio in òu o in èi/j ed in Val Leventina in ó:
Italiano
chiamato
cominciato
baciato
peccato
trovato
Mflanese
dama
comenzd
basa
pecà
trova
V. Maggia
ciamào
comenzdo
basào
pecào
truvào
V. Verz. e Bl.
ciamòu
menzòu
pasciòu
pecòu
trovati
V. Leventina
damò
comenzó
baso
pecó
trovo.
Nelle Valli Maggia e Leventina chcesi ancora nèèj dèèj ciamèc
per andato j dato^ chiamato j e in Val Verzasca stèiè,, trovèiòj tor-
neilj, per statOj trovato^ ritoìmato.
Dai quali esempi scòrgonsi ancora le permutazioni del 6 in p^
dell' o in u^ più o meno frequenti nella indeterminata serie delle
varietà. Ed è pure a notarsi, come la valle di Blenio, oltre alla
sìmiglianza coi dialetti liguri nel suddetto dittongo òUj ha eziandio
1^ PARTE PRIMA.
•
quella degli articoli Oj olj, roj rti. A spiegare questa moltiplicità
di dialetti in si angusta superficie^ oltre alle inòspite catene di
monti che interrómpono e rèndono malagévole il frequente com-
mercio tra le popolazioni che li parlano, è da notarsi ancora
l'influenza dei vicini dialetti romanzi e germànici, i quali, tra le
vicende politiche di molti sècx)li, penetrarono a vicenda nell'una
o nell'altra vallata. Ond' è, che i dialetti delle valli Leventina e di
Blenio distlnguonsi ancora, per molte radici e forme romanze, da
quelli delle vicine vallate, corrotti da forme e radici germàniche.
Il f^erbanesCj, essendo diffuso sopra una superficie assai più
^ vasta, lungo ambo le sponde del Verbano, e di là sui più erti
monti occidentali e per entro le appartate lor valli, ed essendo
inoltre a contatto coi dialetti Milanese, Comasco, Ticinese e Pie-
montese, non che coi germànici del vicino Valiese, che da età
rimota penetrarono nelle valli italiane del M. Rosa, ove tutt'ora
sono in parecchi villaggi parlati (1), offre una moltitùdine di va-
rietà, cui toma pressoché impossibile determinare. Ivi i suoni
delle vocali percórrono da luogo a luogo tutta la scala delle in-
determinate loro graduazioni, e quindi vi appàjono distinti i suoni
dei dittonghi aCj ovvero a ed ouj ignoti agli altri dialetti lom-
bardi. — Ivi é frequente la permutazione della u italiana in t ^
che gli altri Lombardi cangiano in iij dicendo tic per iuiU^ polii
per voluto ; e inversamente della t italiana in tii ^ dicendo priimmaj
viistu, per primaj i>Ì8to, — Più frequente vi é il concorso delle
sibilanti più aspre, e la permutazione della Hn c^ slin fine che
V Va
in mezzo delle parole, come: strècj naCj dtcciUy facciUj quancij
per stretto j andato j detto j fatto j quanti, — In quella vece il
suono dolce della e vi è sovente permutato in s, dicendo pansciaj
porsceij per pancia j porci; ed il suono della g in z, dicendo
zàimuj seria j per giovine j gerla.
Proprietà esclusiva e rimarchévole di questo dialetto si è an-
cora Tuso di trasportare il pronome personale, che fa le veci di
attributo , dopo il verbo, al quale viene suffisso , anche formando
(i) Vcggasj il nostro Prospello delle colonie straniere in Jlalia, inserito
neW^énnuario Geogràfico Italiano, publicato dairuflìcio di Corrispondema
fcografica io Bologna , 1 84tf.
DIALETTI LOMBARDI. i3
pleoiiasnio, come: l'à dkciughij ch'a venmij l'è taccassij l'à
iHUiulu^ t ò truvallu, i ò mai disubideovij t «erpipt, mentre tutti
gli altri dialetti serbano la costruzione italiana : gli disse ^ che mi
viene^ egli si è attaccato j lo ha QistOj io l'ho tiv^atOj io non p'ho
mai disubbidito j io pt sefvo, — Raddoppia per lo più le conso-
nanti nelle parole piane ^ e più sovente la m facendola nasale,
come: mattila eruppi j crapiccAi^ stimma, prUmmaj mangiumma,
per figlio, crepo, capretto, stima, prima, mangiamo.
Queste ed altretali dissonanze imprimono nel Verbanese un
aspetto assai diverso da quello di tutti gli altri, màssime nella
regione posta fra la riva destra del Verbano e la Sesia, ove serba
ancora doviziosa raccolta di voci strane ed originali. Ciò nuUo*
stante, verso oriente e mezzogiorno, esso va assimilandosi al Mi-
lanese, come verso occidente va fondendosi nel Piemontese che,
oltre all'èssere vicino, vi esercita eziandio la sua politica influenza.
Fra tutte queste indescrivibili varietà del dialetto Verbanese,
penetrando nei monti, òdonsi ancora sovente, in mezzo alle tronche
vod lombarde, le aperte e liquide vocali comuni, le aspirazioni
fiorentine, le nasali livornesi, e persino gli accenti spagnuoli e
francesi, importati dagli abitanti nelle continue migrazioni che
da sècoli sogliono fare a diverse parti d'Europa, per esercitarvi
certe arti, che si possono dir quasi proprie di ciascun villaggio.
In prova di questa osservazione soggiungiamo qui in calce il
prospetto delle arti proprie degli abitanti di tutta la Val Sesia,
comprese le sue convalli, e della Riviera d'Orta, notando i luo-
ghi^ ove sogliono annualmente recarsi ad esercitarle (1); e sa-
(i) Nella Val-Sesia e sue comvalli.
Mandamento di f'arallo.
Breja — Tessitori e Coloni in patria.
Camasco — Calzolaj ed Arrotini a Milano.
CampeUo — Peltraj in Germania, e Negozianti in Augusta e a Torino.
Cervardo — Tessitori in Lomellina.
Cervatto — Albergatori e Imballatori nella R. Dogana a Torino.
Ci V lasco — Osti in Ispagna^ Peltraj in Germania, Stuccatori in Francia
e Coloni in patria.
Cravagliana — Tessitori in Lomellina, Calzolaj in Piemonte.
Crèvola — Secchionaj e Mastellini per l' Italia.
1^ PARTE PRIMA.
rebbe pur desideràbile, che simigtianti notizie venissero raccolto
in tutte le valli racchiuse fra il Monte Rosa e il Monte Adamo ^
Fobello — Albergatori, PizzicàgnoU, Osti e Camerieri a Torino.
Locamo — Calzolsj in Piemonte, Muratori io Francia.
Morca — Pescatori, Calzolaj e Muratori io Savoja.
Morendo — Calzolaj in patria ed ai varii mercati della provincia.
Parone — Calzolaj , Secctiionari e Coloni.
Quarona — Calzolaj a Milano , Falegnami a Torino, Agricoltori In patria.
Rimella — Albergatori, Cuochi, Camerieri e Domèstici a Novara, Ver-
celli e Torino; Muratori, Legnajuoli e Agricoltori in patria.
Rocca — Falegnami a Torino, Calzolaj e Agricoltori in patria.
Sabbia — Tessitori in Lomellina, Calzolaj in Piemonte, Pastori in patria.
Valmaggia — Legnajuoli e Calzolaj nel Novarese e in Piemonte, Ottoni^
a Varallo.
Varallo — Negozianti di vario gènere.
Vocca — Muratori in Isvizzera.
Mandamento di Scopa,
Alagna *~ Stuccatori e Scalpellini in Francia e nella Svizzera.
Balmuccia — Muratori in Francia e Svizzera , Calzolaj . in varie parti
d'Italia,
noccioleto — Muratori e Stuccatori in Francia e Svìzzera.
Campertogno — Stuccatori e Muratori in Francia.
Carcòforo — Muratori e Stuccatori nella Svìzzera, Peltraj a Milano.
Ferrate — Secchionaj giròvaghi per V Italia.
Fervente — Muratori e Stuccatori in Francia e Svìzzera.
Molila — Stuccatori e Muratori in Francia e Svìzzera, Fabbricatori di
chiodi in patria.
Pila — Calzolaj e Secchionaj per T Italia.
Piede — Calzolaj e Secchionaj per Pltalhi.
Rassa — Legnajuoli e Calzolaj nel Milanese, e in varie parU d'Italia.
Rima — Stuccatori e Muratori in Francia e nella Svìzzera.
Rimasco — Stuccatori e Muratori in Francia e Svìzzera, e Secchionaj in
Italia.
Riva — Stuccatori e Muratori in Francia, Fabricatori di ribebbe in patria.
Rossa — Stuccatori e Muratori in Francia.
S. Giuseppe — Stuccatori e Muratori in Francia e nella Svìzzera.
Scopa — Stuccatori e Muratori in Francia, Calzolaj e Falegnami in Italia.
Scopello — Calzolaj In Piemonte e a Novara.
Mandamento dì Borgoscsia.
Agnona — Faicgnanii e Calzolaj in Piemonte e nel Milanese.
Aranco — Falegnami In Piemonte, Agrìcoli in patria.
DIALETTI LOMBARDI. Itt
dò che, non solo porgerebbe la cagione di alquante stranezze
proprie di quei dialetti, ma spiegherebbe altresì molte partico-
larità di maggior momento.
Borgosesia. — Ne^OKianti di vario gènere e Vetturali.
Cellio — Tessitori ia patria e Falegnami in Piemonte.
Doccio — Muratori in Francia, Secchionaj giròvaghi per l'Italia.-
Ferrata — Tessitori in patria.
Foresto — Agrìcoli in patria, Secchionaj giròvaghi per Tltalia.
Isolella — Fabbrl-ferraj in patria, Secchionaj nel Milanese.
Valduggia — Calzolaj, Falegnami e Fonditori di bronzi.
RiviEiA d'Oita SuPEiioas.
Alzo — Osti a Roma e nella Spagna.
Ameno — Muratori e Scalpellini a Torino ed in patria.
Armeno — Commercianti a Livorno, Pastori in patria. Coloni sul Novarese.
Àrola — Calzolaj a Pavia e nella Spagna, Carbona] ia patria.
Arto — Calzolaj e Carbonaj in patria.
Bolleto — Osti a Roma e nella Spagna.
Carcegna — Ottona] a Piacenza, Osti a Roma, Calzolig a Brescia.
Cèsara — Calzolaj ed Osti a Genova ed a Roma, Carbonaj in patria.
Coirò — Calzolaj a Pavia e Soresina, Pastori in patria.
Corcogno — Giuratori in patria.
Isola s. Giulio — Osti nella Spagna.
Miasino — Muratori e Scalpellini in patria.
Nonio — Osti a Roma ed in Ispagna.
Orla — Osti in Ispagna.
Pella — Osti nella Spagna.
Pettenasco — Osti nella Spagna e Scalpellini in patria.
S. Maurizio d'Opaglio — Osti in Ispagna ed a Roma.
Vacciago — Scalpellini e MercaUnti a Milano, Muratori e Scalpellini in
patria.
Riviera d'Orta I?)Feriore.
Auzate — Peltraj ed Osti a Roma.
Bolzano — Muratori e Scalpellini a Pavia ed in patria , Falegnami a
Torino.
Bugnate — Osti a Roma, Peltraj in Germania.
Gargano — Conciatori di pelli, Fabricatori d'i stoviglie in patria, e Cal-
zolaj a Soresina.
Gozzano — Ottonaj a Torino ed a Milano, Peltraj In Germania, Pizzicà-
gnoli a Roma.
Pegno — Peltraj in Germania, Osti a Roma, Milano e Spagna.
Soriso — Calzolaj e Conciatori di pelli in patria, Osti a Roma ed in Ispagna.
S
Ì6 PARTE PRIMA.
Il Bergarmsco possiede per eminenza lo proprietà distinlive
dei dialetti orientali^ e sono: le gutturali aspirate, le permuta-
zioni del z in s^ dell' o in xi^ ed altre più sopra mentovate; nia
vi aggiunge ancora alcune forme al tutto sue. Esso, C4)me si è
notato, parlando del Bormiese, ha un modo strano di formare la
prima persona plurale nei verbi interponendo fra il pronome
ed il verbo la sillaba ma^ o l'inversa am^ invece di sufTiggere
al verbo stesso la caratteristica m^ come: nóter (cioè noi altri ^
Fr. tìoìis aulres) ma scrifj noi scrkiamoj nóter am turna^ noi
ritorniamo j nóter am durmaj noi dormiamo j nóter m^ andare ^
o am portare j noi andremo o porteremo. — Muta sovente la i
e la j in gi, dicendo ucasgiiij scalgiù^ per occasione j scaglione j
e questo modo accompagna la pronuncia dei Bergamaschi, come
quella dei Vèneti, eziandio c[uando parlano Italiano, onde profe-
riscono familgiaj elgi, quelgij per famiglia^ eglij quegli, — Aspira
le sibilanti, dicendo hervOj hovràj per sen^o, sovrano, E qui vuoisi
osservare, che questa proprietà forma appunto uno dei principali
distintivi fra la lingua latina e la greca , in quelle radici che
hanno comuni, come: serpo j salj sylva^ che il Greco aspira in
herpOj halSj hyle, — Nelle valli superiori T aspirazione si fa più
frequente e più forte, e toglie il posto alla s^ altresì quando è
precedutxi o seguita da consonante; cosicché le voci italiane ca-
stello^ costUj pensare^ pestare^ grosso , rosso ^ si odono aspramente
mutilate in cafUèlj cohtOj penhàj pehtà'j groh^ ruh. — Pèrmuta
la desinenza italiana ìa in éa ^ dicendo cumpagnéuj ostaréa o
ohtaréaj malatéa^ per compagnia^ osterìa , malattia. — Suol
terminare in è le parole tronche terminate negli altri dialetti af-
fini in { e d:
Italiano gatti pianeti fatti stati scudi freddo nudo e crudo
Bergamasco gaè pianéc faè staè sedè frèè niiè e eroe
feesciano ) , ,,...-.
r i gat pianet fat stat sciid frcd nua e crua.
Cremonese ) ^ '^ ' '
Qui però è da notarsi, che questa permutazione nei participi ed
in alcuni nomi ha luogo solamente al plurale, dicendosi anche
dal Bergamasco ol gat^ l'è andata nel singolare.
Il CremascOj il quale, come abbiamo detto, continua sin presso
DIAI^ETTI LOMBARDI. 17
alU foce del Serio il dialetto Bergamasco, se ne allontana solo
per le men frequenti elisioni del p e deirn^ di modo] che, se
per la comunanza delle proprietà può riguardarsi come un sud-
dialetto del Bergamasco, d'altra parte, per la poca loro intensità,
segna il trapasso al Cremonese. Un distintivo da notarsi in esso
&, che nelle desinenze italiane in trcj iri^ tro^ drcjàrij droj
cmiserva lo stesso órdine di lèttere, mentre negli altri è invertito
il posto delle ùltime :
Italiano mentre altri dentro padre ladri quadro
Cremasco mentre altre dentre padre ladre quadro
Bergamasco) déter , . ,,.
Cremonese S ''^''^'' ^''^'* dénter P«^^ ^^^^'^ 9*'«^'-
In generale, come dialetto di pianura, è meno scabro del Ber-
gamasco e del Bresciano, e, per la poca superfìcie sulla quale è
parlato, non offre altra varietà che la consueta distinzione del
dialetto rìistico e dell' u?*6ano; che anzi nella città, non solo è
più copioso di buone voci della comune lingua italiana, ma per
la passata intimità e alcune parentele delle famiglie più cospicue
colla nobiltà vèneta, accolse parecchie voci di quell'elegante
dialetto.
Il Bresciano serba pure presso che tutti i distintivi del Berga-
masco, sebbene meno intensi; vale a dire, ha meno forti e meno
frequenti le aspirazioni, le quali non vi hanno mai luogo nel
mezzo delle voci, al posto della s; e meno frequenti ancora le
elisioni della n^ màssime nel mezzo delle parole. Del resto esso
partecipa dei suoni e delle forme del Bergamasco per modo, da
potersi riguardare come un suo pròssimo suddialetto. Se non che,
essendo esteso sopra vastissima superfìcie, dalla catena Camonia
alla pianura mantovana, e confinando per oltre cinquanta miglia
coi dialetti vèneti e col Mantovano, offre parecchie varietà, le
quali, di mano in mano che si allontanano dal centro, si vanno
assimilando a questi. Perciò esso ha un Vocabolario più copioso
che non gli altri suoi aflini , riunendo alle voci di questi ed alle
proprie parecchie radici tolte ai dialetti vèneti ed emiliani. Le
>'arietà superiori pòrgono sopra tutto una serie importante di
>oci che si riferiscono alla pastorizia ed all'agricultura, come
IH PARTE PRIMA,
lungo la Riviera del Benaco se ne sèrbiìno parecchie apparte^
nenti alla nàutica ed alla meteorologìa.
Il Cremonese è fra gli orientali il più distinto dal Bergamasco.
Situato fra gli Emiliani ed i Lombardi d'ambi i gruppi^ esso è
piuttosto un dialetto Ibrido e misto degli uni e degli altri ^ che
non originale e distinto. Infatti^ lungo la zona che accompagna
la riva sinistra del Po^ segna il trapasso dal Lombardo airEml-
linno^ assumendo parecchie proprietà distintive di questo; mentre
a settentrione si confonde col Bresciano e col Cremasco, e ad
occidente col I^digiano, col quale ha comuni parecchie proprietà
normali. Esso non suole mai elidere^ come gli altri orientali, le
consonanti p ed ny ma in quella vece fa uso di suoni nasali; ed
in vìò pure si distacca dagli occidentali^ pronunciando alquanto
aporta la desinenza òn^ e permutando la in m én^ come:
Italiano padroihe timofie ragione spino fine giardino
Cremonese padròn tiinòn ra::òn spén fén giardén
D. ()r. padrà tinm rasi spi fi giardi
I). ih, padrón timón rasón spìn f%n giardin.
QiiOMta proprietà, comune eziandio al Lodigiano, segna appunto
11 trapasvso dal Lombardo all'Emiliano, che pèrmuta per lo pi6
qut^lle desinenze, come vedremo, in òun^ èin^ ùpipnre in òn_, éfi.
I>el resto il Cremonese ha comuni cogli orientali le seguenli
proprietà: pèrmuta in é la i finale accentata, dicendo cAe^ fnéj
lié, <>«(», per qtii^ mi o mCj dij cosij' — volge sovente la o in Uj
dicendo urtulàn^ fiàry odiiTj per ortolano j fiore^ odore j — e
la u In «, dicendo giòst, gòst,, tòt, lòm, per giusto^, gusio^ tuttOj
lume. Termina in ér le voci italiane che finiscono in ere ed ajoj
lui I pnrticipj dei verbi in àt^ %t^ Ut.
^. 4. Osservazioni grammaticali in generale.
Niella <'4>mplessiya grammaticale struttura tutte queste varie
f(tvitil(! sono collegato da uno stesso principio ordinatore, comune
aUu lingua italiana, e quindi in parte alla latina ed alla greca,
''d in parte ai cèltici dialetti; ma, in onta a questa complessiva
'•^uaUmh di forme, si allontanano sovente dalle une e dagli altri,
te al«tff)i pnnti cardinali, dai quali appare manifesto, che estranei
DIALETTI LOMBARDI. 11^
dementi, dì natura diversa, contribuirono altresì alla loro forma-
tone.
Tutti i dialetti lombardi fanno uso di articoli e dì preposizioni
per declinare i nomi, se è lécito chiamare declinazione qualche
iieye* modificazione intesa a distìnguere, solo in alcuni nomi, il
gènere ed il nùmero, giacché mancano onninamente i casi. Gii
articoli variano di forma dall'uno all'altro dialetto, e sono: pel
maschile determinato, el^ olj Uj ulj ur^mj per T indeterminato,
MI. òn^ ù^ un; pel determinato femminile, la^ raj per l'inde*
lerminaio, ona, òna^ rtOj una. Nel plurale, il determinato è per
lo più ano solo per ambi i gèneri, dicendosi ugualmente i galj
I pégor^ per i gatti ^ le pècore. Le preposizioni sono idéntiche alle
italiane, cioè de^ a^da^ iUj couj per^ sUj ec, e, come in tutte le
lìngue neolatine, vengono contratte negli articoli, onde supplire
alla mancanza dei casi, formando del o dol, alj dal, tiel, col,
tùly ovvero dela, dola^ ala, data, ec.
L'articolo per lo più è il solo distintivo dei nùmeri, tranne
alcune eccezioni. Queste hanno luogo nel Milanese in alcuni nomi
irregolari, nei quali la desinenza cangia al plurale, come òm,
uomo, che fa àmen al plurale; in tutti i nomi terminati in la,
che al plurale finiscx)no in t^ come: optarla, eresia, che fanno
ostarij eresi, e simili; ed in alcuni altri casi. Il Lodigiano, come
accennammo, distlnguesi fra tutti gli occidentali, per l'uso di
terminare con vocale i plurali dei nomi , dicendo el gatj i gali,
la oà, le case; esso in conseguenza ne forma, non però sempre
eccezione. Cosi il Bergamasco, e con esso la maggior parte dei
dialetti orientali, suol permutare la i finale in e, nel plurale dei
nomi e dei participi, dicendo ol gal, i gaè, ol fatj i faè, e sl-
mili. Si danno parecchie altre eccezioni, cosi in questi, come
negli altri dialetti, cui lungo sarebbe enumerare; ciò nullostante,
generalmente parlando, l'articolo è per lo più l'esclusivo indica-
toro del nùmero nei nomi lombardi.
I gèneri sono due, maschile e femminile; e questi pure sono
per lo più contrasegnatì dal solo articolo, poiché, essendo i nomi
il più delle volte tronchi, mancano della caratteristica finale, che
'm tutte le lingue e in tutti i dialetti neolatini é sempre una vo-
cale; nei pochi eccettuati peraltro la terminazione o segna il
30 PARTE PRIMA.
maschile; a il femminile singolare ; t ed e i rispettivi plurali. Qui
però è d'uopo avvertire, che non sempre il gènere dei nomi è
lo stesso nei dialetti e nella lingua italiana; ma talvolta è fem-
jnìnile in un dialetto quel nome, eh' è maschile in italiano, o ifr*
versamento, dicendosi, on per ^ l'ombrèlaj la tegnola per una
peruj t ombrello j il pipistrello j e slmili; la qual dissonanza ap^
pare di gran lunga maggiore, se si confrontino i dialetti lombardi
col latino idioma, che pur ebbe tanta parte alla loro formazione.
Essendo quest'osservazione di somma importanza nello studio
comparativo dei linguaggi, è manifesto, che farebbe cosa molto
ùtile alla scienza chi, apprestando una lista dei nomi lombardi
discordi nel gènere dagli italiani e dai latini, instituisse poscia im
confronto col gènere dei loro corrispondenti nelle antiche favelle
conosciute dei Celti, degli Etrusci, dei Greci e dei Teutoni, ciò
che porgerebbe un nuovo elemento per la scoperta dei rapporti
e delle orìgini.
Quanto ai nomi propri, essi vengono declinati in generale,
come in Italiano, colle sole preposizioni; rade volte cogli articoli;
in essi per altro, più che il modo d'inflètterli, richiede partico-
lare osservazione la strana forma materiale, sopra tutto nei nomi
di villaggi, di monti, di torrenti e di fiumi, dei quali sovente si
cercherebbe invano congrua interpretazione, o qualche spontaneo
rapporto, nella lingua del Lazio. Che anzi parecchi fra questi
tròvansi con egual forma, e talvolta eziandìo con parità di circo-
stanze, ripetuti in Francia e persino nella Gran Brettagna, mani-
festando assai probàbile derivazione dai cèltici dialetti, i quali
soli ne pòrgono bastévole spiegazione. Ond' è pur evid^ite^
quanto sarebbe ùtile impresa il raccògliere ed ordinare il mag-
gior niunero possìbile di questi nomi nel nostro paese, instituendo
un confronto con quelli delle altre regioni, onde poi rintracciarne
l'interpretazione nelle lingue ivi un tempo parlate. Ad offerire
un saggio eziandìo di questo prezioso elemento, avevamo intra-
preso laboriose ricerche, e riuniti alcuni materiali, quando fummo
avvertiti, che appunto su questo argomento altri stava ccm pa*
zìenti e coscienziosi studi lavorando; sicché, neUa speranza di
vedere quanto prima publicato questo nòbile tentativo, con
maggior copia di notizie e più maturati giudizj, abbiamo nnan*-
DIALETTI LOMBARDI. 3j
ciato all'impresa^ contenti dì accennare a questa particolarità
dei nostri dialetti^ ed alla irrefragàbile importanza della medésima.
Gli aggettivi subiscono le stesse modificazioni dei nomi.^ coi
quali devono concordare in gènere e nùmero. Per la formazione
dei gradi, ricévono a vicenda gli aumenti^ ossia le terminazioni
in, inoj ely eia, etj etta pei diminutivi; Ofi^ onoj aa^ aséia per gli
aumentativi e peggiorativi; issemj issema pei superlativi; i quali
aumenti equivalgono esattamente alle corrispondenti desinenze
italiane tit^ ina, elio, ella, etto, ella, one, ona, accio j accia j
immo j issima. Si fanno pure comparativi e superlativi, al modo
italiano, premettendo loro gli avverbi piii, molto , e simili. Nes-
suna legge determina il posto che occupar devono nel discorso;
ma il solo uso prescrive d' anteporre gli uni, e di posporre gli
altri al nome cid vanno uniti; cosi dìcesi ón bel òm^ ón òm long
e mlilj né é lécito, senza offèndere T orecchio, invertirne il po-
sto^ dicendo ón òm belj ón long e siitil òm.
1 numerali serbano pure la forma italiana o latina, più o meno
corrotta, essendo in tutti i dialetti lombardi ordinati in diecine,
centinaja, ec. Solo è da notarsi che, mentre in Italiano sono tutti
indeclinàbili, tranne il primo, nei nostri dialetti invece i primi
tre, quando sono imiti a qualche nome, contrasègnano il gènere
con varia flessione, dicendo, ón òm ^ dil mnen, tri òmen^ óna
dona, dò dòn, tre dòn. Di più , quando il primo è astratto, o di-
nso dal nome al quale si riferisce, si cangia in viin, viina, giiin,
giUna.
I pronomi sono gli stessi dei quali fanno uso tutte le lingue
indo-europee, ed alcuni si accostano colle forme ancor più ai
cèltici che non agli italiani , sebbene siano comuni del pari a
quelle lingue. I pronomi personali, p. e., non distìnguono nei
nostri dialetti., con appòsita voce, il caso retto dall'obliquo, o il
nominativo dall'accusativo; mi o me, ti o té. Iti e le, sono eguali
in tutti i casi del singolare; come nii, o nwUj o nóter, vti,vóter o
^ujòller, lur, lor, i, le. per i plurali. Il solo pronome là si cangia
talvolta nel nominativo in elj dicendo el dis, el créd, per egli
dice, egli crede j ma per lo più forma pleonasmo, accompagnando.,
e quasi rinforzando il primo, essendo più frequente l'altra forma:
IH el din. Iti el créd, come pure pel femminile, le la dis, le la
u
PARTE PRIMA.
créd. Tutti gli altri pronomi sono mere corruzioni degli italiani^
e come questi^ in parità dì circostanze^ sono declinati ora colle
sole preposizioni^ ed ora eziandìo coir articolo.
Nella conjugazione dei verbi prevalgono generalmente le forme
e le inflessioni dei verbi italiani^ sebbene alquanto corrotte e
variate. Quindi tutti i dialetti lombardi fanno uso dell' ausiliare
af^erCj per la formazione delle voci passate mancanti^ e dell* au-
siliare èssere per le passive^ le quali mancano onninamente. Troppo
lungo sarebbe per avventura T enumerare e precisare le tante
variazioni che le caratteristiche dei verbi subiscono in ogni modo
e tempo, e in tanti dialetti; siccome peraltro serbasi in queste
per lo più una certa regolarità costante che si può bastevolniente
rappresentare in due soli modelli di conjugazione^ così abbiamo
preferito metter questi sott' occhio, in forma di tàvola comparativa,
nei dialetti rappresentanti ciascun gruppo , racchiudendo essi in
maggior copia le forme e le proprietà dei loro affini, tranne
poche eccezioni che noteremo a parte.
MILANESE BERGAMASCO
Modo Indefinito (a).
ITALIANO
2"empo presente
porta
porta
port;ire
Tempo passato
ave porta
ai '
yl \ portai
aver portato
Tempo futuro
ave de porta
l^ì j de porta
aver da portare
Gerundio
portànd (6) portando
portando
Participio
porta (e) portai
portato
Modo Indicatno.
Tempo presente.
mi pòrti
me pòrte
io
porto
l! té pòrtet
té tè pòrtet (d)
tu
porti
lu et pòrta
lù '1 pòrta
egli
porta
nun pòrtem
nti pòrtem {e)
nòteram pòrta {f)
noi
portiamo
v5òUer ( ^^^^
voler i P«''«
voi
portatt
lor pòrien
lur ì p
orla
egHnt
[> portano
DfALrrri LcniBARDi.
K
Tempo Pattato Pràttimo.
mi
ti té
lùei
non
\ portava (g)
) portavi
porlàvet
portava
portàvem
Sn^r {-"-f
rujòller
lor
\ porlàvan
ì portàven
me
té tè
lù '1
portàe
porlàet
porlàa
porlàem
nu
nóter am porlàa
vu
vóter
tur i
porlàef
porlàa
io portava
tu portavi
egli portava
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voi portavate
èglino iKirtàvano
Tempo Pattato Perfotto (A).
mi
ti
iQl'
non
'et
a
o
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Tiàltcr ( .
vùjòlter I ®^'
tor
an
me porle, o^, ò
té tè portèsset, t'è
lù U porte, rà
nu por tèssera, èm
nóter am porle, m'à
vóter 'P^''^^''^^' (i
lur i porle, i à (i) /
o
S'-
io portai, 0V9. ho
tu portasti, hai
egli portò 9 ha
noi portammo, ahb.®
voi portaste, avete
èglino portarono, hanno
e
O
Tempo Pattato Rimoto.
mi
lite
là 1'
Dòn
viàlter
viyòlter
lor
mi
lite
lùel
nnn
r
li
aveva
avevi
avévet
aveva
avévem
j avévef
avéven
porta ró
I portare
) portarci
porlarà
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1
me
té V
tu 1'
nu
nóter m*
vu
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tur i
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ìa
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ìa
o
io
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noi
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avevi
aveva
avevamo
S*
Viàlter /«^^,«„«
TiMòlter {P^^^"
lor porlaràn
Tempo Futuro,
me porta rò
té tè portare
Ili 'I portare
nu portarèm
nóter am portarà
vóter 1 P^'***"
tur i portarà
voi avevate
èglino avevano
io porterò
tu porterai
egli porterà
noi porteremo
voi porterete
èglino porteranno
94
PARTE PRIVA.
ToBpo Fotoro Passato.
mi
ti té
lù r
ntin
viàller
vùjòller
lor
Itvro
I avaro
\ avré
t avare
^avrà
i avara
^avrèm
i ava rem
avri
avari
\ avràn
i avaràn
o
as-
me
té V
lù V
avrò
avre
avrà
nu avrem
nóter ra' avrà
vu è
voler *
lur I
avrà
€h* ci
che
porta
porta
porlèm
porte
pòrten
che mi
che ti té
che IQ el
che nùn
porta
pòrlcl
porta
pòrtem
che lor pòrten
Modo ImperalÌTO.
porta
al porte IQ
portèm
porte
eh' i porte
Modo Congiuntko.
Tempo Presente.
che me porle
che té tè pórtet
che lù '1 pòrte
che
pòrtem
f nóter am porte
•^"«l voler >Ttéehei
io
tu
avrò
avrai
egli avrà
noi
avremo
\oi avrete
èglino avranno
porta
porti
portiamo
portate
portino
che lur i
porte
eh' io
che tu
eh* egli
che noi
che voi
eh' eglino
sa
che mi
che ti té
che lù el
portàss
portàsset
|)ortàss
che nùn portassero
vùjolt
che lor
Tempo Passato Pròssimo.
che me porlèss
che té tè porlèsset
che lù '1 portèss
. . I nu porlcssem
) nòter am portèss
portàsseolchè lur i portèss
ch'io
che tu
ch'egli
che noi
che voi
ch'itine
porti
porti
porti
portiamo
portiate
portino
portassi
portassi
portasse
portassimo
portaste
portassero
DIALETTI LOMBARDI.
35
Tempo Passato Perfetto.
rlie ini
rbe ti V
che la r
che nùri
àbia
ùbiel
àbia
o
àbieml "
. S vialler h i • r
chci -.. ,, _ . abief
I vujol er \
che lor
àbieii
.< . tabe
^*^«"»« fàbie
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che lui' 1?^?
' abie
rhè*"" àbi«m
* nó(cr in'àbie
, , \ VII * ... , -1
*'^^ voler l«*^'^fe'^^^
ohèluri }?|^f
f abie
ch'io
abbia
che tu abbi
ch'egli abbia
che noi abbiamol ®
che voi abbiale
cli'egliDO abbiano
Tempo Passato Rimoto.
che mi
che nùn
ave.ss
che ti té avèssct
che Ili l* avcss
avessem
/ vujolt. '
che lor
avessen
che
e me { .
^ae
ess
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che lo t' 1^?**^
' acsset
che lu l' 1 ^?
9 ne
ess
aèss
■a
o
che!"" «è"»"'/ ^
( noler ni'aess
. . \ VII èssef
che i r , -
9 voler acssef
che tur i I
ess
aèss
ch'io
avessi
che (u avessi
ch'egli avesse f -g
/ ^
che noi avessimo f ?
che voi aveste
ch'eglino avessero
Condizionale Presente.
\ portarla
ì porta rèss
^ porlarìet
i porta rèsset
) port<irìa
/porta rèss
) porlarìem
) porlarèssem
portarief
^ Qjòl ter porlarès^ef
. \ portarìen
^^ I porlarèssen
mi
lite
111 el
nun
viàller
me
lete
lù '1
nu
nólcr am
vu »
voler \
lur i
porlarèf
portarèsset
portarèf
portarèssem
porlarèf
porta rcssef
portarèf
10
tu
porterei
porteresti
egli porterebbe
noi porteremmo
voi portereste
èglino porterebbero
26
PARTE PRIMA.
Condizionale Passato,
mi
li tè
liir
nun
avria
avarèss
I avriet
f avarèss(
avna
avarèss
o
I avrìei
) avare
avrieni
avarèsscm
vlàlter avrìef
vùjòKcr avarèsscf
me
(é V
lù r
avrèf
avrèssel
avrèf
T3
O
lor
J avrìe
} avare
rien
rèssen
mi avrèssem/ Si'
iióter m' avrèf
Ai«- ! avrèssef
voler \
lur I
avrèf
IO
lu
egli
noi
voi
avrei
avresti
avrebbe l ^
avremmo
avreste
èglino avrebbero f
Modo Itìdefinito,
Tempo presente
Tempo passato
Tempo futuro
Gerundio
Participio
ave
ave
tegni
tegnS
de tegni
) tegnénd
t (egnìnd
tegn&
lègn 0 tegni
ai f
VI
ai de
^ legnil
tegni
tegnendo
tegnindo
tegni i
tenere
aver tenuto
aver da tenere
I tenendo
tenuto
mi tègni
ti té tègnet
Ili el tén
nùn tègnem
viàlter tegni
lor tègncn
Modo Indicativo,
Tempo Presente.
me lègne
té tè
lu '1
nóler
vóter
lur i
tègnet
té
I tègnem
iam té
tegni
té
io
tu
egli
tengo
tieni
tiene
noi leniamo
voi tenete
èglino tengono
Tempo Passato Pròssimo.
S tegneva
i tegniva
\ tegnével
) tegni vet
{ tegneva
i tegniva
) tegnévem
) tegnivem
viàller J'egnévef
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lor 1 1««»^«»
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tegnìef
tegnia
IO
tu
teneva
tenevi
egli
teneva
noi
tenevamo
voi
tenevate
èglino tenevano
DM LETTI LOMBARDI.
27
Tempo Panato Perfetto.
mi ó ]
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DUO
09
èm [ oc
viàlter avi
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me t«gnè, ovv. ò
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lenne, ha
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tenemmo, abbiamo/ ^
voi lenesie , avete
èglino tennero, bauno
Tempo Passato Rimoto.
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Tempo Futuro.
mi
tegnaró
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tegnirà
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legna rà
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nóter
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ì am tegnirà
noi
terremo
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voler
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legna ràn
lur i
tegnirà
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terranno
Tempo Futuro Passato.
mi
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lor
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vóter
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avrà
S avrèm
'm'avrai
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io avrò
lu avrai
egli avrà
noi avremo
voi avrete
èglino avranno
o
a
*IH
PARTE PRIMA.
Modo Iniperalko.
tèli
le
tieni
di' el
legna
al tègne
tenga
tegnèm
tegnèm
teniamo
legni
tcgnì
tenete
che
tègnen
eh' i tègne
tengano
che mi tègna
che ti té tègnet
che lu el tègna
che nùn tègnem
che viàltcr tegni
che lor tègnen
cbe mi 1 !«8"f"
) legniss
chetile J««8nè«cl
) tegnisset
chelQel }J«»»?^
I tegniss
cbeniiD )»*8nèsseni
} tegnissem
cheviàllcr»!«8nés*ef
) legnissef
che lor
che mi
che ti V
che lu r
I tegiièssen
) tegnissen
àbia
àbiel
^bia
Modo Congiunlko.
Tempo Presente,
che me tègne
che té tè
che lù 'I
che nóter
che voler
che tur i
tègnet
tègne
I tègnem
j ani tègne
legnighef
tègne
ch'io
che lu
ch'egli
che noi
tenga
tenga
tenga
teniamo
che voi leniate
ch'eglino tengano
Tempo Pausato Pròssimo,
che me legncss
che té tè
che lù 'I
che nóter
che voler
che tur i
tegnèssel
tegoèss
I tegnèssem
I am tegnèss
legnèssef
tegnèss
eh' io
che tu
tenessi
tenessi
ch''egli tenesse
cbe noi tenessimo
che voi teneste
ch'eglino tenessero
Tempo Passato Perfetto.
., . labe
•='■«"'« àbie
che nun àbiem
che viàlter àbief
che lor àbien
s
che té V \ ^^^
^^^^^ \ àbie
che lu I' \ ?^^
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che nóter j^^,!^"*
( m'abe
che vóter abièghef
03
che lur 1
Iàbe
àbie
eh' io abbia
che tu abbia
ch'egli abbia \ a
che noi abbiamo
che voi abbiate
ch'eglino abbiano
fi
S
DIAL^n LOMBAUDI.
20
Tempo Passato Rimolo.
cbe mi
avess
cbe li (é avcsset
che lu r
tvèss
/
che nun avèssem. ^
che via Iter avèssef
che lor avè^sen
che me
che té t'
che lù r
iès
lac
ess
aèss
\ èsset
ì aèsset
/aèss i n
che Dóter j *»f «•" / ^-
ì
ni'aess
che voler |^?*«^
ì aesscf
che luri
^ess
i aèss /
eh* io avessi
che fu avessi
eli' egli avesse [ ^
<^
a
. e
che noi avessimo/ o
che voi aveste
eh' èglino avessero
Condisiooale Presente.
nuQ
jj. % tcgnaria
I tegnarèss
U té \ ^^Rnariet
) tegnarèsset
)ù el 1 1^^""",*
) tegnarèss
4 legna rìem
I legna rèssem
viàller J ^««nanef
ì tegnarèssef
lof * legna rìen
f legna rèssen
mi j »"!«
f dvress
lì té 1 «^'^i^* .
t avresset
me
(égnirèf
té tè légni rèsset
lù '1 légnirèf
nóler ! I*»"'™**»™
ram tegniref
voler légni rèssef
lur i Icgniréf
Condizionale Passato.
io
tu
terrei
terresti
egli terrebbe
noi terremmo
voi terreste
èglino terrebbero
lu V
Dun
\ avrìs
iavrè
'na
avrèss
I avnem
i a V rèssem
viàller } «^n«' ,
I avressef
(V
a
PC
me
té t'
lù r
nóler
avrèf \
avresset
avrèf
(0
3
) avressem / =-
I m' avrèf
voler avressef
lor
I avrien
9 avrèssen
lur i
avrèf
io avrei
tu avresti
egli avrebbe
noi avremmo
voi avreste
èglino avrebbero j
D
C
Osservazioni, (a) Non permettendoci la natura del soggetto di
entrare in ragionamenti stilla improprietà delle denominazioni
50 PARTE PRIIIA.
usate dai Grammàtici per distinguere i varii modi e tempi nei
verbi^ e desiderando d'altronde d'essere agevolmente intesi, ab-
biamo adottato le più comuni nei modelli di conjugazione da
noi proposti ; non possiamo peraltro tralasciar d' avvertire, che
sono per lo più improprie od erronee^ e facciamo voti, onde i
filòlogi v'apprestino finalmente d'accordo opportuno rimedio.
(6) Il gerundio, in forma di nome verbale, come parlante ^ leg-
gerne e slmili, non viene mai usato nei dialetti lombardi, se non
per esprìmere qualche grado, ufficio, professione o mestiere,
come el tenénlj fajulànlj el stiidéntj el cavalàntj diversamente
viene espresso colla frase: che tiene o che tenera j che studia o
che studiala,
(e) Il participio, come abbiamo altrove accennato , varia di forma
in alcuni dialetti. Nel Lodigiano, oltre alle terminazioni d^ àlj ha tal-
volta ancora ài^ ìt^ iitj dicendo lassai, fai, andai, sentìt, cediitj ec.
Nel Ticinese invece distlnguonsi le desinenze ào, ùu, ó, èè, èie, come
andào, basòu , damo , nèè, Iro^èiè^pcv andato, baciato, chiamato j
andalo, trovato. Per lo più si fanno anche femminili in tutti i dia-
letti colle terminazioni ada, ida. Oda, come andada, sentidaj legni-
da, vegniida, per andata, sentita, tenuta, tenuta. Si fanno anche
plurali in alcuni dialetti, cangiando la terminazione; il Bergamasco
muta il Hn d pel maschile , e vi aggiunge un e pel femminile ,
dicendo fai, andàè , ^cr falli, andati ; face , a ndacej per fatte, on-
dale ; ovvero, come altri dialetti orientali ed occidentali, termina il
femminile in ade, dicendo portade, malade, per portale, ammalate.
(d) Questo pleonasmo, costante nella seconda e terza persona
singolare di tutti i tempi, e in ogni verbo, è comune a tutti i
dialetti dell' alta Italia, ed è proprio eziandio dei dialetti armònici
e càmbrici, i quali, nella conjugazione detta dai Grammàtici im-
personale, perchè distacca il pronome dalla radicale del verbo,
ripètono il pronome in tutte le persone, dando al verbo una sola
inflessione in tutto il tempo. All' incontro nella conjugazione detta
personale suffìggono al verbo il secondo pronome, il quale, pi&
o men modificato, vi tien luogo d' inflessione ; e di ciò pure scòr-
gesi traccia manifesta nelle seconde persone dei verbi lombardi,
terminanti per lo più, nel singolare, in t, e nel plurale in 9 ed f,
che equivalgono ai rispettivi pronomi Ho té, vii o 9ti. SimiK
DIALErri LOMBARDI. 51
mente è proprietà esclusiva dei dialetti càmbrici Tuso d'inter-
porre fira il pronome ed il verbo la particella eufònica a^ ciò
che non di rado si osserva in quasi tutti i dialetti lombardi, ai
quali è comune la forma me a po^ té a V cànieXy corrispondente
airarmòrica mk axa^té a gàn^ vale a dire, tò vado ^ tu canti.
(e) È da notarsi la simiglianza dei pronomi bergamaschi nu e
nóier^ vu e vóterj ai francesi corrispondenti nous e nous-autreSj
WU8 e vous-autres, Nóter e vóter sono più frequentemente usati;
che anzi ^óter e gli equivalenti viàlter, Qìijòlter e slmili, si im-
pi^pno, in tutti i dialetti lombardi, esclusivamente nel nùmero
plurale, quando cioè si parla con più persone; mentre il vu o cu
non si usa, se non parlando con una sola persona, come suole
generalnoiente la lingua francese.
(f) Questa forma, strana in apparenza, è propria ancora dei
Caletti armòrici e càmbrici, i quali formano allo stesso modo la
prima persona del singolare, dicendo, rné am^ ovvero eni^ bòa^
mi am boé^ per io apepa^ io ebbij ove anij ovvero eiWj signifi-
cano iOj e formano il pleonasmo summentovato. Il Bergamasco
impiega la particella am^ quando il verbo incomincia per con-
sonante, come appunto noler am porta ^ noi portiamo s quando
peraltro incomincia per vocale, sopprime la vocale a^ dicendo
nóter m^ia^ nóter m^ardèss, per noi a{/es^amOj noi osiamo.
{g) Nei dialetti rùstici occidentali viene permutata la caratte-
ristica ava in ^a^ èva in tVa^ àss in èsSj èss in iss^ in tutti gli
imperfetti; dicendosi portela j tegniva, andèss, vorìsSj per por-
la^a^ tegnevaj andds$, vorèss.
(h) Il Milanese urbano è forse il solo fra i dialet J lombardi
che ha smarrita da qualche generazione la voce sémplice del
passato perfetto, alia quale sostituì il verbo ausiliare col parti-
cipio. In tutti gli altri, comprèsovi il Milanese rùstico, sussiste
tatt'ora, sebbene venga adoperata solo in alcune persone, ed in
determinate circostanze.
(t) Il verbo avere^ in tutti i nostri dialetti, serba la forma sopra
indicata^ solo quando fa T ufficio di ausiliare; ma quando è solo,
e dinota possesso, assume in tutte le sue voci la particella affissa
ghe o gh\ dicendosi: mi gh^ój ti té gh'ét^ Hi el gh'à^ ec; e
corrisponde alla particella cij adoperata collo stesso verbo e nello
33 PARTE PRIVA.
stesso modo^ in alcuni dialetti toscani, come: io ci hOy tu ci hai^ ec.
Questo affisso^ il quale^ unito al possessivo^ è puramente eufònico
nei dialetti lombardi^ del pari che nei toscani^ equivale al pronome
personale a lui^ o a leij o a loro^ se è unito air ausiliare; p. e. , mi
gh'ó ón ca{?àly Ui el gh* aveva óna cà^ significano io ho un ca-
palio j egli aveva una casa ; e in quella vece, ti te gh'è fat^ nóter
gh'èm déèj significano tu gli (o le) hai fatto ^ noi abbiamo detto
a luij o a leij o a loro. Il participio di questo verbo assume
pure varie forme nei varii dialetti; vale a dire, negli occidentali,
avìij abiij biiij biij e negli orientali avìt^ ait^ vtt^ ìt. il Bergamasco
adopera il participio vitj quando è preceduto da consonante, e
sopprime la r^ se la lèttera precedente è vocale, come: Gh'àl
vìt frèd? No gh'ò it gnè frèÒj gnè còld; cioè: Ha avuto fred"
do? Non ho avuto né freddo, né caldo. Oppure: Qitace sèèègh^àl
vit? j4l ghe n'à it sic. — Quanti figli ha avuto? Ne ha avuto
cinque.
In onta alle precedenti osservazioni, appare manifesta dal sin
qui detto la complessiva consonanza dei dialetti lombardi colla
lingua italiana, nelle forme grammaticali; ma se poniamo a ris-
contro la rispettiva loro sintassi, e il modo vario di fraseggiare,
questa consonanza dispare; da[)poichè nei dialetti le leggi del
reggimento, la costruzione delle frasi ed il frequente concorso
di tropi e di figure , divèrgono talmente dalla struttura lògica
della lingua italiana^ da formarne altrettante lingue differenti.
Di qui appunto deriva la difficoltà che proviamo d'apprèndere
e trattare convenevolmente l'italiana favella, perchè essenzial-
mente discòrde neir organismo concettuale da quella che parlia-
mo; ed in ciò consiste la norma fondamentale che può èsserci
scorta sicura a discoprire i rapporti e le origini di tanti linguaggi.
Siccome per altro ad institiiire una ragionata anàlisi di questa
concettuale struttura di tante favelle diverse, richiederèbbonsi
molte nozioni preliminari, estese ricerche e multiformi confronti
che di troppo eccederebbero i lìmiti d'un sémplice Saggio, cosi,
a pòrgere sott' occhio la complessiva dissonanza concettuale tra
i dialetti e la lingua scritta, abbiamo preferito apprestare la ver-
sione della Paràbola del figliuol pròdigo, in tutte queste favelle,
onde lo studioso possa instituime agevolmente da sé T opportuno
confronto.
CAPO li.
Fersione della Paràbola del figlinol pròdigo j
traila da s, Luca^ cap, XF^ nei principali dialetti lonibaì*di.
Onde agevolare la lettura dei seguenti Saggi coir orto grafìa
per noi stabilita a rappresentare in iscritto nel modo più sem-
plice tante dissonanti favelle^ abbiamo creduto opportuno pre-
méttere un prospetto dei segni convenzionali ivi impiegati^ col
rispettivo loro valore^ riassumendo così quanto abbiamo diffusa-
mente esposto^ a questo propòsito^ neW Introduzione,
in generale V ortografia da noi adottata si è la comune italiana^
sulla cui uorma devono esser Ietti tutti i Saggi vernàcoli prodotti
nel corso di quest'opera. I nuovi segni introdotti a rappresentare
ì suoni dagli italiani discordi^ o pei quali la comune ortografia
italiana non ha determinato segno rappresentativo, «ono ì seguenti:
Per le vocali.
(i equivale al suono misto ce dei Latini in praster^ rosaj ed al
dittongo ai dei Francesi, in plaire^ niaisj di que-
sto non porge verun esempio la lingua italiana.
è •» alla e aperta degli Italiani in bello ^ cappello, petto.
è '♦ alla e stretta in cielo j velo.
0 '» alla ò dei Tedeschi in lioren^ Tocliterj ed ai dit-
tonghi eUj ccu dei francesi, in feu, voleurj moiurSj
coiur.
ù -•' alla 0 aperta in porta ^ vòrtice j amò.
6 '» alla 0 stretta in volo^ molto j popone.
a '♦ alla ti dei Tedeschi in Hiilfej iibenj fi'Menj ed alla
« dei Francesi in usage^ tétu.
Per le consonanti.
»
al suono dolce della stessa lèttera in cervo ^ cibo^
Cicerone.
34 PARTE PRIMA.
g equivale al suono dolce della stessa lèllera in germe ^ girOj
aggiùngere.
s '- al suono delle se unite in scemare j scimmia ^ sci-
mitarra.
z '» al suono francese delle j e g, in jolij bijoutj genrCy
pianger,
h »* quando non è preceduta da c^ o da g^ è segno di
aspirazione.
Gli accenti in generale segnano ancora il posto^ nel quale deve
posare la voce. L'accento circonflesso dinota suono prolungato.
Abbiamo poi premessa la versione italiana della Paràbola^ per
agevolare ai meno periti neivarii dialetti T interpretazione delle
altre ^ non che per rènderne più fàcile il confronto.
DIALETTI LDIBARDI.
35
Lingua Italiana.
11. Un uomo aveva due figliuoli ;
iS. E il più giovine di loro disse
al padre: Padre, dammi la parte dei
beni che mi tocca; e il padre spartì
loro i beni.
is. E, pochi giorni appresso, il fi-
gliuol più gióvane, raccolta ogni cosa,
M n^andò in paese lontano , e quivi
dissipò le sue facoltà, vivendo disso-
latamcntc.
f 4. E , dopo ch^egli ebbe speso ogni
cosa, una grave carestia venne in quel
paese , tal eh* egli cominciò ad aver
bisogno ;
itt. Ed andò, e si mise con uno de-
gli abitatori di quella contrada, il
quale lo mandò a' suoi campi a pa-
sturare i porci.
16. Ed egli desiderava d'empiersi
il corpo delle sìlique, che i porci man-
giavano; ma niuno gliene dava.
17. Or, ritornato a se medesimo,
disse: Quanti mercenari di mio pa-
dre hanno del pane largamente, ed
io mi muojo di fame.
18. Io mi leverò, e me n* andrò a
mio padre, e gli dirò: Padre, io ho
peccato contr'al cielo, e davanti a te;
19. E non son più degno d'esser
chiamato tuo figliuolo; fammi come
uno de' tuoi mercenari.
20.Egli dunque si levò, e venne a suo
padre; ed essendo egli ancora lontano,
suo padre lo vide , e n' ebbe pietà ; e
corse, e gli si gettò al collo, e lo baciò.
SI. E '1 figliuolo gli disse: Padre,
io ho peccato conlr'al cielo, e davanti
a te ; e non son più degno d' èsser
chiamato tuo figliuolo.
ss. Ma il padre disse a' suoi servi-
dori : Portate qua la più bella vesta,
e vestitelo, e mettetegli un anello in
dito , e delle scarpe ne' piedi ;
88. E menate fuori il vitello ingras-
sato, ed ammazzatelo; e mangiamo,
e rallegriàmci ;
84. Perciocché questo mio figliuolo
era morto , ed è tornato a vita ; era
perduto, ed è stato ritrovato. E si mi-
sero a far gran festa.
Btt. Or il figliuol maggiore d' esso
era a' campi ; e , come egli se ne ve-
niva, essendo presso della casa, udì
il concento e le danze.
86. E, chiamato uno de' servitori,
domandò che si volèsser dire quelle
cose.
87. Ed egli gli disse: Il tuo fratello
è venuto , e tuo padre ha ammazzato
il vitello ingrassato, perciocché l'ha
ricoverato sano e salvo.
88. Ma egli s'adirò, e non volle en-
trare : laonde suo padre usci , e lo
pregava d'entrare.
89. Ma egli, rispondendo, disse al
padre: Ecco, già tanti anni io ti servo,
e non ho giammai trapassato alcun
tuo comandamento ; e pur giammai
tu non m'hai dato un capretto, per
rallegrarmi co' miei amici ;
30. Ma quando questo tuo figliuolo,
eh' ha mangiati i tuoi beni con le me-
retrici, è venuto, tu gli hai ammaz-
zato il vitello ingrassato.
81. Ed egli gli disse: Figliuolo, tu sei
sempre meco, ed ogni cosa mìa è tua^
88. Or conveniva far festa , e ral-
legrarsi ; perciocché questo tuo fra-
tello era morto, ed è tornato a vita;
era perduto, ed è stato ritrovato.
Tratta dalla sacra Bibbia
volgarizzata da Giovanni Diodati,
55
PARTE PRIVA.
DULETTO MlLOESE.
II. Ch'era ón òm ch^el gh** aveva
(Ili flo;
18. E '1 plissé gióvén de lór el gh'à
dit al pàder: Pà, dém la pari che me
tóca del fat nòst; e lu el gh'à sparti
fora la sostanza.
13. De lì a poc dì, el fio minor Pà
fa sn tnt el bolgiòt, e Tè gira fort in
d'ón paés lontàn , e là , in mane de
quèla, rà bntà via el fat so a fùria
de baracà.
14. Dopo che rà a^'fi trasà tiis-
còss , è vegnd in quel paés óna gran
carestìa ^ e lu T à cooienzà a trovàss
ai strèé;
i6. E rèandà, e ""l s'è tacà a vùn
de quel paés là, ch'el Tà manda in
la sóa campagna a cascia fora 1 porscèi.
16. E M sussiva de impieniss el vcn-
ter cont' i giand,che mangiàven i ani-
mài; ma nissùn ghe ne dava.
1 7. Tornànd alóra dénter de lu, rà
dit: Quanti persònn paga in cà de me
pàder gh'àn pan a sbac , e mi chi
crcpi de fàm.
18. Levare sii, e andaró de mò pà-
der, e ghe dirò: Pà, V 6 fada grossa
In facia al ciél , e in facia a vii ;
1 9. Mi sont pu dègn de vèss clama
vost fio; fé cunt che sia come vùn di
vòster ser\'itór. i
20. E levànd su el s' h invia de so '
pàder. L' èva ancamò lontàn on toc , |
che so pàder el r à vedu , ci s' è in-
teneri de compassión, el gh'c córs in-
contra, el gh'à Irà i braS al col, e '1 [
V à basa su.
SI. El fio ci gh'à dit: Pà, Io fada
grossa in facia al ciél e in facia vo-
stra; mi sont pù dègn de vèss ciamà
vost fio. j
f f . Ma i pàder Vk dit ai so serv -
tór : Alto, andèm , porte chi ci pù bel
vesti , mctìghel su , dégh V anèl de
mèt In dit , e di scarp che P è a pé
biòt;
ss. E mene fora el vitel pùssé gniss,
e mazzél, e mangèm e stcm alégber;
24. Perchè sto me fio chi l'era mori
e rè resuscita; l'era pèrs e 'Is'è trova.
E s' in miss a sganassà.
26. Intanta el fio magiòr Téva fora
a la campagna ; e in del vegnì e vf»
sinàss a la cà , r à senti a sona e canta
a la pù bela.
26. E rà ciamà vùn di servitór,
e '1 gh'à dimanda cosse gh'era de n5v.
27. Costù el gh'à dit : È riva so fra-
dei, e so pàder V à fa mazza el vl-
tèl pù grass, per avèl ricupera san e
salv.
28. Alora rè monta in bestia, eU
voreva nanca andà de dént ; ma so
pàder l'è vcgnii fora lo , e l'à coroeniè
a pregai.
29. Ma quel' òlter 1' à risposi a 9Ò
pàder, e rà dit: L'è chi di an parèÒ
che ve servì , e che no sfai zi én èl df
vost comand; e no m'avi mai dà nanc'to
cavrèt de pastegià cont I me amìs;
50. Ma dopo eh' è torna sto itó
chi , che r à divora tùt el fat so
cont i sgualdrìn, avi mazza el >itèl
in grassa.
51. Ma lù 'I gh'à dit: FiS car, ti té
set sémpcr insèma a mi, e tùt [quél
che gh'ó rè roba tóa;
52. Ma giano se podéva con de men
de fa ón disnà , e ón pò de rabadàn,
perchè sto lo fradèi l'era mort e Tè
resuscita; Pera pèrs e'I s'è trova.
D.' Gio. Ravbcrti.
DULKTTl U^ìlRARm.
37
Dialetto Louiuianu.
II. Un om el gh'aveva dù 0ùi;
it. E^l pù gióvin el ghé disè al
pàder : O pàder , dèm quel che me
vègn ; e so pàder el gh^ à spartii ci so.
13. E passàt miga tant temp , stu
fiùl rà fàj su le so robe, e se n'andè
in OD paés ben lontàn, e là Tà fai fura
tùU , vivènd da libertèn.
14. E dopo d''avè avùt tiit consu-
mai , è vigniit una gran calestrìa in
quel paésy e Tà comenzàt a sente la
lun;
is. E lù rà tùi sii, el s'è miss a
padrón con un siùr del sii , eh' el Pà
nandàt a fura a cura i ròi.
16. E gh' e vignut fin vuja de sbra-
iàs» de le glande di ròi ; ma nissun
|be nMeva.
17. El gh''à pensai su, e Tà dit:
Quanti sarvìturi gh'è in cà de me pà-
der, chM gh'àn pan de strusa, e mi
muri de fam.
1 8. Tudarò sii , e andarò da me pà-
der, e ghe disarò: 0 pàder, ò fai un
gran mal contra del ciél e contra de
vii ;
10. Mi mèriti miga d'ess clamai vost
fiùl ; ciapèm almànc per vosi sarvi-
tùr.
20. £1 lui sii donca , e '1 va da so
pàder; e Fera anmò indrè, che so
pàder Tà dogiàt; gh'è sbalzai el cur;
el gh'è curs incontra, el se gh'ò Irai
con le brazze al col, e 'I Tà basai sii.
21. E 1 fiùl ci ghe disè: 0 pàder ,
ò fai un gran mal contra del ciél e
centra de vii; ne som pii degli d'ess
. riamai vost fiùl.
ss. Ma el pàder el ghe disè ai vsar-
vituri: Presto, porlèghe i pii bei pa-
gni, vestii su, melighe Tanèl in dil,
e on para de scarpe in pé;
ss. Menèm sii el vedèl piissè grass,
e scanèi, e mangiém e fém festa;
84. Perchè sto me fiùl V era mori
ere vìo anmò; el s'era pers e rem
trovai ; e i àn comenzàt a méless a
tàvola.
Stt. L'alter fiùl el prim l'era a fura
in r i camp ; quand el vene sii , e 'i
fùdè vesèn a cà, el senti che i suné-
ven e che i canlcven.
56. £1 ciamè viin dei sarvìturi, e '1
ghe domande cessa gh'era de nóv.
57. Quest chi el ghe respondè : È
vignùl so fradèl , e so pàder 1' à fai
mazza el vedèl el piissè grass, perchè
rè tornai san e salvo.
so. Alora are andà4 in fùria, e noi
voreva miga andà drente; ma l'è vi-
gnut fora so pàder , e i' à comenzàt
a pregai.
B9. Ma liì, respondènd, el ghe disè:
Guardò , i èn tanti anni che ve fò el
sarvilùr, mi v' ò scmper obedil, e m'i
mai gnaiica dai un cavrèt per sta coi
me compagni in alegria;
30. E adèss, che sto vosi fiùl chi,
che rà fai fura liita la so pari con
dcie sgualdrine , 1' è turnàt a cà , i
mazzàt per lii el vedèl pii bel.
51. Ma ci pàder el gh'à dit: El me
fiùl , ti te sé sèmper con mi, e quel
che gh'ò mi l'è tò;
52. Ma bisogneva fa un bon disna
e fa festa, perchè sto fò fradèl Pera
mori, e Tè \io anmò; Icra pers e
réni trovai.
Prof. C. Vi(;n\ti.
38
PARTE PRIMA.
DuLETTO Comasco.
if . On omm al gh'à avii dù fio;
18. 01 minor de sti dfi Tà di a so
pàdar: Pà^ dèm la pari che me teca
a mi; e lù al gh^à fa fo i part.
18. Poe di dopo, ol fio minor , fa
èù ol fagòt de tùt coss , V è andà
a viagià in d''on paés lontàn, e là
rà bùta via tùt ol fat so , vivcnd de
porcèl.
14. Quand rà vù fa net de tùt^ Tè
vegnù ona calestria bolgirada in quel
paés, e lù al s''è trova in bisògn;
18. Donca Tè andà a servì in cà
d'^on sciór de quel paés-là, ch'el rà
manda f5ra In d''ona soa campagna a
cura i porcèi;
1 e. L** avrév mangia volontcra 1
giànd , che mangiàvan i porcèi ; ma
nessun ga na dava.
1 7. Alora, torna in se, rà di : Quanti
servito in cà de me pàdar gh^àn del
pan a uf, e mi chi mori de la fam.
18. Levarò su: andaró da me pàdar;
ga dirò : Pà , ò falà , ò ofTendS ol Si-
gnór , e pò anca vù ;
19. Sont minga dègù de porta ol
nom de vòstar fio; ciapèm almànc come
vùn di vòstar servito.
20. E dit-e-fat al solta in pè, e Tè
tamonà vers a cà del so pàdar. L^era
ancamò de riva là,e^l pàdar, vedcn-
dal de lontàn a vegni, rà abiù com-
passiòn, e giò al gh' è curs incontra,
al gh' à bùtà i braS al còl , e 1 r à
basa su.
SI. 01 fio al gh' à di : Pà , perdo-
nèm , ò falà , v' ò offendù vù e U Si-
gnor; no mèriti minga ol nom de vò-
star fio.
ss. Ma ol pàdar al s'è volta là coi
servito, e, scià, Pà dì, portègh chi on
bel vestì, mettigal su ; mettìgh In sul
dì on bel anèi , e mettigh su on boa
para de scarpe;
ss. E pò mazze giò on vedèl ben
grass, paregè on bon disnà, vùi che
stàgom alégar;
S4. Parche sto pòvar fio Pera iiiort
e rè ancamò viv; Tavìa perdli e ve-
dìl chi. E s'ìn mettù drè a paccià.
S8. L'^òltar fio Fera fo in campagna,
e in del torna, quand Tè sta li press
a cà , r à senti a sona e a canta.
se. L''à ciamà vùn di servito, e^t
gh' à domanda , cosa V era tùt quel
frecàs.
57. E lù al gh''à respondQ: L'è toma
a cà so fradèl , e M so pàdar P à A
mazza on vedèl di più grass, parche
Pè torna san e salv.
58. A queschi alora gh^è ciapà bi-
schizzi , e '1 voreva minga andà de
dcnt; donca ol pàdar Pà bognà andà
de fora lù, e Pà scomenzà a pregai.
59. Ma lù al ga diseva: Mi son sta
bon tanti an, v'ò sèmpar ùbidi in iùt
e per tùt ; e m' avi mai dà on strai
d'*oncavrèt de god insema ai me eom-
pàgn;
30. E sto slandròn , che P à bùtà
via tùt coss coi strasciòn, al ven a cà,
e sùbat giò se mazza on vedèl di più
bei.
81. Ma lù al gh'à respondil : Car ol
me fiS , ti t' à sèmper sta con mi , e
tùt quel che gh'ò mi Pè tò;
88. Bosognava ben che f assoni oil
zig de letizia, parche ol tò fradèl Pera
mort e P è risciùscità ; P era perdfi e
rè torna a cà.
P. Giuseppi Tkuo.
\
DIALETTI IMBARDI.
39
Dialetto di Gaosio {f^alteUinesé).
fli. Al gh^è staé un òmen ch^el
gh^éva da mattèi;
is. EI pussè piscén V k dio al pa-
dri : Padri, dèm la mia part de qfiel
eli« all'* fòca ; e lu el g^ à parti la roba.
13. Dopo un pilt de temp, el pùssè
gióen 1^ à ramascè tùtl quel eh* el
gh^éva, e pò l^è andai in Vnn paés
lontàn, e ilo rà consumè tuta la soa
hgoìik, a viver insi da ligòz, e andà
a badènt.
1 4. E subet che V k blu consumè
tùtt, rè vegnu in quel paés iina gran
fun ; e ilora Vk scomensè a prova una
gran harloeea;
is. E rè andai faméi in bàita d'^ùn
$dòr de quel paés , e a ^I Vk manda
io ri sé lòc a pastura i porscèi.
16. E 1 s^ è ridùi tant in misèria ,
che r aréss majè fin i giànd che ma-
java ! ción; ma negun gVén dava.
f 7. E ilo Pè tome in sé stess, e rà
die: Quané faméi, che màngen el pan
in che del me padri, e mi chilo mori
de la fam.
18. Voi tom ìa de chilo, e voi an-
dar in che de me padri , e voi dìg :
Padri , mi ò pechè con tra el siél , e
contra vii;
19. No son miga dègn d'esser ciamà
per vos fiól ; ma mettèm bessì nel nu-
mer di vos faméi.
to. E rè leve su, e Tè andai dal
sé padri; e denènt ch'ai vnéss a che,
el padri el V k vedu un bel toc da
lontàn; el s'è metii a compassión, el
gh'è andai incontra, e M rà brascè sii.
SI. El fiól ilora el gh'à dii al padri :
Padri , mi ò pechè contra el siél , e
\' ò offendu ; no son miga dègn da
èsser ciamà per vos fiól.
89. flora el padri V à dii al sé ser-
vidór : Andén prèsi ; tolè fò el pussè
bel vesti che gh^è in che, e mettèghl
su ; porte (in anèl e mettègbi su; met-
tpgh sii anca iin bel para de scarp;
<3. E tolè iin vedèl grass, copèl,
ch'em possa mangiar e fa festa;
24. Perchè sto me fiól Téva mort^
e adèss r è resiiscitè ; r èva perdu e
r ò trova ; e i à scomensè a fa una
gran festa.
S8. flora el fiól pùssè vèi, che Pera
in t^el chèmp, e ch'el tornava a che,
rà sentì a sona e a canta;
86. L''à ciamà iin ser\itó, e al gh^à
domande cossa che Téva quel bor-
deléri.
87. El servito el gh'à dii: El tè fra-
dèi r è torna , e **! tè padri V à copà
iin vedèl grass , perchè el T à trova
san e salv.
88. E lu rà ciapà tant la ràbia ,
ch'el voleva miga andè in che; ilora
el padri rè andai fò, e Vk scomensè
a pregai, che Tandàss Int.
89. Ma Ili el gh'à respondii : Vii séf,
che v'ò ser>'ì tani agn, e no v'ò mai
fai gnà cria contra quel che coman-
dàov, e no m'é mai dai bessi un chis-
sòt 0 un caurct, che podèss mangiai
coi me compàgn;
30. E quel alter vos fiól , che V k
forni tiita la soa part a viver da liis-
siiriós , per lii éf scanà iin vedèl grass.
31. flora el padri el gh'à dii: Véla,
el roè fiól, ti set sèmper insèm a mi,
e quel che gh"* ò Tè tè ;
38. Ma adèss ò de sta alégher e fa
past, perchè sto tè fradcl Téva mort
e rè rcsùscitè; Tcva perdii, e rem
trova.
N. N.
40
PARTE PRIMA.
Dialetto di Bormio (f^allelUnese).
1 1 . Un òroen ci gh'avéa dui fiói ;
f «. E 'I pili gióen de qui al gh'à di!
ài pìi : Pà f dam la part de roba che
me toca; e lu '1 gh'à sparti la roba.
li't. E poc di dop, mess insema tot,
al flol più gióen Tè gi in un pacs lon-
ihn , e li rà sciòlt al fat se , a far al
putanrir.
14. E dopo che Vìi avii consuma tot,
r^ vegni fora una gran penùria In
quel piiés,e Vii sconicnzà a sentir la
inim^ria;
I tt« 1/ è gi , e '1 s' è mctù con un de
qui ile quel paés, ch'el Tà manda fora
In un sé loc a ]Hist coi lìorcèi.
IO. E 'I desideràa de impleniss ol
fkò ventro deli gianda, che i mangiàan
I porcèi; ma nigùn i gb'en dàan.
17. Ilora, torna in se stess, Pà dit:
Quan^ lorènt in bàita del me pà i gh'àn
pan finche i n'vóien , e mi crapi de
la fom.
1 8. Toròi su , e varoi col me pà ; e
ghe dlròi : Pà , èi fèit mal contra al
Signor e vers a ti;
19. Ne som più degn d'esser ciamà
te fiòl; accctum come un di tòi lorènt.
20. Era tòit su , e r è vegni del sé
pà. Quand che V era anmò de lontàn,
al sé pà al Tà vedù, e '1 s'è movù
a compasción , al gh'è cors incontra,
al gh'à butà i brèó al col, e 1 Tàbaià
su.
21. flora el fiól al gh*à dit: Pà, èi
fèit mal centra al Signor, e vers a ti ;
no som più degn d'esser ciamà tè fiòl.
29. Ma al pà al gh'à dit coi servi-
tór : Porta de long al più bel vestì ,
e metèdighel adòss, dàdigh un anè
in dèli, e calza e scarpa in di pè;
25. E mena eia un vedèl ingrascià,
e mazzàdel ; mangèmes e stèmes ale-
gri;
24. Perchè sto me fidi Pera morte
rè resuscita; al s'era perdù e Tè tro-
va; e i àn scomenzà a godésscla.
2«. Intani al fiól magiór Fera fora
per i camp, e in del vegnìr a pros a
bàita , r à senti a sonar e cantar.
26. Era ciamà un dei fame! , e ^1
gh"* à domanda cosa che Pera sta roba.
27. E quest al gh'^à dit: L^è vegnà
al tè fradèl, e '1 tè pà T à mazza uo
vedèl ingrascià, perchè V è torna san
e salv.
28. flora rà ciapà la rabia, e M vo-
lea più ir int in bàita, fntant Te vegoi
de fora al pà, e Fa scomenzà a cercai.
29. Ma lu, respondènt, al gli''à dit al
pà : Ecco , rè tant temp che te servi,
e no t* èi mai disubedi; e no te m^as
mai dcit gnanca un cabrèt per godé-
mela coi mèamìs;
so. Ha apena che sto tè fidi, che l^à
maglia tot al fèit sé coli putana. Ve
vegni , V al copà per lu un vedèl in-
grascià.
ai. Ma lu al gh'à dit: Fiòl, U Tei
sempri co mi , e tot quel che gh^ èi
mi rè tè;
32. L'era ben necessari de mangiar
e béver e star alegri , perchè sto tè
fradèl l'era mort e Fé torna viv; Pera
perdù e Pè trova.
N. N.
DIALCTTI LOMBARDI.
ki
DiALSTTO DI Li VIGNO ( f^aUelliMté),
il Un om rà doi mare;
is. EI più sción de sii doi rà dit
al se pà: Pà, dèm la pari de Teredi-
tà, eh'' al ma podrò tochcm; i^l gi l^à
dèlta.
is. E dopo ben quài di, messa in-
sema tota la soa roba , el plu sción
de sii mari V ara sci in un paés de
Iòni, e iglià Tà fèit ir tota la soa roba
con una vita lussuriosa.
14. I dopo che rà fèit ir tot, Tara
gnu in quel paés una gran cristìa, e
anca lu Vk comenzc a sentir la fom;
is. E Tara parti , e Para sci Iglià
d^un sittadìn de quel paés; i l'à man-
dé nela soa vila a ir past coi porcèlgl.
le. E M desideràa da emplis el see
ventre dli gianda cb^l manglàan i por-
cèlgl; e nigùn non g''en dàa.
17. Entré in sé stess, rà dit: Quanti
mercenarii ne la bàita de me pà i a-
bóndan de pan , e mi chiglia a mori
de fom.
18. Luerèi su, e varrei dal me pà,
e gli direi: Pà, èi ofTendu il ccl e pò
anca vò;
19. Già no som più degn d'esser
clamé vos mare ; tolèm come un dei
vòs mercenarii.
to. E alzé su. Para gnu dal see pà.
Quando Tara emò de Ione, rà vedù
el see pà , el gè n' ara fèit pigé, e Para
$cì a saltèi intórn al col , e bascèl su.
SI. I sto ligliòl al gi à dit: Pà, èi
olFendù fi ciél , e pò anca vò ; già no
som plu degn d'esser dame vos mare.
<s. n pà poi al gi à dit ai sèi scr-
vitór : Fèt de bot a portèm la vest più
bella, vestii, e metèi in di li man Pé-
nèl , e li scherpa in di pc ;
2.%. Mene chiglia un vedèi ingrascé,
mazzèl , e mangèm e banchetèm ;
S4. Pergié sto me marò Para mort
e P è resuscité; Para perdù e Pè stèit
troé; e i àn comenzé a banchetér.
8«. EI mare più vegl Para nel camp,
e quand ch'eoi vegnò , e ch'el s' à fa
da pròs a la bàita, Pà senti a sonér
e cantér.
se. I Pà dame un dei sei servitór,
e '1 gi à domande gi eh' a P ara sta
roba.
57. El gi à respondù : L^ è gnu el
tè fradèi, e'I tè pà Pè maxzé un
vedèI ingrascé , pergié ch'a Pè troé
san.
58. Lu pò Pà clapé la rabia, e noi
volò brig entrér ; el see pà pò P ara
gnu de fora , e P à comenzé a preci.
so. Ma lu Pà respondù al see pà a
sto fogia: Ecco, che mi Pè tcn^ eni
ch'il v' servi, e no v'èi mai disubldi;
e no m'ct mai dèit un be^ da godei
I nscma ai mei amis ;
50. Ma apena sto vos mare, che Pè
maglie tot al sé coli meretrici , P è
gnu, i et mazze un vedèI ingrascé.
51. Ma lu al gi à dit : Figliuòl, ti
1' e§ chiglia con mi , e tot el me P è
enea tè;
38. L'ara convenienza pò de man-
gcr, e stér alegri , pergié sto tè fra-
dèi P ara mort e P è resuscité ; P ara
perdù, e Pè stèit troé.
h'ì
PARTE PRIMA.
Dialetto di Val Precallu (Canton Grigioni — f'aUelUnese),
11. Un òm vcva dui fi;
is. À più giùvao dgét con se bap:
Bap; dara la me pàrt da roba; a M lur
Spartìt i se ben.
1 3. A poc di drè , cur eh' al pia
giùvan vet tùt quant robadii , al get
davènt in un pàés lontàn, a là '1 dis-
sipai la se roba, menàntna^ita deS-
mosiìràda.
14. A cur ch'el vet tùt fat andà,
al nlt na gran fantina in quel pàés ,
ti'l ficomanzàt à sentì la misèria;
1». Alura'l gèl, a s'metél ài ser-
vìsel pel' un da qui dal pàés , eh' il
mandàt in l' i se fond a cura i poré.
10. A '1 vés dgiu gùdgènt da s'podè
sazia da quel ch'a mangiàvan I porè;
ma nàgun n' i an deva.
17. Ma, s'impensànt pet se stess, al
dgét: Quanti mersenari àn in la cà da
me bap gran bundiànza da pan, à gè
i mòr da fam ;
18. 1 m'voi leva, à andà ter me bap,
a ei dgéra: Me bap, i à paca contrari
sèi, à dinànt da té;
19. À i no son più degn d'esser
noma tè fi, tràtam piir leu (in di tè
mersenari.
20. A s'Ievàt dune, a nil ter »è bap;
ii niànt, àne da lune, se bap la vdét,
a 'n vét cumpasciùn , a i curìint in-
cùnter , à s'bulàt al sé col , a 'I bù-
ciàt.
2 1 . Ma 'I fi i dgét : Me bap, i à paca
contra '1 sèi , a dinànt da U*. , h ì no
son più degn d'esser noma tè fi.
22. A 'I bap dgét con i so faméi :
Porta ài più bel vaiti, à i ài tridge
ent, à metèi un ànèl ài sé dét, à ditali
scarpa ai sé pà ;
2S. A roenàm l'avdèl grass, a mii»
zàl , a 'I mangiàm , faiànt l>e!a vita ;
24. Perchè eh' a quest me fi ert
mori à l'à resuscita; l'era perdale
r à trova ; à i scomanzàtan a sta ile-
gher.
25. A 'I più vèl di se fi era fò i
camp, à s'returnànt, a niàni ver la
casa , ài sentit i son a I cànt.
26. A clamànt un dei faméi, al do-
mandàt cur eh' l'era.
27. A quest ài dgét: l'à ni te fra,
à te bap à mazza l'avdèl grass , per-
chè ch'a'l l'à trova san a fril.
28. Ma M ciapàt la rabia, a no voléi
andà ent; à'I sé bap, niànt fora, a'I
pregai d^andà ent.
29. Ma"! respondét, à dgét con ti
bap: Ve , i t'a servi tàncl an, i mal
I no à manca ài té comànd; a tùt-una
tu no m'à mai daè un cavrèt, da ft
bela vita con i me amie;
so. Ma dalunga eh' aquést tè f i ,
eh' à fat andà la sé roba con ììhUtk
femna , à ni , tu i à maisà V avdèi
grass.
51. A n bap ài dgét: Me fàni, li i
aduna pet gè , à tùt la me roba a US;
32. Ma a s'nit fa bela vita, a sta
àlégher, perché ch'aquést te fri era
mort, ma Pà resuscita; l'era perda»
ma l'à trova.
Tratta da Staldir.
DIALETTI LOMBARDI.
43
Dialetto di Val Maggia (Ticinese),
1 1 . U jera un um con dù tosói ;
is. EI più piscèn de quist l^à di£
al padri : Atta , dèm al me part da
(piel che m^ loca ; e lù l' à tèe i divi-
siri e u gh** l^à dèci.
is. Da lì a poc, rà ramassào el faÒ
sa , e Q A^ n^ è nèé in paìs da luni ,
era raffabiào tùtt coss vivènd da
pórc.
14. E dop chTà biù tèe net. Ve
vegno in quel paìs una gran carestìa^
era comenzào a sentì la sgajosa ;
is. E rè nèè , e rà scercào aprèss
a un sciór da quel paìs, e quest u Tà
nandào al bosc a cura i porS.
le. E u scercava da mangia i giand,
fli''a mangiai porS; mai nu gh^dava
fnanc da quìi.
1 7. Alora r à capì quel che V èva
ffé , e u diseva : Quanci servitùr in
rà d^ me padri i mangiaci pagn da
toeàl col dit, e mi son chi a crcpa da
fam.
18. Mi voi leva sii , voi 'ndà d** me
l»adri, e voi digh : Atta me, a i ò man-
rào col Signor e con vui ;
19. ia mi no mèri! più d'ess te-
gnu per vos fio; tegnim come vugn
di vos fent.
so. E u s"* è iìè sii, ere nèé da!
padri. Quand l'era ancmò da luni,
el padri u F à vcdiì , e u j è nè£ un
M|uè al cor, e u j è corii incontra, u
j à biitèé i braS al còl , e u rà basào.
SI. EM fio u j à die: Atta bugn, mi
j ò mancào col Signor e con viji ; 2à
no mèrit piii dVss tegnii per vos fio.
«5. El padri I* à die ai sorvilnr :
Prèst, tugi scià el piii bei vestid, me-
tìgbel su, dèi Panel in dit, e calzèl su ;
ss. Mene chi siìbat un bel vedèl ,
tugigh'el sangu, mangèmal, fèm un
debìiS;
S4. Parche stu me fio Tera mort e
r è risiiscitào ; .Vera perdu e u s' è
truvào. E i smenzava a mangia ale-
gramént.
stt. Intani el fio majù Pera in cam-
pagna, e quand ch^o vegniva, e rè
stèé aprèss a cà , F à sentii a sona e
a canta.
se. E rà ciamèó viign di servitùir,
e u j à domandào: cu jèl, ch^a jè du
nuf?
57. E lii u j à die: L'è rivào tu fre-
dèl, e Fatta tu i' à mazzào un bel ve-
dèl pel bugn arìf.
58. E 10 Fé vegnii inié, e u nu vole-
va gnanc' andà'n cà; su padri doncaFè
vegnii fora, e Fa smenzào a pregai.
59. Ma lii Fa rispondi! a su padri:
V è tant temp che mi scrvìss a vii, e
nu v' ò mai disiibidit in nula ; e pò
nu nF i mai dè£ gnanc un 2ù da sta
un pò alégar coi me amis;
50. E dop Fé già stu balàndrug de
vos fio, che Fa fè£ salta tiit-coss coi
su slandrin, à gh**! mazzào el piii bel
vedèl.
31. Ma lii 0 j à rispondii: Sent, el me
fio , ti ti se sempro con mi , e quel
eh' è me Fé tò;
ss. Ma u sMoveva bè fa un dcbùfi
e un festìgn, perchè stu tu fredèi Fera
mort e Fé resiiscitào; Fera perdii e
Il s'è truvào.
Tratta da Stalder.
hh
PART£ PRIMA.
Dialetto di Val Verzasca (Ticinese).
II. Ijn òmcn iil gh'ieva du fio;
is. El più poDzèi de sti dù u gess
al pà: Pà, dam er part der me robe
oh' a m' ven^ a mi ; el pà uM divide ,
e de long u gh'dè er part.
13. Dagnò a poic dì, el più ponzòl
el se tire el tut sot lui , e 1 s' en giè
da lontàgn , dove el bordigò er so-
stanze malamént con or bozerre.
14. Qaand u ìa biù maghiòu el tut,
in qui part u vigne fina gran c|^re-
stìa, e cominsiè a baia biod;
15. L^è nèlé ad atacàss ad una cà
d^ un bon starènt de quel paés , e o
rà mandòu a pasturgà i purghi.
16. Là a r auréss volu impinì er
bùseghe d^èr coròbia, che magblàvan
i porsèi ; ma nessun i gh'dàvan brig.
1 7. Finalmént , avènd riflctrì , u^ I
dis: Quenò faméi in er cà dù me pà
1 màgbien assessèn , e mi assidi qui
d'er fam.
18. A vùi leva, e pu a vùi né dal
me pà, a gh^vùi dì: Pà, ò pecòu con-
tra er siél e contro ti;
19. Mi ne soni piii degn d'esser
ciamòu tò fio; fam servizi de mctem
cogli tuo famci.
20. El s'è vultà inlànt, e Tè vegnu
con er pà. El era agmò da lun^ , el
so pà u '1 vide , o s' è melu in com-
passión , rè corù a velàs sul ciùl , e
u rà pasciòu su.
81. Pa, u gh'dis el filiu, ò pecòu
contra er siél, e centra li; mi ne sont
più dcgn d'esser ciamòu lo fio.
22. Ma **! pà u gh' dis ai so servi-
dór : Portò chilo una sgiaghe er piii
boriola , e vestii , mettgh nel dii ùi
anèi, e meligh su i calze! in d'i pè
25. Menégh fuori un videi gra86>
strubiél giù, maghiém e stém al«gri
24. Perché sto mi fio Pera mori
ere torna a viva; Pera pcrdù, e
s' è trovélè ; e i àn ineominsià a f
festìn.
8is. Intani el fio majù, che Pera il
er campagna. Pò tornèió, e qiian<
Pè slèié apro d'er cà, Pà sentì cà'
sonàvan e cantàvan.
26. E domande a vugn di so ser
\ilór: Quel chM fan in cà mea?
27. U gh'dis el servilór: Qui Vi
vegnù el so fradèl , e '1 so pà Pà fèl<
mazza el videi più grass, perchè Pi
riciiperòu ci figliu sagn e sald.
28. Qucst ignora rabiòu u n'ia voli
più nà ea er cà, e Io pà Pè nèió fon
o Pè metù drès a pregai.
20. Ma lui u gi à respondù ai pà
Guarda, quené agn Pò che mi soa «
tò servizi , ades son slèió er lo ep-
mandamént ; e li m' è mai dèió ui
jòrl, perché slàssom un pò alcgro eoi
i me amis;
30. Ma V è vegnù ci tò fio , elio I
à già maghiòu tut er so part d'er rolN
con i pittàn , e ti li jé fèió strùbiì
giù er videi er più gràss.
31. El pàu gh'à respondù: Flo^t
ti sé sempr sléiÒ con mi, e tùt ei mm
Pè lo;
32. Ma bentava eh' a slàssom ale-
gri . e che a feslegiàssom , perchè e!
tò fradèl Pera mori e Pé torna a viva
Pera perdù e '1 s'è torna a trova.
Tratta da Stalder.
\
DIALETTI LOMBARDI.
4»
Dialetto di Val-Levkntipia {Ticinete).
I f . Un sert' òm V à aviìt dui flòi ;
it. O pussè giòvan de chi r à die
al pà : Pà y dam la me part d^la roba
ch'om^vegn; e lui l^à dividùt a Io la
roba.
is. E passò mìa tene di, essénd
iiiiìt lùó, o flo pùssè giòvan l^è ned
in paìs lontàn, e ignò Pà trèé vìa o
fèé so col viv da scandalós.
14. E quand V à consumò tùtcoss
o jè stèé ona gran fam in cbel paìs
e rà comenzò a avèi bisògn;
itt. L^ è nèé vìa> e o s'è mess da
òn abitànt de cbel paìs, ch''o rà man-
dò In o so log a pascolè i animai.
le. El voreva impinì la so bùsecia
dei giànd cb^o mangieva i animai, e
nlssùn o j an deva.
17. Essènd nié in se, Tà di£: Quenò
ffunéi In eie d^ me pà vànzan pan , e
mi mòri da fam.
18. Am' levarò e varò dal me pà,
e a i dirò: Pà, ò fèé pechèt contra '1
siél e conira ti;
19. Giè son mìa degn d' èss ciamò
tò fio; fam com' un di lo faméi.
so. E, levàndos. Tè nèé dal so pà.
Essènd amò begn da ioni , o sé pà o
rà vist, e 0 s^è moss a compassiòn ,
e, nasèndoi incontra ^ o ì è cadùt a
col, e o rà basò.
SI. O fio 0 i à éii : Pà, ò fè£ pe-
chèt vers 0 siél , e vers a ti ; giè mi
son mìa degn d'ess ciamò tò fio.
ss. O pà rà die ai so faméi : Prest ,
porte o prim àbat, vestii, e dèi Tanèl
in la so man , e i caozèi in pè ;
ss. E menèi un videi grass, mazzèl,
mangèm, e stèm alégar;
54. Parche sto me fio fera mort e
r è resussitò ; V era perz e T è stè^
trovò; e àn comenzò a mangè.
55. 0 so fio pùssè vèè r era in i
camp; essènd ni£ e avisinò a la eie,
rà sentùt a sonò e cantò.
96. Vk ciamò iin di faméi, e o i à
domandò coss^éran sti rob;
57. E cbest 0 i à die: L'è niÒ o tò
f radei, e o tò pà rà mazzo un videi
grass, parche o Tà trovò salv.
58. 0 fio o s'è rabiò, e o voreva mìa
né ind; o so pà donc Tè ni£ fò, e rà
comenzò a prcghèl.
59. Ma lui olà rlspondùt , e rà
die a so pà : Éccomo , mi at' servisi
tene cgn, e ò mai mencio ai tò òrdan;
e te m' è mai dèe un ciavrèt par stè
alégar coi raè amis;
50. Ma dapós che sto tò fio , eh' o
r à divorò la so part col fcman , V è
nié, e t'a i è mazzo un vìdei grass.
31. Lù 0 i à die: Fio, ti t' a sé
sempra con mi , e tù£ i me bègn in
toi;
ss. E convegniva mangè e stè alé-
gar, parche slo tò fradèl l'era mort
ere lesusftllò; l'era perz, e Tè stèé
trovò.
Thatta da Stalder.
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ri«Ti 9iki^%^
ìtc^um* V \%L K Su:«ì>
f I. La 1» «r^'er^dM fftBl; ts. K» «1 pa r a die ai so faraéi :
is. E r' a 4aé 44 p« péfcn de qaii^ . Pr»l. tìrèi fwa «1 iapàga dm festa,
alfa:Oia. dè^rapartdiarofcadb'o je»etl<||J'i»dÌH^e»Hèifh'u|piaml
a'toca; e li • fli' a fparti n roba, i ia dèìl, e i calae la pr;
fls. E d" b a poe di . misA iinrai | ss. E tirèi farà al vcdil iagrassòu,
ol fnl pi pHcéa o rè aaé ^ e maizèi, e BajM e féa pasl;
l' ófB pai« Iflidày, e b r à | s«. CW sto né fnt r'era mmì» e
bitÓQ via al laé aò 7 TìTcad ia ba- i r'è resisàiòa; r'cra pcrs, e r^è U»*
14. E dapò di'r à
tóé mas , r' à fié uà fraa carotria
ia col pan, e coro r à maaba a e»
la DMsistà;
fls. E r*c naéy e o s*è aitss con ón
ziladin d* col pais ; e 1 ra nuuidòa a
ra soa campagna, a pass I pòri.
te. E o bramava d'impì ol so bo-
lai d' il scórsa eh' Biajàva pòri , e
ODZÙgta gh'an dava.
17. Ma 10^ tomòu in sé stess , r à
dio : Quané Cunei in cà del me pà i
gh*à pago a sbac,e mi chi sbasìss dra
fam.
18. A m^ driirò, e narò al me pà ,
e gb* dirò : O pà, ò pccòu contr'or scéi
e inass a voi:
19. Mo n^snn mia dègn d^ess cia-
mòu \'\ìsi faot; fèm ciun vùgn di vosi
faméi.
so. E o s"* è aizòu , e r' è nòu da so
pà. E r' era anc'amò lontàgn , che so
pà 0 r^ à visi , e 0 s* è mòss a compas-
gión, e corènd , o gh' è saitòu al còl,
e o r"* à basòu.
21. E ol fan! o gb' à die ; 0 pà, ò
pecóii conlr''or scéi e Inàss a voi; mo
n' sun mìa dègn d' ess ciamòii vusl
fant.
vòa; eia meaiòa a ùl pasl.
ts. iatralàal al so faal majó o Fera
ia campà^aa, e qaaad r'è tomòu, e
r'cra arèal a cà. r*à scala ol sang e
olboL
so. E eà ciaiMa vàpi d'ilg fomél,
e o gb'à dmaadòu cass i era sii cum.
«7. E coro o gb'à die: Vosi firadil
r'è tomòa, e vasi pà r*à maiiòa al
vedii ii^erassòa , perchè o r^ à rico-
vròo sj^ e salv.
sa. E o gh' è gnu ra ribla , e aor
vuria mìa nà in cà; donca so pà, ve-
gnii d'fo, r'à menzòu a prega.
ta. Ma lù , rìspondèad , r' à die a
so pà: A ra fé, da lane agn mi a ov*
serviate n'ò mail^ Irapassòu un^ vust
prezèt; e mail^ no m^ èl da£ un^ caii-
rèl da là pasl coi me amis;
so. Ma dapù che sto vust lant» ch*rà
majòu ol faé so coi sgualdrìgn , r^ è
v^nù , ì mazzòu per lù ol vedil ia-
grassóu.
SI. Ma lù o gb'à die: O fant, U Ve
sempra con mi , e tuta ra roba mia
r' è tòu ;
ss. Ma zugnàva be' fa pasl e sta
alegro , che sto tò fradìi r'ora mort,
e r' è resùssitòu ; r' era pers, e r' è
Irovòu.
Tr\tt\ pa Stalde».
DIAfcfin UNnARDI.
47
DiAumo DI Locamo ( Tieineie).
11. On am Vk avat du Ho;
19. E 1 più gi^an da eostór o gb' k
dì al pàdar: Pà, dèm la mea pari
eb'a m'toea; e '1 pèdar o gh'à fai
fora i pari.
f s. Da li a poc di , dop che V k
Bettfi fnsenia tutteòss, el fid più gi6-
faQ o 8*è tot 8tty e o s' n'andai via
lonOn, e li l'è lai balla t&ttcòas in
itraTini.
14. E pS qnand Vk avfit finii da
ifiirm tant oom'o gb* n'aveva , Pè
vegnftda 6na gran carestia in qnel
paéfy e lù l'à comeozàt a aentislain
«ieoat;
f s. O 8* n^è danc* andai, e o 8' è ta-
eàl adrè a òn aciùr da quel paés, cb'o
l'à mandai In d' ona sova villa a cura
iporseèi.
18. E eoatu o vorèva pur anc po-
dèsa Intesnà la busecca con qui gian-
dasse cb'a mangiava i porscèi ; ma
iissùn a gb' an dava.
17. Alorm rè tomài in sé stesa, e
Pà di: Quanta servitoraja ìk in cà
d' me pàdar la noda in la bondanza,
e mi intani cb' Insci a crèp da fam.
18. A voi propi lem su, e andarò
dal me pà, e a gh'dirò: Pà, a l'ò
propi faja grossa col Signor e con vù ;
19. Ormài a no mèrli più da vess
damàt vosi ilù; (em come vùgn di
Tost servitùr.
90. E « fojèndas su, l'è vegnùldal
tè pà. Quand p5 l'era ancmò lontàn,
0 l'à vedùt el so pà, e o s'è movùt a
compassiógn, e, corèndagh'incontra,
0 s' i gb' è buttai sul coli, e o '1 basa su.
81. E '1 fid 0 gb' à di : Pà, a T o propi
l^a grossa col Signùr, e con vù; ormài
a no mèrli più da vess clamai vosi fio.
88. Ma el pàdar l' à di al aervitón
Presto, porle obi el più bel vestid, e
vestiK«ù, mettigb l'anèl in dit, e i
scarp In pè;
ss. E mene scià 6n vedèl ingrasaàt»
e mazzèl io, e mangièm , e f^ past;
94. Percbé sto me fio l'ara mori,
e rè tomài In vita; l'era pera, e o
s' è trovai. E li i s'è mettùd adrè a fa
pasi.
88. L'era mo el so fio maggtur in
campagna, e In dal vegni, e In dal vi«
sinàss ala cà, l' à sentid a sona e canta.
98. E l'à ciamài ón aervltàr, e o
gb' à domandai quel eb' l' era sta roba.
87. E coslù o gb' à di: L'è vegnùd
el vosi fredèl, e'I vosi pà l'à maz-
zàd iè ón vedèl Ingrassai, percbé l'è
tomài salf.
98. L' è donca andai In celerà, e o
no voreva miga andà in cà; però l'è
vegnù iora el so pà, e o s'è metiùd
adrè a pregai.
89. Ma coslù, respondènt, o gb'à di
al so pà: Ecco, I è già lanci an cbe
mi a v* siag in obedienza, e a no son
mal andai fora óna volta dal vosi oh
mànd; e a m'i mal dai ón cavrèi par
sta ón pò slegar eoi me amis;
so. E in scambi , apena eh' o l' è
rivai sto vosi Ù6, cbe l'à consumai
tùl el fai so col siraSùn, a gb'ì maa-
zàd lo ón vedèl ingrassai.
51. Malùogb'à di: Fio, ti te sé
sèmpar con mi, e tùl el me l'è tò;
52. Ma bisognava fa past, e sta alè^
gar, percbé sto tò fredèl l'era mori,
e l'è tomài In vita; l'era pers, e o
s'è trovai.
TSATTA DA STALDER.
48
PARTE PRmA.
Dialetto o' Intra ( yerbcMese),
fi. Un òm u gfa'eve du fidi;
19. E^l pùssè pinm u gh^à dii al
id pa: 0 pa, dèm la meja pari ch^ o
m^ tucche. E lui u gh^ à ftpariL fò la
sostanse.
13. Da ino a poc di, ul pùssè pinìn
yà M su ul fagòtt, ere n࣠lontàn,
e là u s^è mettu a stranagià, mac-
dànd e bevènd mèi.
14. Dopo rà bù£ faó fò ul fad so,
rè gnu una gran caristie in cól pa-
Jés, e la gh' nava ma alla gran potane;
15. Quand u n^ gh à vù più d'dané,
rè nai da on sciór d^ cól psjés, ch'u
V k mandò a una suva vigne a cura
I porscèi.
16. E r èva tanta la gbèlne ch^u
pative, eh'* 1 sarèssan staò bun i glan*
darògol di porscèi; ma gnanca d^quii
i gb^an dàvan asse.
1 7. U gb^ è gnu in ment , e T à di£:
Quant servitù in cà dui me pà i gb^àn
pan fin cbMn vólen, e mi cbi crapi
d^fam.
18. A tomaró a cà dui me pa, e
a gb' dirò: Al me pà, a som stad un
gran balossùn;
19. A n^ mèrli prdpl pli2 cb^ a m''te«
gnìgbi par fio; fèm fa ul servitù.
90. £ fai e di£ V è tornò a cà. Quand
i^è staè a un scert post , ul so pa u
r à visi, u gb^ à vù compassiùn , u
gb^è curù inconire, u Pà brasciò, u
l' à basò su tùtt.
91. E ul tus u gb'à dio: Car pà, a
•om staè un gran balossùn ; a n^ mè-
rli propi più cb'a m' tégnigbi par flò.
99. EM pà rà domandò i servitù.
e ul gb' à dio: Presi, né a io i pago
più beli, vistil, mitìgb su I anèi, e
calsèl;
95. Corri , maizè ul videi più graaa^
maccèmai, stèm alégar;
94. Parcbè sto me tus Feva mori,
e rè rlsciùscitò; a l'évom perda, e a
rem tornò a trova. £ 1 àn comensò a
porta in tàvole.
98. Ul fio maggior u l'ève in cam-
pagne, e in d' ul toma a cà, Ta aeoii
a sona e fa festin.
96. U gb'à domandò a un servitù,
cosse l'ève còl catabui.
97. E eòi u gb'à dio: Catt! L'ègnù
a cà so fradèl , e ul so pà l'à faé
mazza ul videi più grass, parche l'è
tornò san.
98. A senti insi l'è gnu rabbiòeome
un can, e u n' volevo mia gnì in cà.
Ul pà l' è gnu fò lui, e u gb'nava adié
com i bun.
90. Ma lui u l'à rogantò su: L'è
ianò agn cb'a som in cà, a n' v'ò
mai disùbidi ona volta, e a a' m' i
mai dad gnanca un cravèii da sia un
pò alégar com i mei oompàgn ;
80. Ma quand l' è gnu còl cb' à mae-
dò tùtt ul fad so com i pelànd , a i
subii faò pasi, e piantò fistin.
81. E ul pà ugb' à rispondo: Sent,
ul me car tus, ti ti stài sèmparchilò
con mi, tùtt coi cb'è me l'è io;
89. Ma l'èva bè di giùsi da sia un
pò alégar, parcbé sto io fradèl che
l'èva mòri, l'è risciùsdiò; a l'évam
perdù, e l'èm tornò a trova.
N.N.
DIALBITI LOMBARDI.
40
DiALBTTo M Boroomaubro ( f^erbanete ).
II. Al gVéra na botta un òmu, e
riva da mattjj;
f s. EM pia lama da caséi Tà die
unse a so pari : Pari, dèmPl me tocu
ch^a vèomi ; e la rè sparté fóghi la
roba.
is. Da là poc tempa, ast mata V à
tira riva tal cai eh' r Iva tucàghi , e
rè naé via a stimma lantàn lantàn^ e
r à mangia U fot so cun al svaldrini.
f 4.Equand Vk bid^ngaalà tut cassi,
rè gnoghi na gran carestia 'n ta cui
paba, e la Vk smanzà a vél da bsò-
ts. E rè nai Ink, e rè tacassi tacà
B^omn du cu siti là^ eh' Vk mandala
a vardè I pariel In t' la sd campagna.
f a. E riva vòja d'ampini la pania
dal' glandi cbM mangiava i nimài;
Ba'nzun dàvaga.
17. Qaand r à bid tira cà '1 co, Vk
di£ unse tra dMii: Quanci sarvitùi a
di d'mè pari I àn pan fin chM vòlu,
e me chilo i crapi d' la fami.
18. 1 lévarò so, e i narò cà d' me
pari, e I diròghi: O pari, i ò ofTando
al Signor, e va;
19. 1 n'mertl pio da vèss clama
vosi fio; tignami come un di vost sar-
vitùi.
90. Al leva so , e H va da so pari.
L'era 'dcù luntàn, che so pari rà vù-
stala, e rà santossl a piani! M cor,
ere nàciaghi 'ncuntra, rà clapàlu'n
tal cola, era basa solu.
SI . E n fio rà dìciughi : Pari , i ò
offesa al Signor, e vii , i n' merti piò
da vèss clama vost fio.
ti. Alora '1 pari l'à diclu ai so sar-
vitùi : Pràstu , portò &a la più bela
casacca , e matte sdgla ; outtèghl 'n
di 'n aneli, e caazèlu;
98. E né tò subtu'n bel vide, mas-
zèla, mangluma, e fuma na raccon-
chiglia;
94. Parche usi me matta Pera mor-
ta, e rè risuscita; Pera persa, e I ò
tra vàia. B i àn amamà la Savaròtta.
9a. Al prùmmu di du mattai Tera
fò 'n V un campa ; e 'n r al gai cà ,
quand Tè sUé a riva, rà santo ch'i
sunavu, e ch'i cantavu.
96. Vk clama un di sarvitùi, e l'à
dumandàghl, cud l'era sta roba;
97. E cui sarvitù rà die unséghi:
L'è gno cà vost fradè, e vost pari l'à
fad mazze 'n vide bel grassu , par al
gùstu da vèghllu san e salvu.
98. L'è gnòghi la futta, e l'uriva
gnanca ne 'n cà. E inora l'è gno fò so
pari, e rà smanzà a préghèlu da né
denti.
99. Ma la« rispondènti, l' à di£ a
sd pari: Ecu, Ina tanè agni ch'i ser-
vivi, e I ò mal disabidévvi 'n botta,
e vu i mal gnanca dàciumi 'n cravic-
chi , eh' i podiss 8tè légru con i me
amisi;
30. Ma dapussu eh' i' è gno cà stù,
eh' r à mangia tùt cussi cun al plandi,
i mazza 'n vide du cu'ngrassa.
SI. Ma lù rà die unséghi: Abba
pu nutta; té t'é'l me caro, e tùt cui
ch'i ò, rè tùt cuss tò;
59. Ma a n' s'pudiva parò fé d'man-
cu da stè légri, e fé 'n bel disné, par-
che tò fradè l'era mòrtu, e l'è risu-
scita; l'era pérsu, e l'è staÒ truvà.
Nicolò E. Cattaneo.
M
PARTE PRIMA.
DuLEtTO Bergamasco.
fi. Òn òm el gh' ia du Adi;
is. EU pio zùen de lur V a déé a
so pàder:Tata,dèin la porsiù deso-
atansa ch^el me foca ; e IfiU ghe divide
la sostansa.
fs. Dopo poc de, ol pio zùen rà
regondit tot ol so, e Tè ^ndaó in paìs
lontà^ e là rè dissipai quat al gh^ia
a viv de barachér.
I «. E dopo ch^ el s^ è majàt tot ol
tò > al 8^ è fa£ in quel pais dna care-
atea gajarda , e U comensè a èss al
bisògn \
in. Vh ^ndaé doca a tacàss a a be-
nestànt de quel pais, ch''el Vk man-
dàt fò *n da so campagna a fa pascola
I porsèi.
1 6. E là M deslderàa de impieniss
la pansa di glande cIiU mangiàa i stess
soni ; ma nlssu gh^ en dàa.
17. Turnàt in lu Vk dèi: Quate bi-
sacche In cà de me pàder i g' à dol
pà a brondós , e me che crape de fam.
18. Learò so , e ^ndarò de me pà-
der , e ghé dirò : Tata , è pecàt oon-
tra H siél e contra u;
19. Za no so pid dègn de ess claraàt
vost fldi;ciapém come ù di vose sguà-
ter.
90. E csé , sbalsàt in pè , M végnè
de so pàder; ma Pera amò de lontà,
ehe so pàder el i^à dogiàt; el s^è mùit
a compassiù, e, corìt incontra, U ghe
8^ è botai al col^ e'I Pà basai so.
SI. 01 fidi el gh'à déé: Tata, ò pe-
cài contra H siél e contra u ; za no so
pId dègn de èss clamai vos fidi.
fis. Ma'l pàder Vk dèa ai so ser-
vitùr: Prèsi, porle che H pio bel kbet,
e vestii; meliga Panel in dii, e i scar-
pe in pè ;
28. Méne che ù vedèi ingrassai, e
copél , e maèm , e fèm baracca ;
24. Perchè sto me fiol P era mori
e Pè resussitàt; Pera pera e sTà
troài ; e csé i comensè a fa festa.
96. 01 fidi magiùr , che Pera lo ^:
di cap , in del lumà a cà , Pà seniii
a sunà e canta;
86. Clamai ù di so servilùr, el g^
domandai, cossa Pera sto baci.
27. E lu \ gh^à rispondit: L'èégnit tò
fradèl , e tò pàder Pà copài ù vedèl*
grass, perchè '1 Pà ricuperai sano e
salvo.
28. Alura al fradèl magiùr al ghe
saltò la mosca , e '1 volia miga ^ndà
^n cà ; e 'i pàder Pè égnii fò, e Pà
comensài a pregai.
29. 01 fidi Pà rispósi a aò pàder s
Ecco , a me, che 1* è tace ago ehe t»
ser\'e, sensa mai trasgredì ù vost «r^
den , no m' i mai daò gnà u cavrèi
de godim coi me amìs;
50. E dopo che P è égnii sto idi
che , che P à majàt tot ol so col p9>
tane , i copài ù vcdèl ingrassai.
51. Ma M pàder el gh' à déò: Té^ 1
me s£èt, te sé sèmper con me, e iol
ol me Pè tò;
52. L^era però de giosi de god e
tripudia, perchè sto tò fradèl Pera
mòri e Pè reégnit; Pera pers e s^ Pà
caiàt.
Pite RucQte DB Staiéu.
DIALSm LOMBARDI.
5i
Dialetto Ceemasgo.
1 1. (tal òm «1 gh' avia du liói ;
it. Al plissé z6en Vk dei a «è pÀ-
éerz Papày dam la part cbem^aVé;
f lù 'I gh'* a spartii la so roba.
is. Dopo qualch de, al posBe^sòeni
rà fai só'^l fagòi de tòi quel ch^al
fh^avia^ Tè andai In Tun paés luntà
hiBtà 9 e là rà spendti idi el so in
di Tèsse.
14. Quan rà avii consumai Ì6ì, Ve
égnii una gran caresiéa in quel paés,
€ là al gh^ ìa miga de cumpràss da
Dangià;
15. Alarm Tè^ndài da on siùr de
quel paés , ch^ el r à mandai nel so
fios a yardà 1 ròi.
le.E luH vena impienìss la pausa
cole glande che magnàa i ròi; ma nissù
gti' a na dàa.
17. Alura al s^è mess a pensa i fai
90, e r à dèi da per lu: Quanti ser-
vitùr in casa da me padre i gh^ à pà
fnftna chM tòI, e me che mòre da
Um.
18. Léarò so, andarò da me padre
t fh'^a dirò : Pupa, me ò pecai anvèrs
al Signor e ^nvèrs de té ;
li. Ilo so miga dègn che te me cià-
net pò io fiòl ; ma iègnem come ^n
lo serviiùr.
to. L^ è leài so , e r è égnii da so
Mre ; quand V era amò luntà , so
padre rà Tési; Pà sentii cumpassiù,
el gh^è curii ancunira, el gh'*à trai
i brasa al col , e ^1 P à basai so.
tt. El fiòl el gh^à dèi: Pupa, méò
pecài anTèrs al Signor e anvèrs da
té; e no so miga dègn che ie me eia-
nei tò fiòl.
9ft. Ma el pàder P à dèi ai so ser-
viiùr: Presi y poriè che el vestii p5
bel , e metìghet sò^ meliga so ^ anèl
an dit,e meliga so dele bele scarpe;
25. E mene che ^n vedèl grass , e
massèl, ch'el mangiarèm e farèip
festa;
24. Perchè sio me fiòl Pera mori
e adès P è resuasliài; P era perdii» e
adèss l'èm iruài; e f s^è mesa adrè
a mangia.
sa. El fiòl prèm P era a fora , t
quand Pè iumài, che Pè stai areni
a cà , P à sentii a sunà e canta.
sa. L'à clamai on serviiùr, e^l gh^à
dumandài cessa che Pera quel baca.
97. E 'I ser\'itùr al gh'à dèi: È ègnii
io fradèl , e io padre P à massài ^n
vedèl grass , perchè P è tumài sa.
28. Lù P è ^ndài an còlerà, e ^1 vu-
ria miga 'ndà 'n casa ; ahira ^1 padre
P è ègnii fora , e '1 P à clamai.
29. Ma lù 'I gh' à dèi a ftò padre :
Varda, P è tanti an che me ie serve,
ia so sempre stai obedièni; e ia m^è
mai dai un cavrèi da mangia cui me
cumpàgn ;
so. E perchè è ègnii sto tò fiòl, che
Pà consumai tot an dM vèsse, té rè
massài un vedèl grass.
51 . Ma M padre n gh^ à dèi : Seni ,
al me fiòl , té ia sé sempre con me ,
e tot quel che g^ ò P è tò ;
ss. Bisognava però (à festa e alè^
gréa , perchè sto iò fradèl P era mori
e adèss V è resùssliàt; P iem perdit e
adèss Pèm iruài.
Faustino SAitsEvaaiao.
59
PART miMA.
Dialetto Ciemasco Rùstico.
11. fl'ùmen a'I gh*ia da bagài;
18. 'L pò dòen Vk déé a so tà: Ti ,
dèm la pari dal me , che m' a teca ;
e lu , 8Ò tà, a'I gb*à faè tra lar le dU-
sgiù.
fs. Da le a poc de, fa£'l fagòl da
tot al so , 'l bagài pò dóen V è naò
amvià'n d'on pais da luns féss, e
ìkn gh' a consumai fò tol'I sò'n stra-
vesse.
14. Dopo cli'el gh'à livràt da daga
la fi, 'n chel pais gfa'è iia£ na cara-
atea putardia, e là '1 s'è trdit prope'n
bisògn;
itt.E gh' è Ignit 'n cor da nà da ]u
dal paìs^ al qual al Vk cassàt an la
vela a là '1 purchér.
16. E'I sa saràv'nféna sadulàt co
11 glande di roÌ ; ma nissu ga na daa.
1 7. A la fi a '1 8' è faé na rasù , e
da lu 'n tar lù '1 gh' k dèe: QuaÒ ser-
Titùr an ca da mi tà i gh' à '1 pà *»
bondansia,e me so che quase ^n pisa
da la fam.
1 8. Naro véa da che , narò da me
tà, e ga disarò : Tà, me gh' ò faó '1
pacàt ancuntra'l siél, e'ncuntra n;
1 9. Me no so' pò degn da ess ciamàt
Tost bagài ; tratèm anfurma 1 vos£
servitùr.
80. E sensa fa tate sprolunghe, l'è
na£ da so tà. ^Nsibé che l'era amò da
luns, so tà'l rà cngnussit, gh'è ignit
da caragnà, a'I gh'è curit ancuntra,
e brassàndol so '1 l'à basàt.
81. 'L bagài n gh' à dé£ : Tà , me
gh^ò faò'l pacàt 'ncuntra '1 siél, e
cuntra n ; me no so pò degn da ess
ciamàt vost bagài.
88. E '1 tà l'à dèe ai servitùr: Dè-
mo, svelte, semi lo la vesta pò reca,
e matiglaso; matigalaéra*!! daldll,
e i scarp an dM pè;
8s. Mane '1 vadèl pò graas e nas-
se!; sa maje e sa bie alegramcnto;
84. Che sto me bagài Tera mort»
e rè resussitàt; al s'era pardit, e1
s' è truàt amò. E le 1 à scameiisàll
diertimèt
85. 'Ntat tuma a cà l'otre bagài pò
vè6 che l'era a fò, e 1 seni a snaà e
canta;
86. A M clama 'n servilur, a 1 ran-
turèga da sto budéss.
87. E lu'l gh'à respundil: Gb'è
lumài a cà tò fradèl, e lo tà l'à M
massa 'n vadèl, perchè '1 Tà qnlstàt
sa e salv amò.
88. E lu r è na£ tal an còlara, ch'el
vurìa mia nà da dét Hura so tà l'è
ignit da fò a pregai.
89. Ma lù'l gh' à respundil: I è lai
agn che va serve, e gh' ò faè senp
tòt chel che m' i urdenàt; e m'i mai
da£ gnà 'n cavrèi da god an cnmpa-
gnéa di me camarade;
80. Ma daché gh' è Igni! a-^cà sto
vost bagài , ch'el gh'à llvràl da eoo-
sùmà fò tòt con de li dono da mal A»
gh' i massài al vadèl pò grass.
81. Ma '1 tà '1 gh' à dèe: Bagài, té
l' a sé semp con me, e tòt chel die
gh' ò me l' è a' tò;
88. Ma Tera bé da giòsto; che slés-
sem 'n pò alegraméni e féssem na fe-
sUola, perchè sto tò fradèl l^era mori,
e rè resussitàt; a '1 s'era pardit, e'I
s'è truàt amò.
Prete dovAiim SomA.
DiAurrri lovbarm.
85
DiALITTO Bbbsguuo.
11. Od òm d ghMa da tM;
ft. El piò iùen el disè al so boba:
Boba y dàm la pari de beni che me
pertoca ; e 15 el ga fé le pare.
fi. Poe dopo el pio tùen, fai 85 tdta
h tò roba^ el sé mete ^n viàs per on
paés tonUi, e là H majè fora 151 el so,
eadei vèsse.
la.Dopoch^el g^l il eonsSmàt t5l,
s* è fkl en quel paéa ona gran cari-
ttia, e Io ^ seomensè a troàss eo bi-
15. E randè^ e^ sé mete a sèrrer
fio de quel paéa, ch^el la mandè en
dd aò camp a Ik pascola 1 porsèi.
la. E r aerea volit impieni la so
panaa dele taèle, che i mangila 1 si;
■a idsau gh^ en dàa.
17. Tomàt pò Hi \u, ^1 disè : Quaé
senritàr en cà de me pàder i gh^à a-
bomiansa de pà ; e me che mòre de
IO. Léarò sò^ e Ridarò da me pà-
der, e gh*a disarò : Bobà^ ò pecàt con-
tro 1 SIgnàr, e contro de vò ;
it. Za no so piò dégn d^ èsser cia-
nài TOSI llòl ; tignim come giù dei
irofC aervilùr.
to. E leàt so, rande de so pàder.
8è p&der el la vede , che fera amò
de Iona , èl s^ è moit a compassiù, e,
carèndoghMncontra, el gh^è sbalsàt
alcol, e'iràbasàt
ti. Aloral fiòl el gh'à dit: Boba,
è pecàt contro ^1 Signor e contro de
^; n no so piò dégn d^ èsser ciamàt
^foilllol.
tt. Ha ^1 pàder el disè ai so servi-
tàr : Zò prest , porte che '1 piò bel
àbit e vistil, e mitiga Panel en dit,
e le scarpe *n pè ;
ss. E mene fora 5n vedèl engraa»
sàt, e copèl,e mangiòm,e stòm aie*
gher;
24. Perchè sto me flòl che che Pert
mori ere resòssitàt; Pera pera e Pè
stat catàt; e i sa mete a làola.
28. £1 sòèl piò grand Pera*n del
camp, « Hi del vègner a casa, qnand
che V è stat visi , el «ente a sona a
canta.
26. E clamai fSra 5n senritàr , el
ga domande , che ooltà gh* era.
27. E lii «I ghe risponde : V è rtàt
lo f radei , e lo pàder P à copàt 5q
Vedèl ingrassai, perchè *1 Pà rlcfip»-
rat sa.
28. E In Pè andàt en còlerà, e noi
volia andà dént; ma so pàder l'andè
fora, e U se mete a pregai.
29. E la'*n risposta U ghe disè: Var-
dè , P è tao agn che va serve , e no
v*ò mai disiibidit; e vò no mM mal
dat gnà ^n cavrèt per godimela coi me
camerade ;
IO. E adèss che quesP alter che che,
che Pà majàt fora '1 so' cole dono, Pè
tomàt, i copàt per liin vedèl ingras-
sàt.
51. EU pàder el gh^à rispòst: Car el
me sòèt , té te sé sèmper con me , e
quel ch'è me Pè tò;
52. Bisognàa fa past e godisela ,
perchè sto tò fradèi che che P era
mort e Pè resòssitàt; Pie pers e Pò
catàt.
Conte Luigi Lbcbi.
u
PARTS PRIVA.
DfÀLBVTO M Valcamòiiicà (Bresciafio rùstico).
fi. On om el gh^ ia do matèi;
19. E n pio zàen de lur el gh'à dit
al pare: Bubà, dam la part de la so-
tlania che m^toca; e lu T à diidìt a lur
la BOAtanza.
18. E poc de dopo, el fiol pio luen,
ìòi sd t6U la so roba, rè "ndàt en d'un
|>aÌB lontà , e là r à consomàt el fai
so a godisla.
14. E dopo i eonsomài tot^el gh'è
gnil dna gran caristia en quel paìs^e
Id rà seomensàl a patì;
1 a. E rè 'ndàt a ier con giù de quel
pais, ch^el rà mandai eo d'ona so cam-
pagna a pastura i porsèl.
16. E U gh'ia via d'empienìs el Te-
lar de le glande chM mi^àa i porsèl;
e nlgà i gh'en dàa.
1 7. E pensando so , r à dit : Quaè
laureò en cà del me pare I è 'n mèz
al pà; e me crape de fam.
18. Oi leà so e 'ndà de me pare, e
diga : Bubà , ò pecàt aànte '1 del e
aànte té;
19. No so pi5 dégn , eh' i medise lo
fidi; tègnem compàgn d'un tò laurei.
90. Ere leàl sd , e Tè gnil de so
pare. E'nlàl che Tira amò lontà, so
pare '1 rà èst, e M gh'à il compassiù,
rè curii , e '1 rà brassài, e '1 rà ba-
sai sd.
91. E 'I fidi el gh'à dll: Bubà, ò pe-
càt aànt'el del • aànte té; no so pid
dégn, eh' i me dlse tò fidi*
99. B'I pare 1 gh'à dil ai aervitùr:
Prèsi, mitiga hidòs la pid bela gipa ;
mitiga Tanèl en dll, e i laùr en dM pè(
9S. E mene che '1 vedèl Ingrassai,
cupèl e mangiòmel, e stóm alégher;
94. Perchè sto me malèl Tira mori
e rè resttssilàt; Tira pers e s' rà Iroàt
E i s' è mess drè a fa '1 pasL
95. El so malèl pid èc l'era en d'i
camp , e 'n del toma e gni visi a la
cà, rà sentii a sunà e canlL
96. E r à damai giù di servilùr,
e 'I gh' à domandai cosa l' ira quela
roba.
97. E lù'l gh'à dil: Tò fradèl P)
gnil, e tò pare l'à cupài un vedèl in-
grassai, perchè 'I rà Iroàt franco.
98. Lu '1 s'è 'nrabiàt, e'I volia mi-
ga 'ndà de déler; ma so pare, gnil de
fò, el ràclamàt
9t. E lù'l gh'à respondii a so |»are{
I è tad agn che te serve , che no la
desùbedesse; e mai la m' è dal un ca-
vrèl de majà coi me amisi;
so. E dopo che Pè gnil sto tò fidi,
che rà dioràl el fai so co le porehe,
la gh'è cupàt un vedèl eograasàl.
SI. E lù'l gh'à dil: Halèl, té U sé
sèmper con me, e tdd i me laùr i è lo;
69. E r ira nesessare fa pasl» e sta
alégher, perchè sto lo fradèl PIfa
mori e rè resùssilàl; Pira pera e aU^à
Iroàt.
GAsanuo Rosa.
DIAI.nTI LOMBARDI.
»K
Dialetto CaiMOKESB.
11. di'* era n'òm ch^el gb^iva du
nói;
f S. E "^l pu gióven de lur el disè al
pàder: Pupa, dème la purziù del vò-
ster che me luca; e lù ^1 ghé fé le part
del so.
is. Dopo pochi de, el fiól pu gio-
va el ludè 80 tot, e Tandè in luntàn
paés, e là el cunsùmè tot el so vivènd
da scapestràt
14. E dopo ch^ el s^ ave mangiàt tot,
yegnè na gran carestia in quel paés-
li, e luU cuminzè aMghen de bisogn;
f«. E rande, eU se mete a sta con
en siùr de quel paés, ch^el la mandè
fora cai nimid.
16. E lu r aràf fina vurìt impienisse
la pansa con le glande che mangiava
i nimài; ma nisson ghe nadiva.
17. Alura turnàt in lu, el disè:
Quanti servitùr in cà de me pàder i
gh'à del pan da trà^nso; e me chi
mori de fam.
18. Tudarò so, e andarò da me pà-
der, e ghe dirò: Pupa, ò pecàt con-
trae siél, e in faccia a vó;
19. He sont pò degn d^ èsser ciamàt
vòster fiól ; tegnìme cume on di vò-
ster servitùr.
SO. EU tudè so, eU végnè da so
pader. V era anmò da luntàn, e M pà-
der el la vede, e U na sente cumpas-
tià; e! ghe cure incontra, el ghe tré
i brazz al col , e U la base so.
ti. En fiólel ghe disè: Pupa, ò
pecàt contra 1 siél, e in faccia a vó ;
ne soni pò dègn d^ esser ciamàt vò-
ster fiól.
ts. Alura ei pàder al disè ai so ser-
vitùr: Pur tè sobit chi el pò bel ve-
stii, e vestii s$ , metìghe ^n anèl In
dit, e dele scarpe ai pé;
SS. E mene chi el vedèl pù grass,
mazzèl, e mangiùm e stùm alégher;
S4. Perché ste me fiól chi Fera
mori, ere resussitàt; Tera pers e 'l
s' è truvàl; e i cuminzè a mangia alé-
gramént.
S8. El fiól magiùr pò Pera a fora,
e quand el végnè, e ch^el fudè a prof
a casa, el sente chM sunava, e ch^ i
cantava.
se. El dame on di servitùr, e U ghe
dumandè cussa Tera.
57. E lù n ghe disè: É rivàt so fra-
dèi, e so pàder Tà mazzàt en vitèl
grass, perché M gh^è turnàt anmò san
e salf.
58. E lu Pandè in colera, e'I vu-
riva miga'ndà'n cà; e so pàder el
venz fora, e U cuminzè a pregai.
59. E lù, rispondènd a so pàder, el
ghe disè : Ve chi tanti an che ve ser-
vi, e ò sèmper fat né pò né men de
quel ch'i vurit; e pur ne mM mai dai
gnanca en cavrèt da goder cui me
amich ;
»0. Ha mala pena che V è rivàt sto
vòster fiól chi, ch^el s''è mangiàt tot
cun le done de mónd, sobit gh^i maz-
zàt en vitèl grass.
81. E lù '1 ghe disè: Té, fiol me, te
sé sèmper chi ciyi me, e tot quel che
g'ò de me, l'è anca tò ;
8S. L^era pò ben de gióst d^ avighe
gost e de sta alégher, perché ste to
fradèl chi Pera mort e Pè resussi-
tàt; Pera pers e'I s'è truvàt.
Ing, EuA LoMBAUHm.
CAPO 111.
SAGGIO DI VOCABOLARIO DEI DIALETTI LOMBARDI.
Spimazioiib
Delie abbrepiazioni impiegate nel $eguenU Vocabolario.
Alb. — Albanese.
Ar. — Arabo.
Ann. — Armòrico.
A. S. — Anglo-Sàssone.
Ras. — Bascuense.
Ber. — Bergamasco.
Bor. — Bormiese.
Br. — Bresciano.
Brian. — Brianiolo.
Cai. — Caledònico.
Cam. — Càmbrico.
Com. — Comasco.
Com. — Cornovàllico.
Cr.* — Cremonese.
Cr.* — Cremasco.
Dan. — Danese.
D. Or. — Dialetti Orient
D. Oc — DialetU Occid.
Dim. — Diminutivo.
Ebr. — Ebràico.
Fem. — Femminile.
Fer. — Ferrarese;
Fr. — Francese.
Frio« — Friulano.
Gael. — Gaelico.
Gen. — Generale.
Gr. — Greco.
Ingl. — Inglese.
Irl. — Irlandese.
Isl. — Islandese.
It — Italiano.
L. — Latino.
Liv. — Livignese.
Lod. — Lodigiano.
Mant. — Mantovano.
M. Got — Meso-Gòtico.
Mil. — Milanese.
Mil. ant. — Milan. antico.
Mod. — Hodanese.
Nov. — Novarese.
Olan. — Olandese.
Pav. — Pavese.
PI. — Plurale.
Prov. — Provenzale.
Rom. — Romanzo.
Rus. — Russo.
Sans. — Sanscrito.
Spa. — Spagnolo.
Sv. — Svezzese.
Ted. — Tedesco.
Tic. — Ticinese.
Tir. — Tirolese.
T. P. — Tre PievL
Tras. -^ Traslato.
Tren. — Trentino.
V. — Vedi.
V. Anz. — Val Anzasca.
V. Bl. — Val di Elenio.
V. Cam. — ValCamònica.
V. Cav. — Val Cavargne.
V. For. — Val Formazza.
V. Intr. — Val Intragna.
V. L. — Val Leventina.
V. Liv. — Val Llvigno.
V. Mal. — Val Malenco.
V. M. — Val Maggia.
V. Str. — Val Strona.
V. T. — Val Tellina.
V. V. — Val Verzasca.
Ven. — Vèneto.
Ver. — Veronese.
Verb. — Verbanese.
Adrobaslo. F. T. Pane di casa, o
casalingo. Gr. Arlos. Pane; Ba-
stoD. Inferiore, più basso.
Adùs. f^. 7*. Appuntino.!. Adam u 8-
sim.
A g ór d. Af . AMMmdante» di buon peso.
Agreià.Afa.AlIrettare.-^r.eM«il.
Greiàr. -f^ Greiàr.
»8
VARTE PRIMA.
Ai. y. T. - Eì. Mil 8ì.
A i d ù. Br, Adesso.
Alò. y, Anz, (AfTermazione) Sì, farò ;
Aula ma. Si, faremo.
Alba r 0 l.^r .Vitello da uno a due anni.
Aliami né. MiU Grido di gioja po-
polare in occasione di nozze.
Alp. Gen. Pastura sulla montagna,
con ricovero per le mandre.-Ga«/.
Alp, ailp, JEmlnenza; -^r.Alb.,
Mucchio.
Ama da. Com, Zia. - V. V. e V. Af.
Anda. -Aff7. Ameda e Me din;-
presso Como. Midìn. - D, Or.
Mèda. - K. ^fiz. Amia, Amia. -
y. Cav. N e n a.-K. 7". M e n o n a {sign.
Zia paterna). -£. A mila.- Gr. N a n*
ne.
Amba. Mil. Inclinato, obliquo.
A m b r e n a. Br. Correggiuolo per fer-
mare il giogo ai buoi.
Amola. Gen, Ampolla; dim. Amo-
lin. - L. Hamula.
Ampia. Br. - Ampi. Mil. Afa, dif-
ficoltà di respiro. Trai. Noja.
Ancóna. Gen. Tàvola o tela dipinta.
Andlghèr. Br. Cànapo.
Anghèl. K Cav. Agnello.
Anta. Gen. Sportello, imposta, an-
Ceserratura.
Ante sin. Mil. e Cbm. Piccolo agone
(specie di pesce).
Antù. Br, Lo spazio compreso tra
due filari di vitL - Bret. Ant. PI.
Antù.
Aola. Br. e Mani, Lasca ( specie di
pesce).
A per. y. T, Steccato che separa la
stalla dal fenile. - Gael. Aparan. -
Jngl. Apron. Steccato, recinto.
Após. Afi7.-Apds. j^r. - Apùs. O*.*
Dietro, dopo. - /.. Post.
ApròL MiL e Br. Appresso.
Arbiòn, erbiòn. Mil. e Pa9, - Ar-
bèl, erbèLCtmi. e F«f«. Piselli..
. Gad. Arbliar. Bkde. «Gr. Ct^
bindos. Cece. - Lai. Ervum. Pi-
sello.
A r e 1 1 a. Gen. Canniccio , graticcio. -
L. Arundo?
Arènt. Gen. Vicino, rasente.
A r g i à d i V. f^. M. Guaime.
Arti a. Mil. e J/ant. Rilia, ubbia, su-
perstizione.
Arsela. Mil. Nicchia , guscio , con-
chiglia. - Bret, Hars. Difesa.
Arsi a. Br. Beccaccia, acceggia.
A r t a n i t a. Br. Pam porcino. - Gr. A r-
tos. Pane.
Asca. Mil. Senza. - L, Absque.
A scandii. Mil. Pigro, poltrone.
A s e a r a, à s e h e r. Br. Spavento, pau-
ra. - Ascher tn Br* iiffn, ancora
Duro, difficile.
Asfor. Br. ZafTerano falso.
Asist. y. y. Conca del latte.
Assinènto. K. K. Assaissimo. la de-
sinenza ento in questa Falle serve
a formare il grado superlaUvo^ d$^
cendosi bonento per buonissimo, be-
lento per bellissimo. JPare che «il
fempo fosse ancora usala aUo f fasao
modo nelle nostre Proffinde, o^ onp
Cora dicesi in varii luoghi Novènl
per nuovissimo, Nudènl per nndts-
simo, ed altri.
Assossèn, Sossèn. MiL Molto, a
suo senno.
Astóri, Storfc Siolò. F.T.OsM
montano. - L. Tetrao urogal-
lus. - //.Astore.- £. Astur. Au-
gello di rapina. - Gael, Stor. Hor
pe; onde Storg sarebbe alpestre*
montano.
Atta. r. M. Padre. - M. Gol. Alta.-
Alb. Ate. - Bas. Aita. - Gael,
Athair.
Aurizi, Orizi, Urizi. Tic. Uraga-
no.-ÉTor. Orivi. - Bom, Aurlil.
Àvas, ave s. Gen. Vene d'aqua sor-
giva-Bùian i àves. SgòrsafMfle
.. jofglve. . ^
\i '
DIALETTI LOMBARDI.
5«
Ba bL f^erb. Rospo. - Mil. Inf, e Mant
Muso.
Bacalér.Or.'-Bacalàr.Afonl.-Ba-
eili. PaiQ, Lucerniere, portaluoer^
DSL -^WoM. Stampe. Sta in piedi.
Bada. Mil, Socchiùdere. - Par. B a g à.
Socchiuso, rabbattuto.
Baga. Gen, Otre da vino. -Bagà,
bagàr, sbagazzà. Cioncare, ine-
briarsi. - Gae/. Balg,bolg,buIlg.
Sacco, bolgia, pancia, ventre. -B a-
gach. Corpulento, panciuto, obbe-
so. - TeéU Bau eh. Pancia.
Bagàj. Gen. Ragazzo, fanciullo. In
Mani. $ign, ancora persona o cosa
di cui non si ricorda il nome.
Bàita. Gtn. Casolare, capanna, ricò-
Tero. Jn y, T. sign. ancora Casa ;
M alcuni luoghi del MiL Carbonaja.
Qme$%a voce è propria di molle Un-
gme orfenlaU, e significa Casa.
Balcà. Mil. Br, e CV.* Calmare, ces-
sare; - Balcàss. Calmarsi.
Balm. y» M, Sasso, masso.
Bai ma. y. Anz, Cavità formata da
vna rupe.
Balòres. Mil, e Ber, Melolontha
vitis (Specie d'insetto).
Bai 08 8. Br, Rozza, carogna. - TVcu.
MiL e Br, Vagabondo, furfante.
Balsa. Br. Pastoja. - Goti, Balt,
belt. - Lembo, stràscico.
BanzóL CV.* Sgabello. - Boi, Ban-
zola, Banzolèin. Panca, pan-
chetta ; sgal>ello.
Baraonda. Gen. Parapiglia, im-
piccio.
Barbe L Br. Farfalla.
Bare, y. Mal, Gruppo di case abi-
tate solo in certe stagioni ; Nome
di varU villaggi. - Com. Bargus,
tignifica sopra il bosco.
Bar dò e. Mil. Mentecatto.
Bare e. Br. Agghiaccio. Quel prato
o campo' ili cui sogliono i pastori
chiùdere il gregge.
B a r g à t. Com. Specie di gerla.
Bari oca. V. T. Fame. f^. Sgajosa,
e Ghèine.
B a r z é V. Com, Mangiatoia. I.Pnesepe.
B à s e I a. y, T, Gràppolo. - Goti, B a-
gailt.
Basèl. Mil. Scaglione, gradino.
Basgia. Cy.^-Basia. Cr.* -Basla.
Mil. Vaso di terra pel latte. - Or.*
Basgèt, Basgiòla. - Mil. Ba-
slòt.-Pap.Ba8lòta, Bàslèt. Taf-
fèria; piatto di legno su cui si versa
la polenta. Alcuni lo cogliono deri-
valo dal L. Vas loti (vaso di ter-
ra)?
BàzoI, bàsgier. Mil. - Bàsol.
Mani. Bilico; legno alle cui estre-'
mita vengono apposti due pesi e si
mette in ispalla. - Piem. B a s o. - £.
Bajulum.
Bastàg. y. T. Canale fatto neirintemc^
dei boschi per agevolare Pestra-^
zione del legname.
Béder. Sor. Ragazzo, fanciullo. -
Com. Bearn.
Belzòm. y. f^. Cencioso; Bilz. Cen-
cio; Om. Uomo.- Ted. Bilz. Fungo.
Benìs. D.Oc, Confetti di nozze.
Ben 5. y. y. Veste làcera, cenciosa.
B e n t à r. y. y. Bisognare , convenire.
Jn Parti luoghi di più Provincie Urni'
barde dicesi: Venta che vaga.
Convien chMo vada. Lo slesso verbo
è comune ai dialelli pedemoniani ,
e si adopera solo in terza persona
singolare del presente. E qui è
d'uopo osservare , come allri diOf
lelti abbiano voci eselwivamenle
loro proprie a rappresentare lo
stesso verbo, cioè: il Lod.^ il Mil. ed
il Parm. fanno uso del verbo Mìkr^
il Bergamasco del verbo Scùmìy il
Regiano di Mgnàr, t7 Mil. inf. 4U
\eriì^edallri rùstici dj Scognl r.
«0
PAaTB PRIVA.
Mikr $i adopera $olo in tetta pers,
ting, diaicwU tempi. Scumi ha il
participio Seumit, dieèndMi ò
Bcùmit, ee. per ho dovuto, e
coii in aieuni altri tempi trovasi
unito alPauiiUare; Ugnkr ti ado-
pera anche neW imperfetto» che è
M g n a va , ossia^ era d'uop<^ e S e o-
gnàr ha parecchie pod in 9arii
tempi» oltre al participio Scogna.
Corrisponde al prov, Quignè col
quale ha qualche consonanza. Tutti
questi verbi hanno inolia forza nel
toro significato, esprimendo ancor
più che il Fr, Falloir, il Ted.
Hùssen, e VJngl, To musi. K
Scùmi, eScognàr.
herè. T, P. Lumacone ignudo.
Bercia. MiL Piàngere , lamentarsi
continuato.
Berdalón. f^. T, Abito sdruscito.
Berfòi. T. P, Bisacce^ zinne.
Berna. Br, Carne vaccina.
Bernàs. ^r. -Bernàz. Mil» - Bar>
nas. /Vip. Paletta, pala da fuoco. -
L. Pruna.- ^om. S9iz. Berna,
bernase.
Besài. MiL Cencio^ cencioso, dap-
poco.
Bescavis. Lod, Sconto che si fa
sulla pesatura del formaggio.
Besià. MI/. Pùngere, frizzare;Besèi.
Puntura, frizzo. - Cr,* Bisièl. -
Afan.B 8 il. Pungiglione.- /ng. Bee.-
S9. Bij. -i)an.Bie. - ir/. Beacb.
Ape. - Ted, B e i s s e n. Mòrdere, aver
prurito.
B ostica. Brian, Garrire, sgridare.
Betegà. Mil. e Cr.® Balbettare -B e-
tegòl. Balbuziente.
Bibin. y, T. Fagiuoll. - JngL Beau
{Leggi Bin) significa semi di legumi.
B1& yerò, e V* T. Tronco d'arbore,
fusto.
Bicocca. MiL Arcohijo; • Bicocà.
Barcollare.
Bigaròl. Br. Grembiale.
Bighe. J9r. Mugo, frondi diabete.
Biót Gen, Nudo.- Mani, Pan biùi.
Pan solo.- 7>d. Bios Z.-/V10P. Bios.
B i r\o,MiL Tròttola, palèo. K.Pirlà.
Biro. Gen, Bìschero; piccolo chiodo
di metallo 0 di legno, che serve di
perno.
Bisàt. Br, Anguilla. - Fm. Blsalo.
BIS. MiL Riccio, ricciuto.
Biso. MiL e Pop. Arnia delle api,
sciame, f^ Besià.
Biùm, albiùm.AflI. La parte meno
colorata del legno t che sta Imme-
diatamente sotto la corteccia. - L,
Albugo?
Biacca. T, P, Abito d'uomo.
Boba. Br. Minestra ordinaria da car-
cerati. - Mani, Abondania , copia.
B 0 d è S. Gen. Strèpito, schiamazio.
Boéi. r. T, Sùcido. - MiL Bois. Ro-
sticcere , venditore di carni cotte.
Boffà. MiL Soffiare. - ProQ, Bufar.
Bòga. Gen, Ceppo al piedi. Ghiozzo
(specie di pesce). -7>d.Bogeii* -
Gael, Bogha. - <Sp. Boga. Arco.
Bojacca. MiL Poltiglia, melma.
Bojòc, bolgiòU MiL Rapa saliva
oblunga.
Bendai, ^r. Gorgo, profondità nel
fiumi. - GaeL Bonn, Bonnan.
Fondo.
Bonza. Gen. Botte lunga da traspor-
to. - Cor. Bondhat. Cerchio. -
Bret, B u n s. Misura pel liquldL
B òr a. Gen. e Vcn. Fusto Idi pianta scor-
tecciato, ed atto alla sega. - Afoni.
Vento di Greco-tramontam^jBòrea.
Boràcia, boracina. Gen, Piccola
fiasca per liquidi, 0 pólvere da
caccia.
Borea, f^. T, Trivio.
Borda. Lod. Nebbia. V, Barda.
Bordò e. MiL Scarafagio.L. Blatta
orientalis.
Bordonàl. Br, Alare, capàiiiooo.
DIALSm UmBARDU
HI
Borèla.ar.PftllòtU>lA-Boralà, bor-
ia. Gm. Rotolare.
Borgànl. V. T, Pottànghenu
Boryàs. Br. Alveare.
Bòria. Qm. ed 71. Alterigia. - GaeL
Borr, Borra. Saperbla.
Borie MU. Somaro. - fV. Borri-
qae.»^p. Borrlco.
Borin. Gem. Capèzxolo. - Cbr. Bron.
Mamaiella.
Ber Ine ri. f^erb. Uragano, tùrbfne.-
GaeL Borran. Ira.
Bornia. Gm. Cinigia, fevilla. - Pop.
Bàrnlsa. - L, Gomburens?
Bò 8. Br, Montone. • B o s a. Pècora. -
Boaari. Agnello. - Tèd. Bock. -
IL Becco. - Cam, Boc. Capro.
Bòa a. Lod. BolHdna del latte messo
al fooco.
Botin. Mil Contadino dell'Alto Ml-
BòtaoL Br. Circolo di persone rac-
eolte per trastullo. -Ker. Bòssolo.
Bòt. K. TJe MiL Volta, fiata. - Verb,
Botta, vetta. - Laarà a bòt in
fMlfa la Lombardia e in moUe altre
parti d^ Italia iign. Lavorare a cót-
timo.
Brama. K. 7*. Piovigginare. - Gael.
Braonàch. Piovigginare.
Bramine. Cbm. Nube grigiastra, fo-
riera di temporale.
Brandi nà. D. Oce. Alari. - Ted.
Brand. Tizzone. - Gael. Brann-
d al r. Graticola ferrea.
Brand ola. K Gap. Sbarra di legno
sul pendio d'un monte.
Br an d 6 s (A). Br. In abondanza. Negli
aUri dialetti A branca iign. A
piene mani.
Brasca. Gen. Bragia.
Breda. Br, Podere con casa.-!. Pr as-
dium?
Brègn. y. 7*. e ^. Casa diroccata, ro-
vina. 'Bret. Brein. Cancrenoso. -
BregD è imehe nome di paete.
Br emà. MiL An. Soppestare, romperai
Breva. y, T. Vento di levante, nnn-
sio di pioggia. SulLàrio e nU Vtar^
òono eiffo. tm vento regolare quo-
tidiano, che spira da Greco-levan-
te.-/tol. Brezza. -/h(rl.Breese.
Brevà {.Cbm. Vento forte di levante.-
Brevagéri. Uragano.
Bric,brica, brig. D.Oc.Brìocielo.
Nulla, punto, mica. -MoMf. Bri sa,
9Qce emiliana, che signiflea Hica,
non. - Gael. Briseadh. frattura»
frazione. " Bret. Brlsa. - fV*. Bri-
ser. Friare.- TVd. Brocken. Brìo-
dolo; sminuzzare.
Bricol. Mil. Erti dirupi, balze. •
Goef. Brig. Cùmulo, mucchio.
Bri gola. y. T. Otre da vino.
Brinscèt y. V. Ginepro.
Brisa. Mil. Brezza tramontana.
Brissón. 7*. A Asprella per lavare
stoviglie.
Bri tela. V. 7*. 0 ^. Coltello da sac-
coccia.
Bròc, broca. Br. e Mil Ramo d'al-
bero. La poce Broca è comune a
molti altri diaUlti di Lombardia e
d^ Italia. Ne derivò a tutta V Europa
la 9oce b recato, che corrisponde
al francese ramage.
Broi. y. Cqi9. Ingiallito, vizzo. Dicesi
delle foglie degU àlberi. - Ga/eU
Brog. Triste.
Brojér. ^. Cespuglio, macchia.- fV.
Bruyère?
Bromà. Verb. Gridare, schiamaz-
zare.
Brómbol. Br. Tallo del càvolo , che
comincia a fiorire.
Bronda. y. Gop. Chioma; aiicfte Capo.
Broppa. y. Anz% Ramo d'albero.
Brovò, brovàr, broàr, sbrojà.
Gen, Sboglientare, scottare.
Brùg. Gen. Èrica.- Brughéra. Eri-
ceto.- fV.Bruyère.-^ref.Brùg,
Brnk.
62
PAàTB PEIMA.
Braga, y, Cw. Piccolo promontorio
sopra un monte.
Brugi^ brùgià. MiL e ^r^on. Mug-
gire, ed anche Rugghiare del tuono.
Brumadurà. V, Ca9. Fart>ollire,
cuòcere nell^aqua. - Forte dMlU
PrematurareV
B r 0 8 £ i a. MiL Inf. Vespijo, ed anche
Favo. • Mant. Bresca.
Bugà. Brian, Il rumoreggiare del
tuono.
B ù 1 a r d é. MiL Frastuono , chiasso.
Buio. Gen, Bravaccio, prepotente.
Barda. Cr,'^ Nebbia. - MiL e Lod.
Borda.
Bùrné. y, Jnz. Bacino formato dal-
l' aqua stagnante. - GaeL Bum.
Aqua.
Burza. Br, Argine erboso dei campi.
Bùscelèt.f'.TMJlmus suberosa.
Bdza. y.y. Torrente gonfio. - ^erb.
Torrente che serve a trasportare al
piano i tronchi d* àlbero.
Caedù. Z). Or," Cavedón. D, Oc,
Alari ^ capifoco.
Caglia. Br, Pìccolo.
Cài 8. y, T, Pècora novella. - Gaxl,
Càise, càis.-Gomò.Caws, caas.-
TtA, Kase. - X. Caseus. Cacio. -
GaeL Coarai eh. Pècora.
Cai ss. V, T, Rana arborea.
CajaS. V, M. Càrico enorme di fieno.
Cala. MiL Mancare. Prw, Caler.
C ala s ter. MiL Sedili, sui quali pog-
giano le botti. - Corti, Calatter.
Sostegno che tiene ferme ed unite
le parti di un tutto.
Cali.D.Or.-Calizen.Cr.^-Calisna.
Pop. - Carisna, calùien. MiL •
Calozen. V, Cam, - Calùzene.
yen, Fuligine.
C>^\\t, MiL anU Casale, abituro al-
pestre rovinato. - fV*. Chalet, i
Calméder.^.-Calmè.AAi.-Mèta,
Gen, Calmiere.
Caiobrósa. Br," Calabróaa, ga*
1 a verna. Mant, Brina, gelaverml,
Calsèder. Br, Secchia di rame. Cai»
cidra. - Gr, Calcos. Rame. Tdor.
Aqua. ■ ^
Cambra. Br, Arpese. - Cambra.
Sprangare.
Cambròsen. ^r.Ligusirum vai-
gare.
Caminada. Br. Sala.
Càmola. G€n.Tignuòla. -Gae/.Canii%
Canà. y, T, Piàngere.
Canada, y, T, Gran fame.
Canaja. y, L, Fanciullo, ragazso.
Canàvola. y. Co»," Canàvra. J#/i.
Collare delle vacche, dal quale pen-
de il sonaglio.
Cane. Br, Capelli grigi. L, Canua.
Canèe, y, y. Stanza diroccata.
Cantarana. MiL Fogna, chiàvica,^
cloaca. - Gael, Cannràn. Palude,
stagno fangoso. - jirm, Can. C|e
rogna.
Cantir, cantér. Gen. Palo lungo,
che serve a formare i ponti da fii-
brica. «
Caput. Br, Cupo, profondo.
Caragnà. D, Oc, Ragnar. Afoni.
Piàngere leggero e continuo. - C a r a-
gnada. Piagnistèo.- Caragnènt
Piagnolente.
Caràs. ^r.-CaràS. MiL Palo grosso
da vite. - £. Charax.
Carebe. Br, Luogo stèrile e deserto;
anche Trivio e quadrivio. - K. Ca-
róbi.
Caréó. f'0r6. Gioncajo, giuncheto. -
L, Carectum.
Carezà. y, y. Ingrassar bovini per
macello.
Caróbi. Gen, Quadrivio.
Caròl. Cr.^ e ^r.- Cairo. MiL Tar-
lo; ed anche la pólvere che questo
insetto prodttcer "U Gajri««*
DIALBITI LOMBARDI.
53
Cariga. Carfigola. Aftl. Melo-
lonihft vitis. - Arm, Crug.
Caspa. Br, Coochiaja per fornace.
Càt y. V. Legna spaccata.
Catamò. Br, Gutrèitola.
Catigol. Or* SoUèUco, dilètioo.
Ci ni a. y.jinz, Stminento che serve
a portar pietre sulla schiena.
Cavàgn. Gen, Paniere; Dim, Cava-
gBO.
Ci ve d. Mit Tralcio novello della vite.
Cavedagna, cavdagna. Gcn. Viale
che separa un campo dall'altro , e
serve di passaggio ai carri pel tras-
porto dei ricolti. - JL Caudanea.
Lembo laterale.
Cavèi. àiiL Assettato , acconciato. -
Cavexià. Assestare , ordinare.
Gerii. CrJ^ Sbigottito^ maravigliato.
Chiglia, y. i49. Qui, Ivi. y. Chilo.
Cbilbi. 7Ve. Festa patronale. - Ted.
Kilbe.
Chilo. Kerfr. Qui,qua.-iL. Hlc loci?
Chiloira. y. Anx. Faggio.
Chlròr. K. y. Avellana. - y. T. Co-
leri. -L. Corylus.
Chisòt y, T, Agnello di circa un
ChltèLK.r. Sottana. -red. Kit tei. -
Gr. Chiton. Tanica, y. Còtola.
Chùs. Tic, Tormenta, pioggia con
Devo. - Ted, S9Ìz. Gugsete.
ClàL MiL Sciocco 9 scimunito -Ci a-
lada. Scioccherìa.
del a. y. r. Pècora.
Cièmol. y. M, Sòbrio, temperante.
Cìmld. y, y* Sonnolento. 'Gr, Koi-
mào, K.0 im ilo. Dormire; d* on-
de Cimitero?
Cina. y. y. Capra.
Cióc. Gtn. Ubriaco - Ciòc. £r. Tocco
di campana- Cióc, ciocbìn, nei
dialetti pedemontani «r(jm.Campana,
campanello; Cloche. Campanile. -
OoL Geocair. Ebrioso.
Ciógo. Br, Ottimo, squisito.
Giòn. y.T, Porco, majale.- f^.Suni.
Glòria. Br. Vaccherella magra.
Giuttàr. Bor, Guardare, osservare.
È usato nella 9oce Giù tia. Guarda.
CI vèr a. K. Jnz, Gerla. - MiL Sci-
véra (pre$io il Afaggi),y.y,SeìO'
vera.
Clòt, e fòt. Br. Gassettino. - Arm,
Rlued. Chiave.
Glot. Br, Saiio, satollo. - Ingl,Ci^
yed. Satollo.
Coàt y^T, Campo, o Prato fra selve
e rupi. - >tfrm. K.0 a t. - Coni. C 0 a t.
Bosco.
Co b e se. Bor, Sacerdote.
Cobgia. y. T Fune da legar some
sui giumenti.
Gòbis. Br, Ga8uoda.-G(ie/.Gobhan.
Casetta, luogo sinuoso. Di qui forse
VltaL Capanna.
Gobis. ^. Moltitùdiiie.
eòe. y, y. Sasso. Coccio in Italiano
significa ttn frammento o paso di
terrei.
Coca, y y, Vecchlona.
Còden. Mil, Ciòttolo, sasso. / Lue-
cheti chiamano C òt a n i t ciottoloni»
Gogia, scogia. Tic, Frana. Scoglia
in Italiano è lo stesso che Scoglio.
Colla. Cr,^ Porca di campo arato.
Colma. Mil, e yerb. Cima, vetta. -
L, Culmen. - Ted, Kulm.
Comhkì, Mil, lungo l'Adda, BatteUo,
burchiello. -/.. Gymba?
Gomòc. Br. Purché, a condizione. -
L. Cum hoc.
GoBÒd, comòi, cmòd. D, Or, Co-
me? - L, Quomodo?
Con tra. yerb. Ripiano d'ogni sca-
glione di collina coltivata a poggio.
Copie. Br, Capovolto.
Gòreg. A/i7. Garrucclo, guardinfan-
te. -Z.. Gurricuius?
Co rno. y, y. e y, T. Sasso, clòttolo.-
Arm. di yannes. Co rn. Sasso, roc-
cia. - Cai, ed Irl, G o r n. Sasso.
8
(Sft
PARTE PRIMA.
Gornò£. y. y. Angolo di stania. -
Cam, Cornai. - /ii{7/. Corner. -
GwUt Oimò. Cearn, cnrra. An-
golo, cantone.
Coróbia, coràbia. J#l^-Colóbla.
AiP. e Cr!^ Aqaa grassa, nella quale
furono lavate le stoviglie. •L.C ol-
luvles?
Coruzzola. Cbm. Salamandra.
Cospe. y. T, Scarpe di legno.
Còtola. />. Or. Gonna, goiinella.-Cò-
fola appartiene a tuiU i dialetti
yèneU. - GaeL Gota. - L. Cotta,
Tùnica. - Ebr, Cotan. - Gr,
Chiton.
Cos. y. y. Veste rattoppato. - Ted.
Kos se. Coperta grossolana.
Crap. K.7\ Macigno, greppo. - Jrm.
Crag. Granito. -GoeLGr e ag. Rupe.
C ras poi a. T, P. Scumamola.
Crenà. Cr.* Stentare. ->tfrm. Cren a.
Agitarsi , dimenarsi.
C renna. MiL Fessura, screpolatura.
Cròs. y. Anz, Ruscello.
Crosàt. y, r. Giubba.
erosela, y. M. Ribes. - Pr. Gro-
seille.
Cross. TVaef^rò.Cavo. -fy.Creux.
Crota. Br. Vòlta di ponte. - Piem.
Carcere.
Crùi. Tic. Accosciato. -Cruscìàss.
Tic, -Scrùsciàss-giò. MiL Acco-
sciarsi.
Cubano. Cr,^ Villano, forense.
Cucca, y, Ca9, Tosare in genere, rà-
dere i capelli.
Culmégna, colmégna. MiL Comi-
gnolo dei tetti. - £. Culmen.
Cùrpen. MiL Terra colorante.
Cùsetta. y. Af. -Guse. y, T.-Cos.
y. y. - Curetta, cùsetta. MiL
Scoiàttolo.
Dagnò. K. K. Dopo.
Dalfi. Br, Lampo- Dalfinà. Lampeg-
giare. - GwL Dealan. Fùlmine. -
Or, Dalof. Fulgore.
Darà. Br, Cribro, crivello. - K T,
Tràina, baroccio a due ruota -
GatL Darbb. Traina, camiecio.
Darbio. 7Vc. e yerb, Cercbio di le-
gno , col quale si dà la forma al
cacio fresco oon beo rappreso.
Dardér. Br, Hirundo riparlo*
CTUomoJiDàrdan, DardanèI uà-
gU oltH diaUlU lombardL
Darenòo. y, y. Frana.
DarénS. y. y. Tenace, stinco. - MiL
Difficile, scabro.
Dartòo. y, y. Colatoio del latte. -
Jrm, Dar. Coiatojo delie cueiiie.
Laveggio.
DarùLAft'i. Scabro. Ai E osca. Cor-
teccia, y.
Daùra. y, T. Ascolta./- Da aureoY
Daza. fir. Ramo d'abetew-Dacà. Sfron-
dare, dibruscare. - Gr.DasttSb Ir-
suto, peloso.
Deda. cy.®Zia.-Afaitl.Sorella-Deéo.
Afoni. Fratella
Delèg. Br, e Mani. Grasso di poroo.
y, Lédeg.
De ma. Br, Maniera, guisa; Settima-
na. - Gr, Demas. Forma^ igora.
Denà. Aft7. Ant, Da Lungo tempo. •
l. Dio?
Derla. MiL e y, T, Noce smailata.-
Derla,derlón. Po^. Mallo-Derlà*
Smallare.
Derma. Br, Appoggio -Derma. A^
poggiare.
Derùscà. MiL Scalfire, spellerei-
De r use Rùvido. - Prov. Dric.
Da Rùsca. y,
Dcsà. y, T. Ornare , aceonelare. -
Col, e GaeL Deasaich.
Descuatà. MiL Scoprire. • iVop.
Descatàr.
D e se ù m i k.Mil.Jn, Snidare, afrattere.
Desenestrà. Br, Sconnèttere.
Desènt. Br, Co$i chiamami neUe far'
riere gU alunni cbe apprèndono il
DI4Lnn LOMBAKm.
OK
mestiere. - L, Dlseens, dlsel-
pnlas?
Desf an t à. Br.e f^er. Stemperare, sciò-
gliersi , svanire. ^. Sfantà.
Desmissià.i^r.-Desmissiàr.ilfan/.
Svegliare. Qttesia 9oce è profpria di
tutu i dialetti i^eft.
Desmombolà. Br. Dissestare.
Dessedà. Mt7. Svegliare, destare. //
contrario di Sedare.
Destro, f. T, Sporco, sùcido. -7Vd.
Drist. Lordura. - IngL Dirt.
Diana. Br. Lo spuntar dei giorno.
Dierc. K. f^. Faccendiere. - Ted,
Dirne. Serva.
Dina. Br. e F.T. Tardi.- Gr. Dynai.
Al tramonto.
Diròn. K M. Vòlta di casa. Solajo.
Dolca, y, M, Piegare, f^. Dulcas.
Doma, m à.Gen. Solamente.- Prop. Ma.
D r è n. K. ^. Lampone.- Arm. D r a e n,
dren. - Cam6. Draen. - Com.
Dr én. - Gael. Dr ean. Spina. Lam-
pone.
Drùd. Cam. Vègeto, rigoglioso. Dt-
ee$i dPàtbtro,
Druv. y, Anz, Grasso, robusto.
Druza. Br. Péntola.
Dugàl. Br, e Mani. Canale e solco
nei campi e sui colli, per raccò-
gliere e condurre Paqua piovana.
Forte dal L, Ducere?
Dòlcas. Cam. Pieghévole, flessibile*
Dieeei di ramo d*àlbero. - £. Dul-
cis, docilis?
ighen, èien, èzeL Br. Gytisus
laburnum.
Klza. Mil. Lucignolo; pennecchio,
BMuietta di lino, e simili.
Bm pesca. Br. Disgradire. -Or. En
pasko. Soffrirne.
Enpissà. Br. - Pitzà. àlH. e Com.
Accèndere.- Mant. e Ver. Implssàr.
Em piz 0 1 èss. ^.« f^er.Sonnecchiare.
E n e a I m è r. Br. Innestare, inserire. -
Mant. e Ver. Incalmàr.
Eneo, anco. Br.-Ineo. D. Oc. Oggi.-*
yen. Anco, ancùo. - Piem. In-
coi. - iVop. E n q u^h u y. Aneh^oggi.
Encogolà. Br. Ciottolare -Cògoli,
aòttoli. *
É n d e s. Mil. - £ n d a s. Mant, Guarda-
nidio, uovo nidiate. - L. Index?
E n gaz è. Br. Infocare, accèndere le
brago.
Engermà. ih^.-Ingermà. ilfifl.-Fft-
tare, rèndere fatato.
E n g i n a.Br.Impacciare, imbarazzare.*
fV. Géner. - Gael. Geinn. Strìn-
gere, prèmere. - Oam. Gene. Ves-
sazione. - A*. Gène.
Engnorgàs. Bf. Musare, star sileii*
zloso e triste.
Engremis. Br. Accorarsi, asside-
rarsi.
Eniedà. Br. Infangare.- L. Lutum.
Enregaìs. Br. Divenir rauco.
Enrenghis. Br. Intorpidirsi.
Enrossàs. Br. Adunarsi a stormo.
y. Roso.
Ensapelàs. Br. Imbrogliarsi.
Ensin. Br. Senza, a meno.-£. SinOb
Ensorgàe. Br. ubriacarsi.
Entapàs. Br. Vestirsi bene.
Éres. y. T. Figlio maschio. -£.H gd-
res?->^«9ofuif^o dkeeiKèàesper
Ragazzo; a Bianzone Raissa;a Ti-
rana Rais.
Ergna. Mil. Édera.
Èrteg. Mil. Grosso, fitto.
Essevrèzza. Mil. Ani, Agevolezza,
piacere.
F
Fabio, r. Anz. Zùffolo di scorza d^àl-
bero. - Mil. Sciocco.
Falca. Bar. Bianca, Falba. Dieesi di
Pacco. -red. Fahl. 'ingl. Fallow.
55
PAaTB PRIMA.
Fai cor. MiL Funi che fermano il gio-
go al collo de' baoi.
Falòpa. MiL Bòzzolo mal riuscito.
Fai tram. Br. Immondizie; cose su-
dicie di niun pregio.
Fano. y. L. e MiL ÀnL Infante.
Fapèi. £r. Ingaggiatore.
Farlocà, farfojà. MiL e ^.-Per-
lo e à. Or.* Balbettare, parlar con-
fuso.
Farol.Or.*Castagna lessata, sùcdola.-
Arm, Faruèl. Ballerino, sciocco.
Farii, feru, farùf. MiL e Or* Ca-
stagne sbucciate lesse.
Fascéra. D.Oc. e Br, Forma, cali-
bro.
Fit. MiL Sciocco, insipido, senza
sale.-^. Fataus.-fy.Fade, fat
Feda. y. T, Pècora; Sacco di pelle
pecorina. - £. Hiedus. Capretto.
Feràl. MiL Sangue porcino cotto.
Fergui e fregui. Gen. Brìcciola.
Forte dal L, Friare?
Fers. Gtn, Rosolia, morbilli.
Fés. Br. - Fiss. Berg, Molto.
Feta. y. T, Cado fresco.
Flap. Gen, Appassito, vizzo.
Fiègol. irr. Flessìbile, fiévole.
Fièl. y. T. e Br, Coreggiato, o bat-
tente. - Arm, Fi bla. Bàttere a
grandi colpi.
Fiòca. £r. Falce; Dim, Fiochèl,
fiochi. - GaeL Floba. Scure bèl-
Uca.
FI a ber. Br. Denaro falso.
Fò. MiL Faggio. - Prov, Fau.
Fòfa, fifa. Gett. Paura, timore; Ma-
rame, scarto.
Fògn. f'. £. Vento di sud-ovest. -
MiL Raggiro furtivo.
Fogna. MiL Frugare; Nascóndere.
Fol. y, T. Sacco di pelle per la fa-
rina.
Fólfer. MiL AnL Scaltro, destro.
Fomela. y. O», AJuòla; pìccola area
coltivata sui monti.
Fopa. Afi7. e^r.Fo8sa.-Fopón e Fo-
pù. Sepolcro comune, cimitero.
Fosna. y, M, Praticello intorno ad
un campo. - GoeL Fosradh. Pà-
scolo artificiale. - Gaid, e Otmb»
Foss. Steccato. - Arm, Siepe che
circonda un campo , e trincea.
Fracà. Br, Prèmere.
Fràina. Br, Loglio.- £. Lolliam
perenne.- A/1/. Grano saraceno. -
L, Polygonum fagoplram,
Farrago?
Fraza. ^. Neve congelata; Fruito
del fràssino. -(voc/.Fras, Frasan.
Pioggia gelata, gràndine.
Frégola. Br, ef^<r. -Fregai, fer*
gùi. MiL Brìcciola. y.
Fri ne Br, Grìcdolo, caprioclt.
Fri i^. y. Pregallia, Sano , roboatOb •
Ted, Frisch.
Froda. Tic, Cascata di fiume, di tor-
rente e simili, - y, Anz. Frola. -
y. Fot, Frùa, Frùt. Onde ehià--
masi An der Frut il9illaggio si"
tuato presio la coicata della Tàa.
Fui, fol. Br, Cartiera, pila, gual-
chiera; Fu là. CeAcor^» ickiaocio'
re,- Fr, Fouler.
G
Gaba. Gen. Pianta, i cui pamiaono
tagliati a corona sin presso al fuslo*
Gabi. érr. Mandriano. -Gae{.G a bh a r.
Capra.
Gabin. y. T, Vestito da uomo.
Gabinàt. V, T, Regalo fatto la mat-
tina deir Epifania a chi è primo a
parlare ad un altro. Dal TVd^G.a li«
(Dono) e Nacht (Notte).
Gabòr. Br, Così il valligiano bre-
sciano chiama il contadino del plaso.
Gaér. Br, Lolla, pula.
G a j a. Br, Capecchio-G a J 51. Pagliaolo
rimasto suiraja. -Gr. Gaio. VaiM^
leggero.
OlAUSm LOniARDI.
57
Gajòfa. A#/l., Pop,, Cr.* e Mant, Sac-
coccia.
Gajàm. y. 7*. e MiL - G&dm. Br,
Ibllo. - Desgaomà. Br, - Sga-
jomk Fero. - SgajaSà. f". V.
Smallare.
Galbéder. Br, e Mant, - MH, Gal-
bé. Rigògolo {ipecie d^uccelh). -
I. Galbula. - Ted. Gelb. Giallo,
coiore disUntiPò di quesV ìiceello.
Galeda y. T, Blgoncioolo di legno
con coperchio e lunga cannella per
bere, usato ancora dal volgo in V, T,
Galédora. Orni. Gabbiano. - £. La-
ro» caous.
Gale, galér. MiL e Br, Fùsso dei
conciapelle; Mortajo.
Galera. Mil, Ruspa , treggia per rac-
eorre e trasportare la terra.
Galìtt, garitt. Mil. Sollético, di-
letico. -^r. Gatigol.-Gr. Gelao.
Ridere.
Galof. Br, Burla - Gaio fa. Truffa -
Galofà. Truffare.
Cambia, gambisa. y, 7*. e ffr. Col-
lare di legno per legare il bestiame.
Gamina,ghemina. MiL Complotto.
Cam ir. MiL Ani. Gómena, menale.
GamissèI, gumissèl^ remlssèl.-
Gen, Gomitolo. - f^er. Gomissièl.
Ganda. V, T, Masso staccato da ru-
pe; pi. Gandi.
Candidi, gandol, gandóla. Gen.
Nòcciolo della ciriegia, della pesca
e iimili. - G a n d i a. f^erb, L^Amàn-
dorla contenuta nel nòcciolo - Gan-
dolin. Seme. - L, Gianduia?
Ganga, Ghenga. MiL Spazzatura
dei cessi che serve di concime.
G a r b. Br, Acido.- Mant, Greggio.-
Gael, Garbh. Aspro.
Camera. Cr.* Scopa, granata.
Caròla, f^erb. Lo stròbilo , o la pina
delle piante conifere.
C a r ò V. Com. Mucchio di sassi nel lago
per pigliarvi pesci.
Garovàt. y, T, Corba grande per
condurre il concime.
Garrig. Com, Calcinaccio.
Gàtol. Br. Salcio, sàlica. - £. Salix
caprsa.
Gàuda. y. T, Mucchio di sassi for-
mato da una frana.
G a va da. MiL e Br, Tenaglia mor-
dace per ferri rotondi.- Cam, G^
var. Granchio.
Gavàrd. Cy-.'^-Gavàl. Afonf. PaletU
da focolare.
Gavetta. MiL Filo di ferro. - ManL
e Ver, Cordicella, spago. - Afoni
Gav. Grossa fune.
G a V i n è I. MiL e Mant, Acertello. - 1,
Falco tinnunculus.
Gazol. Br. Castagneto da frutto.
Gè a. Afi7. Peluja (la pelliccina inter-
na della castagna).
Gecchiss. Mil, Intdstire , dima-
grare.
G e n t à. y, /^.Figliare. - 1. G i g n e r e.
Gèr, ciàer. y, T, Assai, guari.-
Ted, Gar.
Gèrb, zèrb. Af^(. Sodaglia, terreno
stèrile -Deszerbà. Dissodare.
Gheba. ^. Nebbia. -r.7\Ghèbi a.-
rerò. Ghiba.
G h ed a. Br, e ManL Grembo. Gh e d é
de la Cam Isa. Gheroni.
Ghèine. Verb, Fame. y. Sgajosa.
Ghèo. Br, Vezzo.
Ghèz. D, Oc. Ramarro. KLingori.
Ghia, y, y. e MiL - Ghiado. Pav.
Gujòl. ty." Pùngolo dei bifolchi. -
Sp, Guiàr;-«9p. Aguijar. Pun-
zecchiare. - Com, Guu, Geu. Lan-
cia, freccia, y. Gol.
Gh lavina, y, ^nz. Frana; negli al'
tri dialetti Tic, Lavina.
G h i n a 1 d i a. MiL ani. Destrezza, at-
titùdine a checchessia.
G hi rio. Br, Vòrtice.- IngL Whirl.
Giàcol. MiL Verga del coreggiato.-
GaeL Geug. Ramo d^ àlbero.
«8
PAETB PaiMA.
Giavaròt Pretio BriHo iign.Veriì-
cone, che senre a frugare nelPa-
qua per {sfrattarne i pesci. Si lega
a Giavellotto.
Gibigiana. MiU Bagliore, riverbero
di sole latto ripetutamente collo
specchio. In Mani, e Cr.^ dicevi
La Veccia.
Gina. MiL Caprùggine. - K Ina.
G iòa. f^. Ose. Strumento di legno per
estrarre le castagne dal mallo spi-
noso che le ravvolge. - ManL Stru-
mento di ferro col quale i falegna-
mi assicurano le tàvole da piallare,
detto Granchio.
Giòia. Br. Allegria.- V. V. Spalla. -
Goel. G lolla. Gióvane. - Arm, e
GaeL Giolam. Loquacità, garru-
Utà. Festa.
Glòria. Br. Tristezza. - GaeL Giu-
ra m. Pianto, gèmito.
Giorli. f^. Af. Vezzeggiare.
Gir. f^ T. Andare, gire. - Bom, G i r.
Gius. Mil, e Piem, Sugo.-/^. Jus. -
Giùssòs.Succoso. -£. Jus. Brodo.
Giusti. K A#. Origliare.
Glasù. Br. Bache di mirtillo.
Gnàl. Br, Uovo nldlale, bar lacchio.-
y. Éndas.
Gnèc. Mil. e y. T. Svogliato, triste. -
Gneca, gnechisia. Mil. e Br.
Svogliatezza, languore.
Gnèra. Br. Canile.
Goga. Mil. «Br.-Gogla. PaP.-Fa-
80. Brianz. Buffetto.
Goghetta. Br. Gozzoviglia.
Gogò. Mil. Baggèo. - Gr. Goggyn?
Gòi. Br. Pùngolo; Gojà. Pùngere,
spingere.-Afonl. Gojadèl,Gojdl.
Pùngolo.-^. Ghia.
Gólp. Mil. Carbone, malattia nota
del frumento. ^Gael. Guai. Jngl.
Coal. Corti. Koian. Ted. Kohle.
Otaf». Kooi. Dan. Kul. 5p. KoL
jRui. Ugol. Carbone, y. Gùà.
Golzà. MiL Ardire«*iViop. Gauzar.
Gómena. Gm. Gómena, menale. -
Bas, Cu mena. - Sp. Gumena.
Gora. Mil. L^ossaturfi o schelettro
delle barche. - GaeL Gol rea. Ap-
parato , armatura , schelettro.
Go rgon è 1 a. Br. Canale che aerve di
scaricatore al mulini.
G 0 r ì n. MiL Vinco, vétrice. jinehe 8a-
lix viminalis.
Goria. Br. Buco deiraqoaio.
Gorlere. Br.- Co rler a. Alll. Soie*
gliature.
Grà. f^.r. Vecchione. -Gr. Grays.-
Jrm. Grach. Vecchia. • Conu
Gruah. Vecchia.
Grafión. D. Or. Marchiana (specie
di ciriegia grossa).
Gramezza. Cr.^ Gramàglie.
G r a t a. Br. Grappo, gràppolo.- Grate.
Vinacce.
Grébegn. Br.-Grébanl, sgrébar
ni. rer. Greppi, terre stèrili e sas-
sose. - y. Gèrb. - Ted. Grob*
Rozzo , inculto. - Gael. Grl.
Gregna. MiL Covone di riso^-^nn.
Grann. Riunione di qualsiasi cosa,
mucchio, ammasso. - Gael. Grua-
nan. Covone.
Gremà. Afj/. -Gr ima. ì\ip. Abbron-
zare con ferro caldo. - £. Cre-
mare.
Grenón. r. K Nebbia folta.
Gre za. Br. Affrettare, aizzare. -f^.
Agreià. - GaeL Greasaldh. A^
frettare.
Grignàpola.Brw-Gregnapàpola.
Cr,^ - Sgrignàpoia. Ber. • Zi*
g n à p 0 1 a. yer. Pipistrello. Quaila
mammifero presio il Aimsk a ani
Nerbano chiamasi ancora Messa*
ratt, Usèl-ratt; a Lodi Ralt-
s g 0 1 a d ó , cjò c^ < 'accolto al iMMf
piemontese Ratta-volòlra.
Gr ingola MiL anL ManL a Vw.
Giùbilo, gioja.
Grinta. MiL Cipiglio, Viao torve.
DlAUnn LOSIBARDU
ai
Gril. y. T. Maleontento. - GaeL
Gready Graldh. Cruccio, ansietà.
Grisoly Sgrizol. Br. e Mani, Bri-
vido. <- IngL Or i s 1 y. - Gael, 6 r e a-
dhaa. Srivido.
Grooi. Br. Granclilerella. - iL. Cua-
cata Europna.
Guà. MiL Carbone, malattia nota del
froraento. - Gael. Guai. Carbone.
F. Gòlp.
Gai p. r: 7. - G na p. f^. f^. Scodella,
nappo. - TM. If apf. - Jrm, Gob.-
^^ Go b e I e t Taiza , bicchiere.
Gnarnassa, guarnèl.Cr.*«AfaN/.
Gonna, gonnella, goarnacca.
Guida ss. Gen. Padrino; fem. Gui-
da* sa. Madrina.
Gufa. Br. Pianta, che nei boschi ce-
dui è segno di eonflne, o partixione.
Gaindoly Ghindul. A Oc Arco-
laio.- Av. Guind&n. - Ted. Win-
de.-Cbrft. Gulns. Vòrtice; dieeii
M fMMfO.
Gàma. y. 7*. Piovigginare; Gùmet-
ta. Fiogglerella. - (»ae[. Cumha.
Fiangtsieo.
fad. K. T. Gran freddo; ghiado.
Idròglla. K y. Millanteria.
Ignòga. MI. ani. Qui. £. Hic loci?
Ili n a. A^. Belladonna. - I. Atropa
Belladonna.
Ilòga. MiL mi. Là. - L. Iliuc
Illa. Or.* Treggia. - A/ani. Slitta.
Im. y. Mal. Basso, imo - Aim. A bas-
so.-/r. Adimuffl.
Imbosca. T. P. Mischiarsi.
Imbu stemàt. Cr.* Adirato, corruc-
ciato.
labrunxàt. Or.* Incollerito. Dieeii
del iempo a del clima.
iBpronà. FX. Atterrare.-Gr. Pro-
ne yeln. Abbassare. • JU Pronus.
Ina. Br. Caprùgglnc delle doghe. -
Ina. Fare le caprùgglni.
Inasià. JH^/. - Inastar. JMunl.tfFsr»
Allestire, Preparare.
Incrusca ss. Or.* Istlzzirsl.
Indemnàss. Or* Formar vòrtice.
Dieesi del venia.
Indevenà. Mil Aggomitolare, in-
cannare.
Indevià, induvià. Brian. Viglia-
re, cumulare, ragunare.
Inendret 5r. Dabbene, giudlsloso.
Inevid, Inevida. Mil. Malvolen-
tieri.-I. lavile?
I n f è I. Mil. Intrigo, impaccio - 1 n f e*
scià, imbrogliare. Intrigare.
Infichlòss. y. y. Dispettoso.
Infolarmà. MiU Affaccendato, iafei^
vorato.
Infoici. MiU Innestare, inserire.
Inga. Mil. Loglierélla.
Ingaiià, ingatiàr. Gen. Avvilup-
pare, imbrogliare.
Inguènguel. Mil. Utensili. - In-
gu angela. Frottola , Fàvola.
I n n i n z. Mil. Non intero, manomesso.
y. Ninzà.
In n osi. Cam. Ammaliare.
Insedi. MiL Innestare, incidere, in-
serire.
Inslèt. Or!^ Forse.
Int. y.T. Dentro. -jL IniJis.'-Ir int.
-£. Ire intus.
Intravisènt. Brifm. Trasparente,
liscia. Ùiceei della pelle.
I n t ùi t ù. MH. Rapporto a, in rlguar- •
do.-£. In intuitu?
Inverna, yerk. Vento di] libeccio.
S. 0.
I n za. MiL Incidere, inserire.- Brian.
Niizà.-f^. Insedi.
Jòl, Jori. Tic. Capretto d'un anno.-
M. Oiolla. Gtòvlne.
70
VAKTC PRIVA.
Ladin. Gen. Scorrévole, Adle; Trifo-
glio. -Ladina. Fare un prato di
trifoglio. - Fèr ladin. Ferro mal-
leàbile. - Jrm, e Com. Ledaa.
Largo. - Cai. Lalh. - l. Latns.
Laf. Br. Frana. - Com. Lafron.
Brani , pezzi.
La ina. Br. Scoscendere, franare. È
ancora nome dipae$e in Lombardia,
Lama. Br. Uligine. Terra vacillante.-
Com. Lamas. Terra sollevata.
Lamp. Gen. Faida» lembo.
Lanca. Gm. Ramo morto di finme.
La n t a. Br, Sambuco aquàtico.
Lapà. Gen, Lambire. - Ted. Lap-
po n. - /Vop. Lipar. - IhgL To
lap. - ^rm. Lapa.
Lasa. Br, Lastra di pietra.
L a t a. K r. Pèrttoa per viti. - Comò.
Llath.-^rm. Laz. Lungo bastone,
pertica.
La véz. Gen. Taso di pietra oliare. Da
Val Laveizara ne prende il nome.
Lazo. Br. Agio.
Leda. Br. Loto. - Leda m. Letame. -
L. Lutum.
Lédeg. MiL ant. Strutto, grasso di
majaie, d'oca, e simili. K Deièg.
Le g n 0 r a. Mil. Funicella che serve di
règolo ai muratori per tracciare di-
ritte le muraglie, ed agli ortolani
per le scuole. -£u Lineo la?
Leguègn, leguign. Br. Schisto mi-
càceo, matrice del ferro. - Gael.
Lea e. Lamina di pietra.
Le m. jlfif/.Legumi in gènere.- i?r. L i m.
Le ma. Brian. Escrescenza mori>osa
della quercia.
Lem ed. Brian. Scaglioso. Diceii del
Ugno.
Leni. Mil, Pingue, nitido.
Lencià. ^rlon. Lisciare, render pin-
gue.
Lerga. £r. Loglio. -ÌL. Loti uffl pe-
renne. - Brian. Lirga.- L. Lo-
lium temulentum.
Lesena. Gen. Pilastro addoaaalo alla
parete.
Lesn, lesùm. f^. K Lampo. -Lesmà.
Lampeggiare.
Liffia. K y. Bocca. - Ted, Lippe.
Labbra.
Llgabòsc. Br., Mante Po», idera.-
Fiem. Brazzabòsc-O.* Rampe-
garòla.
L I g a n g a. Br. Legenda.
Ligàngola. i?r. Cavillo.- Li ghigna.
Cavillare.
Ligòss. Br. Sciocco, viUanow- F^. T.
Scapestrato.
Limàt. y. M. Praticello presso on
campo. - Gr. Lelmon. Prato»
Limoria. Bor, Persona merìkaàb, -
Gr. Limeros, FamèUeo.
Lingdri. Verb. - Lùgar, L^er.
jlfanf. Ramarro. - f^ar. Liga-
dór. In qualche dialetto toècano
chiàm. Ligure. - K Ghèz.-G«0L'
Luachalr^omegrlioDear.e-Liia-
eh a ir. Lucerla.- L. Laceri*. -
Lacertus viridis. Ramarro.
Linsi. Br. Manométtere, intaccare
una cosa intera. - y. Nln za.
Lis. Gen. Lógoro, consunto. Dieeeidi
tela 0 d'altra etoffa.
Litta. Mil» Melma di fiume.
Lobra. y. T. Cànapa, o lino grana.
Lo e. y. T. Vuoto. Diceei del ^rana.-
Mil. Balordo.- ManL Lóc tign.
Pula. - Ted. Locker. Vano. • Sp,
Loco. Stolto, leggero.
Lochèr. ^r. Gusci di grano. - 1^» Lóe.
LoerUs. Br. - Lovartis. Jfnnl. •
Vertis. Paio, Luppolo. -Lo varila,
Lovertis.jlftf/. sign.aneheSwtamit-
to, tralcio di fragole, a atm^l^*
Lu vertis. O.* Lupini.
Loffi. Mil. Spossato, vizio, danein.
Logia. Mil. Célia, bi^a.
Logia. Mil. e Pop. Troja,
\
DiAurrn lombakoi.
7i
GaH, LIagaeh. Sòrdido, im-
mondo.
LoJ. Jf#l. SooBOleiisa, svogliataggine.-
Goel. L o e h d. SoniK>ienia.-L o 1 g h.
Débole, lànguido.
Lo Isa. Bor. Sorta di slilU.
lop, lopa. Br, Seòrìa del ferro.
Lòstlg. y. i^.Allegro.-7Wf.Lostig.
Lèt MiL e M4mi. Zitto, quatto.
Iota. Gén, Zolla. • Slot è. Rompere
le zolle. - L, Lutum.
Lèva. MiL Spiea del pànico; pannoc-
chia del grano tnreo. In Plinio è
defte Loba.-Lovà. Spigare.
Lòva. Omu. Nebbia.
Lòzel. Br. Scodella di forno fusòrio,
d^onde si eslrae la scòria.
lolita. Br. Scempiàggine. - Cbm.
Los. Scioperato , stordito.
Licia. Jfll. a Br. Lamentarsi pian-
gendo. - L. Lugere?
Ligà. Br. Raggiùngere.
Lag ber a, luéra. Gm. Favilla, sdn-
Ulla.
Lunèla. Br. Ugola.
Lara. Cr.* e Br. - Lòra. Mani.eyer.
Pévera;- Lurèt, lorit. Imbuto.
Lutare. Bor. Desiderare.
Màcan, màcana. y. T. Fanciullo,
fmciolla. -Maeà chiamami i fan-
duUi nelle palli bergamoiche Pieine
a Lecco.' GaeLMtL etili, FanciuIIo.-
M a e a m n a.FancÌulla.-M a e. Flgllo.-
Jrm. e C!om.Moch,Mab. Figllo.-
7*011. H agd, Màdchen. Ragazza.
J. S. Maga. - Gol. Magus.- Don.
Maagdt.* /if. Mogur.-^p.Mo^o.
Fìneittllo. - Mil. Hagatèl, Maga-
tela. Bimbo, bimba; aficA« Fantoc-
cio, il Mannequin de* F)rance$i.
■acarà. MiL Piàngere.
■acù. Br. Orfuio. - ^. Màcan.
■adàae. Br. Massa di frasconi.
Màdena. O.* Màdia. - F. Panerà.
Madrùl. F. 7". Casa ruinosa.
Magàra, magari. Gen. Diovoglla!-
Gr. Macar. Felice.
Maghi. Cr.*" Potatore di viti e gelsi
venuto da altri paesi. -Gasi. Mag.
Campo. - Mag ha eh. Campestre.
Magno. MiL Rarbatella, tralcio di
vite.-0»rfi. Magie n. Vinco, legaccio.
Ma gold. y.T, Aqua stagnante e pù-
trida.-Goel. Magh-uisge. Lago
invernale. -Magolcènt. Sudicio,
sòrdido - Magolcià. Ammosciara.
Magón. Gen. Accoramento, molti dia-
piaceri successivamente accumu-
lati. • Ted. Magen. Stomaco.
Magore. Br. Zòtico, rosso, viliano.-
y. Maghi.
M a gù t MiL e D. Or. Garzone di mu-
ratore.
Mais. MiLinf. Guazzabùglio, intriga.
MaisàS. ^erb. RisipoU. - Ted. Ma-
sern. Rosolia.
Malti. Br. Tenebre.
Malàega. Ar.(Anònide. - L. Ononis
spinosa.
Malga. Gen. Mandra e suo ricetto ;-
Malghe, malghés. Mandriano.
Malòss, ma1o8sé,maros8é.D.Ok?.
Sensale , mediatore.
Ma ni le. Br. Coreggiate, battente.
Manòquar. Fero, Comocchio ; torso
del grano turco sgranato. PfeUa eam^
pagna milaneee ricepe ancora da
luogo atuogo i parii nomi di Lovit,
Borlit, Mollaselo, Mollit,
Morsòn, Gravisin, Gnòc. - f^
Mogol.
Mansarola, mansarina. ^.Spàz-
zola.
Ma n 8 e i n. Brian. Sleale ; fone da Man-
cino?
Madia. Br.-Magiòster. MiL Fra-
gole.
MapèL Br. Acònito. -i^.Aconitua
napellus.
Maràs. i9r. -Marascla. iMiL Sàgo-
le, potatilo per vite.
71
PAKTB rSOU.
Maràl, aarasee. K. Jntr. Figlio,
ifiia.
Mard. Bar, eV, Li9. Figlio.- Qm.
Merh.-^nn. Mere^h. Figlia. Que-
lla Membra la vera radice, atuiekè
laLatimamsLé, aiaris,ortflai<aNa
Maschio, euendo tifala la «om
Mare oiidhe per Figlia, dhe dieesi
Marcia, pi. Marcie. Figlie.
Maréng. MiL Vento marino, nniiiio
di pioggia.
Mar gài. MiL Somacchlo.
Margniga. f^. T. Gozao.
Margnigna. f^. T. Gobbo.
Marie, f^. .<#iiz. Ombra, sotto cui ri-
posa il bestiame nelle ore calde.
Marmèl. MiL e Cbm. - Marmlin
Ifonl. Dito mignolo.- JW. Marm-
mear.
M a r m e n t i n a. 5r. Saleer^UL-I. L]^-
ihrum salicaria.
Marna. D. Oc, - Merna. F. BL -
Marno n.^op.Màdia.-K.Panéra.
Maroca. Gen. Marame, scarto.
Marsina. Gen. Abito da uomo. fbr«e
da Mare, Aglio maschio, o dai JL
Mas, marisT
Mas. Br, Romano dellastadera; Mi^o.
Masàcher. Br. Fanciullo.
Mascadiss, mascariss. Gen. Cuò-
io, combina.
Mascherpa. Gen. Ricotta.
Masctoca. T. T. Utte inacidito.
Masi à e. MiL Grosso, di buon peso.-
GaeL Masac h. Di pingui nàtiche.
Ma s o e à. MiL infarcire,impoltlgliare.-
GaeL Mas gai db. Macerare.
Mas 5 la. Br. Ventrìglio del polli, uc-
celli, ec. - Ted. Magen.
Masón. Com. Ricovero di pastori sul
monti; Masù. Br, Casa, pollilo. -
Fer. A masón, iign. A pollilo. -
/>. Maison. Casa.
Massa. Or. e Aip. Vòmere. Anche la
mann^a, colla qualesi taglia il fieno
t«lUtett<^
Masti. Br. Leno, pano. •
Mastar. Lordura.
Mastino. MiL Mandnigiara. ^
Mastra. lotf. Màdia.
Mastrànl. MiL Malaticcio.
Mat D. Ot.Ragauo;!»!. Malàl
tèi. - M atei. Raganino. - M«
Raga2zaccio.-i9r. Mata. Fnt^j
Maiella. Forosella. -Ma tèi
tadinello.- Tic. Mattusa. I
la; da cMi derivò fané Tusti
dei MiL - Jrm. Matàs. %m
Matàs. Br. Nibbio. ,
MatèL y. Csp. Piccole esalici
Matòa. y.Cop. jibbrmiazimm €
gmfiea La madre tua.
M a t il s e i a. K Gap. Zuppa d^eifei
e pan gfituggialo. - y. T. I
Manión. Zuppa di varii logi
Mea. Br. Loppa del fèrro posta
il maglio.
Meda. MiL e Br. CatasU di :
legna e ttmlli.- Arm. Meéft
golatore e misura.
Medàl. Br. Magona. Luogo ÌB<
ripone II ferro greggio.
Méder. Gen. Modello, fonMk
Metron. Misura. - ^rm. Mi
Regolatore.
M ed 0 1. Br. Ferriera, cava di pi
Medoladér. Lavoratore nell
niere.
ÌAhV.MiLe ^.-Mèn. V. T.O
del cane e d'altro animale } •
saglio. - L. Melium, prasso*
nona iiifmfiea Collare di canA
Méngol. Br. Menno.
Mès. Br. Misura dei carbaoKij
contiene un sacco ed una pi|r^
quiàltera. - Ted. Mass. Mii«|
Mèss, miss. Br. Visio, straoMil
Ksr. Mlzxo. -7V)ie. Meiio«.
Méula. K. Jnx. Falce de'mifttt
Mésa. D. Or. e Ven. - K. n |
Màdia. - f^. Panerà.
Migola. Br. Brìodola. - L. MiV
DIALBin LOHBAEM.
ìi
lioela. Br, Deaebetto da ciabattini.
Mfòt. K. r. Cappello.
IÓ€. MHL MorUficato. - ProQ. Moue.
■òca. MU, Visacclo. - Sp. Mueca.
loci Ila. Br. Saceodi pelle oon pelo^
per soldati e pastori.
lòdig. K y. Pigro.
laft. A^.Mametto.-Opm. Moh. Man*
■atto d* VB anno.
lègoL .^. -Mòl. Jlfan/.-Mòmol e
Me L Or.^-M ò co lo.-K«r. Mallo sgra-
nato del sorgo turco.-Gae/.Mògul.
Sìliqua, guscio.
loia, aula. Geiu Lasciar cadere ,
scagliare.
Molgia. K T» Bestiame minuto.
lem ina. Jfti. Musco terrestre.
Msnàt. MiL Custode de' cadaveri.
iSBcèc Oom. Montanaro che abita
sopra Gondo.
Moran da. K M. Prete che cerca im-
piago in altro paese.
Mo r b i n. Gsn. Allegria , buon umore.
Isrdena. Br. Rododendro^ lean-
dro, ec.
lorigió. GeNJ>keol08oreio.-i^.Mus,
musculus.
Mossa. MiL Spumeggiare. I>iot$i del
vàio, delia birra e $miU, - Fr.
Mousser.
Mòtria. Jf/t apiglio, muso.-JITaiK.
Mùtria.
latta. Gen. Mucchio, monte, am-
masso. - ^rm, Mouden. Mucchio
di terra. - Fr, Motte.
Moia. Br, e f^er. Decomposto, sciolto,
stracciato.
losina, mùzina. A Or. e f'fr.Sal-
▼adanajo , Grnxzolo.
lugra. Bor. Giovenca. - f^. Mofe.
■andai, mundulin. y. T. Gon-
nèlla da contadina.
lusèt. K. F. Canuto.
Mussi. Cr.* n lamentarsi dei bam-
bini.
N
N a i n a. MiL Setino. (Specie di confer-
va).-Gr. Maion.
Napèl. iftfl. Coppo.
Nar. K. F. Ignaro. - Ted, Narr. Pai*
so, mentecatto.
Natta, F, F. Formaggio cattivo. - F.
7\ Natin. Cacio casalingo.
Nàula. r. r. Mucchio di fieno.
Ned. r. F. Vitella d'un anno.
N ec. Br. Vapor fetente nelle ferriere.
Nedèsc F. f^. -Navèsc, nevèsc.
Mil. Gramigna che infesta i campi.
Ned ruga. MiL Astèrgere, pulire
internamente, sventrare. - £. Nu-
tricare.
Negota. i^.-Nagota. Jlf^/.-Nota|
Nuta. A Oc. NulkL-^n». Neket.-
GaeL Nag. Non. - Negò ta in Br,
iign. ancora Altalena. - Negotà.
Barcollare, tentennare.
N e m e si. ^r. Ira, còllera. - Gr. N e m e-
sis. Ira. -Nemesao. Adirarsi.
Nére. Tic. Gràcile, malfermo.- ^rm.
Nere. Fona. - D inerì. Gràcile,
lànguido.
Nèstola. Br, Nastro, tela stretta. -
F. T. Ligaccio, ligambo.
NettéS. Brian. Csterminio^ strage.
N i à s. MiL Leggero, frivolo.- Fr. N i a i s.
N i m e 1. Brian. Minimo.
Ninzà. Afi^-Niniàr. Mani. Mano-
mettere, intaccare. Forse dalPlL
Iniziare. Or.* Rompere, divìdere.
Niò. MiL Afato, malvegnente.
NiS, niz. Gen. Livido, fràcido.- Ni-
scià. Languire, infracidire. - Comò.
Nych. Languore. - Nycha. Lan-
guire.
Nissòra. MiL - Anlssola. Por.
Lungo filo armato di molti ami per
la pesca.
Noma. MiL - Noma. ^.-Numa.
•Or.* Solamente. - f^ Doma.
Nudrigi. Or.* Assettare.
7*
FARTK PRIHA.
01 va. Br, Gusci del grano, -r» 71
La farina di miglio men bella.
Omiga. y, T. Specie d'orzo.
Or. y. Jnz, Luogo prominente; Dim,
Ó r a t Forse è la radice di 0 r ob lo.
Orb. MiL Cieco. - ProQ, Orb. - Z.
Orbatus. Privo.
'Orb ed a. y. T. Màrgine erboso di
campo.-i^. Orbita?
Ore. MiL e V, Anz, Mentecatto, cre-
tino ;fem. Órca. -Goe/. Ore. Tor-
pore, letargo.
Orgna. Br, - L, Pistachia tere-
binthus.
Ori. Com, e Verb, Làuro ceraso.
Or nel. Br, Zàngola; vaso In cui si
dibatte la crema per fare il burro.
Ova. Tic, Erto pendio, dal quale si
rotolano le legne al piano.
Ovàc. V, ^nz.-Ovàg. V, .y/r.-Ovig
altrove. Pendio di montagna vòlto
a settentrione. Opposto di aprico,
0 solio. Bacio.
Oza. Br, Fràssino comune. «Z. Fra-
xinus excelslor.
Pabi. Mil, Pastura. -I. Pabulum?
P ad i m à. Tic, Cessar di piòvere dopo
un temporale. - TYat. Calmare. -
Pro9. Apazimar.
Pagai, r. r. Sprùzzolo di neve.
Pagbér. Br, Pezzo. - l, Pinus
ables. -Pagherà. Bosco di pezzi.
Pai, Br, Digerire, evacuare.
P ajo ra. Mil, Puèrpera.
Paliù. T, P, Timone delle barche
grosse.
Palpignà. ^r. Bàttere lepalpebre.-
Palpi. Di corta vista.
Pana. ^. e ATant- Panerà. Gtn,
Crema.
Panarón, panaròt. (>.• e Mil
Scarafaggio, blatta orientale. * K
Bordòc.
Pane, Piner. Gan. Lentiggini, one^
chie sottocutànee. - Pro9, Panai.
Pane. Om, 0 f^. 7*. Truogolo del pel^
li.-Camò. Pan. Coppa.- /ri. Psbi.
Vaso. - Som, Pana. Vaso da bné.
Panerà. D, Or. -Panàrie. fVllij-
Panàra. 7Vm.-Panadéra. JMnìL
Màdia.
P a n p ò s s. Mil, Poltrone. - Sp. Pas-
posado.
Pantegana. Gen, Grosso topo.
Para.Còm. Timone. - Paròn. llnó^
niere.
P a r 1 i n. Com, Lucignolo.
P a r s è i V. F, Jnx, Manglatoja. • A
PrsBsepe? - K. PresèL
P a s m à. Mil, Agognare , bramare wt^
dentemente, spasimare. -
Pasman. Agonia.
Pasque, pasquird./lflL Pb
bosa. - L, Paseua. Pàseolo.
Passón. K. T, Palo.-PassèL F. FI
Palo sottile.-/.. P a xi II OS. -Fa»-
sona. Mil, Palifléare, palafiUareii'
Pataja. Cr,* Camicia.
P a t à m. ^r. Sterpame, copia di sterpi.
Paté. Mil, e Pop, Rigattiere ,
vecchio.
Patòc. Br. Sbalordito, sorpreso,
nifesto.
PatuS. jlfll. - Patos. Br, Pattone;
strame.
Pòche r. Jlfl/.eAiP.-Pècar. Manf.
Caraffa , bicchiere grande. - 7WL
Becher.
Pèdeg. Mil, e Lod, Pigro, lento.
P e g à. r. r. lnsudiciare.->#rm. P e g a.
Impeciare.
P e I a g i. Br, Bacchettone.
Peloja. Br, Sodaglia, loogo atèrlie.
PelòrS. y, T, Cànapa grosscrtaila. •
P elors ci a. Coperta ràstIcÉ.
Pen. Br, Nulla, mica.
Penagia.7Yc.-Panagia.Jfll. Zàn-
gola; vaso in cui si dibatte la crema.
\
DlAUrri UMIBARDf.
75
Peod. BrioHx. Rigoglioso, rubicondo
e grasso. Diee$i di pemma.
Péita. MiL Specie di parussola. -
L Paros caudatus.
Pe ut egèa. Br. Carcame. -Gr. Pen-
tadjcòa?
Per ari a. MiL Vitupero, oltraggio. -
Sp, Perraria; da Perro. Cane.
Perse im. MiL JLattime, fórfora dei
bambini. - Cr.* Perzòm.
Pervèrs, K M, Buono.
P é 8. ilfll.€ervo-voIantc.-£. Ln e a n o s
cervus.
Peso cli.^r.8carpellinOy tagliapietre.
Pestòn, pistón, pistù. Gen. Fia-
sco. - Gr, Platon.
Peti, petàr. Gen* Applicare, attac-
care, gettare.
Petàrd. MiL Paffuto, grassotto.
Petorgne. Cr.* Moine.
Pia de n a. D, Or, e Fer, Tagliere,
tafferia. - V. Basgia.
Fianca. MiL e Piem, Tàvola, asse.-
P la neon. Tàvola grossa. - Fr,
Planebe.
Piar da. Gen. La ripa bassa dei fiumi
ai pie degli àrgini. - ManL Golena.
- Br, Lavoro d' una giornata nelle
miniere.
Piàttola. MiL Gran vaso di rame,
ove si ripone il latte fresco per se-
pararne il fiore.
Piconixia. ^r. Leziosità.- Pie ù. Le-
zioso.
Pìdria. MiL Pévera. - Pidrio. Im-
buto.
Pièl. />. Or. Frìvolo, leggero. - Pi-
vèl, pive la. MiL Ragazzo, ragaz-
za. - i^. Puellus?
Pigolsa. y. T. Altalena.
Plligolda. r. T. Fiammella.
Pilòt Br. - Piloto. Ver. Guard'in-
fmte di legno.
P i n e i a n à. MiL Celiare , scberzare.
Pìngher. MiL Pòvero, sbricio.
Pinz, pfnsada. V, f^. Sasso, sassata.
Piò. Gen. Aratro. - A. .9., Sp. ed I$L
Plog.- TÌMf. Pflug.-ifigrl.Plougli.
(Leggi Piò).
PI oc. Brianz. Pòvero superstizioso.
Pi oda, pio da. D. Oc. Tégola di pie-
tra per coprire i tetti. -P loderà.
Cava di pio de.
Piot. r. 7\ Calcato.
Piòzz. MiL inf, fanciullo.
Piperà, f^. 7". Donna che ha cura del
bimbi.
Pirla. D. Or. e yen. Scommessa.«Pi->
ria, plriàr. Scomméttere. - Fr,
Parler.
Pirla. MiL Girare. - Ted. Wlr^
heìn.-JngL Whlrl.-<Sp. Hvlrfla.
Pirù. D. Or. Forchetta. F. T. e Ver.
Piròn.
Pis. MiL Lànguido, sonnacchioso.
tìictei deìXf occhio.
Pisòn. Ber. Mazzapicchio.
Pisòra. Cam. Sotto vento. -Navegà
a p i s ò r a. Navigare a coperto o die-
tro il vento. Di ^u^ Pis iignifica
dietro o sotto. Foree da Po s, che ti'
gnifica nei dialetti lAjmbardi Dietro
Pisorgnà.Aft7. Dormir leggiero dei'
^ cani.
Pi spot. MiL Specie di scaldino di
ferro usato in Brianza.
Pi stagna. Br. Toppa.
Pit. V. r. Poco- Pitosèc. Alquanto.
Pitaca, petaca, paiaca.Gefi. Plet-
tro di liuto.
Pìtima. Gen. Uomo cavilloso, flem-
màtico.
Pitona. y. y. Zucca lagenaria.
Piz. Gen. Sommità di monte. - Ted.
Spi tze. - Ital. Àpice.
Plèc. MiL Indùstria, arte,apparato.-
Com. Pleag. Piacévole, piacevo!*
mente.
Pléit. MiL LiUgio, contesa. - Fr.
Plaider. - L. Placitum.
Piera, f^ Af. Prato selvoso.
PIòja. MiL Jnf, Febbre^
76
PAITB PRIMA.
P 1 0 1 a, p 1 0 z a. l?r.Lavagiia.-f^. P i 0 d a.
Po fa. Br, Buca, awallamento. Lo
itetto cheFopsL. y,
Pojàt. Tic, , yerb. e Br. CatasU di
legna preparate per far carbone.
Quetta voce è generale nelle no*lre
monlagne, - jérm. Poaz. Cotto,
abbracciato.
Poina, puina. D.Or.e Ker.Ricotta.
PÒI. Tic. e propriamenle a Biatca.
Ragazzo; fem, Pola. - I. Pulì us?
Pòlec. Br. - Pòles. Mil. - Pòlag.
McmL Gànghero , perno. - Gr, Po-
leo. Girare.
Poledro. f^. 7\ Pannocchia del gra-
no turco.
P 0 1 1 g a n a. Gen. Astuto, gattone.-^rm.
Poe Ile k. Prudente.
Pomiites. Br. - Tomàie», torna-
ti ca. Gen. Solano iieopèrsieo.-tS'pa.
Tornate.
Pombiana. Com. Fuligine.- f^.Cali.
Pompogna.^r.-Panipogna.Jlf ani.
Scarafagio stridulo. - l. Scara-
bSBus meloloniba.
Ponga. Gen. Esca.
Ponièl. f^. r. Gióvane.
Po se a. Brian. Tralcio reciso, che il
vignaiuolo collega colle testate di
due capi tra loro discosti, per rav-
vicinarli e sostenerli.
Pòss.Afif<.Rafrernio,vieto;Pan pòss.
Pane indurito. - Com. Powes. -
^rm. Paves. Posa, riposo.
Prede sa. Br. Barbatella trapiantata.
Pregherà. Com. Pineto.
Presèf. K T. Mangiatoia.- L. Pre-
sepe.
Prestin. Mil. Forno. -Prestine.
Fomajo.
Presura. Cr.^ Trave maestra dei
tetti.
Priàla. y. T. Carro di legna o fieno.
Prosa. Mil. e Po». - Preso t Mani.
Ajuola, porca.
Próv. y. Anz. Prato.
Prussiani. Br. Fanello. • £. Priil-
gilla cannabina.
Pùa, poa, puòt, pigotta. OM.Faii*
tocclo , bamboccio.
Pùdina. Or.* - Pudin. V, T. ftòtt-
cola, falce tta. Da Potare. .
Pus ter la. D. Oc. Porticina, seoonda
porta; porta di soccorso.
Quàc. Po». Airone ceneriecio.
Quacin, qua Ciro. Mil. Fomui, ea-
libro. f^. Fassera.fbrM dot £. Coa-
gulare?
Quat, quàtol. Br. Incubo. Afiuuio
che uno prova dormendo, per mala
giacitura.
Rabadàn, Ramadàn. Gei^ Rumo-
re, frastuono, baccano.- Anop. Rea-
madan.
Rabòt Mil. Furfantello, audace, li-
bertino. -Rabotà. Furfanteggiare.
Raconchiglia. yerb. GonovigUa.
Rafabià. K. Jlf. Dissipare.
Raggia. Mil, Treggia, civèo, mapa.
R à i. f^. f^ Bastone. - L. R a d i a s.Verga*
Rais. y. T. Ragazzino. - y. iret. -
GaeU Rais. Germoglio, virgulto.
Rampa. Mil. Erta, salita. - Fr.
Ramper.
Rampella. y. T. Ferro adonee per
tagliar le legna.
Rancùràss. Mil. Dolersi, acoorarsf.
Toec. Rancurare. - Ft. Rao*
cune. Rancore.
Ran gogna. Mil. Lamentarsi, bron-
tolare. - Rangògn. Lamento.- fV".
Rancune. Rancore, sdegno.
Rangù. Cr.^ Palo, che soelieiie la
vite nei filari.
Ransignà. Br. e yer, Aggrimare»
ramiiochiare. - y. Rescià»
DIAUSm LOMBARDI.
7T
■ansa. MiL e D. Oe. Falce da fieno.
lapa. Gen. Ruga della pelle; piega
■elle slolle.
Rapata. Br, Rospo terrestre.
Ras. Br. Gerla per portare il carbone
alla fornace; Jnehe Blisara di car-
bone equivalente alla quinta parte
del sacco.
Rasoi, raso. MiL Magliuòlo, sarmen-
to di Tlte. - Or,* Bottone di rosa.
Ras sa. f^ T. Gonna.
Rat. Br, Erto, scosceso.- Rata. Sa-
lita rìpida.
Ravajòt. Cr."" -Roajòt. Br. - Ru-
Tiòn. Afoni. PiselIi.-L.Pisum sa-
tivurn.* y. Arbión.
Ra varia. 6en.-Ravarèi. Pop. Car-
dellino.
Ravasia. Brian. Brulichio.
Rèa Idia. Br, Riméttersi in forze, in
coraggio.
Rebesisse. Cr.* Rioiéttersi in vigo-
re, in forza.
Recato n. Cr.* Rivendùgliolo, incet-
tatore. -Sp. Regatón.
Red ab là. Br, Colmar le campagne,
introducendovi aque torbide.- Re-
dablà I pós. Vuotare il fondo dei
posai colla cuochiàja, che si chia-
ma Redàbol. - Fr. Remblai. -
Remblayer. Colmare ec.
Regalia. Br. Fornace a secco da
calce e iimiìi. ^ Jrm, Reghez.
Carbone acceso.
Regogna, ^r. Erica erbàcea.
Regondà. Brian. Raccògliere, adu-
nare.
Regòrs. Cr. Attributo del fieno di
secondo taglio. - R ego Isa. Rin-
Renada. Br. Frana, y. Rina.
Eenscf òt.i9riaii. Inerte, neghittoso.
Esntàr. y. T. Legare. - Com. Re-
nothas. Legato,
lés. Br, Parlo, bambino. K. Rais.
Kescisci. Brian, Riavuto.
Rescià. Affi. Rannicchiare, arric-
ciare.
Resélòss. MiL Sito, tanfo. Riscal-
damento.
Re senta. Gen, Risdaquare. « Pop.
A r s e n t k,»ManLkT z a nz à r^Jrm,
Riusa. - fV. Rincer. Sciacquare.
Retriu Brian. Negletto, malvisto.
Retrài. ilfif. Propàgine. - K Trat-
terà.
Revegiàd. Lod. Sano e lieto.
Reió. AfiX Reggitore, ammintotra-
tore di casa; fem. Reiora.
RIana. MiL Traccia lasciata dall^a-
qua piovana lungo il suo corso.
Ribotta. MiL Gozzoviglia- Ribot-
ta. Gozzovigliare.
Ridoi, ròdoi. ^r.Tussilago pe-
tasites.
Righignà. Iff/. Nitrire.
Rilia. ^r.-Arlia. Afoni. Avversità,
specialmente nel giuoco.
Rim. K. r. Cucchiaio.
Rina, rinàsse.Cìr.*Franare9losco*
scéndere del terreno.
Ri s e 1 0 1. f^erb. Salita, selciata. - R i-
s e io là. Selciare.
Rivi. Gen.- RuviòL Cr.^ Capec-
chio.
Robiola, robiora. Gen. Piccolo
cacio , per lo più di latte caprino
0 pecorino.
Ròcol. Gen. Ragn^ja (Specie di uc-
cellagione).
Rogantà. yerb. Rispóndere arro-
gantemente.
Règia, roia. D, Oc. Gora; canale
di derivazione che serve air irri-
gazione.
Rogià. f^. Af. Portar gravi pesi.
Regio. D. Oc Cruschello. -Pan de
regio. Pane di farina e crusca.
Ròi. Cr.^ e lod. Porco, majale; fem.
Roja.
Rogne. K. T. Tralci lussureggianlL
Ròja. Cbm. Vacca vecchia, magra.
78
PAllTB PftlSA.
Ròl. Om. Gusci di castagne.
Roméni. Brian, lì mucchio della
pula suiraja. jinehe Tritume e ra-
schiature di legname. -L* Ra m e n-
tum. - fìnm. Rumlent
Ro menta. Brian, Ammucchiare le
ceneri sul fuoco.
Rómp. Tic. RumpòUnOy alteno. La
vite educata sulla cima degli àl-
beri, f^oce antichissima espressa to-
tìnamente con Rumpus presso f^ar^
nme e Columella,
Ronà. Mii. Lod, eCom.^ Romnà.
A Or, Numerare. - Jrm, Rum.
Nùmero. - Jsl. Runa?
R ò n e. Gen, Poggio a vitÌ.-R o n e a J a.
Vigneti a riplani. • Jrm. Run.
Collina, che dolcemente si eleva
sul piano. - Com, Runen.
Roncàien.Aff7. Fusàggine.-£uEvo-
nymus europsus.
Ronfà, ronca. Gen, Russare.
Ropàt. Br, Rospo. - f^. Rapata.
Ròs, ròS. Gen. Stormo, stuolo.- Ròs
d'ùa. Penzolo, fascio di gràppoli.-
yer. Rósso. - Camb, Ross. Muc-
chio, monticello.
Ros. Br. Velocemente.
Roiada. Mil. Rovescio d^aqua.-<Sp.
Rociada. Forse dalla radice Roi.
Stormo.
R5sà. Br. Spingere. - f^: Ruià.
Rosana. K y. Salamandra.
Roversó, Roversór. i^ BHofiza
tign, il coltello dell'aratro; in qual^
che villaggio del Mil, 9ale Aratro,
che nel D, Ver, è detto Versór. -
L, Vertere?
Rùc. Br, - Rùt, Ruf, Rùd. -Gm.
Spaziatura, letame.- Rùé, Rude.
Letams^uolo.-R u é r a, R ù d é r a.Le-
tamajo. - /^otii. D r ù t z e. Letamago. -
L, Rudus. Terra grassa. - Gr. Ry-
pos. Letam^jo.
Riifa, ròfa. Gen. fórfora dei capo.
Rum. f^. V. Pioggierella.
Rùsca. Orni, e Mani. - RéaA
Corteccia.- Ruscà. SeortflOd
Pro^rViuscdi, - Gae<.JIatf «"
e Got, Ruslc.- ^rm. R«tl
teccia. - Diruska. SoorloQi
Gael, Rusgadh.
Ruscinà. Brian. Nitrire.
Rùzà. Brian, Urtare. - iSeuL
Ihar. Impeto, violensa* •
thadh. Rissoso, y, Sbùrlèa
Rùzèl. Brian, Ribes grò»
ria. - Fr, GroseiUe.
8
Saarùna. Br, Cloaca, fogna..
Sabià. Br, Vigliare il grano. •
Sa bai. Granajo.
Sag. r. T. Cattivo; fem. 8a^
Jngl, Sad. Cattivo, nojoso. •
Sad. Noja, fastidio.
S a g h e r. Mil, Rùvido, tànglMi
lano.
Sa ina. ^r. Capra.- /I. Dàino»
selvàtica.
Sajòd, sajòt, sajòttol. D.
Sajòtru.r. l. prillo, e l4
verde. - Jrm. Sala. Saltavi
Saliens. Saltellante.
Sairèd. y. M. Triste. - IngL
Sang. y, Bl. Canto. - Ted, Gai
S à 1 e s. Br. Arenaria rossa.-ii. 8
Salustro. y, T. Paura, trista
Samara. Br, Scombuiare^ d
dere.
Sambòi. V.Cw, Sonaglio deUi
Sàncola. Br, Càntero, pitalo»
Sapèl. Br. Varco angusto eoa
passo di monte. V. Zapèl»
Sa radei. Br. Cerro. - Lftaa
cerris.
Sarò. V. Co». Zappa. - X. 8«
lus. - li. Sarchio. Sarohli
Arm, Sa r p. Róncola , ronoai
Sàrodan. Tic. Tardivo. • £.|
tinus.
MAUTTI tOMBABDl.
70
SarÓB, AfU. -S«rògn, Sarùda.
Tic. Siero.
8it Ar. -Sciai. MiL' Clàt r.
Jnz. - Z a i. Mani. Rospo. TVym.
Avaro.
Sali. ^r. BotUcelIa.
Saio. Br. Stagione, maturità. - fV*.
Saigon.
8 basi. Mii, Spossato, lànguido.
Sbelenàt. Br. Vispo, vivace.
Sbelidri. brulli. Strillare, strìdere.
Sbercia, f^. T, Camicia rotta. -
MmnL Cispa.
Sbergna. Br. Smòrfia.- Sbergnà.
Far le fiche. • I. 8|^etnere?
Sberla. Geli. Schiaffo.
8berlà. Brian. Stracciare - ^r. Piàn-
gere dirottamente.
Sberlocià. Br. Adocchiare.
8 ber ti. MiL Uccidere, ammazzare.
Sbèsa. 0*.* e Br. Cispa; Sbesa dèi.
lippo, cisposo.
8 he set. Br. Pettirosso.
Sbeiegà. Br. Cinguettare; opposto
d^Betegà. Balbettare.
SbièS. Brian. Tritume del fieno.
8bilidri. MU. Ringaliuzzarsi.
Sblàl. MiL Nudo , spogUo.-f^. Biót
Sbodezà. Br. AflìBicceadarsi.
Sboglà. Br. Sbarrare, abbàttere.
Sbragià, sbragiàr. Gen, Gridare
ad alta voce.
Sbregà, abrogar. D. Or. e Ven.
Stracciare, lacerare. - Ted. Bre-
chen.-Sbrég, Sbregón. Squar-
cio.
8brèt. Brian. Tapino, meschino.
Sbri.^. Tétrice. - L.Yelrix fra-
gili».
Sbrìndola. D. Or. e yen. Donnic-
ciuola, bagascia.
Sbrinza. Br. Striscia, fettuccia.
Sbrìs. JKTf/. Meschino, mìsero, lo-
goro.
Sbrojà , sbroà, sbro venta. Br.
Lo tinto dèe Brovà. K.
S b r 0 n e à. Mil. Borbottare , sgridare.
Sbro 8 a. Br. Lésina grossa.
Sbrùsi. Brian. Rùvido, scabro.
Sb&rlèv.O*.« Urtare. -Sbarlèn.
Urto. y. Rfizà.
Scàbria, scàvrla. Brian. Streg-
gla , striglia - S e a b r i à. Strigliare .
Sca|. MiL Paura, ribrezzo - Sca-
già. Rabbrividire, intimorire. -
Gael. Sgath. Apprensione, timore,
f^. S£èss.
Seal a br in. K. jtnz. Agile, snello. -
Gael. Sgail-B rei gè. Fantasma ,
ombra.
S e a 1 à s s. Al^/. Degnarsi ; ancAe osare.
8 e a l fa. Mil Tagliare angdarmente.-
Scalf. Taglio. - Jrm. Scaif. Fes-
sura. - Scaif a. Fèndere.
Seal ma. Br. Aceonlgliare i remi.
Ritirarli entro la barca.
Scalmana. Gen. Eccessivo calore al
capo.*S e a 1 m a n à s s. Aflacoendarsl^
affannarsL
Scalòss. Gen. Trabalzo, scossa. <«
Cy*.* e Br. Stalòss.
Scamofi, Scamòfia. Gfii. Brutto
ceffo.
Scàndola. y. T, e Br. Tégola di
legno -£. Scandnla.
Scanferle. Gen. -Sgamberla,
Sganzerla. Mani. Tràmpoli. -
Arm, Skarinek. Che ha le gambe
lunghe e sottili. iVe/lò ttetto tiffni^
ficaio ti uta Scan feria ^n Lom-
bardia. L. Ferula?
S e a n f ò i. ^. Agrifoglio - L. Ilex
agrifolium» *
S canon. Mil. Convalie. Quella ca-
vità die tra colle e colle serve co-
me di canale alPaqua piovana.
Scan sci a. Mil. Gruccia. - «S|p. Gan-
^0.
ScaràS. Com. Accetta, score. - L.
Securis?
Scaravù. Brian. Piuòlo di scala a
mano.
9
w
FARTB NiUtA.
Scarfòi. A Or, Cartocci del sorgo
turco.
Scarión. Com, e Tic. Pmnajo, spi-
neto. •* 8 carioca. Impnuiare.
S e a r 1 i g à. MiL Sdrucciolare , scivo-
lare.
Scardi. Br. Rete traversaria.
Scarós. Mii. Molle, tènero. - Trat,
Schifoso^ ributtante. - CE»ni. S che-
re wys. Sdegnoso, sprexzante.
Scarpa. MiL Lacerare. •£. Discer-
pere, conscerpere?
8 e a r p ì a. Cr.% Cr»* e MiL Ragna-
tella.
Scàrzole. Cr.*Gmccie.-^riii.Sca8s..
Tràmpoli.
Scatta, f^. Jnz, Lieve incavatura
nella rupe, ove il piede si affida per
salire le erte. - GaeL Sgathadh.
Incisione, incavatura.
Scavés. Br. Colatojo delle miniare.
Scervòsc. y, T. Scumaruola.
Séèss. MiL Ribrezzo, paura.
SéèU y, 1\ Ber. e Br. - 8«iàt.-0.»
Fanciullo, figlio.
Schei da. Com. Saetta.-.^rm. Sked.
Scoppio, splendore. • Com. Sgàv.
Luce.
Scheda,8chida, Scheja, Schea.
Gen. Scriminatura , partizione dei
capelli. - Jrm. Skejadur. Fessu-
ra , taglio.
Schelfa, Schirpa. Gen. Corredo
di sposa, oltre la dote.
Schelgia. MiL Treggia, tràino.
Scherz. Tic. Amia d'api.
Schincà, sbianca. £r. Schianta-
re , spezzare.
Sehnàt. K Anz. Rupe assai ripida.
Séiàsser. MiL Fitto, compatto.
Sciàt. yerb. Rospo.
S 2 i a t a r à. Cr.* Spruzzare. -Sfia-
terà. Spruzao, zàcchera.
Sciavarotta. y&rb. Banchetto, goz-
zoviglia.
ScibL y. Anz, Sdrucciolevole. Di-
feti del terreno aiciuUo. fbne daè-
Vitaliano Scivolare?
Scic, scigà. MiL Abbagliato, tòr»
bido, abbacinato.
Scldrión. y. T. Bache di mirtillo.
Scighéra. MiL Nebbia.
Scilòria. MiL - Slòria. Abp. -
Slòi r a. - Piem. Aratro con un solo
orecchio.
Se il ter. Af//. -rfni. Volto.
Se i m b i ò e. MiL V umor vitale delle
piante.
Scinicl. MiL Palo che serve a eol-
legare o rafforzare le siepL • Cortèi
Synsia. Legare. - £. Cingerà
Sciòlvcr. Bor. Desinare. - IkUi
Asciòlvere.
Sci ós tra, sóstra. MiL Haganlno
di legna, mattoni, calce e simili. In
Toeeana cMèmoii Chibaira il re*
cinto destinato alle legna. .
Sciro. MiL Garzuòlo (Interno tfel
càvolo).
Scirpia. Jlfj/.Avaro.-Scirpià«F!ar.
l' avaro.
Scisciàttola. yerb. YiDdbosco^ L.
Lonicera caprifollum.
Scispit Ccm. Sterpi, radici, aelle
erbose. L. Cèspite a.
Scitra, Inscitra. V. Cop. Cosi. •
L.Sic,ita?
Scoda, scotta. TVc. a JlfifL Stero
misto a ricotta. - y. M. Scoehu-*
Tèd. Schotten.
Scognàr. D. Oc. Ruetioi. Dovere,
convenire, èssere necessario.. /iom.
Quignè. È irregolare, t si méò*
pera solo in alcune 9ociJ^. B e n i è n
Scoladés. Br. Saligno, marmo.
Scolclón. MiL Peluria. - Brimn
Stoppia, sterpo.
Scorézegn. Br, Sodo, compatto.
Scorlòfe. i?r. Rumex acetosella.
Scòss.D.Oc.Grembo.-TVd.ScbooBZ.-
Scossà, scossai, scùssàl. Grem^
biule. - Bom. Scossai.
DiAurnn LomàUDi.
81
Sopnuioine.
Scròi IO L MiL Tràmpoli, Grueeie.
Seruscià8-giòJlft7.-8cu8CÌà9^lò.
Brim* Accosciarsi 9 acquattarsi.
Scarni. Ber. Dovere. È verbo irre-
polare: mdoperaio solo nei tempi
fuiwro, pauato perfetto e rimoto,
OH trò^aii unito aU*auiiliare ave-
re. K. Bentàr.
Scusa. Mit, Far seouwSp, E x e u sa r.
Sdug. yerb. Urto, scossa clie ri-
muove dal posto. -i^.8educere?
Sea, Saja, Seja. Br. Ghisa , scea,
ferraccia.
Sèber. Mil.» Po», e Piem. Mastello.
Sebré. Bottajo.
Secfidi. Mil. ScQÒtere. - X. Se e u-
tere.-^. Sacudir. -Rom. 8ac-
cuder.
Sedùs. Br. Salcigno. Legno difflcile
a lavorarsi.
SegàgD. Br. Kiente.
Segai U Or.* Fioco.
Seghegnol, sigiiignòl, sega-
gnoL Br. Spiedo.
Segrezòla. Br. Satureja hor-
tensls.
Selén. MiL Malattia, per la quale il
riso avvizzisce.
Sèma. MiL Ani. Ora, una volta. -
L, Semel?
SemàL Br. Polloni tèneri delle
piante.
Sènt* '^^ * Sengio. Fer. Ciglio,
rupe.*7Vc. Soénit*PM^vii^'''<>^ au~
de rupi.
Sento l, sètol. Br. Lombrico ter-
restre. • L, Lumbricus.
Serègn. Br. Ciòttolo, campo sassoso.
Seròs. Br. Sinopia, calcistruzzo.
Sèsso la. Br. e Ver. CuccbUya per
introdurre la pólvere nei cannoni .-
Cttcchii^per levar Faquadal fondo
delle barche.
. Set. Br. Istante, momento.
Sete. Br. Capre.
S ezana. Br. Nébbia fitta sull'oriz-
zonte.
S f an tà. Briom. Sparire, dileguarsi.
S feria. Mit. Squarciare, schlmitare.
Sforaglàss. Mil. Affaccendarsi, ri*
scaldarsi.
Sgaergnè. Bw.e Br. Piovigginare.
Sgagnà. Gen. Addentare, pasteg-
giare.- Sgagnón. Morso, add^
Uta.
Sgajósa. MiL e y. M. -Sgheiia.
y. V. - Sgbiaa. Mqmì. Fame.
Sgalà. A^. Schiantare, fràngere.- V.
Sgarà.
S g à 1 m e r e. £r . Tràmpoliw-F<pr. 8g ài-
mare. Scarpaccie di legno.
Sgamùs.i^.-Galùz. Ì7«r.-Sgajdi.
MiL 11 ricettàcolo dei semi nella
mele, pere e simili, che si rigetta.
SganzèL Brian. Gradino.
Sgarà. MiL Sfèndere.- Arm. sIl a r r a.
Sféndersi, crepitare.- Goiìli. Sgar.
Disgiùngere.
Sgarbinàs. Br. Altercare, garrire.
Sgardissènt. UÀ. Imbrogliato.
Sgarì. MiL Strìdere piangendo^ •
Goal. 8 g a i r t. Strido.
Sgar là. Br. Raschiare, razzolare.
Sgaròs. Brian. Sospettoso, schiz-
zignoso. - K. Scaròs.
Sgarugà. Br. Stuzzicare.
S garza. MiL Cluffetto. -^ L. Ardea
flavescens.
Sghebinà. Br. Piovigginare. - K
Gheba.
Sghibià. Br. Smallare.- MiL Sfùg^
gire con destrezza e rapidità.*
Com. Skibia.
SghibiL Br. Débole, ttoscio.
Sgiòzz. yerb. Meretrice, sgualdrina.
Sgnèpa. Gen. Beccaccino. •* Sgne»
pin , sgnepón. Beccaccino ,minOi*
re, maggiore.-^. Scolopax gaV*
linago. - Ted. Scbnepfe.- IngL
I Snipe.
n
^f of bL BrimtL ■■■oaigiiire. Di-
€efi Mie fnmamk. Far le ttcbe. -
Kai.Sgognàr, far le Sgogne -
IVop. Degavgnar.
Sgotta. Mil. Ani. Gola.
Sgórbia. Gca. Scalpalo fallo a doc-
cia per InUgliare il legiio. Nel D.
JfiL H§iu amcke siliqua , baceUo ;
^cmde Sgorbia. Sbaeellare.
Sgot Br, Snervato. • jtrm, Skais.
Lasso, affaticato. - Cùrn. Syghys.
Snervato.
Sgriaot, sgrìaor, griiol. Gen,
Brivido, ribretio. • Arm, Storia-
den. Frèmito con emozione.
Sgrii, sgriii. MiL Terreno magro
e stèrile. • Ted. Spìz. Grùtli.
Sgaarrà. K Jnz, Sdrucciolare.
Sgogelà. Brian. Lo spuntare dei
cereali fuor di terra.
Sgurà, sgùràr. Gem, Astèrgere,
ldrliire.-/«|jri. Scour. -Gael. Sgur.
Astèrgere. - Arm. SlLuba. For-
bire » spazzare.
SL Br, Porco» nivale; /te. Sina. -
y. Soni.
Sia. MiL Cignone erboso.
Si è. f^erb. Scaglione di terra nelle
colline coltivate a poggio. È Pop-
poito di Centra. K.
S i è 1. Br. S iiè L MiL Acciarino; pezzo
di ferro o d*aocii^ che s'infila nel»
razzale delle ruote.
Siga. Br. Motteggio, soja.
Sigèr, sfgàr. D, Or. e yen. Gri-
dare. - Zig. Grido.
Slgn à. Br. Tignonc-fV*. Chignon.
Silter, sèi ter. Br. Palato; anche
vòlta o soffitta. -Jngl Shelter. -
«Sp. SÌLyla. - Am.Skiul.
Sto na.Ar.Fola,racconto inverosìmile.
Sissa,ansissa.KCIiiP.Orora,frapoco.
Slènza. JftX e Jfanl. PioggU dirotto.
Slèpa. D. Or. e Fen. Scliiaffo.
Slétan. y. PregalUa. CaUivo, mal-
vagio. - Ted, Scbiecbt.
Slitigkènt.
Slizig. V. Jnz. Sdrucdolèvole. Dì-
eest dei terreno iunUo» • Cam.
Slincha. Sdroeciolare.
Slofl. MiL Floscio, snervato.* ingL
Slow.- Dan. S Idv. Pigro, Soacio.*
MiL S lo và.Spannocdiiare.-f^ Lo-
ve, Slovàz. Cartooct
Slòscla. Jfi7. Aqua dirotta.- SI u-
scìetta. Pioviggina • Cbm. Slot-
te ree. Tempo piovoso e fosco.
Smala via. MiL Dissipare.
Smansa. Br. Pannocchia di grano
torco, pànico, miglio e eòmiii.
Smara. tìr. e Vtr. Malumore » di-
spetto. - CteLSmalan.Tri8lezia,
malumore.
Smargiàs, smergès.ilfiftCliÌas80,
rumore. - Smargiassa. Fur di-
more , millantare.
S morsa. Br\ Pollone tènero deUt
piante.
Smiròld, smilordón. IKOe. €o>
luber milo.
Smorbià. MiL Sperticare. Dkeei
degli àlberi.
Snèlar. Knl. Le», FNchino. • 7*etf.
Schneller.
Snéved. Lod, Liscio e solUle. • «otL
Sn ai db te.
S nìdar. f^. £. Sarto. - rad. Sckiief»
der.
Sdbra. ^. -Zibra. 0.*-Slbrèt
MiL Piviella.
So e. Br. Misura di carbone, ecfiitva-
lente a cinque. sesti d^on sacco.
Soca. Gen. Gonna.
Socardla. iTr. Grillotalpa.
Soga. Gen. Corda, fune. -Sof ber.
Cord^
Sòl. Gen. Mastello, bigoncia*- Soér,
sojér. Bottajo.-Giif/. Soir. Botte»
vaso.
Soli, soli. MiL Uscio, poro, sém-
plice. • Solià. Lisciare.
Som. MiL AnL Scemo, pazzo.
DUMTTI LOMBARDI.
88
Soné. MiL Trave. « Somerin, so-
merÓD. Pìoeolt e gran trave.
Sdmèlec. D. Or. Lampo.
Sonia. Geni. Grano di porco , ragna.
Sorà y Soràr. Gen, Svaporare^ raf-
freddare; scaricarsi.
Soregàt. MU. 8vlatb,sveBtato.*8or-
gatà. Divertirsi.
gortam. Mil. Ulìgine.
Sosnà. y. y, - Sosnè. F. £. Gover-
nare il liestlaine nelle stalle. • Rwa*
Seinionar.
Sosnàss. y. M. Mangiare avida-
mente.
Soia. Br. Stereo bovino.
Sovénda, detta anchie Traclù^
Bròv, Ot, Og. yerb. Strada gla-
ciale inclinata per agevolare Pe-
strazione delle legna dai monti. -
Cbm. Vòg, Voga. - Tir. Tovl.
8 6 ver. Br. Vento di tramontana. £*
oncAe wmie di poei e,
Sovèrs. Brian. Turbato, stravolto .-
L, Sabversus?
S p a J a r d a.Ofn.Zigolo giallo.-!. Pa s-
ser flaveseens.
Spagna, f^ V, Separare.
Spalm. y. 7\ Latte misto con aqua.
Spampana. Mil. Propalare, divul-
gare.
S p a n s a. Mil. Scalpello.
Spantegà. Gen, Spàrgere, diCTòn-
dere, svelare. • Spantegón. Mil-
lantatore.
Sparón. K. y. Palo biforcuto per
viti. - ìL Sparus. Palo acuto. -
Arm. 8 p a r r. Pèrtica -Gcie/. S p a r r.
Trave. - Spai^ran. Sbarra.
Spai OS sa, spatussà. Gen. Arruf-
fare i peli, disordinare i capelli.
Spavìgia. yerb. Strumento cbc ser-
ve a sgusciare le castagne.
6paz. ^rian. Unità di misura per la
lunghezza delle treccie di paglia
per cappelli, o di budella per sal-
cleeie. Ècirea tre braccia, quanto
doè itènàanti le Inraccia ebarrate
delVuomo; e quindi eimile (tlTElla;
importante , perchè rappreeenia
un'antiehUiima mieura.
Spergnaeà. C^.* Sehiaoelare.
Sperlenghin. Or.* Buffetto.
Spersó. Jlff7.BigoMinyOveai depon-
gono gli stracchini prima di salarli.-
Speraorèl. Asse oMicpia, oye'll
cado fresco si ripone per lo scolo.
Spertesà. Br» EMminaro. rivedere
i lavori falU.
Speiaciày spetateià. Gen, SchloD-
eiare, calpestare.
S pianse. Br. e yen. Aspèrgere d*fr-
qua o d* altro liquido. -Spiano.
Spruzzo.
8 p i n à s. ^r. Pèltine da cànapa.
S pi u r i. MH. Prurire. -Spira. Manti
e yer. Prudore, prurito.
Spregà.CoM. -Spregascià. yerb.
Trascinare.
Spregadiz.CAùitiiaiuf fnCA* i pol-
loni tèneri delle piante che span-
tano fuori dalle radici. - J. S,
Springan.-/ft(jf(.Spring. Sbuc-
ciare, spuntar fuori dal suolo.
Sprug. K.A^.-Spluga.K. 7*. Masso,
che serve a riparo; antro.
Stacchetta. Aff'i. Pìccolo chiodo. -
Barn, Staketta. -Ted. Stackel.-
Sp, Estaca. Chiodo.
Sta riè r. f^er6. Percosse, busse.
StarluS. 7Yc.-Siralài. Afifj. Lam-
po- Starlùscià. Lampeggiare.
S te finia. Cam. e yerb. Tafferia.
8 1 è I a. Br,e yer. Ceppo spaccato per
àrdere. -Stelaz oc. Mù$U. Taglia-
legne.
Sterpada. Br, Agnella che non ha
ancor partorito.
8 1 0 d i. Br. Acconciare, accommodare
per le feste. • Ingl. T o s t u d. - hi.
Stod. - Dan. Stoder.- S^. St5d.
Acconciare.
S t ó m b 0 1; Jlf iX -S 1 0 m b 1 0. I^er. Pùn-
84
PASTE nUHA.
golo che serve a stimolare i buoi.-
L, Stimulus?
8 1 o n g 1 à. Brian, Recidere parte dei
polloni d'un àlbero.-£.T onderò?
Stori. Mil, Annojare, turbare. • Tàd»
Stftren. - Ihgl Stir.
8tosà. ^.Amnaccare.o Ted. Stos-
aen. • L, Tnndere?
8trachèt. Br, Cado di capra.» Gr.
TragosY Capra. • G«fi. 8lr ach i n.
Specie particolare di cacio vaccino.
8 1 r a 1 a t à. MiL Dissipare.
Straniùsclà. ^Him. Soonpigliare,
spennacchiare.
8tranagià. f^erò. Dissipare.
8 1 r a N i. MIL ilasiderato.*fV.T r a n s i.
8trassà, MiL • Strùssiàr. Mmt.
Dissipare . scialacquare.
8travacà, Stravacàr, Streacii.
Gm. Capo\'^gere , rovesciare. —
^•Ml. Sdri^are. • Travacadòr.
Scaricatoio di canale.
Stremili. Mii, e O.* Spavento.-
Stremi. Impaurire. • Sp. Estre-
malo. Spavento. - Estremecer.
Spaventare.- £. Gontremiscere.
StrenQ. ^. Co». Pieno, zeppo.
S t r e v a. Mil. Mànico dell'aratro. -
L Stiva.
Strlbl. Com, Scintilla di tronco ac-
ceso.
Strigi. Br, Arre8tare.-iftf(ml. e MH.
Trigà. r.
S t r 1 n à. D. Or. Diseccare, abbrustlre.
Stroblà. y, V, Ammazzare.
Strftc&y strùcà. Gen, Prèmere,
aprèmere.
Stròl. ilf^i. Zàcchera. -Strollà.
Inzaccherare.
Strepa. Gen. Vincastro -8 tro par.
Sàlice, vincaja.- Br. Stropeléra.
Vetriciajo. • Stropài. Legaccio. •
Arm, Stroba. Legare. - Strob.
Legaccio. - Vtr, Strepa. Vimine.
Strossc. Br, - Struzi. Mil, Fatica,
stento. • Strussi à. Faticare.
8 tua. y, T, é Br. Turare, spègne-
re. - yen. Stuàr. Spègnere.
Sub là. y, y. Precipltan.
Sùer. Br. Brezza da mattiiia.-f^. 8ó«
ver.
Suni. ^«r. Porci. -Sona. Troja. » L.
e Gr, Sus.- Jrm. Suin. Migalei.
Sulu. Br. Pula, loppa*
Sussi. Mil, Agognare, desiderare ar»
dentemente.
8 V e g r à. J9r. e fV. DibOBcare, dirèdi-
pere un terreno inculto.
Sve rgn a. ^Won. » Vergaa. Mil.
Leziosàggine.
S v è r g 0 1. Gen. Fatto a sgbeniboi. *
Svergola. Sbiecare.
Svigliàc. Brian. Insipido. DèrnH
delie vivande.
Tabi a. Brian, Gambo della patata,
della cipolla e Mimili.
Tàcola. Mil, Bacello con piselli im-
maturi. - ManL Corvo.
Taconà. Gen, Rappezzare. - jirm,
Takona.
Taèla, Tavèla. Br.^y,T,ey€r.-
Tega. Mani, e Cam. SiUqiuiy gii*
scio dei legumi in gènere.
Talamora. ^. Ragnatella.
Tamba. Br. Tana. • y, Cop. Tarn*
bra. Grotta. -GaeLT a mh. Abituro.
Tambai Oria. Coiì chiàmaHneimmU
di iVopa un forte vento.
Tamis. D, Or. e yer. Staccio, cri-
bro finissimo. - jirm. Tarn dèa.
Tampela. Br, Bastoned-Tampelà.
Bastonare.
Tampina. Mil, Anm^are, importu-
nare.
T a n à s. Br, Rappigliarsi , coagularsL
Tanavlin, Tanavelin. Gan. Soe^
chiello.
T a p as e i à. Mil, Sgambettare, affiret-
tare il passo. - Pro9. Tavef ear.
IHAUim LOIlBAmi>I.
M
Tapèl^Ttplin.D. Oc.«l¥nN.8eheg-
^a, scbeggfuola di legno, ritaglio
da abbracciare.
Tape là. Jlf//.ChÌacchenire, cianciare.
Tapini, àr. Camminare a piccoli
passi.
Tarèl. MìL Bastone. t>eazo di legno
al collo dei cani ih luoghi di cac-
cia riservata.
Tarón. Com» Cuoehlajo.
Tata. Ber. Padre.- Fref. Tad/tat.-
Cbm. Tas, t a t- Caiacco. Tàt(Sr.
Tega. Cam. e Mani, ^llqua, bacel-
lo.- L. Tegere. • Ted, Decken.
Coprire.
Tegàl. MiL Vinaccie.-£. Tegere?
Tègna, Tegnoia. Jtfl/. Piplstrello.-
y. Grlgn&pola.
Tèm. Oom. • Tiemo. f^m. Stanzino
di poppanellebarehe.-GaetTamh.
Abituro.
Tèpa. D. Oc. ìfusco , solla erbosa. -
Sp. Tepe. Piota.
Tera. Br. Fila, sèrie-Tiri ter a,
Tringotéra. Una lunga succes-
sione di cose.
Teràm. Luganese, Crema. - 7Vd.
Rabm.
T e r n e g à. Mit. AflTogare , attoscare
col fetore.
Tesa. 7*. />. Capra. - Mani, e Ver.
Fienile, tettoja. Apparato di caccia.
Tess. V. V, Satollo.
Test. Jlf/I. e Br. Tegghia. Vaso di
terra destinato a rosolar le vivan-
de. - L. Testu? *
Tirlindana. jlf//. Lungo filo armato
di molti -ami per la pesca ^ é/eìto
ofidke Ani s 51 a. V,
Tobia. Miì. Orbo.
Tofà. Mil. e r. 7: Fiutare. > To fa.
Ffuto.
Toma. Mtt. Caduta.- Gr. Ptoma.
Topa. Br, Zolla di terra.- Com.T o-
wan. Mucchio di sabbia.
Tòpi a Z>. Oc, Pergolato.
Tòr. IHofi. troncò d^lbero, tasto. -
Jrm. T 0 r r. Fratlone.-/ngf(. Tò V e.
Squarciato.
Torba. BrUmx, Dormiglione*; bruco
del melo, del pero e éìmiU.
Torsa. y. T. Soma di fleno.
Torta ròl. JBr. -Tortòr. Ver. fmbu-
• to. • ^. Pidrld.
T ó s ^ T 0 s a. Af/f.FanciuIlo, fanefuUa.-
Prw, Tos.
Tessei, yerb. Antenna da barca.
Trae. y. T, Sorso. - Sp. Trago. -
' TfofTl. Draught.
Tracia. P^erft. • f^. Sovenda.
T rà gol, de/lo andhs Stràbol, Tròl,
' Tròs, Trosa. Ih^., TYr. e 1^. 71'
Tràino, -treggia. - L. traheret
Trai. Brian. Consumato, estentialo.-
' L. Trans-itus?
Traina. Br, Trapelare , irasudai^.
TratìCiùn. y, Aia. CAÌie df lana
usate dalle donne della valle e dalle
tedesche di y, MoMiaiUme, y. Pitia
e y. Se$ia, che investono la sola
' gamba , lasciando scoperto II piede;'
Transi. Brian, Assiderato, inthii-
zito. - ^il.Strasi.- fV*. Transi.
Tra pi cera, y, Anz, Talpa.
Trasà. Br, Trappolare. - Mil. Sciu-
pare.
Tràuc. y, T, Scarpe da contadino.
Trebatà. Mil, Vagliare. • Treba-
tav6. Vaglio.
Treis, Trevi s,Tarvis.I>. Or. Van-
giatoja. È anche nome di ùkuni
pillaggi,
Ti'esanda,Tresenda,Tre8andèl.
Br, Vicolo. - L, Trans-eunda?
Tresca. Mil. Tritura del riso. -Aom.
Tresca. - Mil. Tresca. Treb-
biare. - Ted. Dreschen.
Trienza. Mil. Forca, ttidente.
Trifola. Gtn, Tartufo. - L, Lyco-
perdon tuber.
Trlf. Brim, Fermo.- Sta trig; Sta-
re fermo; -Tri gà. - 0r. Striga.
84'
PAETB nauà.
Fennare, arrestare.- Pra^.T rigar.-
Oom» Trig. Fermare, stare, abi-
tare. - Gael. Treig. Gessare.
Triia. I^.Jova; Sirumento di legno
per dirompere il latte coagulato.
Troc, Trùc. Gè». Urto. - Truca.
Urtare.-i^«Tru de r e.- Goet. Truk.
Trolar. K. L.Utigante.- Tini. T roti-
le r.
Tròs. MiL Tralcio novello di vite.
Trosa, troso.JBr« Fetta, sezione cir-
colare di pesce. - F\r, Troa^on. *
Prov, T ranch e^-yPfom. Tra DCla.-
Cbm. Trogli. Speaalo. - Jrm.
Trovcli. Taglio.
Trot. Br. Torrente, barrane.- T ro-
tola. Bollire a. scroscio. - Cbm.
Trot. Letto di Aume.
Troia. i^r.Intreccio di tralci di vile.-
Catorib. Sermento.
Truscia. Afjl. Fretta. -T r US ci à. Af-
faccendarsi.
Truman. f^. 7*. Gaglioffo. - 7WI.
Treumann. Uomo crèdulo.
Tiiòn. ML Palomi», colombo sel-
vàtico.
T u p. ^» jéfig.. Tenebroso.
Turba, y, Ahz, Càmera.
V
Usadèl. Cr.'' - OsadèI in Gkiara
d^Jdda, Aratro.- Usadèi in dia-
Mio Mik significa Massérisie ed an-
che machine.
Usma. Gen. - Usta. Mant e Ker.
Odorato. - Usmà. Fiutare. - Gr.
Osme. Odorato.
y ag. MiL e Mr. Bado; opposto a do-
lio. - y. Pvàc - GaeL Uaigh. -
Com, Ua^, Vag, Guagion. An-
troy 8pelonca.-Vag iny.Cap, signi^
fica ancora AcidOydisapor brusco.
Vajrón. Oom. Specie* di peeois. • I
Cyprinus grlslaginoL
Vandol, Vandùl. Br. Yalangiw i*
vina.
Vanta, Vandèr,yandi. Br^'-Fm
Va n dar. Vagliare.
Vèbal. y. L. Usciere di tribunale.
Ted. WeibeL
Vedretta. y.T.,Friu.e Tirai
Vedriàl. K Gemi. -Vedrà é. 71k
Ghiacciaio perpètuo. .
Végher. Br.-Vegro. f^er. TorrvK
stèrile o inculto. - y. Svegrà.
V e 1 ò m. Br. Pioggia adusta nodv
alle viti.- Velom à 8. Allibire» dii
seccarsi.
Vènt MiL Significa vento inmtm
tano, Maestro, in generalBpoi
venU speciali iràssero il loro ntm$
dai luoghi d'onde spirano, o$Uhi^
lago di Como furon detti: Tlv/f^i
Molinài, Bellanàsc,Mena8)i|
Argegnin, Mendrisón, Teaii
Bergamasca, ec, da Tivano^ Ik
lina, BeUano, Menaggio, ec
V e r a. i9r. e yer. Anello. Cerchio d^on
di ferro o d^ altro. Ghiera.
V e r g n a. jlftf . e Com. Smòrfia, moUu
anche Maniera, modo.
Vergòt, vargota, argota. />• Ot
Qualche cosa. - Vergu, vergai
Qualcuno.
Verte e la. £r. Bandella, intomo aU
quale girano o si ripiegano le pari
d^una scàttola, d^una porta, e si
miti, - JL. Vertere?
Vertesa.Jlfi7.-Avertis.fiWaii.8eri
minatura dei capelli.- f^. Se h e da.
fbrse daV è r z e r, A V è rzerJkprivi
Verti. MiL Inf, Dovere. -Ver ti(
Dovuto, y, Bentàr.
Verùscià, DerQscià. Brian.hMm
pognare aspramente, trattar don
mente.
Vetà. r. r. Rubare.
Vettabbia. MiL Ani. Estremità 4el
DIALEITI LOVBAADI.
87
rinvftlnero delle cipolle , e titnili;
anche Yerdora in gènere.
Vezola. Br. Acquidutto, botticella.
Vi risei, Yiscor. MH. Vispo, vivace.
Vis earda. Mil. Tordella (specie di
tordo).-iL. Tnrdus viscivorus.
Vissinèl. G«n. Vispo, inquieto. Di-
eni di fanciullo, - Vissinèl nel
D, Ven, Hgmfiea Uragano. - GacL
U i 8 1 1 § i n n. Scompiglio , furore.
Vissòpola. f^erà, Lucerta vivi-
para.
VoL f^CtaP. Zolla erbosa.- fV-.G a zon.
Zaeàgn. MiL Piatltore.- Zacarà.
Utigare.
Zaeearell a. jlf//. Màndorla prèmice.
Zagot f . K Riccio senza castagne.
Za ina. Gen. Quarto di boccale; mi-
sura di liquidi.
Za n f ò r g n a. MiL Rlbebba.
Za pél. O.* Piccolo accesso dalla
strada al campo.
Zata. D. Or, Zampa.
Z a vaj à. Mil, Canzonare, burlare. Gi-
ronzare.
Z a V è r. Br, Caprone. - Hai, Zeba.
Capra.
Zela. Com, Córrere.
Zèmbol. MiL Pollone, virgulto.
Zèrb. Mil, Sodaglia, f^. Gerb.
Zia. Com, Ornare, acconciare.
Zibra, Zibrèt. Gen, Pianella.
Zi d rè la. Or.* Carrùccola.
Zigra. r. L Ricotta. -Ted. ZIeger.
Zobia, Zigola. fir. - Zanzavrén.
Cr,* - Zeniuin. Mil. Giùggiola.
Zocca. Cùm, Seno di lago.
Zola. Mil. - Zolèr. Mani, Bèttere,
bastonare.
Zoncadfira. Br, Filone verticale
nelle miniere di ferro.
Zosc. Or,* Cespo, cespuglio.
Zu. K. M, Capretto.
CAPO IV.
Cenni istorici sulla ktteratura dei dialeUi lombardi.
Parlando di propòsito delle vernàcole letterature , è mestieri
primamente distinguere \si popolare óslìV arlificiali. Per lettera-
tura popolare intendiamo quei componimenti in vario metro,
ehe nàscono nel seno delle nazioni rozze, il cui autore è il pò-
polo slesso che ne è depositario: componimenti tradizionali, che
tèndono, o a tramandare ai pòsteri, a guisa d' annali, con vivaci
colori , favolosi avvenimenti e gesta d' eroi , o a descrìvere con
eròtico stile e càndida ingenuità gli amori , le fazioni, i costumi
del pòpolo stesso che li ha dettati. Tali sono i canti nazionali dei
montanari Scozzesi, dei pastori Serbi, dei QefU dell'Epiro,
dei Pallicari della Grecia, nei quali vèggonsi fedelmente descritti
Q cielo, i monti, la natura materiale delle rispettive regioni, o
rappresentati i costumi ed i passati avvenimenti delle nazioni
rispettive. Per letteratura artificiale invece intendiamo quei
componimenti, sì in prosa che in verso , che furono dettati nel
dialetto del pòpolo bensì, ma dalla classe eulta d' una nazione;
nei quali per conseguenza lo studio e Tarte ebbero la parte prin-
cipale, e tèndono per lo più a reprimere con satiriche forme gli
abusi e i depravati costumi dei contemporànei , o a celebrare pù-
Mici e privati avvenimenti. La prima è sémplice e pura come la
natura che riflette ; la seconda arguta e studiata , come il vizio
che reprime; la prima è òpera d^t natura, la seconda dell' arte;
quella tende a spàrgere i primi semi di civiltà presso le nazioni
nascenti ; questa a corrèggere e riformare le instituzioni già ve-
tuste e guaste presso le incivilite.
90 PàMTt
Gò premesso) è abbastanza noto^ come la civiltà romana, e più
tardi la diffusione del Cristianésimo scancellassero da molti sècoli
presso di noi ogni rimembranza delle poètiche tradizioni dei Bardi,
non che delle superstiziose leggende degli antichi Druidi; e ap-
parirà quindi manifesto, quanto male s' appóngano coloro, i quali,
confondendoci coi bàrbari , cercano tuttavìa fra di noi canti po-
polari, come faceva Omero neUe Isole dell'Arcipèlago ed in Ada,
prima che Solone dettasse agli Ateniesi novelle instituzioni , o
come tutt' ora suol farsi ne' pii appartati monti deU' Europa sel-
tentrionale ed orientale , presso nazioni non ancora informate alla
moderna civiltà. 1 (fialetti lombardi non hanno infatti canti popo-
lari ; ma bensì una letteratura artificiale , ristretta sinora a colle-
zioni di poesie ed a drammi, la quale ebbe incominciamenlo dolo
nel secolo XVI. Né v(^[liam con dò dire, ch'essi màndilno tf omH'
numenti anteriori a qnelf età ; basta vòlgere uno sguardo ai doèH^
menti dei sècoli di mezzo, non che dei successivi, dei quali dovistaii
raccolta serbasi nei nostri Archivii e nell'Ambrosiana , per ìséòt^
gere nell' incòndito latino d' allora una serie di voci e d'idiotÉsait
bastèvoli a formarne un Vocabolario (4). Né solo una racoolli él
voci, ma si potrebbe estrame altresì buon nùmero di frasi! €
modi , che sono pretti lombardi. Gran copia di tali yo<i ed ìdki^
lismi trovasi ancora nelle crònache èdite ed inèdite de' nostri miuifr
cipj, ed in alcuni vetusti Vocabolarii, nei quali Tignoranca deM
voci italiane indusse gli scrittori a sostituire sovente le eorriapori*
denti vernàcole italianate. Abbiamo sotto gli occhi im voealfe^
lista ecclesiàstico redatto da un mònaco agostiniano, sin dal t%Mi
dal quale abbiamo estratto parecchie voci lombarde , die mug^
giungiamo qui in calce, in Saggio del vocabolario dei nostri
tichi dialetti che potrèbbesi agevolmente oompflare sui
menti (3). Ma se questi monumenti provano la rìmota anticUÌI
(i) Sarebbe pure aiiHinpresa mollo ùtile allt sdema la radaiioiie iTeÉ
vocabolario vernàcolo tratto dai monumeiiti latini del laedio evo. ItaM*»
dail'ana parte sarebbe chlarameale pro\'ato , che i nostri dialetti fnifMi^
in ogni tempo con leggere modificazioni parlati^ dair altra sarebbero salvo
dair oblio parecchie radici da sècoli andate fuor d'oso, e meglio attei
constatare Poriglne del medésimi.
(t) L'opera della quale qui porgfamo un estratto è Inlf telala : Si-Wlh
DIAUETn LOMBAKM.
9i
dei vernàodli idiomi , e la consónama loro cogli aUualmente par-
iati, non ne viene che si possano ascrlTere alla letteratora \er^
wàcoèà.
eatmiisia ecelaioitico ricolio et ordinalo dal povero sacerdote de Christo
Frate Johanne Bernardo Savonese , del sachro Ordine de heremili otier^
fanti di santo Augmtino. Ed In fine del libro si legge: hnprestnm Medium
\/mi per soler lem opificem Magistrum Leonardum Pachel, 148». Die XXIII
mentis Februarii, Ivi trovammo registrate le seguenti voci , le quali , in
Mita alia terminazione Italiana datavi dall^aulore, sono In perfetta conso-
con quelle del vivente dialetto milanese.
Cavalcarla, cavalleria,
Cognosse, cognossuto^ conóscere, co-
nosciulo,
Copo, tégola, èmìbrice.
Costrénzere , costringere.
Cressuto, cresciuto,
Cusire, cucire.
Dar fora^ publicare.
De dreto, di dietro,
Depénzere, dipingere.
Despreslo , disprezzo^
Dessedare^ svegliare , dattwe,
El , ìL
Ei se dice , si dice,
Extendudo, esteso.
Fantino y iMunbino,
Pezza , feccia,
Fiadare, respirare,
Flcare, infiggere,
Fidigo, fégato,
Fogaila, focaccia,
Fopa^ cloaca,
Forestero, forestiere.
Fòrfexe, fòrbice,
Fronza, fionda.
Camberà, gambiera^ calzare.
Cera, ghiaja,
Gialdo, gicÀlo,
Giaza (la) , il ghiaccio.
GotMare , gocciolare.
Grassa (la), il grasso^ T àdipe.
Grllanda, ghirlanda.
Impressa , frettolosamente.
àfonzare, acconciare.
AgBCcia , ago, agticchiu.
Amolato , arruotato.
imarcla , morchia.
ÀDgrestara , inghistarra, misura pe*
liquidi.
Armarlo, amuuiio.
Aspero sordo , àspide.
Asselarae , Mederei,
Astregarc, àstrego, lastricare, tastri"
calo.
Avollo , aporia.
Balanza, bilancia.
Barba, zio.
Bèllora , bétlula.
Biastemare, bestenumiare.
Biava, inada.
Biseanllero, soffitta, cielo delle stanze.
Boffare, soffiare.
Bógller, ààiUre,
Bota, eoipo , ffereoséo.
Braghe, brache.
Brancata , manipolo.
Brasca, bragia,
Brazzo, braccio.
Brasare, bruciare.
Bniscato , abbruttoUto.
Caldaro , caldera , caldera.
Càmola , Ugmtoia,
CkncuÈO , càrdine,
Gapozo, capucdo.
Cama, carne.
CàuU , càvoli.
09
FARTB nnu.
I primi tentativi , fatti di propòsito per iscrivere i diaMIi
bardi furono intrapresi solo quando gli scrittori italiani , ad
tazione dei Toscani, introdussero la prima volta nella
Improperio , ingiuria, imulto, jMòlgere , mùngere.
Id , quando precede V articolo 3 retta Moli onc , montone.
invariato, dicèndoviei: in el lago,
in la lucerna.
Incùzine , incùdine.
Inguaiare , eguagliare.
Inlordire ^ frattuonare.
Insema , insieme.
Inzegno, mòcc/tina, istrumento,
Inzenocciarse , inginocc/iiarsi.
Lasagna, lasagna, L. làganum, Gr.
Laganon. Specie di focaccia.
Lavezo , pajuolo , ealdaja.
Lazzo , laccio.
Lecardo, ghiotto,
Lcgerisca , leggerezza.
Lentigia, lenticchia.
Levadorc, lièvito.
Lèvorc, lepre.
Lisca, càrice.
Lixo , senza lièvito. Dicesi del pane.
Lumisello, gomitolo.
Macare , contùndere, ammaceeare.
Madone, mattone,
Mamolino, bambino,
Manezàr , maneggiare , iraltare.
Marzàr , macerare.
Masiono, casa, maggione.
Mazera, chiusura, muriccia, h. Ma*
certa.
Mazerato, fràcido.
Meda, mucchio. Dicesi del fieno e delle
biade ammucchiate, L. meta,
Médere , mlèfere.
Mele (la), il miele.
Messedare, mescolare, agitare.
Mezarola, specie di misura pe^tìquidi.
Mezena, metà del tardo d'un mafale.
Mitria, mitra.
Mocare, smoccotare.
Morone, gelso.
Mozo, moggio.
Mufolcnlo, ammuffito.
Nàdcga, nàtica.
Nassuto, nato.
Nora, ntiora.
Olirà, Oltre, Passar oltra el. 1
tragittare il guado.
Pagura, paura.
Pala da grano, ventilabro.
Panzera, lorica. 1
Parpela , palpebra.
Pede, piede.
Perlusare, forare, pertugiare
Plgnata^pèiiloto.
Prestino, fomajo.
Quindexe, quindici.
Ranipegàr, arrampieare.
Rangognar, borbottare.
Rasone, ragione,
Rasore, rasofo.
Rognoni, reni. ,
Rosegato, roso.
Sappa, zappa.
Sbàter le mane, applaudire,
Sbadagiare, sbadigliare.
Sl>efigamento, delirio.
Scarcàre, sputare,
Scòder, riscuòtere.
Sconflo, gonfio.
Scovare, scopare,
Scracare, scalorrors.
Seda, seta.
Semeso, «pecte di miturm.
Sémola, fior di farina. L. SimU
Sengiuzo, singhiozzo,
Seniero , sentiero.
Sénzer , ctiidrere.
DIALBm LOMBAIDI.
95
■i vnlgari ; e ciò che reca singolare stupore sa ò, che
i primi che vi si provarono èrano estrànei alla Lombardia^ quali
iàrooo, tra i molti, Andrea Calmo veneziano, Angelo Beolco da
Pidova, Gian-Giorgio Alieni d'Asti, Giulio Cesare Croce da Bo-
logna , ed altri tali dell' una o dell' altra regione d' Italia. Catana,
Beolco, Gnì, Gcognini, Pedini ed altri molti in più comedie
à valsero del Bergamasco, il quale, colla ruvidezza e semplicità
del linguaggio , contrilml a render lèpide le rappresentaziont
L'Ahoni , nella farsa intitolata : El Bracho e el Milanem innof^
muralo in ji$t j alternò il dialetto astigiano col milanese ; ma
tatti questi Saggi , il cui nùmero è grande, non si possono dire
né milanesi né bergamaschi, mentre vi sono talmente svisati
dall' imperizia degli scrittori , che appena vi si possono riconò*
scere. Perdo basterà averne fatta menzione, come del primo se-
gnale dal quale ebbe principio la letteratura dei nostri dialetti;
e solo per quelli che ne bramassero più estesa notizia, abbiamo
soggiunto alcuni Saggi tratti dai più antichi scrittori e {riù difficili
8eMy $itpc,
Seie, iei.
Sir , èfiere.
Solaro, tavolato, parte iuperiore della
casa.
Spedane , aromi,
ipegauMÌo, imbraliaio.
Stara , eiaja,
Stlzooe, tizxfme,
Strepare , tlroppare,
Stoa, cli^a.
Sugare, ateiugare.
Tavano, tafano,
Temporito , precoce.
Trillare, tritolare.
Vènere, penerai,
Vodare, Pitotare.
Zanzare, cianciare,
Zenevro, ginepro,
Zenzala, zanzara.
Ziaramella, zampogna di canne.
Za, giù.
Qui si vede chiaro, come, eccetto le poche radici andate in disuso, quali
sMo, biecanUerOs ibeflgamento e simili, totte le altre serbino le medésime
pemiutaiioni distintive del dialetto vivente, cosi deUe lèttere^ eome dei
lèiierl del DomL eguali osservastoai potremmo fare sulle inflessioni, por-
indo lo stesso vocabolista le terminazioni pianzando^ torzando, per p^on-
fOMlOj torcendo; andarla, deferta , per andrMe, doprMe; iédeno, dice"
9mo, per tiédono, dicevano, e simili. Tale era quattro sècoli fk la conso-
sama del dialetto mflanese coir attuale; altri monumenti la eompròitano
con pari evidenza in tempi di gran lunga anteriori} slecliè pare> cbe non
si possa più dublUre deirindestruttibiUtà dal dialetU, dell' antichità dei
oostri e della soauna loro importansa.
•!;
94 PARTE PR11IA.
a rinvenirsi , non che un' indicazione delie principali produribÉ
di questo gènere, nella Bibliografia.
Da ciò è manifesto, che i dialetti da principio furono aeriil
per célia, e coli' intento di trastullare le moltitùdìiii , oame'wti
punto nello stesso tempo furono intnisi in molte oomedia-l
Greco , il • Dàlmata , il Tedesco , il Francese ed il Turco , -eh
in varia foggia masticavano un guasto italiano, o qualche aoi
speciale dialetto. E che tale fosse V intenzione dei primi scrii*
tori appare eziandìo dalla scelta dei dialetti medésimi , Ira I
quali veggiamo preferiti i più rozzi, vale a dire: l'Astigiano fin
i pedemontani , il Bergamasco , o quello di Val di Blenio tft 1
lombardi , il Ghioggioto , o il rùstico Padovano fra i vèneti , il
Bolognese fra gli emiliani. Glie anzi , ovunque , e per molli amri^
furono preferiti i dialetti dei monti e delle campagne a qoefli
delle città , sulla norma appunto degli scrittori vnlgari tose»
ni, che primi ne diedero l'esempio. Cosi veggiamo in lingni
rùstica padovana i primi sag^ poètici o drammàtici di qneldia-
letto celebrato da Beolco e da Maganza coi finti nomi di Rin-
zunlo, Magagnò, Menòn e Begotto; in lingua rùstica veronoii
sono scritte alcuno bizzarrie poètiche dell' Atinuzzì ; rùstica è queHl
doi primi Saggi poètici friulani, bellunesi, bresciani e mantovana
Colombano Brescianini assunse il nome di Baricòcol dottor di Vtl
Brenibana, quando travestì in rùstico bergamasco le Metamòr/om
d* Ovidio j ed i primi poeti milanesi imitarono le rozze divelle dellB
vallate di Blenio e d' Intra , o si nascósero sotto le spoglie 9^
BostHj nome generale e comune tutt'ora ai vìllici dell'Alto HDib
nese; onde furono poi dette Bosiaade le innumerevoli poesie Ik
riche d' occasione composte nei dialetti lombardi.
Ciò premesso, volendo noi pòrgere una chiara idea, oomeot^
sommaria, della letteratura di questi, l'abbiamo ripartila in .In
distinti periodi, il primo dei quali comprende appunto i eotapth
nim^tl in lingua rùstica, estendendosi dai primordi della poeiJÉ
vernàcola fino alla sostituzione dei dialetti cìvici ai rùstici, aj^
rata dal Maggi; vale a dire, dal principio del sècolo }^I fioff
alla seconda metà del XVU. 11 secondo, dal Maggi si estende, atao
al tempi della ristaurazlone , ineomindata da Giuseppe Puini ;
vale a dire, dal 1580 incirca alla metà del sècolo sconò. Il
terzo, incominciando dal Parini, giunge sino a noi.
DULIRI UMOàRDI. 95
Di qui a(9«re, che la letteratura dei dialetti kwibardi Tiene
predpiiaiiienle rappresentata dalla milanese propriamente detta;
giaediè, se si ecoettui il dialetto bergamasco , il quale fu svcdto
Al parecchi distinti slcrittori in ogni gènere di componimento ,
lotti gli altri non hanno vera letteratura propria, ma tntt'al più
iloDiie poerie d'occasione, o Saggi di vocabolario. Con tutto dò,
per procèdere crai maggiore chiarexza , abbiamo preferite sco-
ia letteratura dei dialetti occideiUali da quella degli wien-
Lettcntan dm dialetti oeddeaUU.
Anodo 1. Questo periodo, come accennammo, è contradistinto
tu Ungoaggio rùstico, il quale variò di mano in mano che la
Mtaratora vemàcda si venne sviluppando. Da princìpio i poeti
■Oaneai adottirono il dialetto della valle di Blenio, i cui irid-
tnf& solevano recarsi in frotte annualmente alla capitale lombarda
per esordi li il mestiere di facchini, e, sul modello defl' Arcadia,
i coi mmbri assumevano spoglie pastorali coi nomi di Tltiio
e Mdibeo, fondarono Vj^cademia della wlle di Blenio j nella
quale , cc^e mentite spoglie di facchini , tentarono nobilitare
coi [poètid nùmeri la lingua , i costumi ed i rozsd concetti di
fwlla pòvoa plebe. L'orìgine e gli statuti di questa frivola
Acidwia fàrono publicati nd Babisch dra jicademiglia dor
C&mipà Zaoargna, ove sono racchiuse molte poesie facchinesche
di Gìo. Paolo i^rniarai, autore di questo libro e principe dell'Aca-
denln , non die varii componimenti d' altri zelanti acadèmid.
"ha questi emèrsero Bernardo Baldini , Lorenzo Toscano , Ber-
nrdo Raìnoldo, Gio. Batista Visconti, Giàomio Tassano e Lodo-
vico Gandini, dd quali sopravlvono appena alcune poede vo-
InlL in qnd tempo di decadenza, la moda avea difiiiso in Italia
i birbafo gusto per le lingue fittizie jonaddlltòa e furbesca^ alle
qMli andie valenti ingegni pagarono il loro tributo (4); e in
Lonbardia tenne per breve tempo il loro posto quella della
(i) Vcggasi r opùscolo da noi testé publicato col titolo: Shtiii sulle Un-
m fiaràache, di B, Biondelli. Milano, per CiveUi e C'' 1846.
40
f 0 PAMTB mnu*
valle di Blenio. Poco dopo , vale a dire in sol principio d^ 9è
odo XVU, vi fu sostituito il dialetto della vaDe Intrasct^ aai
meno strano del primo, e jH^rìo parimenti d'una parie dei iM
chini e vinaj della capitale nativi di quella valle. Venne ^nini
fondata la gran Badie doi fecqin dol lag Mqò^ e in essa i pnel
lombardi , sert)ando sempre la màschera facchinesca , lUnstrlMMi
questo nuovo dialetto montano con molti componimenti poèlfal
che sfoggiarono per lo più in sontuose mascherate ctrnrBeiili
sche, in almanacchi, ed in opùscoli d'occasione, dei quali 4iv
basi una ragguardévole raccolta nella biblioteca Ambrosiana, e de
quali produrremo alcuni Saggi nel capo seguente. Di tali masdie
rate camesdalesche porge bastévole idea un'incisione pubblicat
dal fiiandii col titolo : Matcarade doi Fechm dol L&gh Jiy
oicrke m ila Magnifiche Sedie ^ (accie m Milan^ 0/ di SO fevH
1704. Il componimento di maggior conto in questa iingon^idi
stinta comunemente col nome di lingua facchinesca, si fu un pm
metto ddr avvocato Bertarelli, intitdato: Lucdade dol Comfn
Sirusapolentaj da noi riportato nella Bibliografia; e buona eofi
di racconti in prosa tròvansi nell'Almanacco intitolato La Balie
puMicato per alcuni anni successivi nella seconda metà dd**è
colo scorso.
In mezzo a questo bàrbaro gusto pei linguaggi più bàrbarlm
meno intesi, alcuni vòUero soUevare all'onore del metro laalM
informe favella deUa campagna milanese, e fra le innaMiAiri
sue varietà scélsero quella del Bosin, che fu rappraaenlaifr.dl
Baltram da la Gippa, nativo di Gaggiano , villaggio posto adi
riva destra del Naviglio Grande a sette miglia incirca da Bfihari
Allora per la prima volta la poesia vernàcola, abbandanaiido'i^
inripidi sali facchineschi, prese hidole satirica. Era Beltrame ti
pòvero contadino, sémplice, ma sentenzioso; ignorantosy ina frani
e loquace; censore della politica, e sempre diqxKto a iiiàugt
sulle sciagure deUa sua patria, ed a festeggiare, cantando, i flHH
avvenimenti pùblici e privati. Con quest' àbito a vario colore |m
valse sui facchini del Lago Maggiore, che a poco a poco anuMi
lirono, e fu per lungo tempo l'intèrprete prediletto dei vers^gia
tori milanesi , ai quali prestò nome e linguaggio , e più
ancora ignoranza e melensàgine.
MAURI UHflUHDI. 97
Alloni èU)ero origine le Bomadej ossia quei componimenti
poètici d'occasione, sovente satirici, in ogni metro e stile , che
dUngiioiio la poesia Ternàcola lombarda, e dei quali immenso
è il nùmero , e per lo più oscuro V autore. Fra quelli che suc-
onsivamente si distinsero in questo gènere di ccmiponimento,
lieorderemo Girolamo Madema, Scipione Delfinoni, Pietrasanta,
Domenico Francolini, Paolo Mainati, Giuseppe Abbiati e Gaspare
Fumagalli. Una raccolta di queste poesie, màssime appartenenti
ai tonpi moderni, fatta per cura del benemèrito Francesco Bei-
lati, serbasi ordinata in nove volumi nella Kblioteca Ambrosiana,
e sarebbe di gran lunga maggiore, ove alcuno prima di lui
avesse impreso di fieume collezione. Di tante produzioni però ben
podie meritano ricordanza, non solo pei loro fiivoli argomenti,
■a sopra tatto per V assoluta nullità. La sola importanza loro con-
tmle nel documentare la storia patria , non che lo spìrito dei tempi
• le tei che il dialetto milanese ebbe successivamente a subire;
«bbene eziandio a tal uso il maggior nùmero non valga, o per man-
eama di data, o per l'imperizia dell'autore, o per troppa esiguità.
n solo poeta che emerse in questo lungo periodo, e che pos-
siamo riguardare qual fondatore e padre della poe^ milanese,
ai fìi il pittore Gian Pàolo Lomazzo, il quale, comecché principe
bMemèrito dell'accademia de la Fai de Bregn, pure scrìsse an-
cora pel primo alcune poesie liriche in dialetto civico milanese,
die non sono prive di qualche pregio. Il suo esempio fu imitato
da Giovanni Capis , da Ambrogio Biffi, da Fabio Varese e da altri,
dei quali ci rimangono pure alcuni sonetti èditi in gran .parte.
Qm anzi, Giovanni Gapis fu il primo che sbozzasse un Saggio di
vocabolario etimològico milanese , nel quale si sforzò dimostrare
la derivazioiie di questo dialetto dal greco e dal latino. Quest'o-
pera, tft^po encomiata dal canònico Ga|^iardi, che, affetto dal-
l' egoal morbo allora generale in Italia , sottopose ad egual tor-
tora il dialetto bresciano, fu più tardi ampliata ed in parte emen-
dala da Giuseppe Milani, dopo di che vide più volte la luce col
titolo: Faròn milanès de la leiigua de Milàn. Il suo pregio con-
siste solo neir averci serbato parecchie voci antiquate, ornai scom-
parae dai viventi dialetti, essendo le note etimològiche per lo
più vane stiracchiature , o sogni. Ambrogio Biffi dal canto suo
tentò posare le tiasi della pronuncia e dell'ortografia vemàoah
in un breve trattato in prosa intitolato: Prissidn de Miidnfy'é
la ffomonzia milanesa. Quest' opnscoletto è prezioso oggiA, al
ditindoci quali modificazioni la pronuncia milanese ha subito n^g^
ultimi sècoli (t ); e Tenne più volte in luce unito al Faròn MUmk
Periodo II. In onta a questi primi tentativi , il gusto per i
Borinade e pel linguaggio rùstico prevalse sin oltre alla meti dd
sècolo XVn, quando comparve Carlo Maria Maggi, die, venaÉi
nelle clàssiche letterature antiche e moderne d' Europa , scdlevi
quella della sua patria, sostituendo al dialetto rùstico il dvioo-,
e dettando parecchie comedie e poesie volanti , intese a rifir-
mare coli' arguzia e colla critica il falso gusto ed ì costami da'
suoi tempi. Ond' è che , sebbene egli inalasse l' edifido salta
pietre primamente poste dal Lomazzo e da' suoi seguad, fu pai
meritamente riguardato, per superiorità e fecondità d' ingiqpio;^
non che pel compimento dell' òpera , come vero fondatore dell
poesia milanese. Infatti solo dopo di lui fu dato perpetuo basta
a Ballram da la Gippa^ nel cui posto successe Meneghin Puy
cenna a rappresentare l'uomo del pòpolo.
Questo nuovo eroe della Musa lombarda era un servo feddir^'
ammogliato, càrico di figli, ingenuo, faceto ed arguto, timido e
franco ad un tempo , d' òttimo cuore , e vìttima sempre de' pHr
scaltri. Con questo caràttere egli fii la chiave dell' intrigo neHa
comedia , e l' intèrprete dei successivi poeti Urìd , ai quali pie^.
sto col nome, ora lo spirito e la sàtira, ora l'ingenuità ed il f^:
triottismo. Questo modello fu delineato per la prima volta HalMagi^
nelle sue comedie intitolate: 7 consìgli diMenegkinoj II Baratti-
di Birbanzaj II Manco malej ed // falso FUàtofOj le qifldi sona-'
ad un tempo òttimi modelli di pura morale, e di drammàtico stikk
Al Maggi tenne dietro una lunga schiera di valenti poeti, cte;
illustrarono il sècolo XVlll. Tra questi emèrsero Girolamo Hm- .
go, Giulio Cesare Larghi, Stefano Simonetta e Carl'Àntonio Tauri,
con una serie di poesie egualmente pregévoli nello stile gr«v0i
e patètico dell'elegia, che nel faceto e brillante della noveltau i
(i) Avvertasi che qui intendiamo parlare del vario modo di pronimciart .
I*UD0 0 r altro \'ocàbolo, e non già del sistema fònico « il quale fu aenpct -
eguale.
IMALEfTI LOMBARDI. 09
Domtoieo Balestrieri, uno de' più fecondi ed eminenti ingegni del
hnaao milanese, dopo avere illostrato il patrio dialetto con ogni
sorte di componimento in prosa ed in verso, lo inabeò ancora all'o^
oore déB- epopèa, travestendo la Gerusalemme Liberata del Tasso,
soli' esempio di tanti altri scrittori, che Y aveano voltata in qpiasi
tatti i dialetti d' Italia. Se in questa strana impresa il Balestrieri
tpese diedsetté anni di fatica, ebbe il mèrito di mostrare di quanta
font d' espressione , e ricchezza d' imàgini proprie il dialetto mila-
nese fosse ftHmito; e voltando in vemicolo con miràbile fedeltà pa-
recchie canzoni di Anacreonte, provò ancora quanto bene s'addi-
cesse agli argomenti affettuosi; per modo che, se il Maggi ebbe fl
ianto di fondare pel primo la vera poesia milanese, il Balestrieri
eUie la gloria di consolidasrla e di arricchirla di molti pregévoli
«■nponlmenti. A' su<h tempi , avendo il padre Branda barnabita,
k una lettura acadèmica , sollevato a cielo la lingua italiana , e
tentato diiBostrare , essere il culto delle vernàcole lèttere nocivo
tD'increnenlo delle clàssiche, il Balestrieri difese la causa del
patrio dialetto, e rintuzzò con una serie di componimenti, intito-
lati la BrandofMj le asserzioni del cenobita; ed essendosi alcuni
trtti campioni di questo, altri s'oidrono al Balestrieri, per modo,
che s'accese un'enèrgica lotta, la quale terminò col trionfo dei
poeti vernàcoli.
Balestieri fu attorniato, finché visse, da una corona di valenti
poeti, i quali , gareggiando a vicenda , lo emularono cosi nelle
grazie, come nella forza e dignità del dire. Tra i molti basterà
rieordare FnAcesco Girolamo G)rio, Giorgio Giulini, Cari' Andrea
OMolina, Laiìgi Marllani, ed il P. Alessandro Garioni, le cui sagaci
poesie piene di sali sono ancora il diletto dei concittadini.
Periodo III. In tal modo terminò il sècolo XVlIl gloriosamente
perla poesia milanese^ la quale, se nel primo periodo aveva as-
nnto sotto V oppressione spagnuola il falso gusto , e lo spirito
Mvolo dei tempi , venne modellata nei secondo sulle clàssiche
letterature, e sollevata ad alto grado. Se non che, la monòtona
scBola delle lèttere clàssiche, inceppandone il libero sviluppo, le
ùniNresse una servile imitazione, a svincolarla dalla quale richie-
dèvasi una riforma. I memoràbili avvenimenti che^ in sul cadere
dello scorso sècolo, dalle rive della Senna estèsero la ràpida loro
100 PARTE ramA
influenza su tutta Europa , sovvertendo V antico Ardine di ooie ^
ne fornirono ben presto occasione ^ e , come nelle sociàU iatfr
turioni , cosi ebbe principio la riforma ndla lombarda letleratOM.
Il primo che vi pose mano si fu il benemèrito abate Giuseppe
Panni, il quale, mentre dall'una parte maturava cogli aurei
versi la riforma delle lèttere itàliche , preparava dall' altra
parecchie poesie volanti quella delle vernàcole. Gli tenner
neir ingentilire gli animi quel lùcido ingegno di Giuseppe Boaria
e il conte Francesco Pertusati, i cui numerosi componimenti som
cospersi d' àttico sale e di quegli afiFettuosi e morali concetti ckfl
caratterbomno la vera poesia; ma questi diedero solo il segnali
della riforma , il cui compimento era serbato al genio creatore di
Carlo Porta, principe de' poeti vernàcoli. Forte pensatore, pitliM
inarrivàbile, poeta inspirato, quest'uomo straordinario tatto si diade
a sradicare i mali che deturpavano il suo paese, e, dipingendo
co' più veraci colori i costumi del suo tempo, dall'una parte ad^
terrò il decrèpito edificio delle opinioni antiche, rintpzfò dall' àUtì
l'arroganza dello straniero; inesoràbile nella sàtira, delicato Be|^
affetti , seppe congiùngere alla forza còmica di Molik« ed al pa-
triottismo d'Alfieri, il frizzo di Giovenale e la dolcezza dlBeiitt-
ger ; end' ebbe la gloria di contribuire più d' ogni altro a aradt
care i pregìudizj, e ad aprire la via alla vera e viva letteratom.
Sulle sue orme procedendo, alleviarono in parte fl dotare
dell' immatura sua pèrdita due valenti poeti, Tommaso Groosl <
Giovanni Raiberti, i quali, perchè viventi, non turberemo coi
tributi di lode. Basterà solo avvertire, che si edaieàrono in glo*
ventù alla scuola del Porta , penetrati da sentimento AéL pafiM
generoso; e giova sperare, che la patria possa esser loro rioch
noscente di nuovi mMti.
Da questo ràpido cenno si vede , che il dialetto milanese noi
solo è affotto privo di poesie tradizionali, ma non ha òp^ra dM
non sia di scrittori versati nelle letterature antiche e moderne.
E perciò , pel nùmero e pel valore delle sue produzioni, sùpéti
molte delle letterative vernàcole , e può rivaleggiare altresì em
parecchie delle clàssiche modeme(l), giacché la poe^noncon*
(0 ▼^ggasi nel Capo VI la Bibliografia di questo dialetto.
DUUERi LomAaoi. tot
sttte ndla lingua, ma bensì nelle ìmàgini e nei concetti; oome
dìiDOBtrd colla ragione e col fotte anche il Porta nel seguente so-
netto non mai abbastansa ripetuto :
^ I paròl d^ òn lenguà|^, car sur Manèl,
In una tavolozxa de color ,
Che pòn (k*\ quàder brCìt, el pòn fa bel,
Segònd la maestria del plt6r.
Sema Idèi , seaia gùst , sema ón eenrèi
Che règola i paròl in del discòr ,
Tilt i lenguàl^ del mónd in come quel
Che parla on so ùmelìssem servitór.
E sti Idèi, sto bon gust, glà^l savarà,
Che no in privativa di paés ;
Ma di co , che gh^ àn flemma de studia.
Tant V è vera, che In boca de ùssùria
El belissem lenguàg di Sienés
L^ è H lenguàl^ pu cojón che mai ghe sia.
Con questo cwredo di materiali era a desiderarsi, che taluno,
svolgendo le Iqpgf gramaticali, e compilando un vocabolario
di questo dìalntlo , ne agevolasse la lettura e l'interpretaùono
agli Italiani ed a|^ stranieri. Nessun tentativo venne fotte sinora,
sode porre in evidenca i prìncipj fondamentali che regolano il
discorso. Quanto al vocabolario, vi provvide il benemèrito Fran-
cesco GherulHiii, il quale, dopo averne dato un Saggio sin dal-
l'anno 1814, pose testé compimento alla difficile impresa, pu-
Uiciiidone un nuovo assai vasto in quattro volumi. Egli acquistò
diritto alla patria riconoscenza, per le solerti cure colle quali
r arricchì di modi proverbiali, di tècniche espressioni, abbrac-
ciando ogni arte e mestiere^ e tenendo conto dei mìnimi membri
componenti le màcchine più comuni, non che pei confronti so-
vente ittstituitl con altri dialetti d' Italia. Se non che , il troppo
ristretto suo propòsito , come dichiara egli stesso neUa Prefa-
tione, di ajutare i concittadini a voltare il patrio dialetto nella
Kiigiia scritta, lo deviò troppo nell'esposizione dell'interminàbUe
inùtile serie dei derivati d' ogni radice, e nella ricerca de' più
svariati modi corrispondenti italiani, a danno della precisione e della
chiarezza. Noi commendiamo questo libro per la dovizia dei ma-
teriali racchiusi, non che per la bella appendice di voci brian-
lOS FAETB PBIVA.
zole e di GIdaradadda , apprestata per la maf^or parte éti A
gnor! Villa e Decapitani , ma troviamo soverchio lo sfoggio dèi
più antiquati arzigògoli fiorentini, e dei più triviali provincialiaHi
delle vallate toscane , che non faranno mai parte dellai^soda e
schietta lingua italiana.
G)ncliiuderemo questa prima parte del nostro schizzo cóOm
testimonianza del benemèrito abate Parini, il quale, dopo avere
encomiata la sdiiettezza e semplicità del dialetto milanese, cod
soggiunse :
<' Chi più d'ogni altro ha riconosciuto quest' Indole della nostra
lingua, e che lo ha dichiarato in più d'un luogo de' suoi com-
ponimenti milanesi , è stato nel sècolo antecedente l' immortak
nostro segretario Carlo Maria Maggi, il quale avendola percid
adoperata in varie òpere morali ed istruttive, fece doler i fore-
stieri del non poter essi intènderla bene. Egli, che neUa sua piò
fresca età èrasi acqmstato tanto grido colle lèttere greche, Ift-
tine e toscane, non isdegnò nella più grave e matura di servirli
del nostro dialetto nelle migliori sue oomedie , da lui aeriti»^
non tanto per proprio trattenimento, quanto pw istruzione e par
vantaggio grandissimo de'suoi concittadini; e le quali meritàraiia
d'essere dagli intelligenti, non dirò eguagliate, ma ezianAo pro^
poste in qualche guisa alle più rinomate delle antiche.
n Sulle pedate gloriose del Maggi hanno poscia seguito a acri'
ver nella nostra lingua alcuni dotti e savii uòmini , che acMM
morti di fresco, ed alcuni altri che ora vivono, i quali mòstraM
di fer grande conto del giudizio e della lode della l(Nr palliai,
scrivendo nel proprio dialetto cose che non possono esser ghi-
dicate o lodate da altri , meglio che da lei. Quindi è , che mi
abbiamo veduto in pochi anni la nostra lingua mostrarsi ciqHne
di tutte le vere e più sòlide bellezze della poesia. Bastivi di
lèggere le rime scritte in milanese dal virtuoso e dabbene ri-
gnor d/ Girolamo Birago, per sincerarvi , che non solamenle li
nostro linguaggio non è per sé medésimo goffo e scipito, aà
nemmeno per dò che in esso si scrive. // Meneghino alla St'
navraj di questo autore, può dirsi una scuola della vera pietà e
della più sana morale, e cosi ciascuno de' componimenti ch'afa
indirizza a' suoi figliuoli, e quel bellissimo, fatto da hii vMatt
Munti UmBAtM. f 05
nenie, intftobito: // Testammio di Meneglmoj ne' quali ttftli,
olive ad ima fina e soave eiitica de'costumi, òttimi insegnamenti
A danno conditi con vivaci sali, con urbane lepidene.
» Ma die vi dirò io del signor Domenico Balestrieri , e del
sìpior Cari' Antonio Tana? H primo de'qnali, colla^ leggiadra e
sémplice naturalezza de'suoi versi, insinuasi dolcemente nel onore,
e Taltro, colla robustezza de' pensieri e delle imagini, mostra
come trovar si possa in mezzo alla semplicità del milanese dia-
letto fl fimtàstico ed il sublime della poesia. Leggete di questo,
sttre alle molte altre cose, il bellissimo sonetto ch'ei già stampò
per una monacaaone , in cui ^U rappresentò alla candidata il
pnto della morte di lei, e, figurandosi d'essa seco nella cella,
le dipinge A al vivo le circostanze in cui ella troverassi in quel
A, die scuote ed agita Tànimo di chiunque legge, e lo riempie
d'un salutare orrore. Sul medésimo argomento della morte leg-
gale i yerA sdoW ch'ei redtò nell'academia dei Trasformati,
ch'io mi rendo certo, che voi non li potrete lèggere senza racca-
priccio, tanto vive e patètiche sono le imaginazioni, cmde quel
campcmimento è ripieno.
» Per dò che riguarda al sig. Balestrieri, qual cosa insieme più
bda e più tènera del suo Figliuot Prodigo? Questa dolcissima
allegoria della divina misericordia , quasi direi che diventi più
preziosa nella nostra lingua , imperdocchè , richiedendo ¥ argo-
Bw&to una certa semplidtà e un certo soave affetto eh' io non
nprei spiegare , sembra questa èssere a dò meravigliosamente
aAMi, o, per dir meglio, sembrano i Milanesi particolarmente
atti a sentirlo e ad esprìmerlo nel loro dialetto. Senza che, l'ait-
tare ha saputo in quell' operetta raccògliere tutte quelle grazie
e purità ddla nostra lingua, che meglio servono a rappresentare
sotto gli occhi la cosa, e ad eccitare la compassione e la gioia. »
Gii altri dialetti occidentali non ebbero in verun tempo lette-
ratura propria. Nessun componimento venne in luce, per quanto
d consta , nel dialetto ^altellitìese ^ eccetto per avventura qual-
die oscura poesia d' occasione di più oscuro scrittore. Un voca-
bolario del medésimo trovasi racchiuso nd F'ocabolarìo dei dia-
UtH della ciilà e diòcen di Cotìfio^ dell' abate Pietro Monti , che
debbiamo riguardare come uno de' più importami lèssad fra i lom?
bardi, pd molti dialetti alpini che aUnracda.
104 • PAETB PftOU.
Dae toli componimenii d venne fatto rinvenire, pobliatt.i
stampa, nel dialetto comaaco^ e questi pure di nessun conto, con
appare nei seguenti Saggi. <
Tutta la letteratura tkÌMW e ^erbanen consta dei menlofai
lavori dell'Àeademia della Valle di Blenio, e dell'Abbai dei te
chini del Lago Maggiore.
Nel lodigiano furono bensk composte nei tempi addietro alqnaali
poesie; ma queste pure d'occasione e di lieve pregio; sicché, noi
trovando chi le raccogliesse , smarrirono coi nomi dei loro auloid
n solo componimento degno di ricordanza è una commedia de
conte Francesco De Lemene , intitolata : La Sposa Frananmi
publicata in Lodi nel 1709, encomiata dal Barretti nella FrutÈk
letteraria j e ristampata nel 4818. Lo stesso De Lemene tradoui
in dialetto lodigiano il secondo canto della Geruaaiemme lÀbm
ratttj ossia l'episodio di Olindo e Sofronia, versione assai pr^^
vele, e tuttavia rimasta inèdita sinora nei patrii archiyj ; e perdè^
essendoci pervenuto alle mani l'origmale autògrafo, ne abbianiB
arricchita la seguente raccolta di Saggi. Ivi si scorge quanta i»
fluenza abbia avuto negli ùltimi tempi il dialetto di Milano, aa
quello di Lodi, in origine diverso da quello che ora vi si parla.
Sul principio del nostro sècolo, ed ancora ai nostri giorni, pn-
reechie poesie volanti circolarono pure manoscritte , fra le quali
ottennero plauso in patria le argute e brillanti del chirurgo Gin-
vanni Batista Fugazza e di Carlo Codazzi; altre ne compose non
meno pregévoli il vivente Riboni; ma si le une, che le aUve
caddero in parte in obDo, per mancanza di ricoglit<MÌ. kppaià§
affine di provvedere a questo vuoto, ne abbiamo scelto un pln*
dol nùmero "-frti le migliori procurateci dalla gentilezza del pro-
fessore Cesare Vignati e dalla compiacenza dello stesso Ribonif e
ne abbiamo fregiata la nostra raccolta , ove compàjono per li
prima volta in luce.
Lettontu* del dialetti orìentalL
Come tra gli occidentali il Milanese, cosi fra gli orientali il
solo dialetto Bergamasco ebbe copiosa serie di cultori, mentro
il Crtmaaùo, il Brestiano ed il Cremonese rimasero sempre
DlAUEm LOmARDI. 105
glellL Dfti nundterosi moiminenti sopèrstfti apparo , comeHl Ber-
pamseo fosse scritto fra i primi, giacché i più antidii' scrittori
dcomadie italiane, come accemiammo, lo introdussero assai
di buon' ora sulla scena , a rèndere piacévoli i loro drammi.
Qaesii primi Saggi però, eomecèhè in nùmero ragguardévole (I),
mèritaflio appena d' èssere mentovati , mentre i loro autori ,
qnasi sempre stranieri, mal conoscendo questo dialetto, impa*
stillilo un gergo misto di voci e forme proprie d' altri dialetti,
(te non fa mai partato in venm àngolo della terra. 1 veri scrii*
tori bergamaschi, a quanto appare, incominciarono a far uso
M fero dialetto solo verso la metà del sècolo XVI , e preferirono
sempre il dialetto rùstico delle vallato settentrionali a quello
Mia cMà. In quel tompo comparvero molte poesie volanti, le
q«di, mm trovando ricoglitori, andarono p^ la maggìw parte
smarrite , senza che perciò la gloria di qudla lettoratura avesse
a soffirime. Per modo che i soli componimenti di lunga lena
rinistici, sono traduzioni di clàssici poemi latini ed italiani di
tempi posteriori.
0 mònaco Cassinese Colombano Bresdanini, verso il 1050,
tradusse in rùstico bergamasco le Metamòrfori tfCMdiOj sotto il
mentito nome di Baricòcol dolor de Fal^Brembana j questa
tersione non vide mai la luce, e solo un breve Saggio ne inseri
Fautore nel suo Ragionamento sopra la poesia giocosa , ove si
celò col nome di Acadèmico Aideano. Il dottor Carlo Assònica ,
autore di varie liriche poesie, voltò pure in rùstico bergamasco
il Goffredo del Tasso, che vide per la prima volta la luce nel i 870.
Verso lo ste^o tempo , anònimo autore , sotto il nome simulato
di Persia Melò, travesti alla rùstica il Poetar fido del Chiarini,
intitolandolo: 01 Fochi Fedéle o^^èr qI Paetor a la bergoma$cas
encomiato da Lione Allacci nella sua Drammaturgia. Altro anò-
nimo autore, sopranominato El Gob de ^ene^ssà^ tradusse T Or»
ìando Furioso dell'Ariosto, nello stesso dialetto, sebbene ccNrrotto
àlquantodiprovincìalismi vèneti e lombardi. Tuttiquesti monumenti
dell' antica lettoratura bergamasca sono ben lungi dall' emulare
in forza d'espressione, vivacità d'imàginì, spontaneità e grazia^
tutto versioni di simil fatta , eseguito in altri dialetti italiani.
(0 lèggasi nel Capo VI la Bibliografia di questo dialetto.
106 PARTB nilMA.
Oltre ai summeiilovati, si distìnsero ancora nello scorso sàaoift,
con produzioni originali, altri scrittori benemèriti, fra i qM|l
basterà ricordare Giovanni Batista Angelini , e V abate Ginaqq^
Rota. Il primo, oltre a varie poesie, riunì anatra alcune nofidi
intomo alla letteratura vernàcola della sua patria, e compilò iril
vocabolario bergamasco-itallano-latino, che non vide mai la Iute,
sebbene un buon vocabolario di quest'importante dialetto sift<|
desiderarsi sopra ogni altra cosa, se non come intèrprete de'sMl
letterarii monumenti, almeno come fondamento ad un pia aòlUb
studio sulla sua orìgine e sui rapporti che serba cogli lAéal
antichi e modemL II secondo publicò nel I77S un lungo Caffi*
toto contro gli Spiriti forti, in terza rima, preceduto da un a^
netto colla coda, in luogo d' Introduzione^ e vi si scorge per li
prima volta un piano ragionato d'ortografia, inteso ad ageiUnv
la lettura di quel rùvido dialetto.
In tale stato era la poesia bergamasca allafinedd sèeoto pasr
sato , e nei primi anni del presento, afibtto priva di qualsiasi ji-
marchèvole produzione originale ; e solo negli ùltimi tempi fu li^
staurata per cura di Pietro Buggeri da Stabello, autore di alquante
graziose e lèpide poesie, testé raccolte e publicate. Sebbene qne*
sto valente poeta miri piuttosto a trastullare i suoi concittad&d
con ridìcole novelle e lèpide imitarioni , anziché a descriverne ed
emendarne i costumi , con originali e sodi concetti , ciò nntta-
dimeno i suoi componimenti ottennero plauso generale pei malli
sidi e poètici fiori che vi scmo profusi, ed occupano a boos
diritto il primo posto nella patria letteratura.
Da tutto dò è manifesto, che la poesia bergamasca manea^
non solo di canti tradizionali, ma altresì di originali inspiraiióiil
e di nazionali impronte ; méntre consiste generalmente in veip»
sioni dri dàssici , e in lèpide imitazioni di racconti e Gompmt.
menti propri di letterature straniere. u.
Il dialetto Gremasco non ebbe in verun tempo cultori che nil-'
ràssero ad ingentilirlo coi nùmeri poètici, se si eccettuino pochi
versi d'occasione in gran parte caduti in oblìo, perchè privici
mèrito e di ricoglitori. 1 più anticbi monumenti da noi coìDOff
sduti sono: una poesìa fatta per monacazione nd princ^iiai
dello scorso sècolo , che abbiamo riprodotto più avanti , ed una
DIAUmn UHIBAIIDI. 107
Imiga e slacciièirole ègloga sulla Immacolata Concezione j inse-
rita nei Fasti istorici di Crma di Gio. Balista Gegrosai. Qua!-
che altra prodnzione di minor conto serbasi manoscritta in pri«
vite lacoolte. Negli ùltimi tempi il nùmero delle poesie d'occa-
sione fu accresciuto , p^ òpera di alconi Tiventi scrittori cre-
nischi; e questi tenui Saggi con altri del sècolo passato furono
nhrali dall' oblio, per cura del conte Faustino Sansererino^ che
testé ti raccolse e publicò in un plcdol volume intitolato: Sag^
gio di poesie in dialetio Cremasco. Ivi, oltre alla versione di due
AsicreAiitidie del Vittorelli fetta dal prof. Rocco Racdietti ^ ed
1 Tane poesie nel dialetto urbano deirabate F. Màsperi Battajnii
cbfingoonsi due sonetti in lingua rùstica di D. Giacomo Iniòl^
di qoaldie pregio.
Il dtaletto Bresciano non fa men negletto del Cremasco : la
Mia prodmione antica rimastaci è un Diàlogo in v^si tra una
Sem e la sua padrona, intitolato : La Massera da bè, ossia Im
Serva dabbene j d' anònimo autore, nel quale una serva insegna
i nrii modi d'apprestare e condire le vivande. È poi seguito da
ima canone villereccia, intitolata: Maitìnaiaj die più oltre ri-
produciamo in Saggio dell'antico dialetto rùstico bresciano. Questo
librìccino, oggi rarissimo, comecché ristampato tre volte, vale a
dire nel 1554 e nel IdSO in Brescia, ed in Venezia nei 1565,
fii trovato nel palazzo Martinen^ della Palada in Gobiato, da Mes-
ser Galeazzo dagli Orzi al tempo del saccheggiamènto di Bresda.
h onta all'assoluto difetto di letterarie produzioni, il canònica
bresciano Gagliardi volle illustrare il patrio dialetto con mia lunga
Dissertazione sulle origini del medesimo , inserita nelle sue òpere,
ove, seguendo l'uso ed i pregiudizi del suo tempo, intese a dimo-
strarne la derivazione dal Greco , porgendo la vmdmile etimo-
Io^ di podio vod. Più tardi provvide alla compilazicme d' un
focabcdario bresdano-italiano , che vide la luce nell'anno 1759.
Air imperfezione di questo primo tentativo apprestò qualche ri-
medio Giovanni Batista Melchiorri, compilandone uno più esteso,
che vide la luce nell'anno 1817 in Brescia, sotto gli auq^cjidi'
fud benemèrito Ateneo.
la qud tempo due forti ingegni, il Maseheroni e r Arici, ch'eb-
bero tanta iMurte nella ristaurazione. delle lèttere itàliche, non^
t#8 PAKiE nuiu.
isdegnàitmo rivòlgere le loro cure al patrio dialetto^ nd qmll
dettarono alcuie poesie volanti rimaste sinora inèdite. Alla gofe
tilezia deUo stesso Arici siamo debitori delle poche sestine Im
serite nella seguente raccolta ^ nelle quali con mirabile apoMit
neità racchiose la versione letterale della Paràbola del figtmi
pròdigo. Nessuno però di quei poètici capricci venne, per qwmb
d consta, in luce, e solo nel I8se l'avvocato Pietro Loltieri--d
Chiari publicò una raccolta di quarantaquattro sonetti, traeadf
gli argomenti dal Quaresimale del P. Sègneri.
Ancor più inculto del precedente rimase sinora il dialetto Gra>
monese, nel quale nessuna produzione vide mai la luce, tesi
eccettui qualche insipida Bosimda^ o poeda d' occasimie. Soli
dopo molte inùtili ricerche , e mercè la gentilena dd aignoÉ
arciprete Paolo Lombardini e dottor Ralnriotti di Cremona ^ ci
riuscì riunire una piccola collezione manoscritta di poesie
iiàcole cremonesi, che abbiamo alle mani e della quale
remo qualdie Sag^o. Tra queste ricorderemo un dranmui.li
einque atti, intitolato TVrniifiamo e Martina j ed alcuni diàl«|^
in versi, nei quali col dialetto urinano trovasi alternate andM
il rùstico. Tutti questi componimenti peraltro sono afiEatto privi
di mèrito, e per lo più ancora di buon senso.
In si misero stato di cose, ci gode Tànimo d'annunciare, ek
il professore Peri di Cremona sta ora compilando un vocabola-
rio di quel dialetto, che verrà quanto prima alla luce, e dei
quale il chiaro autore di comunicò gentilmente la parte estmt
tiva contenente vod di più oscura derivazione. Sarebbe però i
desiderarsi, che il benemèrito autore avesse ad estèndere il sin
lavoro eziandio nella campagna, la quale porgerebbe sema dubio
più interessanti materìalL
Conchnidendo questi brevi cenni, avvertiremo, come tutHi li
letteratura dd dialetti lombardi ristringasi a più o meno eopinac
coUeziiml di poede per lo più imitative di scrittori educati ali
scuola dd dàssid, ed a pochi vocabofaurii di alcuni prind|ial
dialetti urbani. Nessun tentativo venne sinora intrapreso. Mie
svòlgerne la grammaticale struttura , o scoprirne i mutui nij^
porti con adequali coofrmti fra loro, o cogU altri dialetti itiUd
e stranieri, o colle Hngue estinte, se d eccettuino i podti
MALETn LOWiARDI. 400*
ineriti neU' appendice alla gramàtica comparativa delle lingue
latine del celebre Raynouard, ed intesi a provare i particolari
rapporti dei dialetti dell'Italia superiore colia lingua dei Trova-
tori ; e pure importanti rivelazioni sulle origini di quelli che li
piriano tròvansi racchiuse nell' anàlisi dei loro elementi e del
loro organismo, come abbiamo altrove dimostrato (I), e non meno
rilevanti rapporti di fratellanza fra le popolazioni itàliche setten-
trionali e le occitàniche rivelerebbe il loro confronto coi dialetti
della Francia meridionale , ciò che ci proponiamo far manifesto
in una pròssima publlcazione ; per la qual cosa facciamo voti ,
onde , mentre Y Europa tutta è occupata ad ampliare per ogni
dove gli studj linguisUd , eziandio i nostri connazionali provve-
dano finalmente ai molti vuoti , ed apprestino i materiali nece^
mj alla compiuta illustrazione dei patrj dialetti
(l) Vèggasl la nostra Memoria intitolata: DeUa Ungyiilica applicata
•tts rietrea ddU Oriffini Itàliche» inserita nella Rivinta Europea (Novem-
hn àB49), e riprodotU neir òpera: Studii Unguistìci di B. BiwdelU» che
li sta imbucando.
CAPO V.
Saggi di letteralura vernàcola lombarda.
Dialetti Occidefitali.
mianesc*
1530. Il più antico monumento supèrstite della letteratura
milanese trovasi, come accennammo, nelle Opere giocose di
Gum-Giorgu) jàlionij libro divenuto assai raro. Ivi l'autore in-
trodusse in una Farsa il milanese che parla il proprio dialetto 9
ma l'affettazione di certe frasi, alcune espressioni e forme ba-
starde, d fanno dubitare della perizia dell'autore, ch'era asti-
giano, nell' imitare fedelmente la lingua allora parlata presso
di noi. Checché ne sia, giudichi il lettore dal seguente brano. E
fl Milanese che parla , e vanta Y abbondanza del suo paese.
SoQ mi vegDu per trimnfii
Chi in Ast ; ma la noQ è cossi.
0 mi cerckl mò mendesì
De qua e de là per i ostari ,
Da la baocbìt e leccari ;
Ha el non si trova da magoà.
Vàdeno lor farsi impregna
Qulst Astesàn , Montei chi su ,
Ch' i vòleno stimar da più
El vìver so , eh' el milanés.
In fed el vai lù megF i spis ,
Che fan lor i ortolàn inlò ,
Che quel di gran magnàn chilo,
lo Mirèn èi cagna bosón ,
Kosìt , pressut e salsissón ,
Bagiàn , busecca, la^ imbròc ,
O ili coglia n, berlende, gnòc,
Salvadesin, eavrit, doni ,
Qual girardlne , gargani ,
Bon pescari , bon vin, bon pan.
Vù trovari drent da Mirèn
Per i list mo di parrocchiàn
Darsèt mlara de putàn ,
E più, che i bèiven vin dasiàd ;
Qucst san Franciòs ch'i Tàn provàd.
Vada a Mirèn chi voi guadàgn ,
E bon marca ; vù avrì lasàgn
Piena scùdela al bon comìn ,
Cuu del formai più d' un serìn ;
El dàn mo lor per cinq'lmbìc, ce. ce.
ii
142 PARTE PRIMA.
11^0. Sonetto di Gio. Paolo Lomazzo^ sopra un pittore dap-
poco.
El pù stenta penció de tùt Milàu
A l' è on garzón del Camp e del Figin /
Compà giura de Togn , de Bergamìn ,
E amis tut dù d'Andrea, che no gh' à pan.
Costór, lassèi andà de man in man
A bajà chi e li di so scovin ;
Che fan picdùr doma d' oHramarin ,
eh' in bon de forbi i ciap a Cavriàn.
Costór van corona come s' fa i bò ,
D' aj , de por , de melgài e de gtànd ,
E manda in trìónf sora di so
Asnìn, e in man «pegài pisoin e grand ;
E incontr' a lor ghe va la Stentadùra ,
Che doma di par so la fa gran cura.
1600. Il seguente documento è un brano del Trattato della
Pronunzia milanese di Ambrogio Biffi, che tanto più volentieri
riportiamo, quanto più lo riputiamo idoneo a pòrgere precisa
idea del dialetto a quel tempo, essendo scritto in prosa.
Quii Qd d' ingègn ch'àn comenzà a mostra el fondamént del nost parta
da Milàn, a i ve mètten in tei co Poltra sira el caprizi da ùm vlsaifà
d^intoma a la parnonzia milanesa , insci in pè in pè , dond' è diss quel
pòc che sentissev, no pensànd d'ave pd anc da dura fadiga a scrivel. Va
parche mi son vìin de quìi Ambrosfan, che no san di de nò, e tant pu'a
on amig oom' em' si tu, e vM Jò scrivu come m' ì di, senza stag a pensa
trop, par ess mi parént del musciafadiga ; e anc che i nost se sijen metlu
in US el scriv toscàn , par fa dal caga-pistèl , che dan tori al so par pari
savi, i jò parselo vojù in nosta lengua, par fav Intènd ben spiatarA el setti
di lètter com^ al va. £ se ni avéss blii pressa, eh' al parfva ch^ al ve sfio-
pass 1 faso, e l'avrév mettu 16 eom' al va, e s'avrév anc di qualcossoréna
dela seva aelensa , parche al gh'è òna sort de gavalón, che, cornea I pòn
di ma de qualcun, al ghé divis, che Impìssen trop ben el gotói ; ec. ee.
1600. Per saggio poètico di questo tempo abbiamo scelto un
Sonetto di Fabio Varese, contro gli ambiziosi.
Compà , soni ormai sag de cert minclón
Che van in volta sgonfi per MIlàn ,
E se parlò con lor, per biò, no gh'àn
Tanta lettra in sul cii come ón barbóu.
DIALSm LOMBARDI. 115
Ohi le dire, gh^àn ben di dùcalón.
Ò in cu tùtt i 8Ò sold, se no m^ en dan;
Coss'ò a che fan mi de stl mariapàn ,
Unbosorà doma de ambinòn?
I vertùóe tut quanl, car Bernardin,
Mi i stimi, perché in òmeD destrapèz,
£ san ooss^è U voigàr, eost* è M latin ;
E quand parli eon ti con taàt solài ,
E parU de sta aort de gavaión ,
Disi, chMn ón firecèis de W»Kle-eic;
Perché no in capai
Nane de aettàm i aeafp aisafin de lor ,
Sebèn fusaen pik sgolili dM ém tambór.
1700. Il sècolo XVn fu illustrato da Carlo Maria Maggi, autore
li ?arie comedie e di molte poesie vernàcole morali. Tra queste
ibbiamo scelto la seguente canzone, la quale, se non è il mi-
{liore de' suoi componimenti lìrici , basta però a dare un' idea
Idia spontaneità del verso e dei retti principii dell' autore.
Canzone mgaale RimiTA da un ortolano.
L'òlter dì, ch^era sta per tùt Hilàn,
Vendènd uga , zQcchèt e peverón ,
Tornava a cà sui bass insci pianpiàn ,
Dondànd cont ón^ andana de lizón;
Qaand ò visi, che óna tropa de vilàn
De Bosin orb sentiva óna canzón ;
E anca mi cùriós mette giò i scorb ,
Per senti la canzón de Bosin orb.
Fidi , Bosin diseva, el mond V è insci ,
De tempèst e gabèi n'en manca mai;
Di cruzi ei ne crèss vùn in ogni di ,
E ^1 remedi mijór l' è a no ciapai ;
Me rid de certa gent com^ vCii di mi ^
Che van col lanternin cercànd travàj.
Me pias la devozlón de pret Fagòt ,
De no dapàss fastidi de nagòt.
Oh, me fa pOr stizzi cert scroiacó ,
Che sèmper ai sciguèt voren dà meta;
Che sèmper, o s' el piòv , o s^ el dà 1 so.
San doma rincuràss e fa ei profeta!
Mi me par de sta mèi quant mane en so;
Vegna nev, aqua, vent, mi fo gogheta,
E pens, per pasentà tue sti rumor.
Che sora de sU nivol gh' è '1 Signor.
llil PARTE mnu.
Me diri fors che, quand v6j rè 'I soré,
El ne patiss in cà fina el cagno ;
E mi respondaró , che 9ti cùnté
Lasse al reió, che sU dnc sold In so;
Vù tire driz el sole, no guardè indré,
E se vori guardi, guardè i vost bo.
in cosa del cap de cà; basta al fame];
Che quand el r ubedìss , noi pò fa mcj.
Tosón , sema intrigàss In sti boltrìg ,
Vivarèm tuo finché la mort ne branca;
El despensér magiòr Tè nosi amig;
Chi in lu confida à la panerà franca;
Chi pass I fior 9 e chi vestiss i fig,
A la so cara gènt vorì eh' el manca?
Mi per mi la tóJ tò come la vèn ;
Chi le manda el ghe véd, e M me vor ben.
Me pias ceri cor ladin de td e de mèti.
De zolla su òna spalla eom' se vor;
S'el mond riiina, no gh^en dan on ètt,
E soppèden i spin come vior.
Ma casciàss in tuit coss e dà precètt ,
Me pàren ambiziòn de crepacor.
Disen , che al lólT el ghe cade de briitt ,
Per vorè mett la cova de pertutt.
Stè ben con quel de sora, e fé H fatt vost;
Del rest lasse che pensa el cap de cà ;
Lasse che lù el ve metta a less e a rost,
E, vaga Roma e toma, lassèl fa.
Fé quel che disi, e vedarì , se tost
Sto vost cor insci strénò se slargare.
L^è M sparpòset pu gross ch'abia vcdù,
Catàrovéd, e pianfi che n^àn spongiù.
Vedèm, che parie volt Tom se despera.
Perché al so coss on remedi noi ved;
Ma '1 reió di reió ^1 gh'à la manera
De cava ben del ma, quand mane se cred.
Taccàss a lù ben ben, quest'é la vera;
E pò no dùbité, ch'el ghe provéd.
Ben spess ne par el méj quel eh' è peió;
Ma lu pdl ved e'I v5r quel ch'é'l mio.
El compà Togn, che i verz Teva pienta,
Fava oraziòn, perché '1 piovèss on bott.
Vori olter? à piovù; e M fen sega.
In scambi de secca, clapè del coti;
IMAUEm LOMBARDI. Iltf
L'uga fioriva, e per i gran rosela ,
Andànd in cavrid» Tandè In nagòlt;
E Togn, guardami al del, tome a prega,
Per de li inans, che noi glie doM a tra.
No sèm quel che se vobiem; e insogna
Yorè giust quel che vor quel cli^è de aora.
Per i C0S8 de sto mond la tant la togna,
El me par on séessi per la malora;
De spèss a cerea tant, se cerca rogna,
E vedèm» per sta me], ebe se pegfora.
Fa per el ciél, sem pur i gran marzòe,
A cerca in tera el parad» di òcl
Chi fini la canzón. Diss chi sentiva:
Corpa d'ón blss, che r à resón Bosin!
Sgarìven iuò: E 9Ì9a l'orb, e vivot!
Ma con tòtt quest gnanc vun gbe de ón quatrìn.
■i, ^^era strae, e a sta li in pè pativa,
Pur, sbadagiànd, gbe stè perfina al fin;
E anca mi gbe fé onòr coni i compàgn ,
Desbattènd la stadera In di cavàgn, .
1 750. Sebbene a qnest' època , dopo la spinta datavi dal Maggi ,
fiorisse principalmente la poesia milanese, ciò nidlameno èrano
tuttavia in vigore il dialetto rùstico milanese e quello della Valle
Intrasca, perocché l'Abbazia {Badia) dei facchini del Lago Mag-
giore continuò sin verso la fine del sècolo scorso. Quindi por-
giamo in Saggio di tutti e tre questi dialetti quattro componimen-
ti; due di vario stile pel milanese propriamente detto, ossia di
città; uno in ^fialette rùstico del Larghi, ed il quarto d'anònimo
autore in dialetto Yerbanese, e propriamente della Valle Intra-
sca, scritto nell'anno 1738, che produrremo a suo luogo fra i
Saggi di quesf ùltimo.
Sonetto del curato Stefano Simonetta, intitolato: Divorzi zeri-
mmiós tra la rnUla e Vabà Meriggia crocìfer del cardinal
Stampa, arcivéiCOQ de Milàn,
Tùtt magona Toltr^ér diss'el Moriggia;
Tu tt' affane, la ghe rispós la mula:
Cara mula, te lass : — Oh ! car Moriggia ,
Gh' avi tant cor de bandonà sta mula ? —
iiO
PAETB PMHA.
Mai pù rivi t^ mootà, dias el Moriggia,
Bestiola pQ biiara de sta mula. —
On òm ieaei legér, come el Moriggla
Mai pù ne ven sui spali; rlspòs la mula.
On gran penóa aoapir ire su Moriggla ;
Una soorenia lasse andà la mala.
Sicché faven pietà mfila e Morlggia.
Lu slonghè M coli, vorènd basa la mala;
Le volta el cu , e a scalz vers el Morlggia ,
Le mandè In santa pas, de vera mula.
La seguente Bosinada di GarF Antonio Tanii fu da noi prefer
agli altri componimenti dello stesso autore, non che alleprod
zioni dei molti scrittori dello stesso tempo, sopratutto pei mo
diotismi e modi proverbiali che racchiude , i quali ^ sebben i
sècolo dopo, sono tutt'ora usati allo stesso modo e con egoa
significato dal pòpolo milanese.
Sora i proverbi e t fras milanés cava del mangia.
Nova bOBinà
Su Targomént del carnevà ,
Dove se ved che 1 Buseccón ,
Perché ghe pias I bon boeòn ,
No dérven boca per parla.
Se no ghe mèsòen el mangia.
Bosinà stampA in MIlàn,
Del stampadór Carla Bolzàn.
In stl sir de Danadà,
Stand seta glò al fogorà ,
In cà del padrón de cà ,
Dove soni sòiei a andà ,
Stava li come on sognàn ,
Come on lóc , cont el co in man ,
Componènd insci a memoria
Quàter vers^ sora l'istoria
Del bizaro marendin,
Ch'ém godù sul baltreschin
Del Vaimàns fin si'àn passa
Mi , e di òlter Trasforma ;
Quàter vers de recita
Per incò sora el mangia;
Quand me senti li dedré
Messe Steven legname
A descòrela e a di sii ,
Cont on bàier come lìi,
Per splegàss ceri m5d de dì ,
Che tdtt <iiiant van a forni
In de quela sort de eoas
Che ne va giò per el gost.
Ve segùr , che gh' ò avù spass ;
Je drovava per splegàss ;
Ma el pariva, a dagh a tra,
eh* el parlèss sora ék mangia.
Ghe fé pont, e aUora allora
Me ghe miss a pensàg sora>
E trovè, ch^el nost lenguàd
De sti mod él n^à a bresàft.
Alto là : n^ ò aviì asse insci ,
MarendÌB> sèiavo, bondi.
Me resòls de tira dént
In d'on simel argomént,
E portàv an mi òna man
De paròl del nost Hilàn
Su sto nost giiat milanés ;
£ in quest chi féven bon spes.
Bosinà de Intitola :
^^lepin sora el mangia.
Il
DIAUm LOMBAEDI.
117
A vùn grass , a on bel taciòc
Se ghe dìs, che l'è on bojòc;
Sf l'è OB màgher, Pc on nterrSz,
V è saràc , sardela , luz ;
Quel eh' è grand , T è on bfeelolàn ;
Ve anedòt quel che l' è nan ;
Se Pè on bicol , rè on merldtt,
Cnoc, salàn, bon de nagòtt;
Se 1* è vnn eh' el sia poltrón ,
L'è on pan poss, rè on polenfÀn,
Itereiàn , menatorón ,
Dèg la papa al bernardón ;
Tant che tut el nost parla
El consist in del mangia.
Chi 8U in mutria , Tè on brugnón;
Clii caragna , on macarón ;
(hicl eh* è brfilt, on mascarpón;
Qoel eh' è flac , on lasagnón ;
E, giach'el fomiss in an^
Se rè on museg, Pè on capón;
Se s'incontra on fft de I6c,
l*è on mostàò de flragnòc;
0 eh' el mord, o eh' el sgrafigna,
ré de eoe e rè de bigna,
E r è de barbis de gàmber ,
Ve on vajrón de qnij del Làmber.
Parie pur, se sì parli:
Gh' entra sèmper el mangia.
il eh' el sia on quej fQrbón ?
Ei gh'à el tìtol de gajnón,
Che al diànzen el vor fi
Lapolt, e, se sorla dà,
El v5r faghela mangia.
No lassèvela fraci ,
Che , giura r oca pttoca ,
L'è on scrocón s'el fa ben d* oca;
La gajna el sa perà ,
Senza gnanc fila cria ;
De chi el ruspa > de là el guarna,
E Pè on bon bocón de cama.
A sto mod se tira là
A depéngel col mangia.
Se parlèm d' on desgrazià ,
1 proverbi in paregià.
Quand la légora l'è in pè,
TOt i can ghe dan adrè;
rini vun gh'è on òlter gna].
Dai, dai, cheràr<Mraj.
Yòren An tanta tonlna ,
Vèden P uitema ruina ,
C mangiai in insalata ;
E s' el pòver òm noi sbrata ,
Se prest noi mena f pofpètt,
EI va In toc , el Iran a fètt.
Gran Milèn per sasslnà
Doma a furia de mangia!
Dà via stròc, Pè menesirà;
Mangia Pa^, rè mooolà,
V andà in grenta , r Inrabiss;
Tàbusèea, Pèel ferisse
On mostaiin^ Pè on agffalén,
E P è on pèneg, on copòn;
Strapà el zuf, Pè eavfada ,
L' è copeta, èna spalmada;
Se ghe dis sardèl, pignd
A cert bot per i fld ;
E se i tirem sul genoò^
Carsenzdr con dént el boé.
Tant che fina el nòster dà
El forniss tut In mangia.
Se gh'è viìn ch'el vaga cénS,
Se ghe dis snbet , Pè on foni ;
Se gh' è vùn eh' el sia lecàrd ,
Ghe se dis : P è on scfimafàrd.
il vun ch'abia on bel eerin?
Ghe se dis : P è on laé e vin ;
il vun giald come f fértà?
Che color de ccrvclà !
Él on pò lofl e smortòtt >
Oh , che clefa de pancòtt !
ti vun brut, ma ch'e! sia bon?
Ghe se dis : per boz e bon.
Tal che no se sèm spiega ,
Se no dròvem el mangia.
Él rich? L'è pién come Pòv;
Chi à el so Intènt , el fa el so ov ;
Chi va pian, el va sCil ov;
Quei che sbaia , el copa i ov ;
Dà el velén , P è dà la papa ;
L'è caroterà óna lapa;
Chi fa errór , fa on macarón .
EI fa en per, el fi on marón;
il»
PARTE nUHA.
El tò SU óaa tenca , r è
On negozi de tasè.
Gh' è el proverbi : o beo , o ben.
La mascherpa paga el fen.
E per tut bogna tira
Voltra roba de mangia.
Chi à colsèt tut sponcignà ,
V k i colzèt tut caponà;
Quel che gh* k U vesti guarnì,
L' à el form^ in sul vesti ;
Al vesti guarnì de piaga,
Ghe cor sora òna lumaga ;
E i lumàg in anca i de;
Chi à i pago lis , e che va a bd£ ,
El gh** k i pagn de gradisela ;
Quel che porta el foni sott sola ,
E r à el sèler su la spala ,
L^ è on biro che no le fala ,
Che à ^1 capei , e insema el gb^ à
El cordón bon de mangia.
A chi n' abla rott el co
Con di ciàcer, disem: N'ò
Avù òna sùpa , e avù on stiià ;
A on flizón che dà stocà.
Se ghe dis ciar e destés,
S' el se cred , che ghe sia i sces
Caregà de cervelà.
Disem a chi è fortuna,
eh' el formij ghe fa firagn ,
E '1 ghe fioca in sui lasàgn ;
Disem che Vk sgùrà U pèlter.
Chi à fa nètt e tra via i sghèiter.
Disem tùtt.... ma l' è on gran fa ,
Che tutt disem col mangia!
Bombonin e marzapàn
In i zerbin de Milàn;
On dotór de qu^ de fora
L' è on dotór meia robiòra ^
L^ è leva , chi è sorafin ,
A freguj de besootin ;
L' è on gambus quel eh' ò on badòi
Chi no è fùrb V k tetà poc ;
Chi d' on log 1* è descascià ,
Per quel log lu T a scena ;
Chi è sìipèrb come on serpe ni,
L' a di nos, V k del formént
Sèc de vend; eh' in eoss doma
Che resguàrden el mangia.
Qoani proverbi e mód de di
Su sto gùst , che a di! , bondì ,
Finirév gnanc domatina.
Mangia el cu de la gaìna ,
Gh' è su el péver ; che pacià !
No r ocòr sta chi inguilà.
El gh' à el cu che fa pom pom ;
L' è on bocòn de pòver om ;
Quel r è vun che l' k mostra
Zlf e zaf e cervelà.
Tut i coss vègnen a taj ,
Fina i onj de perà 1* aj.
Ghe n' è insci de minzonà
De sta roba de mangia!
Ma per mi vuj is^ su.
Che l' è tard : chi en vor de pù>
Mi sto in porta Verzelina ,
E gh' en poss dà òna listina ;
Ma per din de quìj de pés
Basta parla milan^ ;
Vegnaràn come i scìrés.
Che adrè a vuna gh' en vèn dèa.
Con sti quàter eh' ò infilza
Mi n' ó asse d' avév mostra
Ciaramént , che i Busecòn
In da vero lecardòn ,
Se perfina in del parla
Ghe infolciscen el mangia.
Mattinata 9 o canzone villereccia di Pietro Cesare Larghi in di
letto rùstico milanese.
. Degià che sont chignova in sii la strava,
E vò passànd ol temp senza dormirò.
Mi te vuj fa senti , se vot sentirò ,
01 me amor , on sgriiin de serenava.
UAUrm LOMBABOI. 4*tO
so ben, che te sarérli insci soleeia.
Ritira in cà a firà la toa stopena ^
E che te fare forsi la pissena
Insci da pos al \hà in te la strecia ;
0 che te ponciarét ol lo colaro ,
E te ghe tacaré on plzin galento ,
Per far ol to moroso tuto quento
Andar in brodo , e farlo desperaro.
Cara, trat f5 chignò, làsset vedere.
No sta a plentàm chilo come on fiistono
Consóleme on pò ol (idego, ol polmone.
No me lassar chilo come on galbero.
Pam vede, cara ti, qui] bei ogglti,
Che m'Inamóren tent, che noi so diro.
Che me fen stii tanè not senza dormiro,
E pò me léven anca V apetlti.
1 tò oggiti me pèren dò bei steli.
Che in pu lusuriènt de la lusnava,
E qoq tò ganassit ch^in de ioncava
In insci svernighènti e tanto belli
Pam vede , cara ti , qui^ tò bochini
Tanto strecit, che pèren faò col fuso.
Che fan ol pòver Togn deslenguà in gluso,
E van dlsènd a tuo: Fem di ÒMini.
Senti , che tuo i pois fan tic e toco,
Quand che vo sbarlogiènd la toa peltrera,
E me senti andà giò tuta Povera,
E pò resti li mut comò on lifroco.
Quand sarai mo quel di tant fortunati ,
Che te consolare ol me fòg ardente ,
Che tiro e mi se tirarèm arento ,
Con tuo i man del nòster seinr curati T
E petaremo li di bei fanclti ,
Se te me zetaré per tò consorto »
Che te giuri d'ess tò fina a U morto,
E la sbavazarèm e tiro e miti.
Sonènd ol calissòn, men viij partiro,
E vuj lassàt chilo la bona notto ;
So ben, che anc ti te fare insci de botto ì
E la sbavazarèm e tiro e miro.
1780. Come Saggi della lingua e della letteratura deir ultimò
periodo dello scorso sècolo, abbiamo scelto due componimenti,
mo di F. Girolamo Gorio, l'altro dell'abate Giuseppe Panni;
ISO PARTE nnA.
dair argomento e dallo spìrito dei quali chiaramente si vede^ e
i poeti di quel tempo apparecchiassero gH ànimi alla riforma,
turata più tardi e compiuta per òpera del Porta.
htoriella d'on Fra cercòL Sestine di P. Girolamo Cerio.
Ve vorév cùntà su óna bela istòria
Sucessa poc di fa tra Inclàss e Com ,
D^on fra oercòt, flotànt che Pò ia memòria.
Quest Tera on Franoesean, ma no s5 el nom.
Ne so ei convènt qua^ el ffisa; ma fa aagota.
La cQnti su la fed del dotór Crota.
De scià e de là ogni bolt, eoi bésachìn,
A pò scalz y tira so con la lentura
El vestì a meza gamba , e con Tasnia
Caregà de sportm (a la figara
EI pareva on remita do deràrt;
Màgher gioft come on gatt mangia-làsèrt ).
Deo gratiat, el bateva a td£ I uss ,
Cercànd llmosna per d so convènt ,
Coi majstadìt , meda] » reliqni e agnns ,
Coròn de legn che var poc o nienV
De ixA ì part ghe dàven roba a sbac ,
E lù intànt r impieniva i so bisic.
Sto fra bona limosna, sto fra scroc
El passava de spèss de Com a Inciàss ,
In sul Sguizer, e insci come on balòc
El tornava de scià bel bel , pass pass ,
Con 1* àsen càreg de tabàe sfrosa ,
Fingènd de porta via la carità.
Con sto pretèst, con sto salvacondòlt,
Glaché r èva Impara la bela seora ,
El passa tirane in men ai boriandoli ;
Ogni tre bott i dò el va déni e fora
Coi bisàc , e dna inànz e r oitni Indré ,
El portava do eorp In d^ on carie.
Prestine el sòlet , sto fra gattamorta .
Battènd el so sente voltra i confin ,
On dì el toma de scià con la soa scorta
De pan, de lard, salàm, lùganeghìn ,
D*ognl grazia de Dio; ma in fond del sac
Otto! gll*è dént des Hra de tabàc.
iHAunn LomAKiM. 191'
Giuradinal sta Tolis Pan toll Tia,
Come dirè»em non , per Irabisonda
Quij iNiUdór moDàt. Qua qo^ spia
El r à caU sul ov; ghe fan la ronda,
E mo ghe tègnen quàè de noè, de dì
La ghiringola , per podèi grani.
I batfdór s' Impòsten al traghèU,
Curànd on quej bel tra, per fàg i sfof;
Per dia, no tèm ehi ièm, s'el maro&dèii
Per ita wiia noi tir^m dént a mSj;
Sem fioj de p.....« $e a sto fra wffmea
No ghe JMilwem tutta la àisaea!
Ha el M9 ch^el ghiera òna fséascle al 6ant,
Che doma a porta indòe la soa m^stà
Le preservèss di fnlmen e Idò qoant
I perìcol del corp^ ée lad i ma ,
De làder , de monòj , de borUmdòtt ,
Come dis la patàfla che gh'è aett ,
Gh^àbfel miss san Franièsc rinaptraiión,
0 siel mo stA averti d*on qoèj A émm ,
Basta, el s'acòr^ ch'on maiadèti spUù
Gh'a fa el ftòc; obligato de l'avis!
Per no d^ dént in qnij de la traoela,
De bott e slanz el torna indré n tri tola.
Apena lì da pass gh^'eva òna cà
D^on fltàvol. D0O grattai ! picca Tuss
El bon fra ; la reiora} ehi fa là? —
Sont on fra eereaàòr, Je$u$, Jeeus!
Mi credi d^ees ripd propri in bon* era;
VoréQ de vuon piaeè, eara réltora,
A parlai nàti e eèett, emU std in dogana
Chi indrè d^Ineiàee a Heilà de frète
On mala con la fieera qu&rtama»
Per guarii col cordón de ean P)ranzése;
E ò wniin Umoena del benefaUàr
Cine scartòz de tabàe propri de eoiòr,
Ciàpem tùtcòie, Pè vera, e no fa dagn;
Ma nun sèm eòlet de tira eoafàra.
Perchè gèm pòver fra; ni mi in tanè agn
Che fa el meste, m*è mai piasU ita scora
De fa sfros de tabàc; Dio guarda! ed térmen
Poss andà a rise, che i bortandòt me fèrmen.
in rAftti
Per liberàm, reiora, de Uo weaj
Pùdarèssem ira num fa on qimèj baUrizx;
ya me dori ima forwM ée formàj.
Mi el tabàe; e per gimUa i istèst eeariòzt
ìmboUmii ée armea « vm» per wn
Per poMtùra ai tmè àeen, ck*è àegUm,
Gb^è propri aodà el fomàj sui nmeirÓB.
La reiora, easèad gràveda de parler,
Lu el ghe dia: hipodh eon éepotim
Al me sani proieiór, eérffem e màrkr»
Le la ghe cred tàteòsa, e M fra comi
L'à scrocà via tott quél cke Va volaa.
Aht Airfc doMitf/ E ìbmi , liróoUrèn,
Fr& fola el trota tU eoi so romùi, _
Cont el co baas , eon U eorona in man.
Ecco , che qnand el riva li al conlfai
(Ecco perchè ghe dieen borlandòtt ,
Perchè bórlen adèea ai irà cereòU).
Pàder, a pàdtr, gh'ài quejeòee de datif -
Jesùi, sameia Maria! no, la mia geni;
Mino gk*Q dPòiler, che quel poc profazi
De carità, - Mach» coeea gh' ài denC? -
Pan, 9in, buiér, formaci, iard e aaiàm;
Ma, e Hòiier geni gKwH nagòi de dàmt
- Tèi mo dd! en vàrem wSon: ghe n'd Ma pretaT
Lu el cava el scalolìn drt so caput,
E 'I ghe spor^ on tabàc de poca spesa,
On tabàc eh' el pariva on resegui.
No gh'àl óiier de dòn, che ita gingiaca?
Gh'en sarà de mio chi in eia bieaca»
- Queet Ve q^uel che ne dà H pàder prióra
Quesi propri ci fo fa mi in ianoiira orkija.
E Talza i oé al santo proletèr.
• Done ch*el tosa 9edè , dls sta canaja. -
E al nosi àbei vorìacQ fèg sto tori
De tog el priHlèf del passapòrti
'3*61 fuss anc san Franzèsc vegnii dei del,
Nùn no guàrdem in faccia a chisesia;
Nùn fan el nostr*offlzi, e turno chi èl?
Donc eh' el 9egna con nùn in compagnia.
- Mi in compagnia? Mi n*ò che fa nagòtt
Con shir, con baOdàr, con boriandoti.
MALSm UMIBAROI. 118
El fra '1 tegneva dar; ma Inpànemànc
El s' lassava mena come on Ecce hàm.
In mezx a qui] Giade che glie stò al flanc
Ma in che log me menèt El glie dia. - A Cam. -
O san Franzète, on reUgiós, on pàder
Del vosi àrem trota pet chenè on lèder!
- Là, 9ia, el mènem in dazi al rizetòr,
E intant cli*el fra el diseva la corona ,
Quij birbón besteniàven tra de lor :
Biatiopàter, fra stampa bolgirmia.
Fra 6.... f,„, e M tegnéven ben de pista;
Ha quel fra l'era minga on fra Batista!
Te ghe sé ddin la stria; mo te siè frèse
In di patij; no gk*è sant che te fila;
fiacomàndet mo pUr a san l^ranzèsc,
Adèss che te la védet tropa MUa;
Ma qmj Hlganeghit, qmj salamòtt
yegnaràn propri in boca ai borlandòit,
Riven al dazi, e i òlter manigòld,
Cutn fustibus, come diseva quel ,
Et eum lantemiSy ei stréngen cold colà;
Tue ghe còrren incontra per vedèl.
La faràven trop magra coi salari.
Se no ghe fuss on quèj strasordenarl.
Scior pàder, l'è vegnu anc per lù 'l so sàbet!
Chi el fa mostra de fass vegni on deliqui.
Ghe rùgben in di pures sott a Tàbet,
E in del borsin perfina di reliqui ;
E ghe descuàten fora de la mànega
Quindes o sèdes braza de lugànega.
Roghen per tiìtt i hòé, tóchen, e nàsen»
E rùspen su coi sgrlf come can brac ;
Fan alza su periin la cova a l' àsen.
Per vede se ghe fuss acondù el tabàc ;
Ghe ùsmen de dént In del diaforètic.
Che pùttosto el saveva d* assafètic.
An tanfnsgnà flntànt che i cine pachètt
Sòiten voltra; adèss si che la ghe cipa;
Ma el fri, per dà el color mej ai polpètt,
El se fa vegni el squit , ohi che deslipa 1
El tra on sospir , el se bùta in genòó
Col man in eros, e r alza al del I 06.
r
O som Frmnxèie, ch'atH dà 9$ia ai nmrts
Proteiór de la «otùna religim»
De fra néf^èer^ §€Hr, bis e de tmU sori.
Del eapiU, e de qmf cerni et eordéms
De minor oe$er9àni, del ea9Ìgió,
Fé anmò <m miràeol seti al di iT tnoò.
Per i M8 fmèrei nò, che eotU fra inéègn.
Ma in onòr di vget fio, 'n glmia de Dia,
Benedi qmf paekU, fèg eora el eègn
D*la santa eros, e fi, che déni ghe sia.
In scambi de tabàc, crusca e crOschH,
Per dog el benrón al mi asinsL
Che tojen fora el prioL; doma a U aasU
Capìssen beo ehe mercanzia gh^è deal;
Quesi rèi tabàc che cèrchen, e tant liastau
Sgavàien, fan bandòiia, in iott contini,
Destiucen, dèrven lora^. Oh! che miràool!
Gh'è dént crusca, e lor rèsten come bàcol.
An fa tanto amargiàas, e pò botrli :
Mùf , camuf, sbalordi come gogò.
Se guàrden tra de lor, no san che dì ;
Pur se ostinen , e sèguiten anmò
A descartà quìj òlter; ma tant'è...
Fé che ghe sia dént criseai ^ crusca V è.
Cospetto ! a dita mo chi in tra de nùn ,
L'^è on bel miràeol certi Ma, dtto, asquàs
En resèntem nù el dagn a viin per un;
Perchè, quel che me sa de gran despiàs,
El tabàc che se compra , a dìla sòèta ,
El par tùtt de sta crusca malarbèta.
San Franzésc, se v^ avèss de dà on consèi ,
Per podèla fa in barba a qu^ spfón,
E dazié e boriandoti , el saràv mèj
BenedìJ lor istèss col vosi bastòn ,
Regalàndeg on rèzipe sui spali
De moneda de lègn, propri Sul sciali.
1800. Sonetto di Giuseppe Panni intitolato: Elmagóndidam
de Milàn per i barondd de Franasa.
Madàm , gh'^àla quej nova de Lión?
Massàcren anc adèss i pret e i fra
Quìj so birboni de Frames, ch'àn tra
La iét y la fed , e tutcòss a montón ?
DIALBin LOmARDI. 195
Cossa n' è de cotu de quel PeCi6ii ,
Ch'el pretènd con sta bela libertà
De Hiètl iiwèina de nfln nobiltà,
E de nun dam, tut quant i nmealzón?
A propòalt, che la lassa vede
Quel capei là , che gh' à d' intorna on vèl ;
Èl sta inventa dopo eh' àn mazà el re ?
Èl el prìm eh' è riva ? 0 bel, o bel !
Oh! i gran Franzés ! Besogna dìl , no gh' è
Pòpol , che sapia fa mej i cosa de quel !
In saggio della letteratura sdlanese degli ùltimi tempi ^ ab-
biamo tratto a caso dalla preziosa raccolta delle poesie di Carlo
Porta tre brevi componimenti, di vario stUe e vario metro; li
abbiamo presi a caso, mentre ciascuno ha tali e tante bellezze
originali sue proprie da rènderne malagévole la scelta.
B TemporàL
Carolina , varda , varda ,
Come sguizza la saetta !
( he tronada malarbetta 1
Sent el tùrben che ingajarda (
Se quel ciàl de don Galdin
Noi desmètt con quij campàn,
£1 fomìs cont el tiràn
On quej fulmen siìl copin.
Carolina , Carolina ,
Minga in gesa , per amor !
Va a 15 i ciàv, presi, prest, cor, c6r;
Ciò giò , andèm tut du in cantina.
Ciò giò , andèm , no te dubita ,
Che quij bei zifer morèl ,
Pitùrà sot al bocbèl
Del me^n, sàlveo la vita.
Che séiaró,! Santa Ilaria !
Frane V k on fulmen eh' è séiopà.
Che? turche mi ò bestemà?
ni ? 8èt matta! Va on pò via.
Varda i flàm , vàrdef lassù ;
L^ è s^^Dpa in del campanin.
E mo quel bevèvel vin?
Bestenàvel anca lu ?
Giò giò, andèm , senza tant ciàcol ,
Che qug bei lifer morèl ,
Pitiirà sot al bochèl
Del mezin , laràn miràcol.
Sonetto.
Remirava con tùia devoziòn
Vùna de sti matìn in V ospedà
El ritràtt de Monteggia , e V Iscrizlòn
Che dis con poc paròi tanè verità.
Quand on tric e trictrac soti al porlòn
El me presenta on àsen mezz spela ,
Ch' el fava on volt reàl eoo! el firòn ,
Per rampa sera ht eort on aaalà* •
190 PAftTI PMWA.
A sto pont lùt ramòr per la virtù ,
eh' el me ispirava quel dolor de sass ,
L' è andà in food di calcàgn io de per lù.
E ò vist infili che i seiori no gh'àn tori,
Quand se disen tra lor per oonfòrtàss ,
Che 9ar pH OH éum viv, che on dolor wmrt,
A ceri foreste che vtven in Mildn , e che se dilèten de d
roba de ciàd.
Odi
Merda ai vosi arlèx ,
Blarcanagi pijil de foreste !
Ande fora di pé ;
Tome pù per on pèx ;
Fènela sta regina di finèz.
I avèssem nanci vist
Col fagotèl sott sella a entra in Milàn ,
Biót , descàlz, a pesciàn ,
Hiigher , umel e trist ,
SU gran bondànz^ sU malarbetti crisi!
In sta chi, s'in fa su
Leno e petàrd col nòster cervelà »
Che a bon^ ora el gh' à fa
Slongà el col come i gru,
E adèss, porconiy el ghe fa ingossa anc lù !
Nùn , pòver busecón ,
Se sèffi strengiù in di eost, per fàg el log
De 8C0ld&s8 al nost fog;
E lor cont el carbòn
Se sp&ssen via a téngen el mùsón.
Merda , ve torni a di,
Marcanagi pigàft de foreste !
Ande fora di pé ;
E inànz de torna chi ,
Specè de prima che vel diga mi.
E chi in SU foreste ,
Che se la scòlden tant oontra Milàn ?
In Chinés , in Perslàn ?
Sur no: in tùt ^enichi adré;
In d'Italia anca ter... ^di I iuilaé I
DIALETTI LOMBARDI. iS7
Oh ! Italia desgraiiada!
Cossa serv andà a tota coni i mort ,
In temp che tut el tort
De vèss insci strasciada ,
L^ è tùt de ti , nemisa toa ^iùrada?
Sur si : se te set senza
Le^ e lenguà^, se tùt in foreste
I tò ùsànz , l meste ;
Se , a dita in confidenza ,
Te tègnen i dandìn , V è provldenza.
E fin ch'el natiiràl
Noi te giusta on deluvi, o òn terremòt,
L^èss inscio l' è nagòt ;
Mej i Ture coi so pai ^
Che l'invidia e i descordi nazionìd!
Ma stèm a la resòn :
Èl sto porc d'ón paés che ve despiàs?
LassèI in santa pas !
Andèm» spazzetta, ailòn 1
Vèm forsi ligà chi per i minción ?
Alto donca, tabàc!
Ande fora di ball , sanguadedì (
Già che podèm guari
La piaga del destàc
Forsi mèi col butér, che eoi triàc.
Ticinese.
iB80. Dialetto della Pialle di Elenio, — Onde pòrgere più
chiara idea di questo dialetto, abbiamo estratto dai Rabisch di
Gio. Paolo Lomazzo un brano della sua Dissertazione in prosa
sull'orìgine e fondamento della Valle di Blenio, ed un Sonetto
di qualche pregio, nel quale il poeta (facchino) si duole colla
sua amata per non essere corrisposto.
Okìgen e pundamént dra Val d^ BaiGfi.
Vorènd Gliov ( parìànd secònd ra antiga gintiUtà ) ch^ tuo i cus^sotpùst
a la, insci, come o gPign comenzàd in lii con or mez dra sua idèglia,
avéssen con dèbet mud a proscéd inànz, or fé iiiia introdusiglión, eh' tiid
i curp da bass fiisscn resciùd da cogl de sora, dand perselo a quist or
mud del' incUnà , e a quigi or mud dor (a ; e per quost avènd ordenàd
19
IÌ8 wàMJE p&ni.
nuv sfer , come curp scelèstrr sùpergliór agi lerèsler e inlerìgliór , or
gh' è pars de dag oogl virtà cb' o gh* bisogoa^'a, ehe(ìMà, con^anch scià
diss' or vè^ Orfegl ), gP ign eost dò par ogDÌin: ra prime mùìà nel gauss,
e r^oltra in dor vivifica e rescie cr m cmrp, e a sto wand or vòss, che
Baccogn infrascàd su figlio fw ra priaa >irtà , kleat or gnoss , e r^ oitra
ra Musa , o ra Bellura , eh"* o s"* vùglia di, ec ec.
A tLA Orni BnrùaA.
Duh! s' tu savìss, Betlura , or ben cb* o r vùgf ,
Te farìss moresign quol cor duràs!
Quand vut cbe d** cumpagiùglla fagoai pas ,
E che magi pù tra nùgn stgtla garbugl ?
S' o r puss un but in d^ un canlòa aecogl ,
0 V viigi sta aprèss pu sórigl , ch^ar boBbàs;
E no t' vara pù a di : te ne me piàs ,
Né lùsingh , né maùi , iC òlter strafigl.
Co digliàver farìst aun cb^ o V batiéss.
Se a mi , eh"* 0 t' vùgi tant begn , te n'en vn bricca ,
E sogn pur begn vestìd, gagllàrd e sago !
D^ om da begn , t'è mo tnrt a fam tra véss.
Deh! àbem pigUetà! Vut, cbe m' appicca,
Bettiira dolza pii ch^ ar manapàgn?
Ah ! curp com dig d^ìn
S' 0 V squit adàss , o tMaS fa crigUatvr,
Ch'aia mezz^ora faràn trenta portùr!
I
1078. Avendo noi travato fra i manoscritti inèditi delTAmbro-
nana una lunga, comecché stacchèvole, Canzone scritta qoasi
doe sècoli fo, nel dialetto della Val Sesia, ne produciamo in
Saggio un brano, per la lingua di quel tempo, giacché la roc-
zezza di quel componimento non d allettò a produrlo per inte-
ro. Avvertiremo solo, che gli Alagnesi, introdotti come interlo-
cutori nella Canzone, sono gli abitanti del Comune di Alagna ,
villaggio posto nella parte più elevata della Val Sesia, a' piedi
del Monte Rosa. Sono essi d'origine tedesca, e parlano tutt'ora
un corrotto dialetto germànico.
DIALBITI UHIBARDI.
i%9
Canzom in lingua materna Falsesiana composta da Pròspero
Torello da Borgomaynero^ sopra d^ un' mcursione fatta in Fa-
rallo Sesia da' Montanarij a' 4 5 Agosto 1 678^ prima del
mezzogiorno.
Che diàu y che càud fa mai?
N'ìn la gent bela inspirtài ;
L' è già qui doi mèls o tri ,
Ch^ soma bela perbogli.
Taot più ch^ ora in Campartògn ,
E in tla Val, gh'è un gran bisògn
Onsì d' gran , come d' denèi ;
Perche cugl Scribi e Farisèi
Ch' i rcggio al Cmun d' Varali
L' è un gran temp eh' i nHratto mal.
Anz r è pè^ , a col eh' intènd ,
OC ì van trattànd d* oléini vend
La Val Granda e la Val PitU ,
E impignèni fin la vltta,
Koi , e tuj 1 nosl mattai.
Mò, Signor, che sarà mai?
Fé vendcta voi, Signor,
eh' i sèi stat nost Redentór ,
Quand noi ino pomma mi netta. ,
Orsù, 1 vògl buttèmi glCi vm pò sotta
A l' ombra de cost bel fò ,
E i vogl buttèmi giù chilo ,
Bela long , bela destéls,
E j vogl lasse cor giornài e méis,
E poi, chi sa, che cól ch'à faj^ al tùtt
A n' portrà ben quaich ijut
Da quaich banda mai pensa ;
Ma, per Dio, mi I srèi paregià
Per desprèmi e buttèm via ;
Ma a m' vegn sempr' In fantasìa,
Pr ajìjtèmi in Tal più bel,
Cb'a n^ogUa accaddi quàlcb bordèl.
Ma che gent è cola là ,
Ch^ i vegno giù da la montagna?
Fé de Christ, in gent da Lagna;
Che Diàu ! come In armai !
Cugl ì bà più d' cent soldài ;
I vogl un pò mettmi ascotc
Ciò eh 1 parlo in V al passe.
Noi i b' pomma avèl belletti
Da podèi mene al gran ;
E se qualcun a 8^ meli a parie
D^esenzión, de primi legl.
Al sarò megi ch^al fèlss di sacri legi ;
Perchè cugl sìndichl e deputai
I ne petto ceri sassài ,
Con querèl e con papégl;
E la masna r è già in pél
Da paghe vini sod per sac ;
Mo, Signor 9 mi 1 vogl anè malt!
Quand più i gh' pens, son fora d'mi.
Ma sarà megl a lassèla onsi,
Che al buon De a gh' remediarà.
Uomini aaiiati d'Alagna.
Prènder venta arsulossión.
Noi non é$»er tant cogliàn
Quant un esser usmà^
Tùtt Ferlorum V è sbriga;
Noi voler nostre tolette.
Poi qualcun, che ne promette
Far andar nostra montagna
Senza un soldo de guadagna;
Mler rest, èsser mane mal
Dar a fog e a sang yaràl;
Mozzar tHi i traditóre
Noi minga patir più fame per tor»
Sé so, bon alla mitinandra
Fog e sangus epoiin Fiandra,
Alla guerra in compagnia,
Viva al BSs e sua Signoria!
Mazzàr tuj i tradilòr.
Noi non stentar più per lor.
Costa sì la sa da appio;
Costa sì fa brùsè al nappio !
D' onta anèif , o bela gent ,
Onsì armai a fé spovènt?
Oh! che gent ben a la via ,
Pari bà una compagnia
150 PARTE PEIMA.
D^ begi soldàJ mandai da De
For dal Ciél per castighè
Quaicun eh' l'abbio meritè.
Alagnesi.
D* Stepo Modo da trooàt
A Farai a defèmder noBtra yai
Da ladrón, che senza fai
Voi storbàr nostra eèàuiàn.
Primi legi, favor, nòster resóm
Concedùi da Carlo Quini;
Noi èsser stài opisà j Noi èsser più de ceni e vint
Osta noi ^f^ ^^'^ lettra \ ee., ee., ec.
1738. Compagnie d* Fechin dol Lag Mejò m tol fèà a €à
despò jès8 $ta§ a fi U Camevà chilo a Milàn.
SOIfBTT
Car i nost sur petrón , I vost fevó
len 8ta£ de tal mesure , eh' ol pensé
De tal qnanl i fechin dol Lag Meió
A sfeguràl noma V è nor esse.
Nùn o resièm afa| senza sento;
Vóm devrì boche , e s' trovem ben d' indrr;
O bogne eh' o fudèssem tùg dotò ,
Par dav ringrezlemént , che pur o s* de.
Baste , 0 vem , che V è vore ; a revlgbés ;
AI cà de dìn| , rivo lassù 'n Autragne ,
Narèm vosànd d' intorne a quel pajés ,
01 lag, la vai , ol pian e la montagne :
E Pipe I nòst petrón, i Milanes!
Vive Milàn mijó dia gran eùeogne!
Breve racconto in prosa facchinesca tratto dall' almanacco L
^a//e dell'anno 1700.
Na marasce ben face su de cà o la s' è mariade cont od fechin, e d«f|i
jen gnu a sta là in tol Milàn; e na iomade ol fechÌB l' è naé a cà , e P
trovò in tol so Ital on pestizin , eh' o besooreve con la so Zuenine ; e li
0 gh' à scercó ol parche r ève gnu in tei so Ital? E 161 o gb^à di6: parél
0 gh' pieseve a bescòr con la so Zuenine. 01 fechin inora o gh' à nspdtl
Doh ! ol me sciòr pestizin, eh' o mette da bande sto pensé, eh' la me JSw
nine o n' l' è note par lui ; eh' o tende pai so da fa , ch^ in montagne
n' gh' è note sta maledette usanze dot Blilàn ; e T à cascia fò dol ital ;
despo 0 gh' à dio a ia Zuenine , eh' o lagàss par l' inànÒ da dà scolt a st
iènt, dol rest o l'abiaràv mannade in montagne; e lei l'èbiùde bedleni
liOdlftano*
Il più antico poeta lodigiano conosciuto è il conte Francese
De Lemene, che fiorì sulla fine del sècolo XVll e nel princqù
DIALETTI LOMBARDI. 151
del XVIII, nel qual tempo diede in luce la Sposa Francesca in
Tersi lodigiani. Nessun' altra prodazione in questo dialetto fu
publicata prima, o dopo questa comedia, sebbene lo stesso De
Lemene lasciasse altre poesie manoscritte, fra le quali un'inge-
gnosa versione in ottava rima del seoMido canto della Geru-
saUmme liberata} e diversi altri poeti dopo di lui dettassero ele-
ganti componimenti d'occasione cospersi qua e là d'arguti sali,
d'affettuose imàgini, di morali sentenze e di concetti originali.
Essendoci stata comunicata dalla gentilezza del professor Cesare
Vignati una piccola raccolta di questi poètici fiorì vernàcoli tut-
tora inèditi, crediamo far cosa grata ai nostri lettori, publi-
cando per la prima volta quelle che ci parvero migliori. A vani
componimenti del Lemene, del Fugazza e del Codazzi, godiamo
dì poter aggiùngerne alcuni del distinto poeta vivente Giuseppe
Riboni, la cui ritrosa modestia cedette finalmente alle nostre
istanze, permettendoci di publicarli per la prima volta, ed inse-
rirli fra questi Saggi.
4700. Versione del secondo canto della Gerusalemme liberata
di Francesco De Lemene, tratta da un manoscritto autògrafo.
Amumìrt.
El gran cas de Sofronia a vói canta.
Quel cbe za cantè M Tass con sUl toscàn;
Ma mi con pòca spesa al vói muda ,
E vel vói fa senti con stil nostràn.
El Tass rè ón Bergamasca però ehi sa,
Che na ghe bagna el nas ón Lodesàn?
Vu che senti 9 diri, se magiór lod
Quei da Bèrgom avràn, o quei da Lod!
Mentre ^1 tiràn ben ben d^ armàs procura ,
Se ghe fa inànz Ismèn ón dì solètt ;
Ismèn, cb^ infina da la sepoltura
El dama i morti in vita , e s* el se mett ,
Fin a Plntón là a bass al fa pagura ;
Noma col barbotà d^ón so versètt
El ghe comanda ai spìriti , eh' el pòi
Ligài e desligai , conforme 'i vói.
iS3 PARTE ntlWA
L' era Cristian , e adèss V è con Macon ;
Ma na '1 pòi trala^ r antica usania;
El fa i incanti , e In tute dò poc bòn ,
£1 fa dele dò le|^ òna mesèianza ;
Da quel so log , dovrei sta a (a '1 striòn ,
Da la zente del mondo in lontananza,
Bl yèn a consejà el re Aladén ,
E se pòi di : r^ ciU 'i reti de Carlén.
Siòr , el ghe dis , pur trop avi sentit ,
Che vèn mardànd quela crudél canaja ;
Sarà el ciél , sarà el mond dal nost parlìt ^
Se però na se màngiam sott la paja;
Vu da re, da soldàt, i fatt, ì ditt
Piiy che né U podestà de Sinig^a ;
E se ogniìn , come vii , se sa desverze ,
Cert , eh** el nemic nai porta via le verzc.
An' mi son chi per fa quel poc che so ;
Stèm tati al ben e al mal da bòn fradèl ;
Mi , come mag che son , incantarò ;
Mi , come vè^ che son , darò consci ;
Quei Angioi che dal ciél i caschén zò
I farò lavora come famèi ;
Ma prima ve vói di per quale vie
Mi sia per comenzà le striane.
I gh** àn i Cristian in la so gesa
On alta in confessiòn , con su '1 retràt
De quela, che per màder fudè presa
Da quel che, 1 disen lòr, a n^ à salvàt ;
Gh' è sèmper pizz na làmpada , e destesa
Gh^ è sòra òna tendina de brocàt ,
E gh'è dintorno intomo, in vari modi ,
Scròzzole , gambe , brazzi e mile invodi.
Vói mò, che questa effigie vu todi ,
E che la porte via de vosta man ,
E in la vosta meschita a la metti ;
Mi farò pò l'incànt, e alora invàn.
Finché ben ben vu la ciistodiri,
ITassaltarà l'esèrdt Cristian;
E per òn cert secret mi v' assicuri ,
Ch^ el vost impero e vii sari sicuri.
Insi M ghe dis, e lù con impazienza
El corr a quela gesa, el se fé iàder,
El sforza i preiti, né '1 dis con licenza ,
Ma 'I porta via 'I ritràt de la gran màder.
mALRTI UMIliAIIDI. ISS
In la so sinagoga , invè mal seim
Catà pecàt se prega, al mett el quàder.
Che fé pò *1 mag T incanì, e quel br&tt seroc
Cred, eh^el ghe disèss su: BerUe, BeHòeì
Ma la matfna ad ré, li al campanén , •
El sacreslÀn, o 1 campane ch'el f&ss,
Na 1 trova pù IMmàgln, e lapén
Invàn la cerea, el ruga in ogni bus.
El dà sta medesfna al re Aladén,
Che tutt infOriàt e liti oonfut
El crede ben, ma na 'I sa mò la strada,
Che sia stat qua! Cristian che r à znlfada.
0 fusse» i Cristian che la robin,
0 fuss el ciél che l'opra seofca wtàcol,
eh' essènd quel volt in l6g che ne oonvèn.
Nel posse remirà simil spetàeoi ,
La cosa rè anmò Insi, ne se sa ben.
Se Topra fuss umana, o pfdr miràcol;
L'^è però ben, che i omnI a f céden lòr,
E fa d^òn si bel fatt el dèi autor.
El re el fa fa na gran perqulsliiòn
In tute quete gese. In ogni eà;
A chi '1 furt ghe descuata al ga la òn dòn,
E chi la qnata la vél fa' impicca.
El fé corr el crivèl anca el strlòn,
Ma na 1 pòss mai savè la verltò,
Ch^ei del, o siel stat lo, o che sìel stat,
A la so barba a Pà sònper celàt
Ma quand na 1 pòi scovrì la robarìa ,
Sùpoata dei Cristian, alora el re
El dà in le stelle, el monta in frenesia ,
Né '1 se pòi pasentà né poc, nò asse.
In tuti quanti i modi, in ogni via
El se VÓI vendieà, cada che de.
S^el reo, '1 dis, l'è In costòr, nò ao vedèi,
Mazzèmei tùli, e mazzarèm an'quel.
Purché na se na vanta el malfalòr,
Nora anca el gidst; ma In lòr qual gi&st se trova 7
A jén na man de scrochi, e a jén eostòr
Tùli nosli nemisi, el sàm per pnrra;
Se in sto fall Tè inooènl qualciki de lòr.
Peccadi vegi, penitenza nova;
SoldadI , alòn , savrè eostòr in meiz ,
Ande; mazaè, brusè, fé 1 diàol e peti
154 PARTE PUIU.
Insì el dia ai so Turchi, e a fass intende
Subet per i Cristian la fama córs ;
I rèsten smattaxzidi, e ben comprende
Ognun, eh'el sta de la so vita in fors.
Nessun batft el taccón, né se defeode;
Nessun se scusa, o prega; alfén sooórs
Ghe yèn da invè mane spéren; ma na Msa
eh' el tarda anmò, Tera el socòrs de Pisa.
Ghiera tra lór na putta da marìt,
D'ón gran coràj e d'òoa gran beltà;
Ma la spreiia el so bel, o H gh'è gradìt,
Perchè Tè d^omamént a r onestà;
L'è sèmper da per le, come ^n remit,
Scósa per I eantón de la so eà.
Che ne la vói aplàusi, né lerbén.
Né mai se ved in porta, o sul lobbién.
Ma 1^ è impoasibil de tegni ben soosi
I splendori d'óo volt insi perfèt;
Ma ti, quei so bei ógi e vergognosi.
Ti stess tei moalri. Amor, a htk lovenèt;
Mò V è ón òrb, mò t'è òn Arg, e i tò morosi
De fai vede, d'orb^J Tè tò dflèt;
Adèss te fé de quel che na so poi,
E te fé ved sta fióla da sto fiól.
Gh' àn nom Sofronia e Olind coatu e coste ,
De fede e d'ón paés i van d^ ón pass;
Le rè bella, lu savi, e cose asse
Lu H voràu, poc el spera e sempr' el tas ;
Né '1 sa soovriss, o n^el s^ inscala, e le
Na se na dà, o na H vede, o n>n fa cas;
E insi, finché sto poverét rà amàt
0 da per lu, o mal not, o mai sortàU
Ménter che cor Tavis per la dttà,
Ch'àbben d'ave 1 Cristian si gran molestia ,
Sofronia rà in pensé de liberà
El so pòpol fedél da quela bestia;
La pensa óo pò, la sta 9ul fa e ne fa.
Che scombàtt el valor co la modestia.
Vence el valor, ami 1 se oòrden prest,
Perché l'istéss valor se fa modèst.
Da par le la tól su; el so volt bel
Gnè ne la sconde, gnè na fa pompara;
U basse i ói, U tire ló 1 so vél.
Ma in óna forma manerosa e rara;
"\
DULKin LOMBARDI. i5tt
Ne la se fa in pención^ né so, se quel
Sia '1 eas, o Tart^ ch^el so bel volt t>repara;
La lassa sta tùti i belé da part ;
Ma queir andà 20 insi Tè uà gran art!
Ne guardànd a nessun, da ognun guardada,
Passa la dona, e la va inànz al re;
Ne la se ferma minga a mezza strada,
Sebèn la ved in che gran furia a F è;
Vegni, Signor, la gh' dis ( ma intànt a bada
Tegnì '1 vost pòpol), vegni al vesti pè.
Perché, se vii cerche quel gran ladrón ,
Son chi a cusàl, e a dàvel in presón.
Al vede compari ^nsi baldanzósa.
Ma insi modesta, bela dona e brava
El re fai mùlusén, come na sposa,
A n' al se fa pu brùtt, e pù noi brava;
Se lu Pera mane dùr, ié mane retrósa,
Gh'arèu zligàt, che lu H s^inamorava;
Ma dùr con diir a na se pòi fìi nién,
E gh' ól le moine per fàss voré ben.
Che movéss el tiràn, se Amor ne fii.
Fu gust curiosità, fu amirazión!
Fermèu li, me soldadi, e ti di su,
O bela putta, el dis, la tò resón. —
Quel làder che disi b^ al cerche pù ,
Alora la respónd , che quel mi son ;
Questa è la man ch'à fatt el fùrt, e questa
Ve pagarà la pena ardita testa.
Dei pòveri Cristian i comùn guai
Tùti sóra de le la tól insi;
0 bosia gloriósa ! e quando mai
SÌ bel è 1 ver, ch^ el possa mett con ti?
El re VÓI mò savè , come V è stài.
Né si prest, com' el sòl, el sMnstizzi;
El ghe domanda : Che t^ à consejada
A fa sto latrosini , e Va jùtada? —
N^ò vorùt che nissùn sappa el fatt me,
Che sia me tùtt Ponór, ò stimàt mài ;
Nessun m'à dat ajùt, nessiin ne gh^é.
La ghe respónd, che moabita dat conséi.
Don noma ti te me la pagare;
Allora el re ghe dis con gran besèi.
01! Ié la ghe respónd con volt sevér,
S'ò mangiàt, pagarò; n'él ei dover?
150 PAftTB niMA.
Chi 'I DM ghe torna ross: Dim , in che log,
El dis, èl seós el fòri, bruta forfanta? —
Na rò scòs, la respónd, Vò trai sul Ufgy
E pensi d'^avè fai na cosa santa ;
Perclié eosi n^ al porrà fàssen cóg ,
Quel maladètt barbón , cola ebe Incanta.
Se vori **! reo, Tè chi; s^'cl volt derén ,
Al bugna che spettè M di de san Ben.
8ebèn na se pòi di^ cb^ abbi robàt ,
Che per tutt, dove Ve, se pòi tó M so.
El re , sentènd tal cosa , Infuriat
Sbatt 1 pè, mord le man , scorliss el co.
On bel volt, òn cor cast, n^ infègn levàt
De retrovà perdòn na i spéren nò,
E invàn Amor contra si gran fierena
A ghe ftL scod a le de la beleica.
Alora I fan presòn la poverana ;
El tlràn la oondana a jèss brusada;
Tùti i pagni d* intomo ogndn ghe strazza ;
La resta mena Mota, e rè ligada;
A la se mostra intrèpida alla fana;
Però de drén a rè òn tantèn tùrbada ;
Ma s'el sòlit color al volt ghe manca,
Na la deventa pàlida , ma bianca.
Se cùnta el cas* pertutt , e curìÒs
Olìnd con r oltra xeni rè chi vegnat.
Che possa jèss Sofronia a rè dubiòs ,
Ch^el nom del reo n* al s* è gnanmò savut.
Quand el ved che rè le, pòver moròs!
E che la vòen brusè , per dàg i^ùt.
Come ^n ispiritàt a se ne va ,
Ei còrr , e n dà sbntòn de sa e de là.
El crida al re : Ferme, na rè stài le,
Lassèla andà, che rè na matanòla;
Come avràn mal possut , gnanc col pensé ,
Ardi tant e Ùl tant na grama llòla ?
Come àia fatt el fort, e fatt i pè,
Trampànd i sacristàn da par le sola?
Se rà fai, che la diga: a son stat mi.
Ah ! eh* el vorè trop ben 1* è qnel ch^ è lì 1
E pò '1 seguita a di : Mi, col me inzègn .
De nott entrò per via d'òn fenestròn ;
vòss fa le male fine, e per tal segn
In certi brutti passi andò a gattòn.
MALCm LOMBAEDI. 187
MI deronór, mi de morì Bon degn.
Coste na ne sa nién , da quei che son !
S5 , donca, lighèm mi , desligtiè questa ;
Mi son e! reo , 1^ è lai per mi la festa.
L^ alza Sofronia i ógi, e per pietà
La guarda dolcemént I* inameràl :
O poverètt ! cosa vegniu mò a là ?
Che ve condùs mò chi? 8ìu savi, o mal?
Na so** mia bòna mi da soportà
Tutt et mal che pòi iam óa òn rabilit V
O stòmec da soffrì la morte mia
Da par mi sola, e senza compagnia.
La dis insì ; ne r à però poesut
Fa, che se miida quel morós d^umór.
Oh! che gran cas è questi Chi k mai vedut
Scombatt ti gran virtù, si gran amor?
La pena de che perde è la salut ,
E rè premi la mort al vencUórl
El re s^ infOrla pu quand pii 1 oognósa ,
Che ognun se vói tira la colpa adóes.
A senti sto contràst gfa^è tasi devìs.
Che lór la tègnen per ón tnrluru ;
E però tiitt Infùriàt el dis:
Mi vói erède a tutt du; mauèl tutt du.
El fa de sign ai sbiri, e ognun s^è miss
Intorno a Olind , e la prendén an' lu ,
E la lighén a la morósa apprèss ,
Voltadi sóena a sdena al pai istèss.
Che porta le covade, e che i fassén,
Che boffa , che fa fóg de quei demoni ;
Quando, pianzènd, el dis quel poverén
A la presenza de quel testiiMml :
èl quest el lazz ch^ aveva, oh! me mesohén!
Con vu da cónzobbiam in matrhnoni ?
èl quest el fóg, col qual pensava el cor
Che dovéss rescaldàm el dio d^Amór ?
Olter fóg, òlter lazzi Amor mostre,
Oltri ne dà la sort in sto mal punt ;
Pur trop , con vù mi sont morènd , ohimè !
S^ in vita fu pur trop da vu deszùnt,
Gh^ò gùst almànc , za che OMirì se de ,
De jèss al vost morì con vù conzànt ;
Me rincréss el vost mal; dei me dolori
Na gbe do nién , perché con vii mi mori !
158 PAITB PftIMà.
Oh! che fortuna mai saràu la mia,
Oh! come in la mia mort sarèu beat.
Se, mènter mori in vosta compagnia ,
Spiràss in bocca a vii V filtem me fiat ;
E in mi ^1 vost spirit per l'istesaa vìa.
Za che morì con mi , fudésa spiràt !
Mentre , in ftto mod diaènd , pianzeva quel ,
Sofronia la conséja insi bei-bel :
Fradèl, quest na Tè temp da inamoradi;
Lasse andà ^1 mond^ e na ghe pensè pù;
Am da morì; bugna pensa ai peccadi;
i da prega M Signor, ch^ el sia con vó;
Se nùm , per amor so , sàm tormentadi ,
Aram e! paradis, s' el piàs a lu.
Dì là H sol che ne invida , e '1 ne consóla !
Guardò là n ciel, come Tè bel! Oh! fióUl
Chi pianzén i Pagàn, e i pianxén fort;
Pianzén anca 1 Cristian , ma ón pò pù pian;
On tantén per pietà deventè smort.
Anca al so mars despètt, V istèss tiràn;
Ma quande d'ingramiss al se fu Incòrt,
El se fa forza , el marcia via pian pian.
Che se sgraffigna el volt, che strazza i pagni;
Sofronia, noma ti ne te caragni!
lércn in sto strett bus , quand per ventura
Compàr ón Cavallér brau e cortes ;
A guardàg ai vestldl , e a T armadura ,
Al par, ch'el vegna da lontàn paés;
L' à su r elmo na tigre , e Tè figura
eh' usa de mett Clorinda in su r arnés ;
La zent ghe guarda, e i disen in vedala:
Zùra-miJ l'è Clorinda : e r era qnela.
A no la vóss mai mèttes sto desperi
Al meste eh' a le donne se convèn ,
De cùsi , de fila, de monesteri ,
De recàm, na la vóss mai savèn nién;
L' andava coi soldadi in di quarteri ,
eh' an' là se pòi ben )èss dona da ben ;
Superba e derùscóna la fùdè ;
Però 'nsi despresiósa la piasè!
L' era anmò piccenina, e la voreva
Messedà spade, lanze, e cavalca;
I^ feva 1 pugni , I sassi , e la sfideva
Tutti a fa le braziade , e a scorriatà ;
DIAbETTi LOMBARDI. 150
I orsi e i león a jà persegoiteva
Per montagne , per boschi. In za e in la ;
L'andè pò in guerra, e la fudè sta fràola
Con le hesUe e eòi òmni óna gran diàola.
La vèn da Persia per mostra ^1 móstaiz
Contra i Cristian nemizi a la so setta ,
Sebèn in oltri loghi col so brazz
Pù volte la gh' à dai la maladetta ;
La véd nell' arriva tant popolàzz ,
E i dù meschén redutti a quela stretta,
E per curiosità fra tanta zent
La spónze el rozz , e la se cazza drent.
La zent la ghe fé largo, e le s^è miss
Ben ben arènt a remirà col6r;
La ved, che V una tas, Tòlter zemias ,
E la dona de l' òm mostra pvì eór ;
Per compassión lù par eh' el planza fiss ,
0 de le, no de lu Tabba dolor;
Le, immobii, tas, la guarda el del, e insì
A la par morta prima de morì.
La se séessi Clorinda a vista tal
Per compassión, e la lùcdè ó& tantén ;
Pur de che mane se dól ghe sa pii mal,
PQ che tas, che che pianz ghe par mesehén;
Senza spetta la dis a ón òm , el qual
L' era li da na banda a le vesén ;
Disìm , car vù , ch^ à miss in sti travài
Costór ? Èl mò desgrazia, o cos' ài fai ?
Insì la prega; e quel al ghe cantò
In mezz'Ave-Maria come la fu ;
La se fé '1 segn de eros, e la sUmè
Che fussen inocenti tùti dù;
A la se mett pertànt In tei pensò
De trova mod, che ne I a brusen pù ;
La còrr prest al falò, la fa smorza,
E la se mett coi sbiri a contrasta.
Fermèu, smorzò quel fòg, nessun ghe sìa,
Che Uzza su , prest, metti zò U boflfòtt ,
Fin che me parli al re, che, in grazia mia,
Se tardarì, lù na n'avrà despòtt.
1 sbiri i obedìss a Sossiorìa ,
Portànd respett a quel so bel aspòtt.
Le la va pò dal re ; ma la s^ incontra
Con lù, ch'appunt a lo 'I vegneva incontra.
ito PAETB Ptnià
La ghe dis: som Oorìnda; avi sentii
Fós molte volte , o Siór, a menionàm ;
E vegni diiy eh' ò intés ch^ i miven Ut
Cóntra la nosta fede e ^1 vost ream; .
Comande , che da mi sari servit ;
Mettim in ogni post , o bón, o gram ,
Mettim in ogni log, o bel, o brùU ,
Mettim a lessi e a ròst; furò del tùtt.
Olter lè na la dis; el re respònd :
0 zóvena valenta , là se sa »
eh' in tuU TAsia , anzi per tot el mood
La vosta fama , e '1 vost onór aen va ;
Adèss, che in sto duèl v"* ò per segónd ,
No me resta pu nién da dubita;
Fu speri in vii per me sooórs, che quand
Vegnéss ben anc coi Paladén Orlànd«
Za me par, elie Goffrid sia òn Menasira
A vegnim a trova, com'el menana;
Se V* ò mò da impiega , n' al sia mai vira ,
Che na ve daga a vù la prima piana ;
A fàu mia generala el ciél m* ispira ;
Comande va , quel che veri che Ima!
Insi '1 diseva, e lè con volt amig
A la ringrazia, e pò la toma a dìg:
Che prima de servi vobba 'I salari ,
Diri , che V è na mezza impertinenza ;
Ma a cùnt del soldo me saraven cari
Quei ladri , e i clami alla reàl clemenza ;
1 clami in dòn; e pur, s'el laU rè vari.
No se pòi minga dog quota sentenza ;
Ma tasi quest, e tasi ogni segnìd ,
Che me fa cred, che ne i àn fatt sto mal.
Dirò noma, che , se ognun cred e zùra ,
Che sia »l pòpol Cristian eh' abU iatt tant.
Mi son d' iimòr contrari, e son sicura.
Per na resòn pu fort e pu calzànt ;
Che vii n' abblè fai mal ò gran pagura
A fa quel che ve diss' el negromàni ;
Che na sta ben V ave nele moschèe
Noste i idoi dei oltri, e nòve dèe.
Donca , se r àm da dì conforme a 1* e ,
El miràcol l'è stài de Macomètt,
E l' avrà fai an' lii , per fan vede ,
Ch'ai loghi so bugna portàg rospètt ;
\
MALBin LOnAEDl. 44 1
Cb' el faua donea Ismèn el so meste ,
eh' el fa i incanii , ma n' al mostra 'I pett ;
Piost meste Tè eòo I arme fass onór ,
B num àm da fa panza sul valor.
Insì la dis; e ^ re, eh' a cómpassión
Inevida el se plga , e eón desgust
Al se lassa però mett In resón ,
Pari da quelle preghere e part dal giust ;
I lìberi da mort e da presón,
El dis, perché si vù , vói dàu sto gust ;
I asaolTi, o i doni , e i liberi in sta guisa,
I àbbiea o netta» o brutta la camisa.
Cosi i a deslighén, e venturàt
Fii ben, a dita giusta , Olind ardii ,
Ch^ el podè là finezie, e col so stai
On nòbil cor , ma dur , Vk intenerii ;
Cosi da morie a vita a T è passai,
E r è za spós , non che morós gradii ;
El vóss morì con le, e adèss , che pu
A n^ al mór lu con le , le viu con lu.
1800. Memoriale di Carlo Codazzi, per avere in dono un gatto.
Cara sùra Marianén ,
Già che vedi che la gh' à
Ona gatta e du gaitén,
Che spasseggia per la cà,
Se quaidùn na vói dà vìa ,
^''ò besògn vùn per cà mia.
Ma siccome i m^ àn cùntàt ,
Che quel póni de dà via gatti
L'è per le ón aCTàr de Stai ,
Che ghe vói sùppliche e patti ,
Che presenti el Memoriàl
Che la preghi esaminai.
Ghe prometti d' òm d^ onór ,
Che a quel gatt che la me dona
Gh' avaràn in cà l' amor
Che gh^ à adèss la sóa padróna ;
Che de cùni el tegnaràn
Pù eh' el bè de san Giovàn.
Comenzànd , a la matina
Ghe darèm de colazión
0 1 caffè , 0 la polentina ,
0 1 sùppén cól fórmàj bón ;
^ sarà al disnà , e a zena
U scidela sèmper piena. •
Preparai gh' ò ón leti polit
In cùsina per la noti ,
Che de penne r è imbottii
De capón e d^ anedòtt ,
Perché el possa fag la fopa ,
E sta cald come na topa.
Che la gh^ abbia no pagura.
Che ghe dàghen pò de gross;
Che per mi la fo sicura ,
De ciapàl de spess in scoss ,
Carezzai , UÀ cónr adrè ,
Tal e qual che la fa lo.
Ghe prometti e fo reguàrd
De iasè^ d' avèg pazienza ,
S^'el robàss quài toc de lard,
Quai polpetta in la cardenza ;
Ghe sarà proibizión
De pezzade e scopazzón.
In persona a f^ rappòrt
Vegnarò na volta al mes ,
Se r è viu , 0 se r è mori ,
S' el vèn bel , s' el cress de pes ,
S' el sia in cà , 0 s'ia tovaja
Per i tecci a la la sija.
IM
PkVft PMSA
Per r inflùss deta contrada
Me figuri , che sto gatt
El farà quài bardassada ;
EI (ara fors' aoca el matt;
Sant'Aotoni ! figuràss 1
Là de savi gh^ en poi nass ?
E per quest on cert pensér
Me ravana in del cervèl ;
E son quasi de parer
De eianiàl el maiUarèl ;
Che sto nom el spiega ben ,
La capisa? de dove el ven.
Se la gh^ à gnente da di.
De gióntàgy o de tò vìa ,
Che la disa dono de sì ,
Che mi M gati el porti via ,
Elngraziàndola de cor
Intratànt del so favor.
I due sonetti segaeati ^ono di Gio. Batista Fugazza, chini
maggiore dell'Ospitale di Lodi, ed autore di molte poesie ano
inèdite.
// Poeta paragona sé stesso a S. Gwqohhì Batista.
Predlcheva al desèrt san Gioàn Batista ,
E anca mi cole done ò fai l' istèss ;
Fra tati i sant l' è mess in cap de Usta,
El saréss anca mi, se ghe n^avéss;
Là el leggeva in del cor a prima vista ,
GogDOssi an^ mi i cojón del me paés ;
Per na dona Tà fai figura trista,
E mi r ò fai almén per ^-ot o des.
La el batteseva in riva del Giordàu ,
E ne gh* era per lu mai dì de festa,
Battesi an'mi, lavori come ón cani
A lù perfén i gh' àn tajàt la testa ,
A mi pò , speri , che m"* la lassarim ....
Pùcciasca, ijut! ghe calaràn an^ questa!
Contro un cattivo poeta.
Qappèl su in brai, tirèghe giò i calaón,
Alzèg su la boUetU, e fèl setta
Su una pigna de rùsche de melón ,
Che quest a T è M Pamàs che a là ghe va.
Quattègbe el co de foje de zuccòn ,
Che sta verdàra a là la se confà;
E per cetra al poeta ciólattón
Deghe in man el braghe de nonobà.
Fé pò, che i biricchìn i vègnen vìa
Con càccàmeri marzi, ungin de bò ,
Pettazz de zucca e ogni altra porcaria ;
F^hii tra in del móstàzz, e vose : >iò,
E disighe : A infama ta poesia
Atnm rnazéng ghe (ómartt anmò ?
MAURTI UNttAaiH. 145
i%M. Poesie di Gioseppe Ribolli.
In moriM di Dmma Elma Crùdohni
moglie delFaowoato Giuseppe Fisamii amko delf autore.
Sunra*
Se M tris! pensi gh^avéss de rArelén,
Disaréssi de quel che sta ben no ;
Perfén la tacaréss ... ma P è destén !
E col destén mia propri sbassa 1 co ;
Qaand che lassa gh^è scritt: ineò Pi fora,
V è inùtil , la se passa mlga fora.
Lìber essènd però '1 pensa de ròm
(E qoest Pò vist mi scritta ién miga lappe.
Sa la lege de Dio, né so in che tòm),
A còst de ftm brasa 6n brls pu le ciappe,
Vói dila, che Té chi che la mMngossa:
Signor, cossa avi Al? LM (al pur grossa!
Pòvera dona Lena ! Perché mal
A mei dola sòa vita l'avi tÒi?
Perché giòvena e spòsa Pavi fai
Tant brava, e rara màder de nòv fiòi?
E perchè ghe Pi tolta sul pu mèi,
LassàndiJ cole man in di cavèi?
Podevo pur.... ma no: ve clami scusa,
O Signor, s*ò passat voltra i conién;
L'è quest ón pari cas de quela busa,
E de quelPàngiol de sanrAgostén;
Si, sì: perché Pi tolta d savi vu!
Sul perché mi la pianti, e parli pu.
Miga però a nega me sentirò.
Che possa decanta le sòe virtù;
E, se Pé morta le, che viva anmò
La memoria de quel che on di la fu ;
Musa de Lod, te preghi, dam la lena
De scriv e vita e mort de dona Lena.
In Lod , e in fén del sécol chi passàt
Da bon pàder e màder Pè nassnda;
Da fiòla dei bon segni n'à pur dat,
E dei pu mèi n'à dat dopo cressuida;
Braviira, co, prudenza, spirlt, flemma,
Dona Lena la gh^éva tùtt insomma.
i3
144 Pàxn PUMA.
Bell'asta, ógi parlanti e eavéi aégker
La gh^ aveva Tistèss come ón velài;
Brunetta ti, ma d^dn mottài alèglter,
Miga de sto gran bel; ma bela In tut;
Jcren tute de lè grazia e manera.
Bona de cor, e ghe T aveva in cera.
Ai primi tic e toc de quel flolètt
Che tenta e mett sott-sora tùtt el mond,
Da franca dona Lena dar e nètt
Al sfazzadèi la gh'à savùt rispóod,
Disèndeg: Nel me cor se ò da fiat sit ,
Vói miga dei glngén; dame ón marit!
E, o ti ben fortùnàt, che te sé stài
L'ùnic, Viscónt, che al cor te gh'è fai plaga;
E se per lè del sospira t^è tìd.
Col tóla infén a te gh'è avfi la paga;
Perché, se fra de mila e pu mójé
La bravissima ghiera, Tera le.
Se qualcun ghe fuss stài, che pur ghe n'ò.
Che tenta in dele cà de mett el morbo.
La feva el sórd, e se quaicòss an^ lè
Caso mai Tavèss vist, la feva Porbo;
Quel che a Tom gh'era car lè tùtt la feva;
Pù per ròm, che per lè, lè la viveva.
Per quei so cari fiói, Gesùs Maria!
La se saréss perfén cazzada In tocchi;
A di pu pòc faressi la bosia.
In pónt de cà, la feva andà coi fiocchi;
A flnila, e di tutt: a l'era rara!
0 mort, o mori, te sé stài trop avara!
Ma rè mond! De contenti per ón pò
S^en trova, e per ón pezz miga ghe n'è:
Sente, o lettor, che briitt passai chi fo,
Dala vita ala mort passi de lè !
On sospir, óna làgrima, se dur
Come ón sass no te sé, ghe rè sieùr.
In quindes ani e ón terz Vk fai dés fiói;
Nóf san, bei 9 de vegnùda e de talènt,
Vun sol, né so in che temp, a ghe n'à tói
La mort; ma in dés tón viin Tè poc o niént;
E dal penùltim pàrt a sto pàrt chi.
Cine' anni senza fan l'era stài lì.
\
DIAUm UHDAftDI. Ift5
Poverina! pariiMi, eh'el «ò eér
El ghe disèss: in cfueét t'ò da mori;
La gh'éva pù quel so graa M nmir^
La sosplreva sèmper noti e di»
Figùràndes denàin Pultiaa tèa
De la mójé de so fradèl OeoeliéB.
Por ttnettnty per graiia de rAltìsaiB,
Ai venilsés de sto Ubnt VkBA,
Oh! che bela floUna! e pò beaissliii
Le pù care sperarne la n^ à did.
Fina ai cine di benón se fa passada,
E pò nei sés rà dat óna Toltada.
Nei seti, nei volt l'è stai , né si, ne no.
In pericol; nei nóf l'à peiòràt;
A sègn, ch^el scior dotòr, soortènd d eò,
Sikbet i sacramenti el gh'à ordlnàt.
Chi dal prèt, chi de li, de là Corriva;
Che a piani, che a sospira ne se sealiva.
Don Pepo pò... sì, poverénf A vèdel
L'avaréss miss ai sassi eoaqpassiÒQ;
A dil, e vèdel no, se pòi no crédei!
L'era li li per dass a perdislòn;
E mi ... . e mi, ne Tatt ch^el eonforlevi ,
Fasèndeg cor, squas piti de lu pioieri.
Quand s'è sentìt el mormora lontàn
De le vós dei devoti che vegnèven ,
E tramezz quei dlen dlen, de man in man,
Del campanén, che al cor frè^ I mettèvea.
Vegnudi in córt, a pian! gh^èm dil, e al lètt
Ne n'èm lassai vegnì che sés o sett.
A vèdela a ricév Dio per ria tic.
Con tuta quela santa eòmpònziòn.
L'era na roba de resta la estàlic;
Pò, de destàss nel planz per còmpassiòn;
Con giònt le man, eòi ògi alsadl in sa ,
H'è pars che la diséss: Signor, fé w!
Bela rassegnaziòn ! Se ò da «ort>
Pazienza! In fiaca vòs dopo Pè dlt;
La assira santa man. Signor, iegni
In siii me cari fiói^iii me mmit;
Quest V è V urne confòrt, neghèmel no !
Dèmel, Signor^ che dop contenta a vò !
!%• PARTE ninu.
Da meza moribonda rè stài li ,
Lassànden nel sperà, nel disperà,
Dop del viàtte, squasi quàter dì;
De questi In viin , sebèn eoa del da-fà.
L'à prononiiàt sfe do parole anmò:
yói 9ède me marit; mgkimeino!
Sfil siy sol.no Sem stai li ón bris; se.oór
Là pò da lu, cbe Tera squas che le
Morìbònd de passión, e ghe fèm cor.
Andèm, andèml Lù Tè levàt in pè^
E li, quasi porlàt da ses o selt.
Ècco!, tei là! da la sóa part del leU.
Letór, guàrdeg al cor, e miga al ógi;
Te vedarè che làgrime ghe gronda !
Guàrdel là miss in tera in sol lenógi
A fàg le scuse; e le, da moribonda
A dighe: I fiùil... mi morire U te re$UI
0 Dio, 0 Dio! Signor, che passi lén questi!
Lù rem tòi via, che pù el podeva ré^;
El pur respir a le ghiera restàt,
E, sèmper s&via là, de mal in pej.
Ai dés de marz, apena el di spontàt.
Senza squas pu speranza, le rà dai
D'óna sicura mort tot! i segnai.
Gòmit, sangót, la làgrima e lusenta
Le la gh"* aveva del mostàz la peli;
E Pans de man in man al se ghe lenta.
A le dés ore gh'era za el carèll;
Sónen i botti, e del so lett ai pè,
E piansènd e pregànd stèvem per le.
E mentre proferiva el Reverendo
Don Luigi queir ultlm CiiMwìa,
E Vin manus'imu, DòmiM, commendo...
Si , dona Lma^ «t . . . Gent e Maria,
Le, trand la bóca in sbièss, e òn pioool sghìi,
L^'è morta; ahi! vegni frèj anmò* nel dil.
Alter che pianti e che desolaziòn
Se sentiva, e sott vós a di: Té andai!
Ve disi niente in che disperaziòn
A sta nova Don Pepo Pera mai!
Letòr, tei pòdi figura chi ti;
Vita e mort de le ò scritt, mi lassi li!
DUUMTI UMIBARDf.
ì%7
Per nozze di Gwnondo AlberUnieon Luigia Franchini.
Od pezz là te mei disevi,
Che sposala te vorevi
La Luisa, e n'el credevi.
Il perchè vòt che tei diga?
Me pensevl propri miga..
Che t'avésset de sta in riga.
VI però con gran piasè
Senti adèss, che te la fé
Dop-domàn jier tòa mòjè.
"Te fé ben, Glsmónd, a t6la!
L'è na b^na, bòna Héla,
E che spuixa niént de ciobu
I«'è belina a me» a meiz;
Ma el trop bel, Glsmónd, rè pes;
Mal sicur V è U piati de meu.
Verna cà, tei disimi,
Es'eldisi, tei póss di.
Da perle la fa per tri;
Le'sóé maa san A del tutt,
U sa fti gràliès'e'l brutt.
Parla in létop, e in temp fa 'I mQt;
A flnila, e dita darà,
L*è na fldU ilngolara,
E che a tanti sarése cara!
Se sta perla rè per ti,
Tag de cor a di quel si,
Che a sentii ghe v^gni an mi.
Dòpo pò tòà cClra sfa.
De fèg bòna carapagnia,
E A no da testa-via;
Ctopa co d'ÒB de giodiii;
Hettde pai4 òn qoai caprili;
Schiva Poli e certi vizi;
Senaa stiiia e senaa fel.
Fa tuttcòss, e va bel*bel;
Mi te parli da fradèl.
Pò, regòrdet, 0 Glsmónd,
Che, per gode ón pezz sto mónd,
Mia cercigbe mlga el fónd !
Sestine
in morìe della eignora marchesa Sofia Sonmariva
nata Seghizzi.
Vittoria, portinaia della Cau Soflunarita, racoonla al marchese Bntflio suo padrone
i^Tiskmeda lei aToUnelh notte del sa anno iSta, gionio la cai la marchesa
Stringàt el cor, gh^evi ón pugn d^ ógi e ón gróp
A la gola; dà tóm quasi el resoit,
E con la Hort danada cóme ón tsóp
Mi seri injér da sira, per quelUr
Che rè fatt inànz temp, a portàm vìa
La me padróna e sóa mójé, Sofia;
Quand, dop la mezanòtt, intèrs de ròra,
Senza pQ forze In corp, per la passión ,
Coi pagnl a mezz a mezz cavàdf fora,
A me son trai s&l lett a traversòn;
Ai brazzi in eros gh'ò mettut sora el co,
Savènd scjiias p&, -^ fOdéss viti , - » no.
4%8 Pàxn noma.
Nel barlam dei pensér che me vegneva
Però de trall in Irati a ne pwriva
D^avèU anmo li inani, che la me feva
L^ùltim parla dM la »'à fai da viva,
DiaèBd: PriwM ée Dio, dopo de ti.
Pò de Sofie regòrdit tHU i di!
Dop qnest. Inani a m^è vegnùt d qnàder
De r ultime óre de la so angonia;
Ghe diaèven i fiòl: ahi cara màder!
Lu, pòver slór marchés: cara Sofia!
Spirit! E Ih, $i, si , la respondeva^
Basànd quel Crist, che strett in man la gh^eva,
Sqvaai tà Crisi ghe déss fiat; pò in haaaa vóa
8te parole che chi Vk dit anno,
Dal sangòi sollégade e da la ios:
O EndU! 0 fi&i! 0 cor! o cari, a vò;
Smperneleórf tèmpor denànz pe aia...
Chi Vk tasod, e l'è spirada via.
Tutt che in vision, in qnel moment provevi
On gran dolor , nei vèdela a spira;
El cor slraisàd de tal manera a gh'evi.
Che s'eri rulilm hòf an^ mi per tra;
Quand che me senti vun come a scorlim ,
E pò na vòs: cordj» ipirit! a dim.
El co levànd, òn òm li insi me vedi,
E vosi a punepòss: Genu Maria!
La '1 me prevègn, disènd: E che te credi?
Fbn, che ón botasi, én malfatór mi sia?
Som óm amti/ Con sta parola el m'anima;
Lu: son FOgazza; e mi: et doler bon'àmiwsa?
Si, propri quetj de lù pò, siòr marchés,
Ciamànd, el me vegn fora a dim: do9*èlì
Che se Ve in teU, tàiseghetpir^ ch'è istèu;
A ti. Vittoria^ tepossditutt quei
Ch'ó de dig dola quòndam maretoina.
Col patt de rifarighel domatimi
Prima de mi però mia che te disa,
Che^ dop quatr*ani e pu de fóg ardènt.
Da conzàm brOsaiàt in mata guisa,
Per 9ia d^ intereessión «fon me paréni,
Et me ziomanegiàn de Voratori,
Son rieeitàr de poriù al purgatori;
mkVBm uNnARDi. 140
/# porla Europa ^ eri de speztón
Jer a 9e ^pÈàlmr dopo M meet^di .
E insi come mfàsper ^tei Hredon
Oie gh*è in féùia fuahiànà^ ndi et vtfgnA
Vuna de ffOMiìbae^ uomini eiXmtà^
Squois n» « pmày ma Is pe^néee a f^Éa.
Aprèts de U a hen poc le la me riva;
Le la guardeva mi, mi la guardevi;
Èia! non èia?,,, si: la Sommariva!
PÒI jèss che fola. .. aPiz trami diievi;
Lì in quela ee cónóssem HUi dH,
Senza podè parla, te bràzzem sii.
Chi ne so miga diiiOU el trmpàrt
Che gh'èm wui; asOyChedop ctmlòl
TSU qtteil che n'è success dop la mia mori.
La sóà sentenza in man ti tà m'à dai.
Mi gh'ò mettai et Hst, e gh'ò fai scorta
dnquantm pa9si e pA deni da la porta.
Qu&l^atti d'impazienza da pUtgà
la flfft'cvOf elfelH d'én simoèr mrnàr;
Ménkr per qualche tradizión se gh*à.
Che, quand a Ve statòm, anca'l Signor
L'è pegnùt verd come ón peston de veder ^
A la voltada che gh'à dai san Péder.
Fcit ère dop (quest l'era *l Urmen flss
J Ueóe fime) fera Ve tomaia;
Dai Angioli li pronti^ al paradis ,
Sqmm de V Assunta istiss^ l'è stài por loda,
Presnid§iàónL..E ohi, dopo arem dit:
yitloria, addio! Fogana el m*è spuri t
Cara vision! fùdèsseC, Dio voréss?
In scambi de vision la verità !
Si, che la sia, sperèmd, siór marchés.
Mentre, póss dil, che ne ghe ne sarà
Dona pù brava, e pù dabèn de iè.
Tuta Dio, tuta màder e mojé!
Sonetto contro i catUoi poeti.
La tém al dì d^incò gh'àn I nowén ,
E tón se dan e Ilaria de cantànl;
Cérchen i gri de fa la s&mniia a Dant;
De fa da prfm In sai Pamàss i «snéii.
i50 PAftfl PMflA.
Ma se ne aooòi^geB nò sii poverén.
Che chi nass oaa Inèr* oan.» « iii«f flgèBi?
E che, per qmnt te^òneOy.tanelànt
Sèmper sarìui amétty OMMaén, grillénl
Con qnest y/(A di, che I naMen i poeU>
E a i&l chi è no eianàt da la nalira.
Fa irop, se al quarto el riva de la meta.
Quand'èsfer naturai ne gh^avi no,
Brùsè, pivèly la penna aderitura;
Ciappèl, quest Tè M parer che mi ve dò.
Le sole prodimoni èdite in dialetto eomasoo, essendo T opù-
scolo in prosa rustica del canònico Gattoni, e le poesie per vesti-
zione monacale della signora Francesca Carli,. da noi indicate
nella Bibliografla, ambedue appartenenti alla seconda metà dello
scorso sècolo, porgiamo in Saj^o un piccolo brano del primo
ed un sonetto tratto dalle seomde, avrerlendo, che questo dia-
letto, pel frequente commercio colla capitale, va tottogiomo ac-
costandosi al linguaggio volgare della medérima.
jÌ ol Franzésc Olive ai UUlrìstemi so sdor patron^ ec,
Gh'a domandi sciisa, so anca a scrif a lor sdori Itetrìssemi dopri a ol
linguàio, che s^a sèrvom nun aeigoiàt che lavora la fera in di Corpsanti.
Qutj poc paròl polii che m^éran Insegna a scola ol pret Braga, ol curai
vet de san Martin, adèss no so piii ona strasela..CoaieDil a rapresentòg,
che son pien de dlsgilsi e de dolor, perché, la maggior pari de lor sdori
lusirissemi m^àn leva quda protexiòn, che con tanta, carità àn sempro
irata a ol me pàdar e mi, par squasi cinquanVan; ec. ec ec.
Sonetto per Mànaca.
m
In del so stai ogniin se può salva;
L'è minga necessari andàss a scònd
Tra quairo mùr; in Ciél per tu(( gh^è cà;
Basta portàss da ben; ma quest rè ''1 póni!
£1 póni rè quest, de regordàss d^arà.
Come la geni da ben.àren al mònd;
E quest rè fA prim boitòn da no CÙà.
Chi fila d prim boltàn, f^a e^ segéod.
DIAUEin UMOUEDi. 4Ki
El póni rè, regordaM, che so s'può viv,
E se fa magri i ven e eativ tpéa
Dove gh^è del paltàn, e ari cativ;
E regordàaa, che de ciiiqeènt sdrés
Càschen la magftór pari, quaad in fiorìv,
E rè Olì miràool, s^en madura dèa.
O toaàn, iv inlis?
Se al ve strangola el fià a sta sarà su,
Stè fó, are drla, ve aalvarì anca vu.
Dialetti Orientali.
Tra i più antichi monumeiiti èditi di questo dialetto che ci
Tenne fiitto rinvenire, distìnguonsi alcune poesie di Giovanni
ftressani, inserite nell'opera da noi . mentovata col titolò: 7\i-
nmli, tum laiinaf lum etnuca^ ium bergomea lingua compositi.
Sebbene privi di mèrito poètico, pure, in Saggio dell'antico dia-
letto, abbiamo scelto i due componimenti che seguono, appar-
tenenti alla prima metà del sècolo XVI.
Epilafio di Francesco Petrarca.
Al fó sotràt chilo 'n sto muiimét
Quel chi fé per amor taft hel soné^ ,
E chi sentiva a meza stat ol fréj,
£1 cold al tép ch^ol nas gota a la zét;
E chi da lonz brasava, e da redét
daziava y ol volt vedièd, la gola e 1 pé^
De quela csi stinada, chi n'avéj^
Ma^ compassiù per fai impò contét.
Ivi pensàt d"* volìl a^ mi loda,
E faga con sti vers impò d^onór;
Ma veg, ch^a i è piatòst da fa grignà;
Iesi ch^a vqi lagà sta^mprisa a clór
Chi se delecta sno parler zentilo.
Che qnest lenguèt non è cosi sutiio.
Conlro un maUioente.
Gh^à àgher in bocca no pò spudà dolz;
A s^sul di per proverbi;
E*chl spi 8omna/no f vaghi deseòlz;
fliediè«ki dia pait>U strani e «erlM,
iBt PkKTE PtnA.
E chi inguri quac mal ,
Mostra quel étCÈ^M dèt,
E spess fa gni talét
Ai óter d^desladm ol barbouàl.
Per mi no àveg per mal
Di paroU d'alsira pieni d' lèi.
Perché a s'dis^ che ra| d'àsen no va in celi
1600. Per mancanza di miglior modello, porgiamo in Sagi
del dialetto bergamasco, in sul principio del XVII sècolo, un bn
dell'opùscolo anònimo intitolato: yita e costùm de Memr 1
Tripii.
Astròloghi la no}» e scrif ol di
Le fantesì] che mMntra In do! oervèl,
E m^ò pensàt de Av un pò vedi
(E chi no VÓI vedi vaga al bordèl)
La vita d^un valente paladì.
Dm chi à cercàt el mond, e chi a cervèl,
El qual el si domanda Zan Tripù,
Cb^aràf mangi&t na vacca in fùn boccù.
Costu fu un sitadi tat generòs;
Chi '1 clama da Comàf, chi da Mila,
Chi dis che V è nassut fó d' una nós,
E chi gh** dis Bergamàsc, chi Venessià;
Diga che voja, ch^el fu un òm braòs.
Mi ^1 credi da Cremona, ovir Bressà,
Che dapò past Pavia csi per iisassa
De mangia un àsen, per impiss la passa.
Zan Tripù Pera un òm de quei ricàzz
De possessiù, de casi e de danér;
E no r pensò, ch^el voléss tuss Pimpàzz
De andà fò a cazza, gnac a sparavér;
Ma lu tendlva a impiss ol so corpàzz,
Dagànd guadàgn a ini i tavemér ;
E de sto mond noi vòss ma* òter da fa ,
Se no mangia e bif, e pò chigà, ec.
1670. A quest'epoca appartiene la versione in dialetto rùsti
bergamasco della Germalemme liberata del Tasso, òpera i
dottor Carlo Assònica. Da questa, e propriamente dall' episod
DIALRTf UNUtARDI. 4W
di Olindo e Sofronia, abbiamo tratto, per Saggio, le seguenti
stame:
Al gh'era tra de lòr seria lovnaa
I>e desnàv o Yint agn fifiga drét;
Bela, ma che de «piest no gh^ pensa straia;
Savia, che mai vardava in volt la set;
A bisigà per cà sèmper la s' caza ,
E la gòggia e la rocca è M so eontét;
Gnè mai negu la ve Iarde, o a bon'ora.
Parla co la fomera, o la sertora.
Ma no Toceór a di, no Tè sfazada,
Gnè s^ la ve sul balcù, gnè per i strade,
Ch'ù pùtt 0 gh'a tire una baleslrada.
Al despèt di fenestre csé serade;
Ora Amor Tà la vista imbarbijada.
Ora ch^a la trapoftsa f balconade;
E qoand a s^cré, che I putte sia segure.
Al riadiccia dal bus di clavadùre.
L^à nòm Sofronia, e OUndQ è sto morós:
CattòUc tuU dò, tùt dò da u lue;
Le bela féss, e lù tal vergognòs.
Che per tasi M va in sénder ol so fuc ;
No Tolsa, e no rà cur, rè senza vós;
Questa sen grlgna, o no la s*corz dol zuc;
A sta foza sto pòver turlurù
L^è inamoràt ch^al mur; ma noma lu.
1770. Il Saggio seguente è un brano del Capitolpìim contra
I SfÀrij for§ di don Giuseppe Rota.
Costar che sfogia ^I nom de SpiriJ For^,
E che i fa al di d^anco tata fortiina,
Hi no i vói lassa sta gnè vif, gnè mor^;
So quat a i pfsa, e, a dlfle seni In d^ una.
Fora de quatei; baje e u bu mostàss .
In del resi i è mlnciù, come la luna.
Ch'a i vegni inà^ sii autùr che fa tat class,
SU bnU de bergnif, sii Rodomón^,
Balù de veni de scartesà eoi sass;
Ch' a i vegnl, e quel che sta de là di rnont»
E serti bu Italia che ghe cor drè.
Come la bocla al dal, tonf e blrónt.
IW Pkvn PtraA.
Fora di butlighét e dai caffé
Costar elle parla a ù mod de Dio, de^ Sai4,
Che propi al par chM li abbia fa| coi pè;
Stampa de temerari e de birbànf ,
Ch^al par, che vojè al del dà la tcalada
Coi Toste alture, eom^al fé i GigaBl;
Per mostrai quat a sìef §ò &* caresada.
No gh^ voi miga ol savi de SahMOÙ,
Gnè qoac gran testa Una e trapanada;
Basta u barlam ch^a s^gh^abbi de rasa.
Basta eh' un òm noi sia mail de Ugà;
E per quest m'aschl a di, che a^ mi so bu. ec. ec.
1850. Finalmente dopo una lunga, ma pòvera e stentata esi-
stenza, la poesia bergamasca venne rislaurata per òpera del be-
nemèrito scrittore Pietro Ruggeri tuU'ora vivente, autore d'un
gran nùmero dì poesie di vario metro e stile. Dalla raccolta deOe
medésime abbiamo scelto le seguenti, per dare un Saggio cosi
del moderno dialetto, come della perizia dell'autore nei vari gè-
neri di componimento.
La mort d'i vèé wxxro.
ÌJ tal Missér Anione de montagna
Pie come on ov de solò e de pecàd.
Che a montunài, per fan pò ù de cocagna,
L^a fai de onge per sinquanta gai.
Passai i caméài settantasètt.
L'era visi al momél de tra sgarlètt.
Vale a di, che ristava mal de mor,
E che in vlrtiì^ no so de qual Beat,
El Siur ol gh' ia toccai u tanti n cor;
Ma sessanragn noi s'era confessai;
Onde vedi 'n quel co che ingarbojù
De ladrarée, d'iisure e Irasgressiu!
El fé dama U curai del so pais.
Che Fera de quei òm che ghe n'è pòc,
Miga de quei ch'i vend ol paradis.
Che sol pecàé di slore i fa de ioc
Per ol caffè» per ol diane, o la sena,
Per god in santa pas ta Madalem
DULItn LOMBAEDI. 199
La Madalena, sé: eos^ài eapit.
Ch'i resta le coiiè seaiidaUxàè?
I faràv miga csé sM gli*aés sit»
Perchè y se aUnàne no parie oon di ma^.
Per Madalena telende la boecala.
Che s'vèd Indi ostarée la pio badlala.
Dunque, per god In pas la IfMlalena
Piena de i, magare d^ trentadù;
né no ghe tròe nissona roba oscena
ChM diriv lur, de fa quel sgnersigBà!
I scuse, mal ma par broU naturai
Quel sobet vardà sblès e pensa mal.
In somma Pera òn òm frane comèdi sol.
Con tat de cor per toé de fii sgnanètl;
Pacclòt, alégher come ù fra d? san PoL,
Stimàt e brao, ma dmel come u s£ètt,
D^agn sol dò anta, e stat come IMo 51,
Con tote I protesslu fò del baol.
Ma andèm col pret al lèè del morlbònd ,
Che, dopo conféssàt in quae manera,
El dis a olta us: Dovrò *ndà in fmd^
Se no iume la roba de chi Vera?
Padrù de $ento e paesa mèla tcuÒ,
Do^nv laisà i me sèèè che nuè e cruèì
— No gh* dighe d* loMeài nuè; ma de paga »
De comipen$à chi gh* f^anea e i danegiàc;
Jnfi vergota, o toni ghe reeiarà;
Coti r<tcAta de *ndà zóin di danàS;
Dis ol curàt: o la resUtiusiù^
O zò a V inferno eensa remittiù !
E'\ moribónd: El latte s che u moment
En foghe almànc parola eoi mi tèòi; .
Che vide *l tò(m cor, comi i la tent; ,
/ 9igne por chilo 'ntùren al IH,
E Iucche forte a cata ergU i Patpeila^
El PoflfAe, el twme che de che on* ureita,
El tuma a cà '1 curai gnèc e intrognét , .
Perché rà capii bé, che quel ladrù
Óna quac balossada 1 vói fa dèi,
Òna quac di so bune transassiù.
Col guadagnaga almànc ol seni per seni,
E negossiè, s'el poi, al Sacramént.
Tra lù '1 disiai: HMmàgiiie i célisèi
ChM ga darà quei 8Ò tri fiur de irlù;
Balòss, canàe, i par tri Agnos-Dei ,^
E se i podès», i è forse pès de lu;
I mei cassa a T inferno qnel margnoc,
S'el Siùr noi la té sald per i peloet
Ma lassèm ol curìit, e via de voi
Tùrnem al lèé de Pavarà dHel sòr;
Che za col caronòt diM à tolt a noi
I Taspeta i diàoi con tat de cor;
Ch'el clama amò i so séèé tòt ditperàt.
Per vi d' dà fb tòt quel die Tà robàt.
Col co bass e coi òé impetolàé
De làgrime e de ì, soé bu fidi.
Sa e là 'ntùren al lèé i ve quaé quaè;
E lu 'I ga dis: Me $ièi, gh*ò un imgaràèi
De fa9 sai , che fors* H topri za;
Che per i onge me no m'pouaaM,
El salta sd U magiàr: Taia, teff «
Che m'fè infwrmàé xàtòidne Ve qu&e agn;
Per me dift, fé por idi quel che oU;
Ma no tre fò i fattóde di caieàgn;
De miga scoli ai bùzzere de tòf,
Per lassàm nu pitòe i mez ai ptóè;
Vedi , che nu m* sé tri^e vu siH!
Biséièla^ tata, cor, dis ol segònd;
EI terz, ch'el gb^ìa dna ciera de ciicù,
El par^ el dis, ehel'abede *ndà 'l momd!
Àndèm^ risèièla, in fin pò de le f%^
A* s'onde zó, ala longa 9*ùsarì. •
f^u^ che pati esé féss sèmper ol firéé.
Che stè a caàl al foe tòt quant ol de.
Che fena'l nUsde ìàHpì seoldi i lèé,
Do^ssev anze stagapiùtòst bè;
E 9' mari; risala, ..ehi gh?n*è zó tace
Ch'i gh'ia $6i dèé^ perdio! onge ceé fiteei
BisHéla, cor, de brao, spetè che p* poff ;
Lassèm fa nu a scusàp col siór cdràt;
Si bass de co, aidémel, alza so té...
Fardo ch'el mar! l'à quase i óé seràt!
E lù n dis sotU us: Fò del de bu;
E lur: Addio nò,preghèH Siùr per nu.
\
DULim LOMBARDI. |||7
Avrì vési sui banchéd di brotte stampe
Ch'i fa vedi la mori del peeadnr,
I mez a quei d'iaoi eVel par cbM rampe
Fò de per tot, per iiiga grand^onùr;
Figùrèvla de lato in de sto lèé,
E che i diàoi I séa aeé tri btt sèèè.
E cose rè erapàt I sto avarù ,
Abandonàt e maladèt de tod.
A vóter, maé per i speciilassiù.
Che oli fa sole sd in d'ona peli de plòè,
Preparèv a sta mort buzerunassa^
Se mai gh'i daé de onge a fa robassa !
Sonetto contro un barbiere*
Gran telescopi e canocclàl ghe séa,
Spècùle olte fena cbM di lur,
1 è to£ insèma dna mincionaréa..
A la scoperta , de la qual so antàr.
Chi di studia e chi stddla astronoméa;
Chi rà stddiada, e i è za professar;
Chi sa diletta co la fantaséa
A contempla del siél f bel laùr;
Chi luna, sol e stele i voi vèd bé,
Fòssei a' Galilei, senza spetli,
1 vaghe de! barbér che gb^ dirò me ;
Che la minùr di so abilità
L'è '1 fa vedi I pianèé ac al mez-dc;
Figùrèv pò de noè cosa '1 farà !
Canzone,
0 Margì, salta fò del balcù^
Che d'amùr chilo crèpe, per tè;
No poss pio majà pà de melgù.
La polenta la m' par toc de fé.
1 tò dò i è dn dò de sietta,
Du balcù, dò lanterne del siél;
Se i osèi, 0 1 farfale i saetta,
I è Servio, no I ga lassa pid pél.
01 tò nas rè ù gropi che consula.
La tò bocca ù bechi de coràl.
Dove i grazie I basi i ga ridula^
C i fa ròm diventa ù siforàl.
IttS PARTE PRUA.
I cbeél, che iiitoi^࣠e fai trasse
1 ta fa so la crappa a taèll
De gogiù^ de spadlne osé spesse.
Del tò co i la del sol u fradòll.
Se pò adòss e s* la féss P inventare.
Dighe me che sostansa s'ta troa!
De granate e corài on armare,
E diamine iscondi£ in da boa.
Che brassòi, che spalotte, che éta.
De copa U faochinù pio robostl
Ohi che timpane, che calaméta.
Oh! che pòm in tei sarei dei boat!
Té sé léssa, lostrada, losenta.
Come '1 mànec de vanga o l>adél.
Te fé gola come ona polenta
Con Idanga, o sarda de iMréi;
Ma quat bela de fò té sé tota.
Té sé brotta, crùdela de dét.
Come pom che ùl schéfe, el riliota
Soto rosea che ingana la aét.
Per quat corre, che dighe e che faghe
Con tot me, té sé sémper i'istessa;
Té sé té « che té vo porta i braghe,
E té m" fé de priora e l>adessa.
Coi gogi t'ò compràt i sta fera
Sic ferree, dna rócca e. tri fùs;
E té sémper té m' fé brosca dera,
A te m^ vàrdet con tanto de mus !
"\
1712. Il più antico Saggio, che ci riuscì rinvenire in questo
dialetto ^ è la seguente poesia , per monacazione della con-
tessa Medea Griffoni S. Angelo, in dialetto ràstico, stampata in
foglio grande volante, in Crema dal tipògrafo Mario Gàrcano.
j4 la lùstristema signora corUessa MedOa Gr^ona SanfAnzol,
in del fàs monèga nel nobeléssem Conoét de S, Maréia de
Crema ^ col nom baratàt in sora Maréia QuintUia. Poeseia
de Zooàn Méneg Ottollàv de Gabiàj fiiàgol de cade so signo-
réia liistrissetna.
Me, eh' a so ùs a tend la vacaréia ,
Mé^ che de tetra n'ò stndiàt nagòt.
Cross de legnàm , de tengua rustegòt
Vegn chilo per deseòr in poeséia !
MALÉm LOMBARDI. Itf9
Ch'òi da fa? Ch'òi da di7 Dfsimel tu,
Muse bele, ch*'ilò da press al Sere
Bescantè, sfloreiè per quele gere,
E sonè issé blsare 1 calJssà.
Indichièm quatre bele serimonie,
De fa un preste! a qoela Signorina,
Ch^a s^è faccia monèga stamatlna;
Se no, per Bac, me dig de li fandonie.
Sente 'I me cor ch^al dis, di sn Menèg;
Almàc aviss la boca insfielierada !
Orsù, la vós sia druscia, o delicada.
Se tase un bòt, a m^ voi crapà ^1 stomèg.
Doca, con tntt'amór e reverensia,
Lùsirìssema signora me Patrona,
E col respè^ eli' a porte a Cà Griffona,
Scomenzarò con vesta e so liseniia.
L^i faccia pò mazenga in fi di fa^ ,
I lagàt a cà vesta li carole,
i dàt di pè de drè a li galofO,
Or, e mantù, e montére i tutt desfa{^;
Conteta v^ trovari; f6 di bodé,
Fò di perigei dell vanitit.
In sto convét ari la Ubert&t,
Che god chi sa servi Domenedé.
Sa poi fa bé per tùtt; ma fò del mond ,
Per serv^ a Dio, gh'è più comoditàt.
Chi capiss sta metifola, biàt!
So bé gnorànt; ma quel cb^ò di{^, i'à fònd.
Proverbe vegnit fò da un vertiivòs,
Ch'in zezlaU remirava la fònsiù;
Oh ! quat descòrs l^à Ai sera de vù ,
Parlind a un otre siòr issé sot vòst
Inzenociada zò a la fenestrela
Quand a sérev ilo coi oj; Inissì ,
A la (àza di Padre Capùssi,
L''à dìi subùt: Vardè na santarela;
Vardè quei Crosefiss chM gh'à portai;
L'è una bandera centra i diavoiàs;
De li pompe l'insegna a fi strepàz.
D'obedienzia model, e d^umiltàt.
Ma quel ch'ai diss, sui benedi li veste,
Per tegn a mét, gh'oliva un òm de tetra;
Manco mal ch'ò na gnùca che penetra,
E tra tate parole poss dif queste:
i€Q PARTE pftnu.
Li veste benedete i è ornamét
eh' a mostra la vertut de chi li porta;
Qucle i è ùn^armadura, che conforta
Contr'al demone brìilt e invlperét.
Qoei eh' a i v'à méss in co snévet xendài,
I è segn de cor sogèt, morti fldit
Dal vestimét modèst de Tonestàt,
Che spiega al Crosefiss d so travài.
Su la candela ch'i v^à dàj^ impixza
Un t>el segniflcàt al gh^à fa^ séra;
eh* a Ve na los intema che spiandóra,
E a la strada del siél T ànima indrixxa.
Al desfa de li trcxze incadenade,
Deslassà^ fó del co i Impedimétr
Pensér del mond i salta fò rabici^.
Nel daga jefre quele sfort)tiiide.
Amò n'àl d^ san quele bete trexxe;
Starév trop dina, se voléss repètl
A m'vé sut al gargàt, sa m^ strénz al pèt^
Gh'an saràv de cùntà de li bclczze!
In quela li monèghe tutt a un trà^
Li s'è messe a canta de li orassiù;
I ìètre i à fàj la santa vestistiù |
E 'I vertuvès de zezia fó l'è anà^.
Kestàt ilo me cola boca verta;
Li monèghe, chi s'miss a scampana,
Chi nava atorne al Coro a bescantà.
Piene d'una legréia tata sperta...
Oh! oh! so dàt in succia; b^a fornìla ;
Al vertùvós da bé gh'ò fafe xó i fùs;
Laghe '1 talér de pari, e so confùs.
Perché no gh'ò più fll de fa sta tila.
Inà^ perzò de mett in sac la piva,
M'angurarò la lengua de Pitìigola,
Per compì slu descòrs ch'ò mèss in tégola.
De grazia, dèm de scólt una faliva:
O mond, chi fa seguita, i è pur mà^l
De rose impè t'a de di gratacùi;
Trìboi e spi i è sempre i tò trastui.
Amar, e più del tèsseg renegàt*
Resta fó nò con tanto de barbazza
Sbcfàt da una zovnina vertùosa !
Col lagàt té, de Crisi Tè faccia s|H)sa.
Ciapi, de rabia mì^el la lenguazza.
DIALOn LOMBAaDI. 151
A vói cridà di viva sento milia:
Viva quel spirit, viva quel amor.
Che rà dki a Gesù tùt e! so cor!
E viva sempre sor Marèa Quintina!
ì. Sonetto in lingua rùstica del canònico Antonio Maria
Per Mònaca.
Ta pò fà^ ta pò di, ta pò briga,
Ciappi, bergnìf, demone desgraziàt;
Che più lòc no ta gh^è de sgraflgnà
Ste bel tesòr, che Tè de ma scapàt.
Mastéga por la rabia per bngà,
Come 'n cagnàss d'inferne scadenàt.
Come ^n luf che spaventa a lodolà ,
Come ^n drag che sigòla despiràt !
Za l' è franca in convént la moneghina ,
E de té no la gh^à miga fllù.
Se ta la scombattiss sera e matina;
Desséda temporài, saette e trù;
L''è con Crist, no Tà pura, e issò zoenina
Contra de té l'à un ànem de liù!
K Sonetto di don Giacomo Inzól, in lingua rùstica, per
èdica sul Gitidizio Universale,
Sonett,
Che prèdica, pùtàrdia! sta matina
£1 nost predicatòr i'à petàt li!
L^è prope jòna, per na smalandrina!
Da queie che fa slrènz el péeri !
Angei, profete, e pò aca la Regina,
E quel ch^ à faé ei mond in soi sés di ,
L'à faè parla toÒ scorazà^, per brina.
In sta manera come disc mi:
A la vai d' Giosafàt zòegn e vèÒ,
I bu da quei cattiv i séa divìs,
GiCista come i agnèi fò dai cavrèé;
^o rè pò quest el temp d^alzà i barbis!
Vòtre ch'i faé del mal zò coi folèò;
Vòtre eh' i faè del bè so 'n paradis.
». In Saggio del dialetto e della poesia cremasca dei nostri
porgiamo un sonetto dell' abate Felice Màsperi
tot
PAETE PRUA.
e la versione di dae Anacreòntiche del VittoreHì fatta dal pro-
fessore Rocco Rocchetti nel dialetto men rozzo, proprio della cittì.!
SonelL
Nane, tmpéssa la lom, che rè za sera;
Ga di8 8Ò dèda; e Nene, che rè n'oca,
eoo tota flaca la mett zò la reca,
E la n^ fa jona che par gnaca vera.
La va e Timpéssa la so I5m, che l'era
Tacada a 'n clòd^ Tal tol an mh, fa'! moca.
Pò gira e gira, senza derv la boca.
Che la paria na stàtua da sera.
La varda da per tot, da bass, da sarà,
Fina'n quel bus dee f té ròle e H rls.
L^avrà spindlt ansomma p5 d'*nn'ura;
E dopo aiga dàt tòte le próe.
La sa volta a la dèda, e la ga dls:
L'ala té le la lom? Me no la tróef
jénacreòntiche.
f.
Varda che bianca luna.
Che nott spassada e netta!
No tira un pò d^ arietta ,
No trema d'erba un fil.
El rosignòl gh'è doma
Che se lumenta e vosa;
E par, che la morosa
El ciame con un tril.
Le, che Tal sent a pena.
La ve de foja in foja,
E la rispònd de voja^
Poci, no pianz, so' che.
Che spass, o Dorotèa,
Per quele do bestiole!
Ma té con ste parole
T'è mal respèst a me!
2.
L' insògn de stamatina
Sent, sent, o Dorotéa:
Ghiera con me la stréa,
Sérem in d'un ponciù;
La veccia stréa rampina.
Che, qnand ghe ve la stéssa,
El sumèlec Pimpéssa,
E la desséda al tru.
Marna, gh'ò dét, le coste
Me brusa una gran flama;
Con quac rimede, o mama,
Guaréssem, per pietà!
Tacca, la dis, le poste.
Impianta una fùrbetta-.
Sta sert, che mèi risetta
Per té la stréa no gh'à.
BreMclano*
ittttO. La più antica produzione, pervenuta a nostra notizia ,
ia questo dialetto, è un opùscolo intitolato: La Massera da bij
perdrUta Jom Fior da CobUU^ stampata in Brescia nel A554, c^
DULVin LOMBAEDl. 165
lìstunpata poscia più Volte. In questo poemetto una Serva insegna
alla Padrona le varie maniere d' apprestare e condire le vivan-
de. Ed è seguito da una Canzone villereccia, intitolata : Jlfa(t-
fiada, Uest Slratnbòg che fa il Gian alla Togna. In fine dell' o-
pùscolo stesso lèggesi spianto segue: «Questo libretto s'è havuto
da Messer Galiazso dagli Ond, già Cancelliere delli Magnifici
Signori Martinenghi della Palada in Brescia , 0 quale disse ha-
Terlo trovato a Cobiato, in un camerino del palazzo del clarissimo
signor Cavallìero Mariotto Martinengo buona memoria, al tempo
del sacco di Brescia «.
Essendo noi pervenuti, dopo molte inàtili ricreile, a possedere
questo rarissimo libretto, ed avendolo sottoposto a scrupoloso
esame, in onta ad una congèrie di errori tipogràfici, che ne rèn-
dono malagévole la lettura, e sovente oscuro il significato, vi ab-
biamo rinvenuto molte forme esclusivamente bergamasche, fram-
miste ad altre esduaivamente bresciane. Onde siamo d'avviso, che
questo dialetto, anziché bresciano, dèbbasi riguardare, come un
misto di bergamasco e di bresciano, appartenente a qualche villag-
gio intermedio, ove i due dialetti si fóndono. In tale supposizione,
potrebbe èssere per avventura il dialetto di Onmovi, patria di
quel Messer Galiazzo, dal quale s'è avuto il libro stesso, e che
n'è forse l'autore.
Onde gli studiosi possano proferirne più maturo giudicio , ne
produciamo in Saggio la Mallinata^ ed un brano del mentovato
Poemetto.
MatinadQj idest Strambò^ che fa el Gian a la Togna,
ElPrim.
Madona, Amor si m^à condùt chilo
Sbrìet ad alta vos canta strambò^,
Chiloga stravacat al vent la not
Per daf piasi » Madooa^ quant am' pò.
Vó stè in del let al cold, mi m^ sta de fò.
Perchè Tamór si m^à brusàt e cot;
Am^ fa di matlnadi per piasi
Co la gringa, el siiblul, el tamburi.
El Segànd,
Quand a f sguàitl» Madona^ quel bel mùs ^
Ch'a gh'ì casàt ol 06 fò dot balcù.
L'è lesi litsél Godsèla, ch'ai sberius
Da la ceiosia fina sul cantù.
154 PARTE nmu.
AI ve tamàgii splendpr fò per quei buf >
Che manda quel vos pèt con quei tettt,
Cli^a i m'ii passat ol car co li rais,
Cb^al par cbe siagbi après al tò bel tÌs.
El Terz,
Oh! quant senti d^amòr quel Yeretù,
Gh^a mWegn con tal furor in dot ttomècl
E fo6 rè a quel, Madoua, la caaù
Cbe m^à fai tage no^ selà de frèt;
Alora quand a m'dèssef quel sgnaitù,
Cun quel snspir d'amor ch^af del bagèt,
A m^ senti al cur taj( rasp , piche e rastèi ,
Ch'a gh'ò lassai la miola di bùdèi.
El QuarL
Quand ò moli bé comprìs el vos faciù,
Cb'a V* ò smina dal co fin ai calcagn.
Quei u^ che par do bus lazzabotù ,
Gun la maseherpa in seri per dò compègn,
El nas che m' fa somià 1 cui d^ un capù ,
Casù de mia achigitta, e pena e lagn,
Cun quel odor aprèss de scalmani.
Che m^à mess in angossa de muri;
El Sic.
Quand consideri bé quel vos slomèc,
A m^s'a cumàf ol sang al Ira^ plùmér,
Ch^a rè icsi blan, lesi sgùràt e net,
Cbe m' spreghi el fos el cui d'un carbonér;
Cun quele beli spalli da zerièt.
Ch'il fa giazzà le predi di zenér;
Quel bochi zavatù, doja, malàn,
Ch'à icsi ferul d^amór la Togna e '1 Gian.
ElSes.
A m^à cantàl fin sfora taj( canzù,
Ch^a gh'um sfit la lunèla in dol magù.
El Set
O bé, mo za ch'a m' dig ol bojamét,
Sherpa mo in p6 i orè^ al me salmù ,
A la presezia de sta bela zél.
Qui circumspèi ruzà^ in d' ù montù.
So^ol Gian, che Tò servida fedelmét,
Quand che no l'abi breca compassi ù.
E rè di agn sés, e riva aprèss a set
Ch^ a m* cala per tò amor su sto cantù ;
Tu m' vedi sobrlnàl dillo dol firèt,
B ti no f fé dol Gian cas d'fin marehèt.
DiALrrri lombardi.
105
vpn Strambò^,
Togfia rè fosc, rè ol tep d'andà a dormì;
M^ora nò no bui vìa i me parai;
9ò piir, Togna, el tò Gian, e a^nol vù cri.
Fa la sperienaa de qua! bé ch^a Tvoi^
Pota de rantecùr, scùgne pur di.
Tu vu Inquarna the volli earla o foÌ ,
E so bé mi; che poss erapii e muri ,
Per té, strìazza, de l'afàn ch'a m' toi.
L'amor dol tò bel goss blan e tamàgn
M'à Cat brusà dal co fin ai calcàgn.
S' tu vu, Togna, ch'am canti ù l>el «anxù^
Sporz fura ol co de russo, o dal balcù.
Elfi.
La Massera da-bé.
Afosi. Brigada, za, za lu^,
Faméi, masséri e pij(.
Corri, corri, corrét.
Corri za prestamét.
Che vói di una cani ù ;
Za tùj( in d'un montù.
Na m' derumpì ol parla ,
Conzèf qui tufi da ma.
Che la posse sentì;
Orsù più no fmovi.
Note bé el zanzum.
Che impari un costùm
De quei che no sen somna.
El fò un trat una fomna
Che cercava guadàgn;
Strazzada, senza pagn.
Brutta come un zavàtt,
Pelosa come un gatt ,
La pari va in del volt
Ù mesorèi de polt;
L'era pò tal più accorta;
La vegn batti a la porta:
Che zós de eà, dò nfT
E n' respónd: che voHf?
Ptmltès eazùf in cà.
Mad. Bondi, madona mia.
Um. Che siff che andè fazàt.^
Bioé. B 80' Fior da Cobiàt;
Vigne! icai de dét,
El m'è v^sAul talét
De vegnif a trova;
Ó Intés che (è fila;
Vegn mi da vó per quel.
Ò tolt ac sto sacchèl
Da logài, se m'en de.
Mas, Perché no so che f sic
No vorìf quas falà;
Che, quand l'ò fò di ma.
Che no foss pò scottada !
Mad, Oh! quand m'ari pruada,
Vedri le mie bontàt;
Si bé foss da Cobiàt ,
E so' perzò fideta;
L'è bé lu ver eh' a m' steta
Nu m'^vul perzò roba;
oc* 4 e& • eo* % 6c.
1820. Non avendo potuto rinvenire veron' altra produzione in
^esto dialetto <) balziamo d'un salto dal XVI al XIX sècolo, nel
t]uale il solo Quaresimale dell'avvocato ìiOltieri, distribuito in
100 PAATB PMMA*
•
quarantaquattro sonetti, comparve alla luce. Mentre por|
uno di questi in Saggio^ cosi della lingua, comedi tutta Vi
del Lottieri, godiamo di potar soggiùngere una versione tal
inèdita della Paràbola del Figliuol Pròdigo in sestine hres
del celebre scrittore Cesare Arid, nella quale è miràbile
gegno col quale seppe accoppiare alla versione letterale la !
taneità del verso e la pureiia del dialetto!
// Mercoledì dette Céneri.
901fBno.
Memento homo quSa puMs et
Encu sui polpe^ tuna i onitùr:
Parole che mett frèd, spaènt, orrùr
A chi no pensa giusta ai brut strambés!
E, ascoltante se ghe féssem su riOès,
No! regnarèf el maladètt umùr
De tuss nel canioàl I sonadùr»
E la qual dora Pan tutt a la pès.
Pur» rè pòc rèss de pólver ampastàt,
El più importànt a l'è quel reverUris,
Col qual flniss el test sura sitèt!
Oh! tristo, Oh! avaro» oh! òm spropositit!
Che diset a sto oolp de reverteris?
Ne èl forse on laùr de dienti mat?
El fiól di89ipù.
SERINB
Ghiera dna otta 5n òm eh^el gh'ìa da sèèé:
On de '1 pi5 tàen el dis al so bobe:
Boba, dèm quel che m' tocca; e 1 pòer vè£
El ghe fa la so part» e '1 ghe la dà.
Poe de dopo» con tot quel ch'el gh'ia it.
Dai so boba '1 pio zùen rè partit.
E rè nat bé de lonz, e là'l vivia
En d'dn gran lusso» e 1 v^Jò ma M fatt so.
Entànt l'è ignida dna gran carestìa»
Ghe ac ai pio ree la fàa grata sol co;
Pòer flol ! pensèga ,oàlter che pati !
ÌJ Iscé bé no iga pi5 ù quatri!
MAUm LOMBARDI. 1117
La fam la cassa '1 lof zó dia montagna;
EI pòer zùen l'è nai a fà'l famèi,
E da on patrà ch^el la tignia ^n campagna
Pefché'l menéss a pasoolii i porsèi;
Dóe spess el s^engoràa ^ d''dn porc a' lii,
Per sassiii co le glande el so dlzu.
On de che squase no 1 podia sta 'n pè
De la fiachessa, el gh'è saltai in ment:
En^«asa del boba i gbe mangia bé
Ta£ servi tur» e no gbe manca niént,
E me sto cbé a mori de fam ! Ab ! no:
Naro del me boba e gbe disarò:
Boba,'*! so cb'ò fai mal, p5r Irop el so.
Che v'ò offendit vò e pò a^ el Signur;
Me no mèrete pio de sta cbé amò
Come vosi flòl! tegnim per servllùr ;
Abl boba, issé sfinii e issé sblndù»
Disim y no ve lo miga compasslà?
E l'à Ioli s5, e rè nat del so boba;
E Tera amò de Ioni, qnan cb'el pòer vèè
Cb^el ria podit appena figura,
El gb' è corril enconira, e col brasa sirèé
El rè dapàl, e per èl gran contèni
El rè base, e noi podia di niénl.
E lu 1 disia: bobe, por trop el so.
Che v'ò offendit vò e pò a' el Signor;
Me no mèrete pio de sta cbé amò
Come vosi fidi; tegnim per servitùr.
Ma'l bobè'l clamò subet i famél,
E 'l gbe dlsè: Porte 1 vestii pio bel;
Porte Panel, le scarpe; lò consèl
S5, come l'era ^n prima ch'el néss via;
Né a lo on vedèl bel grass, fé presi, copèl;
Voi che mangiome e steme en alegrìa;
El m^era mori, e Tè resòssitèt,
Gh'ie perdii 5n me fidi, e Tò trovai.
El tome intani dal ciòss el fiol pio grani.
Che i era zè rM a mes desnè;
E a sta de I5ra, che s'sinlia tòt quant
El gran bodéss de quel sona e canta.
No n sia capi gna' lu quel ch'el fodera;
E '1 domandò a 5n famèi cosa i se féss?
H8
PARTI ntUIA.
QvAiid ri saalH» che de mangiàa fin veder,
E eh'el tiobà Tera cose contént.
Perché Tera tornii el so f radei,
Enrabiàt fiol velia piò gna' nà dént;
E quand ch'el aò hobà per quietai
L''è leàt so e rè egnii lù a ciamàl.
L'è dal fora, e '1 gh'à dit: a i è taè agn
Che ve obedesse, e no mM dal gnamò
Gna' òn cavrìt de mangia coi me compàgn;
E a lù , che l' à fat fora iott el so
'N le fomne, adèss ch'el ve, ghe fé eopà
Òn vedcl , e ghe de de sto disnà !
E '1 hobà el gh'à respòsi: Ma té to sé
Sèmper con me, car el me fiol; la mia
Roba rè roba tò;.ma me gh'ie bé
De fa òn bel past e sta 'n santa alegrìa ,
Che me gh^ìe pers òn fidi, e P ò iroàt,
El m'era mori, e Tè resdsaiiài.
Cremonese*
Nell'assoluta mancanza di produzioni letterarie in questo
letto meritévoli d'essere prodotte, trascrìiriamo^ per Saggio
lingua, un brano d'una stucchévole Bosinada publicata neir
no 1800 coiitro i Giacobini, ed un brano del Diàlogo ma
scritto, e da noi testé mentovato, fra due Serve.
a-
di
0-
1800.
Bosinada Cremonesa,
Me mei vòs imaginà.
Che la ladra libertà
LMva pò d' andà a feni
Con di guai da fìi mori.
Ecco adèss, ecco el bel fén
Dei fanàtic Giacobén ,
Che se fiva rispetà
Come tanti podestà!
Pari bandii, pari in presòn.
Sarai so come i capòn
A spetà la soa sentenza ,
Per fa pò la penitenza
Dele soe iniquità;
Vel possìves figura!
Vòster dan, se gh'i di guai!
Imparò, toc de sonai,
A fa meni a di birbóni
Che fa guera fina ai Sani;
Imparò a fa i prepotèni,
A roba Por e l'argèni
Ale case del SÉgnòr,
E levaghe anca Tonòr;
Toc d'ind^, senza pietà
Andò adèss a venera
Quel bel vòster capital.
La briola In sima al pai.
Ande adèss a despojà
Le famiglie, e fave dà
DIALETTI LOMBARDI.
4 00
Le camise e i Ictt fenit;
Paghe adèss quel ch'i godit.
Se in galera crepari ,
Vòster dan, ve torni a dì;
Se ne si cumpassìonàt
Da nessijn, i^i roeritàt.
Che n^abbiè anca da Ani
TanU e tanti, son per dì,
Con vergogna e confiisiòn ,
Tacca sùsa a pindolòn,
Come I lard , come i salàm ,
A mori col nom dMnfàm!
ec, ec, ec.
Diàlogo fra due serpe.
Teresa, Margherita.
7>r. Ve saluti^ Margarita!
Mar, Oh! ve, ve! la mia Teresa!
Ve saluti; andè fa spesa?
7>r. Tùtrel de me fo sta vita,
La mia cara Margarita ;
Sèmper curri inànz, indrè,
Fo tnittade da lacchè
Per la strada e per la piazza,
E ne so cume me fazza
A sta In pè 4 che ne me mala;
E vò, flola, come vaia?
Mar, 0*r gh'è mal; insé, via là;
Ma vò pòc fora de cà;
Ma fò miga la pujana;
Mangi ben, e me sto sana;
Adèss vò cussé pian pian
Da Fatùtt a tó del pan.
Ter, E me vò sul MercadèI
A tò '1 ris da Sìgnorèl.
Mar, Andòm donca, flola mia.
Se pudùm fass cumpagnìa;
L'è^n gran pèzz che ne v'ò vista;
Stè amò là col siur Batista?
Ter, Pensè mai! Se me ghc stavi
N^ alter mese, me malavi.
Quell'avaro, per risparmi,
El me fava sta a dormér
In na stalla, in s'ùn pajàzz;
Senza gnanca en materàzz.
Mar, Oh! che can! oh, che padrón
Oh che basa-tavelòn !
Sti co bass, che fa '1 beat
Jén avari renegàt;
I fatt ben a licenziave.
Se ri fatt per ne malave;
Stari mèi dove stè adèss?
Ter. Fiola cara. Tè Tistèss;
0 saltàt, come dis quela
Dal lavéz in la padela.
Che gh' è trop da fadigà.
Mar, Sì ben matta a seguita;
Licenziève, barattève;
Ma disime: cun chi stè?
w
aB<^'
CAPO VI.
Bibliografìa dei dialetti lombardi.
lflUIII9l.
Fflolaaro. Solasiiosa comedia d'un atto solo , senia dfoUniione di scene»
^ vario metro, e mescolata di molto linguaggio lombardo. — Bologna ,
^ CMS di Maestro Girolamo de* Benedetti , imo, in-8.^
Opera jocunda nob. D. Joliannis Georgii AUoni Astensis, metro madia-
'^co, materno et gallico composita. Impressum Ast per Franclscom de
^^. anno Domini imi. — In quato Udrò fròpostf la Farsa del Bracbo e
^^ Milaneiso Inamorato in Ast, nella quale il Milanese parla il proprio
dialetto. Fk ristampalo due volle coi seguenti tìtoli : V opera piacevole di
^rgio Allione. Asti, per Virgilio Zangrandi, leoi. In-tt.^ — L^ opera
piacevole di Georgio Allione astegiano di nuovo corretta et ristampata In
^ti , el ristampata in Torino per Stefano Manzolino, i6S8. Queste due edi-
zioni per allro non contengono, né i componimenti francesi, ne I quattro
^limi piemontesi della prima edizione, già fatta rarissima, e la lingua fu
^ atnbedme ritoccata e rimodernata. Scrissero intomo a questo libro An-
^i^ta Bassotti, nel Syllabus scrlplorum Pedemonti! , CMesa Agostino nel
^tàlogo di tutti gli scrittori piemontesi. Grassi Serafino, nella Storia della
^ttà d'Asti, f^aUauri Tommaso nella Storia della poesia tal Piemonte , ed
^^'. Un esemplare completo della prima edizione fu venduto in Ingioi'
's^ro 700 franchi,
11 Muratore. Gomedla Busticale Lombarda , nella quale si eootiene
^^e un Villano e un Muratore si partono da lavorare per voler diventar
>^eehi, e eome furono fatti ricchi; ed itaa Epistola d*Amore. In Slena, ad
^starna di Giovanni di AlessandroLibraro; adi «8 di settembre, laai^in-e.*
Tonio e Pipo , il Contadino e V Oste. Comedia In dialetto lombardo.
^enza veruna indicazione tipogràfica,
Varon Milanes, de la lengua de Milan, e Prissian de Milan, da la par-
vtoazia mMifina. — Milano, f aoa, per Giacomo Coma Ivi sono eoiOmuti
*arìi Sonati del Capti e del Biffi. Parecchie edizioni furono publicaU del
i79 PARTE PRIMA.
Varon Milanes, delle quali la prhna in Pavia, pel BàrMi;poi fu riproàttl
colle annolazioni ed aggiunte di Giuseppe Milani; la terza, col TVollol
della pronunziacela tette indicata del isos. Una quarta vide lahieeinM\
anoj per Giuseppe Marcili, nel i76o; e la quinta nella Collezione delle m
gliori òpere scritte in dialetto milanese. — Milano, per Giovanni PlroUi
1816. Voi. I.
Nova cipollata in lingua rustica milanese. — Milano, 1616, per PandoU
Malatesta.
Navarineida. Descors intorno a la resa de Brada in despresi di Navarì
nostran, dà in lus da Batista de Miran, 16SS.
Bradaineida. Ragionamento fatto in lode di Bredà di porta Nuova, te
composto da Andrea da Milano. — Milano, per Pandolfo Malatesta, scai
r anno.
Il Lamento del contadino sopra diverse arti , ec. »- Milano, per Pandol
Malatesta. Senza data (i62«-S7).
Lamentatone che fanno Baltramm de Gagian e Bauscion de GorgoniÉ
sopra 1 presenti tempi calamltofl, ec. — MUano, teso, per T erede di •
B. Colonna.
La Cena. Milano, per G. B. Malatesta, less. — M iràfmui dm tanfi
di Beddassare Migliapocca in dialetto niiUme»e,
La mascherata fatta in lingua villanesca, per Tallegreiza dèi re dei A
mani contro a^Navarrlnl. — Milano, I6S7, per Dionisi GarlboldL QiMiÉi
ima ristampa.
Raccolta di sviscerati aCTetti , e breve racconto delle allegrene fÉMe.i
Milano, ec., per la resa di Vercelli. — Milano, fesa, per G. B. nai^f^B^
Questa rruxoUa amliene varie poesie milanesi,
Discors faa da Marfori e Pasquin sora l'assedi de Lerida, sooorsa dal al
Marches de Leganes e i so soldaa, con la rotta delParmada franaesa. — ■
lano, per Lodovico Monza, 1647.
Girolamo nemico della fatica. Gomedia. — Milano, in-ia.** SesuM éÈh
La Superbia umiliata , con Girolamo. Comedla. — MilaMS tiHii
Senza data,
11 Segreto, con Girolamo. Comedia. — Milano , In-ie.^ Senxa data,
lie feste dell'Adda per T Ingresso di D. Francesco Maria Siona IFiaeai
ti, ce., al marchesato di Caravaggio. Racconto di D. Adanlro Joruu^
(AdrUmo Majoraggio). — Bergamo, i6«i, per Mare'Antonlo RosaL M a^
vasi una poesia milanese.
Poema in lingua milanese per Tiirrivo della serenlssinui Infuita Martli
rita d'Austria moglie di Leopoldo Cesare. — Milano , pel GhiMlll , !••
Questo poema anònimo è di Onofrio Busserò.
Terzetti nuovi per ogni stato di persone. — Milano, per Gina.
Malatesta. Senza data.
Gkl lui Donna ha Danno. Opera di Tomaso Sant'Agostini. — «^
il Honaa, tevo, lo-is.^
DlALem LOHBARDI. 4 75
/onaflionui In villa, iiensand d'ess correspost , se Iroeuva ingannaa. So-
nfUo di I. M. — Milano, pel Randellati; tenza data.
Poesie Tarie toeeane e milanesi di Carlo Maria Blaggi. — Venexia, 1 700.
Voi. », ill-8.*
Commedie e rime in lingua milanese di Carlo Maria Maggi. — Milano ,
i7df . Voi. 4 In-ta.^
Lo stesso. — Venetia, i708, e Milano, if il.
Kuova aggiunta di varie poesie, sì in lingua milanese, come eroiclie»dl
Carlo Maria Maggi. — Venezia, f 70i.
Sora la noeuva sparsa dal Navarin che tomen i Franzes, Sonett. — Mi-
lana, t70«, per Pandolfo Malatesta.
La Sala degli Incanti. Opera di Sottoginio Manasta {Tomaso Samfjitfo*
ilìNo). — In Cremona, nella stamperìa del Ferrari, t7oa.
La Tartara milanese , o sia il Navétto di Baltrame da baggiano. Alma-
oaeeo per Tanno 1714.
Bosinade di Gaspare Fumagalli, stampate separatamente in Milano, verso
il itm; per Francesco e per Carlo BolianL
Raccolta copiosa dMntermezii, parte in lingua milanese. — Amsterdam,
ITU. Voi. t iB-lt.^
Due Sonetti di Giuseppe Clerici Rossi. —Milano, pel Montano, seiua dolo.
La 2aiiforgna infreglada in boca a un pegoree de quii nostran, ec. Lu-
nari per rann biscstil 1794. — In Milano.
Relazione nuova sopra la pace fatta tra la Francia e rimperatort.— -Mi-
lano, pel Selonloak Sinza data.
Lacrime in morte d'un gatto. — Milano, pel Marcili, flf4f . Qiinròpera
ptèlicata da Domenico Balestrieri contiene alquante poesie di vari autori
in dialetto milanese.
Umm milanes de Meneghin Balestreri acadeyech trasformè. — Milano.
H44 , pel Ghisolfi.
lime per la professione religiosa di donna Giulia Sorniani. — Milano ,
1748, per C Giuseppe Ghislandi. Ivi trÒQonsi sei Sonetti^ del Tanzi, del
BekUrieri, del Simonella e d'aUri.
Il flgUool Prodigo {di Domenico Balestrieri), — Mììajìo, 17 47, pel MareUi.
Lo stesso, oolla versione in verso toscano di G. B. Calvi. — Milano, i7aa,
pei Ghislandi.
Poesie per le Nozze Luvini-Barbavara. ^ Milano , §748, per Giovanni
Montano.
U Borlanda impasUcciaU {tniblieala dal conia Pieiro Verriy — Mila-
no, 1781, per Antonio Agnelli. Contiene un Sonetto in diaietto milanese.
Poesie per le Nozze Durini-Rufflni. — Milano, I78fl , per Gius. Ridilno
Mnlatesta. M trovasi un Sonetto del Tanzi ^ ed uno del Bakstrieri, in
dtsIeClo wUUmese.
n Menegliln Decan {Pietro Cesare Larghi decano dei tegrttarii di Co-
^^tnio) a soa zellenza el sciur cont Gio. Lucca Pallavisin , ec — Milano »
17% PAETK PRIMA.
per Gtos. Richino BlaUtesla. Senza data (i75t-ii4). Jtame feitfne te dfc
/el/o miUmne.
Versi per la signora Archilde Naturani , che veste r aMIo relIffoM. -
Milano, 17 US, per Antonio Agnelli. M iròposi un Sonetto del TknzL
Versi per la vestizione monacale della signora Archilde NataraBÌ.-*-H
lano, 17114, per Antonio Agnelli. Tt $i trovano quattro Somiii del
Poesie per monacazione della signora Agudi. — M pure
Sonetti in dialetto milanese.
Alegreza fatta da Beltramo da Cagiano sopra la bondanza» ec, in
rustica milanese. — Milano, per G, B. Malatesta. ^eiiza data.
Alia virtuosissima signora Caterina Gabrielli. — * Milano, itm,
tonlo Agnelli. Poeeie raccolte dal Tanti , fra le quali trò^atui ira Semaio
del medèiimo in ditUetto mitanese.
Le due eeguenti poeeie del Baketrieri e dMOltoUna, fiurono eariUe ma
tro il P, Branda barnabita che leste unapùbUea Dissertaziene coniru
che icrhono in diaietto.
Brandana , ossia la Badìa di Meneghitt , ec. Poesie di Domenieo
strieri. — Milano, I760, per Antonio Agnelli.
Baltramina. Sestinedi GarPAndrea Oltolina. — Milano, pei Malatesta, if «i
Le cinque poetie teffuenti furono dettate da un certo dMer Gamàkti
in difesa del P. Branda^ contro te precedenti di Balestrieri e li'OftoliM.
Meneghin Gambus del Poslaghett a la Badìa. — Milano, per Giat. ■■
zuechelli, I760.
Sposa Luganega miee de Gambus a Baltramina. — lfliaiio»per Gioten
Mazzuochelli, 1760.
Meneghin Boltriga del Borgh di Goss a la Badìa. Sestine. — MUano^ pi
Mazzucchelli , fl7eo.
Meneghin Sgraffigna del Pont-Veder, al meret Imparegiabel de
Tandoeuggia, Sonetto. — M,
Meneghin Tandoeuggia a Meneghin Gambus. — Milano , per Gius.
ganza, 1760.
Ottav milanes recitaa a Mombell da Meneghin Balestreri , ec. —
I76S, per Federico Agnelli.
Poesie per vestizione monacale della nobile Regina Godognola. —
senza data. Ivi tròpansi alcune Sestine del Balestrieri in dialetto
Poesie milanesi e toscane di CarPAntonio Tanzi. — Milano, ifom, pt
Federico Agnelli.
Poesie in morte del rev. don Giuseppe Ciocca. — Milano, 1766. M Irì
vansi diverse poesie vernàcole,
tHmùSL Perla. Gomedla in tre atti di MolarlgoBarigo(G<ró(aiiio Almio)^*
Milano, pel Nava.
Strambott de Meneghin Foresetta , in occasion del matrimoni de la li
strissema sdora donna Carolina Carchena col scior don IseppGiteh.— V
lano, «768, pel Bianchi.
DIAUttl LOMBARDI. 175
GonpooimenU in morte del conte Gius. Maria Imbonati. — Mliaiio, per
Gius. Galeazziy 1769. Kt si Iròmno due Sonetti ed una Canssem di Dome»
Poesie per la professione religiosa della signora Claudia Folli. — Mila*
no, fiWB, per Antonio Agnelli, f^i $i legge un Sonetto diGhu, Bouari in
diaieiio «rfldnete.
La GemsaleBBie liberata travestita In lingua milanese da Domenico Ba-
lestrieri.— Milano, 1772, perG.B. Bianchi. Voi. 4. La «fessa fu ristampala
nd weffuaUe anno it78.
Poesie In lode di Rosa Brambilla che si fa monaca. — Milano , pel Mon-
tano. Senstm data, M tròoami due Sonetti in diatetto nUlanese.
Et prim Cant deirorland fùrios deirAriost tradott In lenguace de bu-
seeoon da Master Linoeuggia (fVoncefco Pertusaii) ficsu della eomaa Seiam-
pana. — Milano, per Giuseppe Maixucchelli , 1775. tfel prineipio del libro
irèptati UH IMaiegh tra el Llmmiggia e la eomaa Sciampana.
Rime toscane e milanesi di Domenico Balestrieri. — Milano , i774. Vo-
lianl a fn-s.*
11 Meneghino critico. Mmanacco publieato da un certo Sommaruga per
q^^dsuUei eÈmi conseeuUpi, cioè dal t77S al 1789. ConUene molte pregévoli
jBoet te milanesi.
Poesie per le none Talenti-Castelli. — Milano, i77e, per Antonio Agnelli.
GmlUne alcune Sestine milanesi dell' ab. 6. B. Grossi.
Et Mlrabdl , Deliiia sontuosa del cardinal Durini , Ottave. — Milano ,
1778. Stamp. Malatesta.
La Rateila. Intermezzo diviso in due parti. Senza data, né stampatore.
Componimenti poetici per vestizione monacale di suor Marianna Bellasi. —
Lugano, 1778, per gli Agnelli e C. /W tròn^ansi due Sonetti in dialetto
mianese.
Per nozze Anguissola-Stampa. — Milano, per Gaetano Motta, 1779. Com-
pmimasii poètici, fra i quali due sono in dialetto milanese.
Lyra fnnebris, in morte del Balestrieri. M trovasi un componimento mi-
ftmese intitolato: La mort de Meneghin Balestrer scritta a l'abbaaCarPAn-
dreja Oltoilna d'Amsterdam, in d'ona lettera del 17 giugn 1780. Questa
poesia è di Carlo Grato Zanella.
Sei Sonetti milanesi di Giuseppe Carpanl sul soggetto della comune tri-
stezza (la morte dell'imperatrice Maria Teresa). — Milano, 1780.
Bora la mort de la fu augustissema nostra patrona {l'imperatrice). Can-
zon milanese di L. M. B. — Milano, per Giuseppe MareUi, 1781.
Notizie Letterarie, Giornale. NelVanno ii 94 trovami lef^ersioni in dia-
UUo milanese d*un epigramma di Catullo e d'una fàvola di Marmontel ,
per òpera delPab. Morondi.
L'inganno in casa dell'ingannatore. Commedia per Tanno i78i(. — Mi-
Uno, per G. B. Bianchi. Ivi i personaggi parlano varii dialetti.
Pel ritorno delle. LL. AA. II. RR. l'arciduca Ferdinando d'Austria e i'ar-
47ff PARTE PRIMA.
ciduchessa Maria Beatrice d'Este, Ottave milanesi d'un milanese {GHuqiipe
Carponi), — Milano, pel Marelli, 1786.
Al pìttor Pietro Gonzaga. Sonett sora on scenari che rappresenta ona co-
sina. — Milano, per G. B. Bianchi, 1788.
Giudizj de Meneghin tra i do Lill. Sonetto alla danzatrice Cateriiui vy-
leneuve. — Milano, G. B. Bianchi, 1788.
I Gonscj de Meneghin a Cech e Betta. Almanacco per ranno itm. —
Milano.
Sonetti per gli sponsali dei figli di Ferdinando arciduca d^Austrla. —
Milano, 1789, pel Pirola.
Sestine sulla macchina areostaUca alzatasi In Milano 11 i9 giugno I79i,
di Giuseppe Garpani. — Milano, pel Marelll, f 7»i.
Poesie per le Nozze Saluzzo-Belcredi. — Pavia , 1799. M frÒMicl tdMi
poaia milaneie di Giuseppe Bemankmi.
Quadro della caccia generale data in occasione d' una fiera cbe Inietta
le campagne del ducato di Milano. — Milano, 1 799.
El Lavapiatt de Meneghin ch''è mort. Almanacco per gli anni t799-#9w—
Milano.
Le glorie delle armi Austriache. Versi milanesi con note. — Mltano , per
Francesco Pogliani, i79s.
La Batracomiomachia d^Omero. Parafrasi in Ottave milanesi del P. Ale»-
Sandro Garioni. — Milano, pel Motta, 1799.
Per el sposalizi Gaccia-Martignonl, quatter vers alla sposa {di Carlo Gr§io
ZaneUa), — Milano, per Gaetano Motta, 1798.
Rime milanesi e toscane pel ritomo delle gloriose armi Auslriache In
Milano. — Per Luigi Veladini.
II B9rgo degli Ortolani. Almanacco per Panno 1794. — Milano.
Per Laurea in filosofia e medicina d'Angelo Martinelli. Versi milanesi di
Giuseppe Bemardoni. — Pavia, 1794, stamperia Cominiana.
La gran torr de Babilonia. Almanacco per Fanno 1799. — Milano.
Poesia per Laurea in ambe le leggi di D. Gabriele Tosi SiuHMielta. —
Pavia, 1799, per Baldassare Cominl.
Ode a Silvia di Giuseppe Parini , colla versione milanese di FTanceseo
Bellati. — Milano, 1798.
Quattar quarUnn per el sposalizi Ricci-Ceruti (dt C. Grolo ZaneUa). —
Milano, per Qio. Bemardoni.
Rime mUanesi di Domenico Balestrieri. — Milano , 1799 , colta stampe
del monlstero di s. Ambrogio Maggiore.
El Verzee de Milan. Almanacco per Tanno 1799. — Milano.
Invid a la Malizia. Componimento pregévole, senza data, ni sfamjNUIorv.
Lodi alla nazion francese. Versi di Francesco Nava. — Milano , pel 8ir-
tori, 1796.
Quatter rimm de Martin Tacoogn , per el sposalizi della zittadina
fletta Besozia coni el sdur don Francesco Grass. — Ulano, 1797.
DIALETTI LOMBARDI. 177
Alla sdurt D.* Carolina Pertusada Sertoli, miée del sciar D. Zèser Sertoli,
d IO papa {Francesco Pertusati). — Novara, f7a7, tip. Vescovile CaTalU.
La setlimaiia grassa con la prima domlnega de Quaresima. Almanacco
per Tanno 1787. — Milano.
Versi milanesi di Girolamo Costa, in occasione delfinnaliamento delPal-
bero della libertà in Piazza Fontana. — Milano, 1797.
Invid al popol de Milan per la festa della resa de Mantova. — Milano ,
I7a7.
Per el matrimoni Giani-Pertusati, Sestinn milanes del pader della sposa
(fVancefco Pertutaii). — Milano, 1798, per Gius. GaleaiiL
Il trionfo democratico, di Girolamo Costa. Senza data, né tiampatore.
Versi milanesi di Girolamo Costa per la festa della federazione della re-
piil>blica Cisalpina. Senza daia.
La piazza di Hercant cont on poo de coin , ec Almanacco per r anno
1799. — Milano.
Meneghin sott ai Franzes. — Milano, 1799 , per Antonio Guerini.
Haccolta di rime milanesi e toscane pel ritomo dei Tedeschi in Milano
del 1799. — Milano, per Luigi Veladini.
Ultem avis che dà el Bosin a chi va vestii de Giacobin, ec, 1799. Senza
data, né stampatore.
Qoader bernesch e naturai de la guardia nazione — Milano, 1799.
Veritaa vera e real del circol ditt costituzional. — Milano , pel Bolza*
Di, i799.
El diavol coi pee dedree eh' an faa in Milan in di trii ann i Republi-
can, ec. ec. — Milano, 1799.
L** ombra del Balestreri in cerca de la veritaa. Almanacco per Iranno laoo^
Collezione di poesie, iscrizioni e prose publicate nel reingresso delle
armate imperiali in Italia. Milano, isoo — in-8.^ Risono alcuni sonetti in
dialetto milanese,
Bosinada sui Franzes — Che fan di tutt el paes. Milano; senza data —
in-i«.**
Ottave milanesi per la festa della riconoscenza della repubblica italiana
(16 giugno, 1802 ). Senza data.
£1 servitor de la bon^ anema del pover poeta Balestreri. Almanacco per
Panno 1804.
I Conti d'Agliate. Commedia in prosa milanese. — Milano, laotf , per
Giacomo Pirola.
El Caffè de la reson. Almanacco per Tanno 180«.
Gomponiment in Milanes faa sui fest chi del paes per la gran coronazion
del re d'Italia Napoleon. — Milano, iao8.
Dialegh tra Pasquin e Marfori sul proverbi, oA dess! — Milano. Senza dala.
Dialegh tra Taccola e Mar fisa sora i mpd del temp prcsent. — Milano ,
pel Tamburini, 1R06.
Relazion de la descesa del Ballon, ec. — Milano , pel Tamburini, 1807.
178 PARTE PRIVA.
Il Tobia. Parafrasi in sesta rima milanese del P. Alessandro GarkNi{. -
Milano, pel Pirotta, 1808.
Gomponimenl per Toccasion di zerìoMmi e di fonzion per ^ battesoi d
la bambina de la nostra vize-regina. — Milano, pel Tamburini, iMS.
Dodes Sonett d^on Meneghin del Credo vece {di Franeuco ParitumU)
sulla moda del vestiss di donn del dì d'incanir — Milano , I809, pel F
rotta.
Meneghin Pccccnna. Commedia ridotta ad uso d'Almanacco per V wam
1 809. BUtampata più volte,
Brindes de Meneghin a V Ostarìa, per el sposalizi de Napoleon con lùnri
Luisa. — Milano, pel Destefanis, I8f0.
iUs e fasoeu. Taccoin per Tann I8ii. — Milano.
Versi milanesi sulle feste datesi in Milano per la nascita delP augvil
primogenito di Napoleone il Grande. — Milano, I8fli, pel Tamborìnl.
Conversazion d'on quart d'oretta sul propose t della cornetta, ira VeM
ghin Tirafuston e Marc'Astronem Pelandon. — Milano, pel Tamburini, IMI
Per le Nozze Keysler-Sala. — Milano , per Fusi e C. M trovami $ei S§
netti in dialetto milanese di A. A. D, {Ab, Aneelmo DefUippi).
Dialogo comico-crìtico fra un servitore ed una cameriera, ec. — llflaac
pel Pulini, 1812.
Per el matrimoni Berz-Pertusati , Rimm milanes d' on MeiM^hin de m
eresila. -» Milano, pel Pirotta, 1818.
La Diesirs, la DiesiUa, se scoltee, son chi per dilla. — Milano, pel Tam
burini, isis.
Dialogh tra Dondazia e Vigonzon. — Milano, 1813.
Strambott de Meneghin Foresetta {Tommaso Grossi) , in occaslon de I
Laurea in legg del sur Pepin Viglezz , ec. Sestine. — Milano , pel PnU
ni, f8i8.
El Testament del Carnovaa. — Milano, pel Tamburini, i8fs.
Meneghin Peccenna servitor de trentatrii padron e mezz. Almanaceo pe
Tanno 1814. — Blilano.
I GarbuJ del fioeu de Meneghin Peccenna. Almanacco in dialetto mileam
publicato dall^anno ibi 4 «ino al 1827. — Milano.
Vocabolario Milanese-ItaHano di Francesco Cherubini. — Milano, stami
reale, 1814.
Le due Gemelle, ossia il seguito delle Avventure di Meneghin PeoeemM
Commedia. — Milano. Senza data.
Pel faustissimo arrivo in Milano delle LL. MM. II. RR. Francesco I e Mni
Lodovica. Ode in dialetto milanese di Gius.. Carpani. — Milano , per do
vanni Pirotta, I8i».
Meneghin Peccenna impresari de tajater. Almanacco per ranno iste.—
Milano.
Quatter vers per Tarriv in Milim di So Maestà Timperator Francese I <
rimperatris Maria Luvisa. — Milano, per Sonzogno e C. lai 8.
DIALETTI LOMBARDI. |79
Brindes de Bleneghia a Postarla per Tentrada in Milan de 80¥a Majstaa
Franxesch I, ec. — Milano, per Ant. Fortunato Stella, isis.
Mnui in alegria per Tariv de sova Majstaa I. R. A. Franxesch I. — ifl.
lamo, pel Tamburini.
Il Nuovo Sigillara. Almanacco per l'anno isi». — Milano.
Vita di Ciarlatan. Sestine milanesi. — Milano, isie.
Per le Nozse di S. M. r imp. Francesco 1 con S. M. r imp. Maria Luigia
fl^Ausiria. Anacreontica milanese di Giuseppe Carpani, scritta Panno I8O8.
Milano, per Gio. Pirotta, iste.
Terzine ndlanesl. — Milano, iste, pel Destefanls.
L'*ultem a compari Pè Gambastorta, o sia Giornal e Lunari per Pana M-
sesUl 1816. — Milano.
Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese. — Milano »
per Gio. Pir0tta, I8i«-i7. Voi. xn.
RImm scemii del Balestrer. Tacooin per Pann blsestil I8IB. — Milano,
per Ferdinand Baret.
Commentario sopra un Sonetto scritto in dialetto milanese , ec. — Ml-
ìmno, 1816, per Gio. Plrotta. Qttesto ognueslo è di Domenico Soldati , ed
il Sonetto illuitrato è quel rinomato del Porta che incomincia: i paròU
d^on lenguà^, car sir Manèl, ec
Meneghln Peccenna garzon de cusina. Taccoin per Pann t8i6. -^ Milano.
In morte del conte Ignazio Sforza del Bbjno, Ottave milanesi. — Milano,
pel Buccinelli, 1817.
Meneghln Peccenna, che col lanternon, ec Taccoin per Pann 1817. >•
Milano.
Versi milanesi in morte del sacerdote Gio. Antonio BonanomL — Mila-
no, 1817.
Rime milanesi del conte Francesco Pertusatl. — Milano, I8I 7, pel Pirotta.
El di del san Michee, taccoin tutt da rid per Pann i8i7. — Billano.
La fuggitiva. Novella in dialetto milanese di Tommaso Grossi, colla Ira-
suzione Ubera italiana dello stesso. -— Milano, i8t7, pel Pulini.
Pel fausto ingresso in Milano di S. A. I. R. P arciduca Raineri. — Milano,
1818 , per Gio. Bernardoni. M trovasi una poesia milanese, intitolata: -
Bositt de Milan.
Meneghln Peccenna medegh, avocat, ec. Taccoin per Pann 1 ai 8. — Mi-
lano, pel Buccinelli.
Sogn de Meneghln in Poccasion che Monscior Carla Gajtan de Gaisrouch
e| fa la sova Intrada in Milan, I8i8.
Per el matrimoni Verr e Borromeo. Sestine di G. e V,{Tomtnaso Grossi
« Carlo Porta), — Milano, t8i9.
il Romanticismo. Sestine in dialetto milanese di Carlo Porta. — Milano,
1819, per Vincenzo Ferrarlo.
L^ eredi taa del matt fachin che sta sul pass de s. Martin. Taccoin per
Pann I8f9. — Milano, pel Tamburini.
186 PARTE PRIVA.
Amor di figlio e avidità delForo. Novelletla in ottava rima niluM»
Milano, 1819.
Per la Laurea in legg de! sur marcbes Yitalian d'*Adda e del sor Dl Ai
toni Citteri , on Torototella de Porta Renza. — Milano , per Giovuini H
vestri, f8ss.
I Stagion, di Volonteri Carlo. — Milano, i ess , pel Plrotta.
Raccolta de Proverbi milanes. Almanacco per Tanno istt. — MIUdM
pel Yallardi.
Meneghin soffistec. Tacco! n per Tann noeuv 1 8ss. — ^Milano, pel TamlMurtai
II figliuol prodigo. Parafrasi in sesta rima di Domenico Balestrici.— ->■
lano, 18S8, pel Rivolta.
Poesie edite in dialetto milanese di Carlo Porta , colP aggiunto di 4i
componimenti di Tommaso Grossi. — Italia (Lugano), 18S8.
Per ona Messa noeva. Strambo! t (di D. Giulio Batti). — Milano» tt«
per Angelo Bonfantl.
Le donne non han torto. Almanacco milanese per Tanno i8t».«— Mbn
per Giovanni Silvestri.
Fantasie di bestie. Almanacco milanese per Tanno isso. — Mbmo» pi
G. B. Bianchi e C.
Pasta , Rubini e Galli al tempio della Gloria. Visione in sesta rima ■
lanese di G. F. M. — Milano, issi , per Pasquale Agnelli.
La Galleria De-Crìstoforis. Sestine milanesi di Carlo AnglollnL— Iffitn
pel Crespi (1882).
IBottegh della Gallarla De-Cristoforis, Sestine. — Milano, pel DovR(f MS
Sont de Carella. Taccoin per Tann 1855. — Milano, perOmobono Maail
Lettera de Meneghin a Cecca sul cunt de M.* Malibran-Garcia. SesUi
milanes de Carlo Angiolin. — Milan, per Giuseppe Crespi e C, 18«4.
Meneghin de Pavia el va a Milan per senti a canta la Malibran. 8est
rime In dialetto milanese di Carlo Cambiaggio. — Pavia, pel Blzsoni, tM^
Per T arrivo delT esimia artista cantante Maria Garcia*MalÌbran in Vmm
zia. Seste rime in dialetto milanese di Carlo Cambiaggio. — YeneziRy MfN
grafia di Commercio (i8S«).
Poesie in dialetto milanese di CarT Alfonso Pelizzoni. — Milano, ilpogrtl
de^ Classici Italiani, isss.
L^amls di donn ; taccoin per Tann blsestll I8S6. — > Milano, per Sani
Bravetta. Questo almanacco continuò per sei anni comeeutiH, dal tti
al 1841.
Miscellanea de poesii milanes de C. B. Almanacch per Tann bisestll t8M*-
Milano , per Cavalletti.
L^arte poetica di Q. Orazio Fiacco esposta in dialetto milanese {dai io
tor Gioponni Baiberti), col testo a fronte. — Milano, per Sambnuiiod-V
smara, 18S6.
LUvarizia, Satira prima di Q. Orazio Fiacco esposta in dialetto milaass
{dal dottor Giovanni Baiberti), — Milano, iss?, per Sambrunlco^Vismtr
DIALKm LOMBARDI. 481
Poesie scelte in dialetto milanese di Carlo Porta ^ eolla comi-tragedia ed
altre poesie di Tommaso Grossi , del Larghi , Balestrieri , Bossi , Zanoja e
Bertani. — Jlilano, 1837, pel Ferrarlo.
Carolina. Novella in dialetto milanese con altre poesie di Ferdinando Val-
camonica. — Milano, 1888, pel Rivolta. — Ivi, i84i, per Placido Maria Vis^g.
n Lamento di Cecco da Varlungo In dialetto milanese, tentativo di C. P.
<C. Partutati). — Como, pei figli di CarPAnt. Ostìnelli, 1858. Estratto dal
II.* 14 della Gazzetta PrcHnciale di Como,
Penser de Meneghin ch^ el ven a Mllan per ved Timperator , per sbatt
i man. Sestinn mllanes de A. A. — • Milano, per Felice Rusconi, 1888.
EI vott settember 18S8. Poesia in onor de S. M. rimp. Ferdinand L —
Milano, pel Malatesta, 1858.
La sarà Cecca di birlinghitt, proverbio milanese. Almanacco per Panno
tB89. — > Milano, per Tamburini e Yaldoni,
L^arte di ereditare. Satira V del libro II dì Q. Orazio Fiacco, esposta in
«Ualetto milanese dal medico-poeta {Gio, Raiberti). — Milano, t8S8 , per
Sambnmico-Vismara.
n Boote parturiente, favola di Fedro esposta in dialetto milanese da G.
F. M. — Milano, pel Manlni, 1859.
Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini. — Milano , I. R.
stamperia, 1840-44. Voi. 4.
Poesie scelte in dialetto milanese di Carlo Porta e di Tommaso Glossi ,
illustrate con disegni originaH. — Milano, per Guglielmini e RedaeDI, i84e.
Le strade ferrate, sestine Milanesi del medico-poeta {Gio, Maiberti). —
Hilano, per Guglielmini e Redaelli, 1840.
Descrizione della strada ferrata da Milano a Monza, ec. Ottave milanesi
tii Tommaso Magistretti. — Milano, per Boniardl-Pogliani , 1840.
La cucagna per 1 Omnibus, col fanatismo di Milanes. Sestinn de Leopold
llarziQ;1i. Milano, per Tamburini e Valdoni.
CarTAmbroBUS , versi milanesi di Giovanni Ventura. — Milano , per Gu-
^lietmlni e Redaelli, i840.
Amicizia e Tolleranza, Satira di Q. Orazio Fiacco esposta in dialetto mi-
lanese dal dottor Gio. Raibertl. — Milano, per Giuseppe Bernardoni, 1841.
Poesie edite in dialetto milanese di Carlo Porta, con due componimenti
dì T. Grossi. — Italia, 1841 (Xn^afio^ per Giuseppe Buggia e C).
DiciarJ e narrazion su Tecliss del 8 luj 184S, Sestinn de Leopold Bar-
zagh. — Milano, 1842 , per Tamburini e Valdoid.
t^ratter sestinn su recCss del i84t de R. G. — Milano, pel VlsaJ, i84t.
Desmenteghet minga de mi. Strenna meneghina. — Milano, per Giuseppe
Chiusici 845.
Lo stesso, per Tanno 1844. — Milano, per Giuseppe Chiusi.
I>escrÌzione e ragionamento sulla strada ferrata da Milano a Venezia ,
rime milanesi di Leopoldo Barzaghi. — Milano , per Tamburini e Valdoni.
1S45.
189 PAETE PRmA.
Una notte d'inferno y Sestine in dialetto milanese di Carlo Cagnoni.
BNlano, per Tamburini e C, IIU4.
Poesie Italiane e Milanesi di Giovanni Ventura. — Milano, tM4.
LoDKum.
La Sposa Francesca, Commedia del conte Franeeseo de Lemeiie. — Lòdi ,
per C Gius. Astorino Sevesi, 1769.
Lo stesso. — Lodi, per Giovanni Pallavicini, isis.
Comasco.
Rimm in lengua comasca , per vestizion de la sdora Cecchina CarUa.
Senza data, né stampaiore,
A ol Franzesch Olivee, par numerada dit a ol Colombee, al cerca de toma,
in grazia ai lustrissim so scior patron, ec. — Como, isoa, per Carl^Antonii^
Ostinelli. Questo componimentQ in prosa cowuuca è del ctmànieo OaUonf
di Como.
TicniBSB.
Rabisch dra Academiglia dor Compà Zavargna Nabad dra Val! d^Brega
e dHucch i su fidlgl soghit, con ra ricencigiia dra Valada. Or cantò di. aver-
sarigl sdanscia. — In Milano, per Paolo Gottardo Pontio, laM, iii-4.* ^->
Lo stesso in-i6. Milano, per G. Batista Bidelli, l«S7.
VlABARBSB.
L' invenzione della Santa Croce. Tragica rappresentazione posta in atto
scenico da Michelangelo Fantini da Colla. Operetta non men devota che
curiosa. — Fiorenza, nella stamperìa Masi e Laudi, less , in«8.^ /fMTMh
naggi di questa bizzarra rappresentazione sono 24 ; ^a i quali tm Cialh
baftino parta il dialetto dei facchini del ijago Maggiore » ed un Capitam
Francese tm gergo francese-italiano,
Statut dia gran Bedie antighe dol Fechin dol lagh Mejò, fondò in Mllan ,
amplificò in tol ann present ìhù, — Senza nome di stampatore^ che fu
G, B. Bianchi.
La legrie che ven in Milan con la Bedie doi fechin dol lag Mejò. — Mi-
lano, per Federico Bianchi, 17S5.
AI Zelentissem sior Gucrnetó ol sior cont Colleres , ec; quattro Sonetti
in dialetto della Valle Intrasca. — Milano, per Federico Bianchi» A7S8.
Compagnie d' fechin dol lagh Mejò, in tol nà a cà, despò jess stagg a A*l
Camevaa chilo a Milan, Sonett. — Milano, per Federico Bianchi, i7S8.
L'Abbaa con tutt la so megnifiche Badie doi fechin dol lagh Mejò fa re-
DIAUm LOMBARDI. 185
ynrenie a ol Guernetò d' Harrach , Ottave. •— Milano , per Giuseppe Ma-
1748.
Looeiade dot Compaa Struse Polente^ par Jess nagg in tla foppe ol com-
Besbili, e defese dia lengue fachine, Ottave. Ifilan , per Togn Agnell,
CT«o. — Questo componimento fu scritto contro il P, Branda^ per la Bis-
werUszione da lui letta contro la letteraiura vernàcola.
La megnifiche Bedle dei fechin dol lag Mejò V a fagg rissulvizion da gni
ligia a Ifilan a fa ol chernevaa , 17«4. Quattro Sonetti. — Mlano, per G.
B. Bianchi.
Ol compaa Merlin entich con doi elt so compagn par sV agnade o vò
iSmnass in Milan. — Milano, per G. B. Bianchi, ^^^nza dala.
A soe Eltene Serenissime el sior Duche, la Badie doi fechin o fa ringre-
Kiement. Due Sonetti. — Milano, per G. B. Bianchi, 1704.
La roaee doi marasg vergoo sgiù a trova ei so tà , o teu pertenie dai
sior d^ Milan. Sonett — Milano, per G. B. Bianchi, i7««.
La Balle, leoeojn par la guade del I7e«. — Milano, per G. B. Bianchi.
BnCAMASCO.
Lanento di pre Agustino, messo in Cheba^ e condanato a pane et acqua.
Smxa data (lais). M fine di questo piccolo componimento trovasi una
^arzeUetta in diaietto bergamasco.
Frottole nuove de Lazaro da Crusola. Con una barxeletta et alcune stanze
% la schiavonesca et due Barzelette a la Bergamascha. Senza dola, in 8.^
Egloghe Pastorali di Andrea Calmo. — Venezia, per Gio. Battista Bertaca-
Sno, 1583, in-8.^ Questo libro contiene quattro farse giocose, nelle quali i
penonaggi, oltre al dialetto veneziano, parlano il rùstico padovano Jl ber-
gamasco e l'italiano corrotto dei Dàlmati, Furono ristampate più volte,
ttgè; in Venezia 1888, in-8.®— Venezia 1889, in* 8.^; Venezia, per il de
Warri i88i, in- 8.^ eneUa raccolta intitolata: Opere diverse di messer An-
drea Calmo. Trevigi, per Fabrizio Zanetti, 1600, Ìn-8.^
La Spagnola. Comedia di Scarpella bergamasco (Andrea Calmo), — Vi-
DegU, al segno di S. Mosè, 1840. in-e.® Ivi pure i personaggi, oltre al ve-
meziano, parlano i didUtti rùstici padovano, bergamasco e tedesco corrotto.
Se fu fecero varie ristampe, cioè: Venezia, per Stefano degli Alessi, 1888,
l^ft.® — Trevigi, per Domenico Cavalcalupo, i888,ln*8.^ — Venezia, 1861,
Itt-ft.**; Veaezia, 18^8, In-e.® — Trevigi, per Fabrizio Zanetti , laoo, in-a."*
La Pozione. Comedia facetissima in diverse lingue ridotta da Andrea
Calmo. — Venezia per Stefano degli Alessi, 184S. — Ivi , 1860. — Trevigi,
pel Zanetti, looo.
n Salluzza. Commedia {di Andrea Calmo). — Vinegia,per Stefano degli
Aie88l, 1881 , in-e.° È scritta in prosa ,edi personaggi vi parlano varii
^iaUtU, tra i quali eziandio il bergamasco.
La lodiana. Coaimedia {di Andrea Calmo, attribuita a torto da alcuni
184 PAETB mnu.
ai Anodo Aeolw). — Yaaeiia pef Stefuio ctagli AtaitiyfMt» ÌHpS»* -'^IMr-
9onaggi vi pàrkmo parti dialetti^ fra i quali il bergamoieo. Fk HM^^pola
più 9oUe; in Venesla, per DoBienico Farri , mai , in-a.**— Teneri^ taas,
in-a.** — VeDeiia, tasa, in-ia.® — Vioenia ia84, in-ia.* — VioenjEay laaa,
In-a.o
n Travaglia. Commedia (di Andrea Calmo), -^ Veiieiia,per Sielano de-
gli Alessl, f aaa , in-a.^ Come nelle altre j fra i varii dialeiU td ti parta
da un pedante il bergamatco, e fu riitampata in Yenexla , per Doneoioo
Farri, nel laai, in-9,^ e nelle opere diverse del Calmo. Trevigi laoo iii-a.''
JHeeitette tono gli Attori in quetta Oomedia, che 9i partano vari tinguaggi,
cioè, bergamatco, veneziano, trevigiano, itaJUhgrecOs itaUhUato ^ ronnteo»
ed un latino pedantetco. Indeterminato è il ninnerò delle comeUe, che fk^
rono rappresentate e pMicate nel corto del tecolo Xyi» e nette queM il
diatetto bergamatco unitamente ad altri dialetti d'Italia Me parte. Batterà
avvertire, che il Burattiti, i dìie Zanni, Arlocchino e Soaptno irono i
pertonaggi che lo parlavano, e che a vicenda furono introdotti nella tnag^
ffior parie delle produzioni di questo gènere. Tra gli scrittori di tùnili
eomedie, oltre ai già mentovati, ti dittinte Antonio Molin veneaiano ^
it quale, rappresentandole, contraffaceva si bene i linguaggi greco-vèneto,
dèimato-vèneto e bergamasco , che fu denominato il BotcUf dett^aià
tue produzioni furono publicate sotto il mentito nome di ManoU
Le bizzarre , faconde et ingeniose rime piscatorie di Andrea Calmo,
due Comedie in varii dialetti, fra i quali anche il bergamatco» —
sia, taaa.
n Sergio. Comedia nuova e piacevole di Ludovico Fenarolo. •*- Vi
per Bolognino Zaitieri, taea. — Ivi , per Franco Ziletti , laaa^sa. — ivi ^
per Lucio Spineda, leoi, in-s.* Fenti tono i pertonaggi di quetta Ctmedia^^
ateuni dei quali parlano i dialetti bergamatco e veneziano.
Vocabolarium breve, in quo continentur vocabuia, qun in frequentìor^K
Qsu versantur , cum italica voce , Gasparini Bergomensis magistrf . —
diolani, lae». /avvertati, che invece della voce italiana è quivi
atta latina la vernàcola bergamatea.
Commedie del famosissimo Ruzante {Angelo i^eotoo). — yeneiia,per Gle.
Bonadio, taea, in-a.® Sebbene tcritte in dialetto rùtUco padeivano^
Comedie racchiisdono talvolta pertonaggi che partano dialetti ettrènet
ira i quali il bergamatco. Furono ttampate da principio teparatamenie^
rittampate unitamente ad orazioni, ec. dello ttetto autore. ^-> la Yloanaa,
per Giorgio Greco, 1084, in*8.^ e ptii volte ancora.
La Vedova. Comedia di Gio. Batista Cini, rappresentata alFhonare
Serenissimo Arciduca Carlo d'Austria, fìorenza pel Giunti, latt, lo-a.*
OH attori in quetta Comedia tono dieci, fra i quali it Burchietto emviÈort
parla il dialetto bergamasco, Francesco Otta il napolitano, Marimit^
^ano , Fiacca/vento il siciliano.
Sopra la presa de Margaritin, con un dialogo piacevole di un Greco e<
MAurm LonAEDi. I8K
di OB ftehlnoii operetta di Manoli Blessi (jHUfmio Moiin). — Venezia , per
Àmànm MbmIiIo, f nri , iii-4.* M il Facchino parla il dialetto bergamasco.
Tanoll, tum Ialina, tum etrusca, tum bergomea lingua compositi, cara
r. Bmaani. — Brixias, i«74.
Le due Persilie. Comedia di Giovanni Pedini. — flrenie, itfss.
Opera nuova, nella quale si contiene il Maridazzo della Brunettina, so-
letta di 2an Tat>ari Canaja de Val Pelosa , e una Villanella Napoli tana in
Hmìogo, oon un Sonetto sopra TAgio. — In Verona^ per Bastiano e Giovanni
laile Donne. Senza data, QuaVòpera , oltre cU dialetto bergamasco , roe-
Mide eÀtiemaii i linguaggi francene^ tpagnuolo, napolitano^ romano, fUh
ttUino, botognacs mantovano e veneziano. Fu ristampata in Brescia nel
IMI, ill-8.*
Aurora , Favola pastorale di Ottavio Brescianini Bresciano , detto il
adBMflco.— Padova, per Lorenzo Pasquati,f«88, Ìn-8.* Un dottore berga-
mmtco nel Pròlogo, e Zamàerlino personaggio della Fàvola, vi parlano il dia-
ìeUo berffoenateo,
n terao libro delle Canzonette a tre voci di Adriano Banchieri Bolognese,
MItoiato : Studio dilettevole nuovamente con vaghi argomenti e spasse-
rM intermedj fiorito dall' Amfipamato. Comedia musicale dell' Eccellen-
lastaio Horatio Vecchi. — Milano, per r Erede di Simon Tini e Glo.
nraneesco Besozii, i eoo. M gli attori pàrkmo e cantano nelle varie faivelle
Uattana, bergamasca, veneziana, bolognese, spagnuola, ed italo^ebràiea.
n Tradimento amoroso, Comedia nova non meno piacevole, che ridi-
«loaa di Biagio Maggi. — Padova, pel Bolzetta, 1 604, in-8.® Kif si parlano
wtUdisdeUi.
La Silvia errante. Arcicomedia capricciosa , morale, con gli intermedj in
di Bernardino Cenati. — Venezia, 180«. Ristampata pel Combi, nel
/ personaggi sono ventisei, due fra i quali parlano il dialetto ber-
mosco,
1 Maritarsi per vendetta. Opera di Giacinto Andrea Cicognini, dedicata
ligBor Ludovico Piccini. — Venezia. Sema data. Ivi un domèstico ehiar
\» Passarino parla il dialetto bergamasco, ed Arlecchino il veneziano.
\ Farinella. Inganno piacevole di Giulio Cesare Croce. — Bologna, per
irlo Baldini, leoo. Ivi, pel Cocchi, tesi. Jl facchino Stramazzo vi
1 tt dialetto bergamasco.
spiro. Tragedia di Pietro Ingegneri. — Vicenza, 1 808. Fi sono iniro-
i éUUetti bergamasco, veneziano, ed un gergo vèneÌo4edesco,
dilna. Favola di diletto di Fortunio Balli. — Vicenza, I808. Fi sono
V i dialetti bergamasco, veneziano e padovano.
4irleeio, Favola boschereccia di Giacomo Guldozzo da Castel Franco,
•ente data in luce da Lodovico RiccatodaCastel Franco. -^Venezia
•èomo Vincenti, leio, in-8.^ Ivi un Buraitino parla il bergamasco.
Imipala in Venezia da Alessandro Vincenti, nel fOSi.
li Dei , Favola pastorale piacevolissima di Ercole Cimilotti Estuante,
180 PARTE PRnU.
AGcademieo Inquieto. — Pavia, perGiambat. Roaai, f «f 9, in it.** Um i
raiUmo e il Zanni 9i parlano il dialetio bergamateo. Fk ri$lampa9m i
IMO, in Venezia , da Alessandro de Vecdd.
La Magìa d'Amore. Favola pastorale di Matteo Pagani Sonano,
mico Unito, detto il Vigilante. — RoneigUone, appresso Lndovieo
Lorenzo Lupi, laio, in-is.* / prindpaU aUorim parlano i dfoisftf èm%
mosco, veneziano e napoliiano. Monsù Ghiliel parla tm gergo ilakhfnmm
Sonetto de' Ungoaggi rìdicolosi di Veggi Alanio, detto Zan Itattnfrìi^
Venezia, taso. Immenso è il nomerò dei componimenti d* oecosiofM In é
letto bergamasco, publicati nei corso del sècolo Xyi , dei quali trim
doviziosa raccolta nella Biblioteca Marciana.
Canzonetta in Bergamasco di Veggi Alanio. — Venezia, iato.
Il Scacciasonno di Camillo Scaligeri. —Bologna, pel Magnani, tMS»!»^
Onesto libro contiene una Comedia in varii dialetti, tra i guatt «sitfM
il bergamasco.
I Trastulli della villa disUnU in sette giornate, ec. di Camillo SeaUgnrL
Bologna , pel Mascheroni , laav , in-8.* QuesV òpera fa ristatnpmin te 1
nezia, pel Giuliani , nel i «a?, e contiene alcune Novelle con varil éMM
fra i guati il bergamasco.
V Inavvertito, ovvero Scapino disturtiato e Mezzettino traTagUaUlu I
media di Nicolò Barbieri detto Beltrame. — Torino, tato, in-tt.* -* 1
nezia, per Angelo Salvadori , taso.
Ragionamento sopra la poesia giocosa d'un academico Aldeano ( Om<
lomòono Bresdanini). — Bergamo , leso. M trovati un Saggio della à
tamòrfosi d'Ovidio tradotte in lingua bergamasca dallo stesso BmdmKà
mòna/co cassinense e gentiluomo bresciano.
La Pirlonea. Commedia in dialetto bolognese, bergamasco, napoUtOM
veneziano di Lazzaro Agostino Cotta. — Milano, 1066. Fu ristampoÈn
Milano, nel 1708.
n Lippa, ovvero il Pantalon burlao. Comedia in prosa ed in vani
Domenico Balbi. Venezia, pel Lovisa, 1678. Terza edizione IVeiT^lllo 7%r
ed iatimo di questa comedia, Vautore inseri alcuni componimenti ffuiMi
nei quali il Pantalone parla f^eneziano; il Dottore, Bolognese; adii mg
' Baqaltino, Bergamasco. Fu ristampata più volte.
La Fint^ Verità nel medico per amore. Comedia di Fabrizio Nani. •— J
logna , 1705. yi sono parlati i dialetti bergamasco e bolognese. .
II Padre accorto della Figlia prudente. Comedia del DorigisU. -* I
logna , 1718. n si parlano i dialetti bergamasco e bolognese.
n Fanciullo eroe , ovvero l'Artemio all'imperio. Opera tragicòariM
Gio. Domenico Pioli. — Bologna, pel Longhi, 1718, in-is.* M SBgluÈH
parla il dialetto bergamasco.
La Cleonice , ovvero la Costanza nei tradimenti. Comedia di Gio. ùm
nico Pioli. — Bologna, per il Longhi , I7i6 , in-ii.'' Ivi SegketUm p«
il dialetto bergamasco.
DIALrm LOMBARDI. 187
La Prudenza nelle donne. Comedia del Dorigista. — Bologna, 171g. f^i
si pàrUmo i diatelli bergamasco e bolognese.
Il Paggio Fortunato. Comedia di Domenico Laffi. — Bologna, pel Pisarri,
f 716. Kg si parlano i dialetti bergamasco , bolognese e veneziano.
La libertà nociva. Opera Scenica. — Bologna , pel Longbi, senza r anno
(1718). F)ra gli otto personaggi di questo Dramma , Taccolino parla il
diaìelto bergamoico.
Il Goffredo del signor Torquato Tasso travestito alla rustica bergamasca
dal dottor Carlo Assonlca. — Venezia, i67o, in-4.®
Lo stesso y ristampato in Bergamo nel 1674 , e nel 1G78, per Antoine.
Voi. 1 in-16.®
01 fachì fedel,over ol Pastor a la Bergamasca. Opera de Persia Melò, ec.
Stampat a Cardò apruf a Zanfoiada. Setiza data. QuesVòpera è una tradu'
zime del Pastorfido del Guarini.
Orland Furlus de Misser Lodovic Ferraris , compost dal Gob de Vene-
sia. — Venezia, per Agostino Bindonl.
Bacco usurpatore di Parnaso, ossia Arlecchino poeta tràgico aHa moda
e (U buon gusto , bergamascante giurato per la vita , riformatore delle
Tragedie; in risposta al signori Tragici moderni. — Venezia, per Angelo
Geremia, 17S4, in-8.®
La Colombina. Zingaresca nuova di sei personaggi , recitata con molto
applauso In diverse citta , e indirizzata dai Comici che stanno al servizio
deirAnonimo a' suoi amici, acciò sia universalmente divulgata. — Milano,
I7S7. Comedia rarissima in versi, colle figure di sei personaggi. Una Zin-
9ora vi parla italiano; Zanni il dialetto bergamasco; Pantalone il vene-
iiano, ed un Capitano Napolitano il Norcino.
Lagrime In morte d' un gatto. — Milano , nella stamperia di Giuseppe
Marelli, 1741. IH tròvansi dite sonetti in dialetto bergamasco.
La Bella Negromantessa. Comedia breve, onesta e piacevole, composta e
<lata In luce dall'Anònimo per divertimento de' Curiosi. — Bologna, per
n Longhi , 178S , in-is.® Tre attori 9i parlano i dialetti bergamasco, ve-
gliano e tiopoUtano.
Stanze in stile bergamasco per le nozze Caleppio-Resini. — Bergamo ,
*788, per Pietro Lancellotti.
Vita e oostum de Messir Zan Tripo, con un capitolo de Messir Francescho
^etrarcha trasmutat In lengua de Berghem. — Milano, per Gratiadio Fe-
>totL Senxa Panno.
Capitol prim centra i spirigg forgg fagg da don losep Renda , ec. Ber-
Bbeni per Francesch Locadel, 1779.
RimeBortoliniane del Rugger de Stabell. Berghem, dalla stampareaCressì.
*^aiza i^amìo. Sono varii fasàooli stampati successivamente nelVanno 1834
« Megnenti , e compóngono un solo volume di so4 pag. in-8.°
Pel fansto Imeneo Gout-Ponti. — Bergamo, pel Sonzogni , 1888. Questa
^QccoUa di poesie contiene un Madrigalù Bortolinlà del Rugger de StabelL
188 PABTE PRIMA. DIALETTI LOMBARDI.
Rime Bortolìnìane di Pietro Ruggeri da Slabello. — Milano, pel Crespi,
1840.
Rime Bortoliniane di Pietro Ruggeri da Slabello. — Milano, pel Crespi,
1841.
Rime Bortoliniane di Pietro Ruggeri da Slabello. — Blilano, pel Crespi,
184S.
Rime Bortoliniane di Pietro Buggeri da Stabello. — Bergamo , pel Mai-
zoleni, 184S. FatàcoU due.
01 Viazadur d'Alcmagna , ec. Poemett delettevol descrecc del Marc'^An»
Ione Franch, si tabi bergamascb. — Berghem, stamparea Sonzoga, 1841.
Miscellanea, o sia ol neuv taccui screcc del Bonfant Pasti, per ranno
bisestile 1844. — Bergamo, pel Sonzogni.
Cremasco.
A la lustrissema signora contessa Medeja Griffona Sant'Anzol, in del fas
monèga nel nobelessem Convèt de S. Marcia de Crema, col nom baratat
in Sor Marcia Quintina. Poeseia de Zuvann Menegb Ottollav de Gabia'.
In Crema, dal Torchici di Mario Carchan stampador, I7is.
Fasti istorici di Crema di Gio. Batt. Cogrossi. — Venezia, 17S8.M Ir^
vasi un* ègloga in dialetto rùstico cremasco.
Saggio di poesie in dialetto cremasco. — Milano, per Gogllelmlni e Ra-
daelll, 18S8.
Sestine ^n Cremascb per al sposalesse del slor Dumenegh Seergni co la
siora Angelica Maltemp, ec. — Milano, 1889. È dell' ab. Felice Masperi
Battajni,
Bresciano.
La Masscra da be, per dritta lom fior da Coblat. — Brescia, 18S4. — Ve-
nezia, 1888.
Lo stesso. — Brescia, per Francesco Comincini, laao.
Squaquaranta Carnevale e Madonna Quaresima. Tragicommedia piace-
vole da Intendere con i suoi avvocati , che parlano per T una e V altra
parte , come leggendo Intenderete. Senza data veruna. In-8.® FU risttmr
poto in Brescia , per Policreto Turlino , 1714. In-8.®
Operette varie del canònico Paolo Gagliardi bresciano. — Brescia , pél
Paclnl , 1789. Nel voi. II a pag. 8 trovasi una Lezione intorno alle origini
ed alcuni modi di dire della lingua bresciana.
Vocabolario Bresciano e Toscano, premessa la lezione di Paolo Gagliardi
intomo alle origini, ec •— Brescia, pel Pianta, 1789.
Vocabolario Bresciano-Italiano di Pietro Melchiorri. — Brescia, pel Fran*
zoni', 1817. Con una (appendice publicata nell'anno isso.
Quaresmal de TAocat Piero Lotlieri. — • dare , per Gaetano iJiloiie Te
larul, 1886.
PARTE SECONDA.
DIALETTI EMILIANI
\
CAPO I.
%. i . Divisioiie e pomioìie dei dialetti emUoiu (*).
BtTlsl^ae* Quantunque suddivisi in nùmero indeterminato^
i dialetti emiliani non pòrgono, come i lombardi, quella precisa
partizione, che abbiamo testé osservato nei due gruppi orientale
ed occidentale, mentre le precipue loro distinzioni sono fondate
]iiatto6to nella pronuncia, che nella forma. Ciò nullostante queste
dissonanze di pronuncia, congiunte al vario modo d'inflèttere al-
cune parti del discorso, sono abbastanza notévoli, perchè pos-
siamo ripartire tutti questi dialetti in tre gruppi, che dal rap-
presentante principale di ciascuno abbiamo denominato: Bo-
lognese, Ferrarese e Parmigiano. Ognuno è composto d'un
(*)'Siccome/[dopo aver gìk stampati alcani lògU di quest^ òpera, d fà-
roDO comunicati da vari dotU corrispondenti preziosi materfaU intomo ti
dialetti emiliani ed alla loro letteratura, materIaU che d fùrrao di spedale
glivamenlo nel compiere U preaeate lavoro, eoA non possiamo intraiasdare
di rèndere pùbUche grazie ai chiari signori dottor Carlo Frolli, conte
inallMde Ranuzzi, Camillo MlnarelU» RaflaeUo Buriani, Giuseppe AcquisU
e professor Domenico Chinassi, per importanti notizie e poesie Mite ed ine-
iOle procor&teci nel dialetti bolognese e romagnolo; agli fllnslil signori
eonte SeiiasUano Salimbenl , conte Giovanni Galvani , Carlo Borghi, eanònieo
Ferrante Bedogni , avvocato Gaetano ParenU e dottor Cario Ciardi , per co-
pia di materiali inviàUd ad illustrazione dd dialetti modenese, reggiano,
frignanese e mirandolese; all'egregio bibliotecario abate Giuseppe Antondli
per alquante notizie intorno al dialetto ferrarese; ed al chiaro bibliotecario
cavaller Angelo Pezzana , per alquante notizie e poesie nd dialetti parmi-
giano, piacentino e borgotarese. Né meno graU d dichiariamo agii altri
motti, che d veliero coa^jovare in questa Impresa, e dd quali al»biamo
Bslalo I nomi a luogo opportuno, ad seguenti Capi.
102 PARTE SeCONDA.
maggiore o minor nùmero dì dialetti più o meno tra lóro affini^
a norma della posizione rispettiva, vale a dire, della loro HUtong^
dal centro comwie, o dell'immediato contatto con altri dialetti.
Il gruppo Bolognese è il più nmneroso, ed esteso sopra maggior
superficie; esso compònesi del dialetto Bolognese propriamente
detto, del Romagnolo, del Modenese, del Reggiano e del Frigna.
nese.
Il Ferrarese consta del Ferrarese propriamente detto, del
Mirandolese e del Mantovano.
Il Parrnigiano comprende, oltre al Parmigiano proprio, il Ber-
gotarese, il Piacentino ed il Pavese.
Peslmlone. La cresta dell' Apennino compresa fra le sor-
genti dell'Enza e della Foglia, il corso di questo ftme, le rivo
deir Adriatico racchiose tra le due foci della Foglia e del Pò
di Primaro, l'alveo abbandonato di questo prolungato tino «Bla
foce dell'Enza, ed il corso di questo fiume, segnano con bastè^
vole preddone la regione occupata dal primo gruppo.
Lo stesso alveo di Primaro prolungato sino alla foce ddPEnfl^
le rive dell'Adriatico dalla foce del Primaro a quella del Po di
Haestra, l'ultimo tronco del Po dalla sua foce sin presso ad OMf^
glia, e quindi una breve curva, che, insinuandosi nel territotio
loinbardo oltre Po, raggiunge e segue i confini da noi tracdalK
dei dialetti Bresciano e Cremonese, segnano le estreme emana»
lioni del secondo gruppo, cioè del Ferrarese.
Per ùltimo il Parmigiano è conterminato ad oriente, dal oonoL
dell'Enza; a settentrione, dal Po fra le due foci dell'Ensa e deDa
Sesia, tranne un piccolo seno, che nel territorio lombardo ab^
braccia la città di Pavia e i vicini distretti dalla foce del LandHN^
al tèniàne del Naviglio di Bereguardo; ad occidente e a meaun
giorno, da una linea trasversale, che dalla foce della Sesia ^ o^
meglio da Valenza sul Po, raggiunge, serpeggiando, l'Apenniao
presso Bobbio, d'onde segue la cresta dell' Apennino sino aDi
sorgenti dell'Enza.
Queste linee peraltro, come abbiamo altrove avvertito, s^puo6
il diàmetro d'una z(ma, in cui i dialetti d'una fandgUa o d' od
gruppo vanno assimilandosi al gruppo limitrofo, partecipando in
grado minore delle proprietà distintive d'entrambi, dappoiché^
DIAUOm EMIUANI. 105
(K mano in mano che c'inoltriamo su per l'erte gole ddl'Apen-
nino^ gli a^rì suoni emiliani cèdono il posto alla doke pronuncia
toscana ed alla genovese; in quella vece, procedendo verso mez-
aogiomO) il Bolognese ed il Romagnolo vanno fondendosi nei
dialetti marchigiani; come, verso settentrione, dall'una parte si
manifestli Tiniluenza della vèneta famiglia, dall'altra quella della
lombarda e della pedemontana. Gontnttodò talvolta V alveo del
Primaro e la cresta dell'Apennino s^poano un preciso oonfine
linguistico.
Qò premesso, il dialetto Bolognese propriamente detto è par-
lato in tutta l'attuale legazione di Bologna, con poche varietà,
fra le quali distìnguesi sopratntto il riutko dall' urAoiio.
Il RoimagHùìOj alquanto più esteso, occupa , oltre alle due le-
gazioBi di Forlì e di Ravenna, quella parte lAeridionale della
legazione ferrarese, eh' è separata dal corso del Primaro. Esso è
piattosto un gruppo di dialetti afiBni, che non uno solo, mentre,
aon che ogni città, ogni borgo e separato castello ha pronuncia
e flessioni speciali. Siccome peraltro la distintiva impronta è in
tutti la stessa, e le proprietà più normali tròvansi riassunte nel
dialetto Faentino, cosi possiamo riguardar questo come rappre-
sentante comune, sebbene ripartito in molti suddialetti. Fra questi
i più distinti sono: il Ra^ennate^ V linoleie^ il Forlivese, il Ce-
^senate ed il Riminesej parlati nelle città e territorj rispettivi.
Il Modenese parlasi nella città di Modena e nel suo territorio
alino alle falde dell'Apennino, distinto in urbano e riistko.
Il Reggiano ristretto in più angusto confine occupa la sola città
^ Reggio e parte del suo territorio, distinto pure in riistico ed
mrtfano.
Il Frignanese è parlato nella parte più elevata dei territorj
jDodenese e reggiano, ossia nella regione abitata dagli antichi
J'riniateSj dai quali trasse il nome. Un tempo Sèstola ne era il
capoluogo, ed ora è Fiumalbo.
11 Ferrarese j oltre alla legazione d'egual nome, dal Po sino
all'alveo del Primaro, occupa ancora i distretti lombardi diSèr-
mide, Ròvere e Suzzara , non che le città e territorj di Mirandola
e di Guastalla, sino alla foce dell'Enza. Esso è quindi racchiuso
ira Je rive dell'Adriatico intersecate dalle due foci del Po di
f1)4 PAmTB SBtXUIDA.
Prìmaro e <K Maestra, rùlUmo tronco del Po sino all'Enza, ed
il còrso del Primaro prolungato sino alla foce di quel fiume.
Il Mantomno è parlato nella città e contomi di Mantova, fra
il Po ed i confini già descrìtti dei dialetti Cremonese, Bresdino
e Veronese.
11 Parmigiano è pure ristretto alla città e territorio di Parma,
sino alle falde dell' Apennino; ed è quindi parlalo nella plooob
regione compresa fra il Po, l'Enza, le falde dell'Apennino e il
territorio di Piacenza. Le sue varietà sono leggiere.
Il Borgoiarese è diffuso lungo i monti e le. vallate parmigiane
e in parte delle piacentine, in molte varietà, delle quali è rap*
presentante comune il dialetto di Borgotaro, che^ né è capohic^.
Il Piacentino j oltre alla città di Piacenza e suo territorio, in-
vade ancora colle sue molte varietà quella estrema parte orien-
fele degli Stati Sardi, che è racchiusa fra il Po sino a Valena,
ed una linea serpeggiante, che da Valenza raggiunge l'ApenHiiiio
presso Bobbio, radendo Alessandria e Tortona, e peroorrendo la
valle della Stàfbra.
Per ùltimo il Pavese, in più angusti limiti racxihiuso, è par«
lato nella città di Pavia e nei vicini distretti posti tra la foce del
Lambro ed il Naviglio di Bereguardo, confinando coi dialetti' Mi-
lanese,. Lodigiano e Piacentino.
^. S. Proprietà distintii;e dei ire gruppi
Bologneeej Ferrarese e Parmigiano.
Le proprietà distintive sulle quali abbiamo fondata T esposta
divisione sono le seguenti: Primieramente il gruppo Bolognese
situato nel centro dell'emiliana famiglia, e diviso da ogni altra
per mezzo dell' Apennino e del mare, serbò più intatte le primi-
ttve sue impronte; mentre il Ferrarese, surto più tardi dalla com-
mistione di vari pòpoli, ed esposto all'immediato oontalfo colla
vèneta famiglia e coi dialetti lombardi orientali, assunse parec-
chie proprietà di quelli, perdendo o modificando le proprie. Si-
milmente il gruppo Parmigiano, esposto da tre Iati al contatto
coi dialetti lombardi occidentali, coi pedemontani e coi liguri,
smarrì in molti luoghi le nazionali impronte, assumendone ddle
DIALim EMILIANI. IM
stnniere. Per modo cte il Bolognese è il flòlo nppMfleotante del
nmù emiliBno, perchè più puro,. e gli altri se ne alhmtànano
precipuamente per varia commistione estema.
Per tacere delle mìnime varianti, che accenneremo a suo luogo,
nel gruppo ferrarese dinaro del tutto il suono a distintivo dei
dialetti emiliani, e in quella vece vi si trovano in qualche parte
diffusi i suoni ù ed o^ affatto ignoti al Bolognese. E qui noteremo,
come questi medésimi suoni, distintivi della fiemiiglia Gallo-itàlica,
e propri quindi di tutti i dialetti lombardi e pedemontani, pe-
netrassero neir Emilia «olo dalla parte occidentale, inoltrandosi,
nella pianura, sino a Borgo S. Donino, e nella montagna, sin
per entro gli Apennini reggiani e modenesi, nel Frìgnanese, Per
modo che il gruppo parmigiano è distinto dal bolognese per Tin-
serzione <fi questi suoni, dei quaH il solo ti manca al dialetto di
Parma, avendo esso pure una leggera gradazione dell' o. Nel
gruppo ferrarese essi contradistlnguono il solo dialetto mantovano,
mentre il Ferrarese proprio ne è affatto immune, e solo Q sud-
dialetto di Guastalla possiede il suono o. Dal che pure si vede,
che quanto più i dialetti si discòstanò dal rispettivo loro centro,
pèrdono della loro purezza, assimilandosi ai limìtrofi.
Inoltre il gruppo ferrarese distìnguesi dagli altri due, serbando
in tfi la desinenza italiana inOj che gli altri gruppi volgono co-
stantemente in étn^ ovvero éiìj ovvero èi:
Italiano
{fkino
cammino
biricchino
latino
ciltadino
Ferrarese
OQmn
camin
birìchin
latin
sitaiin
Bolognese
Parmigiano
ì •
camèin
birichèin
latèin
zitadèin
Modenese
■
avsén
carnea
biriclién
latén
zitadén
IHacentino
avsèi
carnei
birichèi
latèi
zittadèi.
Così ogniqualvolta la e è seguita dalla n nella stessa sìllaba,
viene permutata nei (fialetti bolognesi e parmigiani in et, maitre
nel* Ferrarese rimane inalterata :
llalianó vento sente solafnente fnentre bene sereno
Ferrarese vent eent mlamènt montar ben eerétf
Boloffnese i *. . < . > « .
n^ . . }r)€tnt setnt sulameint niemtr beta seretn.
498 PAIITB SBOONDA.
U Bolognese sopprìme la vocale a nella desinenza italiana tu,
ehe il Ferrarle volge in iè^ e il Parmigiano serba sema allera-
noae veruna:
Italiano carestìa compagnia eresia malattìa ustoria
Bolognese caristi cumpagm eresi malati ustari
Ferrarese carestie cumpagniè eresie malatie ustariè
Parmigiano carisma cumpagnia eresia malatìa ustaria.
U Bolognese ed il Parmigiano risòlvono d'ordinario in òn le
vocali 0 ed ti nelle desinenze italiane ane, cna, ima^ are^ ora,
le quali rimangono inalterate nel Ferrarese.
Italiano padrone persona luna dottore figrMra
Bolognese J , % , ,* , ^. ,
p^ . . )paaroun persouna louna duUmr sgnouru
Ferrarese padron persona luna dut&r ignara.
n Ferrarese cangia in ar disaccentato la desinenza ere dei verbi
italiani, che il Bolognese termina in er pure senza accento, e fl
Parmigiano sovente tronca. Lo stesso avviene in tutte le voci ter-
minanti in drej droj trej tro, pre e slmili:
Italiano pèrdere vedere padre ladro mentre vostro $easpre
Ferrarese pèrdar ^Mbir pàdar lodar méntar vostar sèmpar
Bolognese pèrder veder pader lader mcintr vòster sèimper
Parmigiano perdr i?èdr padr làdr mèintr vòster sèmper.
Nei verbi italiani dì prima conjugazione il Parmigiano termina
fl passato perfetto dell' indicativo in i, che il Bolognese e Ferra-
rese fiidscono in ò:
Italiano 1«"J' ^' V^*V onctórwu» portànm
(andò bacio porto
Ptanigiano ondi basi porti andìn porAn
Bolognese andò basò purtò andòn purtàn
Ferrarese andò basò purtò i andò i purtò.
Le poche eccezioni da farsi a queste generali osservazioai, e
parecchie altre proprietà distintive, che qui onmiettiamo, per*
che meno generali in ciascun gruppo, verranno enumerale più
avanti fra le proprietà dei singoli dialetti. A wertirenM» ftttkltiito
k
DIAUCni EMIUAKI. 107
dbe^ come ogni gruppo ha distinta pronuncia e flettioni speciali,
iOil distlnguesi ancora dagli altri per copia di radici proprie,
iome apparirà manifesto dall'unito Saggio di Vocabolario.
J. 3. Proprietà dùtintive dei singoli dialetti.
Essendo il Bolognese rappresentante principale di tutto il ramo
■dUano, e possedendo quindi in grado eminente alcune prò-
«lelà distintive del medésimo, è diiaro, che la sua distindoDe
■agli affini deriva sopra tutto dalle divergenze di questi dalla
lorma comune. Questa norma ecmsta precipuamente dèDe se-
pienti proprietà, che, sebbene in parte altrove mentovate, ripe-
iamo ora per maggiore chiarezza,* costituendo la vera impronta
lei dialetto bolognese.
h esso le vocali si succèdono con minore frequenza che in
(oalslasi altro dialetto italiano; e quindi più fitto vi è l'accozza-
muId aspro e difficile di più consonanti riunite; del che porge
m diiaro esempio il noto detto piacentino: Gfiìss eh^s^fisSj
fnf &r?y che , letteralmente tradotto, significa : fremisse chi si fosse j
ioti aprite j e dal quale si vede, come T Emiliano sopprima otto
MHe ùndici vocali italiane componenti questa frase, esprinèn-
kme Èclle tre.
Quasi a compenso di questa frequente elisione di vocali, il
lolognese suol proferire le rimanenti oltremodo aperte e strasd-
iale,.ciò che lo. distingue da tutti gli altri dialetti itàlici. Da
pesto prolungamento avviene, che sovente risolve. in dittonghi
Hurecchie vocali sémplici, come la e e la t in èi^ nelle desinenze
taBane enaj ene^ etiOj ino, ùwj enta^ ente^ entOj ese^ esa e slmili^
Scendo: i?èina, bèin, serHnj lèifij cantèinaj pulèintajfnèintjfnìih
mèinty spèisj difeisa, per ^na, bene, sereno j linOj ec. ; risolve
le vocali 0 ed fi in òu, neHe desinenze one, ona^ una, ore, oroj
some abbiamo più sopra dimostrato; e cosi altre vocali in altri
littonghi; per modo che sembra, che tolga le vocali ad alcune
lUlabe per riunirle in altre, vagheggiando quasi T accozzamento
li parecchie consonanti riunite da un lato, e quello di parecchie
Micali dall'altro. La qual proprietà lo distingue sopratutto dagli
dtri dialetti del medèsiaio gruppo, nei quali i mentovati ditlopghi
non hanno mai luogo.
i9% PARTE SBOOIfDA.
Con tutlodò il Bdognese evita per lo più racconamento deBe
conaenanU r/^ m^ assai frequente nell'italiana (avella, non che
nelle altre famiglie vernàcole d'Italia, e vi frappone la vocale a^
oppure Ve:
Italiano pregarlo merlo corno giorno eiemù' inferno
Bolognese pregami mèral còren gióran etèren inferen,
Esso manca affatto dei suoni o ed u^ e in quella vece possiede
il suono àj ignoto a quasi tutti gli altri dialetti italiani, e diibso
con poca varietà in tutto il ramo emiliano, tranne il minor
gruppo ferrarese. Questo suono occupa il posto dell' a nelle
desinenze dei verbi italiani terminanti in arcj e dei loro partt
cipj, non che in molte altre ^oci.
Suole invertire, e con esso pure tutti i dialetti emiliani^ più
o meno, le sillabe iniziali loj le^ in alj e le ra^ re^ ri^ ro> ry in
arj del che abbiamo dato altrove parecchi esempi.
Procedendo alle proprietà speciali del dialetto bolognese^ esso
termina per lo più in ànd i gerundi dei verbi irregolari e di
quelli di seconda e terza conjugazione, che negli altri dialetti
finiscono in èndj come:
Italiano enendo dicendo facendo togliendo ^?emendo •
Polognese 9iànd digànd fagànd tulànd vgnmgimi
Ferrarese essènd disènd fasènd tulènd vegnènd
Paimigiano essénd disènd fasènd tulènd fpgnmd.
Pèrmuta l't in é in molte voci e nei participj terminanti d'<
dinario negli altri dialetti in ìj dicendo : rézz^ réCj reliquia^
iupéj nbidéy per riccio j ricco ^ reliquia^ assopito j obbedito.
Cangia talvolta in sti il suono italiano schij che gli altri dialetHB
volgono generalmente in sti:
Italiano schioppo schiuma scoppiare schiantare schiaiia
Bolognese stiòp sliuma stiupar stiantar stiaita.
ferrarese I
n . . [sèiòp sèiuma sHupàr stiantar siiala.
Parmigiano I ^ '^
Il Romagnolo è tanto diverso in apparenza dal Bolognese s
quanto in sostanza ne è affine. Basta confrontare il vocabolario
romagnolo col bolognese e la rispettiva struttura graiiuuitiflrie,
NAUffn BMIUANI. 499
per èsMTO persuasi della fondamentale loro consonanza. Eppure
fisoArdano talmente nella pronuncia, che sovente Tuno con diffi-
colti è inteso dall'altro; e siccome questa differenxa di pronuncia
ìarìa oltremodo nella stessa Romagna propriamente detta da
hiogo a luogo, cosi il Romagnolo settentrionale intende appena
il meridionale e viceversa , sebbene parlino in sostanza un solo
Caletto. Avuto riguardo appunto a queste dissonanze di pronuncia,
fldaletto romagnolo suddìvldesi in molte varietà, delle quali,
eooe accennammo, le più distinte sono: il FaentmOy che ne è
nppresentante comune, il Ravennate^ Vltnolese^ il Forliveiej U
Cnenate ed il Riminese. I due primi sono più puri ed indipen-
denti; rimolese tende al Bolognese per modo, che gli stessi Faen-
tini Acono che gli Imolesi parlano bolognese; gli ùltimi tre si
aecdataiM) al Marchigiano.
Tutti questi dialetti distlnguonsi dagli altri emiliani per Tar-
tteolo maschile é, dicendo : é fiòl^ é paderj é sgnòr e shnili; e
pd ptùoùand personale Uj come: ti déss^ u vléva^ u witè, per
egli diise^ egli voleva^ egli sentìj i quali negli altri dialetti sono
rappresentati entrambi dalla voce o/^ dicendosi generalmente al
fiòl^ al pSdoTj al dé$$j al sintè.
Il Faentino ed il Ra^?ennale disthiguonsi dagli altri romagnoli,
e dallo stesso Bolognese, per firequenza di suoni nasali nelle de-
9ÌLeaie an^ ^j ^s on^ un.
Èvitanala collisione delle consonanti ^fiij rtiij Im nella me-
désima sillaba, firapponèndovi T ùltima vocale che scambiano
d* ordinario in u muta.
haliailo enhisiaemo enorme infortne elmo infermo
faentino entusiàmm enòrum infònim èlum infèrum.
Similmente evitano l'accozzamento delle rn frapponendovi un'a
>Uuta, a differenza del Bolognese che vi frappone un'e^ come:
^^roHj etèrany gvèranj per comoj etemoj governo.
lì Faentino termina in é stretto, come i Francesi, T indefinito
dei verbi italiani in arej che il Bolognese suol terminare in àrj
^ gli altri Romagnoli per lo più in a ;
Italiano cogitare entrare trovare portare mangiare
emUé àilré (ni<« purté magne
300 FARTB SECONDA ,
Bolognese cantar intràr iruvàr puriar mùgnàr
Ravennate )
Imolese \ canta intra truva parta mmgà&
Forlivese ]
È speciale proprietà dello stesso dialetto il vòlgere sovente la
d in g, come:
Italiano tedio bandiera insidia misericùrdia discordia obbedienle
Faentino ategi batigera invigia ndsericorgia dùcorgia ubiffènL
Pèrmuta il snono i italiano in z aspra:
Italiano fàcile domicilio cernilo faceto acddia
Faentino fàzil dumizeli zervèl fazèt acsùdia.
II Baifennate è distinto dal Faentino per nna pronnod» Hwllt
(nù aperta, per maggiore frequenza di suoni nasali protungaftl e
pel concorso di doppie consonanti. Inoltre suol permutare
la s in i^ dicendo: niéónj veniy sa^uriij impié^ per
venncj eempiacersij empiersi e slmili.
V Imolese s'accosta più d'ogni altro nefla pronuncia al Bah'
gnesej dal quale peraltro è distinto, si perchè è privo ddle^pi^
prietà speciali di questo, si perchè partecipa delle mentovate
comuni ai Romagnoli, Inoltre esso ha un particolare Allflng»4tt>-
verso del Bolognese, mentre la vocale o accentata ,• die queste
risolve in òuj è permutata dair Imolese in iid^ dicendo: /hio^
muòrt^ puòcj paòrzj tuòlsj cuòssaj per figlia^ morto j fot»s
porcij tolse j cosa.
Volge in éja la desinenza italiana ia^ che il Bolognese # gK
altri R(»nagnoli, come accennammo , imlsoono in i^ il Feff»me
in tièj ed il Parmigiano in iaj dicendo: malattia j carestéjaj ntfo-
r^j per malattia j carestìa j osterìa. — Cangia sovente, taoÉd il
Ravennate, la s in /^ come nelle voci: oQsinSij arifpMdi'^ Ènóts
perij per aìwicinarsij rispose j tolse j perduto.
Lo stesso suono é gli vale di pronome reciproco e di parti-
cella eufònica tra il pronome ed il verbo, dicendo: n ì'm^^
e tdésSj e i'andarò e slmili, per si mise^ e disse^ e andrò; «vé^-
la i corrisponde ora al pronome reciproco se o itj ora al
pitivo toscano ci, che in alcuni dialetti toscani vioie
protìunciato come sci.
Duurm BUUANi. tot
Termina le viid àtà passati perfetti, nei verbi di prima conju»
guione, in é stretta , ehe gli altri Romagnoli pronunciano più o
■eno Imrga, dicendo: inUéj prinzipiéj bcàéj per $enAj principiò,
tadò. Similmente pronuncia alquanto strette le desinenze én^ omì
iU, che in tutti gli altri sono larghe, tranne il Faentino; per
nodo che Tfanolese partecipa delle proprietà di tutti i dialetti
die lo circondano, ciò che lo collega e lo disgiunge ad un tempo
fa dascmo.
n Cetenate ed il Forlivese depongono a poco a poco l'ai^reEsa
dd Bamagnolo settentrionale diminuendo T elisione delle vocali,
e quindi il frequente accozzamento di più consonanti unite, ed
3 concorso dei suoni nasali. Ivi all'aspra sibilante z viene sosti-
tnita per lo più la s^ non solo in quelle voci che i Romagnoli
wttmtrionalL esprimono con z^ permutando la 6 italiana, come
wnèls ftsBU* azzalèn, dunazzij ma in qudle altrert che in ita-
liiao rielèggono la z^ dicendo del pani etarvèlj fàseil^ amUènj
dwmtiij che eemas ragàss^ amastàj soeiàmùj per eenza^ ragaz-
^j ammazzare j sostanza. Dal che si vede che laddove i Roma-
guU eettentiìonali volgono in s il snono italiano i^ i meridionali
ìUgono la £ e la stessa zia s.
hi inoltre incomincia a sentirsi racconto marchigiano nella
eadoiza delle frasi, nelle quali ancora appàjono alcune radici e
torme italiiMie, sebbene corrotte,. ignote agli altri Romagnoli, e
ivoprìe della fiEuniglia toscana, come: giè^ hab, per gire, babbo;
• mlmor^u srsari magnàj per io mi muqjos e* si sarebbe man-
giato e slmili.
Sono poi esclusive proprietà del Forlivese: il terminare in p
Il tena persona singolare nel perfetto di molti verbi, quando è
Hgolta da vocale, dicendo: ondèp^ mandèp^ damèpj fop^ per
^sM, mandòj cltiamòy fuj ed il permutare in e muta Va finale
^kf^ imperfetti, come pure di parecchi nomi ed^ avverbi:
Italiano era voleva veniva robba festa allora senza
pQrliTese ere vleve vneve robe feste aliare sense
B fialétto Biminese s'accosta ancor più al Marchigiano ^ die
i preeed^iti, sopratntto nell'accento e nella pronuncia , per modo
<)ie^ pfMedendo sin oltre a Cattòlica, il Romagnolo si fonde nel
90f PARTI sbdorda; '
Marchigiano. In onta però a questa conformitìi di pronimóia, ed a
malgrado dell'asserzione dei. Romagnoli stessi^ che rìgùàidaiio il
dialetto di Cattòlica come Marchigiano, esso non porta meiM^le
impronte distintive del Romagnolo, che sì estende sino a Pèéàraj
Che anzi ivi si ripètono molte proprietà del Ravennate die ab-
biamo veduto dileguarsi nei Romagnoli centrali, quali sodo: k
permutazione del è italiano in z a^ro, dicendo: donazztj fèsUj
pznéfij zél^ zénZj per donnaccÌ€j fàcile j piccino ^ cielo, cenei^s b
più frequente elisione delle vocali; la permutazione dell' a io
molte desinenze dei verbi in è aperto, dicendo: magtwoa^.mi^
dèvGj entrè, salvè^ spreckèj per mangiavaj andtwa, aitrare, ml^
vare, eprecarej la desinenza dei perfetti di pareocbi veribi in i
aperto^ come: riflitè, ave, risolvè, ^&t rifletté, ebbe, rtaobe/ VHm
del pronome personale u, dicendo: u fase, u s* mou, u Um$i,f»
egli feccs egli si mosse, egli la vide. Dal che appare, come qoeslt
dialetto partecipi delle principali proprietà degli EmiliaiiL >> -.il
Tra quelle che ne lo distfaigoono e lo assimilano alJlawifc
giano, oltre all' accento ed alla scelta di molte voci^ notenne:
la desinenza dei participii maschili in ed, e dei femminili ìnidiu
dicendo: stèd, pechèd, informèd, ritrovèd, per stato, peeoaio, Uh
formalo, ritrovato,- stèda, spreehèda, tratèda, per stata, qtreceàa,
trattata. *-^\o\ge il suono italiano § in i, dicendo: tustiaa,.ti^
loM, tomo^ per giustizia, gelona, giorno. — Non pèrmuta aHi
la o in ttj come sogliono sovente tutti gli Emiliani* -r^ Cangia J!i
finale in e^ in molte voci, come: vostre, conlre, numre^ p^co-
slro, contro, nùmero e simili. ' -. » s
II Modenese è più afiSne d'ogni altro al Bolognese^. per latfdo
che si può riguardare come un suo pròssimo soddialeClo*' BmI
partecipa di presso che tutte le proprietà mentovate del.Boie*
gnese, e la principale sua disscmanza consiste nella prononriÉi]
della quale toma assai malagévole descrivere la varia. gradatziiMh
cui solo può distintamente discèmere un orecchio abituato. al
suoni dell'uno o dell'altro dialetto.
Vi sono però meno frequenti i dittonghi àu, òu^ in cui veee
sovente il Modenese pronuncia la prima vocale aperta: e st^af|S-
nata^ dicendo: dutòr, sgnòr, fortuna, padrona, consulaxiàm^^m
luogo di dutàur, sgnòurj furtòìma, padròma, qonfulwfimm. , ..
DiJliLEm BVILUifl. 305
Similmente cangia per lo più nel suono nasale én la desinenza
ino italiana che il Bolognese risolve sempre nel dittongo èìnj o
serba la forma italiana ès nelle voci, che il Bolognese strascina
fa èUj come:
Modenese ragazzèn ben meni Mudnès cortes paès
Bolognese ragazzèin bèta mèint Mudnèis curtèis pajèls.
Inoltre il Modenese distinguesi per l'articolo femminile che nel
plurale fa iV^ come : il don^ stil vHcij dil sa tir j per te donne j que-
fk vecchie j delle sàtire^ laddove gli articoli bolognesi sono t o a/.
Solo di mano in mano che ci allontaniamo dalla pianura mo-
<leiiese quel dialetto assume un aspetto diverso dal bolognese.
n Reggiano distinguesi dal Modenese p^ una pronuncia al-
IDanto più stretta, specialmente nelle vocali che sono precedute
<h doppia consonante; ed è pure distinto dal Bolognese per la
mancanza dei dittonghi èij àu^ óti^ come il Modenese, di cui è
pAsMmo suddialetto, e dal quale diverge solo per varietà d'ac-
cento, e per alcune espressioni che tèndono alla forma parmi-
giana. Esso però varia alcun poco da villaggio a villaggio, e nella
tosa città di Reggio il dialetto del centro ha pronuncia diversa
'iqueDo del quartiere di porta Castello, come pure da quello
d^li altri quartieri di S. Croce, di S. Pietro e di S. Stefano,
^ocedendo poi verso la montagna, la favella vi prende accento
^ forme assai diverse.
Il Frignanese è chiaramente distinto fra gli emiliani per al-
<^e proprietà che lo assimilano ai dialetti lombardi. Ivi infatti
^^miamo i suoni ile i mancanti nella màssima parte degli emi-
liani. Meno frequente vi è T elisione delle vocali , e tra queste
Solo alcune vengono pronunciate aperte e prolungate in fine di
Pttnola. Ivi non troviamo i dittonghi èij duj òu propri del gruppo
principale, né molto meno il nasale èn^ che il Modenese ed il
Reggiano sogliono sostituire airitallana desinenza inoj ed in vece
M troviamo in alla foggia lombarda.
Manca affatto del suono emiliano àj e si nei nomi che nei verbi
Wrba d'ordinario le flessioni lombarde; per modo che potrebbe
ancora considerarsi come un dialetto lombardo, tinto leggermente
d'enillaiio. in esso è da notarsi la conghmiioDe es corrispondente
904 wàxn noomià.
air italian ej ed un speciale pronimeia aperta em
sua propria.
Di mano in mano che s' avvicina alla vetta dell' ApeaninOi qa»^
sto dialetto assnme accento e forma toscana, del che porge m
chiaro esempio il Diàlogo in dialetto di Fiumalbo, inserito ndla
Corografìa Italiana del benemèrito Zuccagni-Oriandini, i
11 gruppo Ferrarese è meno puro e meno originale degli altri
emiliani, non solo pel continuo suo contatto eoi Vèneti e .coi
Lombardi, dai quali trasse notévoli impronte; ma perdiè sane
posteriormente dalla mistura di varie nazioni, che nel oofso delle
nòrdiche invasioni si rifuggirono nei paludosi polesini convertiti
più tardi nella fèrtile pianura ferrarese. Fra le varie favelle lao»
chiuse in questo gruppo, la sola che serba vestigia originaUòed
antiche, si è quella del pescatore di Gomacchio, di quella priaea
Comaculas che molto prima della fondazione di Ferrara aom-
stava alle paludi ond' era attorniata, e per le quali ebbe aenpit
diffìcile e scarso commercio coi pòpoli circostanti. Di questo dia-
letto parlato appena da qualche milliajo di rozzi valligiani, sa-
rebbe molto ùtile impresa il raccorrò le più distinte radici e le
forme primitive, ciò che invano abbiamo chiesto ad akaiii dadi
corrispondenti, non avendo noi potuto fermar qualdie dnaoraia
quelle lagune. . .
Prima che il Po, deviando dall'alveo abbandonato di Priaaro,
ed ora percorso dal Reno, imprendesse Y attuale suo eano^ wdù
solo doveva èssere il dialetto parlato nella provincia mantovana)
allora molto più estesa a mezzogiorno, diffuso eziandio nel Immo
Modenese e Parmigiano, situati allora sulla riva sinistra di qad
fiume. Ma dappoiché esso mutò il suo corso, comecché i'aalieil
àlveo rimanesse poi sempre confine etnogràfico, il Mantovano •
divise in due dialetti, dei quali quello che pàriaà lungo la itt^
destra del fiume si conservò più puro, mentre l'altro, èioè. ^
MankK>ano propriamente detto, ristretto dalla sinistra in bra^
territorio, ed attorniato dai dialetti vèneti e lombardi, eoi quinta
più tardi ebbe comuni le vicende politiche, ritrasse pareec^
suoni e forme distintive di quelli, rimanendo cosi disgiunlo 4^
Ferrarese.
Questo fra gli emiliani è il meno aspro, avendo esso pure ra^l'
DIALRTI EWLIARI. )06
dolcita la pronahcia al contatto coli' accento scorrévole del Vè-
neti^ e dìstlngnesi da' suoi afCni per la mancanza del suono à e
€Ìet dittonghi et» òn propri di questo ramo. Al primo sostituisce,
come il Vèneto, un' a alquanto aperta, specialmente nell'indefi-
nito e nei participj dei verbi, dicendo: dedderdrj magnar j portar ^
mmà^ votàj nuinedj ed in luogo dei secondi, serba le desinenze
itailMie doitàTj onoTj rasónj padrón e slmili.
Inveee di sostituire la z aspra al suono è italiano, esso lo pèr^
muta in s alla foggia dei Vèneti, dicendo: prmsipiàrj iUtadins
mii, per principiare j cUtadinOj civile.
Volge in ar breve le deanenze italiane dre^ drOj pre^ tre, irOj
MI die gli infiniti dei verbi terminanti in ere:
haliaoo padre ladro sempre mentre dentro godere leggere
FflRvesa pddor lodar eèmpar mintar dentar gòdar lézar.
Volge la desinenza italiana ìa^ e talvolta ancora la io in tè,
(Keeodo:
italiano compagnia eresia osteria mio
Ferrarese cumpagniè eresie ostarle mie.
Ha meno frequenti le elisioni delle vocali nel mezzo delle pa-
role e le Inversioni delle consonanti, ciò che ne rende la pro-
nuncia più scorrévole a confronto di quella dei dialetti affini, e
6 oso di parecchie voci tolte ai vèneti dialetti.
le sue varietà poco dissimili sono i linguaggi dei distretti man-
tovani cispadani, il Mirandotese ed il Guastallese.
Rei primi, il continuo commercio coi dialetti dell'opposta riva
dd Po introdusse una leggera gradazione dei suoni lombardi o
^ ii^ ed un accento misto di vèneto e di lombardo. Nel Miran-
dolese sèrbansi miste alle proprietà del Ferrarese alcune tracce
del Modenese e del Parmigiano, nella desinenza aperta òn^ nella
iHBmmt&zione del i in Zj ed in alcune flessioni dei verbi, come
Wtpflr^ tgniva e simili, che il Ferrarese termina in evaj prinzi-
pian, dmandòn^ ove il Ferrarese sopprime la n finale , ed altre
4 tal sorte.
Nei Guastallese distlnguonsi pure i suoni e ed u dei Lombardi
in molte voci, come /ogfj zog^ piitinj tutj per foco, giuoco, barn*
^tno^ dillo. Talvdta volge alla foggia parmigiana la t in é in
Ì06 . rAin saGOMDA;
alcune voci, come: gallimìa^ cantinna, per gailtM^ eamHM.
Suole terminare in t i nomi femminili plurali che in italiano ii-
niscono per e, come : li cosiy li belli donni^ per te cofe^ le beU^
donne. Questa proprietà vi fu introdotta pel commercio continuo
col vicino dialetto parmigiano^ del quale ò distintiva. In gene-
rale peraltro, sili GnastaUese che il Mirandolese, serbano molta
afiSnità col Ferrarese e col Mantovano, dissonando così nella formsi
come nell'accento dagli altri vicini dialetti, ai quali sono poli*
ticamente congiunti.
Il Mantovano ha in maggiore o minor grado le proprietà men-
tovate del Ferrarese, del quale in origine fu prihdpale fiittore;
e solo ne dista per la frequente inse^ione dei snoni lombardi o
ed ii, e per la forte alterazione subita negli ùltimi tempi, .mercè
il contatto coi dialetti vèneti e lombardi. Perciò esso è» parlato
con qualche purezza appena n^llà città-di Mantova e liei'Tidni
sobborghi , mentre a qualche miglio verso oriente prevale i' ac*
cento e la forma del dialetto veronese, che in più luoghi s! insi-
nuò al di qua del Mincio; e alla distanza di poche miglia verso
occidente e settentrione, è rimarchévole l'influenza dd dBaletti
lombardi orientali, nei quali il Mantovano gradatamente ai foade.
Il dialetto Parmigiano distlnguesi da tutti i suoi drcoatanli
per una serie di proprietà, fra le quali basterà notare le seguenti:
Esso abbonda in dittonghi, e fra questi 1 più frequenti tNmo
aij eij ou. Sostituisce ai alla vocale a ogniqualvolta in italimo
trovasi il dittongo ia^ oppure ie^ o io nella sillaba seguente, di-
cendo àiraj oàiroj per aria, vario e slmili. Risolve nel dittongo
et la e^ in tutte le desinenze italiane enaj ene, eno^ enia^, eittei»
ese^ ina^ ino ed in parecchie altre voci, dicendo: vHna, bèmj .
serètn^ contémto^ numièintj mèis^ piasèintèinaj farèkia^ vèin^ Mi-
guaj amrj per vena^ befiCj terenoj cantenta^ tnomenio,
piacentinaj farina^ vinOj lingua^ avere. Risolve poi nel
òu le vocali o ed u nelle desinenze italiane ana^ one, umi^ are.
oraj osOj osa^ dicendo : persòunaj rasòun^ lòunaj fortàunaj fiàwr,
sgnòuroj ascòus^ niorònsa^ per persona^ ragione^ luna, foriima^
fiorej stgnoraj ascoso^ amorosa.
Volge d'ordinario in ó il dittongo italiano uOj dicendo: fioC
scólaj vìily polj per figliuolo^ scuola, imole^ può.
DIALETTI EMILIANI. S07
Strascina oltremodo, quasi a guisa dì vocale raddoppiata, le
aj e, 0, quando si trovano in principio di parola e sono accen-
tate, dicendo: mata, bélj cóto^ per matta^ bello j colto.
Volge la e in «3 e l'a in àj ogniqualvolta sono seguite da r
nella stessa sìllaba, come: ctiarta^ satra^ invàretij per coperta^
torva, inferno j ed arma. Partita, màrtir, per arme, Parma,
fnàrUre.
Nelle terminazioni plurali femminili invece pèrmuta la ^ in i,
dicendo: il beli doni, il mali piti, cioè le belle donne, le male
^ile; così pure in tutti gli imperfetti dei verbi al congiuntivo,
^one tgnu, pudiss, alziss, varìss, per tenesse, potesse, leggesse,
colesse.
Anlopposto degli altri dialetti emiliani, non volge mai la o in
-mi, ma bensì talvolta la u in o, dicendo on, coìia, cost, per uno,
^^mlla, questo. E meglio ancora distlnguesi dagli altri emiliani ,
^lenmitaiido sovente la t in u, pronunciando prum, fastudi, prtm-
^^upiar, per primo, fastìdio, principiare. La quale proprietà ac-
^raompagna quasi tutti i dialetti , che all'occidente del parmigiano
^ estèndono lungo le rive del Po e del Ticino, sino alla Sesia ed
«1 Verbano. E qui gioverà avvertire, come il corso de' grandi
^und, che d'ordinario, arrestando il conunercio frequente fra
^& abitanti delle opposte rive, segna una precisa linea etnogrà-
Qea , giovi all' opposto alla diffusione delle schiatte lungo le
W*ive medésime, per ragguardévoli distanze. Cosi lungo la riva
4el Po, da Valenza discendendo sino all'Adriatico, troviamo pa-
i^ecehie voci e forme comuni a tutti i differenti dialetti che vi
^ parlano. Valga d' esempio la strana voce cminzipiàr^ la quale
appare composta della prima metà della voce equivalente italiana
^^mninciare, e della seconda metà dell'altra corrispondente prtn^
eipiarej essa è comune del pari al Valenzano , che al Ferrarese
^d al Ravennate. Cosi lungo l' opposta riva dello stesso fiume ,
Hon che lungo quella de' suoi principali affluenti, cioè del Ticino e
^Ua Sesia, vediamo rinnovarsi un simile fenòmeno pel corso dì
molte miglia , sebbene frattanto differiscano fra loro i dialetti in-
termedi.
Oltre alle proprietà surriferite, il Parmigiano suole evitare la
17
I I ir;n I :i I
208 PARTE SBCONDA.
<H)lUsione delle consonanti cr, Im^ rlj rm^ ni, rv^ fra
d' ordinario la vocale e:
Italiano crepare salmo orlo uniforme giorno nerro
Parmigiano cherpar sàlem òrel unifórem gióren ncrev.
Pèrmuta sovente la 6 italiana in z aspro ^ dicendo: fizil, aih
prizij zercàr^ per fàcile ^ capriccio ^ cercare.
Termina le terze persone singolari dei passati perfetti di prima
eonjngazione in t^ come: andì, basi, mandi, consumi j per ondi^
baciòj mandòj constmiò,
il Borgotarese è alquanto distinto dal Piarmigiano , cosk neHa
pnxiuncia, come neir accento e nelle flessioni, accostandosi ai
dialetti toscani e genovesi. Esso manca presso che dei tutto del
suono emiliano a che proferisce assai debolmente in poche vod;
e in quella vece ha comuni coi dialetti lombardi i suoni o ed «^
come vedrassi in alcune voci della seguente versione della Pa*
ràbola, p. e.: /ijó, lógOj scode j vii, lUj tùlo e simili.
Sc^ra tutto distinguesi dagli altri emiliani , terminando eoo
vocale la maggior parte delle parole, che quelli troncano sempre;
valgano d' esempio i nomi : pde/o^ fradeto^ ainOy pajésej i plorali:
ser^itoriy porcili, canti; ì partidpj: morto, fatto, dito, pensoi ^
verbi : disse, mèrito, K>gnìsse. essendo.
Fa uso degli articoli u ed ar, il primo dei quali , come nel
dialetto genovese, dal quale sembra derivato, fa più spesso rat-
fido di pronome personale. Cosi nelle frasi u disse, u saltò, •
respondi, significa egli disse, egli saltò, egli rispose.
Talvolta sostituisce la j al suono molle gì italiano, e le m al'
r italiano gn, come : fijo, foja, voja, in luogo di figlio, foglia, vor
glia; maniof^, Campania, per maingiaioa, campagna.
Nei nomi plurali femminili serba non solo 1* articolo italiano b,
ma ancora la terminazione e che il Parmigiano, come acceo'
nammo, cangia in t. Dal che si vede, come il Borgotarese vada
accostandosi ai dialetti toscani e genovesi. Queste prcqnrieti per
altro , che sempre più vanno sviluppandosi nelle valli superiori,
vengono meno di mano in mano che si discende nell'ima valle
del Taro; giacché nell'Agro parmigiano, come altrove, i dialetti
variano, non che da valle a valle, da distretto a distretto e d»
DIALRTI EMIUANI. 300
villaggio a villaggio. In un opùscolo manoscritto sui dialetti di
Parma, Piacenza e Guastalla, di Luigi Uberto Giordani, apprestalo
sin dall'anno i804, peir inchiesta di Moreau Saint-Mery, allora
amministratore di quegli Stati, e comunicatoci dalla gentilezza
del chiaro bibliotecario della Farnese cavalier Angelo Pezzana ,
tròvansi distinte cinquantanove varietà di pronunda, che T as-
tore rappresenta nel vario modo di proferire la voce andaf.
Il Piacentino^ comecché strettamente affine, e quasi suddia-
letto del Parmigiano, ne differisce notevolmente nella pronuncia
ed in alcune flessioni per modo, che frequenti sono le gare fra
quelle due popolazioni, avvezze da sècoli a deridersi a vicenda
per r affettazione dell' accento e di alcuni 'modi peculiari. Questa
irarieti di pronuncia consta primieramente nell'uf^> che il Pia-
<entiiio suol fare del suono ùj e nel vario modo di strascinare
le vocali accentate, cui solo può ben designare la viva voce.
faMdtre esso risolve sovente nel dittongo òin la terminazioiie
italiana inOj ed in ùin la finale unoj per la qual proprietà di-
•tingoesi non solo dal parmigiano^ ma da tutti i dialetti emiliani,
Iranne il solo Pavese che ne è suddialetto. Goii in luogo di be-
mMj signarinoj Carlino jAnUminOs il Piacentino proferisce: bi-
■ nàia, iioròinj CartòiUj Tolòmj ed in luogo di tino^ venl^ tmo ^
aieffunOj pronuncia vurn^ ptnl'tim^ nsiiin.
All'opposto dei Parmigiani che proferiscono sempre le conso-
nanti sémplici , eziandio quando sono raddoppiate in italiano , i
Piaeentini sogliono raddoppiarle, altresì quando èsser dovrebbero
sémplici, e pronunciano: multa j pappa j costa j iella j per «itila»
papaj cosa^ telaj nel che il Piacentino differisce pure da quasi
tutti g^ altri dialetti emiliani e lombardi.
Nei nomi femminili plurali, che il Parmigiano suol terminare
per i^ il Piacentino tronca d'ordinario la terminazione, dicendo:
U donHj il portj il vàè, cioè, le donne ^ le porte ^ le vecchie.
Suol terminare in a gli indefiniti dei verM di prima conjuga-
lione , die il Parmigiano termina in àr^ e gli altri dialetti in or,
0 in èr^ o in dr^ come: ama^ portàj andàj per amare^ portare,
mudare, in quasi tutti gli altri verbi poi l' indefinito è eguale alla
(Nrima persona del presente indicativo; cosi mor, sèntj lèZj piànZj
lignlfiraiiff monne, eentires lèggere^ ptàngere. Ed in ciò pure esso
240 PARTE SKONOA.
dìsUnguesi dal Parmigiano , il quale d' ordinario snoie fiormare
r indefinito dei verbi ^ troncando daUa voce italiana l'ùltinia vo-
cale , come : murir^ sintir, lèzer^ pianzèr, parer.
Laddove il Parmigiano cangia in a la e seguita da r nella
stessa sillaba, il Piacentino la pronuncia si stretta, da ooofihi-
derla quasi colla tj proferendo : séppoj cover la j invémo. TmlvoMa
ancora pèrmuta la e in o^ dicendo: vad^ cravóttj per cecio^ cth
pretto j la qual proprietà estèndesi ancora lungo il Po sino a Va»
lenza.
Di mano in mano che questo dialetto si estende verso ocei-
dente , varia , assumendo alcune proprietà dei dialetti lombardi^
pedemontani e liguri, coi quali confina. Perciò fra le sue va-
rietà più distinte abbiamo notato il Bobbiese^ il Bromese ed fl
f^alenzano^ il primo dei quali partecipa di tutti i mentovali
dialetti, il secondo si confonde col Milanese, ed il terso col Ver*
banese , sebbene in tutti emèrgano le proprietà distintive de|^
emiliani.
li Bobbiese infatti, mentre possiede il suono a, ed elide JO-
vento le vocali nel mezzo delle voci, fa uso ancora dell' articola
genovese Uj de' suoni lombardi ò ed u^ e di alcune forme e vod
piemontesi, quali* sono i futuri terminanti in o^ andare^ alvro^
dirój l'indefinito esse per èssere edaltretali. Situato sull'estremo
confine di stirpi diverse, è ristretto alla sola eittà ed agro di
Bobbio , mentre i mandamenti di Varzi e ZavattareUo poeti al
Nord-Ovest, che un tempo formavano parte del Ducato di MiialMi
sentono ancor più del lombardo, ed il mandamento d'Ottcme tt-
tuato a mezzogiorno, già feudo imperiale dei principe Doria,
maggiormente s'accosta al dialetto ligure, il quale òdesi distinto
nel Comune di Corte Brugnatella , fira Bobbio ed Ottone.
U Bronese depone quasi interamente le proprietà emiliane per
assùmere le lombarde, già radicatevi da sècoli, mercè la lungi
soggezione di quella .terra alla Signoria Milanese. E perciò po-
trèbbesi con egual ragione classificare fra i dialetti lombardi oor
ddentali. Se non che, la frequente elisione delle vocali nel men»
deUe parole, che abbiamo posto come proprietà distintiva in
questi due rami, V inversione di alcune lèttere , come ad^ ahèt,
arsussUàr^ per d^ koarej risuscitare^ e la sua posizioiie luqf»
MAumn mniANi. 311
r estremo lembo dei dialetti emiliani^ ci determinarono a collo*
cario piuttosto in questo ramo.
Il F'alenzano coUégasi agli emiliani per l'elisione frequente-
delle Tocali intermedie , pel suono àj e per alquante radici con
essi comuni. Ciò nullostante esso partecipa ancora in modo par-
ticolare delle proprietà distintive del gruppo Verbanese, permu-
tando sovente la u italiana in t^ dicendo ìHj inna per uno^ una;
« inversamente la t in Uj proferendo priimma, viisto per prtma,
wUtOy ciò che ha pure comune col Piacentino; sostituendo la 6
alquanto aspra alla t finale in parecchie voci , màssime nei par*
Yidpj , come in tue, dUj fai^ andàè e simili. Per modo che non
si saprddie stabilire, se la popolazione della città ed agro vaì>
lenzano appartenga piuttosto allo stìpite emiliano, o al veite-
nese; e tanto più ciò riesce difficile, ove si consideri, che Valenza
C3 suo territorio fu per sècoli e sino agli ùltimi tempi aggregala
^dk Diòcesi Pavese, e che trovasi presso la foce della Sesia, il est
Xxidno forma sede principale del gruppo verbanese; giacché non
cl<Abiamo lasciar di notare , che un tempo questo fiume metteva
Hi^Po alcune miglia al disotto dell'attuale sua foce, come atte*
stano traode evidenti dell'antico suo àlveo abbandonato.
Per ùltimo il Pavese puossi risguardare come un suddialetto
del Piacentino, alquanto misto di lombardo. G)munque notévole
peraltro sia questa inserzione dì lombardi elementi nel dialetto
pavese^ non reca meno stupore l'osservare, come esso abbia
potuto conservarsi cosi distinto, dopo tanti sècoli di continuo ed'
immediato commercio còlla vicina capitale lombarda, anzi dopo'
èssere stato nel centro della lombarda dominazione, alla quale'
ha sempre politicamente e geograficamente appartenuto.
L' influenza del dialetto milanese sul pavese appalesasi princi-
palmente nel lèssico e nelle forme e flessioni grammaticali, che
in màssima parte concordano colle lombarde, mentre nella prò-,
mmcìa sertn molta simiglianza col Piacentino, col quale ha al-
tresì comune il distintivo dittongo oi^ il prolungamento delle vo-
cali e l' accento. E ciò valga a nuovo documento di quanto adi-
biamo nell'Introduzione asserito (I), che cioè un dialetto sottoposto
(i) Vengasi nriPIntrcKlBzkMie, pag. xn.
i
diS PAETE flKONIMU
alla preralente inflaenza d'un altro, depone anzitaUo il proprio
lèssico ed alcune forme peculiari, non mai la primitiva pMóimcity
la quale trapassa indelèbile dall'una all'altra genenudoiie.
2 4. Osserfpazkmi granitnaticali in generale.
Comunque strani e in apparenza diversi dagli altri itilid
letti, gli emiliani sono tuttavìa costituiti sopra un medèsiflio si-
stema grammaticale , che perciò appunto possiamo denomiiiafé
itàlico^ essendo più o meno diffuso su tutta la Penisola^ con fù^
che eccezioni e lievi modificazioni neUe forme esteme, dipendaalt
per lo più dalla pronuncia.
1 nomi sono sempre retti da un articolo» o da ima prepori^
zione, o da un pronome. L' articolo per lo più vale a deCenal-
name il gènere ed il nùmero. Due sono i gkieri , maechUe dol^
e femmmUes due i nùmeri: angolare e plurale. Pei nomi mi-
schili l'articolo determinato singolare varia ne'varii diateli, mh
sondo rispettivamente al^ or, elj l\ e^ Uj che nel plurale cAnglai»
tutti indistintamente in t. Pei femminili ogni dialetto adopera Vesf^
tlcolo determinato italiano la, che alcuni nel plurale cingiamo
in le, altri in elj al, i, il. L'articolo indeterminato mascdiile è
fin, orij thj che nel femminile fa una, na, óna, tutta.
Talvolta però in alcuni dialetti la sola desinenza vale a
traddisUnguere il gènere ed il nùmero dei nomi, ed allora,
in italiano , la terminazione a dinota il gènere femminile,
le t ed e Indicano il nùmero plurale maschile e femminile. Si
eccettuino il dialetto parmigiano e qualche romagnolo, die,
terminando in a U singolare di parecchi nomi femminili, danno
al plurale la terminazione i . Innumerevoli poi sono a tal pn-
pòdto le irregolarità dei nomi , dei quali la maggior parte ri-
mane inalterata in ambi i nùmeri, e parecchi ricévono specUi
flessioni.
Le preposizioni , come in tutti i dialetti e in tutte le lingae
d'Europa , valgono a determinare i rapporti che collègano i noni
alle altre parti del discorso, provvedendo all'assoluto difetto dd
casi ; e sono le comuni italiane de o ad, a, da, per o pr^ corno
DiAunn ismuANi. Si 5
cim, ifiy ec. Quest'ultima per lo più va unita alla I» che fa Taf-
fido di lèttera eufònica, dic^dosi generalmente in Val ^ o in
tUoj per nello j nella ^ ciò che pure si osserva nella maggior parte
de' dialetti italiani. Solo noteremo, come i dialetti piàcentùÉo e
valeniano sostitniscano la s in luogo della 1, proferendo invece
in s'alyin s' la. E qui ò pure a notarsi la strana prepoóxione m*
esclusiva del dialetto Riminese, che vi tien luogo ddla preposi-
zione ttj dicendosi m^e su babj ni* un fiól^ per esprimere: a euo
foére, ad un figlio.
Tutte queste preposizioni contràggonsi d'ordinario oog^i arti-
coli in una sola voo«, come suol farsi in italiano, formando così
dij del, dalj davj dle^ dela, dele^ dilj di^ oppure ae^ alj^ ar^ ai,
ala], ale, e così di sèguito. Con esse declìnansi i nomi propri, i
quali pure nell'Emilia pòrgono ampia messe d'osservazioni al
linguista, per l'originalità delle loro forme e per le frequenti
omonimie che s'incontrano, ponendoli a confronto coi nomi di
luoghi y monti, fiumi e torrenti della liombardìa, del Vèneto.,
della Rezia, del Piemonte e di parecchie straniere regioni.
Gli aggettivi non òffirono alcuna particolare osservazione y do-
vendo concordare coi loro nomi , mercè le poche mentovate fles-
sioni , che in essi pure distìnguono talvolta i gèneri ed i nùmeri.
Quanto alla loro formazione, non differiscono pimto dai lombardi,
0 dagli italiani, assumendo le terminazioni én^ èij èin^ in^ énuj
èinoj inaj o élj ttj iUij pei diminutivi; òn^ àss^ àzZj òna, assa^
azzaj pegli aumentativi e peggiorativi; issenij issema pei super-
lativi; come pure gli avverbi più e menoj pei comparativi.
I pronomi derivano dalle stesse radici degli italiani, e sedo vi
sono variamente corrotti dalla pronuncia. Si declinano ora colle
sole preposizioni ed ora cogli artìcoli, e persino le anomalìe loro
sono comuni cogli altri dialetti. Così p. e. , nei casi obliqui gh*
oppure t corrispóndono all' italiano a lui^ a leij a loroj nCj o n*
all'italiano ne^ o a noij v* 2l vij o a ^oij e così di sèguito. Lo
stesso dicasi degli altri pronomi, i quali propriamente sono f^
italiani corrotti dalla varia pronuncia.
I verbi si conjùgano d'ordinario sulla norma degli italiani, dei
quali, comecché alterate, serbano per lo più le flessioni carat-
lerislicfae. Perciò il verbo ausiliare avere seguito dal participio
su
PARTE SECONDA.
vale a formare le voci passate mancanti, mentre il verbo èssere
collo stesso participio provvede all'assoluto difetto della voce
passiva. Con tutto ciò molte sono le varianti in ogni dialetto, per
la formazione delle voci in ogni modo e tempo, ed a pòrgerne
un Saggio soggiungiamo la conjugazione attiva dei due verbi ùrth
vare e tenere nei tre dialetti Bolognese, R^;giano e Parmigiano.
Abbiamo preferito questi due verbi, poiché in tutti i dialetti pos-
sono rappresentare il modello, su cui la maggior parte degli altri
si conjuga; non lasceremo però d'avvertire], che innumerèv<di
sono le irregolarità dei verbi in ciascun dialetto, il notare distin-
tamente le quali sarebbe assai difficile e forse inùtile fatica.
BOLOGNESE
REGGIANO
PARinGIANO
Tempo preiente
Tempo panato
Tempo futuro
Gerundio
Participio (a)
me a port (6)
té V port
la a'I porta
na a purtèln
vu (e) a parta
lòur pòrten
me a
ter
lua'l
nn a
va a
lòur
jlfodo i$ìde finito.
purtar
avèir parta
èssr pr parta
partand
parta
purtàva
partàv
part&va
partàven
portivi
purtàven
partar
aver parta
èsser per partar
partànd
parta
portar
avèlr porti
èsser per portar
portimi
porti
jlfodo Indkatwo.
Tempo Pretente.
me
té V
16
nò
vò
lòr
port(d)
port
porta
ipartèm
i partòm
parta
pòrten
mi a
UslV
col el
na a
va a
lòri
port
port
porta
portèm
porta
pòrten
Tempo Panato Pròmimo.
me
portava
mi a
portiva
ter
portav
tiar
portiv
lo
portava
loel
portiva
nò
portavem
no a
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vò
portavev
va a
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lor
portiven
lòri
portiven
DUUmn BUUANI.
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pnrtarò
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partarà
portarèin
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arò
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ari
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Toqpo PMMtO PttftltO.
^ Jrpurtéssel * *
nò
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purtò
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•§
pur»u # 111
purtéssev J^ avi
purtam ^
purtòm
v6
lòrj
Tempo Passato Rimoto.
me II
mi a porti opp. Jò
UaVportiss Va
la el porti
rà
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avemai
e
j' iva
V aviva
té
16
nò
vò
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I r ivet
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J'ivem
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Ir
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nu a portissem |
va a portissev j^avi
lòr 1 portin kn
miar l*''*
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Teapo Fataro.
me partarò
té V partara
lo a ^1 partara
nò
vò
lòr
I partarèmm
Ipartaròmm
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partaràn
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0
Tempo Fntnro Passato.
me
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arò
ara
ara
|arèm
iaròm
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aràn
mi a portarò
ti a t' portara
la el portare
na a portarèm
va a portar!
lòr 1 portaran
mi J** arò
ti V ara
la r ara
na j^ arem
va j'
lòrr
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916
PAETB 8B0ONDA.
pòrU té
eh' lu pòrta
purtèln
parta
chM pòrten
eh' me a pòrta
eh' té t' pòrt
ch^ lu pòrta
ch^ nu purtàmen
ch^vu purtadi
ohMòar pòrten
eh* me a purtàss
eh^ té V purtàss
eh' lu purtàss
eh' ni| a purtàssen
eh' vu a portassi
eh' lòur purtàssen
»Ki»A java
eh' me \ -
lapa
eh' té t' àv
eh' lu I !^*
lapa
eh' nu avamen
eh' vu avadi
eh' lòur 1^^*"
^apen
0
Modo Imperatilo,
porta fé
eh' al pòrta lo
I purtèmm
ì purtòmm
purta
ehe pòrten lòr
Modo Congiunlwo.
Tempo Pretcìite.
ehe me porta
che tè t' pòrt
che lo pòrta
che nò »P"'-J?'»°»
) purtomm
ehe vò purtadi
che lòr pòrten
Tenpo Pasiato Pròsnino.
che me iP"""*?»»
^"®™® * purtàss
che nò }P«"-tés8em
J purUssem
chevó |P«»'-Jf»ev
f purtassev
che lòr } P"tó'««'»
t purtàssen I
Tempo Pamlo Perfetto.
che me àbia
chetét'jj^l^,
che lo àbia i ^^
. I abiemm f "X
^'"«"o iabiòmm l ^'
che vò abiàdi
che lòr àbien
ch'el
chM
porta
porta
portèma
porta
pòrten
eh' mi a porta
ch'tiat'port
eh' lu el porta
cb'nu a portèma
eh' vu a porta
eh' lòr i pòrten
eh' mi a porlass
eh' ti a t' portass
eh' lu el portass
eh' nu a portassem
eh' vu a portassey
eh' lòr i portissen
eh' a j' àbia
ch'at' àbi
eh' r àbia
eh' j' avèma
eh' i' avi
eh' j' àbian
DlALim imUANI.
Tempo PMMto Biaiolo.
'^
di' me avèss
eh' té V avte
eh' lu avèm
eh' nii avèssem
«h' vu avessi
:hMòur avèasen
sue a
ipurUré
I purtarév
., 4 purtarèsi
1 purtarèss
u a' 1 portare
30 a purtarèn
1^ a purtarèssl
^^ur purtarèo
«né
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I avissen
Modo Condizionale.
TemiM Presente*
me partarév
^ o 4 purterìss
I purtarisset
Io al purtarév
nò purtarissem
vó purtarissev
lòr purtaréven
Tempo Passato»
me are
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ch'I' l'"?*
' ^avissev
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arìssev
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9 aréven
Ut
mi a portare
ti a V portarìss
lu el portare
nu a portarìssem
vu a portarissev
lòr i portarén
mi a J' are
ti a V arìss
lur
are
nu J' arissem
vu j' arissev
lòr j' arèn
Modo Indefinito.
7eatpo pmenie
Tempo pattalo
Tempo fiUwro
Gerundio
Participio
tgnir
avèir tgnù
èssr pr tgnir
tgnagànd
tgnù
tgnir
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tgnir
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èsser per tgnir
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Modo Indkatwo,
Tempo Prcteote.
me tègn (e)
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Tempo Passato Perfetto.
me tgni of>p. Jò
té r tgnìs V a
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nò lgnissem|j^;j^|
vò tgnissev J avi
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DIALETTI EMILIANI.
919
Tempo Faturo.
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Modo Congiuntilo,
Tempo Pretente.
chM
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che me tègna
eh' mi
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tégna
che lo tègna
eh' lu el tèigna
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che nò tgnèm
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1
tgnàdl
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eh' vu
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tègnen
1
che lòr tègnen
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eh' lòr
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che me tgnéss
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che lo tgniss
eh' lu el tgniss
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ch'nu a
tgnissem
i
tgnéssi
che vò tgnisscv
ch'vu a
tgnbsev
ir
tgnéssen
^''«"«'ItJmS^?
eh' lòr i
tgnissen
290
PARTE 880OIII1A.
eh' me 1!^«
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eh' le V àv
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lava
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eh"* nu avàmen
«
eh' vu avadi
I apen
eh' me avèss
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eh' lu avèss
eh' nu avèssem
eh* vu avessi
eh' lòur avèssen
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vu a
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nu
vu
lòur
tgnera
tgneréss
tgnera
tgneràn
tgneréssl
tgneràn
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arèss
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aròssl
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Tenpo PmmIo Perfetto
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chetcl^jj^j^j
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che vó abiàdi
che lòr àblen
Tempo Passato Rimoto*
9
ch'aj» àbU
eh' a t' àU
eh' l
eh' j
ch'i
ch'i
f
che me \ '*®,
^aviss
\
che té t'}^**,
^avi
che lo 1'",
.favi
. ' ) issem
che no 5 ^ «^
aviss
aviss
D
avissem
me
té t'
chevòl»»^?^
9 avissev
chelòr}'«*"
) avissen
Modo Condizionak,
Tempo Presente.
tgnircv
) tgniriss
i tgnirisset
lo tgnirév
nò tgnirisscm
vò tgnirissev
lòr tgniréven
Tempo Passato.
me ara
. , ., I arìss
^^ larisset
lòr
ch'j
ch'i
ch'I
ch'j
eh'j
ch'j
àbia
avèffla
avi
àbian
\ 188
j aviss
liss
i aviss
liss^
} aviss
pssem
iaviasem
lissev
iavissev
lissen
iavissen
f
nò
vò
lòr
iare
)arév
arìssem
arissev
lurén
farèven
(3?
D
mi a tgnirè
ti a te tgniriss
lu el tgnirè
nu a tgnirissem
vu a tgnirissev
lòr a tgnirèn
mi a j' are
ti a t' arìss
lu 1'
are
nu j' arìssem
vu j' arìssev
lòr J' arèn
D
6>
DULim EXIUAHI. %%i
Osservazioni, (a) 1 participj degli aliri verbi variano indefini*^
tamente di forma, cosi nel Bolognese, come o^li ailrì dialetti^
assumendovi le desinenze à< , t(, àt\ é, ed altrettali , ciò che solo
si può distìnguere col hmgo esercizio.
(6) Si noti, come la vocale eufònica a ò comune eziandia a
quasi tutti i dialetti emiliani, in quasi tutte le voci. Similmente
è a tutti comune l'uso di ripètere i pronomi nella maggior parte
delle vod, come abbiamo osservato parlando dei dialetti lom-
bardi. Questa ripetizione è ancor più manifesta in tutte le per-
sone del futuro interrogativo in tutti i dialetti emiliani poco di-
verso dal bolognese, del quale porgiamo un esempio:
purlaròja me? purtarènia nu?
purtaràt té? purtarw vuàter?
purtaràl elfi? purtaràni clur?
Ove si vede manifesto, che le terminazioni, o meglio i suf-
Cssi ja^ tj Ij nia, v, t, equivalgono. ai pronomi io, tu, egli, noi,
^^, èglino, ripetuti separatamente.
(e) Per brevità abbiamo scritto in tutti i verbi il pronome vu^
^3 vó, invece di vmter, o vujàter, i quali , come abbiamo più so-
fra osservato, valgono a contrassegnare il plurale, usandosi vu
<Iuando si parla con una sola persona. Cosi abbiamo preferito per
la terza persona i pronomi lu o là, lòur o lòr, sebbene nei vari
dialetti facciasi altresì uso delle voci equivalenti clù, col, quél,
«cpè/ pel singolare , clùr, clòr, qui, aqtiéi pel plurale.
(d) Quando il verbo incomincia per consonante, il Reggiano
suol dare ancora un'altra forma al pronome in quasi tutti i tempi,
nel modo seguente: e' pori, e^ fport, a *l porta, e' purtém,
€* parta, e* pòrteti. Per brevità poi abbiamo ommesso nel mo-
dello parecchi modi o flessioni usate dal Reggiano, oltre alle in-
dicate. Cosi nella prima persona plurale di tutti i tempi presenti
e futuri fa ancora purtémma e purlòmma, tgnèmma e tgnòmma.
Egualmente nel passato perfetto composto, oltre a jmm ejòmm^
fa altresì èmm, òmm^ èmma^jémma, òmma, jòmma, aoèmni^
iwènima, a^rnnm, avòmma,
(e) Questo verbo riceve flessioni diverse fuori della città. Cosi
nel piano reggiano V indicativo presente fa : mi a tign, ti a i' tcn.
3SS PAETB SBOOmiA*
lo aU teHj no a tgntmm o tgnìmmaj po a Igni^ lór a iènen
Nelle colline e sulle alpi reggiane invecenel plurale fa : no ^gftMMi
o (gnàma. E lo stesso dicasi di parecchi altri tempi e di tutti :
dialetti, i quali più o meno variano, non che dalla città alfa
campagna, da luogo a luogo.
Per dò che risguarda la sintassi, ripetiamo quanto abbinM
accennato, parlando dei dialetti lombardi, e per pòrgerne ^i
diiara idea, soggiungiamo la versione della riferita Paribola é
s. Luca, in tutti i ]^ù distinti dialetti emiliani.
CAPO IL
f^ersione della Paràbola del Figliuòl Pròdigo^
tfxuta da S, Luca^ Cap. AFj nei principali dialeUi emiliani.
Per la lettura delle seguenti Versioni^ non che dei Saggi di
Vetleratora emiliana che succèdono, invìtianio i lettori a rivedere
i segni convenzionali da noi preferiti, onde rappresentare nel
modo più sémplice i suoni disparati di tante fevelle diverse, e
meglio chiariti a pag. 55.
Perchè poi lo studioso che vorrà lèggere questo libro pc^sa
Toa maggiore fiducia fondare i propri giudidi sopra le stesse
Versioni, avvertiamo, essere tutte òpera de' più distinti cui-
lori de' rispettivi vernàcoli, come appare dai nomi che ab-
biamo apposto in calce d'ogni versione, onde attestare nello
«tesso tempo ai medésimi la nostra più viva riconoscenza. Per
^elli che non fossero per avventura abbastanza versati nelle
letterature vernàcole emiliane, accenneremo ancora, come il
•chiaro signor Camillo Minarelli goda riputazione di valente poeta
fra i suoi concittadini, pei molti pregévoli ccmiponimenti da lui
dati alla luce in dialetto bolognese; come il chiaro Antonio Moni
«ia autore dell'importante ^oca6o/ano BonéognoiO'ItalianOj ed il
prof. Domenico Chinassi di vari componimenti inèditi romagnoli;
t!ome il canònico prof. Ferrante Bedogni s' abbia il primato fra i
poeti vernàcoli reggiani, il chiaro signor Landoni fra i Ravennati,
Il professore Siro Caratti fra i Pavesi; e come tutti gli altri, che
gentilmente ci apprestarono qualche versione, non esclusi coloro
che per sola modestia non ci permisero pubblicare i loro nomi,
abbiano tutti ben meritato della loro patria, mercè un prezioso
corredo di studj, così sulle clàssiche, come sulle nazionali favelle
rispettive.
18
234
PARTE SECONDA.
Dialetto Bolognese.
II. Un zert òm ave du (iù;
is. E al più pzèin d^ questi déss al
pader: Pà, dam la mi part dia roba
che m^ tocca; e lo i parte la roba.
13. E dop nen pur assà de, mess
Insèm agn cosa » V andò vi in t^ un
pi^is lantan, e li al strussiò la so
roba, vivènd da trop rourbèin.
14. E dop ch^ l' av stnissià tatt, al
vgnè una gran caresti in quel pajèis,
e lo cminzò a tnivàrs in bisògn.
f K. E Pandò, e al s' méss al servezi
d^un ztadèin d' quél pi^èis, e quest
al mandò in V un so lug a badar ai
purzi.
16. E r aveva vuja dMmpìrs la so
pinza d' quél jand eh* i purzi magna-
ven , e ensnn j' in dava.
IT. Intlint pensànd mèi ai fatt su^
al déss : Quant garzòn in c^ d"* mi
pader i àn dal pan d* avànz , e me
què inlànt a mor d* fami
18. A turò su, e s' andare da mi
pader, e ai dirò: Pa, a Jò fatt un
gran tort al zìi e a vò;
19. Za a n* son più degn d* èsser
clama vòster fiòl; tulim cm* un di vò-
ster garzòn.
so. E tulànd su, al vgnè da so pa-
der. Hèinter l'era anc luntan, so pa-
der al r i vést, e al s* muvè a cum-
passiòn, e currend* j incontra, al sM
ire al col, e s'al basò.
SI. E al fiòl I déss: Pà, a jò fatt
un gran tort al zil e a vò; za a n' son
più d^gn d* èsser clama vòster fiòl.
ss. Allóra al pader déss al sa 80i
vitùr: Prèst, tuli fora Pàblt mlér
vstìl, e mtii in did Panel, e I sdur
in ri pi;
ss. E condusi què un videi Ingras
sa, e ammazzai, e fèln tantara;
B4. Perchè sr mi fiòl era inoii^ •
s'è arsussita; l'era pèrs, e s'è trova
e i cminzòn a far tantara.
stt. Intani al fiòl più grand era li
campagna, e vgnind, e vnUàaA
a cà, al sin tè la sinfuni e I caotùr.
se. E al clamò un aervUòr, e 8*1
dmandò: Cosa fuss quèsi.
57. E lo i déss: L^è vgnu vèiin
fradèl , e vòster pader Vk fati amnai
zar un videi ingrassa , perchè al Vi
iurnà avèir san e sveli.
58. Allóra Io s^instizzè, e a q^ vlevi
andar dénter. Al pader d* lo doaei
vgnù fora, cminzò a pregarci.
S8. Ma lo, arspundèndy déss «.ai
pader: Guarda, l'è tant an ch^a v
screv, e mai a jò dsubidé a un vésta
cmànd , e vu mai a n* mi avi di ai
cavrètt , da far una sirlva cod I ■:
amig;
30. Ha subii pò eh' è arriva si' ^•
ster fiòl, chi s'è magna iuii al 8^
con del dunàzzi, avi ammazza un irl-
dèi ingrassa.
SI. Ma lo i déss: Fiòl mi, I& t'i
sèmper mig, e iuii la mi roba è tOi
38. Intani cunvgnéva far tantara]
e goder, perchè si' tò fradèl era laorC,
e s' è arsussita; l'era pera, es^ IrafL
Camillo BliiiAaiui.
DIALETTI EMILIANI.
^3»
Dialetto Faentino (Bomagnolo).
il. U i fo un sgnór, ch^ aveva <lu| 22. Ma su pédar alora e dess ai su
raghèi;
iS. Un de e piò pznén u i dess:
Bab, dem la mi pért dia roba eh' a
in' loca; e e pédar e fé sóbit a e mód
de flól.
is. E quand che V eb bèli e die
ava tot quel che oléva, e tés so, e u
s^ mesa a viaièr e mond , e a divari
Usta a piò non poss.
u. B sa Taveva orainéi de Fonda
a tot e so, quand ch^u i arlvé adòss
ani carst^ acsè granda, che se vós
is. U i Uicehè d^andér a sarvi, e e
fe mandé in campagna per guardiàn
da pére»
16. E a là e quignéva magne dal
gènd, e pa i in fosse stè.
17. Siche on de pinsènd ai chés
su , e prinzipiè a di : Che sa mèi quént
sarvitàr adèss in cà d' mi pédar 1 fa
salàcqv de quell da magne, e me aqué
u m^ tocca a murim da la fan 1
18. A voi aviém da qué e turnér
a cà d^ mi pédar, e ai dirò: E mi bab,
me a cnòss ch'ò falle prema cun e
Signor, e pu cun vò;
it. A n^ so' piò degù d' èssar cla-
mò vòstar fiòl, tném aqué par vò-
star aarvitòr.
te. E dett e fatt u s'incaminè par
tumésn' a cà; e za u i era tant vsén,
che ss pédar u H vési , e sòbit u i
cane incontra , e u n prinzipiè a
abrazsé e basò.
SI. E fiól u 1 dess: E mi bab, me
a cnòss eh' ò falle prema cun e Si-
gnór, e pu cun vó; a n' so' piò degn
d' èssar ciamé vòstar fiól.
sarvitùr: Prest, purté aqué e piò bel
èbit , e vslil; mettj un anèl in fai di-
da, e i schèrp in Vi pi;
93. E amazsé e piò videi grass, cb'a
vlém stèr alegramént ;
94. Parche stu me fiòl l'era mort,
e u rè risussité; a Pera péra e u 4
s'è truvé d' l>el nòv; e acté i cminzè
a magne.
9a.E fiòl piò grand Teraandéin cara*
pagna;intevnis a cà, e prema d'intré
dentar, e sintè sta grand algréja;
96. E ciamè on di so sarvitùr, e
u i dmandè quel ch'era tot cl'annór.
27. E e sarvitòr u i dess: L'è tur-
no su fradèl, e su pédar u z' à fatt
amazzé e piò bel videi, parche u l'à
vest turné san e séluv.
98. Ma lo d' ste qué o s' l'eb tant
a e nès, eh' u n' vleva gnanca intrér
in cà ; e su pédar u l'andè fora a pre-
ghél parche eh' l'intréss.
99. E fiòl piò grand u i dess: Bra-
vo; me che da tant énn in qua ò sèm*
par fatt tot mèi quel eh' am' avi cman-
dé, a n' ò mèi bsù ave da vò gnanca
un cavrét da magném cun i mi amig;
80. E adèss eh' l'è turné st' étar
d'éssas strascinò gni cosa cun dònn,
a i avi fatt amazzér e piò bel videi
eh' a z' avéssum.
81. Ma su pédar u i arspòs: Te, e
mi flól, t' sé sèmpar cum me, e tot
quel eh' è e mi , l'è anca e tu ;
32. Mo adèss e bsugnéva ben mu-
stré tota mèi la cuntintezza, parche
tu fradèl ch'era mort, l'è novamcnt
risussité; a Tavemì pérs, e l'avén
truvé d' bel nòv.
Antonio Moaai.
Ma
PARTE SECONDA.
Dialetto Ravennate {Romagnolo).
II. Un òm l'aveva du fluì.
is. E e piò sóvèn d^ lor dess ae
pader : Baby dasim la mi pari eh' a vi*
tocca; e Io e fase al pari.
is. Dop a poc de e piò zòven, fatt
e fagòt , u s' n' andò in f an paés lon-
ìàn, e dasè food a tot, vivènd da gran
sgnorìuEX.
14. E qoand eh' l'ave struscia tot
quel eh' l'aveva^ e venS una gran ca-
risii in che paés, e lo e prinzipiè a
soffrì la miseria ;
lE. E l'andò da un abftint d' che
paés, eh' ul mandò hi t' una su cam-
pagna a bada al pure.
16. L'arébvlu almàne ImpìS la pan-
ia del giànd eh' magnava i pure, e
niftón u in' daseva.
1 7. Pensònd allora ai cas su, e dess :
Quant servitùr In eà d' mi pader à
de pan a crepa-panza, e me iquè a
mòr d' (am !
18. A toro so, e andarò da mi pa-
der, e ai dirò: Bab, a jò pea eontr' e
zìi, e contra d' vò;
it. A n' so' piò degù d'esser cla-
ma vòsier fiòl; Uiim oom' on di vò-
ster servitùr.
to. U s'alzò so, e l'andò da su pa-
der. L'era ancora lontan da eà , che
su pàder ul vest, e u s' sintò eom-
mòss, e u i curro Incontra, e u s'i
buttò ae col, e ul basò.
Si. E flòl alora u 1 dess: Bab^ajò
offés e zìi, e jò fatt mal contra d' vò;
a n'mòrit piò d'esser eiamà vòster fiòl;
fts. Ma e pader dess al su servitùr:
Portò iqvà sòbit e piò bel vsti, e net-
liei in doss, mettìi l'anòll in dM, e
al scarp In t' I pi ;
SE. E andò a to' un vldòll e pie
grass, e ammazzòl, e eh^ a flC nigin^
e eh' s' staga in gazzovigUa;
S4. Parche st' mi flòl Tera bmmì,
e l'ò arsussità; Pera perde, e 1% Eli
truvii; e 1 eminzò a magiifi.
SE. Intànt e fiòl piò grand l'em te
campagna, e tomònd, qvaiid e h
vsén a ea, e sintò a soni e canti;
se. E clamò un di servttàr, evi
dmande cosa eh' l' era suzòss.
57. E servitùr u 1 arspondè: L^è
toma vòster fradòl , e vòster pider
rà fatt ammazza e vidèll e piò grEES,
parche r ò toma san e salov.
58. Alora e piò grand as'fnElial^
e u n' vleva Intra In cà; B veni Atra
su pader , e cmlnzlpiò a pregbel.
59. Ma lo, arspondònd, e dess t
su pader: Ecco iqvà, I ò tant ami
eh' a v' sòrov, e a n'ò manca am
volta d' ubidì V, e vò a n* m'avi mal
da un cavròtt, dagodòm can I mi wmHg;
so. Quand però l'ò turni si' vòster
fiòl, eh' t'à struscia tot e su col dlw>
nazzl , vò avi fatt ammazzi e vldòll
e piò grass.
Ei. U i arspondò allora e pid«rr
Flòl mi, te t' si sòmper cun me, e Itti
quel eh' a jò, l'ò e tu;
ss. L' era trop giòst d' la allegri •
d' fa banehòtt, parche ste to fradòl
r era: mort, e T è arsusslta; l'era ptn,
e u s' ò truva.
Jacopo Landom.
DIAURTI BMlUAlfl.
»7
DiALiTTo Lnottsi {Bomagnoio}.
if . 6ii om r aveva du fluì.
ia. B pi6 pmén e déss a su pèdar:
B«b, darim la pirt diami robach'a
m** tocca; e lo e fase al p&rt tra d' lo
dal su sdatani.
fa* Da li a pne da, mess inaèa ch^
r ivéi ogni còsa, u s^ n' andèin i^un
pafés luntiiiy e e straaclnè tot quel
eh' Pavera in tM vési.
14. £ quand eh' Pavét cansuma
ogal edaa» e vena una gran carast^
in V cbe pi^» e lo. e prinalpiè a
tnivèa In di teòga.
la. Vandè e u s* intrudusò da un
littadéo d^che pi^^ ch^ ^ *1 mandè in
fiaipagna a cundùsar in camp di pure
la. B r aveva v6]a d' impis la pùir
a dal giàndy ch^ magnèva i pure; e
ant&D a i In diva.
17. Turni che fo in sé , e deaa:
Quani servitur in cà d' mi pèdar i à
de pan In abnndanza , e me aqua a
m^ mar da la firn I
I a. A m' aliarò so, andrò da mi pè-
dar , e al dirò : Bah, a jò pca contra
e Signor, e contra d' vò;
it. A n^ ao^ piò degn d^ èssar cla-
mi, vòatar fiòl; tratèm cum a fasi
an di vòster sarvitùr.
te. B aliàndas so, rande da su pè-
dar. V era ancora luntan, quand che
su pèdar u U vési, e muvèndas a
compasalòny u i currè d' incontra, u
I hnliè al brasza a e coli, e u '1 base.
ti. E su fiòl u i déss: Bah, a jò
pei contra e Signor , e contra te ; a
n^ so* piò degn d' èssar clama tu fiòl.
sa. E pèdar e déss ai su sarvitùr :
Prèst, andé a tó fora e vsti e piò bel,
e mltt^l adòa, e mitUi r anèl In te
did, e al achèrp In tM pi;
2s. Cundusi aqui e videi piò grass,
amaaièl , ch^ a vlèn magne e a vièn
fé prins ;
«4. Parche ste mi fiòl Pera nort,
e u s^ è arsusclti; Tara pera^ e u s"è
tmvi. E I prlnii|dè a fé guanveglia.
aa. E flòl piò grand Intint IVsra in
campagna, e in te Uumèr a ci, quand
e fo vsén, e slntè i son e I bil ;
ae. E clamò on di au aervitùr, e u
i dmandè coaa ch^ foaa quel.
«7. E lo n I arspundè: L^è turni
vòstar fradèl, e vost pèdar rà amai-
ai un videi gras , parche u P i avù
san e saluv.
a a. Alora u s' instlxiè, e u n^ u vleva
andò dentar; parò e pèdar e vena fo^
ra, e e cminzè a preghèl.
29. Ma lo u i arspundè, e e déss a
su pèdar : L''è tant ann che me a v^
sèruv, e a n^ ò mai trasgradi un vò-
star cmand, e vò a n^ m^ avi mai da
gnenca un cavrèt ch^a me gudèss
cun I mi amig;
so. Ha dop ch^ è vnù ste vòstar
fiòl , ch^ r à cunsumà tot e su cun
dal don d^ mond, avi amaazi par lo
un videi grass.
SI. Ma e pèdar u i déss: E mi fiòl,
te V si sèmpar cun me, e tot quel
ch^ a jò r è e tu ;
sa. Ma r era gióst eh' a fasèss gua-
zuveglia e festa, parche tu fradèl Fera
mort , e r è arsuscita ; V era pers , e
u s' ò truva.
Prof. Domenico Chinassi.
US
PARTE SBOOflDA.
DiALirro iMousB (Bomagnolo).
il. Un òm r aveva du fhiò;
f t. E è piò mvnhxz u i déss: Bab,
dèm la pari dia ròba eh"* n m!* tooea;
e lo a I fé la partlziòn dia ròba.
f 8. Dop paóe de , cstó e tuoi aó la
s6 part , e u s^ n' andò in viaa kmtàn-
lonUm , e é de é fóm a tòlta la so rò-
ba, fasènd na vita da scaustra.
14. Dop ch^ P ave stroscia ni-coós-
sa, é veni na gran carestéfa in i' che
pi^és, e lo é prlnzipia a n* savé eom
s'fa.
f s. E tuoi só^ e u ft^ mitté per gar-
zòn con on da là , ch^ ul mandò V la
so pnssiòn a mnar alla paStura 1 puòrz.
i«. Lo P arév tnòtt pr Impìl la pan-
ia a roagnSr i corneo d** fiva, cb^ ma-
gnava i puòrz; ma nsòn 1 In dava.
17. Allora è mitté é zervèl a parti,
e I* déss : Quanl garzòn d' me pa s
botta dré é pan, e me aqué a crép d'
fami
f 8. A turrò so, e 1^ andarò da me
pa , e IM dirò : Bab , a jò fatt pei
oontra é Sgnòr e'contra d' vò;
18. A n^ so piò degn ch^ a m* eia-
miva vost fiuò; tgném com òn di vost
garzòn.
80. E é tuoi so , e ft' veni da so pi;
e so pi, cb' ul vést d* lontàn, u 1 savé
d^ mal , u i curré incontra, u V I but«
té a é coli , e S' é baie.
81. E allora é fiuò u i déss: Bab ,
a jò fatt pei centra é Sgnòr, e centra
d^ vò ; a n' so piò degn, eh* a m* cia-
miva vost fiuò.
88. Ma r arzdòr é dé88 al 8Ó fBr-
con : So, porte aqué é piò bel vsliaéiily
e mittéja ; mittél V anèi in t* é di,
seirp In tM pé.
85. E tuie é videi d' fn Ttai'
ammaiaél, emagpéntel eféneoeeiVB^
84. Perebé sr me fiuò V era oniérl»
e P è arsnsciti; u l' era peri» e o iPè
attruva ; e I cminzé a agnani.
88. Ma é fiuò piò grand ch^ vgMin
dMn ré camp, t' ravsliiai «lacl^v
é Unte iunar e cantir;
86. E é ciamé fòraiuiian6oy8ÌM
dmandé eòssa eh* I era d* dòv.
87. E lo u I déss: Pè vgnè ^kà
fradèi, e vòst pi Pi amnaoi é vi*
dèi grass , pr avél turni a vdé aaa e
svèlt
88. Allora u i veiJ la stéiEa, e i* «i
vréva gnanc andi dénter, doBca é de
fora so pi, e acminzé a sconrariiL'
88. Ma lo V arlpandé , e I* déas a
so pa : T' aqué, me eh' a ▼* serv eh* Tè
lant, e eh' n* ò mai sgarra da é fisi
cmand, a n* m* avi mal di un eaTiélt
da (a baracca con i me amig ;
30. Ma quand P è vgnù aqué at* tèsi
fiuò, eh* s* è magna la so pirt con
sgualdrén, avi ammazzi é videi
SI. Ma é pi u i arlpundé: Ffoéai,
tè V sé sèmper con me, e tòt quelcia
me a Jò , P è é tò ;
88. Bisognava donca sguazzi, e
allégher , perché sP tò fradèi P
muòrt, e P è arsusciti ; u i* era peii^
e u 1* è attruva.
Conte Avv. Antonio MAiicimTi.
DIAUrm BMILUNI.
M9
Dialetto Foilivbss {Bcmagnolo).
11. U i fop un òm ch^ Pavé du unì;
is. E e piò pèccol e glè a esu bab:
Bsb , eh' a no m' dasi la parte d' quel
eb'u m^ loehe? E lo u i la dasè.
13. Dop a qaèlc de , e piò pèocol,
raeòlt €k* V -avo tot quel che e su bab
0 i aveva di, e tuss eo, e l'andèp In
ViM4iaiè8 luntèn, e ilo u e^ slrusciè
igiMMioèl, mnand una vite da baraccòn.
u. E quand e fop armàst senso
ignìnl» è rivi adòss a che paiès una
fim canti, e eoa armane senso Telmo.
li. U é"* andò a nettar a iS e sar-
vitòr In r na cà d' un sgnór , eh* ni
Bindòp in campagne a badar 1 pure
16. E u 8^ sari magna la gènde di
pare; na intsùn I in daseve.
17. B lo e prinsipiè a méttar e sar-
?èl a partì , e odsò: Oh 1 quent sar-
vitur eh' rà e mi bab, eh' i ò e pan
a mesa gambe , e me Iqué a m' mor
d'fan!
i8. Ma me a m^ cavare d' iqué , e
andarò da mi pa , dsendl : Bab , me
a Jò pei contre e sii, e a v^ ò uffés •
19. A n^ 80^ piò degn d** ess ciamà
e vost flòl ; tnim sol com' un d' chii-
tar voel sarvitàr.
90. Dot e fat , e tus so, e Q s' n' an-
dò de so bab ; e avanti ch^ u s' ari-
vòss a cà , e so bab ul vést da lun-
tàtt , a 6^ muvé a cumpassiòn , u i
cnrs inoontre, e ul abrassé.
ai. E e llòl sóbit u i déss: Bab ,
me ò pca contre e sii, e a v' ò uffés;
a ou m* mèrit d'cssar clama piò e
vost fiòl.
ta. Allorc e bab e déss ai so sar-
vitàr: Anden prest, e tuli i mei àbii,
e sóbit amanel, e purtòi un anòl e ml-
tial In did, e mitii al scarp In fi pi;
aa. E a javi da tò un bel videi grass,
e amassél par putò magna e sta ali-
gramént;
94. Parche sto mi flòl T era mort ,
e P ò arvivì ; a V aveva pera, e adéss
a P ò truva. E sóbit i cminsò a ma-
gna e sta allgramént.
99. E ragàs piò grand die vneve
alloro d^ in té camp, tumiind e avsi-
nands a cà, e sintò a eanta e a sona;
96. E a ciamòp un di su garinn, e
u I dmandò quel eh^ P ere cP alegrì.
97. E gariòn P arspondò : L^ò tor-
na e vost fradòl, e e vost bab Vk fai
amassi un videi grass, par avòl tro-
vi san e siluv.
98. E lo u s' sdignò tant, ch^u pi* vle-
ve intra gnanche inP cà. In die mon-
tar e su bab e dasé fura, e o 'I pre-
ghé ch^ P antréss dentar.
90. E lo u I arspundò, e u i déss:
Yo a savi , eh' P é tint in che me a
v^ ò servi, e a n"* ò fat mai ignint cen-
tra a tot quel ch^ a m^ i cmanda, e a
n^ m^ avi da mai un cavrét da magnim
cun i mi cumpign ;
so. E sP étar vost fiòl, eh' Pò tor-
ni, e eh' P ò quel eh' s' ò struscìi la
robe cun dal dunàssi, ai par lo anuis-
si un videi grass.
SI. Ma e bab u i déss : E mi flòl ,
ti P sì sèmpar cun me, e tot quel eh' a
jò , P é e tu ;
ss. Ha adéss e bégne fai feste e sta
in alegrì ; parche ste tu fradél P era
mort, e Pé risuscita; Pera pers, e u
s*è truva.
Dott. Antowo MATTBUca di Forlì.
)30
PAftTB SBQOHDA.
Dialetto Riiiihbsb {Romof/noloy
f I . I era tin ieri òm ch^ l'aveva dò
flól;
is. B pia pfnèiii d' lòr e déss m'e
pèdre : Bab , dasun la pòrta dia roba
che m^ tocca ; e e so bab e sparté la
roba, e ei desé su pèrta.
13. E dop poc giòroe e roane tòt
ni còsa sV fiól piò peccai e s' mite in
viaz, e Pandasé V una zitta da lun-
tan , e Uà e strusciò tòt la su roba ,
vivènd cun gran luss.
14. E dop ch^ l'ave lugrè ogni co-
sa, e vné una gran cristQa a Tebe
paé8;e Io e pranzipiò andò In misèria.
la. E l'andasé e s^ racmandò m'nn
sgnòrtd' che sit, eh' el mandò m'una
su pussiòun a bade i baghin.
16. E dala gran fama e zarchèva
d' rimpis d' eia gianda, eh* magnèva
chi baghin ; ma nissòn ei deva quàl.
17. E pranzipiò allóra a pensò, e e
gè da par Io: Oh! quent sarvitùr a
t' chèsa de mi bab i k de pan quànt
chM vòy e me iquè a m' mor da la
lama!
18. A turò so, artumarò da mi pè-
dre, e a i dirò : Bab, a jò nfés e Si-
gnor, e a v' ò ufés a ma vò ;
18. A n' so' più degn d'ess cJamèd
voel fiòl; tulim cumè un di vost sar^
vitùr.
so. E tuie so, e Tandò de su bab.
L^ era za ancora da luntan, quand el
vèst e su pèdre, che za e s' muvè a
cumpassiòun, e ei curré incòuntre, e
l'abrazzò me col, e el basò.
SI. E ei gè allora e flól : Bab, a jò
fat mèi in fazza Iddio e in fazza vò ;
a n^ mèrit più ch^a m' ciammcva per
vost flól.
ts. E pèdre allóra ei désa gniM,
mo e gè mi su sarvitùr: Fé piial,
purtè ólta e vsiid più boa eh' I ili,
e vsta, mittil un anèi t'el déda» *d
calzèt ri pild; t
85. Ande a to un videi bèlo gfMi^
mazzèl, e magnamma, e famaia farti;
84. Perchè sV mi iòl l'era bmcI» •
r è risuscitò; Tera pers, e a Pò trmk
E i pranzipiò a là festa.
85. E flól più grand Pera aotfèAi
campagna; e turoànd in tìttk, qamà
e fò vsèln a chèsa, e sante I tu • 1
chènt ;
86. E clamò un di sarvilàr, •:!
dmandò cus eh' Pera auièss. . ]
87. E lo e igé: L'è tome •
e vost fradèl , e voet bab Vk
un videi grass, perchè eVk anrà ali
e sélve.
88. Lo allora e s' n' ave per
e en vulèva gnènca antro a V
E vens fora e pèdre, e i pmiipiàj
preghèl.
88. E lo Tarspundè, e e dèa* afi
su bab : L' è tenti ann eh' a v* aarve^
e a n' v'ò mèi manche, e vò a n' ai^^fi
mèi dò un cavrèt da fé un ImbranÉi
cun 1 mi amìg;
so. E vèin a chèsa si' vost fi^eh^ Pi
strusciò tut la su roba cun del dtmm
zi, a 1 avi mazze sòbit un videi bèli
grass.
51. E bab e i déss: Sèint, llòl» U
V sé sèimpre cun me, e tut la ail i»
ba rè roba tua;
38. La jèra d' giósto eh' s' taaM
festa e alligna, perchè e to fraéèi
eh' r era mort , l'è arWvid; e a^én
pers, e s'è truvèd.
N. N.
DIAUm EMIUANI.
951
DiALSTTo CitvisB {Romognolo),
il. Un ieri òm aveva da fiùl ;
fli. E più fóvan dess a e pàder: 0
hmib, daaim la pari ch^a m' loca d^mi
poniòfl;e lo e fei al parli fra i du fiùl
is. Dop poc glóran Dasè fogòt e più
■6van d^ tot al su ooss , e u s^ portò
vagànd in lontàn paés, dov' e strus-
siò tot al 8Ò soetanai, tnend una vita
UntorkMa.
14. E dop aver airussiè ogni cosa,
è sQiès in V che paés una gran care-
ttìt, eh* a s* ridóss in miseria.
1». Aosé ardóty u s'andò a racman-
dir a un d^ ehi benestànt d' clie lug,
die ul aandò a una su terra a badar
iporc
f a. E Pavrèss volù magnar 1 legòm
di* magneva anche i pure ; ma nis-
9Òn gh* an deva.
17. Alora e pensò a la so situaziòn,
e e deas: Ohi quant servènt eh' è in
efacsa d^ mi pèder, e eh' i magna in
abondasia; e me a m' mòr dia fam 1
f a. Andarò da mi pàder, e a i di-
rò: E mi bah 9 a Jò pchè centra e zil,
e alla presenxa vostra;
i«. A cnòsSy eh' a n' so' più degn
d^ èsser damò vòstar fiòl ; ma fasim
èsser un vòstar servitór.
te. E s'andò da su pàder. Ed es-
sènd a lerta distanza , e pàder u '1
vist y e u s' moss a compassióne e cor-
rèad'i lacontra, u s' lasco caschè so-
vra e su ooUy e u '1 basò.
ai. E flòl alora u i dess: E mi bab,
a Jò pchè contra e zil, e avanti d' vò ;
e a n* so' più degn d' èsser ciamè vo-
ltar fiòl.
aa. E alora e pàder e dess ai su
servènt: Prest, porte e prim'àbit, e
pò vstil; mittj l'anèl in did, e al
scarpi in t' i pi ;
a a. Ciapè un bel videi grass^ amaa»
lèi, eh' a vlèm far allegria, e magnèl ;
24. Perché st' mi fiòl l'eramort,e
l'è tome in vita; u s'era pers , e u
s' è trovò ; e acsé i cminzò a magnò.
SK. E fiòl piò grand eh' 1' era in
campagna , vnènd e aceostànds a
casa , e sintè i son e fcant.
a a. E clamò un di servi tur, e u 1
dmandò eoa' era che firacàss.
27. E servitór i arspòs : L' è vnù
vòstar fradèl , e vòstar pàder l'è (alt
amazzè un videi ben grass , perché
u l'è riievù in casa san e sàluv.
a 8. Alora u s'inchietò, e u n' vleva
entrar in cbèsa ; e pàder u s' n' ac-
còrs, e sorte de chèsa, e u '1 pregò
d' entrar.
a a. Ma lo e rispòs: L'è tant'an che
me a v* sèruv , a n' v' ò mai disubi-
di ; ma vò a n' m' avi mai de nianca
un cavrèt , perchè a putèss far alle-
grìa cun i me amìg;
so. Ma st' ètar vòstor fiòl eh' l' à
stnissiè ogni cosa con al donazzi , e
l' è tornò, a 1 avi fatt par lo amazzàr
un grass videi.
ai. E pàder alora u i dess: E mi
fiòl, té t' sé sèmper con me; tot quel
eh' a jò l' è e tu ;
sa. E però u s' doveva far allegrìa,
perché ste tu fradèl 1* era mort , e
u s' è arvivi ; u s' era perdù, e u s'è
trovè.
N. N.
fSt
FAETI SBCaORIMI.
Dialetto pi Cattòuca (Bommgnolo) (i).
Un òm ch^ aveva du fiòl ;
E 1 pxnén d' gnist u 8^ fase de tata
la sa ponión dal bab;
E Tandò a dissipèie in birbarì eoo
die doDaxzi in paés lontèn.
Dopo eh' r ave sprechèda tota, a
li* rido» a pare i bagbin , per poter
viv.
▼edènds in qoest stèd, el rìflitè
ala sa miseria;
E s^ risolvè d' tome dal sa bab ,
da contèi omilmént el sa pechèd, e
dmandèi per grèzia d' èss tratèd co-
ni^ un di so servitòr d** chèsa.
Snbt che su pèdre al vist da lon-
tèn, u s* moss a compassión, e s^ ral-
legrò In rristèss temp, e 1 cors in-
contre, e s^ butò al col, e M basò;
Mentre eh* el fiòl u i dzeva : Bab ,
ò fat el pchèd contre el lél e centra
v6; e n''so' più degn d^èss ciamèd
vost fiòl.
8t^ ùmi! conisiòn la fni da guada-
gnèr la grèzia, e s' rinconzigljò col su
bab.
E quest, dop d** avèl fat spojè di su
zenz, el fasi vsti con di pan nov e
beir àbit;
El died órden ancora, cbe s^ tmk
on gran daraagnè, pò fé festa ch^ fan
ritomèd.
Sta cosa la dlspiasè mei sa flèi fli
grand ; perchè, quand el tome dffia
campagna, e fu informèd del titt^ «
n* vos** entrò in t' chèsa ;
Perchè per un fradèi, ch^ Peni Ma
cativ, s' faseva quel eh** en** s'era ali
fatt per lu, ch^ r era sempr sièd ìM-
diènt mi su dvér.
Su pèdre ci dìss: Fiòl mi, y/rnH
stè sempr con mi , e fot quel eh^« jò
è vostre.
Ma bisogneva pn fé un prèmy^
ralegrès, che vost fradèi, eh' Potè
mort , e s^ è risussitèd ; e da perdàd
eh* r era, a s** è ritrovèd.
La cosa è (èzll P aplichè sta
bla , e s' cnòs In V la zllosia del
più grand gP inzùst dia meni débili-
risei , eh' i s** sdegnève oontre el Si-
gnor , perchè ei riziveva con dolMidM
i pecaiór, e con quist el oonTerfléfH,
perchè lu e n' era nud al mond che
per salvèi.
N. N.
<i) Non afoido pototo procurarci h yersione letterale dclb Paràbola la quctlo
la ofleriamo tal quale d fu inriata da un cortese corrispondente , scmbràBdod
a pòrgere un Saggio del medésimo, e ad essere confrontata colle altre, la prota
ser? axkmi da noi prcnesae.
DIALETTI EHIUANI.
953
Dialetto Modenese.
il. Un seri òm r iva da fio ;
it. E al pio lòven al déss a so pa-
der: Papa, dam la purzlòo d^ sus^n-
n die m^ loca; e lu al gh^ divide la
nstania.
is. E dop poc giorn, tolt so la so
roba, al ftòi più zóven al i* n* andò
Yla in paés lontàn , e là al consumò
ineossa vivènd in goxovali.
14. E dop eh'* r ave consuma tutt,
<B quel pais a vins una gran carestia,
• ia al eminciplò a tnivars in bisògn.
u. E r andò vla^ e al s^ méss sotta
t on d** qm sgnòr d^ quel paés; e lu
al le méss in V un so slt a badar ai
POK.
la» E al se stativa voja d^ impires
Il pansEa d** da gianda eh' magnava 1
porc; ma nissùn gh' in dava brisa.
17. Allora , torna in se , al déss :
Ooant servitór in ca d^ me pader i àn
dal pan fin chM n** vólen, e me che a
■or d** fam 1
18. A m^ turò de d' che, e andarò
^ me pader, e a gh^dlrò: Papa, a
Jè fai pca contra al zél , e de dnànz
a vù;
19. Za me a n' son più degn d'es-
ser eiami vòster fiòl; tulim almànc
com' on di vòster servitór.
ao. E tolt su, al vins da so pader.
Ma, esaènd anca dalla lontana, so pa-
der al le vést, e Pin slnté cumpas-
siòn; e al gh'è cors incontra, al se
f h' batto al col, e al le basò.
ai. Al fiòl al gh' déss : Papà, a jò
fat pca contra al zél, e dednanz a vù;
xa me a n' son più degn d' èsser cla-
ma vòster fiòl.
88. Allora al pader déss ai so ser-
vitór: Porte che sùbet al più bèi àbit,
e vestii ; e mtig on anèl in di, e al
scarp in t' i pè.
ss. E pò andò a tor al videi grass,
e amazzèl, eh' al magnarèm e a Harem
tolliana;
84. Perchè si' me fiòl che Tera mort,
ere risoscita ; V era pers, e T è sta
trova. E i principiòn a nmgnar ale-
gramènt
8tt. Intànt al fiòl più grand l'era pr 1
camp, e in Val tornar, e in t'Tavsi-
nàrs a cà, al sintè a smiar e a cantar.
86. E al clamò on servitór, e al
dmandò cessa viiva dir sta roba.
87. E Io gh' rispòs: L'è vgnù vò-
ster fradcl, e vòster pader Tà maua
al videi grass, perchè a Tè toma san
e salv.
88. A gh' vins l'arila, e al n^ vliva
brisa Intràr in cà ; ma so pader vins
fora, e al prlnzlplò a pregarci.
29. E lo j rispondènd, al déss a so
pader: Ecco, rè tant an che me a
v' serv , a n' v' ò mai dsobdi, e vo a
n' m' avi mài dà gnanc on cavrèt, da
gòderm con i me amig ;
50. E sùbet eh' è vgnù a cà st' al-
ter vòster fiòl, eh' à magna tot la so
roba con del dunazzi, a i avi mazsa
al videi grass.
Si. Ma al pader gh' déss: Fiòl me,
té t' è sèmper m^ , e tot qoel eh' me
a jò, rè too;
58. Ma l'era giost d'far on poc
d' bandoria e star alégher , perchè
sto tò f radei che V era moct, e./ è tor-
na viv; al s'era pcrs, e l'è sta Iruvà.
IH. N.
334
PAITE SBOamUL.
Dialetto Riggumo.
11. Ilo lért òm avi du flò;
ìt. Al più pinén d'* stl du diss a
90 pader: Papà, dam la me parzlón
dia ròba che m' sta a me ; e al gh^ di-
vide al 8Ò.
is. E n' passò miga tant de, che,
moccla sa tutt, al fiól più eie andò
In Tuo paés lantàn-lantàn , e là al
strussiò la so roba, vivènd in d^i viszl.
1 4. E quand V eh consuma tuU , a
véns in cól paés una gran caristia, e
la cminzlpiò a patir ktfam.
is. E Pandò, e 1 s'*aflermò con un
ziltadén d^ còl paés, ch^ el mandò a
una so pussiòn a pasclar i nima.
16. E Taviva voja dMmpirs la pan-
ca tl^cbél glànd ch^a magnava i porc;
e nsùn ghMn dava.
17. Alora, lumànd in sé, al diss:
Quant servitór in cà d' me pader e
sgoazzn in Tal pan, e me che e m' in
mòr d' neclénza!
18. Bm^ turò su, e s^ j andarò da
ine pader, e se gh* dirò : Papà , me
Jò peci dnanz al zél , e dnanz a vó ;
19. En son ormèi più dègn d'esser
clama vòster fiól; tgnim come un di
vóster servitór.
so. E tuléndes su, al véns da so
pader. Ho guand incora Pera luntàn,
so pader le vdi , e M s' moss a cum-
passlón, e , sbalzàndegh' incontra , a
gh' trò i brazz al còl, e al le basò.
81. E 'i fiól gh' diss : Papà, me jò
peca contr' al zél, e contra d' vó; me
n' son più dègn che m' ciamàdi vó-
ster fiól.
82. Alora al pader dsì ai servitór:
Presti, cavàc fora al più bel àbii, •
vestii, meltigh'un anèi in di, e tic
schèrp4n pé.
SI. E mna che un videi wpfM^t
mazzal, e che magnèm, e che Mi «
prans;
84. Perché si' me iól era nort^n
rè risussita; al s* era péra, e rè il
cata. E s' prinsipiòm a fir
88. A 8* dà mò, che so flòl iMÀ
era pr i camp, e vgnénd la sa, e^uil
nànds^ a la cà, ai sinti IHNrekesla9# 1
ball.
86. E n clamò un servitór, e 1 1^
dmandò cosa vriva dir si' tèi eòÉk
87. Al qual gh' rispós: L'è riviiri
ster fradèl , e vóster pader k
un videi apasta , In grazia d'
tumà a aver san e salev.
88. E lo sMnstizzò , e 1 ne nlvi
brisa andar dénter. Donca so pita
send vgnù fora , al s* fò a peighèM
89. Ma lo in risposta al disi 141
pader: Ecco, tant'ann che v^sèrtv
e mèi Jò manca d' ubdirev, e mèi dà
m' issi dà un cavrèt da magaiir en
i ma amig.
so. Mo da dòp che si* vòster tèi
ch^à magna tutt al so con del saaiàn
è vgnù, j avi amazza per lo ua^iil
apasta.
SI. Ma lo gh' diss: Al me Mr *
rjà sèmper még, e tutt qaeà cl^ji
me rè anc tò;
38. Mgnàva ben fèr un pranzetti
allegrìa; perché st* tó fradèl eniJBMrl
e r è risussita ; al s' era péra, e Tè Iti
cata.
Prof. D. Ferrante Bedogni.
DIALCTTI EMILIANf.
33»
Dialetto Fkignanbse {di Sèstola).
11. Al ghiera un òm eh** Fava da
it. E al più ióvn d^ lor diss a so
pidr: Papày dam la pari d** robba che
n' tocca; e la gh** divis la so robba.
U. E da li a qualch di, al fiól più
iofn, quando Tai ammucclà tuU al
9&> 8^ tt' andò farra dia patria in fun
piés lontàn; e qui al strusciò tutt
4|Ml eti* r ava, vlTcnd in ri bagórd.
14. E dop ch^ r ai consuma gnl co-
sa, a 8*^lè una gran carestìa in quel
paés; e la principiò a sentir la mi-
sèria.
la. Allora Tandò, e a* ès miss con
DB eltladin d^ quel paés,. ch^ al man-
dò in T na so villa, perchè al dass da
■anglàr ai porco.
la. E al desiderava d^ ampìrs la
pana d^ quella glanda, chM porcè
Banglàvn; e ngun ghMn dava.
17. Allora al tornò In si, e s'diss:
Quant ganòn èn in co d' me padr ,
ch^abòndan d^pan, e mi e m' in stag
qn a marìr d^ fom !
18. Torrò sii 9 e s^ tornarò da me
padr, es egh^ dirò: Papà, jò offés DiJ,
es v' ò offés vii ;
19. Già en^son più degn d^ èsser
danà Toslr fiól ; ma tolim cmud un
di voatr ganòn.
so. E al toss su , es s^ in vins da so
padr. E mentr ch^ r era ancamò dalla
lontana, so padr al vist, es s^ moss a
ndserioordia, e, corrèndgh' incontra,
«1 se gfa^ batto al coli, es al baso.
ti. Al fiól a gh^ diss: Papà, jò fatt
pcà contr^ al del , e alla vostra pre-
senza; e n'son più degn d'esser cla-
ma vòstr fiòl.
st. Al padr damò I servitòr, e al
gh' diss : Prest, porta al più bel àbit,
e vestii; mtigh'un anèi in did, e '1
scarp In pè.
8>i. Gondusl un videi grass, ammaa*
zàl, manglèn e fon invìd;
84. Perchè st' llòl era mort , ere
toma in vita; al s'era pèrs, e Tè sta
arcata. E i dén prindpli al banchètt
aa. Al fiól pia grand Pera mò In
campagna; e in Tal tornar a cà, e
avsinànds, al sinti di son e di ball.
80. E al clamò un servitòr, e gh'
dmandò cosa gh' era d' nuv.
87. E lu gh' respòs : L' è toma vo-
str fradèi, e vostr padr Vk mazaà un
videi grass, perch' l'è torna a cà san
e svelt.
88. Al s'istizzi allora, es n' vreva
gnanc andà r dentr in cà ; bsognò eh' ve-
gnissa furra so padr, e eh' al prgassa.
80. Ma quell al gii' respòs , es gh'
diss : I èn tant'an che v' serv, e mal
e v' ò dsCibdì ; e vu mai e m' i dà un
cauréz da mangiar con i me amìg.
so. Ma adèss eh' è vcgnu a cà st' vo-
str fiól, ch'à divora tùtt al so con
del donn d' mala vita, i mazza un
videi grass.
Si. Ma lu gh' respòs : Fiól me, vii
e si sempr con mi, e tutt quel eh' è
me r è anc vostr.
S8. L' era pò necessari star allégr,
e far banchètt, perchè st' vostr fra-
dèi era mort, e l'è arsùscità; al s'era
smari, e i l' àn artrovà.
Avv. Gaetano PAaEHTi.
236
PARTE SBC07VDA.
Dialetto Ferrarese.
11. Un òm aveva doi fio;
18. E al più piccul d' questi diss a
8Ò pàder: Papà, dem la mie part di
ben ch^ a m' tocca ; e lu gh^ divìs al
patrimoni tra d' lor.
15. E da li a poc dì, muccià tati
al 80» al fiòl minor a 'I s* n' andò in
luntàn paés^ e a '1 strusciò tutt quell
eh' r aveva, vivènd In mezz al bagórd.
14. E dop ch^ Tavi strascina tutl al
so. In cai paés a s^ gh^ è fatta na gran
carestie, e lu prinsipiò a penuriàr.
18. L^andò, e s'intrudùss press a
un sittadin d^ chi sÌt,ch'aM mandò In
t* na so campagna a custudìr di poro.
1 6. E P iera rldùtt a desiderar d^
pntérs saziar dil giànd ch^ magnava
i porc , e nsun gh' in dava.
1 7. Torna in se stess, el diss : Quan-
ta uperarl in cà d' mie pàdar gh^à pan
da magnar in abundanza, e mi a son
chi eh' a mor da la fam !
1 8. A saltarò su , e andarò da mie
pàdar, e a gh^ dirò: Ah! papà, a Jò
pecca contra al del, e in fazza a ti;
19. A n^ son più degn d^ èsser cla-
ma tò fiól; tràttam come un di tò
uperari.
80. E a U s^ toss su, e Tandò da su
pàdar. Intànt eh' r iera ancora da lun-
tàn , so pàdar al vist , a '1 s' muvi a
pietà, e a U gh** cors incontra, e a '1
8^ a gh^ buttò brazz-a-coll, e aM la basò.
81. E al fiól a '1 gh' diss: Ah! papà,
a ]ò pecca in fazza al del e contra a
ti; e a n' son più degn d'esser dama
per tò fiól.
88. E al pàdar diss ai servltór:
Prest , tire fora la vesta la più bella,
e mtigh' la adòss ; e mtigfa^ un saèl
in dida, e di scarp in V l pie.
88. E mnè chi un vdèi graas, an
mazzèl, e eh' a s' magna e ch'a#^8ii9
allegramene
84. Perchè st' mie fiól Tieni flSirl
e rè arsusdtà; al s'iera pera» e alt*]
truvà; e i prinsipiò a BMgiiàr • fel
var alla ricca.
88. A gh' iera mò al fradèl
in campagna ; e in l'ai larnàr»
stàndas a casa, a '1 senti a auoàr ei
cantar.
88. E al damò un di servltór, Al
gh' dmandò cossa iera sta rolla. . .
87. E quest a gh' diss; L'è tuftà A
fradèi, e tò pàdar l'à faUammattè
al vdèl grass, perchè al Tà rie«p8i
san e salv. »
88. Lu però montò in furia, e ii?iAi
va più andar dentar. Al pàdar dsM
andò fora, e prinsipiò a pregerai*
89. Ma quel arspós, dsè&d a aè pi
dar: L' è tant' ann che mi a TaaH
e eh' a n' ò mal manca una vottaaal
ai tò órdan , e t' a n' m' a' goane-é
un cavrètt da gòdarm in eumpagnl
coi mie amig;
80. Ma adèss eh' è tumà sV tò Ìó
eh' à struscia iutt'al so con dil 4m
d' mala vita , t' à ammana al mli
grass.
81. Ma al pàdar al gh' dlaa: Ilei
ti t' iè sèmpar con mi , e tuli ^M
eh' a jò r è tò ;
88. L' jera ben giust però d^ far §81
zoviglia, e d' far ghirigagna, perah
st' tò fradèl l'iera mori, e Pè ana
scila; riera pers, e a 'I s'è trova.
Conte cav. Framcbsco Avbhti,
colonnello in pentUme.
DIALETTI EMILIA:^!.
237
Dialetto Gomacchiisb.
li. Un òm aveva du fiù ;
«t. D^ qaesii el più piccul diss a
a«ie pader : Papà, dèm le mie purziòn
che m* tocca. E U pader fé la divi-
slÒD tra lór dMa sue roba.
is. Passa pùec giórn, el più pznin
miss aasièm quel eh** V aveva , e el
parti per no paés luntàn, dov^ el dsi-
pè el sue in dono.
14. E ifiiand el n^ ave più niént, e
vlo8 una gran carestie , cminsipiè a
Arog sentir le miserie.
is. Allora Pandè, e '1 s' miss el
servisi d^ un d* chel paés, che '1 man-
dè in r una sue campagne a dèr da
■agnèr ai porc.
16. E mènter Pera là, l'avrìe pur
via magnèr d^ chil scors, ch^ magna-
va i porc; ma e n^ Jere ensùn gh'ln
dèssen.
17. Gnu in lu, el diss: Quant ser-
vitùr e Jerain cà d^ mie pader, ch^ avè-
ven del pan in abundanza, e mi e son
cbi die mner d^ fam!
18. E m^ muvrò, anderò de mie
pider, e egh' dirò: Papà, e jò pcà
eontre el siel e contre d^ vu;
19. E n^son d^n d'esser clama
vòster llòl ; fèm com* un di vòster
aervitùr.
flo. Pue el s^ tols su, e el vins de
sue pider. Quand Pera ancor luntàn,
d pider el vist, e moss da compas*
Sion , el gh* eors Incòntre, el gh' saitè
ai od , e P el base.
91. El flòl e gh' diss : Papà , e Jò
pcà contr** el siél , e contre d? vu ; e
n' mèrit d' èsser clama vòster fiòl.
88. AUòr el pàder diss ai sue ser-
vltùr: Sùbit purtèi el sue àbit, e
vsUl ; mettìgh el sue anèl in dide, e
il sue scarpe in pie ;
85. Pue condusi un videi grass,
mazzài, magnèmel, e sten allègher;
94. Perchè stel mie fiòl Pera mort»
e l' è ersusdtà; el aveva pers, e P ò
truvà ; e i cminzè a far feste.
85. Ere mo in tei camp el flòl più
grand, e mènter el gniva a cà, e el
s' evzinava, el sentì a sunèr e a ballar.
86. El ciamè un di servitùr , e U
gh' dmandè cosa P era.
87. E stu rispòs:8uefradèich'era
vgnù , e che sue pader aveva mazza
un videi grass, perchè el Paveva avù
salv.
98. Sta cosa el fé muntèr in còle-
rà, e en vieva più endèr in cà; ma
sue pàder essènd gnu fùere, P el pre-
ghè.
89. E U fiòl e gh' rispòs : Ece ; dop
tanPann che v' serv, e che n' v'ò
mai dsubdi in quel eh' m' avi cman-
dà , en m' avi mal dà un cavrèt per
stèr in allegrie coi mie amig ;
30. Ma sùbit che stel vòster fiòl ,
eh' à consuma quel che ghe avi dà
cun dil donn, P è gnu, avi mazza un
grass videi.
SI. Ma el pàder e gh' diss : Fiòl, ti
ti è sèmper cun mi , e quel ch'ò Pè
tue;
ss. Ma bsugnava fèr feste, e stèr
allègher, che stel tue fradèl Pera
mort, e Pè ersuscità; Pera pers,eel
avèn truvà.
338
PARTE SBOOHDA.
Dlurto Mwamoolese.
il. Un ieri om r avi va do fio;
it. Al più pìocQl diss a fò padr:
Papà, dam dia vostra robba la pari
ch^am^ vèn; e la aidivìs lasòsustaiisa
tra i du fio.
is. Da li a poc dì , al fiól piceni ,
fati figòll, rande via imtàn lontàn,
e al consamò tati in slraviizi.
14. E qoand an n' avi piò od sòM,
a 8* fé slalir la tua In cai paéa , in
canscfaenza d'una carestia, e acsi
al pavrètl priniipiò a védar ch^ a
^h' mancava al neiessarf .
f s. Al 8^ loia d^ li, e al s'arenando
a an iltladin d* cai sii , e qaesl al
miss in campagna per gaardiàn di
porc
16. A gh^ vgniva voja infinna dlm-
pirs la pama d** chll glandi eb^ ma-
gnàvan i porc; ma a n** gb' era aniùn
gh* in dass.
17. Tisi donca la matèria cbM' ave-
va fall, al diss: Quant sarvitór in cà
d^ me padr i àn dal pan in abandan-
za, e mi a mór cbi d** fam!
18. A m^ turò so, e a tamaro da
me padr , e a gh' dirò : Papà , a jò
manca e vers al zél e vers d^ vu ;
19. A n* a m** mèrit più d^èssar cla-
ma par vòstar fiól; tgnim invéz cum
un di vòstar sarvitór.
flo. E, alvànds su , Pandò dritt fil
da so padr. E quand al gh^ era anc
luntàn un poc, al padr el visi, al
s^ moss a cumpasslón, al gh* cors^ In-
contra, e al gb^ bullo 1 brazi al coli,
e al la basò.
SI. E so fiól al gh' diss: Papà, a jò
manca vers al zél e vers de vu ; a n"*
son più d^n d^ èssar clama vòstar
fiól.
ss. E so padr cmandò ai sarvllèi
Presi, tira forni la più bella ymlk
e giaslàgla adòes, mlig Paaèl ted
e il scarpi ai pè.
ss. E andà a tor dalla stalla alle
più grass, e maziàl, eeh^nt^Bip
e eh' a s^ slaga allegar ; *
«4. Parche si* me flòl Fera wmU
rè lama al mond ; al É*en p«% «^
s^ è trova. E I priniipiòn al dkakr
gli alegreni.
sa. El fiól più grand Vnm la tm
pagaa, e in T al dar volta , e
al fa avsin a cà, al sfati a
a sonar.
te. Al clamò on df aanrilèr» #
dmandò coss^ era mo sta eosaa* -.
fl7. E qoesl al gh^arspòa: Vk ta
nà vòstar fradèl, e vòelar padfìf
fati mazzàr un vdèl grass par !»«■
sulailón d^ avèral visi san e aahr*
ss. Ha al fradèl grand a fh^iw
hi stizza, e a n'^a viiva briaa IntR
In cà. Al padr donca vena forra li^
al la prinziplò a pregar.
so. Ma qoai tgniva ditt: L' è la
i' ann eh' a v' serv , e a n^ vVA ■
dsubdi; ma vu a n'm^avi aial^i
gnanc un cavrèll da psèisal gai
in cumpagnia di me amìg.
so. Però dop ch^ è torna nV IH
vòstar fiól, eh' V à consuma fattali
con dil donni d^ cattiva villa, ai a
mazza par lu al vdèl più giaai.
SI. So padr gh'diss: Vu, ali
fiól , a si sèmpar con mi, e laltfu
eh' a jò r è vòstar.
ss. Ma l' era glosi d' goder , e.fi
digli allegrczzi, parche vòstar frad
Pera mori, e T è arsusdtà ; al s'ei
pers, e al s'è turnà a Iruvàr.
DolL GAato GuaM*
DIALETTI EMlLUrCU
SI39
Dialetto Ma:<tovaM)
II. On òm al gh' aveva dù fiòi;
it. £1 più ióvan d^ lor Vh dit a so
IMI dar : Papà, dam da pari de patri"
moni eh** àm^ foca; e lù ai g* k di vis la
roba.
is. E dop pochi giòran, mueià sii
%«ty e! 1161 più sóvan V è andà in t'Ita
terra lontana, e là r à struscia la so
sostanza, vivènd da iiissùriós.
14. E dop c^ rà vii consiiinà tut,
è gnu in quel sit na gran carastìa, e
\n stesa rà prinslplà a aver de bisògn.
is. £ rè andà, e^ M s^è miss a servir
on sittadin de eia terra , ch'el r à
manda in t^la so campagna, perchè ^1
condiisèss (9ra i porzèi.
le.E Tavrìa volii Impinìras lapansa
cole glande che mangiava i porch;
ma nissfin g^an dava.
17. Alora, tomànd in lu stess, l'à
dit: quanti servitór in casa d^ me pa-
ttar i g^à del pan in abondansa, e mi
clii a mori d' fam !
19. A m^ farò spiri t, e andare da
me pàdar, e a gh' dirò: Papà , ò ofés al
Signor e ti;
19. Za n^ son più degn d^èssar cla-
ma tò fidi; tom come on tò servitór.
to. E al s'ètoltsù, erèandàvers
io pàdar. Quand Pera ancora bntàn
lò pàdar el Pà vist, el s'è moss a
compassiòn, e corèndagh' incontra, el
l' gh'è butà a brazz a col, e el l'à basa.
ti. E n fidi ci g'a dit: Papà, ò ofés
ti Signor e ti ; za n' son più degn
4' èssar dama to fidi.
ss. Ma^l pàdar Vk dit ai so servi-
tór: Prest, portègh chi la più bela
vesta e vestii, metigh Tanèl In dit e
le scarpe ai pé;
83. E mene chi on vedèi Ingrassa,
e mazzèl, e magnémal, e stém slegar;
S4. Parche sto me fluì Pera mort
e rè resùssità, Pera pers e Pè sta
trova; e i s'è miss a magnar.
ts. Intant so floi più rèe Pera in
t^ i camp, e quand Tè toma e Pè sta
darènt a casa, Pà senti chM sonava e
i cantava.
te. E Pà ciamà 'n servitór, e 'I g^à
dmandà coss'era eia roba.
87. E quest el g'à diti É tivà tò
fradèl, e tò pàdar Pà mazza 'n vdèl
grass , parche P è torna san e salv.
88. L' è andà sùbit In còlerà, e noi
voleva andar dentar; so pàdar donca
Pè vgnù fora, e Pà cominzià a pre-
gerai.
89. Ma quel, rispondèndagh , Pà
dit a so pàdar: Ecco tanti anni che t'
servi, e a n'ò mal trascura i tò órdin, e
n* a t' m' è mai dat on cavrèt da ma-
gnar coi me amich;
."SO. Ma sùbit rivk sto tò fidi, che P à
struscia tùtt el so con die sgualdrine,
te gh'è fat copàr on vdèl ingrassa.
SI. Ma quel el g'à dit: Fidi, ti t'sè
sèmpar con mi, e tùtt el me Pè tò;
ss. Ma Pera ben giùst magnar e
star alégar , parche sto tò fradèl Pera
mort e Pè resùssità , Pera pers e P è
sta trova.
AVV. PUBRàlt.
19
240
PAKTB SGCO^TDA.
Dialetto Parmigiaiio.
11. Un òm gh'avì du fio;
it. E 'I pu zóven d' lòr el dziss a
so pàder: Papà , dàm la parta ch^ m^
vèn; e M pader al ghe spartì la roba
tra d' lur.
II. Poe gióren dop, el pu zóveo el
fé fagòtt e 1 8' tòs su e V andi in Tun
paèis lontan, dova el consumi tutt col
ch^ el gh^àva in bagordi.
14. E dop eh' Tavi da fein a tutt,
a véns una gran carestìa in col paèis;
e lu el emina a trovàrs in bsògn.
18. El s"* n' andi^ e '1 s' miss a ser-
vir un litadèin d^col sit, ch^al la
mandi in r na so possiùn a far pa-
scljir i gozèin.
servitùr : Porta chi sùlilt ei pu bel
visti, e visti! , e mtìg T aneli in dld,
e 1 scàrp ai pè;
81. E condusi chi al vitell pugrass^
e ammazzai, e magnama allegramént;
14. Perchè sV me fidi era mort, e
rè arsussità ; Pera pers, e ^1 s^è tro-
va; e i s^missen a magnir allegra-
mént
tu. A gh^ era mò al so fidi pa grand
In t' I camp, e in tei tornar» qoiiid
el fa vsén a la ca, al alnti a aonir •
a cantar;
sa. E M clami vòn di serriiàr, e 'I
ghe dmandi cos' er^. chii eoiL
S7. El servitòr al gh' rispondi: Tò-
te. E Tare vu voja d' Umpìrs la'ster fradél Té torna a ca, e vòsCer
panza dil glandi, ch^ magnava 1 ani-
mai; e nissón gh^ in dava.
1 7. Toma in se stèssaci dziss : Quant
servitùr in ci d' me pàder a' bùtten
adrè el pan, e mi a son chi ch*a mor
d'fam!
18. A m'alvarò su, e andarò da me
pader, e a gh** dirò : Papi , a jò fati
pca centra al zél e centra d' vu;
19. A n' son pu dègn d' èsser da-
ma vòster fidi; tolim per vòn di vò-
ster servitùr.
so. E tolènds su al véns da so pà-
der. Mentr Fera ancora lontàn, so
pàder el r à vist, e al s' moss a com-
passiòn, e corèndgh' incontra, el s' gh'
butti con I brazz al còli, e '1 la basi.
81. El fidi el ghe dziss: Pipa, a jò
offèis al zél, e a v*ò offèis vu ; a n"* son
pu dègn d^ èsser clama vòster fiòl.
2S. AHura ci pàder al dziss ai so
pàder rà fatt mazzàr al vlt^l Ingrat»
sa» perchè r è toma san e ailv.
88. Alura a gh' véns la sliiza e 1
ne vreva pu intrar in eà ; dooca m
pàder, gnènd fora lu» al lacmlnta
pergàr.
so. Sfa lu , per risposta, al gh' dziss
a so pàder : Guarda: V è tant ign ch'a
V' serv , senza mài dsobdirv» e va a
n' m^ i mài dona un cravèti da goder
con 1 me amig;
30. E dop che st' àter vòster fiòl,
eh' à consuma tutt al aò con dil deal
d' mònd, r è torna a ci, a J^ avi mazza
per lu al vitèll ingrassa.
81. Ma lu al gh' rispòs: Fidi me,
ti V è sèmper sta mèg^ e tutt col eh* jò
rè lo;
ss. Ma bisognava magnar allegra-
mént, perchè sf to fradèi era mori, e
r è arsussità ; V era pcrs, e 1 s*è trova.
>. N.
DIALETTI EMIUAMI.
344
Dialetto Boiìco-T*iìe»c.
II. Uo omo u gb'ava dù fijò;
it. £ u pù lòven u diss' a sé par;
Opiy dèm la part che m'pertoca:
e s6 par u fé le pari.
is. E da lì a pochi dì M piì zóvcn
u pie su la pari sogga, u andè lontàn,
eia u la sconsumè tuta inalaméot.
14. E dop ch'u l^avi sconsùmà tu»
lo. In t' colo logo gh' è vgni la eale-
ftrìa; e là a iscommenzè a pati de fam.
u. B u 8^ è misse in cà d' un sior
de eòi pi^léae^ ch^ u ar mandè in Cam-
pania a scode i porchi.
16. B u gh^ vgniva voi^a d'impisse
la pausa colejande eh' manjàv' i por-
chi; BU ne gh'in dava guissùn.
17. Ma pò, essèndose misso a più*
li, o disse: Quanti servitori in cà de
me par i mànjan dar pan quant i n'àn
Toija ; e mi chi mòro de fam 1
18. Starò su, e audrò da me par,
e ghe dirò: 0 pà, ò fato ma contro
ar Signor e contro vù ;
IO. E mi n' mèrito pù d'esse cla-
ma per vostro fijo; tratème com' un
vostro lamijo.
so. E aiora u stè su, e l'andò da
so par. L^era anca lontàn^ che so par
Q ar viste; e u s' è movi a compasclón,
e u gh* andè Incontro, u ghe saltò ar
col, e u ar basò.
fli. E ar 4j5 u ghe disse: 0 pà, mi
ò fato peci contro ar Signor e contro
vù ; mi n* mèrito pù d'esse clama per
vostro fijd.
st. Ma so par u disse ai servitori :
Fé sito, portò chi ar vesti pù belo, e
metiglo adosso ; metìghe l'anelo, e le
scarp;
25. E piò ar vdelo pù grasso^ e mai-
zèlo , e raangiòmlo, e stóma alegri;
84. Perchè sto me fijo Tera morto,
ero resùssita; u s' era perso e u s'è
trova. E i scomeniòni a gòdesla a tà-
vola.
tu. Ma ar fio pu vocio l'era in canv-
pània, e quand u vena, e u s' aeostè
a cà, u senti i son e i canti.
86. E u clamò Jòn di servitori, e «
ghe disse: E coss' i fan ?
57. E còsto u ghe disse: V ò vgni
vostro fradelo, e vostro par l'à fato
mazza un vdelo grasso, percbò u Tò
riva san e salvo.
80. Gh'ò vgni stizia» e ar ne vo-
reva andà in cà. Ma vgni idra so par,
e u rà scomenza a prega, ch'u vgnis-
se drento.
st. Ma lù u gh' respondi a so par:
Mi r è da tant ani che ve ser\'o, e ò
sempre fato tùto colo che m'avi dito,
e ne m* avi mai dato gnanca un era-
veto da god coi me amighi.
so. M' adesso eh' V ò vgni me fra-
dèlo, eh' rà sconsùmà tùto con le pù-
tanne, i avi mazza per lù ar vdòlo pù
bon.
ai. Ma lù u gh' respondi: ti, o me
fijo , ti t' ò sta sempr con mi; e tùto
collo che gh' ò l' ò ar tò ;
58. Bsognava ben che stàssem ale-
gri i ned, che tò fradèlo eh' l'era morto
r è resùssità ; u s' era perso, e u s'è
trova.
Lazuso Cornazzani,
con approv. di parecchi studiosi diBorgotaro.
IH'I
P\RTK 5n(.0.M>A.
|)|\LRTro PlACENTIMO.
II. Vn ÒHI ttl gh' uva dii liò;
Ili. E M |tu gióvun al disH a so pi-
dnr: l*a|il,dòni lu proilòn di me bèin
cb^u m* tòcaii; « 'I |MÌdar al ga fé la
l>àrt a tOtt da.
I a. i: dft le a por de al pò gióvan,
iiilM IniAni li)l al to, al s' n'andé via
lu d'un |uiU lontàn, 0 laiiiò al dsOpé
tilt ttl «0 lu slravliil.
t4. E dop d'avìl i^AusOmi tQt, vèins
una gran t^laHtria in d* còl pais, e lu
al priuilplé a trovin In sin sulla.
I «. E r andé, o '1 a'à nil»$ con volo
a d' còl pai*, eh' al la niandé In d^na «o, E H clamò vdio di sé om, è 1
no fauiikfigua a mné fora 1 mimai.
I «. V lU V aritia vori l^impas la pan-
kii dll glkud cVmanglavan i grèin;
UHI imóhi gli* In d&va.
19. Hualui^lut^ mlèlnd là testa, al
dUftì Quanta aarvitòr iacà d'mé pa-
ttuì' I gli'àu dui |i&n da trassn adré,
it iiié non chò eh* a niòr ad' lam !
I a. Ma uiò a m* lodrò sdsa, e andrò
da iiié iiàdar^ ^ gh*dirò: Papi, me
\òil eh' a jò falli conira Dio, e dnant
u vói
IO. Mò ili a ir «o» pò dfgn d'Ièss
riama voA ilo; Ignim cm<^ vòin di \ò-
Htar sarvllòr.
tu. E U Si' toì» so, e *1 vèins da so
padar; o l'era ancamò da lontàn, che
dò padar el l' à visi, e "1 s' à gomi, el
gh'à com incontra, e M ga tré i brass
al col e 'i la base.
ti. E M fio al ga diss: Papà , a jò
fulà incontra al Signor e incontr" ad
vò; e u' son ik> dego d' iè«^ eia ma vos
Ilo.
88. Ma al padar ai diss ai sarvitór
Svelti , tire fora al visti pu bèi e mtì
gal so, e dèg l'anèl in man, e mtì|
il scarp in pc;
ts. E todi un videi grass e manél
eh' a v5i eh' manglòm e eh' fÒm allolé
t4. Parche al me flò eh' l'era mort
l' è risùssita; d' a s' sa va dòv' «1 flaa.
eM s'è trova; e i prlnslpién a sganaaitf
sa. Ma al fio pò grand P era pr i
camp; e cm' al vèlns Indro, qaaad al
fé arànd a ce, al alntì ch*l sodìvh
e I cantavan.
ga dmandé coss Vtnu
17. E còst al ga risponde; ck'ot
gni sé fradèi , e so padar Tara mam
un videi grass, patelle al Ì8 Tcn
toma a ci san e silav.
t8. £ lu al vèins nòe, e 1 n^a vif
va pò andi in eà; e '1 pidar dòBCt al
gnì fora IQ, e '1 coiiDsè a imboBÌL
' to. .Ma al fio al risponde a aò pi-
dar: Tòl; rè tant an eh' a T*aèi«T,e
eh' a fag tutt a \^6lar and, e ■* a'i
mai dal gnan an cravòl, tanl ch'i
podìss gòdal coi né conqiàcn.
80. Ma pena eh' è gai si vòsiar io
che, ch'ai s'è aiangii ttt aiateÒB
dil >*aràn, i bèln manà par la an vi-
dei grass.
SI. Ma al pidar al gadfas: Alae
fio, té taslé sèimpar céa ai. t cil
eh* è me r é anca la;
3f .Donca Torà bèin d'gìiit,ck*ft»-
sam festa e slàsna alègar,, pache si'
lo fradèi eh* Fera bwH« Tè litèniti,
al s'era i^er*. e '1 *>
V \
DIALETTI EMILIANI.
«245
Dialetto Bobbiese.
II. Un ÒDI 11 gh' aviva dù fio;
it. Al pu giùvan d^ lur V h dit a
90 pàdar : Papà ^ dem la part di ben
eh' a m^ tocca; e lu u gh* à spartì la
VMfanza.
is. Da Ir a pochi dì, miss lùlt in-
vai, al fio miniir n s^ n^ n andnt an
l*tMi pai» lantàn , e Pà consuma lutt
al fai aò in bagùrd.
14. E canà r è stat nett dal tfiU, u
gh^è vnu na gran caristìa in t' quel
ptis, e a lA a gh^ò cmensà a manca
al nesessari.
i«. E rè andàt> e u s'è miss con
un paistin d** quel paìs, ch^ u T à man-
da a la so campagna apriss ai pursè.
!•. B u dessiderava dMmpiniss la
pània die glande ch^ t mangiàvan i
gagnén; ma ns5n gh' in dava.
1 7 . Intani u dslva da par lù : Quanti
servii ùr in cà d^ me pàdàr 1 gh' àn dal
pan in abondania; e mi chi a mòr
d* fam !
18. A. m' alvro su^ e andarò da me
pàdàr. e a gh' diro: Papà , mi o pcà
eontr* al elei e conlra d' vù ;
19. Mi a n' son pu dàgn d'esse cla-
ma vòslar fid; trallèm cmè un di vò-
slar scrvilùr.
f o. E, Iva su , rè andai da so pà-
dàr; e quand lu l'era ancùr da lon-
tàn, so pàdàr u Tà travisi, u n' à senti
pietà, u gh'è curs incontra, u gira
campa i brass al col , e u r à basa.
il. E al fio u gh'à dit: Papà , mi
ó pcà conlr'al ciél e contra d* vii; e
a n' son tosi pù dàgn d' esse clama
vòslàr fio.
tv. E al pàdnr r à dit ai so servi-
lùr: Pràsl, lire fora la vesta pfi pre-
ziusa, e mligla adòss; mtigh in did
Panel, e i stivalén an IM pè.
83. E mnè al videi al pii grass ,
massèi, eh' u s' mangia e ch'u se sta-
ga allegar.
«4. Parche si' me fio l'era mori, e
l' è risussìlà; u s' era perdù, e u s'ì*
trnvà. B i àn prinsipià a dagh drenlA
allegramént.
2S. Ma al prim fid Pera in campa-
gna, e tu manda, e avsinàndas a cà,
Pn senti i concert e i bai;
8tf. E Pà ciamà un di servitur, e
u Pà inlerugà coss^ P era.
87. E cul-là u gh' à rispòsi : L' è.
turnà to f radei , e to par P à amassà
un videi grass, parche u gh' è turnà
san.
88. E lù Pc andai in coirà, o u
n' vuriva gnanca andà drenla; e don-
ca al pàdàr P è surlì fora, e Pà prin-
sipià a pregai.
89. Ma cul-là Pà rispòsi e dita so
pàdàr: I son già tanti an che mi a t'
servy e a n' ò mai manca a nsùn di
lo cmand , o a n' te m' è mai dal un
cravàlt da gòdmal con i me amis ;
xo. Ma dop eh' P è vnu sto lo fio,
eh' P à smangiazzà Itili al so con don
d'mala vita, l'è amazzà al videi al
pù grass.
SI. Afa al pàdàr u gb' à dit: O fio,
li V è sèmpàr con mi, e tùli quel eh' è
me e to;
58. Ma Pera giùst d' fa na tavulada
e d' sta alégàr , parche sl"to fradèi
Perù mori, e l'è risùssità; u s'era
perdù, e u s'è truvà.
Canònico Giacinto Pbza.
n4
FABTC SECONDA.
Dialetto Bronese.
li. Un òm al gh'aviva dù fio;
it. E al secónd Vk dit a so padr:
0 pà; dèm la pari dia roba ch^a m' toc
ca; e lu al gh' à sparti intra lor la so
sostanza.
13. E da li a poc di, avènd miss
tfitt coss assenta, al fio dardè al s^ n*è
andàt in paìs lontàn, e là l'à consu-
ma tutt al fatt so a bagurdà.
14. E quand al gh'à avùpu gnént,
in col pais a gh^ è stai una gran ca-
risila , e r a cominsà a manca d' tutt
al necessari.
IJS. E rè andai, e M s'è miss gió
aprèss d' vun di abitànl ad' cui pais,
ch'ai Pà manda a una so pussión a
cura i gugno.
16. E al sarcava de cavàss la fam
coi giand eh' mangiàvan i gugno; e
nsun a gni dava.
1 7. Ma pò pensànd a la so sltùazión,
al s'è miss a di: Quanti ser>'ltùr in
cà d' me padr i gh'àn dal pan a brass,
e nio chi crep ad la fam !
1 8. Saltare su , andare a ci d' me
padr, e gh'dirò: 0 pà, ò fai di pcà
contra dal Signor e incontra d' vu ;
19. Ah! eh' a son pù degn ad vèss
clama vos fio; trattém tarequài vun
di vos scrvilùr.
20. E, saltànd su, al s*è porta da
so padr; e in col mentr eh' l'era an-
cor lontàn, so padr al l'à sgosì,al s*è
miss a compassión, el gh'è andai In-
contra, e, tràndagh 1 brass al coli, al
l'à basa.
SI. El fio al gh' à dit : 0 pà, gh' ò
fai di mancamcnt contra dal Signor
e contra ad vu; son più degn ad vèss
ciamà vos fio.
22. E alora subii al padr Pi co-
manda ai servi tur: Presi, tiri a man
al pu bel vesiid , e metìgal adò« , e
matiègh in did P anè e i scarp ai pè.
25. Mnè chi al videi grass e mas*
sèi, e eh' a s' mangia e cfa^ s'a staga
in gran llgria;
24. Parche stu me fio Peramortye
adcss l'è arstissilà; Pera pera, e al
s' è trova. E i àn cominsi a mangia
e bev.
28. Intani al prim fio Perm in etn-
pagna, e, tornanda per vnìssn'aciy
P à senti a sona e balli.
26. E Pà clama a von dliòsenri'
tur, csa Pera sto bordèl.
27. E lu al gh' à rispósi : È arrivi
so fradè, e so pàdar Pi fai massi fio
videi grass, parche a '1 Pi torni a
vèd san e salv.
28. E Ili sùbei Pè andai in ooidn,
e *1 voriva pù andi In ei ; el pidar
Pè gnu f5ra , e Pà cominsi a pregi!.
29. Ma lù P à risposi, e Pi dii a
so pàdar : I èn giamo tanti in che mi
a i' serv , e n'ò mai manca d^obdi ai
tò comànd; e mai una volta a l*m'è
dal un cravcn da podi god col me
amis.
30. Ma dop eh" è vno a ci sto io
fio eh' Pi consuma ititi al fati so con
di vaccàss ad donn d' mala vfta> i*è
amassi al videi grass.
51. Ma al pàdar al gh'i dit: 0 al
me fio , ti i' è sèmpar con mi, e luti
quel a eh' gh'ò P è tò.
32. Ma Pera giùsi da sii allégre
fa festa, parche sto tò fradè l'era mori,
e P è arvistà ; P era pers., e al s^è trevi
N. N.
DIALETTI KHILIAM.
245
Dialetto Valbm/.\?I(>.
II. In òm a Tava dói Hòi ;
tt. E 1 pu giovo d' lór a l' à die
al pari : 0 papà^ dèmi la pari dia rò-
ìki eh' a m' partocca; e lù a J'à spartì.
ffS. E dopo pochi di al fló pu giovo,
Cita su tut-còss, a rè andai an fin
pais ionlàn^ e l'à irà via al fat so,
rivénda dia pù bela.
14. E dopo che lu a 1* avi va da£
fónd a tutt, a J'è vnu Inna gran ca-
ristia an V cui pais , e la Tà cminzl-
ptà a stantà.
18. E a rè andàò da Jun d'cul log,
ch'^a r à miss a fora a mnà an pastu-
ra I parse.
I G. E lù a r avrèissa vulù podcls
impt la pansa con al gianduii eh* a i
mangiava i parse; ma 'nsun gh* nMn
dava.
17. Pensanda pò ben a lu, a l'à
die: Quanti servi tur a cà d** me pari
a J nn del pan a saulàsi, e mi csi-chi
a mor dia fam !
18. Su: andrò da me pari, e a J di-
rò: Papà, a J ò manca contr^al Signor
e contr' a voi ;
19. Za n' mèrit pù eh' a m' digghi
vòster fio; pièm cmè s'a fùissajùn
di vostr'òm.
so. E drlò a l'è andàt da so pàder.
L^ era ancora lontan che so pari a T à
vùst , e i n' à avù compassiòn , e cu-
rìndii àncontra, a Tà brassà su, e a
rà basa.
21. E 'I fló a j à dii : Papà, a j ò
manca contr'' al Signor e contr' a voi;
za n' mèrit pù eh' a m"* digghi vò-
ster fio.
S2. Aniora al pari a l' à die ai ser-
vilùr : D' ióng,portèi chi al pù bel vi-
sti , e buttèili adòss ; dèi J V anòl an
V al so man, e buttèl I al scarpi àn
V i so pè.
ts. E mnè chi in boccìn bel grass,
e massèli , eh' a niangrumnia, e < la
gudrumma.
24. Parche ist me fio Tera mori, e a
l'è resùssità; a l'era pers, e a Tè stat
truvà. E a j àn cmensà a sta alégher.
20. Antànt al prim fló a Pera a fora.
e vninda, arriva vsin a cà, a Pà santi
*1 son e M bai ;
20. E rà sercà in di servitiìr, e a
] à clama, csa j ero sti robi.
27. Ist a J à di£: So fradè a Tè
turnà a cà , e ài so papà a l' à massa
ài boccin grass, parche al Pà vdù
san e salv.
28. A i n' à avù disgùst , e ài vo-
tiva gnanca antrà ; ma ài so papà ,
sortinda fora, Pà cminzlplà a pregali.
29. E lù, rispondinda, a P à die a
so pari : A P è zamò tanè ani che mi
a v' serv , eh' n* à j ò mai manca ai
vostr' ordu , e voi n' mi éi mai da£
gnanca in hèè da gudèlmlt coi me
amis.
so. Ma dopo eh' vòster fló ist^ ch'Pà
mangia tùt-coss con del scarusi, a Pè
turnà, voi a Pél tratta coi pù bel
boccin.
81. Ha lù a J à die: 0 M me fio, ti
a t' è sèmper con mi, e tùt cui ch'a
Pè me a Pè tò.
82. Ala bsognava gudèisla e sia alé-
gher adèss, parche ist lo fradè eh' Pera
mori, a l'è resùssità; e eh' s'era perdù,
a Pè stai truvà.
Conte Lorenzo De Cardenas.
946
FAITE SfXMUOA,
Dialetto Pavese.
II. Gh*eni ona volta on òm. ch'ai
ghMva dìi Ilo;
it« E'I minor rà dit a so pàdir:
Papà, ch^àl ma daga quii ch*àm loca
d' me pari; e lù rà sparii la sostanza
intra i dù 05.
I s. E dà li a poch dì, dopo ave fai
su tagòt , il minor Tè ^ndàl pr ài mond
in t'on pais lontàn, e là rà trai via
tùtcòss in Vi vlzj.
14. E dop che rà \ù Irasà 1 fat so.
in quài pais-là gli*è gnu la calestrìa,
e IO rà cmlnslà a Ve da bsogn.
is. E rè *ndàt a sta con vói dà
quii sit-lày ch^àl Vk manda alora a
pascola i pone;
16. E Tavaràv mangia i lùèl che
mangiava i pone; ma ghiera ^nsòi
ch^àgh^nin dass.
17. Alora l'à vèr! i o«, e rà dlt:
Quinti salaria In cà d*mè pàdar g'àn
dil pan da tra vìa e mèi di'* insìcìiì
mori dia fam!
1 8. Piarò su , e ^ndarò da me pà-
dir, e gh^ dirò: Papà, ò pecà vcrs el
sièi e vers IQ;
18. Adèss son ninca pQ degn di
vè$s clama so fio ; ch*il mi Irata come
voi di so salaria.
88. E rà pia su, e le ndàt da so
pàdir; e so pàdir il rà vìst da kmtin
^ia , il g*à vù compassioni ,. e gnin-
digh* incontra il g'à tràt i braz al còl
ci rà basa su.
fi. E 1 fiò'l g^ dit: Papà, ò pecà
vers el sièl, e vers lù; adèss son ninca
pù dcgn di vèss clama so fio;
88. afa I pàdàr là dit ai so sirvi-
tòr: Porte chi sQbit il vistid id gran
gala, e mitighel su. e mitigbe ranèi
in dit, e calièmil sii bèi ;
8S. E mnè su an videi ingrassa, e
mazzèl e mingióma, e fóm baldòria;
84. Pircbà sto me fio chi r era
mort e rè rIsQssità, rera pèrs e rè
stai trova; e i s*èn miss a far baldòria.
88. Al fio magiór Intint V era In
campagna, e tomind indiò, qnaiid
rè vQ stai arèlnl a cà , Kà sintì a soaà
e canta.
88. E l'^à dama %'di di servilér, el
g* à domanda , cs* il voréss di q«il
bacan.
87. E lù rà dlt: È toma 80 fradè^
e '1 so papà rà flit mazià on Yidel is*
grassa pr^avèl ricupera sin e aàliT*
88. E lù gh'è salta la moaen al 1188,
e 1 \-oriva nò Mdà 'n cà; doocaaò pà-
dir rè gnu fora, e *l s'è miss a ciaiML
88. Va lù rà rispósi à so pàdir;
Ecco, rè chi tinti an ch'il servi e
ò mai trasgredì on so comand, e *l
m'à ninca mai dat on cravél da god
coi me amb;
30. Ma apena eh' è toma sto so fio
chi , c^Vk consuma tùtcòss adrè ai t»>
rabàcol, rà fit mazza oa videi in-
grassa.
31. Ma lui gh'à dit: o 1 me fio,bd
pir ti Tsè sèmpir con mei, e ^iiil
ch'è me è tò ;
ss . Ma bsognava slnoctàla e 8là alè-
gir, pirchè tò fradèl rera mori, e rè
rìsùssità . rera pèrs, e rè slat trovi.
Prof. Siao CjkaATTt.
r.-.rr:
CAPO III.
SAGGIO DI VOCABOLARIO EMILIANO.
Spucaziomb
DelU abbreviature impiegate nel tegnente ^Vocabolario.
A. 8. — Anglo-Sàssone.
Berg. — Berf amasco.
Boi. — Bolognese.
Ere. — Bresciano.
BreL — Bretone.
Coni. — Cornovàtlico.
Cren.* — Cremonese.
EbÌL ^-Emiliano.
Fer. — Ferrarese.
Fig. — Figurato.
Fr. — Francese.
Caci. —Gaèlico.
Gen. — Generale.
Got. — Gòtico.
Ingl. — Inglese.
Isl. — Islandese.
It. — Italiano.
L. — Latino.
Lod. — Lodigiano.
Lomb. — Lombardo.
Mant. — Mantovano.
Mil. — Milanese.
Mod. — Modenese.
Parm. — Parmigiano.
Pav. — Pavese.
Piac. — Piacentino.
Pieiq. — Piemontese.
Reg. — Reggiano.
Rom. —Romagnolo.
Sien. — Slenese.
8v. — Svezzese.
Tras. — Traslalo.
Ted. — Tedesco.
V. — Vedi.
V. Cont. — Voce Conta-
dinesca.
V. Fanc. — Voce Fanciul-
lesca.
Ven. — Vèneto.
Ver. — Veronese.
A ba I a sa. Bom, Cotticciare, rosolare.
Abbagarà. SoL Ombreggiato, f^.
Bagùr.
Abubana. Boi. Acciaccato.
Abgujàr. Boi, Mescolare, confón-
dere.
Abrasér. /feg. Raschiare. -£. Abra-
dere, abrasum?
Abri^hèrg. Beg, Tardare , indu-
giare.
Accuccìrs. Beg. Acquattarsi, acco-
sciarsi.
Adarcàr. ^o/. -Adarcii. Bom. Va-
gliare.
Adorni. Beg. Intorpidito.
Adrachèrs. Beg. Indebolirsi. - A-
dracàrs. Boi. Appoggiarsi di pe-
so. - Ken. S t r a V a e a rse. Sdrajarsi.
Adungiàrs. Boi. Sforzarsi, sbrac-
ciarsi.
A d u p à r s. Boi, Méttersi dietro. - For-
se da dopo?
A fina. Bom. Puzzare.
A g a p u n a. Bom. lacarccraro. - Lomb.
Mctt in caponcra.
Ag beri ir. Beg* Intirizzire.
248
PARTE SBCO.>DA.
A%hlè. licfj. Pùngolo. Mìmolo. /.
Ghia e Gojadèl.
Agórd. Piac, Pav. e Mil. Aboiidantc.
Agrundàrs. Boi. Contristarsi.
Agucciàr. ^o/. Palificare, palafittare.
Aguflàrs. i9o/.- Cufolàrse. rer.
Accoccolarsi, accosciarsi.
Alb. Boi. e Fer, 'Xlbl Mod, Truo-
golo, y. Arbi, Ibiòl.
Al ape. Req. Assetato.
AI base n (all'). Heq. A bacìo.
Algiior, àlgur. Fcr. Ramarro, y.
L Igor e Lùgar.
A I m a. Pine. -Ma, doma. Lomb, So-
lamente. E da notarsi, come questo
mh lomb. corrisponda esaltamente
al but degli Inglesi j equivalente
al ma italiano.
Al va. Boi. Filare di viti, anguillare.
Amana. Forlivese, Vestire.
Amniagulàrs. Boi. Rappigliarsi,
coagularsi.
Ammaruzzèrs. Beg. Ammontic-
chiarsi. - Ccm. Mar. Molto.
Ampi. Piac. Smania.
Ancona. Gen. Nicchia.
Ancroja. BoL Tristanzuolo, mala-
ticcio.
Anghirola. Fer. Truogolo. -Gof/.
Angar. Orcio, l>ottc.
Angia, Anza. Mant. Serpe. - iL. A n-
guis.
Auguanìn. Beg. Giovenco, vitello
da uno a due anni.
A n i s s 0. Parm. Amo da prender pe-
sce.-Ani s so la. Lungo filo armato
di molti ami.
A n q u a n a. Boi. e Beg. Pigro, tenten-
none.
Anser. Boi. Castagne secche.
Antàg. Piac. Androne.
Antan a. Gen. Vedetta; la parte su-
pcriore di alcuni ediflcj.
Anvèin. Parìn, Lupino.
A n zana. (^en. Alzaja, grossa fune che
servi» a tirare le barche.
Apalugòs. Rom. Dormigliare.
A p i s 1 è r s. Beg. Sonnecchiare, ad
mentarsi. F. Pi sol.
Api ine. Beg. Malaticcio.
Appaniràrs. Boi. Adagiarsi, o;
do.
Appiè t. Beg. Allatto.
A p ponte. Beg. Appresso, vieto
A p r o V. Piac. Rasente, vicino.* £
prope?
Araburn. Bom. Rabbujare.
Aragajà. Boi. Fioco, ràuco. -j
avocare, y. Argaìr.
Arava ce. Bom. Infangare.
Aram«^r. Boi. Raccògliere, ni|
nel lare.
A r à n d. Piac. Vicino , rasente, a
da. y. Arèint.
Arbèr. Bom. Canapiglia. • i
streperà.
A r bèga. Bom. Piètica; strunenl
falegname.
Arbi. fioc.-Aib. Boi Truògola
Arbinàr. Mant. e f^«r. Adwi
mettere insieme.-/^ Bloara'
Arblàr. ^ol. e fer.- Arblèr.
Ribàttere, rlcoltare.
Ar b u rd ì rs. Boi. e Fur, Rlaven
farsi.
Arcar ve. Bom. Rifare.
A r e a t ó n. Top. Rivendùgllolodi :
ta, erbaggi.
Archèst. Fer. Scegliticcio, man
Arcòst. Beg. e Piac. Solìo, sola
Ardlnsàr. Parm.- Ardi nièr.
-Resentà. MiU Rlsdaqnare
Arsintà.
Ardinzadura. Beg. Stoppa.
Ardònd. Piac. Cruschello.
Arèint. Gen. Vicino , accanto.
Arella. Gen. Canniccio.
Argaìr. Boi. Divenir fioco, rà»
Arggnàr. Boi. Raggrinsare. - -
gnì. Bom, Ringhiare.
A r g h è Ib. Boi. Rigògolo. •L.Ot
lus Gal buia.
DIALETTI BMILIANI.
949
Argiolèr. Porm. Rabbellire. Forte
dalla radice comune francete Joli ,
vezzoso?
Argoz. Pidc, Mondiglie, vagliatura.
Arguajumàr. Parm. Gestire.
A r g u m b I a. Rom, Rovesciare la bocca
d^nn sacco, o simile.
Argute. Boi. Rannicchiato.
Arrengàr. Boi. Rivollare, rovesciare
(dìcesi degli àbiti).
A r s è 1 g a. Boi. Membro sporgente ne-
gli edifizj.
Arsintà. /Vac-Arsintàr. Parm,-
A r z e n t à. Pa^. -A r z a n z 4 r. Jlfanl.
e /^er. - R esentar. Fer. Riscia-
cquare.-^rm. Rinsa, rinsadur.
Ariana. Parm. -Rigàgnolo. /Yac. A rsin te Ila. Parm. e /?«9. Lucèrtola.
Fogna, cesso e sterco umano. Arsùi. Boi. e Fer, Avanzaticelo.
Arietèln. Parm. e Boi. - Reatin. Arsuràr. Boi. e Fer. • Arsordar.
/>wit6. Scricciolo. -I. Sylvia tro^ /Virm.-Arsorcr. /T^gr. - Assura.
glodytes.
Ari ut. Hom. Rlnfrescamento, nuova
provvisione di viveri.
Arie, arlòn. Bom. Incannucciare,
canniccio, f'. Are 11 a.
Arlia. Parm,, Piac, e Afonf. -Arli.
Boi. Ubbia, superstizione. - Mod.
Mal-umore.
Bom. Svaporare, sfiatare, intiepi-
dire.-f^en. Soràr.
Arughè. Bom, Ammori>are.
A r v è j a. Boi. Piselli. - A r v i a. Parm.
e Beg. Rubiglia. - Lat. £ rv i I i a. -
A r vèj a. Bom. tign. Pisello di pra-
to.-!. Lathyrus pratensis.
Arviòtt. Reg. Piselli.
A r 1 ò t. Boi. <3bo e sostanza schifosa. -Arvsària. Beg. Versièra. Ente Infer-
Bom. Arlòt, arluta. Rutto, rut-
tare.
Armàteg. Parm. Sito, fetore.
Arm e1 a. Piac. e Mani. Nòcciolo, gra-
nello, àcino. - A rm èl. Pav. Semi di
popone e simili.
Armila. Mani. - A r m i I. Ver. Albi-
cocca.
naie, riguardato dal volgo come la
moglie del diàvolo. In dialetto Ve-
ronese chiamasi Rosaria qualun-
que leggenda favolosa che le don-
nicciuole raccontano ai fanciulli. In
cui Torco, la strega o la moglie del
diàvolo hanno sempre la prima
parte.- /'. Rodsa.
Armnàr. Parm. Boi. e Fer. Contare, Arzclla. 7?om. Terra da pignatte, ar-
numerare. V. Romnà.
Armoccia (air). Fer. Di nascosto,
di sopplatto.-^er.M ucci! Zitto,
zitto!
Arm US è j a. Bom. Rosume, tuorlo.
A r m n s s i. Bom. Spurgarsi il catarro.
gilla.
A r z d ò r a. Beg e Fer Padrona, ni(as-
saja di casa; reggitora ? • ilft/. Re-
mora.
Arzil. Boi. Cassa, armadio. - Lai.
Arca, arcella.
Arnghè. 7?om. -Tarn egà r. /*arm.- Arzolin. Afan<. Vìcolo.
Tarnegà. Mil. Ammorbare. -f. A sa, àsola, asett a. Gen. Occhiello,
Tarnegàr.
Arnòc. Parm. Sciocco, scimunito.
Arpa rei la. Fer. Molla-Vite.
Arquesta. Afrmf. -A rchèst. Boi."
Requesta. Ver. Cassero del polli;
stia.-X. Està.
Arranzinàrs.fo/.-Ranzlgnarse.
Ver. Arrondgliarsi , raggrinzarsi.
fermaglio, femminella.
Asaquàrs. Parm. Atterrarsi, cur-
varsi al suolo. Dtceti delle biade ,
dell'erba e timi li, altefrate dahento.
Ascher. Boi. -Ab erti. Beg. Rincre-
scimento, rammàrico.
Asiàr. Boi. Girare, andar su e giÌK-
À^ià. Bom. de* Contad. Andare.
S50
PARTE SECONDA.
Asiol. Afoni. VMfNi.* A violar. Ve-
spajo e roniare.- Asini. Ifeq. e Fer.
AMino^ tafano.
Asnèr. Beg. Asinelio, Iravc princi-
pale dei telli a un*aqua sola.
Assaina. BoL Bilenco, bistorto.
Asteria. Boi. Allibito, appassito.
Astia. BoL SI i molo , pù ngolo. - T.
Stómbol.
A 1 1 è i s. BoL e Fer, Accanto, appresso.
Attnmbàrs. Boi, Abbujarsi, oscu-
rarsi.
Aventadura. Beff, Ernia.
Avincàr. ^o/.- Avi noè. fìom. Pie-
gare, incar^-are, torcere. - /.. Vin-
ci re.
Avintars. BoL e Fer. Allentarsi, di-
venir ernioso.
Avniandra. Imolese, Stella.
Azaccars. ^ol. - Azaquèrs. Beg.
Sdn^arsi. > K Zaquar.
Babaràr. Fer, Ciaramellare, chiac-
chierare.
B a b i. Piafi, Bravo , buono. • ManL ,
Fer, e BoL Muso. - Airm. e Beg.
Faccia. - Piem, Rospo.
Babllàn. Bom, Anafrodisìaco.
Ba bilia. Piac, Baldanza.
Ba biada. Piac, Scempiàgine.
Bac. Beg, Passo. -Fer. Bastone (in
questo senso //. Bacchio.- L. Bacu-
lus).- Bacchèr. Por piede, far
passi.
Ba£. Boi. Guazzabùglio , confusione. -
Fer. Agnello, -Ba^lòc. Acciarpa-
tore.
Bacajir. Parm., Piac. e Fer, Cin-
guettare, ciarlare.-B a e a j a r. Mani,
e A>l.-Bacajèr. Beg. Strepitare.
Baccalir. Gen. Lucerniere, porta-
lucerna.
Baccerla. /Voc. Scempia, scimunita
( dicesi di donna ).
Baeeiar. #0/. Bastimane, bMPeliiare.-
r. Bac.
Baci oc. Gm, Balordo.
Bada. Piac. Socchiùdere e socchiu-
so. - /Vip. B àg a. - f^. S bad àè.
Badalùc. Beg. e Fer, Chiasso» bac-
cano. - j4rm. Bad. Stordimento.
B a d a n à i. Boi, Ciarpe, intrighi.-/loiii.
Parapiglia.
Badèin. Piac. Bracciante, giorna-
liero.
Badiàl. Beg. Squisito, perfetto.
Badìnèr. Beg. Scherzare.- Fr, Ba-
dili e r.
Baga. Gen, Otre.
Bagài. Gen. Ragazzo.
B a g a j à r. Boi, Lavorare, mane^iare.
Baga rè n. Bom, Fantino.
Bagarón. Bìmh, Piàttola. • f^. Bar-
digón, fuzlón.
Bagarunàr. BoL Balbeilare. - F.
Tartajàr.
Baghìn. Bom. Majale.
Bagiàn. Gen. Balordo.
Bagola. Piac. Cacherello , stereo di
lepre e simili. - ManL e Fer. Zàc-
chera.
B a g u 1 è n. Bom. Schiribilla, gallinella
palustre pìccola.-^. Rallus pa-
sti 1 u s.
Bagùr, bagura. fio/. Ombra. -A ba-
g u r a. Ombr^giato. - Mil. Paura,
pagùra, tign. jpmf Biliorsa, be-
fana, ombra.
Bais. ManL, Fer. e Boi. Lisca, ca*
pecchie ; branchie del pesci.
Balandràn. Gem. Scempione.
Balatròn. Bom. Sclopentone. - £.
Balatro.
B al cà. Piac. e MiL Cessare, scemare.
Balcàr. Fer, Guardare, osser\'are.
Baléing. Piac. Bieco, stravolto.-
Parm. Scemo. -Bai éng. If oal. -
B a I e n g o. Fer, significano Bande-
ruola, sciocco.
Baligàr. Fer. Muòversi; dimenarsi.
DlALErri EMILIANI.
m
Il a I U r ^ r. Heg. Succiolajo , venditor
di sùcciole.
Ballétt. /r«||r. Vaglio, crivello. ^Bai-
tè r. Vagliare*
Ballètt. Piac. •» Bàller. Purm, e
fteg.'BsileìÌB,'Pw, Balos. -Ba-
tti s s. Bid. e Mod, - Ba 1 o s a. Mani,
e Fer. Sùcciola.
Bai oc. Gen, Grumo.
Baiò ss. Farm. Tristo, cattivacelo.
Balt^r. Parin, Vagliare. In qualc/ie
dialetto piemontete chiamasi B à 1 1 i a
r alta-lena.
Balucchèr. Beg, Calpestare.
Balz. Fer. La treccia di paglia colla
quale 1 mietitori legano 1 covoni. -
rartn. Lembo, falda. - Goal. Balt.
Lembo, cìngolo.
Barabén. B(fm, Pupilla.
Ha n a s t r a^ Piac, Cesta.
Banda. Parm. Làmina di ferro sta-
gnato. Latta. Questa 9oce è anche
ftropria dei dialetti vèneti.
Bandèga. tìom. Regalia, dono.
Band or la. Mod, Allegrezza, festino.
Banzól. Barn, Sgabello. -Banzo la.
Boi, Panca, panchetta.
Bar. Boi, Ciocca (Dìcesi dei capelli),'
V. Ber, Bral e Barnèl.
Baracca. Gen, Gozzovigliare.
Bar acuì a. Bom. Piccola specie di
raja.-A. Raja asperrima.
Barba. Gm. Zio.
Barbo] a. Piac. Borbottare.
Barbonàdag. Viac, Anònide. - L, A-
nonis arvensis.
Barcàr. Fer, Piegare, stòrcere.
Barcliessa. Parm,, Bol.eFer, Tet-
to] a.
B a r e i a e 1 à. Piac. Ganciare, cinguet-
tare.
Bardassa. Gen, Ragazzaccio, giovi-
nastro.
Bardavella. iiom. Falda, sostegno
del bambini.
Bardiigà. Piac. Formicolare.
Bàreg. Beg. Agghiaccio; prato ocam^
po In cui viene rinchiuso li greg-
ge. Da qui forse deriva il nome di
Bargamèin o Bergamìn, dato
ai pastori? Questa è forse ancora
la radice primitiva della voce par-
co, di quel recinto cioè destinato ad
imprigionare la selvaggina per la
caccia.
Bargamèin. Gen. Mandriano.
Bàrghem (Dar el). Parm. Imbec-
care, dar rimbeccata.
Bargnif, bargnìc. Piac. Diàvolo.
Bargós, brigós. Piac, Neghittoso^
pigro, impacciato.
Bari e od a. Bom, Galla, gallozza.
Bar le ine. Piac, Chiàvica, cateratta.
Barliròn. Piac, Guercio.
Bario e a. Bom, Gran fame. - Pèdi
Sghessa.
Bàrnàs. Pav, Paletta da fuoco. Qiie-
sta voce è lombarda,
Barnèl d'cavi. Fer, Ciocca di ca-
pelli. Diminutivo di Bar. P.
Bar ni. Piac, Assiderare, agghiac-
ciare.
Bàrnisà. Puv.-Burnìs, Boi, Cini-
gia, cenere calda.
B a ronda. Gen, Confusione, intrigo.
Bar san. Piac. Trifoglio. - L. Trifò-
lium incarnatum.
Bartavèll. Gen, Bertovello, sorta di
rete.
Bartavlar. Parm. e Piac, Ciarlare,
cinguettare.
Bar ti né n. Bom, Clnerògnolo.
Bartinòn. Bom, Bigione. -I. Syl-
via horteusis.
Baruffa. Gen, Contesa, rissa.
Bar uva. Bom, Drizzato]o. Poe. de"
cappellai,
Bascavozz. Piac. - Cave zz. Lom..
Scampolo. ' y. Scavèzz.
Basia. Boi. • Baslètt. Beg, - Ba-
sicità. Pav. - Tafferia.
Bàsola. Parm, e Pk'ac. • Baslètt.
Wì
PARTE SfiCONOA.
Heg. e Mod, Catino , vaso di terra.
Basta. Gen, Sessitura, piega fatta
nelle vesti lunghe, per accorciarle.
Bastorlir. Parm. Abbronzare.
Satana. Bom. Schifetto, pìccolo
schifo.
Ha libò i. Bom, Zafferuglio.
B a t i z i a. Piac. Molestia.
Batla. Bom, Cicalare. Forse dal L.
Blatero?
B a 1 0 1 a. Mani, e Fer, Cicalone. - B a-
tolà. Cicalare.
Battod. Boi, Serbatoio d'acqua.
Bàura. Beg, Giogaja, soggólo. -f^.
Bronza.
Ba vaja. Bom- Pioggerella, nevischio.
Bar le in. Parm, Cenciajuolo.
Baza. Gen, Buona ventura, buon
prezzo.
Bazurlòn. Bom, Baderlo.
Bazz. Pana, e Piac, Vizzo, appassito.
Bàzol. Mani, e Pi'oc. -Bàzel. Beg,
Bilico, legno alle cui estremità ap-
pèndonsi due pesi e si soprapone
alle spalle.- Bàzel. Boi. eBàzul.
Fer. significano Randello.- L, B a j u-
lum(^) (Bajulus facchino, por-
tatore).
Bazòtt. Gen, Di mezza cottura.
Bazurlòn. Bom» Baderlo.
Bdòlla. /?oni. Pioppo. ' £. Populus
nigra.
Bd òst. Boi. Maggese, maggiàtico. Ter-
reno lasciato sodo, nel quale Tanno
precedente fu segato il grano.
Bdùlén. Bom, Alberini; funghi na-
scenti presso i pioppi detti B d è 1 1 a.
Bécca. Piac. Malescia, cattiva (Dicesi
di noce ).
Beg. Airm., Mant e Piac. Lombrico
terrestre.-B e i g a. Beg.- B è i g. Mod,
Nome genèrico del bruchi e delle
larve di molti insetti. - Bèi g. Baco
in generale. - f^. Big.
Bega. /7of»i. Briga, intrigo.
Bégra. Beg. Lója, melma.
Beina. Piac. Mena intrigo.
Bel sa. £o/. -Bèls. Fer, Batlècola,
bagatella.
Bellurde. Bom, Torta, sorta di vi-
vanda.
Bèi za. Beg, Pastoja.
Bemba. Bom. Epa, pancia.
Bendla. Beg, ^ BeaìSL, Parm, Dòn-
nola.-JL. Bellula. -f^ Boria.
Ber. l^arm. e Fer. Ramo, ciocca. Neiia
frasi: Un ber d'mattèrla, uà
be r d' e a V ì. - Un ramo di pazzìa,
una ciocca -di capelli.
Bergagna. Beg, Cestone.
Beriaschèin. Boi. Bravacelo « nll—
lantatore.
Be r I è Id a. Boi. e Beg, Greto del fiu-
mi ; la parte del letto che vien ba-
gnato nelle grandi eecreacenae.
B e r I i e à r. Bel, Civettare,
Berr. Bom, Montone.
Ber SÒL Beg, Tubercollno.
Berte in. Boi. Bigio, color domo.
BescàL Beg. Broncone, palo groaso.
Besiàr. Parm, Pùngere. - Bea lar
V i a. Scomparire. • f". Ba la*
Bgarèr. Beg. Guazzare.
Bghéng. Beg. Scemo, scIooool
BgòL Boi. Miscuglio, confusione. -
Bom, Moltitudine. - (Bgòi d'ani»
maL Pecuglio). - ^. Abgujar.
Bgòi. Boi. Chiasso, frastuooo.
Bgòt. Afanf. -Bgòn. Fer, CrlaàUdt
morta, in Ispecie del filugello. • F»
Beg.
Biallèiua. Piac. DiminuUvo di Te-
game; da Biella. Tegame.
Bicocca. Gen. Catapecchia.
Bicoclà. Piac. Buffetto.
Bicuclàr. Fer, Accarezzare.
Bida. Boi. e Hac. Biètola.-/.. Beta
vulgaris. -Bida inParm.€Be§,
significa Bovina , sterco di bue. •
F. Binda.
Bietta. Boi., Mod. e Beg. Pìccolo
cùneo.
niALEITI eMlUA.>il.
355
Bacalo. Dicui delle fruUa Bisiàc. Gen, Inconsiderato « trascu-
Ì0 larva, rato.
. Bùi, e Piac, Ciondolare^ B i s o. Po», -Biadi. Parm. Arnia delle
re. api, sciame.
Ol. e Piae. Filugello ed aiw Bisolfa, Piac, Nùvolo, subisso.
me. Forse da B e g ? - K.
lac. Agitarsi, dimenarsi. -
Biuda. BoL Bovina, sterco di bue.-
Bom. Chiara d'aovo.
*. Parm. Arrovellarsi, sUz- Bla e Boi, Cencio. - y, Straférl.
Biada. Piac. Inezia, bagatella.
Me. - B u g n ó n. Gen, Cic- B 1 a n g u r i a. Aom.ConUgio,altillalura.
•róncolo.
. Amn., Piac, e Piem, Mer*
Parm. e Fer, Trifole, Irè-
1. Parm, Piccola incudine.-
trnis.
San. - Bixòc Boi, Bacchet-
. Piac.- BelegòU. Atil,
•
na. Parm, Pisdarello, vino
Ito.
irm. Scegliere.
Barn, Nugolone.
»m. Jùgero.-Z. Bubulea.
, bólc. Bifolco.-/.. Bu-
u Bifolco. - Boi, Kudo, spol-
t«g. Disadorno. - f^. B i ó L
t^-Sbiót. Aoc-Sbiòss.
gnudo.
tg. Birraccbio, vitello dal
1 teoondo anno,
/lom. MontonceUo; piccolo
I.
m. Tacchino.
i0.-Birichèin. Parm, Mo-
itUvello, biricchino.
L e Mil, Bischero.
il. Zaffo.
od. Torso del grano turco.
[flc.-Bischèr. Beg.^bi'
Arrovellarsi, ródere
ic. Vespa.- f. Bsià.
Blédeg. Beg, e Mod, SoUéUco, dilé-
tico.-Bledghòr.A«9.-Bledgar.
Parm. Solleticare.
Blicter. Ifan/.e/'Ìpr.-Blictri.^o/.
Dappoco.
Blisghèr. Jkg, e f<rr. • Bllsgar.
Parm, Scivolare, sdrucciolare.
Bloc. Gen, Masso, ceppo.
Boba. Bom., Parm. e BoL Uinastra.*
Bobba. Piac, e Piem. Sterco.
Boc Beg, Spino. -f^ Boxa.
BoÒ. Bom, Trucchio. -Bòccia. (»en.
Pallòttola.
B òcc a 1. BowL Riccio, clndAno. - PY.
Boucle.
Bechi làr. Piac, Andito.
Bochinchèr. Bom, Pesce prete. • L,
Uranoscopus scaber.
Boc in. Pa9, e Piem, Vitollo.
Bòdega. Mani, Crogiuolo.
Bodéinfi. Man/, e P/oc.-Bud enfi.
Fer, Gonfio, cnfiato.-Bodi2. foriti.
Atticciato, polputo.
Bòdiga. Piac. AlUlena.
B od riga. Piac, Oire, 'Fig, Ventre.
Bògn. BoL Tumore, enfiatura. -K.
Bignòn.
Bòi. Piac, Arnia, alveare.
Bòja. Piac, Contesa, lite.
Boj acca. Piac, e Mi/. Pappolata, be-
verone.
B 0 j a d a. Piac, Cruscata, pastocchiata.
Bolladòr. Piae, Frugatoio, bastone
de"* pescatori.
B 0 1 % ò I a. Piac, Stagnata ; vaso desti-
nato a coutoner ogiio.
3»4
PARTE SBCOJIDA.
Bouavìsè. /Virm., hoc, e Fer, Al-
tea. - £. Altbea officinalis. -
Quoti diceue: Buona a far vischio.
B 0 n d ó n. Pav. cMil. Cocchiume delle
botti.
Bora. Mant Vento di greco, tramon-
tana; Borea. - Bora. Fer. e yen.
Pianta scortecciata ad uso di co-
struzione.
Boracela. Gen, Bariletta.
Borea]. Hoc, Turàcciolo. - Beg. Al-
largatolo. - F. B u r e à J.
Bordana. Parm. e fìeg. Borda, Be-
fana.-A///. Borda, bòrdassètt,
bordo.- f^. Bòurda.
Bordlgar. Parm. Frugare.
Bordigliòn. Piac. e Hem, Filo di
ferro grosso.
Bordlèln. Hoc, Ragazzino.
Bordò n. Piac, Crisalide, bacacelo.
Bore in. A'oc. -Borìn. MiL Capéz-
zolo.
Borga. Bom, Bagna, vaso composto
di cordoni di paglia legati con ro-
ghi per tenervi le biade.
Borlanda. Piac, Pappolata, beve-
rone, «f^. Bojacca.
Bo r n isa. Parm,, Beg, e /Voc.-Bo u r-
nisa. Afod.-Burnisa. Aom. -Bur-
nì s. Boi. Cinigia. -f^. Bar ni sa.
Bornisòtt. Piac, Ritrovo, conversa-
zione piacévole.
Bórr. -Woc. -Burri r. -fio/. -Bar-
re r. Beg. Scovare, sfrattare il sel-
vagiume.
Borrìc. Gen, Ciuccio, àsino. -Spagn.
Borrico.
Bosgàt. Mant, Majalc. - Bosgat-
tèl. Diminuì, 'GaeL Boscat. Ab-
bietto gatto ?
Boslèin. Piac. Buccllo, piccolo bue.
Si avverta, come il suffisto lein, che
vale a formare il diminutivo de' no-
mi, 9ia comune ai dialetti emiliani
ed alla lingua tedaca.
Bosòtt. Parm, Quaccino, focaccia.
Boss (a). Bom. A bizzeffe.
Bòtt. Boi. Rospo.
Bòttel. Beg. Nome genèrico di tal
I pesci nati di fresco.
Bottièr. Beg, Vinàocolo, vino cui
tivo.
Bòttola. Parm. Fascio di flcoo li
gato che può bastare per cllio <
un giorno ad un cavallo.
Bòurda. Boi, e A#od. Befiaiia, orea.
f^. Bórdana, arvsàrla.
Bourga. Mod, Gabbione.
Bo z 1 à n. IHac, Ciambella. - Fm. Bai
solào.
Bòzzul. Fer. Bòssolo.- Ker. One
chio, circolo di persone aduMtèi
Boria. Piac. Dònnola. -f^ Béndla
Bosca. Piac, Favo.
Bòzz. Piac, Pruno, spino. Dieeiim
Cora per TOla, ouia quello «Irì
tnento die serve a dirómpere U M
coagulato, y,
Braja. Fer, Poderettl.
Bràina. Boi. Sodaglia» inculto» tli
rile.
Bral. Boi. Ciocca. (Dicefi dei Cipd
li).-f^. Bar e Ber.
Brama, fiac. Muggire, proprie di
bue.
Braso, bresc. ito/.-Brasca. Beg.
Bresca. Mani, e /'^r. •Breiai
Bom, Fiale; favo.
Bravar. Boi. Sgridare, riprèiMktt.
Bravèda. Beg, Riprensioiie.
Brazzadella. Boi. e Fer, Ciambelii
Bréc. Boi. Agnello castrato, brioeo.
Bréga. Piac. -Briga. Pomi. Pigri
zia, svogliatezza. -Brigòs. Hfrà
neghittoso.
Brègula. BoL - Frégola. Fer»
Scheggia, bricciola.
Bréll. Boi. Sorta di vòtrioe per pi
nieri e simili.
Br e n d , b r e n t (Èsser ). Pier. Scntin
male, star chioccio.
B r i e. Piac, Greppo. - Beg, e Fer. Noi
DIALEm EmUAfll.
tone. - Boi. B r e q u e l , dimmutivo
di Greppo.
BricTÌ-v. Beg. Capriccio.
Briccia (a). Piac, A bizeffe.
Briogna. Hom, Zocca selvàtica. - !..
Bryonia dioica.
Brindào. Fer, Sciocco, babbeo.
Bri nd Bài. Piac. Capifuoco, alare. -
Ted. Brand. Tizzone.
Brit, brisèin. Boi. e Piac. Pocoli-
no. - Briaci. Mani, , Beg, , Mod, e
Fer, llica, non, ponto.
Briscula. Bom, Zombare.
Broi. Piac, -Bruà. Fer. Scottare, bi-
lessare.-7*0d. B r u k e n.-f^. B r o Y a r.
Broja. Bom, Giunco pungente. - JL.
iuncus acutus.
mn
B8ac(a). Boi. Sossopra, alla rinfusa.
Bscantìr. Boi, Correnti, travicèlli
che sostengono I tetti.
B SCO e e a. Bom. Battlsoftla.
Bsè. Bom. Aver possanza.-!.. Posse?
Bsèin. fVoc. -Bsèi. Pav. Agnello. -
Bsèi in Boi, -Bsè fn Fer. - Bai
in Parm, significano Pangiglione. -
Bsèi. Bom. Frégola. - y. Baia.
Bsià. Piac, - Bsièr. Bég. Pùngere.
IHceei degli inselli. Quindi h9ÌÌ,
Manl.'Bskl. Boi, «Bai. Parm, -
Bsè. Beg. e Fer. Pangiglione.-Bsìa.
AtP. Ortica.
Bsodi. Fer, Sporco, lercio.
Bsolla. y^om. Uva bianca di gràppoli
radi e àcini grossi e mostoaf.
B re e, brocca. G^.Pollone.-Broc- Bsòtt. /*iac. Tassello, rattoppamento.
càm. Sterpi.
Brocca. Gen, Mezzina, vaso d^aqua.
Bsùgà. Pfatf.-Bi8igàr. f^en, Fni<
gare; prnrire.
Brófel, brùfel. Gen, - Brufolo. Buarèlna. Gen, Cutréttola. -£. Ho
Fer, Bolla, pùstula. -f^. Brùguel.
BróL Gen. Frutteto, pomiere.
Brombla, brómbal. Bom, Frasca,
rimeseiticcio, piccolo rampollo.
tacilla barula.
Bubana. Bom, Magona, abbondanza.
Bnbba. Piac. Bàmbola, fantoccio di
cenci. -i[..Pup pus, puppa. Fan-
Brómbula. Fer. Bottiglia di vetro, telino, fantolina?
Bronza. Piac. Giogaja, soggólo.-^.
Bàara.
Brott. Jìom. Cantino; carta tra la
perfetta e lo scarto.
Brovir. Parm, e iVac. Sboglientare,
bilessare. - F, Broà.
Broli. Gen, Biroccio, carro dapog-
gio.-Brozza. Carretto a due ruote.
Brogla. Piac, Bolla, pùstula.
Brùguel. Boi. Pùstula, bolla. -f^.
Brófel e Brugla.
Brume!. Beg. Codióne, codrióne.
Brus. Piac,' Brug. lom. Scopeto. -
£. Erica communis.-DiQuide-
nVanoBrùsèiaeBrùsdìn. Spàz-
zola e spazzolino.
Brusa. Bom. Proda, orlo, estremità.
' Mii, Brùsa.
Bubla. Beg, e Boi. Bagatella. - f^.
Zcrra, Giiàcchera.
Bublàr. BoL Ingannare, frodare.
Bùé. Parm, Nodo, nocchio.
Bù d a r i è, b u d r i è. Bom, Bandoliera.
Bud lén. ^om. Funghi che nàscono
a' piedi de' pioppi. • K. Bdulén.
Budenfi. Bom, Impolminato.
B u d r i ò n. Mod, Fogna , pozzonero.
Bufferla. Boi, Averla.- JL. La ni us
coUurio.
Bu gag nói. Boi. Pesciaiuola. - L.
Mergus albellus.
Bugàn. Bol.^L, Anas clangula.
Bujaca. ^om. Vernice e simile. -
Mil. Bojaca.
Bullìr. Boi. Buscare.
Bullo. Piac. -Bui. Beg. e Bom. MIN
Brusacùl. Bom, Cuscuta. - L. Cu- lantatore, bravaccio.
senta europaea. JBuldèzz. Bom. Caldura.
M
W6
PAan tEOONDA*
Bnìk.ilom. Cespo di grano, fleoo elButtlghèr. Rtg. Fn19art.-r.Bvr-
$imiU.
Buliròn. Bom. Catarrone.
Bunaga. J9ol.-Bugnèga. i^eflf. Ano-
nide.-f^. Ligabò.
Bunastrèn. fìom. Mediocre.
Bur. Boi. Bujo, oscuro. -Zr. Burus.
Buràix. Bom.^ Beg,, Boi, e Fer, Ca
Dovacelo.
Buraizena. Bom. Traliccio.
Burattèl. BoL e f«n. Cirluoia, pìc-
cola anguilla.
Bure, Parm. Piccolo cavallo, ronzlno.-
f>r. B u r e i 0. Battello.
Burcà]. Boi. Allargatojo; stromento
che serve ad allargare i tmchi nelle
làmine di metcUlo, - Afod. Zìpolo. -
K. Calltvhr.
Burchètta. BoL Zìpolo, turàcciolo
dello botti.- K. Borea].
Burdigàr, i9o{.«Bu9tlghòr. Beg,
Frugare, raiiolare.
Burdigòn. ao{.-Burdòc.Afi7.Piàt-
tola.-X*. Blatta orlentalis.-f".
Fusòn e Luilòn.
digar.
But, butella. Barn, CuuMmt» ole*
rattino.
B u 1 1 1 à r. Boi, Borbottare, lamentar-
si.-Ter. Putì far.
Butriga. Bom, Epa, buazo.
Buvlnèll. <0O/. Imbuto. • K. Svina.
Buzra. Gen. Còllera. • itom. oncAe
Corbellerìa. -Buzrèn. Bom, Kac-
cberino. - Afi7. Bózze r a, /i» onifto
t tigni ficati, e Bozzerin.
Bvida. Mod, Pipita.
Bvina. Mod, Pévera. -B vi nel. Im-
buto. - y. Pìdria e Lodfa.
C
Cabrò ss. Beg, Bovistlco, ligustro.
C a e i a v e r. Parm, Tristanzoòlo, oo-
mlclàtiolo.
Cadnazza. ^. Coni. Bom. Tralcio,
sermento.
Cagnara, Gen. -Cagnara. Bom."
Cag n er i a Mil, Corbelleria, inetta.
Cagnola. yoc, de* eeUaf. Bom.Uw»
hVLTg.Beg. Cestino. -Burgagnola; sa. -lomft. Cagna per mòrdere.
brocca. - f". Bu r g ò 1 1. iC a I b ine 1 1 a. Bom, Calvello.
Burgàt. ^0^ Gergo. Calabriisa, galaverna. Mwni,-
Burghò. Bom, Frugare.
Burghignòn. Fer. Viburno.
Scalabrùsa. /'loe,- G a labrna a.
Beg, Brina.
Burgòtt. £0l.eFer.Cestelloovenl- Calane. A>/. Frana. -Cai àncb. iloti.
dificano le colombe. - f^. Burg.
B u r ì,b u ri dò n./7om.Garrire,rabuffo.
Burida. Bom, Avversità.
B u r i r. Fer, Assalire, adirarsi. - Bu r»
rir. Boi, Scovare. - V, Borr.
Bur laro. Piac, Zàngola, vaso nel
quale si fa il burro.
Buròn. Fer, Cocone.
Busagbè, buscare. /^om.Giunta re.
Busca. Gen, Fuscello, pagliuzza.
Buscaròl. /?om. Stopparola, uccello.
'L, Motacilla Sylvia.
Bus san a. Mani, e Fer, Burrasca.
Bussar. Bnl,^ f^er, e Fer, Stagnare,
tcndole neir^iqua.
yoc. Coni, Burrone. F, Darvèn e
Lubia.
Calenza. i7om.- Calè zen. llol,«Ca-
lézna. Beg,^ Mod. e Airm.-Cali-'
sna. Poi^.-Calùzna. /Yae.-Ca-
rlsna. Mil, Fnliglne.
Calghòr, calgareja. iTom. Coneia^
pelli, concia.
C a 1 i s v à r . Piac, Allargatojo.*^. Bor-
ea!.
Cai mi r. Gen. Tariffa, calmiere.
Calsella. Boi. - Caldaella. Beg,
Scriminatura. Forse daUa 9oee ita'
/Zana Calle, cailicella.
ristagnare le botti e simili, met- Calze dar. Bom, - Cai tèi dar. Boi.
Secchia di rame. -Gr. Calc'vdor?
MALETTI CMILlÀftlI.
S57
Cambràs. Piac. e Pann, - Cam-
brèrs. 7?«g.-€ainbràrs. Fer. Coa-
galarsi, rapprèndersi. Dicesi prò-
priammie del tego , del brodo e si-
miU.
Camedri. lUmt. Erba querciuola. -
L. Chamadrys.
Càmola. Parm,, Piac, e Lomb, Tarlo
in funere. - Ca molar. Tarlare.
Campar et t. Parm, Raganella, rana
terrestre.
Canari. Boi, Capecchio.
Canàr. Piac. Colimbo , tuffetto, uc-
cello aquàtico.- fV*. Canard. Ani-
tra.
Cangi òtt. Bom, Uzzato.
Cangé. Bom, Bàttere alcuno.
Cana. Pmrm, Pugno.
Cantarà. lYac.el^mi^.-Cantaràn.
Boi, e Beg, Cassettone, armadio.
Cantinella. A'oc. Corrcntino o tra-
vicello. I>a Canti r Lomt.T • f^edi
Bscantir.
Cintir. K. Coni, Bom, Aquajo; solco
trasversale che riceve Faqua dagli
altri solchi.- f". Dugàl.
Capa. Pitie, Ammucchiare, far biche.
Caraffa. Gcn. Bottiglia.
Carampana. Fer,eLomb. Donna o
bestia vecchia, inguidalescata.
Caragnar. Parm,j Piac. e Lomb, -
Ragnar, ^aiif . Piagnnccolare.
Carcàss. Parm. e Piac, Catriosso.
Carcòss. 7?0gr.Tor8O. -f^. Margòss.
Carda. Beg, Chiudenda; riparo che
si fa al campi. - Parm. Cancello.
Cario Pav, Rigàgnolo.
Card. Ptao, e Lomb, Pólvere prodotta
dal tarlo -£. Carlos.
Caro f fai. Piac. Coda di volpe.- L.
Motacilla modularis.
Carpla. Piac. e Lomb. Ragnatella.
Carpògn. Piac. e £om6. Pottinicclo.
Caruga. Parm. Bruco. - Ter. Ruga.
Carvaja. Bom, Fessura; l'intermezzo
fra due assi o pietre commesso.
Carzòl. Mód, Pennecchio, luteignolo.
Casp. Boi. e Fer, Cesto- - Caspi r,
caspàr. ffer. Cestire. - F, G lu-
strar.
Cass. Piac. Vizzo, mézzo.
Cassar. Piac, Tettoja. - Cassar d'
terra. Bom. Presa di terreno, una
quantità determinata.
Castagnola. Mod. Saltarello.
Catana. Bom. Carniere del farsetto.
Catar. Gen. Ritrovare, cògliere.
C a t a p è è. Boi. Catapecchia , edlfizie
rovinato.
Callèin. Piac.-Catamléini. /Virm.
Vezzi, moine.
Catlinòn. Piac. Picchio.- £. Picus
major.
Catt. Fer. Cura.
Gattabói. Piac, Tumulto, tafferu-
glio.
Catamli n. Fer, Moine.- K.Catlèin.
Catuba. Boi. Timballo. « Beg» Tarn-
burrone, gran cassa.
Cavàgn. Gen, Canestro.
Cavajòn. Beg, Bica di covoni.
C a valer. Beg., Lomb, e Fen, Filu-
gello.
Cavar zia n. Fer. Cursore.
Cava ss. Bom. Capitozza* F, Ceffa.
Cavastartèin. ìiac. Cardellino.
Cavdagna. Boi, j Beg. e Piac, Ci-
mossa: pertimil, Capezzàgine, via-
le 0 lembo inculto del campi, che
serve di passaggio ai carri. • L.
Caudanea.
Cavdana Bom. • Cavdòn. Bom,j
Boi. e Beg, Alari.
Cavdòn. Bom, Chiusa; àrgine. -
Cavdèl. Cisale, ciglione.
C a v e r i ò 1 . Beg, e Mod. Viticcio, pàm-
pino.
G a V i 1 u t a. Bom, Barbatella; magliuo-
lo che si trapianta, allorché ha
messe le radici.
Cavrera. Bom. Scabbiosa.-/.. Sca<
blesa arvcnsis.
S50
PARTE SECONDA.
A s 1 0 1. Mant, Vespa. • A <« i o 1 à r. Ve-
spajoe ronzare.- Asini. Peq, e Fer.
Assillo^ tafano.
Asnèr. Heff. Asinelio, trave princi-
pale dei tetti a un'aqua sola.
Assainìi. Boi, Bilenco, bistorto.
Asteria. Boi, Allibito, appassito.
Astia. Boi Stimolo, pùngolo. - f^.
Stómbol.
Attèls. BoL e Fer, Accanto, appresso.
Attnmbàrs. Bo!. Abbajarsi, oscu-
rarsi.
Avontadura. Beg, Ernia.
Avincàr. ^o/. -Avincè. Bom, Pie-
gare, fncurvare, torcere. - /.. Vln-
cire.
AvintSrs .90/. e Fer, Allentarsi, di-
venir ernioso.
Avulandra. Imoiesc, Stella.
Azaccars. ^o/. - Azaquèrs. Beg,
Sdraiarsi. • K Zaquar.
Babaràr. Fer, Ciaramellare, chiac-
chierare.
B a b 1. Pi(y\ Bravo , buono. - Man f. ,
Fer, e Boi, Muso. - Parm, e Beg.
Faccia. - Piem, Rospo.
Babllàn. Bom, Anafrodisìaco.
Babilia. Piac, Baldanza.
Ba biada. Piac, Scemplàgine.
Bac. Beg, Passo. -F(rr. Bastone (in
questo senso It, Bacchio.- i^. B ac u-
lus). -Bacchèr. Por piede., far
passi.
Baò. 9o/. Guazzabùglio , confusione.
Fer. Agnello, - B a é 1 ò e. Acciarpa-
tore.
Bacajar. Parm,, Piac, e Fer, Cin-
guettare, ciarlare.-B a ca] a r. Mant,
e ^o/. -Bacajèr. Beg, Strepitare.
Bacca la r. Gen, Lucerniere, porta-
lucerna.
Bac ce ri a. jPtoe. Scempia, scimunita
(dicesi di donna).
B a e e i a r. Boi. Bastonare, ba€chiaro.-
f. Bac.
Raciòc. (u'n. Balordo.
Bada. Piac. Socchiùdere e socc4iiu-
so. - Pav. Bàg a. - f^. S bad à6.
Bada lue. Beg, e Fer, Chiasso^ bac-
cano. - jérm, Bad. Stordimento.
B ad a n à i. Boi, Ciarpe, intrighi.-/tom.
Parapiglia.
Badèin. Piac, Bracciante, giorna-
liero.
Badi al. /^flr. Squisito, perfetto.
Badinèr. Beg, Scherzare.- Fr. Ba-
diner.
Baga. Cen, Otre.
Bagni. Gen, Ragazzo.
B a g a j à r. Boi, Lavorare, maneggiare.
Baga rèo. Bom, Fantino.
Bagarón. Bom, Piàttola. - K. Bur-
digón, fuzlón.
Bagarunàr. Boi, Balbettare. - T.
Tartajnr.
Raghin. Bom. Majale.
Raglan. Gen, Balordo.
Bagola. Piac, Cacherello, sterco di
lepre e simili. - Mant, e Fer. Zàc-
chera.
B a g u 1 è n. Bom. Schiribilla, gallinella
palustre piccola. -£. Rallus pu-
sillus.
Bagùr, bagura. ^o/. Ombra. - A ba-
g u r a. Ombreggiato. - Mil. Paura,
pagùra, »ign, pure Biiiorsa, be-
fana, ombra.
Baìs. Mani,, Fer. e Boi, Lisca, ca*
pecchio ; branchie dei pesci.
Balandràn. Gen. Scempione.
Balatròn. Bom, Scioperatone. • iL.
Balatro.
B alca. Piac. e Mil, Cessare, scemare.
Balcàr. Fer, Guardare, osservare.
Baléing. Piac. Bieco, stravolto. -
Parm. Scemo. - B a 1 é n g. Afoni. -
B a 1 e n g 0. Fer, significano Bande-
ruola, sciocco.
Baligàr. Fer. Muòversi; fUmeparsi.
DIALETTI EMIUANI.
^»l
B « I U r ^ r* ÌI09. Sneciolajo , vetiditor
di sàecloU.
Ballétt. /Teflf. Vaglio, crivello. -Bat-
ter. Vagliare.
Ballètt. Piac. - Bàller. Parm, e
/?tfflr. «Baletta.-rap. Balos. -Ba-
lùss. j9o/. e Afod.- Bai osa. Afon/.
e Fer, Sùcciola.
Balòc. Gen. Grumo.
Bai òsa. Parm, Tristo, cattivacelo.
Baltàr. Parm. Vagliare. In qualche
dialeilo piemontese chiamasi B à 1 1 i a
r alta-lena.
Balucchèr. Beg, Calpestare.
Balz. Fer. La treccia di paglia colla
quale I mietitori legano 1 covoni. -
Parm. Lembo, falda. - Gael. Balt.
Lembo ; cingolo.
Barn ben. Bom, Pupilla.
Banastra^ Piac. Cesta.
Banda. Parm. Làmina di ferro sta-
gnato. Latta. Questa 9oce è anche
^propria dei dialetti vèneti.
Bandèga. tìom. Regalia, dono.
Band or la. Mod, Allegrezza, festino.
BanzóL Bom. Sgabello. -Banzo la.
BoL Panca, panchetta.
Bar. Boi. Ciocca (Dicesi dei capelli).-
V. Ber, Bral e Barnèl.
Baracca. Gen. Gozzovigliare.
Baràcula. Bom. Pìccola specie di
raja.-!.. Raja asperrima.
Barba. Gen. Zio.
Barbo] a. Pine. Borbottare.
Barbonàdag. Piac. Anònide. - L. A-
nonis arvensis.
B a r e àr. Fer. Piegare , stórcere.
Bar eli essa. Parm., Boi. e ^er. Tet-
toja.
Bar e la e là. fVoc. Ganciare, cinguet-
tare.
Bardassa. Gen. Ragazzaccio, giovi-
nastro.
Bàreg. A^.Aggbiaceio; prato 0 cani'
pò in cui viene rinchiuso il greg-
ge. Da qui forse deriva il nome di
Bargamèin 0 Bergamìn, dato
ai pastori? Questa è forse ancora
la radice primitiva della voce par-
co, di quel recinto cioè destinato ad
imprigionare la selvaggina per la
caccia.
Bargamèin. Gen. Mandriano.
Bàrghem (Dar el). Parm. Imbec-
care, dar rimbeccata.
Bargnìf, bargnìc. Piac. Diàvolo.
Bargós, brigós. Piac, Neghittoso,
pigro, impacciato.
Bari e oda. Bom. Galla, gallozza.
Bar lèi ne. Piac. Chiàvica, cateratta.
Barliròn. Piac. Guercio.
Barlòca. Bom. Gran fame. - ^edi
Sghessa.
Bàrnàs. Pav. Paletta da fuoco. Que-
sto voce è lombarda.
Barnèl d'cavì. Fer. Ciocca di ca-
pelli. Diminutivo di Bar. F.
Bar ni. Piac. Assiderare, agghiac-
ciare.
Bar ni sa. A(v. -Burnì s. Boi, Cinì-
gia, cénere calda.
Ba ronda. Gen. Confusione, intrigo.
Bar san. Hoc. Trifoglio. - L. Trifo-
lium incarnatum.
Bar lave 11. Gen. Bertovello, sorta di
rete.
Bartavlàr. l'arm, e Piac, Ciarlare,
cinguettare.
Bartinén. Bom. Cinerògnolo.
Bartinòn. ^om. Bigione. -I. Syl-
via hortensis.
Baruffa. Gen. Contesa, rissa.
Bar uva. Bom, Drizzatojo. f^oc, de'
cappella*.
Bascavozz. iVac. - Cave zz. Lom.
Scampolo. - y. Scavèzz.
del bambini.
Bardiigà. Piac. Formicolare.
Bardavella. Bom. Falda, sostegno. Basi a. Boi. - Baslètt. Beg. - Ba-
sirla. Alt?. - Tafferia.
Bàsola. Parm. e Piac. - Baslòtt
993
PAETI SKOflVIà.
Beg. e Moi. Catiao, vaso di lem.
Basta. Gtm. SeMitan, piega fatta
nelle vesti huighe, per aceordarie.
Bastorlir. Form. Abbromare.
Satana. Bom. Schifetto, pìccolo
schifo.
Ha libò i. Bom. Zafferaglio.
Batizia. Piae. Molestia.
Batlà. Bom. Cicalare. Forte dal L.
Blatero?
Bàtola. Mani, e f^er. Cicalone.-Ba-
tota. Cicalare.
Battod. Boi. Serbatoio d'acqua.
Bàura. Beg. Giogaja, soggólo. -f^.
Bronza.
B a va ja. Bom- Pioggerella, nevischio.
Bar lèi n. Parm. Cenciajuolo.
Baza. Gen. Buona ventura, buon
prezzo.
Bazurlòn. Bom, Baderlo.
Bazz. Pàrm. e Piae, Vizzo, appassito.
Bàzol. Mani, e Pk'oc. -Bàzel. Beg.
Bilico, legno alle cui estremità ap-
pèndonsi due pesi e si soprapone
alle spalle.- Bàzel. Boi. eBàzul.
Fer, significano Randello.- £. B a J u-
luni(?) (Bajulus facchino, por-
tatore ).
Bazòtt. Gen, Di mezza cottura.
Bazurlòn. Bom. Baderlo.
B dò Ila. /?oin. Pioppo. - £. Popuius
nigra.
Bdòst. Bo/. Maggese, maggiàtico. Ter-
reno lasciato sodo, nel quale Fanno
precedente fu segalo il grano.
Bdùlén. Bom. Alberini; funghi na-
scenti presso i pioppi detti B d è 1 1 a.
Becca. Piac. Malescia, cattiva (Dicesi
di noce ).
Beg. Parm., Mani, e Piac. Lombrico
terrestre.-B è i g a. Beg.- B è i g. Afod.
Nome genèrico dei bruchi e delie
larve di molti insetti. - Bèig. Baco
in generale. - f^. Big.
B cga. Boni. Briga, intrigo.
Brgra. Beg. Lòja, melma.
Belsa. A»!.- Béla. Een
Bellurde. Bom. Torta, aorta di vi-
vanda.
Bèi za. Beg. Pastoja.
Beraba. Bom, Epa, pancia.
Bendla. /ìegr. - Ben la. /Wm, Dòn-
nola. •£. Beilula. -K Bòria.
Ber. Parm. e Fer. Ramo, ciocca. rìéUt
frasi: Un ber d'mattèria, uà
ber d** cavi.- Un ramo di pazzìa,
una ciocca di capelli.
Ber gag na. Beg. Cestone.
Berlaschèin. Boi. Bravaeclo, ali»
lantatore.
Berlèida. BoL e Beg. Greto dei Ho-
mi ; la parte del letto che vien ba-
gnato nelle grandi eaereaeenaa.
Berlicàr. BoL Civettare.
Berr. Bom. Montone.
Bersò L Beg. TubercollBO.
Berte in. Boi. Bigio, color cioéreo.
Bescài. Beg. Broncone, palo grosso.
Besiàr. Parm. Pùngere. - Besiar
V i a. Scomparire. •F.EbììL
Bgarèr. Beg. Guazzare.
Bghéng. Beg. Scemo, aciocoou
Bgòi. Boi. Miscuglio, eonluaione. -
Bom. Moltitudine. - (Bgòi d'ani»
mal. Pecuglio). - f . Abgujar.
Bgòi. BoL Chiasso, frastuono.
Bgòt. A/oitf. -Bgòn. Far. Crisàlidt
morta, in Ispecie del filugello. - F*
Beg.
Biallèiua. Piac. Diminutivo di Te-
game; da Biella. Tegame.
Bicocca. Gen. Catapecciiia.
Bicoclà. Piac. Buffetto.
B i e u ci à r. Fer. Accarezzare.
Bida. BoL e Piac. Biètola.-/^ Beta
vulgaris. -Bida inParm.€Be§^
significa Bovina , sterco di bue. -
F. Binda.
Bietta. BoL, Mod. e Beg. Pìccolo
cùneo.
DIALETTI £MlLlA.>il.
^»5
Big. lieg. Bacalo. Dicai delle frutta Bisiàc. Gen. Inconsiderato ^ truscu-
guoi/e da larva, rato.
Biga ràv. ito/, e Piac, Ciondolare^ Biso. Pof.- Bisol. Pan». Arnia delle
indugiare, api, sciame.
Biga ti. BoL e Piac. Filugello ed ai>- Bisolfa, Piac. Nùvolo, subisso.
Binda. BoL Bovina, sterco di bue.-
ftom. Chiara d' uovo.
che Verme. Forse da B e g ? - K.
Bignà. Piac, Agitarsi, dimenarsi.*
Bignir. Parm, Arrovellarsi^ siiz- Bla e. Boi, Cencio- y, Slraféri.
zirsi.
BigQÒn. A'oc.-Bugnón. Gen, Cic-
cione, furóncolo.
B i go lo 1 1. Parm,^ Piac. e Piem, Mer-
dajiiolo.
Big ordì. Parm. e Fer, Trifole, trè-
faoo.
Bigorgna. Parm. Pìccola incudine.-
L, Bicornis.
Bigòtt Gen.-Bixòc i9oi. Bacchet-
tone.
Biligòii. /Voc. - Belegòtt. Atil.
sùcciola.
E i m b I è i n a. Parm, Plsciarello, vino
sdolcinato.
Binar. Parm. Scégliere.
Bindòn. Barn. Mugolone.
Biólca. Gen, Jùgero.-Z. Bubulea.
-Biólc, bólc. Bifolco.-I. Bu-
bulcaa.
Bios. Piac. Bifolco. - BoL Nudo, spol-
pato. - Beg. Disadorno. - ^. B i ó L
Biót Afoni. -Sbiót.A'ac-Sbiòss.
Parm. Ignudo.
Biràé. Beg. Birracchio, vitello dal
primo al secondo anno.
Biradèn. i2om. MontonceUo; piccolo
muechio.
Birèn. Barn. Tacchino.
Birié.Piac-Birichèin.i\irm. Mo-
nello, cattivello, biricchino.
Biro. Piac. e MiL Bischero.
Bi ròn. Boi. Zaffo.
Birùc ifod. Torso del grano turco.
Bisca. Ptac.-Bischèr. i^flr. -Bi-
sca r. Parm. Arrovellarsi, ródere
il freno.
Bisia. Piac. Vespa. -K. Bsià.
Biada. Piac. Inezia, bagatella.
Bl a n g u r i a.y?om.Gontigio,attillatura.
BIédeg. Beg. e Mod. Sollétieo, diié-
tico. -Bledghòr. Beg.» Bledga r.
Parm. Solleticare.
Blicter. Afon/. e /-br.* Bile tri.^o/.
Dappoco.
Blisghèr. Beg. e f<rr. - Blisgàr.
Parm. Scivolare, sdrucciolare.
Bloc. Gen. Masso, ceppo.
Boba. Bmn., Parm. e BoL Minestra. -
Bobba. Piac. e Piem. Sterco.
Boc. Beg, Spino. -K Bòzz.
BoÒ. Bom. Trucchio.-Bòccia.(ven.
Pallòttola.
Bòcc a 1. Bom, Riccio, ciuciano. - PY.
Boucle.
Bechi làr. Piac. Andito.
Bochinchèr. Bom. Pesce prete. - L.
Uranoscopus scaber.
Boc in. Pav. e Piem. Vitello.
Bòdega. Mani. Crogiuolo.
Bodéinfi. Man/, e Piac.-Budenfi.
Fer. Gonfio, enfiato.-BodìÒ. Parm.
Atticciato, polputo.
Bòdiga. Piac. Altolena.
Bod riga. Piac. Otre. - Fig. Ventre.
Bògn. BoL Tumore, enfiatura. - A^.
Bignòn.
Boi. Piac. Arnia, alveare.
B ó j a. Piac. Contesa, lite.
B 0 j acc a. Piac. e MiL Pappolate, be-
verone.
B 0 j a da. Piac. Cruscala, pastocchiata.
Bolladòr. Piac, Frugatoio, bastone
de** pescatori.
B 0 1 z (i I a. Piac. Stagnata ; \ aso desti-
nato a contoner oglio.
'^n rAan sbqoiida.
Faorcattròa. M§é, Capestro, ci
FottTènt. ilom. Falco cuculo - L.
Falco vespertinus.
Fràina. Boi, Maggese. - F. Bdost.
Frata. Rom, Filare d'alberi.- Fra t^
ta. IL «fgnt/lca Siepe, borroncello.
Frégna. i7om. Fracidome, carogna.
(Dieeii d'uomo fastidioio). - MiL
Frigna.
Frisar. Fer, • Sfrìzir. f^en. Rasentare.
Frizz. Parm. e Piac. Vispo, ardito.
Fròld. Afant, Àrgine che sovrasta
alPimmediata corrente del fiume.
'Fròn. Mant, Specie di fungo. - £..
Galana. B9L, JM. e Jfm^. Teslìig-
gine.-lrr. Chelon.
Galavrina, /vrr. - Galavrèlna.
Mod, Ribeba, scacciapensieri.
Calaverna. BoL, Mod., MtmL e
Fer. Brina, f^. Calabrùsa.
Gaibédcr. Afoni., Parm. e Beg. ^
G a I b e. ^///.Rigògolo. - £. O r i o 1 o s
gal bui a. - f^. Arghèib.
Gaietta. Gai. Bòzzolo.
Galsanara. Fer. Nuvolaglia.
Galfipp. Piace Lama. Scimunito.
G and di. Pann. Stampone. Pannoc-
chia del grano turco sgranata. • F.
Mol e Tóto.
Ganz. Bom. Broccato.
Boletus conscriptns. j
Fròsna./?om. Fiòcina. -Aff7. Sfron- Ganzàiga, gazàita. Afanl. Meren-
da, gozzoviglia dopo il lavoro.
Garabàttel. Beg. Bazzicature, cian-
frusaglie.
Garapena. Beg. Cispa.
sa.
Frugn. Boi. Sodo, serio.
Frullòn. Boi. Libèllula -I. Libel-
lula cancellata.
F
ruzza. Fer. Lama di coltello. Quasi fG aratònd'tera. Air. Zolla, ghiova.
dicesse: ferr' aguzza? G a r a v è 1 1. Boi. e Bom, Raccmolo , ra-
Fruzna. Beg. Ceffo, visaccio.
Fudghè. Bom. Grufolare.
Fu Ice Ita. Gen. Inganno, baratte-
rìa.-jlftTFo Ice tt.-K.Fustigna.l staccio.
Fumana. Grn. Calìgine, nebbia den- Gargalla. Beg. Galla, gallozza.
spoIIo.-G a r a V I è. Bom. Racimolare
Gara volta. Fer. Cavità.
Garba. Parm. Cascino. Cerchio dello
sa. Da Fumo?
Fu s a z n a. Bom. Arboscello verde co-
mune ne' boschi. -£. E vonymus Z.. Anas querquedula.
Gargàm. Beg. Scanalatura.
Garganèll. Piac. Specie d'anitra. -
europaeus.
Fusligna. Gen. Inganno, baratteria.
Fuzòn. Bom. '(/mot.) Piàttola, luc-
ciolato. L. Blatta orientalis. -
F. Burdigòn e Luziòn.
G
Gab, gabós. Bom. Lezj, lezioso.
Gaba. Piac. e Lomb. Capitozza.
Gadàn. Piac. e lomb. Meschino, sto-
lido.
Gàjen. Boi. Bugiardone, gran men-
titore.
Gajoffa. Gen. Saccoccia.
Gargantclla. Boi. Chiappolerìa, co-
succia.
Garibòld. Piac. Grimaldello.
Gariòn. Piac. Tonchio; bruco de'
legumi.
Ga r I è. Piac. Aggranchiato, intormen-
tito.
Ga fòt tei. Gen. Giova, zolla.
Garsé. Bom. Brizzolato.
Garzò. Piac. Pennecchio.
Gassa. Piac. e Lomb. Cappio.
Gatòzzol. Bom. - Galtòuzzel.
Mod. - Garìzzoke. />r. - Gal-
tùzz. Fcf*. SollèUco. - r. Blcdef,
ghcttel e glòlt.
IMALBTTI MIUA?II.
965
*• Aqoldotto.
Far, Sparniclata.
f. Grossa fune. • f^. Ga-
^Vcc. -Cavell, fieg. Pa-
I da focolare. F. Barnàs.
Mmti. Prima diraniaiione
o«
L 6 tìeg. - Cavi. Fer, -
Som, Quarti della circon-
«lle mote,
kr. Seeltume (proprio del-
Mani., Piac. e f^er. Cor-
ipago. - Boi, Matassa. - f^.
Mani., Beg, e £om6. Acer-
Falco tlODunculus.
v. Punzone 9 pugno.
UN. Bacchettone, pinz(>c-
e. Puzzole. - 1. Tagetcs.
l.->GeDìo. ^en. Gomìtolo.
^jàc. Mugherino - L. Co n-
majalis.
a. Beg. Ciurmaglia.
ni. Grembo. -Ghcde de
la. Gheroni.
Tom. Principio o fine del
sicché contenga ancora
D filo.
unm. Busse, percosse,
r. Gallòria, gavazzamene
ringoia.
Boi, Viscarda. •L. T u r-
Ivorus.
ol. Increspare.
m* Melensa. {Diceti di
il, Dilético, sollético. - f^
e Mil. " Ghiado. Pav,
logo stimolo che i bifol-
nino coir aratro. - Gia-
mpllce pùngolo. - Mani.
e GojdI. r.
Ghia da. Fer, Paletta di ferro, onde
si pulisce il vòmere nell' arare. -
F', Ramiòla.
Chiana. Fer, VincigliOy vinco.
Ghigna. Gen. Ceffo. - f^. Gr cinta.
Chignon. Emil, e iunnò. Dispetto,
ira.
Ghin. Bom, Smanceroso, lezioso.
G h i nà Id. Piac, e Farm, ilstuto^ scal-
trito.
China, ghinè. Bom. Sdrùcciolo,
sdrucciolare.
Chi rèi. Purm, Gonnella, guarnello.
Chiringagna. Fer, Gozzoviglia, fe-
sta, allegria.
Chissà. Fer, Gara.
Ghizz. Parin, Covàcciolo, letto.
Giamanla, giaverda. //om. Sgual-
drina, donna di mal affare.
Giànden. Mod, Lèndine.
Gianvàn. Boi, - Giavàn. iMmb,
Sciocco, balordo.
Già vasca ra. Fer, Chioma d'alberi.
Giavòn. Bom, e f'er. Pànico selvàtico. -
L, Panicus crus galli.
Ci avrà. Beg, Gragnuola minuta.
Giggiàr. Parin, Quadrare, calzar
bene.
Ci Iarde ina. Piac, Sutro, gallinella
aquàtica. - !.. Uallus porzana.
Girne. Bom, Mugherino. - £. Jasmi-
num sambac.
Giòa. Mani. Granchio. Slrumenlo di
ferro col quale i falegnami assicih
rano le tàvole da piallare,
elogia. Bom, Basóffia.
Ci ór. Bom, Grullo, mogio, malaticcio,
melanconico. - 1 ng i u r ì s. Comin-
ciare ad ammalarsi. ( Dicesi degli
animali.)
Giova. Boi. e Fer, Bastone lungo e
forcuto per cògliere fichi, ce.
Giova. Piac, Pannòcchia {frullo del
grano turco), - K. M ò v I a.
Ciurginèl. Bom. Morettone. - I.
Anas clangula.
)5« '
Giorgiól. /hm, Sambeccio, uccello
pflIuMre. -£. Trlnga minuta.
C i u II t r è r. lìeff. Cestire, far cesto (Pi-
ceti delle piante ).
Cinti. Barn, Squittire.
G I u t u r. Bom, Turàcciolo di sóghero.
Giù vada. Fer. Ingraticolato.
Glótt. Pine, - Galitt. Lomb. Sollé-
tico, dilético. - f^. Ghèttel e Ga-
tÒEXOl.
Gin ir a. Bom, • Gumiér. Fer, Vò-
mere.
G ni i 8 s & 1 1. (yen. Gomitolo. - f^. G é m b.
Gnàcchora. fìoL Bagatella. • K
Zcrra, Gnecsa, Gomra.
Gnacra. Beg, Squarcio, piaga.
Gnaff. Bom, Camuso.
Gnaflèn. Bom, Sorgozzone; colpo
che si dà sotto il monto.
Gnàgn. RoL Minchiono, babbeo.
Gnécch. Bom, Lamento. • Afi*/.
Gnccch. DI mal umore.
G n e e s a. BoL Bagatella. • f . G n à c-
chera, lerra.
Gn^s. A?om. Bufonchino, malcontento
di tulio. - Gnest. Parm, Svogliata.
f>ì<y.ii (fi iMi»w.
Gnic, gtt !<*<*«'*. Fer. Scricchio,
scricchiolare; ««<?'*« Gèmito, geme-
re.-i?o»i. Gnlchè, gnicadùr.
Gnlff^li^A. Pnrm. Lernia, leziosa.
Gnig netta. Fer, Febbretta.
Gnfgn^i** Bom, Babblone.
cnf sena. /7om. Innocenti na, melensa.
Gnogno. P»*ac. Eccellente , squisito.
Gnorgna, gnola. Beg. Cantilena. -
Gnorgna. Boìn, Mattana, sopore.
(tò. Bom. Ventraia.
nobla. Bom, Mallo.
Goghctta. Gen. Gozzoviglia.
Gogn. Piac. Majale. -Gogglo e go-
g n ì n. Majaletto. - Parm, Gogne I n
e Gozcin. Porco, raajale. - J/an/.
G og i n. - Fav, G 0 r a n è i. Majale da
latte. -Gogi di. Majale d^un anno
in circa, r. G u t è n. •
FAftTE SICOflIKA.
Gói. Bom, Ebreo {prtuo t
Cristiano (preMO gU Ebrei).
Gojadèl, gojdl. Arafil.-Gajadèft
Mod. - Gujèl. Fer, Pùngolo. - V,
Ghia.
Golena. Gen. Spano di terra aga-
mergibile tra la ripa del ìobm •
r àrgine.
Gomàrs. Atrm.-Gomia. /Voe. Ae^
corarsi, rattristarsi.
Gomra. Boi. Corbellerìa, bagateik. -
y, Zerra, gnàccheray goecta
Gonz. Gen. Balordo, scloceo. - JM.
Gans. Oca; /ior. Sdocoo. - 7WL
Ganz. Oca.
Gor. Bom, Rossiccio, rossigoo (IK-
ceti del Pino).
Gora. Bom. BuflTetto. - Afil. Gòga.
Goranèl. Pop. Uajale da latte. - r.
Gogn.
Gorbiàn,grùbiàn,gruzÓD. Meni.
Villanacclo, zoticone.
Gorgnàl. Piac. acòria, radicUt.-
L. Cichorium intybua.
Górra. Piac, Vétrice.-£. SalU vi*
minalis. - Gor rèin. Vimine.
Gramìl. Afod. Maciulla, scòtola.
Granf. Gen, Granchio, contraiieoe
de' mùscoli. - Ted. Kram ff.
Grappe ila. Bom. Làppola, barda-
na. - £. Arctium lappa; caaea-
lis latifolia.
Grapiola. i?om. Verònica maschia. •
L. Galium aparine.
Grèln. Piac, - Crin. Piem. Porco. ♦
Grcina. Troja.-Grinèin. Maja-
letto.
Gre in gol. Piac, Granchierella. • X.
Cuscuta curopaea. - Moiif.
Gringa. y,
G rèi n la. Beg,, Par ni. e Piac. Ceffo,
cipiglio. - Gre n la. Bom. Rogna;
flg. Ceffo.
Griglia. Piac, Persiana ; serramento
esterno delle finestre.
Grimà. Pav, Abbronzare eoo ierr»
DIAUETTl
eai4Q. - L, Cremare. • Mil. Gra-
mi.
Grioga. Mani. Granchierella. - y.
Grèingol.
Cri ng al a. EmiL e yen. Giùbilo,
gfoja. - y, Ghelsa.
Grò vi. Piac. Rannicchiato, raggrup-
pato. • Pr, Groupl.
Graie. Rmn, n vociare del tacchino.
Gru II. Boi. Rùvido, scabro.
Graz za. Beg, Bolgia da calderajo.
GDiJàm. BoL e Mod. Guaime, erba
che rinasce nei prati . - BreL G u i m . -
L, Gramen.
Guarnassa^guarnèll.Af ani. Gon-
na, gnamacca.
Goatra. IHae, Zolla, gleba.
Cadàzi. Geli. Padrino - Goda zza.
Iladrina. * Si dice in Mil. anelie
Ghidazz e ghidazza.
Guèindol. /Vac. -Guindel. Reg. -
Guindan. Pw. Arcolajo, guìndo-
lo. - Ted, Windc.
Guèinta. Piae, Agguato, Insìdia. -
Gointa. Stare in agguato.
Guerz. BoL, Afod. e fìeg. Arpione,
càrdine.
Gaett. Bùi. Vile, abbietto, guitto.
Ga f 1 a. Boi. Fiòcine. - Nel dialetlo del-
la Franca^Contea C o u f I e s, signi-
/Ica Sacello e fiòcine. - Gael.Cwfl
Mantello, invòlucro.
Cam i é r.- Ter. G m i r a. i7c»ii. Vòmere.
Gutèn. fìom. voc, coni. Porcellino.
Guvlres. Parm, Accovacciarsi.
Gvicè. Boin. Agguatare.
Iblòl. Boni, Beveratoio, trincarello.
Ilza. Boi., Fer. e yf/aii/. Slitta, tràino.
Inbabbiàrs. Fer, Imbrodolarsi.
Imbèls. Boi, Impaccio, imbroglio.-
Imbelsàr. Impacciare. - Fer. Im-
balsàr. - y, Belza.
laibagul.àr. Fer, Inzaccherare.
DUUANI. SOB
Imbazzuiìr. Fer, Imbalordire.
I m b a e i è. Bom. Incarcerare, abbin-
dohire.
I m b è. Bom. Si.
I m b o g è r. Beg. Imbisacclare.
Imboghì. Piac. Infagottare, ravvol-
gere con molle vesti.
Im bom bar. Mani, e yer. Inzuppa*
re, imbevere.
Imbòran. Bom, Nero. - For$e da
Eburneo?
Imbrès (sumnèr ad). Bom. Semi-
nare a sovescio.
I m b r u m b 1 è. Bom, Infrascare. • F.
Brombla.
Imburdunàr. Fer. Imbacuccare.
1 m b u s g n è r s. Beg. Accoccolarsi, ac*
coscia rsi.
Immaltè. Bom. Infangare.
I m m u r ì s. Bom. Oscurarsi.
Immusarlès. Bom, Imbrodolarsi,
Insudiciarsi.
Immutarìs. Bom. Imbronciare.
Impapiàr. Parm. Impiastricciare.
I m pa t a e h è. Bom, Figgere; dare ad
intendere.
Impiadura, implè, impÌès./rom.
Cagliamento, cagliare, cagliarsi.
Impiàr. Boi. - Impièr. Beg. - Im*
pissàr. Afan/. e yer, - Pissàr.
Mil' Accèndere, appicciare. - Sp,
Limpiàr.
Impirulès. Rom, Cincinnarsi.
Impitarìs. /?om. -Imptàrs. Pann.
Imbizzarrirsi.
Impizzàda. Paì^ìn, Imbeccata.
In ari. Bom. Inasprire, irritare.
Inascarìrs. Beg. Entrare in uzzolo.
I uà s i à r. Mani, e Fer. Allestire, prc-«
parare.
Inbadajà. Piac. Confuso.
Inbicucàrs, incucàrs. Fer. Tar-
tagliare.
I ncam pi r. /^rm. Intristire, disec«
carsi. Dic&ti delle biade e simili,
che ditfccano per nebbia o iiecilL
266 rAKTs sKomà.
I oc and ir. Fer. Arsicciare.- L. lo»
caodescere?
Incalmàr. ManL e f^er. looestare. -
f^. I n s d ì r.
in ci a che. Rom, Appiccicarsi.
Inciziàrs. Fer, Biosciare , esser
bleso.
Incó. Rom. - Incd. Fiac e Lomb.
In cu. Boi. Oggi.
Incurnicè, incurniceda. Rom
Inconocchiare, pennecchio.
Incoznis. Rom, Chiocciare, èsser
malescio.
I nericar. Fer. Grommare.
I n e r ò s. Piac. Profondo , cavo. • />.
Creosé.
Indèvs. Boi. Malaticcio. «> f^. In-
guànguel.
Indsena. Rom, Anici in camicia, piz-
zicata, ànici coperti di zùcchero.
Indsmìs. Rom. Istupidire.
Ine ré. Boi. Adirato.
In fai tr ir. Fer. Intrìdere, imbrat-
tare.
Infézan. Rom. Mostro. Animale ge-
nerato con membra imperfette.
Ingamurdìr. Boi. Ingannare.
Ingal sanar. Fer. Annuvolarsi.
Ingargnmàr. Fer. Intrigare.
Ingatiàr. Gen. Intricare.
Ingazzarìs. Piac. Incapricciarsi.
Ingermàr. Parm. Ammaliare, fa-
tare.- F, Inzermà.
fermicelo. - Gael. Gw«o. l>èlMlc
infermo. - Bret, Gwan. Garogaa.
Inguéra. ManL Truogolo. • F, !■
ghiro la.
In la vis. Rom, Inghiottonire, ìm
ingordo. - Mil, Mangia com^èn
lava.
I n 1 u z z i. Rom. Far lercio.
Inparnigàr. fhr. Screziare.
Inringhi. A'oc. - In ranghì.lMià
Aggranchire.
Inrimulè. Rom. Incruscare. • F,
I
Rèmel.
In r US le. Rom. Imbrodolare, imbnl'
tare.
Insamnir. Fer, Stordire. -L. lata-
nire?
In san tur ir. Fer, Intristire, Imboi-
zacchire.
Insbulzir. Boi, Impinzare.
Insburgnè. Rom. Avvinazzato.
Inscalàs. Piae. e Mil. Arrìschianii
azzardare.
Inscambrutirs. Fer. Turbarsi.
Insclis. Rom. Intirizzire. - K. la*
giaris.
Insdìr. iBo/. - Insùdi. Aoc. - In-
sedi. iLom6.- Insdè. Rom, Ione*
stare.- L, Insitare?
Insdott. Rom, Innesto.
Insfulzgnìr. Boi. Impinzare, rieol-
mare. -K. Insbulzir.
In si mi rada. Fer, Spia, spionaggio.
Inghiróla. Afod. Abbeveratojo, pie- Insmà. Parm, Solamente. F. Almi
colo truogolo. F, Inguéra.
Ingiaris. Rom, Intirizzire, aggrez-
zirsi. - F, Ingiarunàr.
Ingiarunàr. Fer, Indurare.
Ingrillè. Boi, Intirizzito. - F. In-
giaris.
I n g r i t n i. Rom. Mozzare, aggrezzare
le mani, le dita; assiderarsi. - F.
Ingiaris.
Ingrullirs. Fer. Aggranchirsi. - F.
Ingritni, ingrillè, ec.
Jnguànguel^ inguangulà. Boi.-
Ingàngul. Rom, Concafessa, in-
I n s V ci t i s. Rom. Riaversi , Imbric-
conire.
Intambucès. Rom. Intozzare, di-
venir tozzo.
Intatarè. Rom, Ingomberare.
Intavanè. Bom, Brillo; allegro pel
vino bevuto.
Intgnosir. Parm. Intristire, imb«-
zacchire. • K. Incampir,ed Ini-
gugnis.
Intignis. Rom. Istizzirsi.
Inlivàr. Fer. e Fen. Cògliere nei
segno, colpire.
DIALETTI BMILUNI.
5107
fotalty. BoL e Mil, A riguardo. -
Z. Intuita?
loTéll. Rom, In nessun luogo.
iDungiàs. Piac, Accòrgersi^ subo-
dorare.
Invarnì. Bum» Importunare, torre
il capo, addormentare. Tra»,
In vari r. Reg, Invajare, divenir nero.
DieeH ddVupa e d'altre frutta,
Inzalaburdi. Bom, Torre gli orec-
chi, assordare.
iDzanchè. Bom, Inginocchiare. Di-
cefi dagli artigiani quando le cose
piegano e fanno gómito,
Inzarbèi. Bom, Barelle, ànima del
pagliaio.
Intermi. ^om. - Inzarm è. Piac,
Ciurmato, fatato. -fV. Charme?
Inzghì. Bom. Acciecare.
Inzgugnis. Bom, Intristire. Dicesi
delle piante die créscono a stento
per qualche difetto,' K. I n e a m p i r.
Inzolàr. Mani, e f^er. Allacciare,
legare. -f^ Daszulàr.
Inzorlàrs. Parm. Inzaccherarsi.
Inzutis. V?om. Ammezzarsi, stivarsi.
loia. Parm. Cantilena delle nutrici
per addormentare i bimbi. - Pia-
gnucolamento de* bambini.
Irò la. Bom, Tègghia, vaso di rame
a cuòcer torte, ec.
Ladèin. Boi. e /feg. -Ladin. Lomb.
Scorrevole, fàcile, corrivo. - Brel.
Ledua. Largo. -Z. Latus.
Laga, lagàr, Fer, Solco, solcare.
Lagòtt. Bom. Valligiano.
Lama. Parm., Mani., Mod, e Beg.
Mallo.
Lam breccia. Beg. Pianella, matto-
ne sottile.-/?. Lambris.
Lamp. Fer,' Lampo, i^er. Lembo,
falda, nìcesi propriamente delle
^^etli.
Lanca. Mani,, Parm, e Piae, Seno di
fiume.
Landra. Boi, - Slandra, lomb, e Fen,
Donna sudicia. • Tras, Meretrice.
Lanlìr, lantiaiòn. Fer. Languire,
languore.
Lapàr. Parm, Lambire.'
La zzò in. Piae, Treggia, tràino. -f^.
Lena.
L azzera. Bom. Angulllare; lungo e
dritto filare di viti legate insieme
con pali e pèrtiche.
Lebga. Piac, Moccicija. - Leb*
ghèint. Moccioso.
Lébur. Bom, Giusquiamo. -*£. Hi o-
sciamus niger.
Lecca. Bom, Melma, belletta. - Afod.
Le zza. • //. Lezzo. Sucidume. K.
L i d g a.
Léch. Fer, Utilità, frutto, avanzo.
Le fa. Fer. Melenso, melensàginé.
Lega. r. coni, Bom, Solco. K. Laga.
Lem. Fer, Piac,, Parm, e ixmtb. Le-
gumi in gènere. -Lemm lemm.
Adagio, lemme lemme.
Lenz. Bom, Cimossa, vivagno del
panno lano.
Leonzèin. Piac, Mughetto. - /^. C o n-
va Ilaria majalis.
Loppa. Bom, Coda, striscia di panno
che è cucita alla serra de' calzoni
per affibbiarli.
Lergna. Mani., Piac. e Lomb. So-
pore, febbricciàltola. -Lergnòtta^
lergnetta. Vale lo stesso.
Letta, f^. de' Tessit. /i odi. Parete; le
due metà dei fili deirordito, che
si distìnguono in fili della parte in-
feriore e in fili della parte supe-
riore, perchè neir azione del telajo
si alzano e si abbassano a vicenda.
Lev. Mani, e Beg, Polmone.
Le zza. Parm. e Beg, Treggia, tràino
senza ruote. - T, L a z z è i n.
Libia. Parm. Frana. -Libi iìr. Fra-
nare.
dOS
Lidga, Beff. e Parm, Belletta, mel-
ma.- K. Lecca.
Lif. fieg. e Pcurm, Ghiotto, goloso. -
LI fg nari a. Ghiottonerìa. - A#i7.
Luf. Ghiotto. Significa lupo.
Llfròn. Piac. Dolcione, sciocco.
Llgabò. ^o/. Anòiìide. -/^. Arréte-
b 0 e u f. £* rimarcìihole questa con»
ionanza fra le due voci francese e
bolognese, V, Bunaga.
Llgabósch. ManL, Pop. e Piem,
Edera. - Boi, Lonicera caprlfoglia.
Ligòr. Piac, e Fer. - Ligùr. Boi. -
Lùgar. Mani, - Llgadòr. f^er.
Ramarro.- K. Àlguor, Mar.
L i m g h è r. fìeg. Trapelare. Dicesi de*
liquidi.
Lindòr. Beg. Aspo, incannatojo.
Linzàr. Parm., Piac» e Iom&. Mano-
méttere, sboccare. -Linzèr. Beg,
Rompere, dhìdere.
Li sa 8. Gen, Logorarsi, ragnarsi. Di-
cesi dei pannilini e pannilani.
Lisca. Piac. e Lomb. Alga, càrice. -
y, Pavlra.
Lispulè. y. de* fabbr. Bom. Acceca-
re, fare T accecatura.
Livrcr. TJegf. -Llvràr. f^er. Finire.
Lizz. Piac. Elee.
Lo e. Boi., Mani., Parm, e Piac. Lolla,
pula. - Mil. Folle, cervello balzano.
Lòdan. Parm. Ontano.
Lodra. Beg. - Lora. Parm. e f^er.
Pévera. -Lodr è tt. Imbuto. - Fer.
Tortór. - r. Pidria, Svina e
Buvlnèl.
Lòffi. Gen. Floscio, fiacco. - f^. Zèin-
guel.
Logia. Pav. e Mil. Troja, scrofa.
Lòja. Piac. Tentennone, irrisoluto.
Loie a. y^er. Lentezza.
Los. Parm, e Piac. Appannato.
Lopa. Parm. Scoria.
Losla (Fé la). Bom. Dar la baja.
Losna. Boi. e Beg: Lampo, baleno. -
Lusnàr, losnér. Balenare. • M^/.
Lusnada. Baleno. -T. Slosna.
PARTE SECOIfDA.
Lòtag, lòdeg, lòlleg. Piae. e
Lomb. Molleca; granchio di fascio
tènero.
Lott lott. Bom. Lemme lemmei
quatto quatto.
Lovartis. Mani, e Fer. - Varftiti
Piac. - Vertis. Pop» ** Lòvertis.
Mil. Lùppolo. - £. H u m 11 1 u 8 Iv-
pulus. -^0/. Lu vertis, sigftifka
Ligustro.
Lubia. Piac. Frana.- Lubii. Cade-
re, scoscéndere. - £. La ber e?
Luchélna. Boi. BaJa, fandonia.
Lùdàl. Piac. Ululato. - Lùdla. mo-
lare.
Lùgar, lùgher. Mani. Ramarro. -
f^. Ligòr, alguor e mar.
Lumàdeg. Mod. Stantio.
Lùmdòn. Piac. Sorbone, gattone.
Lune la. Parm, Ùgola.
Lussa. Piac.' Luzza. Parm. -8Iu-
scia. Mil. Aquazzone, rovescio di
pioggia.
Lussi, mussi. Piac. Pigolare» pia-
gnucolare.
Lu vertis. Boi. Ligustro.
L u V s è n. Bom, Pasto ; il polmone do-
gli animali piccoli, che si macéUan<^*
Luzlòn. Bom. Piàttola. - F, Burdi-^
gòn e Fuzòn.
in
Macobà. Boi. Ceràmbice. - L. G(
rambyx muscatus.
Ma dira. Boi. Corrente; aorta di
ve ne' ietti.
Madòn. Boi. Zolla, gleba attaccai
alle radici delle piante.
Maga. Boi. Fischione. - £. Anaa p(
nelope.
Maga. Piac. e Parm. Astio, rancore. — *
Magòn. Gcn. Patema d' ànimo. F.^^
.^lagulòss. Fer. Malescio.
.Maga ss. Bom. Moriglione, - L. Aoai^
ferina.
Magassòn. Bom, Fischione torco. *
A. Ana9 rufina.
DIAUTTI
Iif bèii. Beg, Grazio , grùzzolo. -
K. Molséna.
Mzf nàn. Gen. Caldenjo. - Fig. Scal-
trito.
NagÓD. Gen. Ventrìglio. - Fig. Pa-
tcflui d^inimo. - Ted, Uagen? -
iBioagonars. Gen. Accorarsi.
Nagonàr. Far. Ammassare.
Mal. Piae. Prepoeto ai nomi, dinota
perfezione, eccesso. - Una mal
donna, un mal cavai, sigHifi"
cono: una bellissima donna, un ve-
loeìaaiaM cavallo.
Halàn. Piae. Mallo.
Mal ci par. Fer. Malmenare.
Mal è 1 1. yiofii. Sacco, sacchetto, - Fr,
Malie. Taligia.
Malga zz. Bom. Sagginale. - Mil.
Melg4&.
Malis. Bom, Sorta d^uva bianca.
Mal 08 sé r. Piac. Sensale. - Af//. Ma-
rossé.
Marna lecca. Bom. Succiamele, fuo-
eo selràtico. Erba parassita, flagel-
lo dei legami. • L. Orobanche
major.
Mamién. Ffr. Manieroso, affàbile.
Man g aneli. AtanL, Piac. e Lomb.
Randello, grosso bastone.
Man sa. Piae. Pannocchia. Spiga del
grano turco. - f. Nòvla. - Man-
sarèina. Granata.
^anvàr. Ffr. y. cont. Ammanire.
Manvìn. Fer. Mìgnolo (dito). - f^.
Varmlìn.
Var. Bom. Ramarro. • K. Ligór.
Varag na. Beg. - Maro'g na. r«r. Bi-
ca, mucchio. -Maragnol. Mant. -
Ha rag nói. Fer. Mucchio di biche,
pali od altro,in nùmero determinato.
^arangòn. Boi. Carpentiere, fab-
bricatore di carri. -Marangón.
Jieg., Mod.^ Mani, e f^er. - Ma-
ringòn. Piac, Falegname.
Maratona, maroca. f'er. Quantilà
e marame.
EMILIANI. 369
Maràzz, marazza. Par., Piac. e
Beg. Roncone, falcione.
Maregna, marogna. BoL e Piae.
Scòria del ferro.
Ma re zar. Mant. Ruminare.
Margòss. Beg. Torso. Ciò che rima*
ne del. frutto, dopo averne levata
la polpa, y. Carcòss.
M arietta. BoL, Fer., Mod. e Beg.
Saliscendi. - Piac. e Mani. Mar-
ldtta.-K. S&pè.
Mar tinga. Piac. Rabescato.
Marmlìn. Afan/.-Marmlèin. A'ac.
Dito mìgnolo. - /r(. Marmmear.
Maroca. Gen. Marame.
Marò Ila. Parm. e Piac. Midolla.
Marùc. Fer. Vitello.
H a r t ù f . Gen. Baccellone , scioccone.
MartùrclL A'ac. - Mar tlnèll. fer.
Calabrone.
Marzana. Fer. Terreno molle, che
cede sotto il piede.
Masaròn. Piac. Ranno, rannata.
Maséiarpèin. Piae. -Mascherpa.
Lomb. Ricotta.
Ma so e. Boi. Mézzo, vizzo.
Mas citò n. Piac. Paffuto, grasso.
Massa. Pa^. e Piac. Vòmere. -Mas-
setta. Mani. Ferro simile alla man-
naja, col quale si taglia il fieno
sulla tettoja.
Mazzòn. Piac. Romano, marchio del-
la stadera.
Matarèl. Fer. - Batarèll. Éjomb.
Bacchio.
Meda. Piac., Lomb. e Bom. ^Mieda.
Fer. Catasta, mucchio. Dicesi delle
legna, - M de. Bom. accatastare.
Mena. Fer. Allora, in quell'istante.
Mésa, msòtta. Piac. Màdia.
Wésero. Piac. e Sien. Velo o panno-
lino, onde s^ acconciano il capo le
donne.
Micatlàr. Boi. Indugiare, tirare in
lungo.
Milo. AVfC. -Milord, smilordòn.
570
PARTB SfiCOIfOA.
Lomb.^L. Col uber milo. -MIO.
Parm. Biscia, serpe. - Miotèin.
Clriuola, pìccola anguilla.
BI i ò t. Rom, Tèmolo , pesce marino. -
L, Salmo thymallus.
Misàn. fìom. Scioperone.
Mfscèl. Mod, Gomìtolo. • Mil» Re-
missèl. K. Gemb.
Missirà. Rom, Giuntane, fraudare.
M i s t a d è 1 1. Piac, Tabemacoletto ,
cappella. -Majstaditt. Mil. Imà-
gini di santi, figure sacre.
Mlzzè. Bom, Brancicare, mantrug-
giare, stazionare. • RI i z z ò n. Bran-
cicatore.
Mléna. tìeg, » Mlèina. Parm, Lin-
gua. Fungo che nasce ne^ pedali e
ne' tronchi degli àlberi.
Mlicàt. Fer, KconL Sofistico, fasti-
dioso; anche lento, pigro.
Mlòsc. Piac, Gorgoglione. Insetto.
Mlum. Boi, Pioggia adusta in tempo
esttvo.-Afo(i. Golpe, volpe.-KV 1 u m.
Mnaca. Boi. Volpone, finto sémplice.
Mnacia. Bom, Corvo. -1. Corvus
frugilegus.
Mnadura. Fer, Congiuntura delle
membra.
H^nèin. Boi, e Beq, Vezzeggiativo di
gatto.
Moca. Piac, e L()//i6. Smorfia. - Fa la
m oc a. Far le fiche. - M o e a. 7fi Fer,
vale uncìie per Danaro, danaroso.
Mocciglia, mucciglia. Beg, -
Zàino. Baule. -A^^. M uzze glia.
Moff. Bom. Pàllido. Dicai d'uomo,
V, Mufarlèn.
M 0 1. Mani, e Crem. - M i o 1 1 ò n. Piac,
Cornòcchio; torso sgranato del gra-
no turco. - K. Tóto e Gandòi.
Mòliz. Parm, Semplice, modesto.
Molséna. Beg, - Mozina. Lomb. -
Grùzzolo. Sai vadanajo. A^.M a g h è 1 1.
Monàtt. Piac, Becchino.
3! 0 n d ò i t. IHac. Porcino. Fungo man-
gereccio. -£,. Boletus eduli s.
M ó r a b ù t. Bom. Pieebio miiratilre. •>
L, Sitta europaea.
.H 0 r g n ò n. A'ae. Mucebio d'un de-
tcrminato nùmero di covodì. • y.
Maragna. - Mòrgnòo. Reg.^at»
bone, lumacone. * In Parm, ngni'
fica Cércine, paracadute pei bim-
bi; for$e da Morione?
Morseli. Beg. Ròtolo.
Mota. Piac, Fango, poltiglia. -Mola-
re in t. Fangoso.
M ò u r I ò n. Af<id. Pinolo.
Mrell. Bom, Aquerello, vinello» vino
assai inaquato.
M t e z z a. Bom, Divelto, scasso. Terra
profondamente lavorala, in cui le
radici delle piante penetrano aisai
meglio.
Muè. Boi. Cheto, quatto, mògio. -
Beg, e f^er. Zitto!
M u f. Mod, Broncio.
Mufarlèn. Bom. Pallidetlo. - f.
Moff.
Mugnàc. Bom, Toppo; peno di pe-
dale d'albero, o legno grosso ed
informe.
Muladùr. Bum, Luogo ove i concia.-
tori tengono le pelli in concia.
M u m i è r. Beg. - M u m i à r. fW*. ìk^^
secchiare , deutecchiare.
M u n d u r a. Fer. Molenda ; pagameo.^^
che si dà in farina al mugm^o.
Murèl. Fer. Rocchio, pezzo.
Murgàj. Boi, Moccicaja. • Afii. Ma ^^'
gàj.
Muss, mussa. Fer, Asino, àsin^^
miccio, miccia. - Figwr, Vhlai^^
cbezza.
Mussa. Piac,, Lomb, e Pitm.
meggiarc. - />. Mousser.
Mussi, lussi. Piac, Pigolare , pl^
gnucolare. - it/ii. L ùccia. - ^
Lugere?
Mùtarja.y?om. -Mùtria, m ùteri ^^
Gen, Muso, cipiglio.
Mutèn. Bom. Beccaccino reale, fr»
Dl.VLblTI EMILI.4?II.
871
Uno; uccello palaslre,- L Scolo-
pix gallinula.
ìfiif zeglia. Boi, e Hom, Zkìiìo, va
ligia. -K. Bfocclglia.
Mien. itom, Slajo.
W
Nadeccia. Hom, Ellèboro nero. • L.
Helleborus niger. • Lo $tes8o
nome $idà pure a/m elleboro s
vf ridia, hlemalls, edalCheìì-
donium majus.
Katta. Boi, Burla, beffa.
Ifavès. Botn, Fare air altalena.
Nebiàzz. Fer, Ébulo, erba.
Il e e Piae, Sdegnato , Incollerito. -
Affi. Gnèc. Svogliato, triste.
Necléoza. Beg, Fame, miseria.
Uè in. Piae, Nido.
Kevla. /?€|flf. e Arnif. - Névola. Fer.
Ostia, cialda.
N è z z. Boi, - N i z z. Parm, e LonUt. Li-
vido, mezzo.- Mzzir. Avvizzire.
Nibbi. Piae, Sùghero.-/.. Qoercus
saber.
K i e I i z i a. Parm. Dappocàggine. Pare
/II. Ni hit iOitantipato,
Kinèin. Boi. Porco, majale.
Nispiilè. Accecare. K. Lispulè.
NIspulena. Bom, Sninfla , donna af*
Iettata, o aflTettatamente attillala.
Ritta. Piae. Limo, melma deposta
da^ fiumi.
Mód rigar. Prtrm. e /'me. AsI èrgerò,
nettare , ripulire. • Mfl. IN ii d r 1 g à.
K5vla. PtrcKT. Pannocchia; spiga del
grano tnrco. F, G\ò v a.
Kugul. Fer, Piuolo.
O
Or cella. Beg. Sempreviva; inalila
che pf gela sui letti, - £. Semper-
vivum.
f>rta. Piae, Sagaci là, perspicacia.
Orza. Bom. Brocca , mezzina , òrciao>
\o,*Jlift. Orzd. • L. O'reeolus.
09Vì,Porm, - Osdèi. Piae. - Usa-
dèi. Mil. Utensili, masserizie. F,
Usvèl.
Paciana. ilfod. Botta.
Padì. Beg, e /^. Digerito, digosto
(aggiunlo a dbo). • Conietto, ricot-
to {aggiunto a terreno oietaàie).
Pad ir. Digerire, stagionare. Fi Pai-
dìr.
Padól. Bom. Fràddo. • K Padì.
Pad se in. Piace fVirm. Lobo dell V
reccliio.
Padùm. Parm, e Piae, Quieto, tran-
quillo. - Padùm. Feri Soggetto;
sottomesso. - Métter a padòm.
Acquetare, cavare il ruzzo. - MiL
Padimà.
Pag èst. Bom. Scenario.
Pa i d i r. Parm, Smaltire, digerire, in-
cuòcere. - Fen, Pai r. DieesidelVu-
briachezza e simili.
Pajarèzz. Bom, Zìgolo giallo. « /*.
Emberiza citrinella.
Pajin, pajnareja. Bom, Zerbino,
vagheggino. Zerbinerìa.
Painàg. Parm, Villano, rozzo.
Pajòl. Mod, elogila.
Pajolà. Piae, - Pajlèda. ileg. Puèr-
pera , impagliata.- ^/i(. Pajora.
Puèrpera.
Palandrona. Fer. Guarnacca;
Pai astra. Bom. Chiazza, efèlide.
Larga macchia che viene in pelle
per troppo calore.
Palerà. Piae. Specie di càrice. L,
Carix major.
Paliròn. Bom, Acoro falbo ; piatela,
L. Iris pscud-acorus.
Palurì. Bom, Imporrare.
Pampe gna. Boi., Parm, e Moèit.- L.
Scarabeus meloloulha.
n à
S79
Panar. Fer, Incidere.
PanarÒB.JIfanl. e/Vac-Pasaròtl.
Airm. Blatta, iMàttola.- 1. piatta
orienlalis. y. Bnrdigòn.
Pane. ErniL e Lomb. Lenl^giai.
Panerà^ panìra. Bul.eReg. Màdia.
Panna. Gen. Crema; fior di latte.
Pancnc. Fer. Galla.
Panlziòn. Hom, Pentolone; uomo
gratsoeehe difficilmente si moove.
Panò. Heg, e Fer. Riquadratura.
Panllón. Beg. Ansamento. - Pan-
tegàr. f^en. Ansare.
Papi. Bom, Consòlida tuberosa. • L,
Symphytum tuberosum.
Paragàlul. Bom, Lazzcruolo di bo*
sco; ciavardello. - L. Cratoegus
lorminalis.
Pareaniuva. /tom. Cantafera, can-
tilena.
Pardghir. Bom, Aratro. - Perga.
Ago, freccia, stiva dell'aratro.
P ardir. Bom. Braviere; strillozzo;
uaello di pasio, - L. Em beri za
minarla.
Parèin. Parm. Capannuccia.
Parfil. Piae. Tralcio di vite.
Pargàtt. Bom. Gabbiano reale. - L.
Larus marinus.
Paro. Piac. - Paról. fìeg, e fer.
PARTE SECONDA.
Patòc. Emil.^ LoiiUt. e Fcen, FràcMio.
Pa tur ni a. Gen. Malinoonia« noja,
Patzòn. Piac. Ginestra. - L, 8par*
tium junceum.
Pavana, fìom. Bazza, mento alloa»
gato.-ilf/7. Baslèta, geppa.
Pavaréna./?f(7.-Pavarèina./VAC»
P a V a r i n a. Te/*. Centonchio. - L,
Aisine media. - Pavarena.
Bom. iignifica Laluca.
Pavira. Bom. - Pavira, pavèra.
Boi. e Beg. Alga; specie di carice
onde s' intèssono le sèdie. • L. Ca-
rex muricata.
Pazzètt. Bum. Alzavola, beocallco
di palude.- JL Anas crocea.
Poca.. Airm. e Beg. Scaglione» sca*
lino.
Peccar. Mani. - Pècber. Pu», 9
Bcg. - Peccherò. Bicchlero grande.*
Ted. Uecher.
Peccia. Boi. lUaccbia.
Poggia. Boi. Svazzo. • L, Colym«
bus crislatus.
Pèin. Boi. Fanciulla.- Pipe In^ Fan^
clullino. - Mil. P i n i n per fanciul-
lino e piccino.
Pentcgùn. Boni. Allargalojo; $4ro^
mento per allargar i òmhi di pim
grossezze.
Caldajo. - Parlotta. Beg. Calde- Peoden. Afod. Pizzi, favoriti,
mola. -Parlitena. Bom. Calderot- j PercànteL Beg. Cavilli, softsticlierie.
Perori. Piac. Villanie, ingiitrl^ -ò'pr
Perrerla.
Pessacàn. Bom. Taràssaco, dente di
leone. - L. Leontodon taraxa-
cum. 'Boi, Pessatètt.*Fr. Pis»
senlit. Omonomia rimarckéwle .*
tino, pajoolo.
Parsarèn. F. Coni. Bom. Campi-
cello.
Pastanè. Piae. Dissodare, rompere
Il terreno.
Pataja. Piac. e Mani. Camicia. -^eflr.
Lembo^parte inferiore della camicia. Pés. 3/an/. -Pesafèrr. i^iae4 Cervo
Patàn. Bom, Uomo a pigione, cer- volante. -Z. Lucanus cervus.*
vellone. K. Cornabò.
Patarlòn. Piac. Bozzacchiuto, gros- Pessondà. Piac. Sobillare, suscita*
solano. re. - L. Possumdare?
Patèl. Parm. Parapiglia, baccano. Pett. Bom. Vigliatura, semènzolo.
Paterlcnga. Fer. Còccola di rovo Specie di mondiglia 0 nettatura di
canino. - è\»rm. P a 1 1 e n g a. frumento.
DiALfrrri EmuA:ii.
275
Piadanazza. /^om. Farfara , lussila-
gioe. - L. Tassilago farfara.
Piada Della. liom. Favagello. - L,
Ranunculus ficaria.
Piadaana. Barn. Fegatella , erba trl-
Dltas. •£. Anemone hepatlca.
Piadèn, pladena. Bum, Focaccia ,
focaeciuola.
Pladàtt ifoiN. Nome cbe si dà al
pane di farina di formentone.
Piagna, ilrg. Lastra; pietra da co-
prire I tetti.- ÉMmò. Pi od a.
Pia dura, ihm. Capestro per anima-
li, apeciahnente bovini.
Piar. Parm. Accèndere, f. I m p i à r.
Piar da. Gen, Riva bassa dei fiumi ai
pie degli àrgini. - K. Golena.
Pie. Piae» Tènero, molle.
Vìcetì, Beg, Lentiggini; macchie
delta cute. f^. Pane, Spé£.
Pidrla. AiP. - Pirla. Pùic. - Peve-
ra. - Pidrlo, piriò. Loinb. Im-
buto. - f^. Bvina, Lèdra.
Pie. Bom, Focaccia, scb lacciaia.
Pi ella. Parm, e Beg, Abete.
Pi gal. Farm* Pannocchia; spiga della
saggina, del miglio, dei pànico e
simili.
Pighèl. Beg, Lucìgnolo.
Pigne. Barn. Tarchiato.
Pignòn. Bom. Gregna, bica.
Pilula. Bom, Mazzocchio, cignone;
capelli delle donne o de' fanciulli
legati tutti Insieme in un mazzo.
^indaoa. PUtc, Tettoia iu campagna
per ricòvefo del bestiame.
>*inià. Piac, Rannicchiato, raggrup-
pato.
Pinza. Ftr, Focaccia. - 1\ Pie.
Piò. Boi,, Parm. e 3falt^ Coltro, vò-
mere ad un taglio.- /^fi<&. Aratro. -
Pi od. /tog. Aratro. - A, S,^ Sv, ed
/si. Plog. - Ted, Pflug. - Ingl.
Plough (leggi Piò).
Piòc. Bom* V, coni. Pollo, pollastro.
Pioca. Friggibuchi ; certo /iom. ram-
marichio che sògUono fare le per-
sone infermicele.
Pi ola. Fer. Lezia, smorfia.
Piòta. BoL e Mani» Zolla, gleba.
P i r àr. Fer. Difficoltare.
P i r 1 e 1 ò. Fer, Gallozza , bollo.
Pirla. Gen, Girare, rotare. - Pi r u-
Ictta. Bom, Ciurlo.- Pirla. Fbr^
Mucchio.
P i s i n e n a. Bom, Gallinella.
Pisol, pislèin.GiYi.Sonnetto.- Pi-
sola, pislèrs. Sonnecchiare.
Pi ss ir a. Bom, Pettégola. Forse (Ut
Pescivèndola.
Pi Stein. Piac, Forno ove si cuoce il
pane.-Pistinàr. P/ac.-P restine.
Mil,' Pislór. Fer, Foraajo. - t.
Pistor.
Pistòn. Gen. Fiasco, vaso di vetro.
Plta. Piac. Manipolo di lana cardata
da filare.
Pi tane Ila. Bom, Sterpazzolina; ucr
celMlo che abita le siepi. - L, Sy I-
via leucopogon.
Pitàr. /2om. e Fen. Vettlna, acetà-
bolo; vaso di terra.
P i t a r a n. Bom. Pettirosso. - £. Sy I-
vla rubecula.
Pi tèi n. Piac, Bucciuolo; cannello di
corteccia verde per innestare.
P i t m a. Beg. e Mani. - P é t m a. Boi-
Pi t i m a. Fer. Uomo cavilloso, schi-
filtoso, fiemmàtico.
Pizz. Parm. Punta, estremità.
Pizzàcara. ^o/. e /^cf/.-Pizzacra.
Parm, e Mod. - Pzàcara. Bom,
Beccaccia, acceggla. - £. S e o I o p ax
rusticoia. - Pizzacarcn. Bec-
caccino sordo, frullino. -i!«. Scolo-
pax gallinula. - Pizzacaròn.
Beccaccino maggiore. - £. Scoio-
pax. Major. -Pizzacaròt t. Bec-
caccino, y. Sgneppa.
P i z z è r. Beg. e Mod. - P ì z i a r. Parm .
Beccare, piluccare. - P i z z e d a. Im-
beccata.
27»
PARTE SECO.XDA.
Pizzèr. liom, Blgherajo.
P 1 a d ó r. Bcg. - P 1 a d ii r. Fer. Cf calìo,
fracasso.
Plein, /ieg. Gallinaccio, tacchino.
Plèlt. Boi. e 3fanf. Litigio, contesa.-
fV. Plalde.
Plent. fysr. Ardente, pungente.
P I ! n . fer. Ugola.
Plioa. Mant, Rastrello grande e flt-
to. - P 1 i n à r. Rastrellare.
PIÒ. Bom. Broda; il superfluo della
minestra che levasi davanti a co-
loro che r hanno mangiata.
PIòn. Bom, Viluppo (Dicevi di mate-
He filate).
Plot. Fer. Ramo ( Pìcexi pg di pazzia).
PI une. Boi, Bosco céduo.
Poccla. Parm.j l'iac. e f cn, - Puc-
clàr. /Ifr. -Puccià. MiL Intìn-
gere.
Podèin. Piac. Capinero {uccello).
Po Jan. Parm. Affaccendato, giròva-
go.-Pojanar. Andar girone. Tra-
sluto fone da Pojana, uccello di
rapina che s* aggira intorno alla
preda?
Pòlag. Piac. e Airoi.-Pòlcg. Beg.-
Pòles. Afil. Càrdine, perno.
P 0 f é z z a. Beg. Spicchio ( Dicesi dei-
Vaglio).
Polga. Parm. Pollone.
Poligàn, poligana. Gen. Soppiat-
tone, sorbone. f^. Pojàn.
Poi là s ter. Beg. Manella; parte del
covone.
Pois. Bol.-Vhìsa. /7oi)i. Bilico; perno.
Póndga. Boi., Beg.,, Parm.c AfanL-
Pòfìdcg. Mod. Sorcio. - L. Pon-
ti cu m mns.
Ponga. Piac. e Loinb, Esca, formala
dal Bolelus fomctarius.
Porg. Boììì. Confetto (lytcesi terre-
no confetto quello cìie è ben collo
0 dui sole 0 dai ghiacci).
Postrign. Pann. Garbuglio.
Potign. /Vtfc. Tenero, molle.
Po t i ò n. Parm, e liae. Ciar|ioiM, goa-
stamestierl. -Pollar. Acciabbtt-
tare, pottinicciare.
Potlà. Piac. Piagnocofare.
Pradacùl. Bom. Pruno gaikerìno. -^
L. Mespilus pyraeanlha. -
Lorna. GratacS.
Pradaròl. /?of)i.Muttoniere.-Pradfa.
Mattoncello. -Pradulena. PI etr*-
lìna. Da Pietra?
Pré. Bom, Mattone. - KPradnròl.
P r é i 1. Bom. Roteamento.
Prólla. Bom. Mucchio, stipa (Getie-'
raliuenle diceti di fauci di cànapa
a foggia di piràmide).
Prcsòt. Mani, Porca. - f. Prdsa.
Prllc. Bom. Rotare, gfrjre. - Pri-
lón. Girlo; tròttola. - Aforf. Pri-
lòn- Mil, Birlà, blrlo.-Prll-
làr, prillcr. Boi., Beg, e F^. -
P r i I è 1 1. Fer. Blulinello per conó-
scere la direzione del \'«nlo^ usato
dai villici.
Prolg. /?om. Friggibuchi. - F. Pio-
ca. - P r u 1 g h e. Rammaricarsi, la-
mentarsi.
Prosa, proso. Aip., Punii, e IVoc.
Ajuola, porca. - Prosa. Imporeare^
fare i solchi. F. Presòt
P r ò zz. Bom. Zòtico , zoticone.
Psacói. Bom. Molinme. - Psacnjè.
Diguazzare.- Psacnjòn. Imbratta—
mondi e guastamestieri. '
P s è i r. Boi. e Bcg. - P s è. Barn. Potere^*
P t à. Piac. - P t è r. Beg. Appoggiare ^>
applicare. - Fen, Petàr.
Piazze. Bom. L^aqua raecolta per*
far macinare a"* mulini.
Ptòn. Piac. Beniamino; pfedllett
{dicesi di figlio).
Pua. Pai-m. Ubriachezza. - K. Pura
Pudalèn gròss. /^om. Cincia, cin^-
ciallegra maggiore. - A. Paru^
major. - .i/il. Parascldla.
Pudalcn mzan. Bom. Monachina.-
L, Parus cterulens.
OULETTl BMIUANI.
Fuena. i?^!;. - Puveiia. /^om.-Pui-
ni. f^'cr» RicoUa.
PttidU. Boi. Pipila. - MìL Paida.
Puigula. tìol. Cinciallegra.- L. Pa-
rat iD«Jor« y, Pudalèn.
Puligè. Bom, Dormire.
PulsèlL Piac, Scàpolo, pulcello.
Papi a. Fur, Papavero.
Puretta. Jkm, Ornitògalo. Latte di
gallioa.-/.. Ornithogaluni uni*
beltalam.
Purzana. Bom, Gallinella. - £. R al-
ias aquatieus. - Purzanòn.
SchiriMUa. Gallinella palustre. - 1.
Rallos pasillu». - Purzanòn.
Sciabica. -i^ Rallus chloropas.
Parznacia. Bom, Portulaca. - L,
Porlnlaea oLeracea.
37»
R
^1
Rabàc. Botti. - Rabò^ Piac, - Ra-
bótt. LoitUf, Rabacchio, marmoc-
chio, bricconcello.
R a b i è 1. /}om. Mazzuolo da terra. Quel-
lo con che si schiàccian le zolle. -
Rabièl da fòran. Rastrello.
Rabièlla. fiom. Saliscendo. • Ra-
bióL ^oUolino.-l^. Ma riatta.
R a b u r è. Bonu Abbujare. f^. B u r.
Racca. Piac, Vinaccia.- Racchètt
Àcino. Di qui fone deriva la 9oce
Mil, Raccagna per aquatile.
R a e i u m d è. Bom» Compitare.
R a g a g n è, Bom. Piatire, contènderà.
Ragajèra. Beg. Raucèdine.
Ragajòn d*car. Bom. Arganello di
Pa te a le 1 1 a. Bom» Ciuqoefoglio, fra-
goiaria. - L, Potentina rep-
tana.
Potèas. Bom. Sacciuto, saputello. •
Potèssa. Sapulona, cinguettiera.-
Putisse. Salamistrare, far il sac-
cente.
pQva. Beg. Ul>briachezza. 1^. Pua.
Piancùl. Bom, Ballerino. Còccola
rossa che fa II rosajo o rovo canino.
^zètt. Bom. Fogna. -Al Pozzetto?
^zez. Bom. Cispa.
i^zón. Fer. e Bom. Cannicelo.
Qua e. Pav. Airone cenericcio. • Bmn.
significa Covacelo.
Q u a r z ò 1 a. Bom'. Specie d'uva bianca
di gràppolo assai raro e Matricale
della Cbiiia.-X.. C h r y s a n t h e m u m
indicum.
^ariòn. J^oin. Capitozza. Quercia
scapezzata.
Quatta. Piac. e lomb. • Quaccèr.
Beg» Coprire.
Quéi. Bom. Alveare; coviglio.
Qaignè. K. QmL Bom. Bisognare ,
èsser mestieri. - P'en. Cognàr.
carro.
Raganella. Bom. Elee. - L. Quer-
cus ilex.
Ragion. Bom. Tordella.-/.. Turdus
viscivorus.
Ragn. Bom. Anigella.-I. Mg ella
damascena.
Ragn. Beg. Ragghio, raglio. - Ra-
gne r. Ragghiare.
Ragna. Bom. Fuoco ^ per Discordia o
mal ànimo. -Rag né, esser in ra-
gna. Non avere la pace in casa.
Ramazzcda. ftom, Rammanziua ,
rabuffo.
Rambèll (de). Bom, Dar la bertay
apporre qualche difetto ad alcuno.
Ràmed. Beg. Chioccio^ mesto.
Raméng. Beg. Randello, bastone.
R a ra z ò t. Fer. Cruschello, f^. R o m I a.
Rane. Bom, Arcato.
Rand, randa. Bom* Sesto delle vòl-
te e degli archi.
Rangià, raugiòr, rangè. Gen.
Accommodare, rassettare. - Fr,
Ranger.
Rangiòn. Fer. Sterpo. -iK. Raza.
Rangòl. Parm. Ramarro.- f^. Al-
guor, ligÓr e rìgol.
278
PARTE SIUCOSBK,
Rangogiitìi, rangognèr. Loinb. ed
Emil. Brontolare. borboMarc.
Ranzaja. Parm, e Piac, Bazzècola,
rlurasugiio.
Ranzgnàr. Parm. e Piac.- Ranzi-
gkiàr. P'er, Arroncigliare, raggrin-
zare.
Ranzòn. (uM. fiom, Impolmlnate.
Rapi. Piac, e tornò. Grinzo, rugoso.
R a pa r è n./7oiii.Rampicchlno;a{;9^tiii*
io di alcune pian te che arrampicano,
R)ì8. Pfotf.- Rasoi. MiL Magliuolo;
sermento di vite.
Rasa, rasèr. Gen, Rabl>oeeare; em-
pire un Taso fino alla l>occa.
Raganèfll. fVoc. Splceblo (d'tm gràp^
polo).
Ra8((. Nùc. Ratto. {Dicesi di quella
porle del lello d*un fiume, dov^è pc-
ehi$$inia aqua e molla corrente).
Rasp. Piac. Rùvido, scabro, aspro.
Ras pei n. Piac. Colofonia, pece greca.
Rassada. Fer. e Lomb. Sgridata.
Rata. Rom. e ^Vr. Erta.
Rattavola. Pav. - Rattavolòira.
Piem. Pipistrello.- Prov. R a t a pe n-
nada.
Rivàgn. Piac. e Beg. Vernio ( Agg.
di Uno).
Havijàr. Boi, Scassare, vangare il
terreno.
R a volò. Piac. Ciarpame.
Raza. Mant.^ Piac., Parm. e Beg.
Rovo. -£. Rnbus fructicosuso
i d ae u s. - R a Zè r. Spineto, roveto.
Razd6r, rezdór. Piac. e Beg. Capo
di casa, reggitore. - Mil. Reió.
Razèr de f iom. Bom. Greto, renajo.
terreno ghlajoso e pieno di sassi
fuor del letto del Rome.
Razza. Beg, Scrofa, troja.
Razze. Bom. Raschiare.
Réba. Bom, Bullmo. Specie di fame
cosi grande che è malattia.
Rebsa. Boi. Nulla, nessuna cosa.
Règan. Bom. A varacelo.
Reglétt. Beg.' hùgleìi. Pime. dee
chic, adunanza di persone In twig)
pùbiico.
Ré la. Parm. Stia, capponila.
Rclla(mnèr U). Bom, MenàMiVt
gresto, dondotarai.
Rèmel, romei. Boi. e Beg, ^ %è
ni u I. Bom, Sémola, cmca. - Bè
m u I. iM Bom, significa anche Lan
tiggine. - Remzòl^ reail^ftt
Afod. Cruschello. - #^. R 6 ni la
Ramzòl.
Reni. Bom, Scardiocionc^ barìMi 9»
tlle; spedite di eardo. • L* flient/*
mas hispanicna.
Rèpeg. Beg. Incubo, aoffaeanieBlo.
Resta. Piac, Pèttine da leaaitora.^
R e z. Piac, Quello spazio che ala dia-
nanzl alla facciata della ehieaa. -
Rezza. Bom. Spago.
Ribiola. Piac.' Robiòl. Bofh^tìt
bidla. Airm. • Robl6l. Brian,'
Cacio caprino.
Rigol. Parm, Ramarro. -f". Llgér.
àlguor, rangòl.
Rlngussàr. Boi, Intonacare le w»
raglie.
Ri ozi nel la. Bom, 'Gattoecio; aorta
di sega a mano; eollello n aega.
Risia. I*iac. e Lomb. Utignre, allc^
care.
R i V i a. Pioc. - R i v i. Iom6. Scotolai»
ra, lisca.
Riviòlt. Piac. Pisello. - £. Piaan
sativum. -^''.RvviònfRoifdèa
Rizzai. Bom. Aocollellaio. Lavoro di
mattoni messi per coltello.
Rò. Bom, Anda. Poee onéeé* imeiitm
t buoi a lavorare.
Rodsa. /'/oc. •Rosaria.-» I^ar. M0>
velia, fandonia. - f^. Arvsàri&
Rófia. Bom. - Rufla. Fer, - Rafn
^er. Fórfora. K. Sgaramufla.
Rota. Boi. Tegghia.
Rolla, /br. Focolare.
Roméint. Piac. Tritarne, pula di He-
no. - £. Ramenluin. - Ltn, Ba-
mùnza. Rumlént..
Roilifa. Rom, Rómice salvatlca, ace-
tosa maggiore.-£.R umex acuto s.
Rómla. Pimc, -Romei. Reg. - Rè-
mo 1. AiriN. Crusca, sémola. -
Rònitòl. Cruschello, tritello. -
y, Rèmel e Ramzòf.
Roml&tz. Mie. -Remolàxc Zom6.
Ripano. -LRaphan US sativus.
Romnà. Piace JLomfr. -Rumnar.
Barm. Numerare, contare.
Rène. Piae. Terreno dissodato. •
Rocca. Dissodare.- Rónc. Lomb,
tifflùflea Collina coltivata a poggio.
Ronchètt. Piac. Radici e sterpi da
abbruciare.
Ronfi, rohfir. Gen, Russare.
Rosa pel la. Bom» Risipola. Questa
9oee romcignola porge spiegazione
éelViUOiana.
Roscb. Re/m, Soovfgiia, spazzatura.-
A#ff. Ruf.
Ròssol. Hom. Fragolino; pesce di
mare di color rosso di fragola.- L
Sparus erytrynus.
Rotta. Bof., Parm, e Piem, Strada. -
Fr. Route.
Ròvdèa. Afod. Piselli. K Riviòtt.
Rozz, rozz. Gen, Penzolo, fascio di
rami con frutta appese.
Hubèga. Moé. Harame, sceltume.
Rùd, rud. Gen, Letame, pattume.
Rada, rudèr.Letamare.-r.Rosch,
rusc.
Ru ffa. Beg, Malpiglio, cipiglio. - Mil,
Rufàld. Di modi sgarl>ati e un tal
poco prepotenti.
Huf ì, Bom, Leppare. Tògliere di na-
scosto e prestissimo.
itaga. Beg., Ver, e Bom, Bruco («pe-
DIALErri BHIUANI. 977
Rum&r. Per, Grufolare.
Rumdón (seminar d^). /^r. Semi-
nare a sovescio.
Rumghi. Bom, Mucido; agg, della
carne, quando vicina a putrefalli
manda cattivo odore.
Rum ma. Boi, Catargo, Mucidume.-
K. Crécca.
Rundèn. Bom, Cece, baccellino.
Rungión. Boi, Sprocco; peziò di le-
gna da àrdere.
Rusc. Boi., Per. e Beg. Spaithtara,
pattume.- Rusc aja. ilOffl.Tfittodò
che il fiume porta a galla e dopo*
ne sulla riva. Lavarono. - Rli aca-
ro L Boi. e Beff. Paladino, spaiiui''
turajo.
Rùsca. Bmii. e Lomb. Cortéccia d^ld-
bero macinata.
Ruvighè. /tom. Rasloiiare.«RttTÌ-
gòtt Corpiixdo, càrico di basto-
nate.
Rùviòn. Afan/.-Ruviòt. Pàrm. Fi«
sello. •£. Plsum8atlv«m.-ffer«
Ruvià. • ^//. terblón.
Rdvzòl. Bom, Cruschello, staccia-
tura.
Rùzzul. Per. Curro.
Sa. Per. Abbastanza. • I. Sai.
Sacarièda. Bom. Rraverìa, smar-
giasserìa.
Sacussèr. F^r, Concussare.
Sadòc. Boi. Floscio, fiacco.-F. Loffi.
Sagagni. Parm. Malaticcio, tristan-
zuolo.
Sagatè. Bom, Clarpare, acciabatta-
re. -Sagatòn. Acciarpatore.
Sagàtt. Piac. [Stormo, subisso, di-
luvio.
didmenie della verdura), - ^ E- Sagattà, sagattèr. fW*., Piac. e
ruca.
Rugàrs. Per, Spennarsi,
Beg, Trabalzare, dibàttere, dlme-
nare.-Sagatar. I^orm. Brancicare.
Rugnir. Beg,MiT\re. Proprio de* ea' Sàgoma, sagma. Gen, Fbrma, mo^
^//. ' dello. - Gr. Sa g ma.
378
PARTE SKUO.XUA.
Sagrarne, /ioin. ArriìoUio, Jgg, che
»i dà ai mntloni ripuliti e riqua-
drati.
S a g r ì n è r. Beg, e Piein. Vessare, 1 ra-
vagliare. - /*>*. Ch a g r i ne r.
Sajòn. Bom. Sùcido.
Sajugla (Andar in). Fer. Inuszo-
lire.
Saldòn. ìiom, Brania. Pezzo di terra
incolga.
Sai don a snst, lìom, Dicesl della
fènuDiiia del bestiame cbe va alla
.mpiiUi e npn resta pregna.
8|i.loDa (fò). Rom, Scialare, ed on-
cAfpfosipare.
Salvavèina. Boi, Pevera. - y, Lo-
dra, pidria^ bvina.
Sani. Reg^ Sl>occato , manomesso.
Scemo?
Sa atonie, i^oifi. Stècade; tlgnàmi-
oa« Erba tempre verde e comune
ne* monti àridi.- L, G n a p h a li um
stpechas.
S $ p è. Pv^. Saliscendo.-^. M a r 1 è 1 1 a.
Saracca. A'ac. - Saracca. Lomb.
]le8temmia.-£o/. Staffilata. La frase
Sa V azza. Hoc, - Savazzèr. Beg, -
S a V a z a r. Fer, Diguazzarsi, dibàt-
tersi dei liiiuorl entro vasi mano-
messi.-A^. Stom.bazzcr.
S a V ó r. Piac. Prezzémolo, pelrosello.-
A. Apium petroselinum.
Savurezza. Bom, Santoreggia. - !..
Saturcja hortensis.
S a V u s e r. Bcg. Frugare di soppiatto.
Sazz. Parm, Anitrotto.
Sbablòn. Fer. Ciarlone.
Sbac (a). Fer, e Lomb, A crepapelle.
S baca rè. Bom, Sgh ignazzare.- Sba-
ca rè da. Scroscio di risa.
Sbacciucar. Fer. • Sbaciuchè.
Bom, Scampanare.
Sbadàò. Mani, Spiràglio. -S bade.
Bom, Sfiatare. Passar Tarla per fes-
sura 0 simile da banda a iNunda. -
S badar. Matit, e Fer. Socchiude-
re. - F, Bada.
Sbagajèr. Beg, Sbarazzare.
Sbajuchè. Bom, Lavoracchiare.
S b a j a fa r. Boi, Millantare. - Parm.
Sgridare. -Sbaj afe r. Beg. Ciara-
mellare.
lombarda é : Tra di saràc. Be-,Sbalbattàr. Fer. Svolazzare.
stemmiare.
Saràc. /?om. -Scarà e. fio/. Sornac-
chio. -Saracc. Sornacchiarc. - Fr,
Cracher.
Saranèn. ì2o#a.. Tagliolini. Fili di pa-
sta per minestra.
S a r a V a 1 1 à r . Boi, Sgomi narc, scom-
pigliare.
Sarga. Bom. Farsetto, casacca.
S a r n é r. Bom, Ponente maestro. Nome
di vento assai freddo,
Sarsìgna. Parm, Sudiciume, un-
tume.
Sàrzi. Piac.j Pav. e Mil, - Sàrzir.
Parm, - Sarrasì. Piem, Raccoo-
djire, r^ignare.
Sa vana r. BoL, Fer, e AJant, Agita»-
re, dibàttere. -r. Saga tt a, Sa-
vazzà,sbarlottàr.
S b a 1 d è r. Beg. Spalancare, sbarrare.
F, Sbandar, Sbarlàr.
S b a 1 d e r i e. Fer. Cibo dannoso, mal-
sano.
Sbalergàr. fio/. - Sbalincii. IVac. .
Sbiecare, storcere. - #^. Sbavar.
S b a 1 u s à r. Fer, Sparnicclare.
Sbalusè. Bom, Cinguettare, tatta-
mellare. - f^. Sbraghi ràr.
Sbambulàr. Fer, Esser diseguale,
non combaciarsi.
Sbambanà. Picic, Tentennare.
Sbandar, sbarlàr. Mani., Parm,
e Fer, - S b a 1 d è r. Beg. Spalancare.
Sbarbègula. Fer, Ciarliera , petu-
lante.
S b a r g «ì r. Ftr, Squarciare, f-'. S b r a-
ghèr.
Sbarguttàr. Fer. Pillottare.
PI.VLfiTTI EUlMA^'l* 370
Sharia, sbar da là. /Vac. Spaccare^ Sborda. Piac, Dibrucare^ dibuscaro.
sfeodere, «palancare. - Sbarlàf.
Parm, Sqoaceia. -F, Sbragbèr.
Sbarlottàr. Mani, e Fer, Dimenare,
agitare. •'S bar lòti. Uovo stantìo.
Sbarlucè. Bom. Sbirciare , aliuc-
eiare.
Sbarussè. i7om. Scuòtere. Pt'opria'
menu tignilUa lo scuoUmcnio prò-
4qUo dal biroccio, a$9ia carro a
due ruote, senza molle, posto in
molo sopra etrada toisosa. Tal car^
ro chiamu^i nei dialeUi emiliani
Broiz. f^.
S b a r lè 1 1. iVoc. Pinolo; gradino delle
scale % mano. • MiL Ba s è I.
Sbafili, Po», Maciullare; dirómpere
il Unoi la cànapa e simili.
Sbavar. JRrr. Tòrcere.- f^.S baie r-
gàr.
S b a ¥ 1 A i. Piae, Piovigginare.
Sbaiós. /Vac Cisposo.- Sb e za. Ci-
spa.
SberlAt Gen. Manrovescio.
Sberle ff. Heg, Sfregio, taglio.
Sberlocciiiy sberlucciàr. Gen.
Sbirciare.-^. Sbarlucè.
Sbertanàr. Gen. Scapezzare.
SbgàzB^apegàzz. Gen, Sgorbio.
Sbindacà. iVirm. Làcero.
Sbindacòn. Piac. Gretto, balordo.
Sblòt. /Vfic. Mudo. -r. Biòt.
Sbisi. Bom. - Sbris. tornò. Scusso,
arso, ridotto al verde.
S b 1 a e b è. Bom. Cenciajuolo. - S b I a-
còn» Cencioso.
Sblisciàr, sblissiàr. Mani, e
Sborghcr. Beg, Slurare^ schiùdere.
S b 0 r g n a. Boi. e Bom, Ebbrezza, ìm«
briacatura.
Sborzaclòn. Beg. Sciamannato, su-
dicio.
Sbragbèr. Beg, -Sbregàr. F'^, -
S b r a g h è. Bom, Stracciare, squar-
ciare. - Sbrég. Squarcio. - Ted,
Brechen.
Sbraghiràr. Boi, - Sbraghirè.
Bom. - Sbragassàr. Fer, Cicala-
re , treccolare. Dire e ascoltare gli
altrui segreti.-S b rag as s ò n. Smarr
glasso, spaccone.
Sbrajà, sbrajèr. Gen, Gridare. -
Sbrair. Fer. Mtrire, ringhiare.
Sbranculè. Bom. Divincolare, tòrr
cere in qua e in là a guisa di vinco.
Sbràr* Fer, Spelazzarc.
Sbric. Fer, Spavaldo, petulante.
Sbris. Emil, e Lomb, Scusso, bruir
lo. ' f^. Sbisì.
Sbròfol, sbròzzoi. Pjoc. Bitòrzoli,
bernòccoli.
Sbrómbai. Bom, Aquazzone.
Sbrucbè. Bt)m, Arramatare, broc-
care; percuòtere con ramata o
brocca.
S b r u m b 1 è. 72of»i. Sparopinare, sfron-
dar le viti.
Sbrumblòn. Bom, Lombàgine.
Sbsòstra. Bom, Stamberga. Casa o
stanza ridotta in pèssimo stato.
Sbujòuz. Mod, Afa.
Sbulfrir. Beg, Starnutire.
Sburdaclè. Bom. Imbrodolare.
/Voc.- Sblisgàr. Fer.-Sbrisciè. Sbùriar. Parm. e Piac. -Sburlu-
itom. -Sbrissiàr. Fer. Scivolare, nàr. Fer. Urtare, spìngere,
sdrucciolare. K. Sfuz}è. Sbuzza. Boi, Aspetto, lucbera.
S bòc la. itoiii.-»S b à u e i a. Piem. Com- Se a ce d a. Bom, Smarglasserla , gua-
blbbia. Bevuta fatta all'osteria o sconeria. -S caci n. Uomo di com-
altrove con più persone.
Sbólla. Bom, Radura.- F. agr. Pìc-
colo spailo vuoto d'alberi, d'erba,
di biade ^ ec.
parsa chesipaooeggia.-Scaciòn.
Smargiasso; millantatore.
Scadòur. Boi, - Scader. Fer. e
Bom. Prurito, pizzicore.
980 PABTB Sf£OXDA.
Scaflàrs. Boi, Dimenarsi, contòr-IScaravujàr; /^r. Corrodere.
cersi, aver prurito.
Scagn. BoL Vuoto, rilascialo.
Scài. Bom. Danajo; moneta del minor
valore.
Scalabruza. Piac, Brina. - K. Ca-
labrfisa.
Seatàmpia. Beg, Assito. Tramezzo
d^assl commesse.
Scalastra. Boi. Sgangherato.
Scaltrizàr. ^o/. Mantruggiare.
Sealv, scalf. Gen. Cavo, incavato.-
Scatvar. Scapezzare.
Scamón. Piac. Bravaccio, tagliacan-
toni.
Seamùf. Beg, Grimo.
Scandaja. Bom, Sgualdrina,
àéanfognèr. Beg, Beffare,
dcfahs. Beg, Smilzo.
Scantalufàr. BoL Rabbuffare.
Scanio ssàr. fhr. Bàttere,
^c à n z u 1 a. f^, cont, Bom. Aratro. -
y, Pardghir.
Sca pigile da. Bom, Nigella, comi-
nella.-1. Nigella satlva.
Scapi ól. Bom, Frantumi.
d<iaracài. - Metts in scaracài.
Bom, èssere in sulla bella foggia ,
lindo, attillato.
Scarafunè. Botn, Impiaslrlcclare ,
scombiccherare. Pitturar mala-
mente.
Scaraja. Bom, Stipa. Sterpi tagliati
e legname minuto da far fuoco.
Scaramài. 7?om. -Scar mài. /Virm.
Parafuoco. Forse dalla poee Hai,
Schermo.- Ted. Schirm. - f .
Scrimàl.
Scaramplana. Bcg.Vn^ via rotta.-
Carampana. Fcn, Grima.
Sèaramuzziè. Bom, Il trabalzare
che si fa in carrozza passando per
una via rotta. F, Sbaruzzè.
Scaranèll. Bom, Testìcolo di cane.
Pianta comune ne' prati, - i^. 0 r*
chis morio.
Scaréz. Boi, - Scarezza. Ftr, e
Mani. Ribrezzo, brivido, -tngt. To
scare.
Scarfulla. Parm. Pelllcota, favèlu.
ero della cipolla, detragifo e sinfli.
Scarlòss. Fer, Inciampo, scrolio.
Scarlussàr. Fer, Goncnsaare. - V,
Scaramuzzlè, sbaruitz.è.
S cartata] àr. Fer, Titubare. Ittfan-
nare, tradire.
Scarmana. Piac, Lampo, btletio.
S e a r m I i. Piae, RabbrFridfre, nieea-
pricciare.
Scardgn. Piae, Clabattifiacdo.
Scarpa. Pine, e Lomb. - Bgarbàr.
Fer, Strappare, sradicai. •
Scarsù. Bom, Sfioratore. Diversivo
a fior d'aqua.- F. Idràuliélt.
Scartlar. Parm, Scassare, rònpere.
Scarvajès. ilom. Screpolaral. Iliees/
di muro, pietra e «tm/At, Ma'' quaU
ti scoprano sottilissime crepùfure.
Scarzgnfir. Parm, CItioeciare, di-
grignare.
Scasse. Bom, Posticcio. Terra divel-
ta, dove sieno piantate molte piante
gióvani.
ScatafróU. Bom. Ohiriblxio.
Se a ti a. Piae. Arruffare, scannlgliare.
Scaverete. Beg, Tràmpoli.
Scavèzz. y?om.-Cavèzz. 6eii.8càn —
polo, avanzo.
Scazzignè. Bom, Rovistlare, fru^ —
gacchiare.
S e a z z ò 1 a. Bom, y, de*Mwr, Puntello —
Scazzujèr. y?fi7.-8cazzujàr. />r— -
Acciarpare.
S e h è e a r . Bom. Moine, carezze allet-
tale, smorfie.
Schermir' Parm, Allappare^ alle-
gare ( Dicesi dei denti, dopo opet
masticate frutta immaiur^), «•
Spàder.
SchermlézE. Boi. e Mod, Brivido,
raccapriccio. F, Sgriiol.
X
OlAkCTTI
S e f u n à r. Boi. Motteggiare , beffare.
Scbervèinf. Boi, Aquazzone.
Se h fòli, sfòn. Fer, Calza. - y7om.
Calzerotto.
ScbicarS. Bom, Sbevazzare.
Schitàr. Mani, Spàrgere. - Ingl,
Se after. Spàrgere, versare. -
Jrm, Skign. Dispersione, sparpa-
gliamento.
Sèbltna. Mani, Scintilla. Zàeeliera.-
8 e b i t n à r. Iniaccberare. Parm, -
Sélatrir. - f^. Sciattar.
Scbnàja. Bom, Schizzo, zàcchera. -
Se h n a ] è. Schizzare il fango adosso
ad alcuno.- K Schitna.
Sèiadàr. Bom, Matterello, spiana-
toio. Legno lungo e rotondo su cui
s^aTTolge la pasta per {spianarla e
aMotllgliarla.
8 ò i a f 1 è, 8 é i a f è. Barn, Scaraventare,
spiattellare.
Sèi irne. Ptae, Làcero, misero.- /^eg.
e Lamb, Stracciatura, squarcio. -
Sélancà, sóiancar. Stracciare,
squarciare. - f^. Sbraghèr.
S £ i a p i n è. Bom. Acciabattare. - Mil,
SCeplnà.
Sftiapona. Pfoc. Sciògliere, sfibbiare.
Sélàssag. Piac, Serrato, stretto, sti-
vato.-A/t7. Sòiàssar.
S£iàttar. Pine, Scintille, - Sòia t-
tèin. Spruzzo, zàcchera. - Sóia-
tinà. Spruzzare. - f^. Schitna.
Séiavaròl. Beg. Piuòlo.
Sèiòeal Botn, jigg, Schiantcreccio.
Jgg- di legno fràgile,
S è i ò e 1 a. Fer, Gonfiezza.
S £i 0 n s è. Ptae, Soffocare.
Sèi òr bai. Bom, Bircio, losco.
Séiuclir- Fer, Scrosciare.
Sdlnnclèn. Bom, Ceppatello, scheg-
giuola.
Sé iu ss ir. Boi, Dlscèrnere. - Ingl,
Chose (leggi eluse). Scégliere.
Séiuviè. Bom, Slocare.
Scòli, in scòli. Bom. Grembo, in
grembo. - F, Scòss.
eviLiA^i. 981
Sconi. Piae, Appassire, intristire.
Sconìr, scu n ir. yiej;. Scolare (Fer-
6a).
S con sa. Beg, Grembo. - Scossò da.
Grembialata.- f^. Scòli e scoss.
Sconzùbia. Mani, e Beg, Moltitùdi-
ne, gran copia.
Scopa zza. Beg. Fionda, fromba. •
Scopazzòr. Frombolare.
Scorbata. A'oc. Tartassare, percuò-
tere.
Scordi. Bom, Erba querciuola, co-
mune ne' monti Stèrili. • !.. Teu-
crium chamaedrys.
Scornuzla. Piae, Lùcciola.
Scoss. Gen, Grembo. - K. Scensa e
Scòli.
Scotmal. Mani, e Parm, Soprano-
me. - Berg, Scott uni.
Scotta. Gen, Sleroi
Scozz. Beg. Coccio, greppo.- Fig,
Conca fessa.- Scozz è r. Rompere,
spezzare.
Scravà. Gen, Scapezzare. F. Sealv,
scalvar.
Seriche. Bom, Spremere.
Scrinar. Fer. Aver la diarrea.
Se rimai. Boi, - Seri mài. Piae, -
Scrimàj. /7«fif.-Scaramài. i7om.
Parafuoco, f^. Scaramai.
Scrofàls. Piae. • Cufolarse. Fer,
Accosciarsi, accoccolarsi.
Scrozla. P/oc.-S eros sol. lomb.
Gruccia.
S e r u e le n. Bom, Tenerume. Sostanza
bianca e pieghevole, la quale è
spesso unita airesiremità delle ossa.
Se r ufi a. Beg, Fórfora. -K. Ròfia.
Scura tè. Bom, Arsicciare, abbron-
zare.
Scurnèccia. Afod. Baoello, siliqua.
Scurniccia. Bom, Sbacellare, sgra-
nare.
Sd russi. Parm, Aspro, rùvido.-
Lomb. Darùi. Di qui fùr$e Vllal.
Sdrvscito.
S9^ PARTE SECONDA.
S4ainaciàr. Fer. Dirozzare, scoz-jSg a gn a, sgagoàr. Piac, • il»0.
zollare.
Sé ber. Pav. e Mil, Afaslello.
Séppa r. Bom. CèspHa. Pianta conm-
ne lungo i fiumi, - I. Erigeron
■ VÌ9C08UID.
Seriola. AfanL e Br, Gora, canale
di derivazione. - £,. Seriola. Stt'
riolae mettient velerem deradei'e li-
mum. Peasio» Sql IV, vers, S9.
Sevézia. Bom, Crudeltà. - ìL., Sae-
viUes.
Sfar (ài, s fra robe j. Bom. Persona
magra e sparuta. Segrenna. - Fém-
mina di mal affare.
SfióbaL Bom. Piuoli che coogiùn-
gono Ta^o col ceppo dell'aratro.
Sfiòpla. Bol,^ Mod. e Beg, Cocci uò
la, pìccola enfiatura.
Sflàr. Fer. Fiaccare, sfracellare.
Qflezna. Bom, Favilla, scintilla. -
Sflizné. Sfavillare.
Sframbài. Mod, Stipa, sterpaglia.
Sfrassena. Bom, Fiotto. Figur, Im-
peto, furia.
S fra zza. Bom, Lancia. Spranga di
ferro > con che si rimena la terra
da far mattoni. - Sf razze. Rime-
oare o mestare con la lancia.
Sfrindàri. Piac, Spauracchio.
Sfrogn. Bom. Mattone ferrigno ;fa(e
I Scuffiare, pacchiare.
Sgai. Piac. - Sgari. MiL Strìdere,
gridare.
Sgalbèrt. Piac. Rigogolo.- f. Gal-
béder, argbéib.
Sgalèmbcr. Gen. Sghembo.
Sgallér. Beg, Cavar di mano altrui
checchessia.
Sgalmedra. iie(;« • Sgaliaiedra.
Fen Garbo, grazia*
Sganga (dia). Bom, Dappoco. #^oee
di disprezzo, €ome: Signor dia
sganga. Signor da burla.
Sgangàgn. Bom* Viluppp, cerfuglio.
Sgangàr, Boi, <• Sgangbè. Jhm,
Stentare, stirare.
Sganghignà. Piac. Scricchiolare.
Sganghìr (dalla voJa)./lw*. Lan-
guir di voglia,
Sgaràmp. Piac, Tràmpqlp,
Sgaramufta.ao/.Fòrlortt. K^Eofia.
Sgaràr. Boi. Sbagliare, errare. -
Sgaràda. Parm. Millanterìa.
S g a r a V 1 à r. Boi. e Fer, RaspoUare.
Sgarblà. Oen, Graffiare.
Sgargnàpolàr. Parm, Ridere a
scroscio.
Sgariòl. ^o<.-Z. Totanus ochro-
pus.
Sgarlatón. Fer. Calcagnq.
eccessivamente cotto. -Sfrugnà. Sg art àr il vid. Fer, Recidere la
Sferruzzato.
Sfrova. Airm. Frutto annuo rica-
• -. vaio da una. vacca, unendo il latte
, Al vltellp. ^
Bfulgnaoàr. i9o/. Rarbuglìare.
3fiiqdròn« Bom, Strambotto, ril>ò-
bolo.
S f u z le. Bom. Sdrucciolare. -/^. S b I i-
. sciar, 9gujà.
ftgadè. Bom, Sgheronare, tagliare a
5ghiml>escÌo. - K. Gheda.
Sgagià, sgagié. Emil, ePiem, Lu-
tto , accorto. - Bom. S g a g é signif,
anche Lindo,attillato.-/TJ[)égagé.
vite al piede.
Sgarudàr. Fer, Sgusciare (dic^i
pròprio della noce). Sgberigliare.
Sgarzetta. Bom. Pavoncella di pa-
dule. - L, Ardea.nyoticprax.
Sgàss. Partn, Baccelli cotti.
Sgatià, sgatièr. 6c^ Districare,
disciòglierp. ,
Sgavagnàr. Boi. Scuòtere , dibìtt-
tere qualcuno. • Parm. Svivagnare,
allargare di troppo.
Sgavagnc. Bom» Sgruppare. Rav-
viare cose disordinate, comeina-
tasse, eo.
DIALETTI BMILIA.M.
285
Sgavalè. Bum, Andare a sciaqua-
barili. Andare a gambe larghe.
Sgavètf a. Mod, Slalassa. ^, Gav,
gavetta.
Sgaviòtt. lìeg. Bilenco.
Sgaviulè. Jiom. Sgambettare. Guiz-
zare; lo scuòtersi dei pesci per aiu
tarsi al nuoto.
Sgazaris. Parm. Sbizzarrirsi.
Sgdòzs. Boi, Coccio, vaso di terra
rotto. - Fig. Conca fessa.
Sgberza. ^o/.-Sgorbia. £om6. Ai-
rone. - L, Ardea cinerea.
Sghessa. Boi. - Sglilsa. Bom. -
Sgussa. Bcg. . Sghissa. Fer. -
Sg ajósa. Lomb. Gran fame.-P'.B a r-
lòca^ Sgrisa.
8g i à n z u I. Bom, Friàbile , frangibi
le. - Lomb, Sgiandós.
9g i à V e d. Beg, Fràgile.^. S g i à n z u 1.
Sgiavòn. Airtn. - Giàón. Ter. Pà-
nico salvàiico.
8giorla. Piac, Dappoco, moccione.
Sgiòrz. 77om. Fischione, morigiana,
capo rosso. -£. Anas penelope.
Sgius. Piac, Colatura o deposizione
del concime. - l\irm. Sugo. - L.
Jus?- r, Ziss.
Sgiutè. Ilom, Sturare.
Sg i V ì. Piac. Scollare.
Sgizulena. Bom. Scbeggiuzza.
^gnacàr. /'wn/i.-Sgnicà. \JH. Am-
maccare, schiacciare.
S^nacoln. l'iac, e /'orm. - Sgnoc-
co là r. yer, -Sgniculc, sgnu-
culè. Bom. Scuffiare, pacchiare.
Sgnadùr. Fer, Matcrclio, spinatoio.
Sgnàss. Piac. Canile.
Sgneppa. Gen. Beccaccino. - Tcd.
Sc1inepfe.-/ft(7. Snipe. y. Piz
zàcara.
SgnoTla. Boi. - Sgneff. fVr. Ceffa-
ta, schiaffo.
Sgnuflìr. Fer. Piagnucolare. - F.
Fifàr.
Sgobla. Bqìil Stròbilo. Pericarpio le-
gnoso della pina scussa de^pinoccbl.
Sgorzella. Piac, Uva spina.-!,. Ri-
bes uva-crispa.
Sgourbi adura. Mod. Scaifltura,
scorticatura.
Sgravis. Piac, Torso; mallo sgra--
nato del sorgo turco.
Sgrégn. Bom, Ghigno.
Sgrèngola. ^om. Zurro, uzzolo, al-
legria, y, Gringoia, gheisa.
Sgrinzlà. Piac. Digrignare, dirug-^
ginare.
Sgrisa. Bom. Gran fame. 'Fedi
Sghessa, barlòca.
Sgrllni. Bom. Sgranchiare; far pèr-
dere rintorpimento delle mani,
dei piedi, ec.
Sgrizol. Mani, - Sgrisul. Fer. -
Sgrisol. MiL' Sgrisòur. ^of. e
Beg. - Sgrisór. Parm, Brivido. -
Ing. Grisly. F, Schermiczz.
Sgrófia. Parm, e Piac. Forfora. -
Sgrufiós. Rùvido, forforaceo.
Sgroz. Bom, Crudo.
Sgualmidra. Boi. Ripiego, espe-
diente.
Sgualzìr. Boi. Pigiare Tuva.
Sgublè. Barn. Smallare. F. Sgaru-
dà r.
Sgudcvol. Boi. Disadatto, incòm-
niodo.
Sgucgn. Boi. Vizzo, appassito.
Sgugiól. Bot. Solazzo, gozzoviglia.
S g u g n à r. h\r. Far le bocche. - Fer.
Sgognàr. Far le sgogne.
S g u j a. Piac.'9^% h i à. Mil, Sdruccio-
lare.
Sguinguagna. Boi. Floscio, snervato.
Sguinzajòn. Boi. Giròvago, vaga-
bondo.
S g u n à r. Fer, Segare.
Sgu n è. Bom. Arrocchiare , far rocchi
( Rocchio 9ate pezzo di legno o di
sasso di figura cilindrica, spiccato
dal tronco, senza eccèdere una certa
lunghezza).
^u
PAETE SECa^DA.
Sganxobt fi9(. Fraifente.
Sguràr. Ail.eA'.-Sf urèr. Rag,'
S g u rà. Mant' e Piac. Pulire, astèr-
gere.
Sgorbia. fW*. Fame.-F.Sgliessa.
Sgu8Ì,sgvarzì. Jiom. Scòrgere, ve-
dere.
Sgùtas. Piac. Sdrajarsì.
Sia. Beg. e JUod, Porca, ajuola.
Siàn'd. Boi, Essendo (Gerundio),
Sia rs. Farm. Rappigliarsi , assevare.
Sibra. Farm, Zòccolo, specie di cal-
zare.-Afi/. Sibrèt. Pan tòltola.
Si g a mata. Parm, Capriola, salto.
Si là e. Parm. Lividura^ macchia.
8imlrada(Far la) Fer. Far la spia.
Simitón. Bum,, Per. e Farm. - Si-
mun a r i è. Fer, - Smorfie , moine.
Sinighella. ^0/. Crisalide; il filu-
gello nel bózzolo.
Siòl. Form, Assillo, tafano.-Siolàr.
Smaniare per puntura d'assillo.
Siòla. Farm, Porca, i^uola.
Siria. Farm, Modo di salutare, che
mol direi Buon giorno, o buona
sera. - // Piem, dice: Ci area.
Sitòn. Beg, Libèllula.
Siv. Bom, Siepe; ghirlanda.
S 1 a g n. Boi, Arrendévole, pieghévole.
Slamadura. Fer. Sedimento, abbas-
samento , sprofondamento. - r.
Slat.
S 1 a n d r ò n. Emil. e LomO. Sciaman-
nato, sudicio. • Fer. Siandrar.
Patire.
S i an f a g n a. Piac, Spilungone : assai
lungo della persona.
Siapón, sleppa. Gfn. Schiaffo, cef-
fata.
Slat. Boi. Scoscendimento. - Slat-
tar. Franare, scoscéndere.
Slenza. /l/anl.-Slùscia. A/i7. Piog-
gia dirotta.
SI epa. Gen, Schiaffo.
SI ice. Barn, Mangiacchiare. >langiar
poco e senza appetito. - Siicìu.
Mangiator da burla.
Slipadura. Barn. SpiuiUtim, IN-
rèbbeei d^ìm'aeiiceiuoki 4à hjjjtf y^
do allorcliè balte la palla da /Icni-
co. - Sii pès. Sbiecare, scbiandre.
Slofi. Gen. Lonzo, snervalo.
Sion. Piac, Siero.
Slosna. Fer. y, coni. Baleno. -SI a-
snàr. Balenare. - A^. Losna.
Slumbergàr. Boi. Albeggiare.
Sluvzòn. Fer, Ingordo.
S 1 u V z è. Bom, Lordare.
Smadunàr. Boi. Rompere le zolle.
Da Madón, zolla.
Smagunè. Bom, Sciocco.
S m a l V i r . Beg. Gualcire , mantrugia-
re. - S m a l v i n. Fer, Svenimento. -
Smal vtrs. Scolorire.- itom.S mal-
vén, smalvis. - I.01116, SmalTà.
Scolorito.
1
S m a m 1 à r. /"er .Fiaccare, ammaccare.
Smanè, Bom. Spogliare, svestire.
S m a n è z. Beg. Movimento, agitailpne.
Smanie. Bom. Dimenar la coda.
Sm arguì è. Bom, - Smergulàr.
Boi,, Beg. e Farm, Plagnueolare.-
S m è r g u I a. Bom. Piagnone, plan-
gisteo.
S ma rune. /?om. Svesciare; dir senza
riguardo ciò che si deve tacere.
Smasé. Bom. Sconciare, scomporre,
sgominare. -S masi. Piac, Imjior-
rare, ammuffire.
Smazzarina. Fer, Pannocchia. - F»
Mansa.
8 mèco. Boh Vernice, belletto e si*
niili.
Smela. Farm. Scintilla, favilla.
S m e r s. Piac. Goffo , vizzo.
Smicé. Bom, Tirare frequenti colpA-
di archibugio, cannone, ec., e ge^^
neralmente spesseggiare In qualche
altra operazione di braccia e d^
forza.
Smingunàr. Fer, Zonzare, vagare»
oziando.
S m oj a. Fer. • S m ò j. £.01116. Ranno. ^
Smojàr, smòjà. Inibucatare.
DIALETTI
Smoimón. Rtg^ Pigolone, malcon*
Snòlga. Rom, Sciamannala; donna
icoBcifi negli àbiti e nella persona.
Smorgàgn, smorgògn. Piac. Su-
«liciooe, porcone.
Snalè. Rum, Sciògliere, scìngere.
SBulgbò. Rom. Stropicciare i panni
sporchi con ranno e sapone.
S no re ài. Far. Cosa cali iva, abbietta.
Smarfgnòs. Ftr, Moccolone, sgua-
iato.
SBQrnò.snurfiòn. i?om. Piagnu-
colare » piagnone.- Da Smorfia ?-
1^. Snarguiè.
Smusgna. Hae. Piagnucolare.
Smuslaiiè. i}om. Rimbrottare, rln-
fÌMXIara.-Mu stali. Faccia.
Snullàr. Fer. Mugghiare.
S naia a. Mo^ Scriatello, ammorba-
tene.
Snéng. Pa9, Insipido , scipito,
Soca« Afanf*, Pwnm, e Lomb, Gonna ^
gODBella.
Soghèl. Form. Capestro. Da Sega.
Fune.
Sol. Gen. Mastello, bigoncia. -So jn.
Bigoncino. *y. S è b e r.
Sol. Boi. e ttr. Fango. - Rom, Scola-
tura di concime.
Sóld. Rom, Specie di truogolo. -
So Iddi strazz. Marci tojo. Truogolo
dove si fanno marcire i cenci.
9oii. Gca. Uscio, levigato. - Solià.
Lisciare, levigare.
SoDC. iiOf II. Cicerbita.- Ir. Sondi us
oleraceus.
Sòr. ìTIoc. e Liìmb, Sòffice. -Sor à.
Siatare, prènder aria.
SorallsègD. Rom. Sido, ghiado,
brezza. Vento gelato.
Sorazéng. Rom. Anguilla salata ed
aperta per io lungo.
Sera zza. Reg, e Pavm. Gufo, bar-
bagianni.
Sorghèr. Reg* Spillare^ riuvergare.
Souvràn. Afocf. Vitello adulto.
sviUA.^1. S80
Sozzò* Piao. Ricotto 4 confetto (agg*
Ai terreno).
Spàder, Boi, «Spadir. ilom., Reg,
e Fer. -Sparir, f^er. Allegare, a»
spreggiare ( Dieesi de* denti). - K.
Schermir.
Spagàzz, spegàzz, sbgàzz. Gol.
. Sgòrbio. -Spegazzà. Sgorbiare.
Spagògn. Rom, Stiticazzo« selvàti-
co; che mal volontieri s*accòaiffloda
alle voglie ed alla compagnia altrui.
Spajàrd. Gen, Zìgolo giallo. - L.
Emberiza citrinella.
S p a 1 u t è. Rom, Brancicare, mantrugi
giare.
S p a n è s z. Boi. Comune } facile a tro«
varsi. - Fer, Spani zza.
Spani. Fer, Appassito.
S pan izze. Rom, Scofacciare, schiac-
ciare, brancicare. -f^. Spalutèe
Spargnàc.
Spant. Rom, Immantinente, tosto.-
Armane spant. Rimanere morto,
ateso a terra.
Spanucina. Rom, FlenaroUi de'
prati. - L, Poa prateneis.
Spara, sparèr. Emil,^ Lomb. e
yen. Risparmiare, sparagnare.
Sparagàgn. Rom, Spavento di bue.
Grossezza che viene nella parte
inferiore del garretto del cavallo,
la quale lo fa zoppicare.
Sparazisum. Boi. - Sparacism.
Fer. Brama ardente. - Rom, Ghiri-
bizzo, capriccio.
S p a r d à r. Fer, Lanciare.
Spargnàc. Pi(^. e Crem.' Scofac-
ciato, schiacciato. - Spargnacà.
Schiacciare, k', S pan izze, spa-
tazzà.
S p a r 1 ù z z. Piac, Peluria, lanùgine.
Sparto. Rom, Disperazione.
Spartura. Ool. e Fer. Màdia.
S par za. Boi, Spalliera, appoggiatojo
{Dicesi deW appoggio proprio deUe
sedie).
986
PIATE SECO^M.
ftpatazzà. A'ac. • Spelasela. MiL
Schiaceiato, infranto.- 8 patagnè.
Hom, Scoracefare. #^. Spargnàe.
Spatozzar. ^of. Ragionare, discór-
rere bene. - Spaluzzèr. fieg.
Sbrattare, nettare.
Spéè. Mod. Lentìggine, r. Piccel.
Spèdula. fìom. Scotolo. Specie di
coltello senza taglio, col quale si
batte II lino.
Speli. Boi. Cangiamento di scena. -
Scambietto. - ingl. Speli. Incanto,
prodigio.
Spèpla. Ad/. -Spèppola. y?oiM. Pi-
spola. - L. Antus pratensi s.
Spèrt. Piac, Gioviale, faceto.
Spinèin. P/ac. «Splnèl. lìeg.erer.
Zipolo.-Spinòn. ZalTo, turàcciolo
delle botti.
Sp in tace. Bom. Scapigliare, scar-
migliare.
Spiòn. itom. Cardo. Erba spinosa di
più specie.
Spiònz. Piac, e Lomb. Zigolo nero.-
L, Emberiza clrius.
Spira. Mani, e yer. - Sp i u ra. Fer.,
Mod, e fìeg. -Spurèina. Parm.
Prurìto, prudore. • S pi u r ì r. Reg.-
Spuri. Piac. Aver prurito.
Splrlimpena. 7?o/?i.Sninfia, attila-
tuzza. Donna afTettatamente attillata.
Spiutlir. Fer, Piagnucolare.
Spizgbìr. Fer. spuntare, sbucciare.
S p i z z à r. Fer. Smussare, scantonare.
Splatunàr. Fer. Scapitozzare.
Sploja. iìeg. Grìllaja, catapecchia.
Sp I u n è. Bom. Scapigliato.
Sprachèrs. iìeg. Allargarsi.
8 prò e. Bom. Bordoni. Le penne non
ancora spuntate che si vedono in
pelle agli uccelli. - JlcU. Sp rocco
signif. Rampollo.
Spròcan. Mani, e /-'er. Pescivendo-
lo; pescatore.
Spu d u r è. Hom. Svergognato, fìa P u-
dore con t S privativa.
Spultàr. Hol. Inzuppare.
Spurbiella; essr a la sparbfèi'
la. Barn. Esser al verde» esMr Ci»
dotto a mal tèrmine petr-tai ^
verta. '» '
Squacciarlàs. Piac. SpappòMrij
disfarsi, accosciarsi.
Sqnajòn. Bom. Svesciatone» fiartta^
ro, disvelatore. -Sq a aj Olia. Ciar-
liera, vesdona. -SqaajSr. AvM
e ^en. Scovare, scoprire.
Squas. Boi. Smorfie.
Squezz. Boi. Specie di oocòalenb -
L. Momordicum etaterlÉA.
S q u i bes. Parm. Quantità gruidé di
checcbesia.
S r ò d a n. Bom. Seròtino , tanfiòi
Stabi. Bom, Concio, oonclnra, MI*-
me.- Gen. Porcile.- 1. Sta bui atti
Sta bla. Fer. Steccone, palancai *
S t a b i à r. Boi. Digrossare , plalltflB il
legname.
Stacunè. Bom, Splilaccherare; '-
Stalossar. i\irm.eAft/.8iratainn,
scuòtere. F. Sbaruziè.
Stamarlàr. Fer. Abbacchiare» ttàt^
terc.
S t a m z è. Bom, Calpestare, sealpilére.
S t a m z ò n. Bom. Agg. d^ uomo grette
che difticilmente si muove.
Stanlèin. ^of.*Stanela. ^/od.Cetf^
nella. - S la n I òn. Boi. e Bom. Dea-
najuolo. - Fer. Faccendiere.
Starlaca. Bom. Allòdola.-^.- A lau-
da ar vensis.
Stargnòn. Piae. Sterpo, sterpoue.'
Starne. Bom. Secco ; quasi esleiroato
per magrezza. F, Sternlccii.'
Statare. Bom. Sgomberare del latto
una stanza, oppure metterla la as-
setto , levandone gli inùtili Ingofl'
bri.
Stcla. Fer. e Mod. Scheggia.- Ste-
la zòc. Mani, e T^e^.-SIclalèfB-
Boi. Spac'calegne. - SI ter. Beg. -
S 1 1 à r. Fer. Spezzare.
8 le r 1 i r a. BoL Pereossa. ^
SterAieoii. BoL lDlFÌ9tito« • F.
Star A è.
Slésa. Rom, Batacchiala, baatoMUa.
SllSaem. BoL Strido di pianto.
Sliattèliu Boi, Spruzzo.- St tatti-
li ir.- Schinare. - /^. S e li t tàr.
Stilèot Fer. Sciatiilantc, limpido,
traspareat^.
SU m 1 ì a. Fer. Moscardino , cicisbeo.
Stiòss. Boi. Vampa di calore.
Stiassir. ^1. Raf/igurarc; discèr-
nere.
Slómbal. Piae. - Slómbel. BoL -
Stómbio.rcr.Ptingolo, la punta di
farro duello stìmotob^S t o m b I à. Sti-
molaire,
Stonbaaaar. Beg. Sciaguattare. -
r. Savazzà.
Stonpèr, sto.par. ^eii. Turare.
Sto péli. Piae, Metadella; misura di
grano equivalente alla sedicèlima
parte detto stajo.
Storci a. Piae, Strofinare.
Stosaiìr. fVinn. Dilombarsi, flaccarsii
Strabghè. y7ofii.-Strapegàr. Fer.
Strascinare.
Strabfzèint. Beg. Cencioso, làcero.
Strablzzèr. Beg, Carpire.
Stràc. Gen. Stanco.
S Ir a e a. Bom, Mazzacavallo, altale-
na; specie di leoa per attinger aqua
dai pozzi.
Strafa lari. BoL Sciamannato, su-
dicio.
Strafantà. /Vac. Svisare. -S tra (an-
ta r. BoL Smarrire, pèrdere. • Fer,
Trafugare.
Straferi, strafiiscri, strafusa-
r i . Piae., tornò, e Piem, - S I r a f i r 1.
BoL -Strafièr. Fer. Ciarpe, cenci.
^tral^ugnà. Gen, Gualcire, mantru-
giare.
;>traguaUàr. BoL e Fer, - Stra-
gualzè. Bom, Ingojare, trangu-
giare.
DIALETTI EMILIANI. 387
Strajàr. Piae, e Pùrm, Versare >
spàndere.
Stralancà. Fìsr. Sbilenco.
S t r a m b i n. fer. Àndito.
Stramiìs. Hoc, Rabbrividire, racr
caprlcciare.
Strampill, stràfp. f^r. Gratto^
floscio > rozzo.
S tran 8 ì. i?o{., Beg. e Pian, Àrido,
adusto. - />. Transi.
Strappar. £fo/.-Strapegàr. fVti.
Strascinare. -St rape n. ilDm. Ron-
zino, brenna.
Stravinàr. Fer. Strofinare, stropic»'
dare.
Strazigar. Parm. e Hoc. Scintil-
lare, sfavillare.
Strén. Aom. -S tré In. Parm. e iYac.
Abbruciaticelo. - Flé d' strén.
Odore che mandano le cose aiibni-
ciate.
Strina. Gen, Abbronzare, arsicciare.
Stribiàr. Parm, Dipannare.
Strichèr. Beg, • Struccàr. f^en.
Strìngere, sprèmere.
S t r i f I à r. Fer, Fiaccare , schiaccia-
re.
Strinar. Fer, Abbronzare, abbm-:
stolire.- F. Strén.
Stri va. BoL Gozzoviglia.
Stroppa. Gen. Vincastro, vimine.
Stroppia. Pidc. - Star pia, s tra-
pela. MiL Làcero, meschino.
Stros. Piae, - Trosa. iBr.-Strosa;
Fer, Rocchio, sezione di pedale,
d'anguilla, ec. - Fr. Tron^on. «
S t r ò s à. Troncare , tagliare per-
pendicolarmente in pezzi.-f^.T r u s,
TòrfTròcal.
Str ubidir. BoL Consumare.
Struma. Fer, Fatica, stento.
Strumnàr. Parm. Rovesciare, ver-
sare.
Strusa, strusièrs. Gai. Stroflnarvj
sofTregarsi.
Strusci. Piae, - Strùzi. MiL Fati-
33
9W FARTE KCWiÙM.
ca, stento. -Sf ràscia, struzià.
Affaticare.
Strussiàr. ^o/.eiUcui/.-Sirusciè.
Rom. Dissipare^ scialaquare.
)^ tr u V i I z è. Rom* Slroflnare , stro-
picciare.
S tufi là r. ifol. Fischiare, xuflolare.
S tu gì è. Bom. Coricare, sdrajare. -
Stoglès. Coricarsi, porsi agiacere.
Stuinàr. Fer. Stuzzicare, frugare.
Starter. Beg. e Airtn. Cozzare, dar
di cozzo.
S t u r l òn. Bvg. Csiparbio, testereccio.
Stussìr. iteg.-St u ss àr. Fer. Scuò-
tere, slNittaccliiare.
S v b i « 1 a r. Fer. Appassire per séceità.
Suòli. Gen, Acciarino; fermaglio
delle ruote dei carri.
Suiann. /Tom. Traveggole, abl>ari>a-
glio, caligine di vista.
S u ifanà r. BoL Cencioso. - Fr, Cli i f-
foMier (?)
Sunàr. Fer, e f'tr. Cògliere, spa-
Bocchlare.
Su ne. Barn, Grembiafa.
Sunsir. BoL - Sussi. 3tit. Agogna-
re, bramare cupidamente.
Su razza. A#od. Upupa.
Surena. Bom, Cinciallegra pìccola
turcbioa. - Dim. di Suora, per Mo-
nachina, cmne in Lomb, simile tic-
ce/to dkesi Mon egli ina. - A. Pa-
rus coeruleus.
Suraieè. Ttom.-Surnaceiàr. Fer,
Ronfare, russare.
Susanòu. Bom. Bajone, iNijonaccio.
Uomo leggiero che si trattiene in
cose fanciullescbo.
Sussi. Bom. Lìcnide della China. -
L. Lycbnls coronata.
Sustachina. Bom. Piana, pianone.
Trave un poco più lunga dei cor^
rente.
Suvàzz. Bom, Romlio. fesce, - L,
Pleuronectcs rhombus.
:lvadttrcs» /toni. Spettorami, sciori-
narsi. Sfibbiarsi 1 paimi davaaH
Svagliè. iVom. Sgorgare, traboMWi
Svaids. Farm, e Piac. SbadalOy A
alleato.
Svàmpul. Fer. Spazio, diferaon;
S V a m p u I à r. Esser discfiiale.
Svarzella. Piae. Lividura, livid».
Svél. Bom, Foce mata ad inrfietr
cota of sai grande, aUmmo rHaUm
menie al bi$ogno,
Svergna. Piac. Modo, via, ver».
Svè rgo I. Piae. e ijomh. Sbieco, tior
to.-Sv e rgo là. Sbiecare, stòreeic
Svòtula. /W*. Bastonala.
Svi dar. Barn, Èssere gelato con
marmo. • Svìdar. Pioggia come
lata che pare minutissimagrìiiidllc
S v u I ò. ilom. Ripescare; ritrovar dtoe
chessla con fatica e Industria.
S V u ruL Bom. Scaltrire, scofw— w
Tabalòri. C^eii. Baggèv, babbiOM^
Tabbia. Hoc, Guscio, scorza ddlt
gumi.
Tabena. Hom. Gozzoviglia.
Tacagnàr. Gem. - Tacagnè. iliw
Piatire, litigare.
Tàccola. Gen. S|>ecle di cor\'o.
Taffiàr. Boi. Pacchiare.- Taflida
JUod. Corpacciata.
Tajè r. Beg. e Pioc. Tafferia, tagliere
T a j ó I. Beg., Parm, e Fer. Magliuolo
sermento o calmo di vile.
Tamarèl. Fer. Bacchio. - MiL Ma
tarèll, pattarèll.
Tamìs. ^IfaMl. e Fer. Staccio, criliro
Tamisàr. Fer. Esplorare.
Tamògn. Boi. Tanto grande •> I
Tam magnus?
Tamplàr. Boi. e Parm. llartetlan
( Diceù dei dolori). - T a m p 1 è. Urna
Indugiare, baloccare, tcmpcllare.
Tananài. Gen. Bisbiglio, strèpile^.
Tancl. Fer. Afla.
nuuTH e\iiLiANi.
Tanz. Piac. Stuzzicare, slimolure il
fooco.
Tap. Ainw. Vestllo.-Tapar. Vestire,
invòlgere.
Tarabàquel. £ro/. • Tarabàllol.-
Taribàcol. Alti. Bazzècole, ciar-
pe.
Tarabùs. Boi. e Row. Ardea. - L.
Ardea stellaris. • /n Ilat, dicesi
pur Tarabuso. Trabuco.
Taragbégna. Boi, CafKirbio^ osti-
nalo.
Taràgn. Piac. Stozzo; scheggia stac-
cata dal masso.
Taràntolsi. Piac. e Loinò. Salaman-
dra.
Targò n. Bot, Impiasiricciamcnto.
Tarif. Beg, - Tarèf. Ftr, Fràcido,
pùtrido.
Tarlìs. ter. Gruma, sucidunie.
Tarlùc. IÌM., Lomb. e Bcg. Scimu
nilo. -Tarlucà. DiciTvcllarsi.
Tarncgàr. Pitie, e Punn. Ammor-
bare, appestare. - Tom egà. Mil.
Tarsantàr. Fer. l^acclictarc, cal-
mare.
Tarsali (A). Boin. Alla rinfusa, in
mucchio.
Tartarei. Airm.-Dard a nel. ^ofii^.
Róndine riparia.
Tartlèint. Pmc. Inzaccherato, sozzo.
Tartiòn. P/ac. Gretto, sciamannalo.
Tartóf f. y7om. Vescia di lupo. Fungo
velenoso. • A. Lycoperdon bo-
vi si a.
Ta^isagnòl. Boi, e Ponti. - Tassa-
gnòn. Piac. Tarchiato.
Tasse I. Boi. e Parm. Palco. - Beg.
Solajo, soffitta.
Tasè. Bom. Grommalo.
Tàlar. Bom. e f'er. - Tàler. .l/i7. -
Tàtare. Boi. e Beg. Ciarpe, arredi
logori. - Pig. Baldracca, merctrì-
<*e. - Piac. Taira.
Tavarncll. Piac. Specie di pioppo. -
A. Populus alba.
Ta V èia. Alani, e Per. Sìliqua; guscio
di legume In generale. ^BoLj Btg.^
Mant, e Mit. Matloncello^ pianella.
Tavlcr. Mod. Semenzajo, frutteto,
bruolo.
Taznà. Piac, Nettare^ pulire.
Tee. Bom. Aggiunto di corpo grasw,
e vuol dire Grasso quartato; tutto
sugna.
Tega. Man ^, Parm .^e Aoc. - T è i g a.
Beg. Sacello , fruito dei legumi. -
L. Tegere? - Ted. Decken? Co-
prire, invòlgere.-^. Tavola.
Tcnca. Fer. Enfiatura, bernòcoolo.
Tepa. Piac, e Loinb. Borracina. - £.*
Polytrlcum commnne.
Tera. Gen. Serie di varie cose unlle.
Di qui Tiritera. Filastrocca. Iiun*
gàggine.
T e r I ò e. Beg. Baratto , carobio.-T e r*
locchcr. Barattare.
Tcrnàs, ternès. Boi., Mod.eBeg.
Serpentello, fanciullo vispo.
Tcrs. Beg. Gromma, tàrtaro, tasso.
Tèsse ra. Fer. e Lorna, Tacca per me-
moria e riscontro.
Ti bòri. Piac. Catacombe, sotterranei.
T i e m , limar. Fer, Coperta, coprire
(proprio di barca, carro e simili ).
Timistòf. Bom. Schizzinoso, schi-
vo. - Timistòf a. Monna sehifal-
poco, cioè donna che astutamente
faccia la modesta e contegnosa.
T i m p io n. Bom. Seggiola. Quel legno
che si conficca attraverso sopra Te-
stremità de' correnti per coHegarli
e règgere gli ùltimi émbrici del
tetto, detti Gronde.
Tiogo. Parm. Squisito, òttimo.
Ti za. Boi. - Te za. Beg. e fcn. Fe-
nile.-Ticza. Fer. Capanna.
Tivàr. Fer. Argilla, terra tenace.
Tllznès. Bom. Arruginirsi, ingial-
lire (Dicesi delle foglie).
Tobis. Parm. Avvinazzalo, ebro.
Toc, tócca. Fer. Tacchino, pilona.
9M
r4&n sBxmoA.
Tod sa. fkg„ Péme., Ftr. e ilo«i. Teo- Traquàì. Boi. Raggiro.
tcBBOne. irre90lola.-|{o/. ScetatMv. Trafora. Mant. e #>r. BarliateQa.-
Tóft IKofli. Tmfo. • l#f7. Tfif. I Tra t orar. Propagioare.
Tota. EwdU, Umh. e #Vhn. Latta ,<Travisa. Piae. Greppia, nuBfiama.
ferrostagoafoiolàiDiDe-f' Banda. Tre fora, trinca (de). Gc». J|f»
Tolèr. ilf^. Màdia. giunto di ?Simivo.-Kov de Ir èia-
Tornata a. Piae, e .l/i7. Poaidoro. - e a. >'novo di zecca.
^. Solansin LTcopersicam. -Trentacost. /ÌOin. Guffetto. £/eoBlÌa
5p. Tonates. I di rtfM. - £. Ardea ralloldes.
Topi Bara. Mani, e P/ac- Topine- Tré quel. BoL Treccone, frattivèn-
ra. tkg. Androne; c/a soilerràmea
Mìa iaipa.
Top pi a. Piac. e Fiem. l*èrgoIa, per-
golato.
Tdr. Piac, Pedale, tronco, f^. Trus.
To rizza. Marni, SXhiWe (Aggiunto di
Pacca),
Tosta. Piae,^ iUL e Mani, .abbrusto-
lire, alibronzare.
Tota. ilrg. Sponda, riparo (l'roprio
del pozzo), y. Dalia.
dolo.
Trign. Beg. e Parm, Orcio, ordao-
lo. -f'. Trago.
Triòc. Parm. Accordo, negozio.
T r ò e a l. itoai. Tocco, tozzo, r. 8 1 r o s.
Tròl. Beg, Mazzuolo, maglio. - fkr.
Rostiatojo. -/^iN. D'un solo peno.
Dieeti di penosa stinea o pingue,
difficile a piegarsi.
Trucia] a. Boin. i*ezzame, rottane.-
/ . Tròcal.
Toto. Piae. Torso, cornocchio; mallo Trucca. Gen. Urlare, cozzare.
sgranalo del grano torco. - / '. G a n-
d»l e Mol.
Tozla. Fer, Boccia, gonfiezza.
Tracagnòtt. Parm.^ fìom.^ Fer, e
tomb. TOnfacchlotto , tarchiato,
piccolo e meiObruto.
Traente. 77om. Traballare.
Tra dòn. /Voc. Gretto, sciamannato.
T r'a fi r i. Bom, Frùgolo, frugolino (/>i-
ce$i di fanciullo vispo).
Trafusàgn, trafusòn. Hom. Bag-
giratore, sotlileingannatore.-Tra-
fuse. Ingannare maliziosamente.
Tragatta. Piac. Sciupare, dissipare.
Tragn. Mod. Orcio.- /'. Trign.
T r à g u I. !ìom. Fèrcolo. Stromcnto vil-
lereccio di legno a guisa di forca
assai grande, ma senza mànico che
per via tlen sollevalo da terra IV
ratro, acciocché non lógori le bure.
Trago a Iz è. /^oui. Trangugiare.
Traja. Z^of. Bilenco.
Tram ad d'I erra. Fer. CamiM).
r r a n t a 1 ii, IHac, Trabiillare , barcol-
lare. - r. Traculc.
Trus. Partn,, Beg, e Fer. - Tro».
Mod. Fusto, pedale. - F. Stros,
Tor e Tròcal.
Trussiànt. BoL Accattone. - Fr,
Trucheur.
Tsèvd. y?oin. Scìpilo, sciocco. -Tsl V-
dezza. Insipidezza, scipitezza. «f^.
Dsévad.
Tuba. Boi. Roroorc.
Tucciar, pucciar. AVr. -Puccià.
Lomb. Intìngere. - /^ Pucci à.
Tu dna r. Boi. Sobillare, forzare.
Tudnè. //om. Lellare, ninnare: olel-
larla, ninnarla. Èssere o andar lento
neir operare. - Tu d non, tòdna.
Tentennone.
Tufògn. Roìn. - Tuff. Gen.Tanio^W
fetore della muffa.- F. Tóff.
Tulliana. Boi. e Fer. Gozzoviglia.
Tumàzz. Bom. Razza bianca. iVfct
ìnarintì. • £. R a j a b a t i s.
T u m è n. Bom. Squacclierato. Agg. di
formaggio tènero e quasi liquido.
Tundunùr. Boi.' Tindonàr. f>r.
DIALETTI EMILUMI.
Indugiare. - Tundunàr. Fer. vale
Schernire.
Td reiò n. Bom, Punteruolo baco, sea*
rabeo mangiaviti. • L Cu r cui io
bacchus.
Tursgòn. Rom, Torso, tórsolo. Ciò
che rimane delle mele e timili, le-
9alo loro d'inlomo il pericarpio,
Tarululù. fiom. Chiurlo, allocco. -
Fig, Balordo. Di qui il MiL Tur-
luru.
Tusùr. Bom, Cesojc.
Tuss. Boi, Colpo, botto.
Tuzz. BoL Sloppa.
201
13
Ccarèlla, Boììi, Fermo, fermaglio.
Quel ferro che impedisce il chiù-
dersi alle imposte de|leflm*$l re al*
lorchc si tengono aperte.
Ucarina (Far V), Fér, Far le flche.
Uelàr. Fer, Gridare, esclamare.
(ili ve il a. Bom. Ligustro, ruvistlco.
L, Liguslrum vuIgare.-Pepe
montano, laureola. - L, Daphne
laureola.
Ulz. Beg. e Pann. Penzolo {D'uva e
timili).
Urèz. Boi. Bacìo. - Bom. Uggia. Da
Orezzo, al rezzo? In dialetlo Tici-
ne$e A u ri z i , u r I z 1 sign. Uragano.
Urei n a. Fer, Erba sempre viva.
Uss. Bom. y, conlad, per fermare il
paséM) de^ buoi.
Usta. Mani, e yer. Odorato.
Usvèi. Boi. • Usvii. Beg. - Usvì.
Fer, Utensili. - Usa dèi. Mil. Mas-
serizie.
Uver. Boi. Poppa della vacca. -la/.
Ubera? - Bom, Uvar. Poppa. Ù-
vero.
Vales tra. Piac, Cesta piana e larga,
l^alinti. Piac, Riaversi dopo malat-
tia. - L. Val esce re.
Vampa. Piac, Lampo, baleno.
Vana 1. Fer, Inferigno (Agfi,di pauC^.
Vaniza. Boi. • Vaneza. Fer,^\a*
niezza. Fer. Porca; qjuola più
larga del sòlito.
V a n V ò n. Boi. Sotterfugio.
Va rii n a. Piac, Sgualdrina, meretrice.
Va r bèi. Bom. Processo.
Vargh. Frr. Spazio; quantità di case
unite.
Vargh è. Bom Passare. Diccti degli
uccelli che vanno da una rogioiiu
ali* altra. Forse dalV II. Varcare.
Va rg n ò n. Bom, Brontolone , queru-
looe.
Vargòt, vergòt. F. cani. Parm. e
Lomb. Qualche cosa.
Vari otta. Bom. Vette, capra, ver-
ricello, maììneìlo. " Farie Mpede di
màcchine per sollevare o smàvere
enormi pesi.
Va r ter. Bom. Aggiunto di cappone
ben capponato.
Vartìs. A'oc.-Avertis. /Vinti. Lùp-
polo. - I. II u mutua lupultts. -
r. Lovertìs.
Vasi a. Beg, Stèrile, infeconda (Di»
cesi di fémmina).
Vcina. Bom, Imtiozzaccbito, acria-
tello {Dicesi d*uomo che cresce a
slenlo).
Vdéó. Bom. Fiiucchlo. - 1. Convol-
vulus arvensis.
Vedergiàzz. Parm. Brina, gela-
vernii.
Vene. Bom. Salcio giallo, salcio da
legare.- L. Salix vitellina. -
Da Vinco?
Vera, vcira. (ìen. Ghiera, cerchio
di metallo. - Bom, Vira.
Verdza. Piac. Scriminatura.
Vergna. ^o/. Chiasso, romorc^fìrr.
e Mil. Modi affettati e nojosi; sdol-
cinato stràscico di voce.
V e r r. Piac, Verro, migale non castra-
lo. - ÌAit, Verres. - Verr chiù'
Ì99 PARTE SkXOXOA.
filanti ancora quegli .ipigoU q lembi nUre. • Z u f ù I. Impiastro ; fig. Coih
di terra levinoli dall'aratro, venzioue conclusa con iabrogliò.
Vèr zar. Fer. e Ter. Aprire. iZagajar. lioL Ciarpare, acciabbai-'
Viadana. Pann. Badile e scalpello. j lare.
V i d 1 a d 11 r a. ftom, Scrè|)Olo , fendi- Z a g a n e 1 i a. Roin. Crespello. Frildla
tura. - Vidi a. Crepaccialo. sere-; di pasta soda che messa acuòetre
potalo. I si raecrespa.
Vidra. Pan». Vctrice. jZag noli a. ^^«7. Ciòtola, coppa.
Vincolòs.P/oc.Importuno,seccante.'ZallrÒD. Ùol,, Piac. e f^er, Gr«it^,
Vincàr. Fer, Piegare, tòrcere. /^a tritone. - //a/. Ciallrone, cialiron».
Vinco? -Vincàrs. PariN. Piegarsi. Zam arra. /fcg. Sgaaldrina.
VI5. PtaC'L. Chenopodium sco- Zambròtl. Fer. Fondaccio, faBfblr
paria. ! glia.-Zarobruttàr. Sciaguattare.
Visenda, ave visenda. F»om. eZaropignàr. Fer, - Ciampigoà.
Mod, Coni. Affari, aver affari. j l.omb. Lavoracchiare.
Vivàgn. Bùi, Orlo, lembo. :Zana. Parin. Troja.
Vivogna (d' roesza). Fer. Medio-'zancbe. Mani., Fer. e Boi. Tràfli-
ere. Oorrtiziontf di Vigogna. 6m.\ poli.- Ave la lanche. /toin. Aver
Vizòl. Hom. Doglio. Vaso di legno al lagaml»ata;es8ergittatogià di sella.
guisa di bariglione, ma assai più Zang. fìtg. Kandello.
grande.-Vizulcn.Carratello. .Vpe.!zangarìn. Fer. Luccio, pesce.
eie di botte lunga e tirella, jZa n è i n. lieg. Tonchio, gorgoglione.:
Vlum. Parm.- MI um./:oii}6. Pioggia! Fer. Zanìn.
iZapal. Bom. Labbro.
adusta, dannosa alle piante.
V 1 o p. Mod. Sermento.
V ó g a n. /?om.Burbera, carrùcola. Siro-
mento intomo a cui s* avvolge un
Zapèn. Boin. Abete di Germania. -
L, Piniis picca. • fr, Sapin.
Zappèl. Piac. Varco, passo.
cànape per uso di tirar pesi in allo Za piar. Parm. e Piac. - Soppedà.
0 ùqua da* pozzi.
Vrign. /^oc. Acerbo, immaturo.
Z
Za bai. JìOiìi. Bagliore, abbacina-
mento.
Zabié. Hom. Brughiera, grillaja.
Zaccagnàr. /^o/. - Zacagna. Boni.
Frugare, rovistare. - Z a e a gn ar i è.
Fer. Bazzècola.
Zac là. Bom. Taccolarc, berlingare,
ciarlare.
Zaf t ii. Bom. Basoiflare, scuffiare.
Zaffa riì. Piac. Giumella; quanto può
capir e il vuoto d*amòe le mani av-
v/ein aie. - r. Zemna.
Zaf u là. /?om. Trambustare , trame-
j MU. Calpestare.
.Zaquàr. Parm. Coricare, stèndere
al suolo. Cosi fa il vento colie biade
e simili.
Zarbàc. Bom. Strapazzo.
Zarbùn. Fer. Sterpo. - Zarbonàr.
Sterpare. - F, Zerbi.
Zararaella. FtT, Brenna^ rozzo.
Zara (Dar in). Fer. Dare in dam-
panclle.
Zara II dui. Bui. Sciamannato.
Za ri. Fer. Vègeto, vigoroso.
Za ri a. Bom. Stimolare i buoi.
Z a r 1 ò n. Bom, Capo sventato , cervel-
lino. - Capriccio, Stranezza.
Zar ma eia. Bom, Screziare, cbiai-
zare. -Zarmaciadura. Briiiola*
tura, screziatura.
mALETTI lkVlLT4?n.
tos
Zètnhì. F^r, Pieno.
Zarzacla. Parm. Donna ciarliera. •
Za nadir. Gironzare.
Z a ▼ à i. Boi. e Mod, R igatf icre^- Hòm,
Baratto. <- Za t a J ò n. Garbuglione.
2airarii. itom.-Zavarfllr, zava-
rièr. Mmnt, Beg. e Kfr. Vacillare
eoa la mente, farneticare, bariH)!'-
lare.
Zavarròn. fiam, Oorrentone. Travi*
cello riquadrato t^e si mette ne'
paludi].
Za Ti ri. 00$. Ciarpa.
Zdròn. Jìom, Malattìa de'* buoi e
m^JaH, ^Ita Setoloiie, mal dd ric-
cio.
Zé. B0t Aa. Cwritpwde anche a Ma*
donna, signora. -Zé Minghèlna.
MadoMM Doménica. ' F. Cié.
Zeffa. Per, Capitozza. - r. Cab a.
Zègar. Bom, Beocaflco di palude. -
L Anas crecca.
Z è i n a. Pattn. e Piac. -Zina. Mani.
e Fer. - Zen a. Bom. Caprùgglne.-
Zètt. fìoin. Sciame.
Zèzzol. /Voc. Cércine; cerchio dì fa-
né, lisca 0 d'altro, su cui vengono
riposte le pentole.
Zéxzola. Pfae. e Mani. Paletta che
serve a dispensar la farina. - Jn
dial. yen, S é s s ol a dtnoia it mede-
Simo ttrmnehio die ierve \a 'kPat
faqfM dal fondo deffe barche.
Zgugnis. i?om.' Sbozzacchire, uscir
del fifliicume.
Zi bega. Pfae. Lezioso, ^dilflttoso nei
cibo.
Zicorgna. Parm. Ceràmbice mu-
scato.
Zig, zig a. Bom. Strtdo, strìdere. -
Z 1 g a r . Bet. • Z 1 g à r. Ten. Gridare.
Zigà. /'/ae.-Iiizigà. Mit. Aiziare.-
r. Zig.
Z i g a r 0 1 a. Beg, Aquilone , tramon -
tana.
Z i g og n a. Piac. Scricchiolare.
Z i g 0 1 1 li r. Parm. e Piac. Dondolare,
scuòtere.
Zina. Bom. - Zi nàr. Fer. Caprug- Zig non. Bom. e Parm. Cignone; cfuf-
glnare.
Zèinguel. Boi. floscio, fiacco,
^élga. Bom. Pàssera montanina. -
fo che le donne si fanno In lesta per
adornamento.
Zimga. Boi. Sbirciare.
ÌL. Fringilla montana. - Tf/i.' ZI ngulòn. 5o/. Scioperato.
Sélega.
iZinzavrèin. Piac. e Lomb. Giùg-
-Zemoa, zimna. Bom. e Boi. Giù- gioia. - L. Zizyphus vulgaris.
mella. Specie di misura che vale Zinzaréll. Bom. Grumetto. - Fari
quanto la capacità di due mani ac-
costate insieme. - ^.Gemina?
^en4ara. Boi. c;inepreto.
^éran. Piac. Scégliere.- iL. Cerne-
re.-Zér ni t a. Scelta.
^erla {Fara). Fer. Fare a socio. -
Bom. sign. quel pajo di buoi, che
9l méttono d'innanzi a quelli del
timone.
^erbi. Parm., Piac. e Lomb. Soda-
glia, grillaja.-Z a r b ó n. Fer. Sterpo.
2erra. Boi. Bagatella.
iZesnéI. Boi. Pecorino, caprino. •
Bom. ZisnéIl.
zinzaréll. Formarsi In grumi; rap-
pigliarsi.
Z i p a d u r a. Fer. Crespamente.
Ziribigola. Piac, Zanzara.
Zisòn. Bom. Germano o Collo verde.
n maschio delle varie specie delle
ànitre maggiori domèstiche « sai-
vàtichc.
Zi ss. Bcg. Sugo, aqua di letame.
Z ì V u I. Bom, - Z é V 0 1. Parm, Cèfalo,
mùggine. Pesce marino.' I. Mugil
cephalus.
Zizésca. Bom. Cesena, tordella gaz-
zjna. - /». Turdus pilaris.
Znèster. Boi. Mitro.
Zoe. Gen. Ceppo. - Zoca. fiom. Cep-
pila.
Zolàr. Mani. Bastonare. - Zoièr.
Beg. Appoggiare , appiccare. • y.
Znlla.
Zornia. Boi. Stùpido, t>aIordo.
Zoita. Partn., Beg. e Mod. Imbrat-
to; aqua grassa clie si dà in pasto
ai majali.
Zózzal. Bom, Sciatto, sciamannato.
. Onriiponde quasi a Soazo.
Ztarón. Bom. Rosciola. Pianta co-
mune fra le biade. -Z. A g ro s t e ra-
ma githago-
Zlèr. Beg. - Zetàr. yer. - Ztàr.
Fer, Temperare , tagliare ( Ditesi
delle penne da scrÌ9ere).
PAITE SECÙHDà,
Zubbiàn. Pav. Scioperatou - Mil
Gabbiàn.
Zucara. Boi. • Zuccherla. Hòc
Grillotalpa.
Zuggnòla. i9o(. Aiolla della fsMdel
pozzo.-<f gagnó la.f>r.Carrieolt
Zugna. /Voc.aarpare,acciabsltare
Zulla. Fer. Percossa.* Zuliàr. Pier
enotere. • r. Zolàr.
Zui marèn. Bom. Zìgolo nero.- £
Emberiza cirlus.
Zulzèn. Bom. Rigàgnolo. - L^a^si
che corre per la parte più bam
delle strade.
Zurpa. Bom. Far baje, ruzzare.
Zutà. Bom. Prèndere a sassi.
Z V a d ga. Boi. Società , aeeoaièiMMi
di bestiame.
:^S:
CAPO iv;
Cenfti istorici sulla letteratura dei dialetti emiliani.
t
Groppo Bolo^rte.
heominciando il nostro cenno dalle produzioni letteràrie del
primo grappo , che abbiamo denominato bolognese , è mestieri
preméttere alcime osservazioni, quali sono: l.° Gbe fra tutti i
dialetti componenti questo gruppo , il principale , vale a dire il
Mogmu propriamente detto, è il solo che veramente possegga
letteratura propria ricca di svariati componimenti, si in prosa che
In verso, di autori versati nelle scientìfiche discipline del pari
che nelle clàssiche letterature ; mentre quasi tutti gli altri dia-
letti o rimasero perfettamente inculti sino ai di nostri, o nove-
rano appena un ristretto nùmero di produzioni, per lo più d'oc-
casione , cui mal s' addirebbe lo specioso titolo di letteratura ;
S.'* Che eziandìo nel dialetto bolognese s' incominciò a scrivere
assai tardi, vale a dire sul tramonto appena del sècolo XVI, per
nodo che la sua letteratura conta poco più che due sècoli d' e-
sistenza ; e durante questo periodo ebbe anch' essa a subire le
sue fasi e le sue interruzioni a norma delle politiche vicende ,
che in ùgaì luogo e in ogni tempo impressero il rispettivo colore
sui vari componimenti; 3.° Che mentre gli scrittori lombardi,
come accennammo superiormente , esordirono coi loro componi-
mmUi vernàcoli nei rùstici dialetti , alternando successivamente
quelli di Val di Blenio, di Valle Intragna, e della campagna.supe-
riore milanese, togliendo sempre a pròprio rappresentante l'uomo
delle infime classi , i^ Bolognesi air incontro si valsero .sin ; da
principio del dialetto, cittadino non solo , mi^ scèb^*o a prefe-
396 PAITC dlCO.'^DA.
renza a loro intèrprete V uomo distinto per nàscila e per sciema.
dal cui grave contegno e sentenzioso diàlogo traspare ovunque
il motto caratteristico della nazione: Bononia docci. Il primo
personaggio infatti scelto per tipo a rappresentare il BolognMC
nelle più antiche commedie si fu certo Dottor Graziano^ che pei
lo più cogli arguti consigli prestava la chiave allo sviluppo diri
dramma nelle rappresentazioni famigliari . che furono assai mi*
merose nel sècolo XVII. Al Dottor Graziano furono sostitaiti siifr
cessivaraente il Dottor Balanzòn Lombarda ed il Dottor Tmvlèia,
il primo de' quali ^ come mèdico e filòsofo ^ prestò lungamente il
sale e la dottrina ai poeti ed agli scrittori di commedie , ed il
secondo, come astrònomo, prestò il nome ad una lunga sèrie
d' almanacchi ripieni di faceti componimenti poètici.
Fra i più antichi scrittori di commedie, che introdussero yev
la prima volta il Bolognese Graziano a parlarvi la nativa Ai^eiit^
meritano speciale menzione Giulio Cesare Croci , Adriano Bah
chieri, col mentito nome di CamWo Scaligeri dalia FrailatìUt'
chiorre Zoppio, Diofebo Agresti, Fabrizio Mirandola, Fulvio GHoi
rardi ed altri molti che arricchirono di componimenti dramnà*
tic! la patria letteratura ; ma in tutte queste produsloni inlete*!
ricreare gli spiriti fra gli ozj autunnali e le lunghe sere d'Ha^
verno , il dialetto bolognese , come si scorge , non vi ebbe elM
parte secondaria , in forma di diàlogo domèstico , essendo d' al*
tronde quasi tutte queste commedie scritte in lingua italiana , e
parlandovi il solo Graziano la nativa. Arrogo, che talvolta Tao*
tore di tali drammi non era neppure Bolognese , e che pev
conseguenza ben di sovente il linguaggio posto in bocca al 6m«
ziano era un linguaggio baslardo ripieno d' idiotismi divari paesi,
guasti ancora dair ortografia imperfetta adottata dai tipògrafi e
dair imperizia dei copisli.
Per queste ed altre slmili considerazioni , il primo serìtlore
che dobbiamo risguardare come fondatore e padre della lettera^
tura vernàcola bolognese , si è il rinomato Giulio Cesare Crodi)
il quale fornito di vivace e fèrtile immaginazione e di poèlld
talenti , dtre ad un nùmero ragguardévole di commedie, sèfttH
ancora alquanti componimenti poètici nel volgare dialetto, e
DULrrri i miuam. 297
folU iBcora in quello deUa campagna. Tali sono Ara gli allri :
// tomento di Barba Poi per aver perso la TogniìM sua tnas^
saja^ Il BaUibecco delle laoandarej II lamento dei oillani pel
bando che intimala loro la consegna degli schioppij La Tebia
# Barbfn Poi da la Livradga fatta dtU Ca/pall; La Bossa dal Ver*
90/ £a Fleppa combattùj La Simona dalla Sambuca ; Il Festino
di Burba Bigo dtUla Valle; Vanto dt due Villani; La gram
grida fatta da Vergon dalla Sambuca per aiper perso l* àsino
del tao patrone. Rivaleggiava col Croci Adriano Banchieri^ il
qoale coUo scopo di promuòvere la patria letteratura vernàcola,
fobbUcò nel 1636 in Bologna un Discorso sulla precedenza ed
eeeedenxa della lingwi bolognese alla toscana j così nella prosa
tome nel ^erso. • .
Le speciose argomenlazioni colle quali tentò provare l'assunto
non rìnisero sena effetto , dappoiché due anni posteriormente
il pittore bolognese Gio. Francesco Negri pubblicava una versione
n dialetto bolognese della Gerusalemme liberata di Torquato
Tasso; tentativo per verità non meno àrduo che difficile^ col
spiale , sebbene a suo malgrado , il traduttore diede una solenne
SMDtita di fatto alle ardite asserzioni del Banchieri rispetto alla
9operìorìtà di quel dialetto al paraggio dell'italiana favella;
^jaccbè non appena ebbe egli pubblicato il duodècimo Canto
^ella sua versione, che i principali Signori di Bologna gli vio-
larono di continuarne la pubblicazione , per non palesare il
droppo ridicoloso effetto della loro natia favella,, Co^ appunto
^uona mia nota apposta in fine del volume contenente il fram-
nnento della versione suddetta. Con tutto ciò npn lasceremo a
^esto propòsito di avvertire <, che se ardito e men fondato ci
parve il tema proposto dal Banchieri, non possiamo nemmeno
INrender parte neir opinione dei Signori bolognesi che distòlsero
il Negri dal compimento dell'impresa versione ; mentre, lasciando
9 parie qualsiasi inopportuno confronto, egli è fuor d'ogni dub-
bio che il dialetto bolognese , al pari di tutti gli altri dialetti ,
ha le sue peculiari e distintive bellezae, come appare da al-
^pianti brani della versione surriferita , e meglio ancora da una
lunga serie di componimenti originali di scrittori distinti che il-
lustrarono quel sècolo, non che i successivi.
^98 PARTI SEICdmiA.
Procedendo sulle orme del Banchieri, verso la meli della sImi
secolo, Ovidio Montalbani si fece a provare rantichiti, riaipoi
tanza e la bellezza della patria lingua in due òpere 8iiece«lv
intitolate; la prima: Dialogogxa, orpero delle cagioni e deUmtm
iuralezza del parlare j e spezialmente del più anlico, del più ijin
di Bologna; la 3.' Cronopròstasi Fehinea, owero le tgliimil
vUìéicie del parlar bolognese e lombardo. Ambedue queste dpdn
furono più tardi dallo stesso autore compenetrate nel libro M
telato: Il Vocabolista bolognese, nel quale sidimoslra U pmtim
pia antico di Bologna lodewlisHmo. ' t
Questi nuovi sforzi del Montalbani intesi a provare la noUH
e la ricchezza del pròprio dialetto, furono ben presto asaaeai*
dati dagli scrittori successivi, che in buon nùmero si fecero ai
illustrarlo con upa serie di componimenti originali. Senza soCv'
marci alle poesie di minor conto di Antonio Maria Acconi, ehi
sono qua e là cosperse d'àtti(M> sale e di lèpide immàgini, aè*
riia onorévole menzione sopra tutti il celebre Lotto Lotti ^ cIm
sollevò pel primo il pròprio dialetto air onore dell' epopèa, ode-
brando in cinque Ganti in ottava rima La Liberazione di /^jeniw
daW assedio dei Turchi. Sono importanti le osservasioni jhllt
dallo stesso autóre nella prefazione al suo poemetto, cui diede
lo strano tìtolo: Cli* n'à cervèll àpa gamù^ colle quali, mentre
cerca iscusare l'improprietà di certe voci per lui adoperate, elH
potrebbero non sembrare a taluno prette bolognesi , accenna alla
varietà di fraseggiare, di pronuncia, di accento e d'idiotìsiai
esistente a^ suoi tempi , vale a dire due sècoli fa, nei varii quar-
tieri della stessa città di Bologna, cosi appunto come noi l'ab-
biamo notata oggidì, non solo in Bologna, ma in tutte le grandi
città d' Italia. Una tale testimonianza essendo di gran valore pd
linguista, al quale somministra novella prova, che nemméno li
vicinanza ed il quotidiano commercio tra due dialetti comunque
affini, vale coi sècoli a fónderli perfettamente in un solo ^. né
molto meno a distrùggere gli essenziali elementi primitivi che
li distinguono, crediamo opportuno riportarla verbalmente, Ande
avvalorare ancor più i cànoni principali che nel corso <B qiMte
penose ricerdie siamo venuti mano- mano sviluppando. •• Tqiai
DIALETTI EMIUAM. 299
dirai, eosl parla il poeta al lettore, che Y elocuzióne Boa è pu-
rameiite bolognese, perchè talora per ispiegare una ooea, mi
servirò d'nn tèrmine, ora d'un altro; che il parlar bolognese è
un solo, e che deve ancora esser sola la parola e la maniera
che deire spiegarlo. In questo ti voglio avvisato, che il parlar
bolognese è un parlar misto, e che varia frase, pronuncia, ac-
centò , proverbj, al variarsi degli ingoli della città; perchè chi
ibita verso la via Romana detta Strà maggiore^ pare che imiti
il Romagnolo ; chi alla porta di strada S. Stefano fino a quella
di Saragozza, s'accosta al Firentino; chi alla porta di S. Felice
sino a Galliera , mostra un non so che di linguaggio lombardo ;
e da questa sino a porta Sanvitale assomigliasi un poco al Fer-
rarese; derivando ciò per lo commercio che hanno più vicino
con i fiorestieri, che concorrono dai nominati paesi ; osservazioni,
che, considerate come verissime, ti chiuderanno il passo a qual-
che errònea opposizione , che forse mal avvertito contro mi sca-
gliaresti.
n ki Bologna , per lo tràffico delle sete , ovvi un tal parlare
pròprio dei filatoglieri, cosi stravolto, che chi non è ben prà-
tico di questo difficilmente l'intenderà. Fra queste ottave vi sono
molte formolo che a lèggerle pàjono scipite, ma a sentirle arti-
colare sono assai piacévoli e gustose; però quando tu nel lèg-
gerle non vi saprai aggiùngere la pròpria pronuncia , non le in-
tenderai. "
Oltre al citato poemetto, il Lotti pose in luce altri componi-
menti , fra i quali un' òpera divisa in sei diàloghi e ripiena
d'utili ammaestramenti, cui diede il modesto tìtolo di: Rimedi
fir la sonn da lèzr alla banzola. Rivaleggiò con lui nella spon-
taneità e grazia poètica il bolognese Geminiano Megnani, che
col mentito nome di Zorz Burlintòn prosegui sullo stesso argo-
nento, e cantò in due separati poemetti le vittorie dei Cristiani
contro i Turchi dopo la liberazione di Vienna. Frattanto non
mancarono altri poeti che coltivarono con onore la lìrica, met-
tendo in luce alquante poesìe d' occasione , sebbene per la te-
nuità del formato e per la poca importanza degli argomenti ^
solo poche giungessero fino a noi. Per tal modo la letteratura e
500 FAftn MCOXDA.
la poesUi ternioola bolognese, come ebbe principio eoi rteoloXVH^
fu anceni nel eono del medésimo solidamente stabiMf ed isBai-
zata al rango delle altre letterature vemàcole. *
Aperta ed agevolata la strada^ s* accrebbe a dismisura nel sè-
colo seguente il nùmero dei verseggiatori, e poiché ncm s'ebbe
più a temere quel ridkoloso vffelto del parlar òolognnej die
vietò al Negri la versione del Tasso, anche le imitazioni dai
clàssici poemi si succèssero rapidamente. Vi pose mano il bene<^
mèrito Giuseppe Maria Bovina, voltando in ottava rima bolofoése
il rinomalo poemetto: Le Dmjraiiv di Bertoldino; ciò cbe in-
vogliò le distinte sorelle Zanetti e le non men benemèrite Man-
fredi a tradurre dall' originale creduto di Pompeo Vizzani^ in ci-
tava rima bolognese , i tre poemetti intitolati : Le Di»graMk di
Bertoldo^ Bertoldino e Cacasenno. Né quivi s' arrestarono le in-
stancàbili Manfredi , che fra gli studj più gravi delle dàasioba
lèttere nelle quali còlsero tanti e si svariati allòri, noniadegnih
rono di scéndere sovente a conversare famigliarmente ooUe ìth
fimo classi , voltando cen singoiar grazia e maestria nella loro
prosa domèstica il lèpido libro scritto in dialetto napoletano, eoi
Utolo : Cunto de li Canti. Gli è questo una raccolta di novelle
destinate ad ingannare la noja delle lunghe serate invernali^
cui perciò appunto le Manfredi intitolarono : La CiacUra dht
banzota , ossia : Fol di^rs tradotti dal parlar napoliiàu m
lèingna bulgnèisoj pr riuìedi innusèint dia sonn e dia nio/mctuii.
Alle medésime sorelle Maddalena e Teresa Manfredi suobi attri-
buire comunemente la graziosa e popolarissima Canzone per alh
brucdare la Fecchia a mezza Quarésima.^ nella quale con mi-
ràbile semplicità viene svolta T orìgine di quella bàrbara usanza,
e di cui tutti gli anni si rinnovano e distribuiscono fra il pòpolo
parecchie edizioni (i).
Mentre queste benemèrite cittadine assecondate da parecchi
letterati bolognesi cercarono avviare il pòpolo alla lettura ^ed
all'istruzione con gioviali racconti nella lingua nativa, altri s* ade-
(0 ^^ggasi nel Ca^H) seguente, ove fra i Saggi di qnesfn Iclleralura ab-
biamo riportalo la suddcUa Canzone.
OIALCTTI miLIA.^I. 301
perùtmo a Voltar nella stessa graziosi poemetti Glissici italiani,
qaali sodo: La Secchia rapila del Tassoni, e V Asinata di Cle^
oieDte fiondi. Il primo venne in luce nell'anno 1767, per òpera
d'anònimo autore, col titolo: /fi triónf di Mudnh pr una sec"
da lolla ai Bulgnts^ ed è veramente on capo-lavoro di tradu-
zione vernàcola, per la fedeltà colla quale seppe serbare lo
spkito faceto ed arguto dell' originale, il secondo esperà del ce-
lebre Anidbale Bartoluzzi , le cui svariate poesìe lìriche formano
sonpre le delire de' suoi concittadini. Anche il Canònico Longhi
tradusse con singolare grazia e maestrìa le fàvole non meno istrut-
tive d^ La Fontainc; per modo che la letteratura l)oIognese venne
a pQoo a poco appropriandosi alquante gemme delle letterature
italiana e straniera.
Him per questo venne meno lo slancio degli scrittori originali
in prosa ed in verso, dei quali vanta gran còpia lo scorso sècolo.
Per tacere dei molti autori di Commedie , fra i quali emèrsero
jwineipainiente Pier-Jacopo Martello e Pietro Zanotti , accenne-
remo all' anònimo poemetto in ottava rima diviso in sei Canti ,
die apparve verso la metà del medésimo sècolo col titolo: F'éta
cMa Zè Sambuga naia in l'ai cn^in de Ohij ctm (a nàssitaj
-wéla, suzzùtfs e dsgrazi d* Zè Rudeìla «ò /ló/a. Dalla popolarità
^ cui godette per qualche tempo questo poemetto bernesco, pare
che derivasse sin d' allora il costume di denominare Zìi Rndelle
certi componimenti lìrici d'occasione, per lo più in forma dì
Canzone anacreòntica, scherzosi, ma satìrici, che equivalgono
in molti rapporti alle Bomiude milanesi. Faremo ancora onoré-
vole menzione del grazioso poemetto, pure in ottava rima e di-
viso in sette Canti, del conte Gregorio Casali, ove descrive con
snolta forza , con vivaci immàgini e spontaneità di verso, le fa-
sdoni e le guerre civili dei Lambertazzi e dei Geremei, che la-
freràrono Bologna nei sècoli dì mezzo. Questo poemetto, che ha
per tìtolo: Bulogva (raKajà dal giierr rfpt/ di Lambeì'tàzz e di
4ieremi^ occupa il primo volume della Raccolta di componimenti
in dialetto bolognese, che doveva constare di dodici volumi, e
del quali soli sette videro sinora la luce. Tra i poeti Urici poi ,
che meglio illustrarono la patria lingua, oltre ai suUodati Barto-
303 PAaTB SGC0310A.
luzzi e Canònico Longhì, non dobbiamo ulteriormente tacere* 1
nomi assai celebri in palria di Giuseppe Pozzi, Giulio Abmli:,
Gian-Batista Gnudi , Camillo Tartaglia, Claudio-Eteanno Femri^
Angelo Longhi fratello del mentovato, ed altri molti, delle eoi
svariate produzioni a buon diritto si gloria la citt^ regina hi
tempo degli studj.
E qui ci sembra opportuno avvertire, come parecchi fra i H^
stinti scrittori vernàcoli , mossi da pura modestia o da proprie
considerazioni a noi sconosciute, volendo calare il proprio none,
assumessero talvolta il tìtolo immaginàrio di accadèmico del 7V>
tei lo y ciò che potrebbe indurre per avventura il lettore udì' er-
rònea supposizione dell' esistenza d' una speciale Accadèmia, in*
tesa a promuòvere ed ordinare gli studj relativi aUa palria Uè^
teratura vernàcola. Sebbene propriamente in origine una shnìle
denominazione venisse adottata da molti quasi per ischeno, onda
contrapporla all' altra comunemente assunta dagli Accadènid
della Crusca, ciò nulladimeno im tentativo di shnil iatla ebbe
pur luogo nel principio del sècolo presente, col nòbile fine ap«'
punto di porre un freno alla crescente licenza degli scrittori
vernàcoli e dei loro tipògrafi, fissando un sistema ragionato d'otr
tografìa , e compilando un vasto Vocabolario ed una Grammàtica
del dialetto bolognese, a sicura scorta dei linguisti che amàssera
rivòlgervi le loro speculazioni , non che ad agevolare agli stra-
nieri la lettura dei componimenti bolognesi.
Ne sia lode allo zelo ed all' ingegno dei distinti scrittori vi'
venti professor Lucchesini , Camillo Minarelli , Rafaello Buriairf
ed altri loro colleghi, che primi rivòlsero le loro cure a qiie<^
st' lìlile insti tuzione, e pósero mano al lungo e penoso lavoro. Se
non che, mentre questi benemèriti cultori del patrio retaggii
stavano incalzando con perseveranza i loro studj preparatori, al-
tro distinto filòlogo, il chiaro Claudio Ermanno Ferrari ^ precone
in parte ai loro sforzi ed ai loro desiderj , pubblicando nel t8$i
un /Vocabolario JJolognesc'Ualiaiìo ^ al quale diede ben presto
piti ampio sviluppo nella seconda edizione^) che pose in luoe
nell'anno 1835. Frattanto il professore Giovanni Battista Fakri
propose un PèotjvUo d* orlofjralìa ùolognvsc , che Ignoriadla'
DIALETTI ENIUAM. 505
Tenisse generalmente adottato. Questi lavori interruppero V im-
presa dei gióvani accadèmici , i quali ben lungi dal rallentare i
loro stodj per le òpere novellamente apparse ^ avrebbero dovuto
riguardare il Ferrari ed il Fabri come proprj collaboratori, e
(Hriggere quindi i . loro sforzi a riempire le lacune e rettificare
le mende del Vocabolario del primo , ad esaminare e modificare,
ove occorra, il progetto del secondo, ed a compilare con mag-
gior agio e più copiosi materiali la Grammàtica, la quale non cessa
d'essere oggetto di desidèrio per gli studiosi. "
Chiiideremo questi ràpidi cenni , soggiugnendo due versi di
riconoscenza ai generosi, cbe olire ai mentovati, illustrarono coi
loro studj e colle òpere loro ì) sècolo presente , coltivando la
patria letteratura vernàcola, fra i quali noteremo D, Giuseppe
Zaiupieri , Luigi Montalti , Carlo Frulli e Biagio Uccelli, e faremo
voti, onde ridonata ben presto la calma al bel paese, possano
tutti riuniti neirAccadèroia del Tritello maturare e dar pieno
compimento a quegli studj , ai quali nel corso di queste brevi
pàgine cercammo apprestare condegna corona.
Per quanto abbiamo potuto rovistare negli archivj della* Ro-
magna e nelle raccolte di quei cultori delle cose patrie, non ci
riusci constatare, se alcuno di quegli svariati dialetti venisse nei
sècoli trascorsi sottoposto alla tortura del metro. Se sì eccettui
qualche scherzo poètico d'occasione, di cui taluno ricorda aver
udito cenno, e che scomparve del tutto col nome del rispettivo
autore, si può dire che i dialetti romagnoli furono per T addietro
interamente trascurati. Solo negli ùltimi tempi, dopo che quasi
tutti i dialetti itàlici ebbero una letteratura più o meno copiosa,
alcuni fra i romagnoli furono sollevati all'onore del metro, per
òpera di scrittori distinti , i cui componimenti vernàcoli ottennero
meritamente gli universali suffragi. Tali dialetti sono propria-
mente: il Ftisignanese ed il Forlivese. Il primo fu celebrato
con molta grazia in una sèrie di canzoni vernàcole dal chiaro
Don Pietro Santoni, cui Vincenzo Monti soleva denominare l*^-
:iwcrtonte di Fusigtwno, Il secondo fu illustrato solo ai di nostri
dal benemèrito Giuseppe Acquisti, poeta fornito per eccellenza di
poètici talenti, e dalla cui fàcile vena possiamo riprométterci
<K3
set PARTE 8CC0?IDA.
ancora noyelle produzioni. Una serie delle composinoni del prioM
fu testé pubblicata in Lugo^ col titolo: Scelta (H poesk itatUmc
e romagnole di Don Pietro Santonv^ come pure venne di lu-
cente in luce una pìccola raccolta delle brillanti poesie dd se-
condo, in Forlì sua patria. Ad evitare la taccia di parzialità ,
sottoponiamo al giudizio dei nostri lettori nei seguenti Saggi H
letteratura emiliana luia scelta delle une e delle altre ^ alle qaili
abbiamo la sorte di aggiùngerne alcune inèdite graziosameoli
largiteci dal chiaro signor Acquisti medésimo. Esìstono altresì ài*
cune poesìe di minor conto in qualche altro dialetto ronuigaelò,
che non furono mai affidate alla stampa; ma non gìà^ per quanto
d consti, verun componimento di lunga lena; e perciò siaat
ancora lieti di poter offerire ai nostri lettori^ per la prima ToIt%
un Saggio dei medesimi^ in alcuni Sonetti Ravennati, ed ii|un
Ottava Rima inèdita nel dialetto dì Lugo, del prof. Chinassi,
graziosamente offertaci dall'autore.
Fra tutti i dialetti romagnoli, come altrove accennamnovl
Faentino, pel complesso delle sue distintive proprietà, àovìM
forse alla geogràfica sua posizione , venne riguardato da alcuni
siccome il tipo rappresentante i dialetti romagnoli, e perciò H
dotto filòlogo Antonio Morri da Faenza avvisò opportunameoto
di compilarne un copioso Vocabolàrio, che, arricchito dei priih
cipali idiotismi della Romagna tutta e di importanti e sòlida
osservazioni, fu dal medésimo splendidamente stampato neiranoo
1840, in 4.^ grande, col tìtolo: Fonaholario Roinafjrìolo-Italiatio.
il valente autore si rese per tal modo sommamente benemèrilo
della patria, riempiendo così una grande lacuna niell'immeiMO
campo delle lèttere volgari italiane, ed è molto a desiderarsi,
che il suo nòbile esempio trovi imitatori fra i suoi concittadiid^
giacché nessun altro fuori dei nazionali è veramente atto a pòr-
gere una compiuta illustrazione di qualsiasi dialetto, e spedal-
roente del romagnolo, per singolari forme e difficile pronunda
assai{distinlo^*da ogni altro d'Italia
Sebbene Modena da varii sècoli sia Capitale d'uno Stato se-
parato ed indipendente, ciò nulladimeno il suo dialetto non fu
incn trascurato del romagnolo da quelli che sinora lo parlarono»
DiALerri emiliani. 50tt
b onla alle ripetute nostre indàgini, non ci riuscì scoprire,
eh' egli fosse in verun modo coltivato dagli scrittori dei sècoli
traaooffti. Le sole produzioni che ci venne fatto rinvenire gii
INdMieate colle stampe, sono: una lunga ed insipida IConiadi"
nmca tu lingua rùslica, delta la Menga o Zia Tadeiaj [alia nri
tftttH per intermezzo delt intinta del Tasso j ed una non meno
slaccbèvole Canzòn in lengua mudnèisa sorra la gran moda
tq^iel fémen che s* dmànden mezz pataj^ eh* a vrèn tgnìr cU basnl
alla barba a tunnel dam, pubblicata neiranno 1778. La tenuità
• dappocaggine di slmili componimenti male s' adAcono alla città
patria di Muratori e di Tiraboschi; ciò nulladimeno noi li ab-
biaaM> eitati, e riproduciamo nel seguente Capo il secondo con
uà brano del primo, non già come Saggi di letteratura vernàcola,
■a {Muttosto della lingua parlata in Modena e nel suo contado
al tempo in cui quelle déboli composizioni furono scritte, po-
tendo per avventura il solo confronto colla lingua attuale con*
dorre ad ùtili risultamenti.
Priva afEatto di componimenti meritévoli di speciale attenzione,
era naturale , che la favella modenese rimanesse ancora priva
del rispettivo Vocabolàrio, giacché non v'ha dubbio, che uno
degli scopi, e forse il primo, dei lessicògrafi si è quello di rèn-
dere agevolmente intesi al lettore, màssime straniero, i compo-
ninenti scritti. Di fatti il solo tentativo di slmil gènere fatto
linora consiste in una raccolta di mille voci modenesi inserita
ia un Almanacco del 1830, per cura del Dottor Ercole Reggia-
nini, che volle serbàrvìsi anònimo. Mille voci, a dir vero, sono
assai poco per un Vocabolàrio ; ma vogliamo sperare che l' a-
ridità colla quale fu accolto quel tènue Saggio dal Pùbblico,
che in pochi giorni ne esaurì l'edizione, e la considerazione
ormai avverata, che la compilazione dei lèssici ha dei fini ben
più elevati e più nòbili di quello di agevolare ai lettori l'inter-
pretazione dei libri ^ spingeranno quanto prima qualche dotto
nazionale a consacrare le proprie veglie a sì nòbile impresa.
Più avventurato del modenese, il vicino dialetto reggiano, se
non vanta produzioni di lunga lena^ fu però coltivato con buon
successo da parecchi scrittori di mèrito sin dal sècolo XVI, e
506 PARTE 8EC0?I0A.
novera lunga sèrie di componimenti lìrici meritévoli di oBorati
menzione.
Già sin dal Itf70 incirca certo conte Dalla Fossa scrisse uni
Commedia in versi reggiani^ che fu rappresentata in Reggk
con pieno successo ^ e che rimanendo lungo tempo manoscritti,
per mala sorte scomparve. Luigi Lamberti ne deplora la pèrdili,
ed il Terrario , in tina nota alla sua Raccolta^ ne fa onorévole
menzione. Egual sorte toccò pur troppo a varie alti*e poesie vo-
lanti di quell'epoca, le quali, per non èssere mai state pubbli*
cate colle stampe, dispàrvero coi nomi dei rispettivi autori. .Sole
in sul principio del passato sècolo i torchi tipogràfici accòlsen
per la prima volta i componimenti vernàcoli reggiani , e ne tm*
misero copiosa serie alla posterità inseriti in vari Almanacchi.
Pronostici e Diarii, che senza interruzione vennero da quel tempc
alla luce. Ne perchè formino parte d'un gènere di libri tinto
meritamente screditati ai giorni nostri , si giudichi sinistrameali
sul loro poco valore letterario; che anzi taluno fra questi si acquisii
il pùbbUco suffragio e la patria riconoscenza, non solo per II
grazia e spontaneità poètica, ma altresì pei morali ed ùtili am
maestramenti che racchiude. Di slmili componimenti è HpieiM
appunto il Pronostico periodico, intitolato: Satulrùnda Ruf^SlÈt
stròleg modem j che dal 1720 incirca, per lunga sèrie d'amii
vide successivamente la luce. Esso contiene parecchie poerti
nel dialetto di contado, nelle quali Sandrone sferza di continiK
le mode muliebri e le caricature de' suoi giorni con molta grazii
e brio. Di questo Sandrone appunto così parla V anònimo auton
della Pandora^ pubblicata in Reggio nell'anno 1741:
vnian non è, poiché d{ quel sa scrivere,
£ svelarne appunlin l'alta mullsia,
E lutti i furbi lor giri descrìvere.
An/.i Sandrone è un uoiQ cirha più perizia
Dell' etèreo molo Impenetràbile 3
Che non hanno i \illàn dell'avarizia.
Questa sèrie di pronostici offre ancora novello interesse alle
studioso, mentre, come si può scòrgere dal Saggio che inseriaiiMi
nel Capo seguente, osso ci porge la più sicura testimoniania.
\
DIALETTI- emù AM. SQJ
che il dialetto rùstico reggiano^ da oltre un sècolo, non ha sn-
Ufo veruna notévole modificazione.
Rivaleggiarono con Sandrone da Rivalta altri Almanacchi pure
scrìtti in lingua reggiana rùstica^ (ra i quali noteremo: yél Con-
iadén antròlcg; svartafdz d*j4fnbrosònn Sgarbazia^ e qualche ai-
titi di minor confo, intesi tutti a far rìdere i lettori con lèpèdi
diàloghi e poesie bernesche. Per tal modo i Lmiari, i Prono-
stici e simili continuarono per tutto lo scorso sècolo ad èssere
quasi esclusivi depositarii delle composizioni vernàcole degli scrìt-
tofri reggiani; dappoiché i, se si eccettui una pìccola raccolta di
poesie pubblicata nel 1733, col titolo: Le Nozze di Contado j
nessun' altra produzione di simil gènere pervenne a nostra iio«
Usia, pubblicata colle stampe.
Questo costume d'inserire nei Lunari i componimenti vernà-
coli fu conservato anche nel sècolo presente, in cui il Prevosto
Rocca di Reggio pubblicò per una serie d'anni T anònimo Zu-
natH jdrsàn per Tanno i82tt e seguenti. Ivi, oltre ad una prefa-
zione in versi reggiani, conlèngonsi varie poesìe vernàcole di-
rette a corrèggere con lèpidi racconti i costumi ed i vi^ del
[Mìese; mailpoéta, sovente privo della vera ispiradottOy vi prende
per lo più il tuono di predicatore pedante, rivolgendo talvolta
le sue preghiere alla Vergine ed ai Santi, senza mostrarsi poi
troppo scrupoloso nel serbare con fedeltà il vero tipo del dialetto
nativol
Morto il prevosto Rocca, la pubblicazione del Lunari Arsàn fu
interrotta, sinché ne imprese la continuazione con assai migliori
auspicj nel 184-1 il chiarissimo canònico Ferrante Bedogni, autore
anònimo della maggior parte delle argute e brillanti poesie.rac-
chiuse nei volumetti successivi. Fornito di soda dottrina e di non
comuni poètici talenti, il prof. Bedogni sollevò co' suoi compo-
nimenti ad alta rinomanza il Lunari .^iraàn^ cui appose il bene
adattato motto: E sferzo il vizio , e chi seii duoi s'accum. ì\i
rìnn) una scelta raccolta di poesìe originali in vario nietro, non
solo., ma eziandio di versioni di componimenti clàssici, segnata-
mente déiVy^rte Poètica d'Orazio e della Sàtira suW /Jmrizia^ In
queste versioni non si può abbastanza conmiendare la fedeltà del
510 rARTE SECONDA.
Frignano. Assai più ancora ci sorprese il riconóscere, come Im
quel tempo medésimo vivesse in Sèstola un rozzo pastore, deno-
minato ^icola Ga]b% il quale, sebbene privo d*ogni preparatoria
istituzione, rallegrava e tratteneva sovente i suoi 'connaziondi
colle proprie poesìe vernàcole, che talvolta improvvisava in ooca-
sione di feste villereccie. Lieti della scoperta, non senza difficoUè^
ne abbiamo spigolato alcune, e ne faremo dono ai nostri lettori
nel Capo seguente.
Groppo FrrrarcHC.
«
Il dialetto ferrarese, come abbiamo più sopra indicato^ è di
recente formazione, e quasi im linguaggio ibrido, mentre la po-
polazione cbe lo parla emerse dalla miscela di varii pòpoli, dbt9
nel corso delle nòrdiche invasioni cercarono ricóvero nei palo*
dosi polesini, dai quali surse più tardi la fèrtile pianura ferraresi.
Esso non vi potè quindi èssere del tutto stabilito, se non dopo
che tanti disparati elementi vennero fusi in una sola lingoa^.e
quando questa cominciò a vìvere una, vita propria sotto gliaoi-
picj d'un regolare governo. Inoltre sembra indubitato, che questa
lingua abbia subito notévoli modificazioni, variando le propor-
zioni degli elementi stessi cbe la compóngono; dappoiché eglift
certo, che da principio vi prevaleva l'elemento vèneto, e cbe
in séguito, collegata geograficamente e politicamente all' Emilia,
vi prevalse l' emiliano. Ce ne prestano vàlida prova le òpere di
Pietro fiagliani pubblicate sulla fine del sècolo XVI, nella cui
lingua, a differenza dell'odierna, signoreggiano ed emèi^no
sopra ogni altra le vènete forme. Queste òpere , nelle quali
l'autore si nascose sotto il finto nome dì Dottor Graziano Forbe»
soni, sono le più antiche produzioni conosciute in quel dialetto,
e sono: una Traduzione del Caos in oltana rirnuj ed un altro
poemetto, intitolato: Le cetUo e quindici conclusioni in oUwm
rima del plus quam perfetto Dottor Graziano Foròesoni da
Francolino^ ed altre manifatture e cow^wsizioni netta sua òtiami
lingua. Se non cbe la divergenza notévole di quest'ultima dal*
r attualmente parlata indusse i Ferraresi medésimi a risguardarla
come fittizia, o propria d'altro paese.
DIALETTI CVIll.lAM. fli
£ perciò i primi fondatori della letteratura vernàcola ferrarese,
riooDosdati in patria.^ sono i due Baruffaldi, Girolamo cioè ed
Ambrogio. Il primo, già onorato nella repùbblica delle lèttere
italiiune per la sua raccolta di poesìe sèrie e giocose, scrisse in
tal principio dello scorso sècolo in versi di varia misjura alquante
poesie bernesche in forma di Diàlogo, colle quali, mentre intese
a ricreare le brigate, mirò ancora a corrèggere i corrotti co-
stumi del suo tempo. Sebbene ripiene di sali e di ùtili ammae-
stramenti, esse rimasero inèdite sino alla fine dello scorso sècolo,
in cui vennero per la prima volta in luce, inserite nel terzo
volume delle òpere pòstume del medésimo autore. Sono divise in
dieci diàloghi famigliari, in ciascuno dei quali, senza risparmiare
alcuna! classe sociale, ne mette in chiara mostra i castumi, i
pregiudizj ed i \izj, con verità d'immagini, finezza di sàtira e
severità di crìtica.
In queste òpere del Baruffaldi, racchiuse nel tìtolo: La Lnm
dal mànegj e col nome anagrainmàtico di Ubaldo Magri Farolfi,
consiste propriamente tutta la letteratura di questo dialetto, poi-
ché gli altri componimenti che videro la luce di poi, non
SODO che poesie d'occasione per lo più in foglio volante, delle
quali basterà far menzione nella seguente Bibliografia dei dialetti
emiliani. Le sole operette che ancora dobbiamo notare, sono: /
Pi^guòsiicli per l'atiu 1732 cumpunèst da Barba Maureli Slup-
pión arzdór dela KÌlla d' Comi ; nel qual Almanacco V anònimo
autore, che è Ambrogio Baruffaldi, inserì varii componimenti
poètici in dialetto rùstico ferrarese; ed un Lunario periodico,
intitolato: Chichélt da Frara^ che venne per la prima volta in
hice nell'anno 1826, e continuò poscia nei successivi senza
interruzione sino al presente. Ivi tròvansi pure racchiusi molti
graziosi componimenti vernàcoli del conte Francesco Aventi, al
quale siamo debitori della versione della Paràbola neUo stesso
dialetto inserita in uno dei precedenti capi.
A malgrado della povertà di produzioni letterarie, il chiaro
abate Francesco Nannini non rifuggì dalla fatica di compilare
un Vocabolàrio della favella nativa, cui pubblicò in sul principio
del sècolo presente, premettendovi la spiegazione d'un progetto
319 1»ARn SECONDA.
d'ortografia da lui medèsiiuo seguilo^ onde rappresentare più con-
venientemente i suoni speciali del patrio dialetto. Mentre non
possiamo dispensarci dal benedire le buone intenzioni, le core
e gli studj del benemèrito autore^ non dobbiamo at tempo sfesso
intralasciar di notare, cbe il lavoro del Nannini è piuttosto un
Saggio di Vocabolàrio, mancando esso di molte voci esclusiva-
mente ferraresi, màssime della provincia^ mentre nello scarso
nftmero complessivo delle voci che lo compóngono se ne trovano
parecchie affatto supèrflue, perchè comuni alla lingua generale
della penisola. Speriamo che ormai non sarà lontano quel giorno,
in cui gli studiosi, convinti della somma importanza e dei rilevanti
vantaggi che derivar possono dalla diligente e ragionata compi-
lazione del Dizionario dei rispettivi dialetti, non tarderanno a
rivòlgervi di concerto le proprie speculazioni.
Se pòvera è la letteratura vernàcola ferrarese, nulla è quella
degli altri dialetti appartenenti a questo gruppo ^ mentre nessuna
produzione, per quanto ci consta, venne mai pubblicata nei
dialetti mirandolese, guastallese e mantovano. Non per questo
mancarono talvolta lèpidi scrittori, che si valessero anche di
questi in alarne poesie d'occasione: che anzi ci venne folto
di scaturirne alcune manoscritte meritévoli dell' onore della
stampa ., così per la scorrevolezza del verso , come pel brìo
e per la forza del concetto. Tali sono in ispecie certe can-
ioni bernesche in lingua rùstica mantovana di Giovanni Marìa
Galeotti, che viveva nella prima metà dello scorso sècolo. Furono
scrìtte dall'autore per èssere recitate da una màschera di con-
tado nelle feste carnescialesche , e passando tradizionalmente dì
boeea in bocca, sono tutt'ora gralo passatempo dei connazionali
ehe le imparano a niemòrìa., e le vanno recitando alla nuova
generazione. Così di queste^ come della poesìa mirandolese, ci
è grato di poter pòrgere ai nostri lellorì nel seguente Capo quei
Saggi, che slam venuti mano mano raggranellando.
Quanto al dialetto mantovano, e' pare che un tempo venisse
di propòsito coltivato, perocché esiste tutiavia un roaiMario
fHanoscrilio delle sei lingue toscana ,, inanto^rana^ latina, greca,
tedesca e francese. Esso fn compilato nel sècolo passato dal nò-
DtALCTTl EV1UA.M. 115
iile Biinlovaiio Alessandro- Felice Nonio; ina per mala ventura
rtBMe soDDosduto e sepolto fra le carte dell'autore, né, passando
mi patrimonio ai successivi eredi che ne son possessori, rice-
siiiora destinazione migliore. A riempire questa lacuna a' ae«
fia dall'anno i8S7 il benemèrito nostro filòlogo Francesco
che pose in luce un Vocabolàrio Maniovano^lialiano^
fan con molta cura compilato. É questo il solo libro pid)blicato
ad illustrazione di quel dialetto, e come tale è tanto pii
iaridnratn dai coltivatori di slmiU studj; con tuttociò l'esiguità
ed maieriali racchiusi e gli. errori trascórsivi, forse per la ra-
fidità eoa cai 61 compilato, non lasciano meno desiderare fia
kororo più vasto e più diligente della stessa natura.
Grappa PttrmigiaiM*
Gli è invero doloroso pel filòlogo che va in traccia di materiali,
Sade BUitnrare sòlidi studj sulle origini e sui primitivi linguaggi
M propij c(mnazionaIi, il rinvenirvi talvolta il campo affatto
desaiio ed inculto, senza un sentiero, senza un minimo filo che
valer possa di guida ad indagarne la natura, a misurarne la di-
•eaaione. Tale è lo slato degli studj relativi ai dialetti componenti
fMSlo grappo, che incominciarono appena negli ùltimi tempi,
fiMeado stati aiiatto negletti nei sècoli precedenti. E per verità,
qaaato abbiamo di scrìtto e pubblicato nei dialetti parmigiano,
piacentino e pavese^ che sono i principali, si può denominare
Ifpena leUeratura d'iilwanacc/n, essendo gli scarsi e leggeri
eoBiponìmenti che vi si riferiscono, con poche eccezioni, inseriti
ìa libèrcoli di simil falla, senza pòrgere verun interesse, o ma-
teriale bastévole a fondarvi uno studio.
Quanto al parmigiano^ se non andiamo errati, comparve per
la prima mAIa scritto in un Almanacco instituito intorno alla
metà del sècolo passato da D. Innocenzo Sacchi, col seguente
Molo strano ed insignificante: Strolgamént dil Slrel, pr tan ....
mturàd a bràz con ei forca da dti branz^ dal cafìoràl Quat-
lèrdes Càzzabàl dia inlla d'FigazzéL Ivi sono racchiusi alcuni
Ciloghi o commediole in prosa parmigiana composte all'oggettof
5 ti PARTE SECONDA.
di divertire le popolari brigate^ e mercè alcuni sali sparsi qua
e là^ nel descrìvere costumi o fattarelli municipali^ si acquiate
da principio qualche rinomanza^ sicché venne successivamente
riprodotto ogni anno con lievi interruzioni ^ e continuò aioo al
presente. Che anzi talvolta ne vennero in luce nello stessojona
due e persino tre^ col medésimo tìtolo^ benché in sostamea diveriil.
Quasi oello stesso tempo comparve e rivaleggiò col Cazsabil
altro Almanacco periodico, contenente qualche breve Gommeda
in prosa parmigiana, col titolo: // Sirèl compassad con la ròeài
dalla Fodn'ga da Panoccia. Con buona pace de' rispettivi autóri^
né questo né quello sono parti letterarj atU ad onorare il ptme^
o il dialetto in cui sono scritti. Lo stesso dicasi della lunga sèrie
d'Almanacchi e di Lunari in-2/t.'', o volanti., che nello stesso tenipo»
e dopo, vennero in luce con istorielle e poesie vernàcole, e dei
quali per pura notizia abbiamo trascritto i titoli nella seguente-
Bibliografia.
Il solo libro atto a spàrgere qualche luce sull'indole del dia»
letto parmigiano, si è il Dizionàrio ParmiffiatìO'fialiano^ compi-
lato e pubblicato nel 4828 in due volumi da Ilario Peschieri.
Sebbene esso non sia scevro di quelle mende, che pur troppo
sono comuni più o meno a tutte le òpere di sìmil gènere, e seb-
bene lasci non poco a desiderare cosi per la quantità, come per
•la scella dei materiali., ciò nulladimeno contiene un nùmero ab-
bastanza considerévole di voci, per servire di guida -allo studioso,
non che per meritare i suffragi della pùbblica riconoscenxa.
Dopo un quadro si poco lusinghiero della letteratura parmi-
giana, non dobbiamo nascóndere, come anche Parma abbia a-
vuto ciò milloslante negli ùltimi anni il suo poeta alto., per
distinto ingegno, per forza d'immaginazione e potenza creialrice,
a sollevare la ])ropria al rango delle culle letterature vernàcole.
Tale si mostrò il Calegari nelle molte poesìe satiriche che cir-
colano manoscritte fra le mani de' suoi concittadini e che noi
pure ébbimo occasione d' ammirare. Ma per mala ventura questi
.squarci veramente poètici, anziché rivòlgersi astrattamente contro
il vizio che reprimono, o si scagliano senza màschera contro
persone viventi e conosciuto, p sono macchiati di lùbriche im-
DIAUTTI EMILIA.Xl. 515
migioi e d'osceni concetti^ per i quali non solo fii loro inter-
detta la luce, ma vèngon meno altresì quelle poètiche grazie
che li renderebbero in singoiar modo commendèvoli. Poiché
dunque è loro vietato di formar parte della patria letteratura,
valgano almeno a provare, che il difeUo di buone produzioni
fornioole non è punto da attribuirsi air indole del dialetto par-
migiano, ma bensì piuttosto alla mancanza di coltivatori; egli è
quindi a sperarsi, che Parma, la quale ha somministrato tanti
uòmini illustri alle lèttere clàssiche ed alle scienze, non tarderà
a provvedere a questo difetto medésimo con una sèrie di nuovi
studj sulla lingua sua propria.
Se chiediamo conto alla stampa della letteratura vernàcola
piacentina, non ne abbiamo più favorévole risposta; e qui pure
d si parano innanzi Almanacchi e Lunari in buon nùmero, con
insìpide storielle e comediole in prosa ed in verso. Se non che
spingendo le nostre ricerche sino agli scrittori dei sècoli passati,
che s'occuparono delle cx)se piacentine, vi rinveniamo alcune
osservazioni e notizie di non lieve importanza pel nostro argo-
mento, è che quindi fa d'uopo riferire prima di procèdere allo
stèrile annunzio delle poche recenti produzioni. Rimontando a
Cicerone , troviamo nel Dialogo de^ chiari oratori fatto cenno
dell' inferiorità del piacentino Tito Tlnca^in fatto di proprietà di
Uogua, a confronto dell'oratore romano Quinto Granio; e di
questa inferiorità ci dà poi speciale ragione Quintiliano nel
Trattalo delie Istituzioni Oratorie j osservando, come il Tinca
pronunciasse precula per pergula. Questa sémplice osservazione
basta a provarci chiaramente, come quella tendenza, che ab-
biamo notata nel Piacentino attuale, a trasportare certe lèttere,
e segnatamente a voltare er in rej, rimonti niente meno che die-
cinove sècoli indietro. Una simile testimonianza, sebbene di pa-
recchi sècoli posteriore , ci porge il conte Federigo Scotti, giure-
consulto e poeta piacentino del sècolo XVI, il quale ebbe a no-
tare, come il volgo a' suol tempi permutasse la sillaba ni in //,
dicendo .InUdhi per Antonino^ come appunto si pràtica oggidì,
ed aggiungeva, come per questo appunto parecchi Piacentini
furono un tempo dai loro nemici uccisi , tosto che conosciuti
/w la loro sconvolta pronuncia.
516 PABTE srCO>DA.
Alla testimonianza degli autori suir antichità di alcune
del dialetto piacentino^ possiamo aggiùngere alquante prete di
fatto; tali sono a ragion d'esempio: un'antica iscrizione dd XH
o tutto al più del principio del XIV sècolo, che leggèvasi bob
ha guari scolpita in caràtteri di quel tempo sulla porta del Gn*
stello di Montechiaro neir agro piacentino, e che fu riprodotta
da vani scrittori. Essa era del tenore seguente:
Signori, vu slè tuli gi ben vegnu,
E zascaun chi ghe vera , sera ben
Vegiiù, e ben recevu. -f*
Noi l'abbiamo qui riferita, non già come saggio di quel dta-
letto a quel tempo, mentre siamo d'avviso, che lo scrivente ha
cercato di darvi quella miglior politura che per lui sì potevi;
ma bensì piuttosto come prova ineluttàbile, che il dialetto anon
aveva le medésime fomie che lo distìnguono adesso. Un'altit
prova di fatto ancor più eloquente si è un'antica poesia del sècolo
XIII conservata in un còdice piacentino membranàceo a piedi
degli Statuti latini del Consorzio dello Spirito Santo, eretto 1m
Piacenza da Mussone e Novello Colombo piacentini nell'anno 1)67.
È questa scritta non già in dialetto piacentino, ma in qadla
lingua nascente e malferma, che appunto nel corso del dèciniih
terzo sècolo può dirsi generale d'Italia, che sorgeva modellan-
dosi sulle forme della provenzale , da cui toglieva mano mano
a prestanza alcune voci , e che in onta agli sforzi contrarli éeffi
scrittori, prendeva tuttavia in ogni luogo la tinta, e serbava al-
cune forme del dialetto locale. Un sì prezioso monumento oflEre
troppo importante corredo a questi ràpidi cenni, perchè non
abbiamo ad esitare un istante a pòrgerlo ai nostri lettori. Eccolo.
Supra ogni sapienlia e ategnanza
Tute l'altre cent avanza
L^om che à sen e eognosanza
Dominudé del Cel inspira:
Que lucbessa tempra in lira,
L'oro che col cor ama De
Tuti cossi ven in pè.
loàn e March « Lue e .^lalhr
A scrii lui lò che w dis de De,
DfALKTTI EMILIAM.
517
Chi quel farà el alalèoder
Ilio regno del pater al ascénder.
In zò ch'ay dit è iut el sen,
sì che noe say più dir ren.
A simili iestinionianze si potrà per aweDtura aggiùngerne
altre ancora, esaminando attentamente i còdici supèrstiti di quel
tempo <) 0 meglio le òpere pubblicate di poi. Fra queste è noté-
vole un'operetta di certo Antonio Anguissola piacentino, stam-
pata in Piacenza nel 1B87, la quale racchiude una lista di vege-
tabili, de' quali è della la natura e Tuso mèdico. È invero inte-
ressante il trovarvi i nomi dei vegetabili espressi nelle varie lin-
gue latina, greca, italiana, àraba, spagnuola, francese, tedesca
e piacentina; e sebbene si vegga chiaro, che l'autore si studiò
dare alle voci piacentine forma e desinenza italiana, ciò nuUo-
itanle non vi traspare meno evidente la consonanza del dialetto
d'allora coli' attuale (1).
Sin qui tutto prova l'antica esistenza di questo, come d'al-
tronde è altresì chiaramente provata la remotissima di tutti gli
altri dialetti italiani; ma non troviamo alcim cenno il quale ci
attesti, che il piacentino fosse nei sècoli addietro coltivato e
adoperato dagli scrittori. La più antica produzione che ci riuscì
rinvenire in questo dialetto rimonta alla metà del sècolo XVII,
(f) In prova di quanto abbiamo di sopra asserito, non che in saggio
dell' operetta succitata , crediamo opportuno trascrìvere le seguenti voci:
Piacentino.
lialiano.
Piacentino.
italiano.
Asprella
Rasperei la
Righigna Tasen
Eringe
Bastonala
Paslinaca domcst.*
Roveja
Hobiglia
Carugia
Pastinaca selvàtica
Scarzòn
Cardo selvàtico
0>nfalón
Rosolaccio ( papà-
Speronella
Fior cappuccio
vero )
Siiarella
Cicoria dolce
Erba dal corni
Alcachlngi
Taér d'aqua
Ninfèa
Erba dal tdp
Catapuzza minore
Tass-barbàss
Verbasco
Mirasòl
Girasole
Tavarnèll
Pioppo bianco
Mlisern
Celronella
Turaméi
Aristologia
Nonghrina
Battisuòrcra
Tìmol
Timo
Kastòrz
.Nasturzio
Varnìspriscrìtór
Gomma di gine[
PilàUr
Piretro
Vcrzól
Artemisia
Hednsùm
Fior cappuccio
Zi
Giglio
54 8 PAnTE SECONDA.
c consìste in due brevi poesie di Maurizio Cortimiglia (I), cane*
nico penitenziere della cattedrale di Piacenza^ le quali si Uròvano
inserite nella Grillaja di Scipio G larvano (cosi ehiamàvasi l'A*
prosio)^ e che noi riporteremo per intero nei seguenti Saggf.
Queste poesìe^ che non sono del tutto prive di mèrito, ci damo
a crédere che in quel tempo altri scrittori si valessero del pàtrlÀ
dialetto nei loro componimenti; ma per mala sorte non se ne
•
serba traccia, né stampata, né manoscritta, sino al principio del
sècolo passato, in cui troviamo alcune poesie manoscritte, inti*
telate !a Paiiera^ e ìa Faltora del conte Carlo Scotti. Sebbene
dettati con grazia e con molto sale , questi componimenti non
videro mai la luce, perchè smoderatamente osceni; e per questo
appunto non possiamo impartirne ai nostri lettori che quel bnmo
del primo poemetto, in cui i riguardi dovuti alla decenza furono
bastevolmente rispettati.
Dopo ciò tutta la letteratura vernàcola piacentina trovasi rac-
chiusa in alcuni Almanacchi moderni, tra i quali i meglio accolli
in patria sono: La Pillhjrvina vodva d'Isidori FiccapartuU
zavaltir e stròletjh, Liinarl tv dialót piasintcij e in PiUigréitm
jfnjaróla ch'à sposa al ròfj Spéina- Carpati. Lunari in dialSi
ptasintèi. Questi due Lunari vennero già in luce da parecchi anni,
e contengono alcune poesie in dialetto, che talvolta non sono
affatto prive di sale. Altre produzioni a stampa non pervennero
a nostra cognizione, sebbene fiorissero negli ùltimi tempi in
Piacenza due distinti poeti, Gaetano Ferrini cioè, e Carlo Bon-
gilli^ le cui produzioni vernàcole formano tuttavia la delizia dei
loro concittadini. Peccato, che gli scrittori meglio atti ad iìla»
strare il patrimonio nazionale siensi abbandonati sovente ad udo
stile troppo libertino o a sàtire personali , degradando cosi i
loro componimenti d'altronde commendèvoli pel verso, e ren*
déndone difficile e pericolosa la diffusione! Anche delle ]K>esìedi
questi ùltimi, sebbene inèdite, per buona sorte abbiamo potato
(I) Questo scrittore fioriva appunto intorno al iG5o; il Cresccnzi, nella
Corona deUt nobfUà d'Italia , pubbliciita urli' anno lois , dichiara . che
Maurizio Corteniiglia era stalo >uo proccllorc.
DlALbTTl EMILIANI. 319
f:»re opportuna scelta , per offerirne un Saggio ai nostri let-
tori (i).
In tanta inòpia di materiali, non mancarono frattanto bene-
xuèrìti studiosi a Piacenza, che s'adoperassero a svòlgere ed or-
ciÌDare gli elementi del patrio dialetto colla compilazione del ri-
spettivo Dizionàrio. A quest'utile, comecché di£flcile impresa, pose
amano la prima volta il Dottor Carlo Anguissola, il cui diligente
lavoro è rimasto inèdito sino al presente. Quindi il canònico
Francesco Nicolli fu il primo che pubblicasse nel 1832 un Catà-
£4>go di voci moderne piacentinO'ilalìanej per verità assai ristretto
onde provvedere al bisogni degli studiosi. Più tardi comparse il
^Vocabolàrio Piactnlino- Italiano di Lorenzo Foresti^ il quale,
sebbene alquanto più esteso del lavoro dell'abate Nicolli, è tuttavia
sbancante di molte voci, ed abbisogna di alquante mende. Non
xninore pertanto si è la nostra riconoscenza verso questi bene-
xnèriti, che soli sostennero le lunghe noje e le penose fatiche
uidispensàbili per lavori di simil fatta, onde illustrare la nativa
favella.
Relegati fra i monti in breve territorio, e parlati da scarsa
« pòvera popolazione, i dialetti borgotarese e bobbiese non èb-
l)ero in verun tempo letteratura propria, né furono, per quanto
ci consta, mai scritti. Né ciò può recare alcuna sorpresa, tale
essendo la sorte delle lingue parlate in pìccole terre, e non es-
sendo frequente r esempio del pastore poeta, com'ebbe il Borgo-
tarese in Nicola Galli. Bensì reca piuttosto meraviglia, come il
dialetto pavese, parlato in una città capitale un tempo di potente
regno, e che da sècoli é centro d'ogni eulta disciplina, sia stato
negletto sino agli ùltimi tempi. In fatti la più antica produzione
vernàcola pavese che abbiam potuto rinvenire giunge appena
alla fine del sècolo passalo., e consiste in due brevi poesìe inse-
rite in una raccolta di componimenti, per l'elezione in Rcttor
(i) A questo propòsito non possiamo dispensarci dui dichiarare , clie
la iiiàssima parte dei materiali relulivi al dialetto piacentino ci furono som-
ministrati dalla gentilezza del conte bernardino Paliastrelli , dollìssimo
cultore delle cose patrie, al quale allestiamo pubblicamente lu nostra ri-
conoscenza.
2/t
590 PASTE SBCOIVDA.
Magnifico di quell'Università del celebre professore abate Pieti
Tamburini. Né prima ^ né dopo queste^ compànero altre prodi
zioni in quel dialetto^ se si eccettuino le graziose poesie deidn
poeti viventi Giuseppe Bignami e professore Siro Garatti, d
riscossero in patria ben molti meritati applausi. Le produzioni A
primo, distinte per originalità di concetto e proprietà di lingii
e di verso, tròvansi racchiuse in una sèrie d' almanacchi pubblica
successivamente in Pavia, prima col titolo: Un nuo^ passatempi
e poscia coir altro meglio adattato: Saggio di poene pavesi. R
queste sono specialmente commendèvoli le due versioni del Là
mento di Cecco da FarlungOj e dell' Amante scartato ^ per 1
fedeltà colla quale il poeta ticinese seppe trasportare nel propì
dialetto tutte le grazie degli originali. Le poesìe del professo!
Caratti furono pubblicate in qualche raccolta, o separatameotf
fra queste meritano lodévole menzione alcune Ottave col titok
I dù prim més del Cholera in Pavia.
Non taceremo per ùltimo, come, anche di questo dialetto, ud
nimo autore tentasse pòrgere un Saggio di Vocabolàrio, pobU
cando un'esigua lista di voci pavesi nel 4829, collo spedos
titolo di Dizionario domèstico pavese^italiano. La tenuità peraltr
di questo lavoro è tale, da non meritare punto l'appóstovi Utolc
essendo ristretto appena a poche centinaja di voci, e restand
quindi presso che intatto il campo allo studioso che osasse pem
trarvi , onde far raccolta di materiali per la compilazione de
Vocabolàrio pavese.
Tale è lo stato attuale della letteratura dei dialetti emiliani
se in essa non sono copiose le grandi produzioni , si scorge per
come le più distinte e gli stndj meglio diretti appartengano a
sècolo nostro, ciò che ci porge fondata speranza di vederli quanl
prima confortati da migliori successi.
saaissaaBSSsaBSBmBmmmssmi
ri
k
CAPO V.
Saggi di letteratura vernàcola emiliana.
Ramo Bolognese.
iOOO. Non avendo potuto rinvenire alcun monumento ante-
''iore a quest' època , incominciamo questi Saggi col già mento-
^^to poemetto di Giulio Cesare Croci, fondatore della letteratura
V'emàcola bolognese ^ intitolato : Lamento dei ' Fillanij ec. È
fimesto scritto nella lingua rùstica bolognese, che più si accosta
^Ua Romagna, e poiché varie forme di quella diversificano al-
Vtianto dalla moderna favella urbana, cosi vi abbiamo apposto
^ calce le corrispondenti voci bolognesi, onde rènderle più
^S^^olmente intese, non che onde possano i meno versati in
<I^esti dialetti fame gli opportuni confronti.
lamento de* Fillanij obbligati da un Baiulo a consegnare gli
schioppi alla Munizione. Di Giulio Cesare Croce , stampato
tfi Bologna da Bartolomeo Cochi nel K 6S0.
Po far la zuoba, o sé che queste bella!
0 vet ch^adèss la va da gubbi a ssin:
T' par a ti che la sia uoa bagatella ?
Ch'avènnia più a far nu cuntadin.
Che rè andà al band , eh' a purtèn (i) a Hlògna
Tùtt i sdiuòp da roda e da azzarin.
V<) Purtàmen.
392 PASTE SEC05DA.
Es n' i è liròtt, parch' a Tè cert ch'ai bsogna
Portar! tuli a la Mullziòn (i),
S^an vièn far, puvrèt nu, al col dia zgogna.
A purtarèiQ mo in spalla un pertegòn ;
E quand a srèn a treb , o in s' una festa ,
AI bsuognarà ch^ k stemma in t' un cantòn.
Al sangv de mi , che V è ben àsna questa !
E sat s^ avèin nu spis di quattrinèz
eh' I z' han propri cava el nus din V la zesta.
Hosù là pur, purtèmij (s) ora in palèz,
Parch* an' caschèmma (s) in la cundannasòn (4) ,
E eh* an* lèmma sunar al campanèz.
An* prèn donca più andar dop un macciòn
Asptàr e quest e quel con 1* archibùs ,
E fari far li prest al perlindòn.
An* pren mo più andar , cm* a i èrn a us
De za, de là per tutt stl nòster cmun,
Inspaurènd quest e quel per tutt i bus.
Cosa valra più i nòster ragazzùn ,
Ch* iéran csi brèv , i n* valràn più negotta ,
eh* r è mo fini i plasir a un a un.
L* ièra del bot («) , quand nu andièvn (e) in frotta
Ch* a stiroàvao i>o tànt i zittadin
Quant propri s' fa una livra de recotfa (7).
Ch*adèss al tuccarà a nù puvrin
A dar al càn , che con un mattarèi
Iz faràn tirar su fin al pustrìn.
0 (M) far damn , quest* è al gran burdèl ,
A èsser priv ad* qui nùstar car usvij
Ch' iz fièvan (s) respettar a quest e quel.
An' srcvn anda descòst magara un roij (0)
8enza al nòster sélupèt sovra la spalla ,
Ch*adèss mo nu a parèn tant bta (10) cuiiij (11).
Al sangv, ch* an' dig gnanc d* la nostra cavalla ,
Ch* an' prèn più far , cmod prima i murusòt ,
Né cumparìr in qui lug dond cs* balla.
Ch*al se vedèa (12) del bot sii bia zuvnòt
Al fest andar in ruga tutt arma ,
Cb*i avrìan (is) per fin fatt pora al tarramòt.
(1) Muniziòn. (s) purtcnia. (3) cascàmen. (4) cundanna. (ft) volt. («) 9"*
dèven. (7)d'arcotla. (a) fàvcn. (e) mèi. (10) bi (11) cunei, {ti) Ch'« *'
vdèva. (i5)arèn.
i
UALim BMlLUiVI. 5d3
1 avèan sèmper le rode caregà (i)
E al can in sei fugÒQ per star segùr (s)
E In le (s) blsàch del bon ball aramà;
E s' al s' appresintava di rumùr ,
Avèan sèmper la man al scattarèl ,
E ch^ èl che n' èl, a i fièvn (4) andar al bur.
E con i bia penùn in Tal cappèl,
E i bia lighèz con tuli le (tt) franz Intòrn ,
Az fièvun respettàr a quest e quel.
Ax cavavan acsì el busch d' attórn ,
Ch' adèss al prè vgnir un^ e dàrzen una
Tra la tleza (e) e '1 purzil , 0 dop al fórn.
Hosù da po^ ch'ai voi csi la fortuna,
Al bsògna ubbidir quaè I supiriùr ,
Ch' al n'se po' al zert pugnar contra la luna.
E nu eh' sten in Tal ca , eh' a iè al mur .
De terra tutt quant rott e squaderna ,
An' srén dal zert a stari più segùr (7);
Ben eh' al diga la crida ch* i han manda ,
Ch' al se possa cunzar la serpentina ,
Mo ch'èl che n'èl la corda sia amurta.
Mo a so posta s' avèn sta disciplina.
Al r ha né più né mane i zittadìn (a) ,
Segónd che da per tutt al se busina.
Ma lor i van ch'i pàrin paladìn
A cavai, con la lanza e l'armadura,
Ch' an' psén mo far cusì (9) nù cuntadìn.
0 dund' è andà la nostra gran bravura «
0 dund' è andà al nóster valimént (10),
Ch' a n' savèvan za cosa s' fus paura (11)?
A créz (fls) ch'az dsparerèn pruoprianamènt (is)
A tegnir arnunziàr a la rasòn ,
E a quel rod che nu a tnèvn acsi lusènt.
0 tuo mo ti dia roba dal patron ,
Sgraffigna mo per cumprar un bel sèiuòp :
Tuo mo una roda, eh' apa un bon arcòn !
Mo la z' aggrièva (14) ben un poc de trop ;
Avèir spes i quattrìn , e sgrafTagnar ,
E pò purtarij a Blogna de galòp!
(1) el rod cargà. (2) sicùr. (s) in t' el. (4) fòven. («) totti el. (e) liza.
') sicùr. (8) ztadèn. (9) acsé. (io) valòur. (11) pora. (is) cred. (i.%) pro^
triamèint. (I4)aggriva.
534 PARTI SICMDA.
A parerèm tuo pulzùn despenni ,
Inièni (f ) che %V usenia lorna più
A n' arèn vuòja (s) più d' una mana.
Al turnarà mo le balèster su ,
E scminzarén a tirar di pulzùn ,
A cmod za se suleva usar tra nn.
Al darà fuora el pie e anch i spnntùn ,
E spid , e ranch , e targ e partesin ,
E qui strumiént che più n' usavn ensùn.
A cminzarèn a far del bla panzàn ,
Con dir: sta in dria , stai ti , at' darò,
Es a n^ ze petnarén mo più le làn.
Ho con un sdiuòp s' te vgniv dal si al no ,
Ti psiv cazzar un passarìn in sén ,
E andar pò via a far al fatto tò.
0 dsén un puctìn qui cmod a farén
Se per sort i bandi viènen (s) a che (4),
Con che manièra (8) mai az^ dflndarén.
Ugnòn sin fuzrà vi chi in za , chi In le ,
Parch^ lor aràn i séluòp e nu negotta ,
E se faran patrùn d* tutt zio ch^ 1 è.
Al busgnarà (e) ch^ az' tnlàman de sotta,
Senza star a'zercàr se V ha linzùa (7) ,
Se d' zunta an' vlén purtar la testa ratta.
E s'al je parerà , ìz* turàn i bua (e) ,
Ei vach, i brich, ei piégor (»), e i muntùn.
Al zes, la fava, al furmélnt e i fasùa (io).
0 vet ch^ an' putrén far mo più i pavùn
Con i bia sóinòp d' bel legn inlarsiè ,
E con tutti el bel ciàv e i bia curdùn.
Andarén mo pr' i cbémp e pr' i fussé
A testa bassa: an^ farén più i taschèr
Cmod a sulèvan far tra la brighe.
Ch'a In suiivin purtàr sotta I tabèr (ii)
Ad quj de disdòt unz, e di più curt,
E in le bisèch (is), e in la chèssa (is) dal cher (14).
0 fortuna crudél', a so s^ V azcùrt
Adèss I dient (18), a so s' te V z* tua la fòrza
A so s' te te zgavàgn , a so sMe T z' urt.
(1) inànz. (s) vuja. (s) vèlnen. (4) cà. (8) manlra. («) bsugnarà. (7)
(8) 1 bù. (e) pìguer. (lo)fasù. (ii)tabàr. (19) bisàc. (is) cassa. (I4
(18) dènt.
niALBTTI EMILlAflI. 595
Quant in sari d' nu eh' livaràn la scoria
A i mattar con el brèzz e con el spali ,
Es n' i vairà più che nissùn se stona.
L' è mo andà per nu egl^ Occh al ball ,
Al busogna de quest avèir pazienzia,
eh' al n'accàd qui a saverla a pia (i), e a cavai.
A sén mo nad qui sotta a si' infuUienzia (s)
Al n' uccór mo a dir qui barba a la zeja (s) ,
Che l'è sta questa troppa aita sentenzia.
Ai sangv di tuoz! (4) che Ve una brutta veja! (8)
Cosa vliv più eh' a famen mo què d' fora ?
Az' andarèin a arpónder in V V arveja ,
Za eh' voi acsi fortuna traditora.
(t) pi. (s) influenza, (s) zéa. (4) luz. (») vi. Si noli che la parola vèja è
romagnola.
4700. Il più distinto scrittore bolognese di quest'epoca si è,
<^ome accennammo^ il rinomato Lotto Lotti ^ autoredi varii gra-
ziosi poemetti. Noi quindi non potevamo esitare nella scelta , e
I>orgiamo ai nostri lettori il secondo Canto del celebre poemetto
scritto per la liberazione di Fiennn dall'assedio dei Turchi^
come quello^ che meglio svolge T artificiale macchinismo del-
l'intero poema ^ e dà bastévole idea della maestrìa dell* autore.
ARGUMENT.
jél Didul che sente gVartlarie ruzlar,
A s* fa alla fnettra, es ved t 7\irc arma;
Macumèt al so die lu fa damar ,
Per saper cos' è mai sta nuvità.
Macumèt in cunséi la vói cuntàr ,
Es i'a a prigul d'after del staffila;
Mo perchè in fin al trova un invenziòn .
J i è fati un regàl dal re Plutòn.
As sinteva prufrìr per tutt i la
Dal tambór di Todìsch brod e pancòll ,
Es i fleva al subiòl la maitinà ;
Al granava al fumar tutta la nott
Per meltr airordn al sbàtter di sulda,
eh* cunf^ìst in tier , chersènt , ruzl e pagnòtt ;
As sinteva zappar i minadùr ,
E rarchbusiér cunzava gParmadùr.
320 PARTE snCO^lDA.
Al caro panar sunava la stremida .
E i buò tiràvan fora Tari lane.
Al mess andava in volta con la crida
Ch' clamava i fant e la cavallarìe ,
Es bsgnava andar senza clamar affida ,
E pàdr e fiuò e Stvanin , birba e fradie ;
Insomma Pera an strèplt, Fera nn class,
Ch** da un co air alter dal mond s^ sintè al fracàss.
Glust cmod a s* sent d'in elei qui zò da nà,
Cm^ al vien un quaich scraènt, tirar al tron ,
Acsì sta vèmJa quand la fu slntù
In t' al zéntar dia terra da Plutòn ,
Al stì un poc inurchi quii becc comò ,
PÒ miss la testa fora dal fnestròn ,
E quand al vist al pòpol d' Macumèt ,
Dair algrezza ai scapò per dsotla un pèt.
Mò questa fu una sloffa csì putéot ,
Cb' la fi stuppir al nis a qui puvrìt
In sinlìrs azuniar dùia al turmént;
E a Belzebù , ch^ i aveva al nis indrìt ,
A si vultò Plutòn , e in r un mumént
A i diss , eh' al prefundàss in zò pr* al drit
A éiamir Macumèt^ ch'in balatròn
Dal filàtùi di Turch volta al rudòn.
Appena al V ev' intés , eh' al moslr' urrènd
S' lassò andar a co fitt in V al prefònd ;
E s* i diss : Macumèt, lassa 1 (acènd ,
Vien da Plutòn , fa prest , tuot qui d** infond.
Al sii un poc incanta tra lù dscurènd ,
Pinsànd s* V aveva da turnir al mond ;
E pò arnunziò la roda a un luterin ,
E a vgnir su Belzebù i deva la min.
Mò al pòver Macumèt a n' fieva pass
Cb' an' maldìss con al scal anch i piruò;
As i attaccava ai pie di magaràss
E di serpiènt , cb' a fievn dir taruò :
E ben e spess al fèn' turnir a bass ;
Mò quand al Diiul dis eh' a n' è di suo ,
E eh' al passa per cmand dal re Plutòn ,
Ij fan larg percb' 1' è l' orden dal patron.
Quand voi al Diiul , infin l' arriva dcò ,
E prima d' lassirs vedr al re di' infèrn ,
As' melt i ucciii e s' pèlnà ben la co.
Al ziela , es è in t' al fuog, es n' è d'invèrn ^
iMAUETn exii.ia:^i. 597
Per pora eh* r ha ch^ a n* sie alla peoa tò
Azunla dai daflar in sempitèro ;
Ho per purtarla vie con dsinvoUura,
Al s' inzegna d^ star sod in poeitora.
Plutòn i dà d^ luntan an' occiadina ,
Pò i segna con al sètter ch^ al sUccosta;
L' avanza i pass, mò con la testa china
Es na s' attenta a far la fazia tosta ;
In fin a i va dinanz , e pò s^ inchina ,
Pinsànd d* avèm^ aver una battoeta ;
Ilo quand al ved ch^ Plotòn vieu vie miilsin ,
Al fa la bocca d' ridr, es tra on risiu.
Allora al Diaul 1 dis : A vrè savér
Per ch^ la to setta è Cuora In camp arma ; •
r è da far ben, di' su ; mò dim al ver,
S* ha d' alluzar dP i anma purassa?
L^arspònd al die di Turcb: Mò n^él al dver
Ch^ mi la dscorra cum Vostra Maestà
Cun rè? mò am par eh' al sippa nezessari
Ch' oda I cunsiér e i suo referendari.
L' arspònd Plutòn : Adèss al fo èiamar.
E ménter ch* dal Cunsèi s* avr* al salòn ,
A far vgnirl al spidiss un cavallar ;
Quest vola per da stra eh' a s' va al sfondriòn .
Dov i tiènin la carta e al calamar ;
Es i trova eh'' 1 tiènin oonclusiòn ;
AI la dfend in sMa cattedra Calvin
Tutt arrabia contra Lutèr Martin.
Mò l' Deità , eh' assistn' ai argumiènt
E eh' deciden sigònd la so dutrina ,
Quand i sènten quài mess, eh' fuora di dleut
I dis , ch* 1 làssn' andar da grand' arvlna,
E eh' i córn' al salòn di cunsiamiènt
D*órden dl'Illùster Malesia Diàulina,
Chi Irà vie la cariega e chi al scranìn ,
Chi dis quattr' in vulgàr, e chi in latin.
I van a veder s' i alter s' hin ardùtt
In bravarle pr andar vers al Cunsèi,
E s' i tròven eh' hin giust insèm li tutt
Ch' i slan asptandi , es fan di maravèi
Per eh' i han póra eh' n' i sle quàlch cosa d' bruii
Vdend alzirìr con i turmiént a l' vel ;
E csi cherdènd d' intràr in d' imbaràzz ,
Plnsandi séra i van fina a Palàzz.
598 PARTI uconnx.
Al bisbij « l'amiòr èran sì grand,
eh'* era là in T al luzòn e per la scàia ,
Dov mett al scaldi con al bastòo da cmand
La zent in refa eh* a Plntòn fa àia ,
Ch* r era una cosa d* andar vie MasUnànd :
Mò s^ mi i ho mo da dir e quànla e qaila
Era la lent eh' va inànz al trentapàra ,
An* so s" arò la vena o torbda o ciàra.
Musa, n^m'abbandunàr, slam' a gallón ,
E vola al cardlnsòn dai instrumlént ,
E dslaeca con la cluora al calisón ,
A quella lai la ponta , ch^ senza stfént
A psan sunàr d' accòrd ; e in conclusión
Ajùtm' a dir del pòpol dai lamlént
La maniera e al curtèzz eh* V adrova qoand
S' fa in Ila gran sala al reziménl più grand.
I prim andar inànz èm' i trumbitta,
E r tromb érin furmà con di zoccòn ,
eh'' nassn là inr al zardìn dia zent afflitta ;
Al guardi hin i sigùnd , eh* portn* i spontón ,
E spid e spad e la lambàrda dritta,
Per tgnir indrìe la zent , eh* corr a vajèn ;
Es han una livrè fatla in s* al tlàr
Urdì d' losèrt, e tsù d* ranuòi amar.
A quisti al seguitava al bariseli
Con i sblrr, e al canzlièr eh* guarda la piazza ,
Mò percb* za V hav dal pist da quest e quell
Al saluta la zent . es a n' strapazza .
Es porla sempr' in man al so rapèll ;
L' ha in t* i o£ quài cassar eh' sempr' arvina mnàzia ;
L* ha in somma in meni la botta dal zucchèt .
Es s* arcorda al nigozi dal lucchèt
La quarta ruga hin tutt i stafflcr
Con la livrè dia Cort d'un passamàn,
eh* è d* penna d' anghiròn e d' sparavièr ;
Al fond, è un cert drughèt d* lana d* qnàl càa
eh' sta alla porta d* quel luòg con trei visièr ;
Dop' a clòr al vien un eh' ha dritt in man
DI* adannà Poplazìn al Cunfalòn ,
Con Tarma dpinta , o sie al furcà d' Plutòn.
Qui vien con al culèz tntt i dutùr .
I pràtich con i mièdg e i avocai ,
E i nudar con i suo procuradùr :
I sustitùt, che n' in mo tant ingrat.
MAUTTI BMILIA^SI. 599
Dan la man dritta ai sollixitadùr;
Dri a quj ia nubilta con al senat
Yien con pompa , e dop lor qnj eh* lui dal mal ,
Idest , al mie , e la tent dal erlmiD&L
Yù eh* siati quel eh' a dig , s*a psissi vdar
r abitìn e gr usanz d* qoal bel paiét ,
Ceri dirissi eh* i fan al so dover ,
I eh* i han dia bòria d' dri , e eh' i lan di spes;
Là i sari n* roben, es disen sempr al ver ;
E a trovar a gì* usani an* i è Frames
Ch* i possa ior la man ; né earastiè
È in i* agi* ùrèe al mang , e al searp al pie.
Chi indòss porta una vesta d* tela d* ragn ;
Chi è vsti con una scorta d' un serpènt;
Chi ha una scnf6a dia peli d* on barbaiagn ;
Chi d* vipr ha la pirucca , e ehi ha in s* al ment
Una barba ch* s* rad sol con piomb e stagn ;
Chi porta 1* àbit dal più strelt parènt ;
Chi d* on* ors porta indòss la brutta pali ;
E chi s* cmòv con dii ali d* palpastrelL
Chi ha la giubba arcami d' biss e d' scarplun ;
Chi ha in s' la testa per bretta un basalise ,
E puoc i n* è ch* a n* porto in s* i libàn
D* qui brutt usiè eh* a o' s* ponn eiapar al vise ;
Dal rest i n* ùsan né caUèlt, né schfun ,
E stan con al cinzai acsì in s' i friso.
Mò am perd Ini* al i usanz , es an* m* arcòrd
D' andar Innanz con qo] ch* a sèn d* aeeòrd.
Qui dop al mèster d' Càmar Raboio
Al vien dil càus al jùdiz Radamant,
E llacumèt s* i è za acusta da vsln ,
Ch* al va Infurmànd dia mossa d* qui furiant ;
Un diaol rumagnòl , eh* tien al bertin
Dal patron^ va eridànd: TVasì da etmt
Da que jmco/I eh* V è qm el npsl pairò
Ch* an* suUinéts luti quent el $ò $aiò,
Veramènt al cridava con rasòn ,
Ch* is* tulissen dinànz alla sfangàia ,
Perch' al re n* inspurcass quii bel rubòn
Ch* fu eusi con dal sedei d* una tròia;
L* aveva in min al sètter, ch* è on bastòa
Ch* pareva al mattarèl da far la spula ;
Mò per cumpìr la cosa, Tha in s' la gnucca
D* biss anzi fati a rizz una plmcca.
550 PARTI SBCa%DA.
I avevo' za dà alla polvr al archllMiiie,
E la sedia d' Plutòn miss a so luog ,
Ch' i prim èra arriva a passar al fiànc ,
E in aspttarl ai pare d' essr in T al fuog;
Tant i fieva dvintàr la granda mane ,
Perch' r era tard , es era air ordn al cnof ;
Mò mènter eh' is' lamèntn, a s* od la piva
E i caraìt , cb' bin al segn cb' l' è lo eh' arriva.
Apenna eh' r è arrivi dia sala in sT osa ,
Is' lièven tutt in pie con nn fracàss ,
Ch' chi li udiss sulamènt , e lì n' i fuss ,
Al dire, eh' l' è nn' asnar con di asn on squass :
I chinin tutt la testa , es viènin russ.
Fin tant eh' al sied in s' la cariega d' ass ;
E quand la porta al purtinar ha sri ,
Ch' i s' metn a seder sùbit ai ha zgni.
E tatt s' bin za sbarga eh' al cmenz a dir :
I mie fino , a i è un gran strèpit su in s' la terra ,
Cb' vuol cavar da qualcun crld e suspir ;
Macamèt lù v' dirà cos' è sta guerra ;
E sol per quest al ho éiamà i cunsijr ,
E tutt vù àltr eh' si qui , dove s' asserra
I secret e i fatt mie, cb' in decretar
Sol al vistar parer vui adruvir.
E chi savrà truvàr un miór parti
Cb* sippa per appurtar utr ai nost regn ,
Subitamèot la pena i frò attiri ,
Si che al bisogna cb' aguzza l' inzègn.
E quand sta filastrocca Tba fini,
As volta a Macumèt con tari segn,
Ch' al cmenza mò a cuotir zò alla sfilai
Cos' è sti irm , cos' è st'viopp , cos' è sti dà.
Macumèt bassa i ot, livànds in pie,
E attórn attórn al (a la riverenza;
Pò cmenza vers Plutòn : Za eh' vusgnurlè
Voi savèr quel eh' V ha visi in apparenza ,
Mi i dirò r essenzial , perchè cui znic
In tutt i suo intirèss a n' fan d' mi senza ^
S' ben sta volta eh' in fora am maravèi ,
Perch' an' jè sta dal tutt al mi cunsèi.
Al srà un mes , eh' al mufti dalla meschitta
Una littra m' spidi zò in balatròn ,
E con premora granda al l' bave scritta
Digànd con fundamènt la so rasòn ;
DIALETTI EMILIANI. 351
E per n' la far d' caprili , e fatta e ditta ,
AI zercàva d' sintir la mie opinion :
Mò al tenór a dirò sol zò alla dstesa
Perchè da tutt la sippa mij intesa.
Donca al scrive , ch^ i Turcb vièvan purtar
La guerra a Liupòld impiratòr ,
E eh' i vièvan la pas con là guastar ;
nò per quànt pare a lù ch^ i èrn in erròr ,
Per eh' i s* èrn^ attacca senza pinsèr
In 8' una bava d^ ràgn , eh' un gran dsunòr
I pseva parturir in fin dal latt ,
E eh** al cgnusseva eh' i èrin dà in t* al màtt.
E ch^ pertant i l' avévn' interugà ,
Cmod è al sòlit, s' i arèn avù vittoria ,
MÒ per eh' al vdeva eh' r iera mal pinsa ,
L' arspòs eh' an* i psè dir nijnt a mlmoria ,
Fin eh' an' ave in insunni a mi parla ;
E eh' lù lercàva , per finir V istoria ,
Da mi cumpéns, s'al s'avè fora d'ascóndr,
0 al fin di fin cosa Tavè d' arspòndr.
Mi eh' a m* pars un gran che a rompr una pas ,
Quand ai av lièt la littra a m' incantò ,
Cosa eh' a tutt fare affilar al nàs.
E CSI al mufli , eh' durmeva mi , vulò
Con eia putenza eh' a li' è fatta a càs ,
Mò eh' fra i turmiènt za. vusgnorlè m' dunò ;
E dop eh' ai av' uni '1 fantàsm a Ictt ,
Ai eminzò a dir quel eh' am sinteva al pett.
Ai diss : Mufli , la pas è un cert ligam
Ch' n' è fatt né d' ref , ne d' seda , né d' bavella ,
S' ben r è fazil d' lassars più eh" a n' fa al stim
In st' pòpol eh' voi anco munfàr in sella ;
Però , mufti , la pas ti sa s' al' àm
Qujint a fleva in guazzèt la euradella;
Arspondi pur, cm* i cmenzn andar de st' pass,
Ch' i vgnaràn all' inzò tutt in seunquàss.
Macumct tutt calòr, tutt in facenda
Vieva dir alter eoss , mò Radamànt
Salta su in mezz con una vos tremenda ,
Es dis : Vostra Maestà supporta tànt ?
All' i è za quj eh' ascolta eh' a n' eumprenda ,
Quànt Macumèt sippa dvintà furfànt,
An' voi eh' s' rompa la pas, né eh' s' catta brlg ;
E pur senza la pas l' è in cà dal nmig.
359 PARTE seco^toA.
8^ i Ture in guerra a n' cuijn su al malànn ,
S' in' viènin abitar qui zò da nù ,
Quest' è ceri eh' Macumèt è al nòster dano ,
Per eh' ai cunsiò alParversa al turlurù :
E pur sM andassen sott a Vienna s^ann ,
I vgnarèn pur qui a dir : la diss , la fu ;
Perchè là cr àìier popi ha una cert forza,
Ch' anch del voli con 1 sign nù alter sforza.
A cslù bsogna do nari un iientamènt
ChM' Impara d'adruvàrs per nòster coni,
Perchè lù sol pò far con la so zent
Guadagnar di quatrìn al pass d' Carònt ;
Gran Sgnor , pinsai pur ben , e tgnìvi a meni ,
Per eh' r a n^ è cosa da mandar a moni ;
Anz che s' adèss da vù n' fuss castiga ,
La passare In abùs in verità.
Macumèt cminzò arspòndr, es diiva bel
A tor la man a cP alter , mò in scalmana
AI salta su Plutòn: Mò cos'è quell?
Siv fors dvintà duo scartassin da lana ?
Dsmittì un pò d' litigar , e a n' fa flazèll ,
Per eh' mi la cosa intènd cun l'è alla plana;
E s' Macumèt sta volta ha fatt un fili ,
L' ara per benemèrit un cavali.
Za hin fora, e per nù l'è squas sicura ,
Ch' as' mandaràn di spirt eh' sann al fatt so
A cazzar in scunquàss l'architettura
eh' tra Tun e l'alter popi a s' preparò.
Macumèt salta su digand : V è dura
Da rusgàr; quànt al mod, mi n' v'insgnarò.
Mò s'a vii eh' a via diga cmod s' pò far,
La cosa dal cavali va lassa andar.
Squizimbraga , un dutlòr eh' in t' un cantòn
Slieva infuslì e incanta a sintir al tutt.
Al munto dritt in pie su in s' al balcòn ,
E per mustràr eh' fra i aitr al n' i era mutt ,
Sgoori (al dis), Macumèt è un cert inzgnòn
Ch' sa cgnósser la panzetla dal persoti;
Però s'a fuss in vù ai perdunarè,
E al so pinsièr vluntlera a sintirè.
Dà gusi a Squizimbraga , diss al re,
E sten a udir qualch' altra bstialilà ,
Cun st' patt però, eh' s' al parti ben a n' è
S' tramuda quel cavali in bastona.
V
DIALnri EMILIANI. 535
Am cuntèDt, am cuntènl, mò si alla fé;
Di8 Macumèt ; e s' vostra Maestà
Vrà applicar a tuli quel eh' a io in la testa,
Sicuramònt per Uè s* farà la festa.
Perchè da tutl al dscors fu assà gradi ,
Ai fu dà faculfà ch'ai dsiss pur su;
E per sbrigarla al cminzò a dir acsì :
A i è tra gi Impiriàl un tal eh' a nù
Porta assà devoziòn, es è al Tekli;
Ai a' è un alter eh' è poc eh' a 1' ho cgoossù,
eh' a m' porta grand affèt , es è al Budiàn
Ch' per servìz quest' è al brazz, l'àltr' è la man.
A cstòr cazzai inlòrn un diàul pr on
Cb* 1 smanezza cmod s' fa un Pulicinella,
Ch' a vdri s' as' impirà al mi sfondriòn ;
E fa ch'i siè duna un pò d' gabanella,
Ch' a vdri pò s* V è cattiva la rasòn;
Fa in mod e chM'un e l'àltr ai suo s'arbella,
Ch' i sran la vera causa eh' populà
Srà qui l'eterna stanza di danna.
Con I Cstiàn za an' iè dsegn^ perch' la so fed
I fa andar ali' insù ; mò a so sicùr,
Ch' i nostr in guerra n' s' cavaràn la sed ,
Es armagnràn al fin di fin al bur,
Perch' an s' dà esempi eh' sie tira alla red
d'alter pòpol, cm' a iè ch'arbàtt al mur
Con i calz all'indriè , eh' l' è giust allora
Ch* al gran Die eh' z' fa trmàr i aiuta agnora.
Al dis ben , al dis ben , tutt a una vos
Crida al Cunsèi ; e al re sùbit dà ordn
A Radamànt ch'ai vola là d'ascòs,
E per métter dal camp lult in disòrdn ,
Ch'ai tuoga sieg un diàul presintós
Con un cumpagn , ch'i vaghn, e ch'in s'al dscordn,
Ch' lù incanta insomma gì' àrm in t' i cunflìtl,
E eh' i alter s* cazn' in corp ai duo za ditt.
E a Macumct per prèmi fu dona
Un furcà antìg antig eh' fu za d'Plutòn ,
Quànd d' Prusèrpina V iera innamurà ,
Per fars in scrann da sedr in balatròn;
Csi qui fumi al cunsèi , e zò alla dsprà
Cors i diàul a so luòg; mò l'upiniòn
Perchè la crcs in mi d' furnìr st' puemma ,
La voi eli' am' posa un poe pr andar con flemma.
334 pjim
1750. Fìommo sofia Bdà del passato sècolo le tanto cele-
brate sorelle Maddalena e Teresa Manfredi, che precipuamente
cooperarono all' fllnstrazioiie del naliTo dialetto. La loro trado-
noDe del libro napolelaoo C&mto et li Cunti è meglio atta dì
ipahmqoe altra prodonone a somministrare mi' idea precisa della
natara della lingua bolognese d* un sècolo ùi^ essendo scritta In
prosa. Per mala sorte le \otelle ili racchiuse sono alquanto
Insipide, e non hanno altro scopo, dopo quello di ingannare la
noja delle hmgbe sere infernali : noi perciò ne abbiamo scelto
qoeDa che d panre meno slucchèTole^ come saggio di lingua;
e poiché b pùbblica opinione snoie comunemente attribuire alle
sleswe Jlanfredi la graziosa e rinomata ^afirone pev* abbrucciare
la tf^cchia a mezza quarésima » abbiamo giudicato opportuno
inserirla in questo luogo come saggio della letteratura popolare
di quel tempo.
La Fola dia Fiala.
Ai era una volta un om eh' aveva trei lloli , e lù aveva Dom Cola Agnè
i nom di Soli èni qBistl: Rosa, GaròUla e Viola. La Viola era la più ptnÌD=^
nò r era csi strampalaoiènt bella, cb' V xeot s*D^lniiaiiiorivn sol a vderl^s-
Fra i aitr, cb' cascava mort d' amor pr Ij, al era Zullòn, cb"* era al tii
dal re, al qua! era in pc d'ammattir. Qoest, ago volta cb'àl passava dnài
alFuss d* sii ragazzi, al s' fermava io Ila strà a diri cvell, percbè al
vdeva li in t' V àndii con gli àltr sòu sorèi cb* lavuràvn lì io Teslad ;
csi donca agn volta al dseva: u Sondi , bondì , Viola»»; e Ij i arspondeva
u Bondi , fiol dal re d' sta zitta , a in sii più d' tj purassà»». A quegP alt '*
surèll mò ai dspiaseva , es i dsèvn: u Qb t' jè pur pò la gran zuffoaa mi^^ '
crea , nù z' maravjèn : ti t' vù cb' al prènzip s' la liga al nàs , e eh' a^ '
z' daga al malàn n. Mò la Viola o' i badava , es tirava Innànz [al fatt si^^ *
Cosa fio lor quand l' vlstn eh' la fava gP uree d' mercadàni ? gP andò^i^^
a dir a so padr : u Oh pi , T ha d' savèr eh' la Viola è tant sfazza e rube;^^
sta , eh' r arspònd sèmper con un argùi al prènzip , cm' al dis cvell , cl»^
gnanc s' al fusa so fradèll , nù n* z' aspètn altr^s' n' eh' un di i scappa 1^^
pazinzia, e eh' às metta a far di pladùr, e eh' a buscimn' anca nù 'eh' i^
n' avèn colpa d' ngottii ». Su pàdr, eh' era un om d'gran judizi, pr cavììrli^^
d'in cà, al la miss con una so zè« eh* ave nom Cucca Panella, es i dis j
eh' d' grazia la tulèss sta ragazza , eh' la i are lavura pr U , e eh' la i fi:^^
mò si' servizi. Al prènzip mò, eh* seguitava a passar pr da stra , e eh' i» ^
vdeva più la Viola, al fi di coss di' altr mond , e tant andò dmaiidand »'
\^ìn , e ecrcànd d' Ij, eh* ai fu pò dit dov la slòva , « in cà d* chi Ter»
DiALerri emiliani. 33tf
eaipjli. Quand al sav sU cosa, Pandò a Iruvar sta veccia, es i dìss: «Ha-
Anum» za a savi chi a son, quest liasta perchè intindadi eh' s' am* fari
B^nrizi, biada vù, an v*maneara mai più ngotta '>• La Cucca Panella arspòs:
«Xò pur ch^ a sìppa bona, eh' al emanda pur ". Al prèuzip dìss: u Mò mi
^* mi altr da vù, s' n'ch'am lassàdi vder vostra nezza, ch'ai vui parlar »>.
««nò mi (IJ soggiùns) pr servirl ai pinsarò ; mò eh' 1* intenda ben^Iustrissm,
s:k* an' vui eh' la ragazza s'accorza eh' ai tìgn d'man a lù, perchè an n'ho
^isògn ch^vaga fora sta ciàceiara, ch'ai l'ho lassa vder, si ben eh' a so
!^ la n^ voi altr eh' parlari : eh' al fazza donca csì, eh' al vaga zò qui in
kla staiiziola ch^ guarda in t' l' ort , e mi piarò scusa con la Viola d' vler
sveli , eh' sj li zò , es i la mandarò. Quand al prènzip sintt la nova , an' fu
mk mut né sord, al s'andò camminànd a star li zò. La veccia piò scusa
sa* l' ave bsogn dal pass pr msuràr dia tela, es diss alla tosa : u Cara ti,
i^loU y firn servizi d'andar zò a tor al pass, eh' a vui eh' a msuramn sta
«la 9. Sùbit la Viola còurs zò in tla stanzia: quand la fu li, l'ha visi l'a-
Blf h zrisa , eh' i eminzò a far eurtis] ; mò IJ sgullò vj cm' una Inserta ,
ss t' al piantò li tutt arrabi. Quand la veccia l'ha vist turnàrsùcsi presi
aoD ili pass, la s'immazinò eh' al n'aviss avù temp d' parlari , es turno a
llr : <« Oh Viulina, a vré eh' i' lurnass zò, e eh' t* m* portàss quàl gmissèl
l' rev griz eh' è in s'àl tulir ». La Viola turno zò, la tols al rev, es turno
i piantar al prènzip. Qui la veccia s'arrabbiava a vderla turnar su aesi
irest, eh' la capeva eh' quàl sgnor ni pseva parlar. La turno a mandar
BÒ la Viola una bona volta, dsendi : «< Mò, fiola mi , mi am'dspias d'man-
lirt tant ioanz e indrj , mò sii diàui d' sti zesùr n' ti^in brisa; mi vrè
laelli eh' in zò solta ai sdàz ; cara ti , famm ane st' servizi , prchè mi n'
[KM» far a mane ». La Viola andò zò , e d' beli nov al prènzip av' la terza
ripulsa. Quand la ragazza fu su , sùblt la tajò con l' zesùr un pzòi d'uree--
eia alia veccia digandi : c< Tuli , ziina , d' vostra fadiga, eh' am' avj manda
taot volt zò da quàl sgnor, quest' è in scambi d'sinsafàri, perchè àgn
fuiiga merita premi ; anzi eh' l' are bsognà eh' av aviss anc tajà al nàs ;
nò an^ sentirissi piò la gran puzza eh' mena i Vostr vizi : oh questi hin
Tcen da cunsignàri di zovn! mò sta mò a vder s'am la cui". £s andò
a ci d' so pàdr, e la veccia armàs con un' ureccla srouzgà. Al prènzip era
arrabbia com' un Ture, perchè la cosa era andà mal. Quand la ragazza fu
a cà, la turno a iavràr in t' la loza; e lù puntuài turno a dar 1' volt con
la sòlita cantilèna: u Bendi , bendi , Viola »; e Ij con ci' altra : « Bendi ,
flòl dal re d' sta zitta , a in so più d' ti purassà ». L' sòu surèil battèvn
fng, eh' la 1 pare lànt la gran malliria, es s'accurdòn insèm d' far in
•od eh' la s' i dscavàss d' tra i pj. Sii donn avèvn una fuestra eh' guar-
dava in t' un ort d' I' om salvàdg ; cessa finn lor V L' s' lassòn cascar a
posta un maratèl d* curdonzìn che gii adruvàvn da perfllàr un pettanlèr
alla rgina. Cmod a dig , si fagòt d' perfii fu Irati zò a posta dia fuestra,
la qual era d'una gran altezza pr arrivar zò all'ori. L'scmiuzòn pò a far
25
395 PARTE SBCOl^DA.
vista d'essr tutt dsprà , es cminzÒD a dir: « Ob puvretti nù; mò
farèmia eh' az è casca si' cardòn , es n' prén finir a temp ai petUnlèr 41
rgina, eli' bsò eli' la l'ava pr dman d' sira? Al voi bsgnar eh* la Violi
eh' è la più alzira d' nù , s' lassa mandar zò con una curdsina , eh' nà 1
tgnarèn soda, e IJ tura iil eurdòn*». La Viola, ch'i' vdeva csi aecvri» ti
accumdò subii, e lor i ligòn una corda a travèrs , es la mandòn lò 41
fnestra , e pò quand la fn zò, i lassòn la corda , e Ij arinas li senxa pUà
più iumar a cà. In i'Tistcss iemp eh' la tosa armas lì, I' om sjJvM
TÌgn fora dal purtòn di' ori pr piar un pò d' frese. Si' om ave pres di
veni e dl'ùmid, es (i lani al dsprpustà flàl, eh' an s'udirìì mai piò u
cosa sì tremenda. La Viola tri tànl al gran irmloii, eli' la zigò dal apavèa
«Oh pà, ai ho póra ". L'om salvàdg, cb'sinii si' zigh , s' vuliò, et yrh
eh' r aveva li dedrì una bella zuvnelta ; al s'arcurdò eh' l' aveva sintà di
quand l'era piznin, ch'ai è di cavalli in i' un lug , eh' sMmprègnin eoi
al veni; al fi i so cunt, eh' s' l'andava pr vj d' veni, al n' aveva là flU
un allora acsi tee , eh' al dseva èsser sta quell eh' aveva imprgna qoi
eh' albr, e eh' d' li i dseva éssr ussì sta bella tosa. Pinsand ch'aia eoi
la fuss vera, al pres a vier ben, cmod s* la fuss stii so fliòla; al l'abbrac
dsendi : u Oh flòla roj , eh' i' i ussì dal mj fia , chi arév mai crìtl , eh' d
quel i avìss a nassr sì beli mustazzin >'. Al la di pò in cunsegna a IH
fad ch'stèvn in t' l' islcssa cà , con ordn d'allivarla e d' farn coni. Ittlin
mò al prèniip, eh' a u' vdeva più la Viola , e eh' n' in saveva più né li
rega né in spazi, Pav a murìr d'afTàn; lù n' pseva più magnar un bcòo
al dvintò zail ; 1 oó s' i èrn' incava in i'ia testa; i làbr èrn vgnù biaoe
e insomma Tera un'ancroja. Qui al cminzò a prumètr di mani a chi
avìss savù Insgnar dov' era la Viola, e lani andò drì zcrcànd e dmandim
eh' in fin al sav eh' I' era in ca dP om saivadg. Subii eh' al siniì sta eooa
al le mandò a clamar, es i diss: « !Ui so eh' avj tànt al beli urtsìn, e m
son qui ammala mori cmod a vdi, eh' la n' è cosa eh' av daga ad Intè»
der; ora mi vrè vgnir a dscrcdrm un poc in sfori, e stfir in cà voaln
sol un di e una nott; mi am' basta ch'am' dadi una stanziola pr eia noti
sìppla mò d' eh' ratta la s' vuja, e nò àltr; mi n'en vul dar fastidi. L»OB
saivadg era imbrujà , prchè al re za era al patron ,'e qui s' al dsevi
d' no a so fiòl, Pavé fora eh' n' i nassiss dal mài; basla, lù pres al parti
d'esser eurlès , es i diss, cir s' an bastava una stanzia, eh' ai Pdarè tetti,
e eh' magara, e tuli stl cos. Al prènzip al ringraziò , e cP Islessa sira al fi
purtar lai su linzù e I eu88Ìn,cs andò là a durmìr.Cla stanzia ch'I fu assgei
era mò Just d'bona fortuna a mur a quella dl'om saivadg, al qual sievi
a durmir con la Viola in Pun islèss leti, perchè al fé va coni eh' la Ito
so flòla. Quand fu ammurtà la lum, al prènzip s' Ilvo pian pian , es andò
lì d' là dall' om salvàdg , perchè P era averi l' uss , eh' P era un caM eh'»
sciupava; al prènzip andò a tastùn dia banda dov [P aveva slniù la sira
la vos dia Viola , es i di du pzigùt , mò dia èiavclla ; Ij s' dsdò , es piosò
DIALETTI EMILIANI. 337
ch'rfussn pulì; la scusso Toni salvadg dsdàndel pr diri sia nova e pr
diri: a Oh nuoio^ nanìn^ V gran puls , an^ i poss durar ». L'om salvadg
M fi andar In l' un àltr lett, eh' era in eia mdésma stanzia. Da lì^a un àltr
poc al prènzip fumò, es andò al lett dia Viola (eh' r aveva slnlù eh' l'era
AQdida pr IJ ) es I turno a dar di pzigùt; e Ij turno a erldàr cmod V ave
^tt alla prima. L'om salvadg 1 (i barattar al tamarazz , e pò da li a un
Poc i Ilnzù, e pò l' banehét, perchè al prènzip andava pzigand , e Ij^zi-
ff sod, e rem salvadg erdeva eh' i fussn i linzù o i tamarazz eh' fussn
dirla in t*l puls, e esì passò tutta da noi, eh' i n' sronn mai un oó. Sùbit
oli' fu di, al prènzip s' miss a spasszar pr l'ori; la Viola anca IJ s' era llvià
^ bttoora, es era lì in s'àl purtòn dl'ort a duvanar. Sùbit eh' al prènzip
'* ha vist, la fu za la sòlita fola dal « Bondì, bondì. Viola >' ^ e Ij diss
€=l' altra: a fiondi , fiòl dal re d' sta zitta , a in so più d' ti purassa n , e
prènzip sogglùns: «Oh ninin, ninin , 'I gran puls, an' i poss durar ".
Viola, eh'l'intès che gl'èrn l'Islèss paròi eh' 1' ave ditt IJ la nott, la
ci <vintò rossa cm'è Tbriis dia ràbbia, perchè al prènzip i l'ave fatta star
^ eh* 1' ave fati lù da pulsa : la diss In cor so : Lassa pur far a mi , at' la
^'^ ui beo sunar ve. L' andò su dal fad a cuntàri sta cosa ; 1' (ad arspòsn :
«« Eh pian pur, s' lù v' n' ha fai una a vù, al bsò eh' ai in famn mò a lù
^Aaia più plenta: vù n'avi da far altr eh' dir all'om salvadg, eh' a vii
^Avi par d' pianèi luti pinn d' Campania ; e pò quand al 1 avj, savàzai dir,
^ n' sta a zercar allr , ch'ai al farèn ben nun armàgnr curt. La Viola sù-
^ildmandòsti pianèi all'om salvadg, e lù jM pagò. Quand fu siraàl prènzip
^urnò a ci so: al diss sol alPom salvadg eh' s' al s' eunlinlava, al srò vgnù
^1 dop dsnar a spasszar pr al so ori. Quand l'fad e la Viola savn eh' Tera
^Qdi a ci , r tolsn su d' rundelta luti quattr , es andòn al paiaz , e pò
^'arpiattòn In tla stanza dov propri al durmeva. Sùbit eh' al prènzip fu
andi a létt, e eh' l' av pres un poc al sonn, l' fad eminzòn a sbatlr l'man
ìnsèm e a far di zlgh , e la Viola sbatteva i pj scussand tuli qui campanin,
ch'ai prènzip av una póra da Inspirtar , es cmlnzò a zigar : a Oh sgnora
madr, eh' la m' ajuta '>; ìor stavn esi quedi un poc, e pò turnavn a far
l'istèss armòr quànd agn'eosa era quiet; V finn esi dòu o trèi volt, e pò
s*la (ino a gamb, e nssun l'vist pr amor dia virtù ch'aveva in lor l'fad.
Al prènzip pò la mattina cuntò eh' l'aveva avù una gran póra ; iJ finn
sùbit far la so urina, es i dìnn tri guzzìn d' vin. Quand al fu liva , mò
bona, an'sti gnanc asptàr dop al dsnar, eh' l'andò In trort dl'om salvadg,
perchè lù n' pseva star lunlan dalla Viola. Al l'ha visi, e za cmod av
psj imazlnar, al diss la fola 'eterna d' nasniinstecc dal « fiondi , bondi ,
Viola m; e IJ : « Bondi , flòl dal re d' sta zillà , a in so più d'iì purassa *s
e lù: u Oh ninin, niuin, Tgran puls, an^ i poss durar » ; e Ij: «Oh sgnora
midr, sgnora màdr, eh' la m' ajuta >». Quand al prènzip sinli sta tanja ,
al capi al trionfa es diss : c< Ah tm' l'ha fata ; al' ecd , e cgnoss eh' l* in
sa più d' mi , e pr sta rasòn al* vui pr mujér fy. Al fi clamar Tom salvadg
558
PARTI tBCO?IDA.
es i la dmandò; lù i arspós, eh' al l'are fall savèr a so pàdr^perclicjiisl
da mattina l'ave saTÙ d' chi l' era fiòla, es s'era pò clan ch'an'cnbrisa
sta qaal vent eh' lù ave tràtt, eh' Taviss fatta nassr li allora; e cai donca
al mandò a tor st' padr dia ragaxza ; lù an n'è d' cuntir s' l' ave a cir d'
far un parinli si fatt. Al prènzip la spusò , es finn la festa d' ball. Laifa
la foja , stretta la vi ; dsi mò la vostra , eh' al ho ditt la mj.
Canzim per brusar la freccia a mezza Quarèisma.
Van dal cent quarantadìs,
Quand al Guèrn di Bulgnis
Era d' varia sort ad zeot.
Anca al donn ai vins in ment
D' vlèlr cmandar e dar cunsij ;
£1 cmlnzòn a mnir al bsij,
Uassm el veccl cattaròusi
Più ch^en fava il zòuvn spòusl.
Trenta vecci s^ ardunòn
Tutti insèm, e s'destinòn
D^ vlèlr andar a supplicar
Al Senàt per psèir cmandar.
El s^ lavòn prima ben ben
Una sira In mezc a Ben ;
E pò dòp a la mattina
Se sgnròn cun la sdarina.
Chi aviss vist quel cargadùr
Brutti vciazzi , brutt flgùr !
Magri , secchi , arrabbia ,
Ch^ ai puzzava fin al fià;
Dei mustàzz con la peli biossa
Ch^ a guardarli favn ingossa ,
Cun di ucciazz fudrà d' spaghétti
Cun di nàs fatt a zucchètl;
£ del bùssel long du spann
Ch^ el parèvn puz da scrann,
£ tra tutt sii belli coss
Una part avèvn al goss ,
Cun la gozza atlàc al nàs,
eh' i cascava in bocca squàs ;
Pò gravèvan più d'niezz brazz
D** barba sotla quel buslàzz.
Int' la tesun s'fin di rizz,
Cun di nàsicr, cun di pizz,
Di scufQùlt e di alt zimìr
eh' ci parèvcn Granatir,
Cun del vitt e di galùn
Spiula zò cmod srav tant stlun,
E chi aveva in st' gran sparpài
La manizza , chi '1 vintài.
Quand' il fun acsi in figura
Ei J' andòn a dirittura
In Palàzz dal Senatùr,
E 9* espòusn el sòu premùr ;
Una pò eh' n' ave s^ n^ un dent
Cminzò a (ir al cumpllmènt ;
Mo a n^av dett gnanc dòa par^l
Ch' la sinli vgnir su un grassòl
Alla gaula» e s' tìns spudir.
Qui sgnurizz ch^ stivo ascultir^
Dissn: Andi, dscavav dall' ort,
Veccl matti, razzi stort;
E pò senza più badari
T' mi vullòn al tafanari ;
E tour tutti pin d* vergogna
Andòn vj grattànds la rogna;
E grattànds al fond dia schina
eh' i brusò alla malandrina;
E int' al vgnir fora d' Palàzz
£1 sparòn del parulàzz.
Ilo quand fu sfugà la stretta ,
El zuròn d' vlèlr fiir vendetta.
Ah , cm' el donn a v' V han zura
Sta sicùr eh' an' la scappa.
EI s' unìn in più d' dusènt,
E s' cujièn di' or e di' arzènt
Pr* al valòur d' otl o dis zchin ,
Per cumpràr tant bel sfurzin ;
E pò spèisn un ducatòn
In tant sij e tant savòn ;
Una pari pr'on el n'avin
E sinli cosa gì' in finn.
j
iHALnn enuANi.
959
i diserà un gran bur,
: fllr gnint ad pladùr
I tatti fora d'cà,
Ad tesi In cà in \k
E di zig e di piaii^vlùn
Quand J^ andàvn a tumbulùn ,
ìt^asm I pòvar brintadùr
Cun el brenl ; e i maradùr
I Porfgh di piiz d^st sfunin Ch^ i^ arrivavan per de drj
I terra un bon puctin ;
i trln degP immandiil ,
1 iottt ^1 8ÒU spurchizl.
0 ij del più sfazzi'
ìltf 8* ero arpiata ;
iBsin tott al scalòn
oli <e] e quii savòn ;
1 là fitt al* preparamént
iti impravlsamènt
rnlda ch^ fori sonava ,
d* ana ca ch^ brasava,
areòrd adèss al lug,
Itan lòur eh' avèn da fug.
t hi zent sioti sunar
■Idjbò tutta a livdr.
ora d^ gran Impègn
) '! (abric èran d' lègn ,
unir dal Campanàzz
ir tutt qui dal Palàzz.
a qui d* Senàt,
di alter magi»tràl.
V s' i faven bon
Ir lò per quai scalòn!
•ir fu 'I prim de (utl
ira inanz, mo'ls'truvòbrult,
al fi tutt in V un Irati
òo cun el culàtt.
t 0 trenta, e anc più,
lott a panza In su ;
n^ fu Ani la festa ,
»* tini s^ rumpìn la testa.
D*è gnint, rè per la strà
di guai , ma purassa ,
quand luti arri va vn
zìn , 1 s' Imbalza vn.
ivD a perzipizi
nis in quel spurchizi;
le là dia zent a mass ,
armònr e dal fracàss ,
Cun di pai e di martj.
AI fu zeri un gran sgumblólt
Quel eh' suzzèas tutta eia noti;
Chi ave roti al gamb, chi'l brizc
Chi la gnucca , chi '1 mustan ,
Chi 8' guastò r U8Ò1 dal pett,
Chi n preterii Imperfètt
QuJ za eh' fun più fortuna
Andòn vi tutt Immerda;
Quaa al fug Insùn andò ,
E IMnzendl n's'ammurzò
Fin a tanl eh' en fu brusà
Tutta quanta una cuntrà ;
E In tanl mal e tanti dsgrazzl
Sguazzò sòul quel brutti vclazzl.
Mò r algrezza presi Uni ,
Perchè dopo du o tri di
A se dsquèrs eh' el J' èran sta
Elfaulrizd'sr iniquità.
E qualcuna scappò vi ,
Mo ai n' arstò cent Irentasi ,
Ch' el fun tutti condanna
Alla mori ini' al Marca.
Ai sj d'Marz d' qual'ann s*è diti
Al fu 'i di dai gran scunfltt;
E al dls òur, da madò Menga
8' prinzlpiò a sunàr Tarrenga;
E qui 'I Pòpi In gran sgumbìj
Curri drj a sii vecd sirìj
Che per man d' mcssir Maurizi
S* conduseven al supllzl.
Chi planzeva , chi biasimava ,
Chi per rabbia se sgranfgnava ;
Chi la scuffia, chi I cavi
Dalla testa s' strazzò vi.
Mò la al pj d' la Munlagnola
Con la sèiga e la mazzola
El fun tutti giustizia ,
E pò in ultum fun brusii.
3«0
PARTE SBC05niA.
Qui la istoria n è fluì,
eh' in ffuàl sii dov fu supplì
eia zindrazza sfundradonna
Al fu fall su una Culonna,
Duv' i' mìsscn la memoria
D' tulta fa dulcnl istoria ,
Qual i srcv ben anch adèss ;
Mo a 8' artrova die in prugrèss
Ai dì denlr' una sajclta
Ch^ la purlò vi netta netta.
Quiìnd quel strij fun giustizia.
L'era In punt gius! la metà
Dia Quarèisma ^ e d' qui n'è vgnù
Quiil custùm eh' s' è sèmper tguù
D' far del Vccci in vari lug,
E la sira d' dàri fug.
Questa è niò la conclusioo
D* tutta quanta la Camòo;
£1 mi vcinn dal temp d^adèift
Tgniv a ment al gran smèst,
Altrimènt a srj manda
A murìr Int' al Merci.
S' a ve vguiss mai al pinsìr
D' vlèir cmandàr, e o^ ubbidir.
E qui av' dmand a tuli perdòo
S' av' ho roti al calissòn
Cun al fàrv la descriziòn
In sta lunga mia Canzòn
W tutta quanta la fanziòo
eh' s' fa in Bulogna io l' uecasM
D' sgàr la Veccia, in da stasòo
ChVmagnaarrcngh,sardùn,9aliB
1800. La ristaurazione delle lèttere bolognesi, come appa
dai pochi cenni che abbiamo premesso, è precipuamente doTO
ai chiari scrittori canònico Longhi ed Annibale Bartolozzi, e
richiamarono il gusto traviato dei loro concittadini alla sòlidi
buona letteratura , porgendo loro miràbili imitazioni dei cUas
stranieri. Il primo sostituì alle insìpide Fole della Ciaclira i
banzola le non mai bastevolmente apprezzate Fà^le del j
Fontaiiiej parafrasate, anziché voltate nella favella popolare;
secondo a varii componimenti satìrici originali aggiunse la v(
sione di alquante poesìe clàssiche italiane. Siamo quindi lieti
poter offerire come Saggio di quest'epoca alcune fàvole e
Longhi, coir Introduzione originale premessa dall'autore aU'e<
zione delle medésime ; e V ingegnosa versione fatta dal Baii
luzzi del célèbre sonetto di Eustachio Manfredi suirimmacola
Concezione, che incomincia col verso:
Se la donna infedele che il folle vanto.
Introduziòn al Fol,
Jusèf Mitèl pittòur lutalo in ram
LMstorietta eh' adèss a sòn per dir ,
Per cavàri a mi cont, s' a poss, al slam.
DIALETTI FMILIA2HI. 51 i
Un nrzdòur piuUÒRt vèc avènd da vgiiìr
D' luiTlàn fén a Bulogna pr al mercà ,
Déss a un llòl d' un so flòl : Val' d' long a vstìr ,
Ch'intani a tug Tasnètt beli e amanvà,
E csé beli beli a m' vag avviànd in su ; ,
Spéc' la l>èin , eh' a t' aspc.lt alla vultà.
Al ragaz sveli rarzùnz, es va cun lu;
Mo al n' ba fòli sig a pi dis o dòds pass ,
Gb'al s'senl a dir dia zèinl: Veò bec curnù,
Che dscherziòo da villàn ! Guarda '1 beli spàss ,
Lassar andar a pi quel ragazzèl !
S'al i andàss lu 1 è dùbi ch'ai sMnfisiss?
L'arzdóur dis : A i ho intèis^ vèin qué al mi flòl,
Salta su tè, mo guarda d'andar pian,
Tànl eh' a l' possa tgnir dri cmod al zil voi.
Mo bona ! I n' éin andà vèinl pass luntiin ,
Ch' i dan in n' so quànt' alter zudsadùr ,
eh' a quel pò ver ragàz disn al pan pan :
Quel pòver veé a pi T è strac madùr ,
E te a cavai ? Bardassa , smonta zo.
S' r è la Irop bon , l'è lì un asnàzz d' sicùr.
Al nonn dis : Perch' i tàsn, a saltare
A cavai anca me qué su in t' la groppa ,
E a vdrèin s' a sta manira a i quietare.
Quand i èin luti du a cavai , la bislia toppa ,
S' incanta e n' va più inanz , e lòur adróvcn
A braz averi, tuli du d'accòrd, la stroppa.
In si' alt eh' i pcccen , bona noti ! ì Iròven
DI' altra zèinl eh' s' meli, puvrèl! a strapazzar!
Per compassiòn che per eia bestia i próven.
Mo cun quài cor , i disen , psiv mài dar! ?
Èia una vétta quella , eh' possa avèir
Lèina da tgnir du cstiàn e da purlari ?
Fèin acsc , dis al ve£ y e slèin a vdèir
Ch' incòntr' arèin ; lassèinl' andar a dsdoss ;
Pruvèin anc questa , e vdèin s' 1 pòn tasèir.
Mo niànc per quesl sten de n' svudar al goss ,
E a vdèiri a pi cun 1' àsn a vud : 0 mail ,
S' pò veder d' piz ? Tuli dsèvn a più non poss.
AI ragiiz s' volta al nonn , es dis : Mo cali ,
Qué a n' la psèin cattar para ; s' a tulèssen
A purlàr mo nu 1' asn , a n' sré mèi fall ?
51) PARTE
EI (alt niatliri ! Cossa vlìv* eh* f dsèftscn ,
Arspònd al veÒ , a vdèir sta slrambari ?
eh' sa , dls al nvòud , eh* a vdeir sta età i n' dsmètflei
A piz far pò , prani mai réderz' drì ?
AI nonn dalla dspraziòn dis: So, va la:
E i lìghen ràsen, em'è un agnèi, pr i pi;
E pò l'infilzo in t'un perdgòn coiod va,
I i fan d' spalletta , e al pòrten vi beli beli,
BuflTànd pr al peis e pr i gran sfori eh' al fi.
Allòura , dsioi', eh' i dèn tuli su a fiazèl
A diri di mattaz da mendieant ,
Ch* i è dà sieuramént volta al zervèl.
Sti du dsgrazlà tran zo l'asnèl intani,
Es dìsen : Mo euspèt , l' è una gran eossa
Pi' ineuntrar roii dappò eh' avèln fat tint ?
In tTultm a la forò, es la farò grossa ,
Sparànd un roòechel , dls arrabbé 'I nonn ;
E tatr, ràzla Tasnèt In t'una fossa;
E Ira r aequa e '1 sassi eh' i t* m' i bagnòn ,
Al pòver eiud ligà fine so vélta ,
Fine '1 eiàdr , e mud mu£ i s' la sbignòn.
St' istoria , emod a dseva , roé v' l' ho detta
Per mi cont, siàndem mess In t'un impègn
Da n' tgnir per grazia la calsella d rètta.
Quesl' è d' tradùr i bì zuglèln d' inzègn
Del fol adliti d* monsù dia Fontana ,
Dov a eapéss quant sThan d'avèir a sdègn.
Tant diràn eh' dalla lèingua ultramontana
A i è giusl tant a dir alla bulgnèisa ,
Quant i è da una damèina a una villana.
Ch'I' è impussébll vullar la fras franzèisa.
La so grazia , al so frézz , al so gust féin
In lèingua , eh' sòul è dal puplaz intèisa ;
eh' n' ha lèz grammatical , né caiepèin
Che y* deghn a scriver bèln a s' scrlv acsé.
E i su miùr mèster n* èin s' n' i biricehèin.
D' mod tal eh' fèin i villan inzivilé
Adèss s' vergògnen d' parlar strett bulgnèls ,
A eost d' fars far la baia tutt al de ;
Vlend mettr' un bris d' tusean , un bris d' franzèis
In t' el paròi d'un dscòurs eh' s' arvisa in punì
A un àbit d' traccagnèin mal In arnèis.
DIALETTI BMILIAKI. .545
eh' s' n' a forza d' cuncunar s* accatta i cunt
A lèzr el cargadùr scretti in st' linguài ,
E un frézz mór quand a n' vaga eh' al para unt.
E per quest i miùr lìber da dar saz
Dia nostra lèingua e fari un pò d' unòur
V fan vgnir la sénva al nas , e v' tètten d' maz.
Pr i furastir che n'san la inròlla e al flòur
D'sta lèingua, e la sgualmidra di su azzèint,
I armagnen tant stocféss sèinza savòur.
E 'I ztadèin che sta lèingua ardùsn al nièint
Cun liastardarla tant , eh' a n' i è più nsùn
Ch' sava d' lettra un puclèin, eh' ni figa i déint.
AzoDtàf d' groppa tutt i simitòn ,
Ch' farà tant Tari fatta d' schizzignùs ,
Sòuvra i vers eh' n' i parràn né bi ne bon.
Chi tnivarà i sunètt péin d' stoppabùs ;
Chi maldirà i terzètt per quel dèln don ;
Chi i quadernàri , eh' fan la nanna ai tus ;
Chi n' prà suflTrir li uttàv e chi '1 canzòn »
Quelli pr avèir di pizz del volt trasposi ,
E questi perch' el i èin da calissòn ;
Chi vrà del spezi d' madrlgàl piutòst,
Cmod fa dal trèi al dòu V uriginal ;
Chi alto la vrév , e chi la vrév arròst :
Al n' è mo '1 eas mi d' me , iùst tal e quàl
Fu quel d' qui du eh' tgnén ammazzar l'asnètt
Per dseavars', cmod s'sol dir, tàni servizial?
Mo a n' vàg a torm' in corp un car surbètt ,
Mittènd in bocca a tant ch* n' han altra mira
Se n'dirm', a farla grassa, del ciuccètt?
Pr avèir vlù perdr al tèimp a sta manira ,
Dri a del vsigàt , eh' la so più gran furtòuna
Srà d' èsser letti a del banzòl la sira ,
Da di bambùz al serv eh' sbàtten la lòuna ,
Per tgnir star sèinz al mròusa asptar la sgnòura,
Féin de crudànd , o sacussand la còuna.
Sòuvra al strùssi del tèlmp a v' dag eh' 1' è d' er òura
Ch* tutt d' aceòrd em' darén da divertìrem'
Dov s' zuga , 0 a s' fa T amour , o dov' s' murmòur^
Sòuvra ali* incónter eh' i fan grazia d' dìrem
Ch' ara sti fol , al liber dia banzola
M' ingalluzzèss , eh' a n' m' n'àva da pintìrem ,
thh PARTI SBCOBTDA.
Perchè me fn quel a n' trov iiiànc una foki
eh' ava un ix)' d' sài , e sig al lèc dia rema ,
E pur al s' lés quànt s' fazza ì lìber d' scola.
E s' al léz anc di mòcchel eh' fan la prèma
Figura in fai paèt9, sòul per quel! viv
€h' ha '1 bulgnèis , eh' prèssa d' lòur merita sléma.
Nianc el dam • eh' la san longa , s' in fan schlv.
Ilio i l' ban lèti , es al lem a tuU andar ,
Mustrànd d'avèiri un gust squàs ezzeasìv.
E in prova del so incòntr, al dvintò rar
In puc ann , e qué d' curi • n' s' acealtiva
Per quattrèin , eh' V ha baugnà iàrV arstampir.
La roba in vers d' Lott Lott fors n' incuntrava
Quand la végn fora, e la n'pias al presèint,
Bèlneh' s* sèppa pers la ciav d' qui eh' lu piagava ?
La traduziòn d' Bertòld , dsi unestamèlnt ,
La n' s' léc ? EI dsgràzi d' Bertuldèin dia Zéina ?
L'asnada d'Bertolùzz stampi ultmamèint?
Ah eh' basta d' guardar d' scriver cun dia vèiiia ,
Al bulgnèis è un linguiiz eh' dà giist magara ,
Me per carastì d' tèrmen mai s' arèina<
Sti lìber qué n' v' in dan saz e capara ,
E i strambùé féna d' Giuli Zèiser Cròus
Fatt pr I villàn da dir su in t' la cbitara?
Oura per cossa ha da riussir csè dsptóus
Sto lavori r cava d' in csé bon lug ,
Ch'tutt m'àven mo da dar tant In t'ia vòus?
S' in t' al tradùr, a pèil e sègn a n' tug
Al beli e al bon di' autòur da me tradùtt ,
A n' cuir^ una falestra del so fug ?
S' al n' ha tiìnt , eh' giustamèint l'è tgnu da tutt
Pr al più viv e '1 pia iott eh' ava mai serett
In st' far bon da cavaren' f ànt oostrùtt ?
Es n' scréss sti fol pr el serv e pr i tosètt,
Mo pr al Delféln al tèimp d' Luig' al grand ,-
Figurav' s'al s'derzvlò pr arar pr al drett?
Al srà bèin pht per quest , cstòur van arbcand ,
Ch' al material è flòur , pr avèir più dsgust
A vdèirl' andar d' in man In man guastand.
Ch' rabbia n' fa, vdèir un zòuven d'un beli fust
Cun un abit fndòss e d' sanerà roba ,
Mo eh' pr al eulòur , o al tai si d' lader gust ?
Cmod vizcvcrsa una zuvnelta goba
Par un fiis, s^ Tha una vslèina e un bust d*bon lai.
E al scrìver più del vstiiri dòuna e roba.
Mo caspita , qué arspònd .. cossa srà mai ?
Per sta mi traduziòn cascari al niond ?
S' a m' imbròc d' punt in bianc srà osé gran guài ?
h'a salv l*uriginal in quànt al fond.
Palèi nzia »* Ta a da inai una quale blèkza ,
Per quant a in scappa , a in' arsirà tà un sfond.
E pò , nianc« al bulgnèis for^i vaghezza ?
A n' vii ch'ai possa dari uil 0o* d* cumpèins,
Ch' a vièir o n' vièir bsò dir ^ eh' V ha dia vivezza?
Mo vù , i diràn , siv quel mustaz d' bon sèins
Capàz d' far st barattèin , eh' a farei bèin
A n' i voi méga un strappaguaz né un mlèins ?
L' è vèira eh' a son tal , mo a z' pruvarèin ;
Tntant tuli st prém liber pr* una prova.
S' V ara di' incòntr , andand inanz a z* vdrèin.
Perchè Aé v' dng in ùltem pò una nova ,
Ch' per quest a i ho za mess al èor in pas;
E va eh' i ne m' mittràn la lèingua in giova !
Cossa pò mai suzzèdr ? Alter eh' el cas
De n' truvàr un eh' niànc per ferr vèé al vléss ,
Causa qui eh' faràn grazia d* diiri d' nas.
Pinsaressi eh' per quest a m' tntisghéss?
El fatt mattiri ! Me m' cuntinUré
Del 8|>ass eh' a i àv in quell tal òur , eh' a V déss.
E pr en' strussiàr quattrèln , a m' fermare
Dal faren stampar di alter , e da qué inanz
Pr inféna d' co dal libr al traduré ,
Prema, perchè quest fa al mi cas; d'avanz,
Per svagarem quale volta in tant mi intrig ;
E pò, s'pré dar eh' un de s'quietass t&nt zanz.
Tant più eh' lizènd sii fol a di mi amig ,
Cb' han miòur nàs eh' a n' ho me , d' acoòrd cm' è piva ,
Me n' crèd per cumplimèint, s'alligren mig,
E m' fan curaj; eh' a tira inanz , eh' a scriva ;
Ch' 1* idèa del liber , s' 1» incuntraM pulìd ,
L' è tant luntan eh' la s' possa dir eattiva ,
Ch' anzi bsò dir, dappò eh' s' liga I lisa d' vld,
El fol èin sèimper sta la miòura font
Pr imbéver d' màssem bòn i zuvnèil d' nid.
5^0 PARTB snONDA.
Per qiiest del fol d' Esòp s' o^ è fall tant cont ,
Tradotti in tutt «I lèingu in prosa e in ver»
Dai miùr inzègn , eli' s* ì èin gratta su la front.
E qué i m* disen , eh' al n* è brisa tèimp pers
Quel eli* a i ho spèis e a spend , e eh' a m' aquieli
Cti* dai copp in su n' i srà mai da d' arvèrs.
Ch' st beli sug è la fòurma eonsueta
Dia quii ha Tla servirs, per larz' intènder
Tant bèlli eoss, al Sgnòur e i su Profeta.
eh' per sta stri qué cnn liberta s^ pò dstènder
A condannar mi vézi , e arrivar d' co
Con divertir piutòst che cun offènder.
E pò che prest o tird vgnarà la so ,
Ch' tutt 1 libr a drittura eh' I dan fora
AccàUen sèimper chi i voi ptnar la co.
D' ond niànc dai copp in zò m' ha da far pora
S' la rèma m' porta un tèrmen eh' an' s* adatta
D* sigili al frézz di' autòur , es fa eh' al mora ;
Ne s' tra '1 vari manir di vers s' n' accatta
Una eh' air i ùrèe d' un rlusséssa dsptòusa^
Ma eh' a tanl alter figa el ghetti e '1 gratta.
Cmod suziéd del piattine , eh' una è schivòusa
Rispètt a vari luv d' gust delicàt,
Ch' fa Icirs' el dida a di iltr e s' i è aptltòusa.
eh' al gust in stl materi è cm' è al palàt ,
E vlèir dar in t'el geni a tutt a un mod^
L* è cmod un cumprumèss pr un avucàt.
Bsò aspttars d' avèir l' imbèil in cambi d' lod
Quand s'mett in mostra cvell ch'I' è miòur ripiég
Da n* ciappar fug , e impgnars' a rbattr al ciod.
Altrimèint I* è un andar a cazza d' beg ,
Ch' a finir bèin flnèssn in tint mursgùtl,
Dov tutt i lassn al pèil , a n' so s*am' spiég.
FIdandom' d' sti mi amig a i ho arsolùt
D* stampar si prém liber cun al test in fazza
Per cumdlta d' clòur eh' m'in' vran dar di plut;
E intant dop al macciòn star a vdèir eh' razza
D' notomi s' ha da fari , suponènd
Ch' I m' déghen eh' a m'al goda e eh' a m'in spazza.
Perch' a sòn in t' l' urzòl , s' mai a pretènd
D' avèir imbrucca bèin quel eh' dis al test ,
Ch' puvrètt a m' dag bèin di' aria , mo a n' m* n' intèn
DI ALKITI MILI ANI. 547
Tanl è vèira , eh' a cred eh' si lioguài rubè«t
Sia capaz d' dar al fot cr aria franièisa ,
eh' al cuiifrònt inustrarà mèi conz pr el fiest.
PazèiDzia , a dég dio me , s' an^ arò intèisa
E tolta pr al so vers la quéintessèinza
DI' uriglnal , s' al va a da mal la spèisa.
Al lìber n' è tant gross , eh' per canseguèlnza
Faga fallir al stampadòur s' a i resta ,
eh' n' ha stampa bèln poe eopl per pnidcinza.
E s* a m' sèint dar del matt zo per la testa ,
Pr èssrem' mess in sta barca sèinza bscott ,
A i lass cantar , e a n' vòug gnanca una pesta :
Perchè l' è un cumpllmèint che di òmen dott
Pi* al sòien far sèinza dscherziòn csé spess»
Ilo i curopatéssen bèln un scarabòtt
1 èin sòul i mozzurèi qui eh' mando al mess
A far cattura per del età che n' cònten,
E i metto i galaniòmn in cumprumèss.
Cura cossa m' importa s' cstòor ro' affròoten ?
Rang' d' àsen , cmod s' sol dir , n' arriva al xll ,
E a vdrèin pò el sòu cattùr a cossa el mònten.
eh' s' el sran pr al più vsigài, e al piasa al stll ,
I vers , la lèingua , el fol sòul ai ragaz
E al serv , cmod s' déss , eh' n' i badn acsé in suttìi ,
Me m' par d' èssr a cavai , es fag mustàz
Pr andar inànz in vésta del guadàgn
Ch'i pòien far lizènd st mi scartafaz.
eh' sti fol èin quell beli mezz, eh' a n'i è '1 cumpàgn
Pr insgnàr a vivr al mond , cunfòurm a dsén ,
E a spulaccàr burland i pùver gnagn.
A n' fu per qùèst eh' tant òmen d' garb spindèu
TcJmp e sudùr per veder d' inventaren ,.
E in tutt el lèingu el vecci tradusén ?
Donca eh' mal è quand a n' s' lavòura indaren ?
E s' i scapùzzen dèintr in t' un qual dfett ,
eh' i pèinsen eh' sèinza zuuta a n' s' ha mài carèn.
Dscurèinla. Dsim' un poc eh' razza d' cunzèti
Fessi mai d' qui dall' àsen quànd a v' dseva
Ch' i l'affugòn? Mo i n'ev' fénn propri dspetl?
Mo a n' i dsessi di matt ? Cossa i aveva
Da far pò clòur cun tutt al so zudsàri
Da ardùrs a strassinàr st due eh' i serveva?
5%8 P Am SEOOGIKil.
eh' vM ■* tresH sUi or boo da vièir badàri ;
Mo bgànd alla aata da intindàsc ,
A i arasi io cor vìtster Banda a fari.
ri mo d' aa vòsler coni eh' nianca oié case
All' armòar del ili di cattanóia ,
Perch' a tqoadriri bèin i èin cmod è '1 frase ;
eh' el pareo sett e qoattr a vdèlr la fòia ,
E ògn po'd' vèint eh' tira fao dia vèmia , e s' piòtten ,
Ho OD fmt, eh' è un frut, dsloi ehi è da lòur ch'arcò!
E acsé fao lòur : per tutt quell di àltr i fiòtten ,
Ho un c\'ell del so n' s' \èd mài , lànt , eh' psèss arfira
I galantòmen eh' fan , e eh' lòur slNillòUen.
Ah eh' Imo lassar stl seccascffòn sfugars,
E far emod fé quel brac eh' plssò in t' al grugn
A quel cagnett eh' V nuava sèinia impgnàrs'.
Ha s' i dstanissen di dsperpùst tamùgn ?
E me cun tutla pas mi mitrò a curèier
In r un* arstampa , mo mài far ai pugn,
eh' por trop a 5Òin a un tèlmp eh' la rabbia a lèacr
EI erétic , che n' èin alter eh' insolèinzi
Féin còntra Cantenan , eh' propri a n' s' pò rèacer.
S' el fùasen fatti a dvèir cun li avertèinii
Dà da Alissinder Pop , eh' èin sta tradotti
Da Zvan Rieòlr , el srén al spurg del sièinil.
eh' I su gropp e 'I su natt se dsfarén tutti ,
E a li vdrén messi in t' al so più beli lum ,
Féin pr i tusètt In pappa e mnestra ardotti.
Ma fatti a sta manira a slreinza I nom
Di autùr sèlnz* un prò al mond , a i va dia téla ,
eh' el sièinzi réstn' al bur , e al bon va in fum.
Perchè s' a s' vèd eh' al zudsadòur sgarmèia
eun del buffunarì vivi e graziòusi ,
Pur trop al bardassjim tripudia e sbrèia.
Ula bèinch' i sia tramèzz del prov inzgnòusi
A n' s' i da retta , el eiischen zo dal vali ,
E a n' s' tèin a roèlnt , s' n' el 1 csprcssiòn plccòusl ,
Per fars' onòur taland dedrì dal spali
I pagn adòss a chi fare ammutiri ,
S* al 8' truvàss le quand lòur al mettn' in ball ,
Dfindènds cun garb dai frézz e dal malliri
Boni sòul da far còulp In chi n'ha vés^t
Né galateo , né scola , ne santi ri.
DliiLBTTl BMIUANl. 349
Uònd muìandrèin , cmod ir dvìnlà esc (rcét ?
T' mett ai sett zil clòur eh' fan la court ai vezi ,
E qui eh' pàrlea per bèlo t' i mand pr el pesi?
Voltèr, Russò , eh* n' han seréU ehe per capresi
Tant barunàt, s' porta in triónf e iu gloria,
E Ninzòn , eh' i eunfònd , s' ha in quel servezi.
Lù ch^ va cm' è vèint pr al drctt , e a n' fa bandòria
D^ tèrmen dai manlzzèin tira in t' la frosa.
Di quàl s' serv qui dsgrazià eun tanta bòria ;
Tànt eh' sèinza lambieàrs e far la glosa
Vu capi da re a ron , eh' elòur han al tort
Ygnènd Indri dop dòti òur frese em' è una rosa.
E al le capéss a dspetl i spìrit fort.
Che n' crèden s' n' in t' Tandròuna perch' la puzza ,
E qui alter eh' Iu battezza per coli stort.
eia santa verità tant eiara, eruzza
I prém, eun tutt ch'i faghen da dsinvòlt,
E smaeca qui alter eh' fan el mòun , es i uzza.
E s' per ciinscinzia i vlèssen dirz quànt volt
I han sbaiafTà eh' l' abbà Minzòn dà air i oé ,
Cun tutt eh' al cor i dsess : Per zio, ai i ha colt ,
A vré eh' a v' maraviàssi più d' un poe ;
Mo per superbia o per vergogna i tasen,
E i s' affùgn in t' la panza al tee e toc.
Mo eh' i s' la tcgnen d' bona, e eh' i s' cumpiàsen
D' Vollèr mort eiuc, e d' el' àltr in t' un tuguri,
Supplé pr òurden dia Cisa enrè tant àsen.
Di' ni' in' guarda però d' fari l' auguri
D' murìr cm' è cstòur , eh' i tcinen per sant pader ,
Tànt eh' s' a i dà eòntra a i vdi dar in t' et furi.
Mo a pregarò per lòur , che s' i cin zo d' squàder
In gèner d* fèid , al Sgnòur i tocca al cor ,
Pr aregnòsser Santa Cisa par so màder.
E per far ànm a st pass , eh' a i faga tòr
Esèimpi dall' autòur d' sti fol , eh' s^ in mors
Cun al zilézi , e eun al dir : Me raor.
/il Lòiw e al Can.
Un Lòuv sòul oss e peli
(Tànt badava alla balla i can le dri )
Dà in t' un inastcln furzùd quànt tond e beli ,
Ch'ave saiarrc sòuvra pinsir la vi.
3M Pian noonati.
StricrirU al mur eun firi un burubo^
8t LÓQV l'are fati viuotira.
Ha bsagniva attaccare a to per tu ,
E al Mastèln ave xìra
De n* s' laaair murìr brisa l'anxl In mio.
Coflsa fa al Lòur ? L' abòurda da curtsàn »
ÈlDtra »lg In t' al dscòors mulséln mulséln ,
Es fa i oh ^ vdèndr intòn quint è an nlnnéln.
Mo a n' starà se n* per vù , bel al mi sgnóur ,
D' n' èsser , qué arepond al Can , al par d' me In ftòur.
A dscavav d' In sii buse , eh' a fari bèln.
Qoé i par vùstr èln dsdlttà , perchè nù i vdèln.
Tant Schiller , pùver dlàvel ,
In dura cundlzlòn
D' murìr d* fam , d' mai magnar In pàs un bcòn.
Dir de n'avèir mai tàvel
Da psèir galupplnàr !
Ma la mort sèlmpr al cast !
Tgnim' dri eh' a starì mèi d' perpùst.
Ai Lòuv arepònd : Coss' boia pò da far ?
Squas niclnl , i dis al Can ; andar baiàud
A qui eh' han di bastòn ,
E al birb d' In quand in quànd ,
Po far festa a qui d' ca , massm' al patron ;
E intiint ari d' salàri
I cascàm del piatane più féini e rari ,
D' pullaslrMni e d* pizzòn el test ci I oss ,
Pr cn' dir di dsnom , che v* s* fràn a più non poss.
Al Lòuv s' figurò in testa una cuccagna ,
Ch' fé vgniri el luzl ai uè per tenerezza ;
Ma Intani eh' al s' i accumpagna ,
Vdèudi pia 'I coli, a i déss più prest die d' frèzza :
Ohi, coss' è quel? — Nlént, nicnt. — Ma cmod nlcnt niéni
Poe mài. — E pur ? — Srà sta
La culara cm' a tegn star incadnà. — . - m
Incadnà? déss al Lòuv, sgrlnzlànd i dèidt.
Sicché donca a n' currì
Kc dov , uè quand a vii V —
Sèimpcr no , cossa imi>orla ? —
L' importa lànt eh' a ne m* faresti tor
A s»t' prczi i vùster past, ne nianc un tsor. —
Dell quèst al Lòuv còrr anc, eh* al diàrnpr al porta.
dlALRTl EVIUANI. SVI
jil Lòuv e l'jégnètl.
La rasòn del più fort sèimpr è la miòura ;
Sinli sta prova , e pò dam^ d' barba allòura.
Un Agnèll in V un ré d^ aqna bèin pura
S' cavava un de la sèid.
Un Lòuv a dzùn I arriva al cnst quèld quèid ,
eh' zercava so vintura ,
Dalla sghessa tira iùst le in quel lug.
E arrabbé battènd fug
A i salta , e a i dls : Al mi tocc d^ insolèint ,
Chi V inségna a vgnir qué
A inturbidàr »i* aqua , dov a i bèv sòulméT
Sta to temerità
V la pagara sala;
Al sur , e a t' al roantègn sicuramèint. —
Sgnòur , dis TAgnèlI , termandi bèin la péssa ,
Vostra Maestà d' grazia en' s* arrabéssa ;
eh' la pèinsa eh' dov li bèv, 1' è un sii più in su
Una vi n teina d' pass d^ quel dov me ho bvu;
Sicché dònca a n^ s' pò dar
Wsta so aqua me i l'ava psù inturbdar.—
Té t' l' intòrbd , dis sU bastlazza;
E pò a so ch^ an t'dséss mal d^ me , dia mi razza. —
Mo cmod al psévia far s' a n^ era nad ?
Arspòus 1^ Agnèll ; la mamma em^ dà la tòlta. —
S' t' en' i sta té , fu to fradèl del bretto. —
8' a n' n' ho nianc un , eh' a sòn mo me '1 prém nad. —
Dònca qualcdùn di tu ,
eh' mài v^ asparmià d^ dir còntra d^ nù ch^ mal do ,
Perch' z^ tuga a strèina 1 càn cùn i pastùr ;
Al m' è sta dett d' sicòr.
Qué bsò eh' a faga el mi vendètl adèss.
E dett e fatt V agguanta es al sgavàgna ;
Po 'I porta d' co del bosc dov al s^ al magna ,
Arsparmiàndi la spèisa del pruzèss.'
La Rundanéina e V UslètL
Una tal Rundanéina in t' 1 su viàz
S' era molt bèin dscusé.
26
Sn PARTE SBCINIOA*
Chi ha vést purassa coss , vélo pò quel de,
eh' al 8' el poi arenrgnir , e cun vantàz.
Li stluflsèva el bnrrasc più pznèini ch^ s' dèssen ,
E ioani assi eh' el vgnèsseD ,
La li fava eapir al marinar.
Al suzzéss , eh' qoand la ean'va s' sol somoar ,
V ha vésl un cuntadèin
Invstìren di quadèren senza fèin ;
E a capétol ciamand i uslètt , la i déss :
Sta bùbbla ne di' va brisa pr al fasòl ;
Puvraz y me v' cumpatéss ,
eh' a v' vèd propri in t' l' urzèl.
Per me m' sarò tòr d' sòtta , e a m' n' andarò
in l' un quale tanabùs , e a m' salvarò.
Vdiv' là eia cara man
Ch' all' aria va sdundland ;
Vgnarà un de , eh' a' è luntftn ,
Ch' quel eh' la va sparguland
Srà r ùltem vòster dzepp. Oh quant' nrdègn
ly bgóll e d' rèid nassràn d' qué per ciapparev t
Quant lazzètt pr attraplarev !
Cun una maitinà d' mèli altr' urdègn
Càusa alla so stason
Dia vostra mori o dia vostra persòn.
Ari una gabbia^ o un spèld !
E qué prèdica a cstòur la Rundanèina :
Fa a mi mod , avam' fèid.
Sgufflàv' più prest che d^ f rezza sta smintèlna.
I aalòtt i dan del gnoe ,
Ch' per quel eh' era in t' i camp , quest i par por.
Quànd al can'var fu grand la i tòurna a dir :
Tutt quel eh' è nad da eia maldètta smèint
Fai in brisl , altrimèint
Tgniv' d' fèid ^ eh' a v' andà tutt a far bendir.
Corv dal mal nov , arbecca cstòur , braghira ,
Anma mi al bel mstirèin eh' a z' attruva ,
Nianc un miar d' zèint è assi
Per pluccar st' avinzòn per quant la tira.
Quand al can'var è air ùltem blond chersù ,
La Rundanèina s' i arfa a dir : L' è fatta ;
Sta smèint del bretta è prést e bèln vgnù su ,
Ma s* piz che n' s' fa a una matta
DIALRTI IMILUNl. 5tt5
Pr iDféin adès6 a n' m' avi vlù tiadar ;
Da qaé inàoz quand a vdri
eh* la terra invsté al villan dà poc da (ar ,
Savi bèin eh' cstòur faràn guerra ai uaL
Quant ràgnol , quant fllètt I
Tutl tràppel per I usiètt.
Almanc pr allòura en' svulazza In za in là ,
Ne v' muvì d' In V I nid , o sèinza ciàcer
Fi sanmichél luntan , e fi cmod fa
El Fòlg , el I Anadr d' vali , el Gru , el Pluicber.
Al vòsier mal l' è , eh' vù
En n' sì In stai ed passar, emod a fèln nù ,
1 dsert e '1 mar , e firvla d' co del mònd ;
E per quest a n' avi che un meu sicùr ,
eh' è quel d' ficcirv' In lond
Al schervii d' un quale mur.
I uslètl stuff d' sU eunsèi ,
8' mèssn' a (ir all' arfusa del bisbèi ,
Tal e quii fé I Truiin
Cm'l fén arstar Cassàndr un bel babin;
E CBod r andò per cstòur^
Acsé r andò per lòur.
Quant usièli I éren , tini in fu atlrapla.
A sèln iutt d' naturii
De n' dar mèlnt s' n' a chi z' dà dia savuni ,
E féin eh' al n* è suzzèss de n' crèdr al mal.
Simònid salfpa dal Deità.
A n' s' pò mai ludir trop tré! fatta d' zèini :
Qui eh' stan dai eop In su , la Dama e al le<
Malerba el dséva , e me son d' sentlmèint ,
Perchè l' è bon alla fé.
La lod fa 'I ghetti' e cómpra i più dsunla.
Dal irei al dòu 1 uoeètt d' una bellezza
L' han pagi e strapagi.
Vdèin cmod mo el Delti fan di' azevleiza :
Simònid s* méss un de
A fir di vers In lod d' un Gladiatòur.
Fine eh' l' av , al s' addé
Ch' al suggèti è pèin d' zanz sèinza savòui ;
SS't PARTE 8BC0NDA.
I parèint d' si Gladiatòur , sèinl cb' n' è cgnosM ^ *
AI padr arrìsg stadèin ,
E lu , fora d'9te so (ir, un turluru.
A vdi eh' razza d' suggètt e sec e pznéin.
Al Poeta d' long déss d'st so bràv sugètl
Tutt quel eh' mài al psé dir,
S' tré al parte d' taccar sotta , per l'effètt
D* psèirs un pò sbizzarìr ,
Dsènd d* Càster e Pollùz , i préni e I miùr
Ch'intèssn alla lus del mònd I gMiatùr.
E qué purlò ai sett zil i su dui,
Dsènd i lug dov s' fé unòur sti dn gemi;
AI pangéric del dòn Deità furmò
Du terz inzirca d* sta cumposiziòn ,
E al Gladiatòur , che qnSnd a i l' urdinò
1 pruméss un dublòn ,
Garbatamèint , avù eh' al V av in min ,
N' i de ehe un terz, e I déss frtign frugn: Al resi, ^
Tant Càster quant Pollùz , du segn zelèst ,
A llr , sold e denàr v' al pagaràn.
Ho a v' voi far trattamèlnt. Vgnin a dsnar nfg ;
A starèin da sgnuraz ,
I dsnadùr sran adlìt tutt d'in t' al maz,
Parèint , e i miùr mi amig.
Pie m'sti a far slmitòn ,
Vgniv' a dscrèdr in pulir cun sti mattòn.
Simònid i prumètt , fors bèln per pera
D'armettri òuUr'al so avèir
Ane del lod di su vers quel po' d' plasèir.
Al vèin , s' fa al dsnar , e a s' magna eh' nient s' arsora ;
Tutt i stan d' staglia, quand un d' qui dia ci *
A diri d' drt dia scranna dov al sed :
I è dù eh' al vòlen veder dett e fatt.
Lù s' tot da tivla , e qui ilter eh' a n^ i importa
Un flg dMu , fan un d'^nèlt e i vudn i piatt.
Sti du èrn I gemi ch'ai ludo tant,
eh' al ringrazién , pò viènd pagari i vera
Ch' al fé per ìòttf , l' avìsen ch'in el' istant
Sta casa fa un seuffiòtt per tutt i vers.
Alla fé eh' i accoién ; «h'toppa un pilàster ,
Fa nona , e addio tasséti ,
eh' n* avènd più eh* al su^tiinta , m a Oazèll
IMALBm EMIUANI. SW
Squezza dsnàr , fiasc e piati cun i su impiàsler ,
E a qui eh' diiven da bèvr a n' fa nièint d' mane.
Mo quèst eh' è qué n' è nianc
Al piz , la età qué n' s' quieta
Per eumpìr la vendetta del Poeta.
Uo trav seavezza el gamb del Gladiatòur ,
E dà cumia ai dsnadùr struppià squis tutt.
I avvìs per fars' unòur
Spargóien d' long la nova da per tutt.
Oh eh' miraquel ! tutt zighen pr una bocca ,
I vers d' un om dal Deità mèrten bèin
Sia paga dóppia, ch'in st frangèint i tocca;
E al n' èra un om da bèin
Clù eh' i pagava profumatamèiol
S' i dàven del savòn alla so zèlnt,
Qué a tòurn al pùnt , es dég in prèma d' tutt ^
eh' el Deità e i par su mal s' lòden trop ,
E pò eh' el Mus spess , sèlnza dar all' i oò ,
Pòn cavar dal costrùtt
Dal sòu fadig ; e In t' l' ùltem , eh' la nostr' art
Ha da tgnir su el sòu càrt.
I Grand s' rènden gloriùs
Cm' i fan la cort al Mus.
Za *1 mont Ulèimp e al mont Parnàs ladri
Bazzgàven da amigòn e bon fradi.
/ Galavròn e el' i A%\ '
Dall' ovra s' cgnóss l' artésta.
A s' truvò del brèsc d' mei sèinza patron*
I Galavròn el pretendén a vésta.
EP i Av i cuntrestòn sta pretensiòn.
La cossa mtènds' in Ut ,
S' andò da zerta Vrespa , eh' dezidéss.
Ma la i grinciò cm' la s' méss
A studiar al mèrit del quesit.
S' a vii , i tsUmoni dsòven:
D' avèir vést drì a sti brèsc far dal pladùr
Di bstiù dair i ali bslòng- d' un liunà scur ,
Cmod è r i Av , e per tal gran tèlmp s* cherdévcn.
Mo cossa? I Galavròn
A sti f ndézi èin tutt' un.
S56 MUTI twamoà.
La Vmpa a st quia, n*Aavènd da eh* banda tgnìr,
Tòurna a far del rìzèirc pr avèir più lum.
La in droanda a un furmlgàr ; %* fa del zanzùm ;
Mo M punt en' s' pò solari r.
Mo d* grazia , cossa zòva tutt quest qué ,
DÌ8 un' Ava eh' ha giudézi ,
S' dòp si rais d' lit a sèin al bel préin de ,
E in st mèintr ai mei fa i flùr a prezipézi.
D' ògn' òura è ièlmp , sgnèr Glùdiz , eh' la la sbriga ;
Su , eh' r ha mna per la zèndr assi la vsiga.
Sèinza tant contradditori,
E tant interrogatori ,
Arzlgòg , muzzurclari ,
E farz' corr'r Inanz e indri,
La metta al prov i Galavròn e nù .
E la vdri chi d' nù altr è capii d' fir
Un sug dòolz cmod è quel , e d' fabricir
Del brèsc cun quel cumpirt, eh' a n' s' pò far d* più.
L' arflùd di Galavròn fé dscrùver trèin ,
Siind eh' i n' èren da tant.
E la Vrespa lampant
De a d'chi era quel mei pulid e bèin.
S'ògn prusèss s' fess acsé , che al zìi al vléss,
E l' ùs di Ture in st gèner s' abbrazziss ,
Sòul al sèins cmùn per còdiz vré ch'servéss,
E una bella munèlda s'asparmiass ;
Ch'a n'srèn magna a traversie plucca in Vi oss,
Cun mnarz' pr al nas sland a cavil del foss.
In féin s' fa tant , eh' di* Ostrica s' fa trèl part :
Pr al Giùdiz al garòl , el scii pr el pari.
Traduzione del Sonetto :
Se la donna infedelj che il folle vantOj ec.
di Annibale Bartoluzzi.
S' da donna sèinza fèid eh' av tant argòi
Da vlèir cun Domendì èsser dei par ,
E eh' puvrìizia eia mèiia vola mursgar ,
Cun darn' al dòuiz mare un poc d' arsói ,
Avèss dett al bissòn : No eh' a a' In' vói ,
Tèint' la to mòlla , e vat' a far squartar ,
La mort , l' infèreo en' a' srén sintù arcurdar ,
Né niànc al pei cun tutt qui alter garbòi.
DULSTTI BnUAHU 557
Ma s'Eva pr àltr en'dava io V al zedròn ,
Madunnèina bendètU , al vostr^ unòur
Srév armesda cun tuli in cunfusiòo ;
Pura a sréssi , ma n' s^ in^ farév armòur.
Felìz doDca da còulpa: oh al bel maròii I
S' al chersé a una tal Donna un nov splendòur.
4840. Per saggio dell' odierna letteratura bolognese, valgano
le seguenti poesie inèdite dei chiari scrittori viventi Raffaello
Buriani , dottor Nenzioni , dottor Carlo Frulli e Biagio Uccelli ,
2ii quali rinnoviamo la nostra riconoscenza per avercele grazio-
samente comunicate.
Sestèin balzan
P»**un dmàr (funa Sozietd d'maUj detta di TrèdSj dal nùmer
€ii campunèint, i qual però han la [acuita d'cundùr ognun
9m amìg,
(Carneval dèi isitt.)
Finalmèint ste bèli de Tè pò arriva
Che tùli in cumpagni qué a sèin a dsnar,
E in grazia so nù a vdèin verifica
Che non sèimpr a s'attrova al trèds in dspar:
DI fatti, s^a luma la cumpagni,
Trèds ein i sozi ^ mo a sèin qué in ventsi.
Pur sta giurnata, eh' è peri altr alligra,
A dirvla d' bón , per me la nT è za tropp,
Perchè st^ann la mi Musa s' móstra pigra,
Ch' la scùria n' zóva a farla andar d' galèpp. . . .
Sta debolézza, corpo dèi demoni !
Srévla forsi un effètt dèi matrimoni?.... (i)
Mo davvèira che quèst sré un bèli effètt
Per qui puvrétt eh' s' impazza' in V el mujér!
Se più a n' i serve né liva, né a lèti
Quel eia eh' s' clama èster, me a v' al dég sinzér,
A m' parYev, in sustanza, un miòur aflar
Al supplir» viv, 0 almànc al fars castrar.
(I) Al porla (con bon risfi^M dia lavi») era allòura s|mi& nov.
9BB . PAan aM»9k,
Al lor mujér fu sèimpr un alTàr schéé,
Cmod dseva Zizeròn clscurrèud di mrus,
E al scriv che acsé pian pian dvlnlò un sterne^
Un so cusèin dia cà di Stopabùs ,
AI qua! per la muJér, acsé bèi bèi ,
9* I aslargò el brig , e s' i asgrandé al cappcit.
Mo lasse In da una banda el buscaràt,
E mittèins in t' al seri : in ste bèi de
D^ cossa s' prév dscòrrer , eh' déss un poc d' dllèll ?..
Zèirca pur cossa dir... Soja mài me!
All'arversa dèi sòllt fu la festa :
Al matrimoni m* ha lima la testa.
Tuttavi a nM è rimedi , un cvèl bsó dir
Pr** en far del tutt figura da minclòn ;
Dsèin su dónca una volta quel eh' sa vgnir :
Séppa quel eh' séppa, e bona nott patron !
E s'anc a fùss per (àr trésta figura,
Em'mittràni per quèst In sepoltura?
Damm te, Musa bulgnèisa, un argumèint
Ch' séppa, in sustanza, tal da farm unòur:
Che al dscumparìr tra i altr a i lio in tla mèint
Ch' r ava propri da èssr un gran brusòur.
Su, su, svelti, cura^... Ah! a Tho truva:
1 vantai a dirò di Innamurà.
O tu. Apollo, che iiedi in Elicona
In mèzz al Mus, dòv t' fa d'ogni èrba fass.
Oggi propizio il fopòr tuo mi dona :
Va là, cinètt, e n'em' lassar in ass!
Coss'éla? t'n'em'dà mèint? ah! t'en' vù vgnIr?
Mo a m^n sfrèig di fatt tu : pust arrabbir !
Cossa m* scappa mai dctt ! Oh puvrèit me !
A n' em' son arcnrdà eh' a 1 è del donn ;
eh' bsò guardars dal biasimar in st'cas eh' è qué,
Mo di pater o di Kyrie-eleisón
In lor praenza il dir $olo è cotice$$o ,
Che tono il femminil devoto sesso.
A v'dmand scusa umilmèint, i mi dunnèin.
Se quél Pust arrabtir a m' è scappa :
La n'è za una blastèmma, mo un biasimèin
Che s* sèint dai galantòm anc per la stra :
A v'prumètt tuttavi che per l'avgnìr
A n' sin tri più da me Pust arrabbir.
DIALCTTI EMILIANI. 550
Puxt arrabbir, di futti^ l'è uo auguri
Che n** va délt per matti ria gnanc a un can :
Putì arrabbir el i éln paròl csé duri
Ch^a io sinlirò rimòrs inséin a dmao :
E se si' Pìut arràhbir al v** ha fatt pora ,
Ptut arrabbir ti* em* scapperà più fora.
Ho fiaèinla una volta, e fèins un poc
Airargumèint eh' a m*son preféss d^ trattar,
Che più sdondland al srév un dar agli oé ,
£ al par'rév quasi ch^ a v"* vtéss minclunar :
Mo cossa vUt? a savi za, fiù mi ,
Ch^ razza d' sturnèi è mài la fantasi ! . . .
A propòsit: sta sira al ComunàI (i)
Giùst una Fantasi per pian e fort
A sèint eh' al snnarà clù d^ GuUnèlI :
Chi la prà sèntr* ara una bona sort !
Che vù altr a i andadi me a m' figùr:
Però fa quel ch^a vii: me ai vad slcùr.
Ai vad con la mi santa cumpagni,
Che riìsen n^andò mai sèinza la soma,
E pò me la mi cròus a la vùi dri;
Po in cumpagni òrece è la Ha di Boma*
E pò a m^arcòrd, chUo le$ii quetVeiiaU,
Alter alterhu onera portate,
E da za che al destèin insèm z^ ha une ,
Avèin d^avèir divis al béln e al mal,
E cmod em* dseva un prit anc l'alter de
I spus han in comùn sèna i stivai ,
E pò za mi mujér l' al sa anca li:
Mi è quél eh' è «ó, e quél eh' è itf i è mi.
Sicché dónca me a v' dèss eh' a m' son proposi
D* cantar ozz di vantaz di Innamura ,
Ho a trattar st' argumèint più eh' a m' accòst ,
A dirvla stiètta , a m' sèint de più imbruja ;
Ho ai voi pazénzia , e , per fluir la fola ,
Bsgnarà trattarci , eh' a v' n' ho dà parola.
El paròl èln cm' è un scrétt pr' un galantòm ,
0 n' s' han da dar , o s' el s' éin dà mantgnirli ,
Che zeri al n'è trattar eh' séppa da om
Prumèttr el coss , e con mài gàrb pò dsdirli.
E dar al le scrive messér Orazio :
Promi99io boni Hri est obligatio.
(1) Lt sira dèi dsniir ai era ud gran cuntèrt al leSiter.
5tfÒ PARTS SECONDA.
Dsim mo: cossa v' In par, o cheriatùr:
A n' ev par mo eh* a séppa un bràv ragàzz ?
Codi a I ho a méinadid tuli quant I autùr !
Oh in st' gènr a n' em^ son mai Iruva in impàzz !
Bsògna dónca conclàdr* , in féin dèi tom ,
Che In sustanza me a son un gran brav om !
E quèsi sia dètt con tutta la mudestia ,
Sòol per cunvénzer qui eh' erèdn al cuntrari ;
E se , forsi, un qualedùn m* tgnéss pr' una bestia ,
Ch^ al 8' persuada eh' al fa un gran divàri ,
Perchè V è ciar e nètt , in féin di féln ,
Che una béstia n* acgnùss i autùr latéio. —
Sicché dònca nà a dsèven eh** 1' argunèlnt
Di vantàz d' chi s' voi l)èin me a vui trattar,
Perchè ste tèma em* piir slcuramèint
Adatta per cantari In meiz a un dsnar ,
In dóv s^ attrova più d^ una mattana ,
In t' un zireoi d* amìg a far tulliana.
Oh I amig pò, i amig!... Ho rè nn grata gùst
Passar insèm degli òur in cumpagui!
E mi mujér ia n^ alava più in t' al bùst
Pinsand che st' ann la vgneva ancora li ;
E me ai D^ ave csé vùja, eh' pr* al dilètt
Al srà trèi nott al più eh^ a pissó a lètt.
Mo quèst en' fa per me : tumèin ad hoc ,
Che un puetinèin andò fora d' caria ;
E a n' vrév pò mai eh^ a m' psessi crèdr un scioc .
Ch^ en vléss mantgnirev la parola dà :
Musa, turnèin in fil, in tPargumèlnt ,
Per buscar un evviva da sta zèint.
A me un evviva? Oh la srév bèlla d'bón!
Oh sé eh' al srév mo propri mess a post !
Mo che razza d^ idea da gran mlnción !
Viva al cug, al eafftir , evviva I' ost :
E , quél che de più m' prèm , evviva evviva
Quànt s' attróvn In sta bèlla cumltiva !
E qué a fasz pont: e a vùl per zert sperar
Che del coss eh' a v^ ho détt a sri euntèint ,
E in prova dèi mi assùnt, lùzid e ciàr
A v^arà pars tutt quànt i arguméint:
E s' mài a v^ par ch^ avèss fine trop prèst ,
S^ a turnà un' altra volta, a v' dirò al rèst.
Rappacllo Buriani.
DIALETTI RVIUAMI.
561
Caso successo tu una vìsita del Cardinale A rc%K\ Oppizzoni
a Castel S. Pietro nel bolognese. — Zériidella del doti. Nenzioni.
Zérndella da per tott
8* eonU al cas, eh' è sta moli broli ,
Che regnai en's^e udì dir
Dop ch^ esést Castel San Pir :
Al Nudar , eh' è grass madùr,
Ch^ gnanc per terra an' va sicùr ,
Ch^ al pò andar s* tira del veni
In ti ronl ogni mumènt ,
Tote per geni %V seccabai
Anca lo 8Ò In t^ nn cavai
Con tot 1 alter dai castèl
iBeonir&r al Cardinal.
Tot I amig avn un bel dir ,
Sgnèr Nudar, mudàin plnsìr ;
Sgnèr Duttòur, eh' al tuga l' iisen :
Ltt arspundeva : <« Ch'i mei biisen ;
A capiss, eh' queata è una trama ;
Stai pò ben lugar a dama ?
Ai voi tot la eonvenienza
Quànd a s' tratta d' so Eminenza ».
Basta, al vola a tot i cost
Del cavai sintir el gost ,
E tri 0 quàtter di su amìg
Avén lòur tot quant V intrìg
D' mèttrel so , d' guardari at scàttel,
E aju stari el sòu zangattel.
0 eh' spettàquel , o eh' risa
Veder st' cvéll iofagutta !
Un dmandava : Dov' è al nas ?
CI' alter dseva : An savi al cas ?
La partida era tant granda ,
Ch' al s' l' è miss da cr altra banda;
CI' alter dséva : Al va d' incanì,
né an' ò mai rido acsè tant;
Ma in t' un punt anVved piò gnent ...
S' èl mò ìM dal mal ai dent ?
Nò : per grazia r è casca
Con al cui su in V la pnivra ;
Ma sta bon , e vivi zert ,
Ch* torna Roma a gamb avèrt
E difàtt qui matt fottó
Novamènt 1 al cazzòn so ;
Starai dur ? qui as'cmenza a dir :
A j è eh' tem , e al ven pinsir
Per star quièt, ed vlèir ligar
So in V la bistia al so Nudar :
Ma an's' è gnanc slntò parola,
Ch' torna a cap la bella fola ,
E al Nudar, ch'en' voi tant guerra.
Canta d' nov : Stcut in terra.
Le mo lì , che tot In massa
S' fécchn attòrn a sta bardassa ,
eh' tira a se tot al castèl ,
E piò an' s' pensa al Cardinal :
Chi voi veder, chi voi dir:
Chi s' accosta sòul pr' udir ;
Aviv mài In t' ensòn sit?
Siv fors dèbl ? Aviv aptii ?
E un 4)iò matt 9 e d' qui piò stramb
Vols tastarl Insén tra r gamb
Con dmandarl : In tot sti spéli
Aviv pers forsi al slgéll?
Basta infén dop mill salùt
r al cazzòn so in t' un minùt ,
Perchè a forza d' far di salt,
A 8' ficcava anch bèln In alt :
Al fò li con st' monta e dsmonta ;
Post, ch'ai sòn, bsò ch'av'la conta:
AI cavai s'era allarma:
L' era poc eh' l' era castra.
Pars eh' al dslss li da per lo :
Di quajòn me an' in voi piò ,
E in l' un tratt con un scussòtl
Ficcò In terra al so fagòtt;
Figurav mò adèss al cas ,
E sia ben tot persuàs ,
Che al Nudar , eh' n' era piò stracc ,
E eh' en' vie va piò tant smacc,
S' fé apulvrar , e pian planèln
L' Incuntrò con i su pdèin
MS
PARTE SECD^IDA.
SO Eminenza, che infurmà
Bel magnéfec Irei casca,
Diss, 0 Aoma , acsè ridanti :
Vò l'avi falla da grand;
L*^c un esempi , eh' è sta toit
Da Gesù , ch^ cascò trèi volt ;
La voi èsser umilia
Per suslgnìr la cavalca ,
E bsò', in càs eh* s'deva vlaiir^
Fàrs dar T àsn' a tot andar.
Perchè un om, eh' ava duttrèina
S'à da mellr In ria bastèioa,
E ai supèrb lassar la sella;
Tocc e dai la zéradella.
Zérudella
Pr'un gran dinar eh' de in iai 1824 in villeggiatura al captar «Tmodi
in Bulògna Marion Maccàgn » do9* intervènsen più d' setionia penàm
tra invida, cherdinzìr, capp-nèigher , apparadùr, cug, iHumina/lir,
fugkuta, cannunir e servètit, setiza i ben-vgnù. L* ann prima a in de
un ma»u: ifarzòui.
Zérudella s** l' ann passa
Una bella cumpagni
Fò cuntèinta purassa
D^ quel tripudi e d^ quer allgrì ,
D^quel beldsnàr e d'eia baldoria
Ch^ ev cuntò jlr la mi storia :
Cosa mài dlràla incù
E d' eia ^izla d'ajerslra ? (f )
Me armàs propri cm' è un cucù ,
( An' ve còni una chimira)
Usservànd eia profusiòn (ròn.
Non d'quel dsnar, ma d^quel dsna-
Toll qui udùr, quel fum, cPallgrèzza,
Quel purtà, e qui bon vin,
Un incanì l' era , una blezza !
Tuli qui piati eh' n' avèn mai fln
Tramudòn casa Maccagna
Tutr a un Irati in l' na cuccagna.
Sle Maccàgn me za al saveva
Om d' gran moda e generòus ;
Mo per zeri an' me cherdeva |
eh' al s' vliss rendr^ acsi famòiii»
Dànd un prans eh* ensàn sunily '
Ensùn sgnòar r ugual de mal. '
Ziltam pur qui d* un Cavrara',
Qui d' un Spada o d*un Ma1vèii>
0 eia tàvla acsi strarara
eh' a Nadai Dov s^era ayèii ,
0 d' chi al Lln e al so cai eald
Als' gudè fln eh' al sii srid (t).
Mariàn sóul j' ha toU suppié
Cun el sfarz e i più rar bcòn ,
Cun j' adòb e 1 lum eh' feno de ,
Cun gr allgrèzz, cun i cannòn ,
Cun r avcir illumina
Sai, zardèin. cavdàgn e prà.
A propósti dal zardèin ,
Al n' av cor d* crearl a un tretl
Da un curtil ? anzi al fo un vsèin
Ch'ai stè le per dvintar mail,
Vdend nad fiur , albr', ananàss
Dov'jir l'allr'a J'era i sas«. (s)
(I) In ti d^ suuessiv al praiu , ai' magnava j* arsòi cun i amìg ; ira quekli ai era «1
caltular di* aulòur , che retilo a memoria ita tiridira.
(a) Al tenatòur Barbaaa padròn di* impresa del Lin , eh' fall^ dop èuer sU al più ticc
e putèiot d* Bulògna , doT a j è unta per pruverbi : Al lin e A, cui cald al a' l'ave a*"'
BarUaaia. La fameja del senatòur marchèis Bovi una del più recchi d' Bulògna (adèss decado)
dava alla vixellia d* Nadal una gran tenuti ai invida e mustrava una tavla furni! magnifics*
mèint d'triènt , or e pnnlknn dia Cbcina o del Giapiiòn.
(3) Per Tàr un tardèin fi(int al th d^Tàr in t' uua slniana al curtil , dov* al Mippli di va*
d* fiur , e ai piantò di alUr' intir , strapiantii dai camp run ci sòu vaoiu d* bùuel ; figmiv
cun che spèisa I Za anc* adcss al sia d' ea in t* un gran appartamèiiit dèi patais del dna
d*Gallira.
DIALETTI EMILIANI.
565
CUA Mariàn eh' la bocca ba in piga...
Ooa ch^ al tétta es fa zrisin . . .
S«nt,ch^da1 gast al par cb'al ziga
Coiod In marz i nùsler mnin :
1^^ ba rasòa s'al s'god st' incèins,
Cb^ J dev dar cbl è al vèir propèins.
0 «crIUàr di temp aniìg ,
HW^m cunta d' qui bi de grass
£1 tavla cb' dava' ai amig
^1 8bulzÒD d' LucùU e Crass ,
Vgni qui a veder se Maria n
L^ è da mane ed qui Rumàn.
Cbe da mane? Tè tanl da più
JEd qui vùster barbassòr,
Quanl ]' avèveo clòur più d' lù
ZòI , intrad , arzèni e or :
Robb che gli em a ca purta
Dal pravenii saccheggia.
Ma t*un om msurar a s* dev
Dal curai e non dal fust ,
Chi piò grand al mond mai srév
D* MarHm noslr'aesi é* bon gust !
Un pajèis dai da guemar ,
E a vdri quel eh' al sarév far.
Quand d' l' Egìi la gran rigèina
Dsfè in t' r asà da tal perlòuna
Acsi rara e suprafèina ,
eh' la custàva una summòuna ,
Per mustràr che un pìccol dsnàr
Più d'un grand al poi custar;
Mo Pdn* fu propri una matta
Slruscia-zchèiu senza rasòn?
Quel eh' en' fa bùjer la pgnatla
L' è tutt spéis da vèir zedròn :
E per quest me a son d' avis
Ch'jir Maccàgn al i ha bèin spls.
0 su dònca i mi cumpign
Fa un evviva e sbatti el man
A ste bràv Mariàn Maccàgn !
E eh' as sinta un mei luntan
Al pladùr ! Ev voi i spròn ?
Battiv donca in li ... zuccòn!
Batti 20 senza dscherziòn :
Batti pur e fa dl'armòur:
Batti a cost d' struplarv el man ,
Perch'ai merita st'unòur!
Po avri l'uss , e fa la seiila ,
Tocch e dai la Zérudela.
Del doii, Carl Froll.
Bitràtt d' itti legai d' Bulògm,
SU>'ÉTT.
Me alt ne bass, un ludri mal lìgà.
Con un gran nàs e senza un pel adòss ,
Dioanz a i uè r ha sèmper doi vedrà ,
Perch' senza al prév cascar dèntr' in d' un foss.
In lez con di quattrìn fò laureii
Per quèst In drltt zlvìl al s' trova asdòss;
Ma in criminal a dfendr* i cundanii
L' è svclt , acut e s' avrà ben al goss.
V ha squàs treni' ann e in dmoslra trentasi ;
Tànt volt furiós e in testa del matliri,
Mo sèmpr un bòn amìg in cumpagni.
Al n' ha mujér , almànc mujér intìri ;
Al bev puclin e s' magna ben per tri ;
Al resi pò v' al dlràn el camariri.
Dialetti Rohagnoli.
FArlIvcnc.
I dialetti romagnoli , come accennammo , non furono bhì
scrìtti nei (empi addietro , se si eccettui qualche frivolo compo-
niinenlo d'occasione, che scompane col nome del tuo aolon.
Solo ai dì nostri incominciarono in varie città di Romagna al-
cuni studiosi a sottoporre alla difTicilc disciplina del metro ì»
iadtìcili loro favelle, e fra questi si distinsero !L Forlivese Giu-
seppe Acquisti, il Professore Domenico Gliioasn di Lugo, a Dm
Pietro Santoni di Fusignano. Un Saggio delle poesie del primo
pubblicate dì recente a Forlì , ebbe meritato plauso in patria ;
vani componimenU del Santoni furono raccolti , dopo la morte
dell' autore, e pubblicali per cura di Giacinto Calgirini. Parec-
chi si neir uno che nell' altro dialetto sono tutt' ora inèdìli, e fra
questi godiamo di produrne alcuni per la prima volta alla Iure
gentilmente comunicatici dagli autori niedèainu,.ai quali ali'-
stiamo publicamente la nostra rìconoscenn.
Poem inèdite dì Giuseppe .4eqmtti Forlivese.
Chi òIb mìi! da gran Hgura
HolTa e hccb riu'è um pareòlt,
eh' ven Idbs di' la la pHvura
CuD un àbll lc£p brotl?
1^ vèn cnérin denlr' un uc
Che pi e srgn d'Ia penllenu,
StratU al Hanc com un Irlc-trìc ,
S«gn anc quèil d'Ia cunlincnza.
Ci'ii cai teli Iniioandi
tb'i veD'dri, e cs'èl ale plani-
E stai tati niurlificadi ,
E at' sfleoii da camp-Mnl ì
Èl fallì DO Impcralór,
eh' l'i In l'at man un gran n
D" cìrt, eh' la [» tati un con
Quand e porta al zi
DIALETTI EMILUIfl.
56»
Vii intani cai ire ragaizi
Cao cai Man in t' i cavèll,
eh' al s' tamenta, e al n'à al puvrazzi
Quièt intsuna e pas inveli ?
A gli è stadi onz nis asradi ,
Con m flfinia e con un mài ;
Fors a gli èva un pò gunfiàdi
L'aria stile de carnval.
Vit Uà €0» eh' al s' è ardotli
Sgnègni sguègnl com' un fig,
Zali^ veeei, brotti brotti ,
€li' a gli Hill pa propi tre strlg?
Guarda llii ebl muscardèn ,
Moff, eh' 1 pi tot Oman d' boss,
Citi in gabana, e chi in giactèn ,
Parche i b^ à piò intsùn barnòss !
I è chi tal, che jr s' la festa
A 1 truvò imbarièg spuipa ,
£ incù i pa dalia tini pesta
Bdoll batto tot quànt sfuja.
Guarda ila che ragazzèn
Quànt pastròò eh' l' à mai s' ia fazza,
Quànt bulètt, e quànt boltèn,
eh' un' n' è tànt sM àngui d'ia piazza.
Gli che a freda in t' che mantèl ,
eh' la fa adèss la vargugnosa,
€h' la 8' magnò che zambudèi ,
Senza fa tànt la ritrosa ,
Sol d' Quaresma , sta quajòna
Tànt la vò fa coni de dsùn ,
E la fa la biguttòna ,
Dop d' ave ingiutì chi pcùn!
L' era jr, la mi cavala ,
£ mumént d' no vlèin savè ,
E d' no star asrà la stala ,
Quand che 1 bu i è za scapè.
Tap, tap, tapi Ragàzz, a i sèn;
Ecc i strid pr al culunèlt ,
D' quj eh' a n' à paga e budèn ,
E i malàn , com' a V ò dell !
Tap,tap,tap; I ca l'óssd'Mlngbelti.
Chi va là? — Dess Pullnar :
jì se' fio. — Èli puQreUi ?
— No: V è e sCtrt, e e catzulàr.
— Jèl fftiit d* nèf ? — J §é uqhù
Par che coni. Dess Hareadèll:
Pulinar^ turni pu incù;
Lo V è fura, e me an'' so quelL
CV alar V era drì a la porta
De curtil a sta ascultà :
— Lass eh* i ffàgu; chi s* n' imporla!
Incù di eh* a so amala;
E se qwst u n*è abastama,
A fazz méltar un eartlòn
Jn s* l* óss, eh* deqa: La mi usanza
V è d* paga cun e baslàn.
Mo quajùn! che bela follai
Èi quist 1 Oman eh' à bon sena ?
Èia questa una cundotta,
E un cuntègn pr andar Inèns?
Ah ! al mi zent , pinsè una volta
A che lemp chi butte vi ;
E fasi iquà um pò d* racolla
Dal passàdi vosi pazzi !
Bade a fa unn bona vita
S' a n^ uvli eh' suzseda mài;
A n' dég miga da eremila.
Da san Flép, o san Pasqua 1 ;
Ma una vita da bon Gsóiàn ,
Oh' la n' sì lotta ala carlona ,
Cioè a di, no tolt bacàn,
E nemànc tolta curooa.
Té , broli vciàzz , lassa 1' usura ,
E no dà i quattro a Irenlòll;
Parche nu a paghèn la vlura
E té r ve a V infèran d' troll.
Té , Lucrezia , àp piò zarvèl ,
Arves 1 o£ cun ziri fanèi ;
S' i è sparsiùn, no crédar quel;
S' 1 è mugnòn , no i tor Inveì.
E té , mamma sfundradona ,
No là coni d' guardar ae zil ,
Quand cun Bis la tu Mingona
L' è In s' la porla de curtìl.
LardarùI, bade piò ac bon
Cun la blanza, e no v' scurdè ,
eh' avi un' ànma, e la n' è d' plòn ;
S' a n' bsè glòsl, a n' u v' salve 1
366 PAITB tEOONDA.
L'iitar de tolt salaquava,
E i qualtrèn s' buttava a bgóns,
E a una livra u n' si guardava
S^ la foss stada anca d' oov óni.
Ma d' Quaresma , I mi patrùn ,
Arcurdèv , ch^ a s^ magna mal ;
Tire fura i vir blaozùn ^
E arpunì qui de camval.
Té , Marcànt , cun cai Sgnurèni ,
No temè , che turnarà
Par tnét curi un' atra volta.
Fneglia donca; qua in t' la GIsa,
In V la Cisa tolt Insèn ;
Iqua avèn tolt na divisa ,
Iqua u n' s^ cnoss né grand, uè paoèa
Don , don , don fa la campana;
Arcurdès ch^èn da muri,
E e putrébb^ èssar la stmana.
T' e fati sr an um bon intrèss , L' ora questa d^ andà vi !
Cun cai stoCr e cai lundrèni , Arcòrl, òm , V sì terra d' prè!
Quasi dri a dvintà tott strassi L' è un vangeli , V è una storia ;
Ten al diur um pò piò In là^ E che d' terra T tumarè;
Che e carnvàl u s' P è za accolta ; Èpal sempr in V la memoria.
Furbarì d* Fra lacmòn,
Surìtt.
Fra lacmòn , dett da tott Fra Furbarì ,
Che un saveva una carta d^ ogni zug ,
Surprés da un tempnral, e curs d^ fati
Vers la Pidquenta , par sarca um pò d' lug.
Quand Dio vus , T arrivò vers V àv-mari ,
eh' i sunàva da festa , e u i era e cug ;
E dmandand de curat, cun allegri
U s** sugava la tondga a cant ac fug.
E cumparc e curàt , eh' r era un umèlt
lese tra l' alt e e bass , tra e mnud e e gross ,
E M pregò d'um pò d^ lelt e d' um panètt.
cr àtar taja a V antiga , e alquànl cumòss ,
U i déss : Sibèn, vluntira, u jè du leti;
A durmiri in V un d' qui . . . Jnzi p' adòss,
Siccóm benéssein poss
Crédar, eh' a siva un fra d* molla duUrena,
A p' odÒM prema d* santa Celeslena
E Purgatori, e $ena
Zòbia zunèda a pulì star iqué
Patron d' la cà; e in t^ e temp che dseva icsc ,
Mariana, sii ile ?
Anum, spedai, corr prèsi e ven iquàj
Ciamànd la su roassera, e dsendi: la
Zó in r la cantcna d* qua.
DIALETTI BMIUANI. 5t^7
Da che cani dov V sé té, dov' è e Santvéij
eh* s' agràppia al zèi, e eh* fa parla franzéi;
E pòrtati, ài intési,,,
Pàrtan so du fiascùn cun de parsoti,
W a voi, eh* sto bràv fratén s* arstura iolL
E e padar làcum , fott !
Ch^ oó che faseva ! ma però Jn s' la testa
U I avneva a piumba un^ atra timpesta ;
E ant' quajòn piò mu lesta
D' la prema um pèzz , parche u i era da fa
Dò prèdiCy e che pòvar sagurà
Un n'aveva impara
Ater che una in su vita , d^ Fra Libori ,
Scretta cun forza sovra ac Purgatori ;
Che dop ae refetori
V andava a stugià vsén a um mzctt d^ tarbiàn ,
In t' la su cella ; e quand de man In man
La ment V andava pian ,
Svèlt cun la mzelta a ravivì e zarvèl ,
U s' In dbeva un biccir alt cm^ um spanèl;
E un aveva un tlnèl
Sott ae lett. Ma sinti cm** u la scappò
St^ fra becfalù , e quel ch^ V imazinò,
Par salvàs da tott dò.
In V e sgond de, par santa Cclestena,
Ch^ l'era za V ultma festa, in t' eia mattena
Ci' anma tapcna
E vèn so air impruvìs , e cmensa a dì ,
eh' i è eh' Ila dett , eh' a dcss jr un' eresi;
£ vus tornar a dì
La su predga d' beli nov , parvid che ognun
Bsèss sintì , eh' u n' aveva dctl sfundrùn.
E icsé cme tànt quajùn
I arstò ila tott ; e lese st' baròn Icst Iesi
Sol cun na predga lo e sarvé a dò fest.
Zuàn a Fabrizi vsén a fàs e spòs.
Quartine.
Hàncal forsi um prezipizi?
nel' un lazz, s' te vu adruvà?
ina t' spusa , e mi Fabrizi ,
t' a intenziòn d' vlet amazzà !
Par sì curi e puc raumcnt
D' cunllntezza , in t' un infèran
T' vu buttati da Imprudènt
Par padi dop In etèran ?
27
568
PARTE SBCO?IDA.
Ah ! Fabrizi , s' t' a m^ vu ben ,
Prema d^ toit dà um pò un^ucciàda
Alla donna , e ac tu destcn ;
Dop , s' r à e cor , fa sta fotlada.
Ila in V rÈdan e prém òm
Da PEtèrn e fo crea,
di'* u s' mantènn' un galantòro
Fén a tant che fo Isulà ;
Ma a stè poc ; quand da la costa
U i vus tó la su cumpagna ,
Addio flg ! cminsè de posta
Da che de tolt la magagna.
E e cessò da che mumònt
Ogni pas , ogni opra bona ,
E r armór e e tradimènt
L'eb prìnsipl da una dona;
E mandò lo d** cunseguenza
Dio e diuvi universa!,
Ch^ u n' bsé ave piò suffcrcnza
D^ um mundàzz icsé bestiài.
Ma csa foi? in t' V arca eletta
U i arstò la moj d* Nuvè ,
eh' l'era santa la pu v retta ,
Ma e su ben un n' i zuvè.
Parche dop e vens da sciatta ,
Che invéó d' tò esempi da Lì ,
La vus sèmpar fa la malia ,
Benché Abr<ìm u i gridàss dri.
E di falli e mi Sansòn ,
Cun loti quanl la su luchella,
K pirs i oò cme un bel quajòn ,
Par dà meni a la so bella.
Mo osa slaghi a la Scrittura?
A la siili . e a vegni inànz
A cai donn a diritura ,
Donn (la storia e da rumànz.
Troja un de la fo brusàda ,
E la Grecia la s^ armò ,
Pr una donna eh' fo rubàda,
E du rpgn i s' arvinò.
Alissàndar e puvrèlt
R mure par la su amiga ,.
Imbariàg in V um banchèlt
Dop a tanta su fadiga.
E s' a guiird a cai Rumani ,
Trovi un sol di su marìd
Ch' sì cuntènt d' cai tamburlani ?
Ecc , a n' sent incora i slrid t
Par Lucrezia guarda Uà
Tolt um pòpui in pinsèr;
Guarda un regn che fnés, e e va
D' sotla e d^ sovra un mood Inter.
I n' è quist , e mi Fabrizi,
Tolt esempi convincènte
jParché fàpa ben giudizi
D^ fàt e spos in sii mumènt?
A r idea sol d** òssar pàdar
In t' un sccul lanl scurètt
U n' t' s' presenta ai òò un quàdar
Da fai slàr a cavai drett?
Ah! Fabrizi , me a t' putrì
:Cun eia mój cir a nP trov ae fiane
'Dit s' a m' so* a sr ora pinti ,
E s' ò fall Ioli e pel bianc ;
E P è tunl e mi marlòr,
La mi erosa, e la mi pena,
Che par no ave piò si' dulòr ,
A m' turi a carpa d' maltcna.
Or u i vor un sutlanèn ,
Dmà una scoffìu parigina :
CP àt de al scàrp falli d' sagrèn,
E d' magna la n' v mài pina ;
Tant eh' a n' t)asla par stai spcs
Tolt che pò che me a nf guadagli;
E par quest u m' tocca squàs
Sta par li d' no magna alzàgn.
Ah ! Fabrizi , par pietà ,
Prema d' fa la buzaràda ,
Pènsii sovra , e no V bulla
leso zo tott a la dspràda.
Che s' t' avcss mài risulù
D' vie muri propi amazza,
MancP un lazz , e mi cucii,
Senza P vòja maridà?
DIALETTI EMIUAM.
500
Franzesca d*Arèìnin a imitaziòn d* Dani.
0 boD òm eh' a sì avDÙ fra sti brott mur
A udì i orai divirs , i piant e al strida
D^ qui che sia coDdana par sempr ae bur ,
V6 , cun r ajùt dia vostra brava guida
ADdànd iiiànz , a truvari chi tal ,
Che par lo la rasòn la fó tradida.
Nuìtr a sèu chi du pùvar murlàl ,
Che a Remn i fó amazza tott du in t^ Da botta,
E iqvà a s^ truvèn fra i pecatùr caroal ;
Me a so Dada a Raveona , e da zuvnotta
U m' ciapò e prem amor par st' l>el ragàzz ,
Che, com' avdi, par lo a so' incora cotta.
Amor r urdè la tela , e e furmò e lazz ,
Amor pr al can d' la gola e condusè
Quest a magna d' la torta , e me de miàzz.
Oh ! e mi òm , eh' a n* u v' enòss , s' avèsv^ un de
Anca vu pruvà e fug d' che malandrén
Che brusa, e u s' alimenta da per sé ;
A ered benéssum che de nost destén
An sentiri pietà ; e iqva loti da
Stasim atlènt, che me a v' dirò e nost fèn.
Un de a lizzèma un lìver beccurnù.
Che dseva d' Lanci llòtt , e cme fó pres
Senza adàssn in t' la tràppola da elu ;
A sema sul . quand a ro' sinlè a dà um bàs ,
Ch' a tarmò lotta, e fèn da che moment
A s' truvòssum tott du iqvà in st' beli paès.
In t* cP at eh' la dseva icsé ci' àtar dulènt
E pianzcva ; e me toc de cumpassiòn
A n' bsè riséstr, e u m' vens cme un svenimènt,
E a cascò caie un òm mort ai pi d' Maròn.
Fnsli^nanese.
Ritràtt morèl d* Don Pir Sintòn distribuì a ieri su awìg.
erchè piò r an* um' slrapèzza ,
Aggluppè int'un bel fagòtt,
Ughè strett con una rèzza ,
Ai spedéss un mi strambòtt.
La vedrà, eh' Tè ins e modèll
D'ehe soggètt, che un de l'ha fatt^
Ch' l'ha jost tant sèi e servèll
Quànt bai tic del su lavàlt.
570
PARTI SECO?(OA.
Basta dì, eh Tè stè la Musa
D'un Abbèt grand fura d'msura.
Che fnt' la bèrba uj'ha una busa ,
L* è d' du pil . e d* chèran scura.
L' ha una testa d' cavfll^zz
Dretl e dur coin' i randèll ,
Con di dent e di labbrèzz
eh' i cruv squès fot i nasèll.
Per bsé fé però da beli ,
Da graziós e da galànt ,
Us* fé fèr un de un zirèU ,
Che spindc chi sa mai quant.
L'ha pu j' oò eh' j' è mezz turchén,
E mustàzz tot varulè,
E cm'è tot i cuntadén,
Ve \nV al man arrampinè.
L'ha una vita tolta eguèl,
Longa, stila, e senza panza;
L' ha al gamb grossi com' un pel.
Con al polp all'ultma usanza.
L'ha un nisfiè ch'I tocca i pi,
E un caplòn grand cm'un tulir.
Anca a Io ui pics, s'am^ capi,
D' fé dal volt da cavali r.
Bla parlènd ora ins e bon ,
Un ha mai o vlrd o secc
Da comprèsa un bagaròn
D"* cucclarùl o d' flg In stccc.
E pretènd anch d* bsé compèfar
Con qualónq brèv sonadór,
Pur l'avanza dri daj^ètar
Ogni volta dal mezz' or.
Us'cred ncnch d'ess music fati;
Za con gran fadìga on ano
E cantè un Magni pcàl
Per la mùsica d' San Zvann.
An' degh cvel quand e dscor d' cazi
eh' u8 ten brèv più d' un LagòU ;
E beli l'è, che pu V ammana
In dò stmèn un passaròlt.
Parla poi ai più che può
Bomaneico, e il bel si è ,
Che finisce sempre in o
Quel che andar tlavrebbe in e,
E presóm anca d' franzés ;
Madetnoiselle vous éie$ na clombc
La piò bella de paés ;
Servltór vòstar eh' av' slemba.
Lo vuò dscòrrar d* tot al cos ,
E In tot fé d.1 Intclligènt,
E vrebb fi» da virluòs,
E mostre d'ave falènt.
E pù za In tot ul manir
Lo US' fa Sem par rider dri. .
Us' fa ognora compatir
Dalla testa inscna I pi.
Adcss doncn ognòn cnussrà
Da sta nòbii descriziòn
Chi per sort s* Plncontrarà,
Chi è l'autor del do Canzòn.
In mori d' nionsgnór Cantòn arzkéscov d'Ravenfia.
In dov sojaV cosa e quest?
Oss spoipèdi , crani e test !
£11 la nott? mo cosa è st'scur?
Cosa é tott cai brott figùr ?
Vècci grenzi , secchi e piedi ,
Gobbi , stroppi e smagunédl !
Agi' ha pu la rocca e fus ;
Al srà donn ; mo grand brott mus !
r è Sgadùr ; j' ha e ferr da sghé.
Cosa è quest ! Soja In s'un pré?
Dov'è Terba, dov' i liur ,
Dov' al pìgur, i pastùr?
lUn po' d' vent an' sent tire,
iUn usién an' sent cantè;
rGnanca e Sol dà piò e su lom,
L' ha ailintè e su cors I flom :
Mo dov soja? cosa è quest?
Oss spolpédi , crani e test !
Scappa, scappa ... a so ligbè!
Véccia strega , lassm andè.
Dsi : siv om , o bcsti , o sèss ?
Curri : ajùt ! a vog adèss.
Chéra Véccia, ebb d' me pietèi
jchéra Veccia, lassm* andè,
DIALETTI EMILIANI.
371
Ch'ai' darò con dia farena
Dal pagDÒc e uua tacchena ,
Tanl l' al' cbèva un pò la fam ,
E piò long r am'fila e slam.
Èli' un strèlg od un uscii ?
In dov* èia ? an' vcg piò cvel !
Per sta volta a Plio scappèda ,
At' ringrazi. Veccia plòda.
Uhi ! un moni tol cverl d' allòr ,
Con di fioc e dal franz d"* or,
Del colon, del còpul, di ere,
Un pori d' mèr , de gran, di berch,
Con dal cà, dal cis, un shdòl',
Mitra, eros e pastorèl.
Cosa è Ioli sta novltc?
Me a resi d' giazz, a so incantè.
Cosa è sr monl?^uhrquàUar Donn,
Cb' al s' dà al oò; eh' agi' epa sonn ?
Stasi bon ; la Puri le ,
Fed, Speranza e Caritè,
Cb'tess e cb* cus dal bend d'uvlu,
E pù al pianz: coss'agli avù?
Osservò la Caritè
Con e zofT tot spini acciò ,
Con in doss na vulandréna,
Vstlda luezz da pilligróna ,
Con un zoc ligbè ins e stane ,
E un fagòlt Ini' ci' ètar flanc ,
Scbèlza, smorta, contrafTatta,
Che de piànzar la va matta.
D' sicùr quella è una meschóna ,
Cb' va ramenga, e eh' va In arvéna.
Sforlunèda Caritè !
Veraménl la fa pielè.
Cosa è quel ? al pò scrii tur :
A lizròja acsò prescur?
Pel Prelato Ravennate,
Uom d'immensa cari taf e,
dm spiacere uui^ersale
Ecco giunse il di fatale.
Poh 1 l' è mori monsgnór Cantòn ;
Poh ! r è mori che sgnor sì bon ,
Acsò affàbii , amorèvol ,
Tanl d' bon cor, carltalèvoi !
Un sgnor d' ghèrb, un sgnor valònl,
Viriuós , sevi e prudònt ,
Pére, beiiégn, pietòs e giosl .
Cb^ n* ha savii mai dèr un dsgo*<l ;
Per lu Diòcis vigilimi,
Pr e su sùddil bon e amànt ;
S' i fallèva , ui corrlgeva ,
E pu ul deva quel eh' i vleva :
Un prelcl eh' s' è qucs spiantò
Pr' i puvrètl, per fabrichc.
Se campèva un' ètra stmana,
Un'j'arsteva la gabbana;
Dite Requiem, Miserere,
Con liosarj e altre preghiere.
Quel eh' ho vést , T è un chès slffàt,
eh' an' m' l'asplèva acsò ad un tralt.
Anca me adòss a comprònd
Perchè tcss cai donn dal bend,
E perchè la Caritè
L' ha e zimir tol spintacelo ;
Planzì, prlt, mònach e frè;
Movìv, sess, colònn e prò;
Sventurèy^meschén Ravgnòn,
Recch e pùvar , planzì insòn ,
Planzi tol, ch'avi rasòn.
Anca to pianz. Don Sintòn.
Qunnd e vdeva zenl d' Fusguàn
(Testimoni n'è e Caplàn,
Cb' ul stasova io e cavali
A magnèr e bé al su spali ),
Tol cortes ui richiedeva ,
S' j' era in ton quel eh' i faseva.
E me a so, s'avèss stugiò,
Ch' um* avròbb sóbit premiò ,
E che adèss a srebb padròn
0 d' Primèra o d' Longaslròn.
Quei eh' ho vést Tè un chès sifTàlt,
eh' an' m' l' asptèva acsé ad un Irati.
Pianzi , pùvar Faentén ,
E to Ross, e to Bunzién,
Pianz Arzenta e Venezlan ,
Anca le dai zo, Fusgnan ;
Bla piò d'iol, sgnur Comunesta,
Aimone d' piànzar fasi vesta,
eh' a savi che lo v'*ha dò
La mozzetta da portò.
Planzén tol, ch'avén rasòn.
r ha supplì monsgnór Cantòn.
37t
PARTE 8E0O5IDA.
Canzòn sora e CranvèL
Sit maldètt , pusfa arribi !
St'dvintèss matt, Tstrunchòss i pi,
Garra Tvnéssal e furbsòiii
L'anlicór e bulli ròn,
Arébb delt incù e Cranvèl
S"* ghe foss stè un queich animèl ;
Perchè appiint, chèusa lo, incù
Un brott chès um' è accadù.
Mo perchè Tè una pazzéja
DI' om per stèr In allegréja,
Inventèda anticamént
Dal Baccanti e di Bacchènt,
Pin d' moscài e pin d' sanzvcs
Per triónf del lor imprés ,
Rasòn vuò ch^an possa di:
Sii maldètt, pusla arribi.
Mezz a pè, mezz a cavali,
Bagnè lol inséna al spali.
Perchè a so caschè Ini' un foss
Con e mi cavai adòss ,
Per del slrèd d' Instè , d^ invèran
Pez eh* n' è quelli eh' va all' infèran,
A dzdolt or a so arrivè
A cà d' don Michìl Baldrè.
Figurèv cosa ch'I' ha dell,
Quel eh' r ha fati, quant us*è affléll
Quand l'ha vésl eh' a so acsé broli,
E che un pel an n^ ho de soli ?
Un' saveva cosa fé
Per bsèm sóbil rlslorè.
E pinsìr piò san e beli.
Fra lènl'èlar, Tè stè quel
D' mnèm a leti , e d' fèmi slè
Fén eh' US' suga la bughè.
In sr fraltèmp , perchè us' ravviva
Un pò e sang, V ha vlù eh' a biva
D'ov tot freschi una dozzéna,
Quàltar d' oca, e resi d' lacchéna.
L' è vnù dop con de caffè,
Bosolàzz e ralaflè,
Di BscuUén , del Paslarèll ,
E zènl ètar bagalèll ,
eh* a pareva a peri a péri
Una bella sposa d^ péri.
L' ha per ùllum vlù cminiè
Un terzèlt d' vén navighè ,
Che a guardèi sol all' eslèran
Ho dell sóbil: L'è Falèran;
E an' l' ho appena avù gusle ,
eh' a r ho dbu lol ini' un flè.
An' deg e veli de gran calór ,
Dia gran smània , de sudòr,
Dl'oppressiòn, de gran contrai
Ch' m' ha porle che vén , che p
Um' è vnù subilamént
Tèi e lànl sconvolgiménti
Ch'um' caschè zò a prezipesi
Tot e mi pochén d' giudezi ,
Sicché pina d' confusiòn ,
Arstènd sola l'apprenstòn,
Rappresenta del cos tanti ,
Ma sconvolti e stravaganti ,
Che la stessa fantaséja
Gnanca li sa dov la séja.
In sté gran sconvolglmént
Ecc che sóbil us' risènt
L'urateri, e mediastén,
Perichèrdi, bronc, duodén;
Pr' un sinlir affati ignòl
Ecc e psoas lol in mot;
E quant piò cress e calór ,
Aumentènd (ani piò e vigor ,
Ecc che r uretra impedéss
A potè scappèr e péss ;
E cagl* ètar bagalèll
Ch' ha l'orégin de zervèll,
Sregolèdi fànl al zira ,
eh' r è pu allora eh' us' delira.
A dmènd donca, in sèmll cbès,
A tot quii eh' ha un tantén d'i»
Ora a dmènd acsè in ristrètt;
Com' as' fall a parie reti?
Dov' un è la cogniziòn ,
Uns' pò gnanc dscòrrar a loo.
N
DIALETTI BMILIAHI.
373
E fati r è eh' am' so indiirinént ,
E um' è vnù un zavariamént
Acsè grand , che i cantarèn ,
Leti , carìg e scrann insèn
y è dvintè lànt Pulcinella ,
Arilcchén^ Dotlùr, Brighella;
eh' i ballèva in guisa strana
Dal g^èrd e la furlana.
E beli rè, che con un sèlt
Arllcchén l'è andè tant èlt,
Ch' r è arri ve che blricchén
Alla stanga di codghén ;
E inr e lemp d^ na contraddanza
W n"* è fatt una gran panza.
Da le un poc, nér cm' un magnan ,
Vh vnò vsU da zarlatàn^
E 8' moslrèva a tot interna
^'oa màgica lanterna ;
Sopratòtt uoi' è piasà
E contràst dia zvetta e ciù.
Dop l'ha mcss fura i bosslòlt ,
t^ba fatt tant, che du parsòtt ,
Dis salèm e un bel tacchén
V ha rubè con dis flcsch d^ vén ;
E r ha post per la vergogna
Ogni cosa Inr la zanfrogna.
Con poc èltar V ha forme
Un lautéssum , nòbil dsnè ;
L' ha cave un bel brovlUòn ,
Un mazzòc , un mirottòn
Da scazziè l' ingòrd aptit
De su nòbil bel convit.
A vult fianc , e lotta intira
Um s* presenta una gran fira
Acsé bella , che in Romagna
Slài s^ è vést piò la compagna.
An' dég cvel dia nobiitè.
Di Forstìr eh' era arri ve ;
Dia gran zent eh' s' era afTollèda ,
Ch' UD si bséva de la strèda ;
A dirò , cbe ins' un cantòn
A j'ho vést un pezz d' canzòn,
Cbe sibbèn an' la dstacchè,
Press a poc la dis acsc:
À chi compra, a chi fa spese,
EeoQ qua la Tlrolae •;
A chi vuole fazzoletti j
Calze , merli e nianichetti ,
Bei ventagli, ingranatine ,
Marsigliane e mussoline;
A chi vuole, a chi comanda
Catancà, lete d'Olanda;
A chi vuole a buon mercato,
J chi vuol mezzo donato;
A chi compra , a chi fa spese ,
Ecco qua la Tirolese,
Figurèv eh' concórs eh' l' aveva ,
Tot j' andè va, e tot spindeva ;
Anca me a spindè int'un floc,
Anca me a splndò un bi^òc.
Fra una banda d' sonadùr
L' è arrivò tra e lom e scur
Int'e mezz al Grazi e Amor,
Ch' i formèva un doppi cor ;
L' è arri ve eia bella Dea
Ch' ven ciamèda Citerèa.
An* descrìv la su bellezza ,
V avvenenza , l' accortezza ,
AgP Imprés , i grènd acquést ,
Ch' rha fatt sovra a quii e quest,
eh' un' ha i prò tanta gramegna,
Né tènt grèpp vanta una vegna,
Quènt è i virs eh' pò ognòr vantò
La famosa su beltè.
A dirò eh' i' ha un batocciètt
D' Ragazzòl sì maladètt ,
Che de e noli e tira ardi
A tot quii eh' ai dà int' i pi.
Figurèv fra tanta zent
S' r ha avù gnint d' divertimènt.
L'ha fatt dono d'Prussièn, d'Inglis,
D'Italièn, d' Spagnài, d'Franzìs,
E d' donn quinti agi' era lotti
Marldèdi , vedvi e polli ,
Tott insèn Ughè cm' i lèdar,
Mèdar, fioli , fluì e pèdar;
L' ha fatt donca una cadena
Longa piò, eh' n' è d' què a Zesena,
E tot quènt int' un palàza
U j' ha assrè con e cadnàiz.
Cosa j' ep pu fatt alò
An' a sò^ perchè an' j' andò.
17^
PARTE 9UO%tiÀ.
A «A M)l , che 9trac Tuleàn
ir chi* bordMi , e venn piio piin
K ii«' prilvè d* fondar la ré ;
Qiiiind e \vni eh' Tan'era as«^,
E rlrón «ólilt n Clòv ,
K Ili contò quel eh' j' era d' nov,
K pti Ili di'*M eh' uj' era Meri
Anca Io per la ^ù pèrf.
A *inlì Ma novilc
C.iòv r ar*tè muri iflchè ,
K kI^ un'ora e piò pen9Ós
Sensa lengua e senza san.
Hnalm^nt dall' èlt su tron
Fasènd lenn a e lamp e (on ,
Meli Tedèftcb e meiz Spagnòl ,
|t| dÓM sol stai do parò!:
Mar$, frane; fùldar per Dea Gnidosj
Taecaj, flach, floeh e Nidos.
Ubbidiènt i fé atlacehè
Un pezz d' carr tot sconquassè ;
Int' r att stess che lor da fura ,
Ecc che e Sol sóbiC s' oscura.
Lor Intani test e lampènt ,
Prevenù da un òrrid vent ,
1 dasè una scorreréja
Quant de zil V è long la véja ,
E ale dov J' udc e bordèll
I ferme sccc i cavèlI ,
81è appóni tot inf una volta ,
E a gran carr i dasè d' volta.
E i scarghó una gran tempesta ,
Che a d' chi puc la ropp la testa.
Compilè tot e prozèss,
Us' mess Giòv a tre di sèss.
Quànd e vést eh' in* s' arrendeva
E piò tànt is' la godeva ,
Us' calche ini' la testa e brètt,
Fu us' fé de tei al saòll
Che stampédi avea Vulcàn
Josl allora col su man.
Post dimpétt a una finestra
E Ire un pezz colla balestra;
A do man dop e tiréva ,
E Vulciin ugr aguzzéva ;
E tré lanl , e tant e tré ,
Che ini' UD sóbil e flné
€lad , intnai , cavéi , martéll ,
I Mazza . incózan e scarpe!!.
! In dov* él mo adess e!* autor
eh* pò descriver e clamor ,
E fracà« . i orai , i pièni .
E ai bi(><fèm d' lotta eia xeni ?
A là e pianz e fio! e pédar.
Con la flóla e strid la mèdar;
Chi eh' ha roti nés e mustàzx,
E chi ha trone gamb , min e bras
Chi n* ha piò dent e mascè!! ,
Clii slraseena drì al bude!!.
Ala dstis tot com' I sèc
KomagnàI , Pandàr . Cosce ,
I fa lanl e gran lamént ,
Tanl su^sùr , tini diàviamènt ,
Che a descrìver me an* so ben
Una tanta confusiòn.
Quel eh* a dég V è che sr gran uè
L' ha avù orégin de Cranvèl ,
Antig |)èdar de l)ordèl! ,
Ch' porta in segui! e flagèll ,
E però solfa Tarvéna
D' chi mariòli e d' eia fuséna
Bestemmiènd i n** s' sazia d* dì
Sit maldèt : pusla arribi.
D'Arliccbén fén la mujèr ,
Perchè I* era stè a pollér,
La m' ha dell , eh' rè ala in parsòi
Con Brighella e Pantalòn ,
Chi j' ha mess anch- i Dottùr ,
Ballarén e Sunadùr ,
Perchè insèn J' è stè a magne
Tot cai cos eh* V avea rubè ;
E la déss , che tot st' gran me!
L* ha avù orégin de Cranvèl ;
E però r an's' sazia d' dì :
Sit maldètt , pusla arribi.
Che anca me pu am' séa bagnò
Ch' ep dormì , ch'epa sognò,
E eh' ep vul dal fiaschi a segn
Da fèm pèrdar tot 1* inzègn ,
Un' è vera : mo e Cranvèl
eh' r cp per fén sfampèll e sbdèlf
Ul sa totl e moni e pian ,
Perchè 11 tocca ognòr con man.
E però j' ha rasòn d' di :
Sii maldèll , pusla arribi.
DIALRTI EmLUm. 575
liiii^hesei
n' »' pò mài indK'iné. Utfèva vènia in lengua d' Lug,
Del prof. Domenico Chinassi.
Se J'èlar mi cuuiphgn eh* ha rezité
Al su sluriclli rum eh' avi sitili ,
J* è sté in t' un grand' imbròi pr e femp passe ,
Perchò in' saveva quel eh' j' avòs da di ... .
Ani' intcnd quel eh' j' avès da rezilc
In st'aeadèniia, pr' an'uv' fé durmì,
Immaginèv par nié eum eh* l'andarà
Che senza savè gnit a so vnu a qua.
Basta 1 a dirò ben enea me queleh evel ,
A vdè s'a pos passe da st' bus d' gratusa.
An* savi eh' u jè e chès d' perdr e zarvèl
Par ehi eh' n' è avvèz a fé eanté la Musa ?
, Adès adès av' deg un queleh baecèl ,
E s' am' fez mineiunè pu dop l' am' brusa! ...
0 insomma dsi mo so tot quel eh' a vii ;
Intènt fèm e piasé d' stcr a sinti.
Un villanàr tajc cun un falzòn ,
Che sta tra e Campanti e. la Brusé (i) ,
E eiama una mattona e su garzòu ,
E ui dis : Di so , Tugnét, va a preparé
E mi sumàr', intènt eh' am'met i sfon ,
eh' a voi andèr a Lug ch'i fa e marche,
A vdè s' ui fos manira d' fé un euntràt,
0, s'un'foss èlar, d'sfèmnMn queleh baràt.
In t' igni mod sta bestia sfundradona
La n' ha piò voja d' fc e nostr' interèss ;
E u j' è mo Dmeng'Antoni eh' ul bastona ,
Che dal volt nm' l'ha mes quèsi in s'un fèss !
Quand e trova un pe' d'erba us' abbandona ,
E sM' e earg e scapezza in tot i sèss.
L' ètar de sol pr' andar a pas de gai
Um' fase qucsi quèsi dvintè mat.
Ste cuntadén l'ha un fiòl ch'ha nom Matti,
Un ragaz/èt d' seds èn inf 1 dissèt ,
Ch' e* fèva vésta da n'avè sinti
Quand che su pèdr' u s'era alzé da let,
ighi nomioati in qiiMte ottave sono nel coaUdo di Logo.
570 PARTE SECONDA .
Perchè ui piaseva frop (l*$tèr a tlurinì;
Ma e ved ui dis: Livat« eh' Tè ormài al set;
Adès adps , 8^ a ciap in V un bastòn
Ar farò ben disdè me , brot pultròn l
Lìvat , fa prest , ch^ a voi t' vegna cun me ,
Ch' a vlèn andèr a Lug cun e sumar.
E Matti 1^ arspundeva : A deg acsé
Ch' a so affardè , eh' am* scnt un po^ d^ calar !
— Corpa d^ una sajètta ! sta mo a fé
A vdè s' a vegn cun e timòn de car ! —
Matti che seni sta chèra sinfunéja ,
E sètta zo de let , e e scappa véja.
Dop ch^ 1^ avét mess all^ èsan la cavezza ,
Da le un quèrt d^ ora is' mett in viaz tot tri ;
Monta in si' èsan e veò eh' l' aveva frèzza ,
E pu e prinzépia a pónzr. Intènt Matti
Ch* US' grattò va la testa dalla stezza,
Cun un bastòn in mèn ui vneva dri.
Or dalla rabbia e canta , e quand e fé^a
E va piecand in s' e gruppòn dia béstia.
I dveva èssr un mezz mèi luntan da cà
Quand che sto is' iseuntrè in t' un brènc d^sgadàr ,
Ch' is* mitté tot a dì : Ve' clu che là
A cavai d' che sumar cum che sta dur.
Mo t' an' vi sr veÒ sunal cum eh' us' la sta ?
E in sta manira i féva un gran pladùr.
Va véja , insinsè d^ \eà , vargògnt' a le
D' lassèr andò sfe ragazzòl a pò ! —
Allora e ved par euntintè sta zent
E pr an' sintis piò fé la baja dri ,
E sèlta zo dall' èsn^ In t' un mumènt ,
E e dis : Va la , monta so té , Matti ;
Par me s' a vag a pè a so nene cuntènt ,
E acsé fot ste burdèi e srà fini ;
L' è ben e vera eh* um' fa mal un cài ... .
Va a là , Matti , da brèv , sèlla a cavai.
In sta manira i andò so un pez pr^ on ;
Ma quand i fò arrivò alla cà da Lug,
E cun r èsn i passava a guazz e fiòn ,
Ui tocche nec truvès in t^ un brot zug ;
eh' una massa d' dunén e d' bardassòn
Is' mittè a zighèi dri roba da fug.
Us^ a da vdè un zuvnàz pr^ andò so lo
ìjLMèr a pè ste veè eh' un' in pò piò ?
L
DIAUdTI EMILIANI. 577
I biriccliéii za i prinzipièva a tò
Di sèss , dal prè , di coz e dia calzéna ;
Allora e déss e veò : Férmat' un pò
Ih' a vegna nenca me »o in sta basténa
eli' a vegga d*cuntintè nenca tot sto;
Quand no, us arriva un sass dri da la schena.
In sta nianira aqvé par fèi stè ze^t
l'andò tot du a cuvàl de povr' asnètt.
Av' putì immagine , cbèr i mi sgnur
Che povr' asnèt s' V era amasse dal fest !
Figurèv a purtè cai do figùr ,
Cun do, tre zesti , senza div' e resi,
V era impussébii eh' e putés Ini e dur ,
E lo mo i pretendeva d' vie fé presi.
Insomma s'ia durava andè d'ste pass,
L' era una roba da zighè plegàs !
Ma quànd ch'i fo arrivè dall' albaràz,
Is' incunlré si o set eh' andava a cazza ,
Cb' is' mille a fèi la lusla in s' e mustaz ,
E I dseva : E bsugnaréb mnèi in Ila Tazza ;
Am' maravèi mo d' té me , bestia d' vòiaz ;
T' an^ vi mo che povr'èsan ch'us'umazza?
Andè pu là , eh' avi , da cséian badzè ,
De vosi prossm' una bella caritè.
Aj' bo capi , eh' an* j' ho gnenc ciàp sta volta !
E déss e \eè , fasén pu un' ètra prova ;
L' è mèi che tot du aqvè eh' a demma d' volta ,
Lassèn pu andò acsé vul st^ fiòl d' una lova ;
Lassai pu andè cun la cavezza dsolla;
A voi mo nenca vdè cosa eh'' j^ a trova
Tot quènt sti fccca-nès ; sta mo da vdè
Che in sta manira In'srà gnenca amasè!
E in fatti in' des gnènc fèr un quèrt d' un mèi ,
Che tri , eh' uvneva int^ una caratella ,
Is' mèss sóbit a fé dal maravèi ,
E sgargnazzand i dseva : Oh quest* è bella !
Bade pur nènca a le s' a vii vdè d^ mèi !
Us' ha da vder un èsan cun la sella
E du bagén a pè cb^ i gh' va da dri,
Invaz d' andè a cavai ; bslv arabi!
E veó e prinr.ipiè a ciapè capei ,
E pn US' mitlè a brunite tot istizi :
Saviv che quest Tèe mod d^ perdr e zarvèl ,
S' a vii de meni a J' ètr ? t déss MatU ;
57 K PAITB 9canDA.
S* a j' ho da dilla snella , om' pà e piò bel
Fé quel eh* a5* par a non, e lasse dì ;
eh' in tigni mo , qaand che alla fi di fat
A vie de meni a j^ ftr*us*dvenla mài.
Oli sta da vdè che adòs adès e begna
Tò 9Ò V èsn e purlèrr acsé in tal spai !
Gncca s* la foss una fassena d' legna !
Una zesla , una s|)nrla , un* fica , un gal !
La n* è una roba mo eh' fa vni la legna?
As' sèn pruvè d' siè a pè , d* slèr a cavai ,
On uv' dis : Smonta zò , rètr' uv' dis : Stài ;
E a fé e mod d' jèlar V an' s' indvina mal.
E vó i me sgnur , eh' a si stè quc a sinti
La mi sturiella dP èsn e di villèn ,
A Sri anca vó dlMstèss pinsè d** Matti ,
Che in quest eh' è aqvé me nm' pa che dsés moli ben.
Pr esempi dmèn T andrà zertón a di.
Che non stassera as'sen purtè da chèn;
E un quelch^ètr^a dirà , ch^ è armàst cuntènt:
Ande mo vó a ciapè in t' e gost d^ la zent !
L' acadèmia a zertón srà parsa seria ;
Forsi un ètr' e dirà eh^ 1* è stè f rop beffa ;
Un èlr'e ziga: Ma sinti eh' miseria;
Un èlar : Sta eanzòn propi la m' stoffa ;
Quest e trova poe gost in t' la materia;
Un ètar dalla noja e smània e sboffa ;
Quel US' in va cuntènt , e quest dsgustè:
In eonclusión ~ La n' 9' i>ò mài indvinè, —
Modenese*
1650. La Meìiga 0 Zia Tadeja è uno scherzo còmico in Un
gua rùstica modenese fatto per servire d'intermezzo air // min d
del ,Tasso\ intorno alla metà del sècolo XVIi ; essa è quindi k
più antica produzione che noi conosciamo in questo dialetto, ivi
nel Pròlogo , Amore spennacchiato svolge tutto il meschino tes
suto della Contadinesca, Perciò ci restringiamo a riprodurre il
Saggio la sola introduzione ^ non meritando il dramma d' èsser«
riprodotto. Però prima stimiamo opportuno avvertire, che, a na
stro avviso , la'^lingua in cui è scritto questo Pròlogo non è ptu^
modenese , né rùstica , né urbana , sìa che 1' autore fosse stia
DIALETTI EMILIAAI. 379
ìero^sia che la modificasse per adattarla al metro ^ sia^final-
lente che venisse alterata in sèguito dagli editori. Ad ogni modo
ìk quale è la sottoponiamo al giudizio degli studiosi.
La Mengaj o Zia Tadeja,
Amor che {a il Pròlogo,
A son Amor , a n' so s' a m' cognossi
Vu , zent , che vi sì qui ragunà ,
E s' son acsì senz' ài , com' ani' vedi ,
Perchè Vèner mia màder m' li ha strappa ;
E s* son vegnù a veder , se vu voli
Ch^ a stia con vu sin eh* al me sian torna ,
eh' a ve prometto , eh' a serò buon flòf ,
Es zugarò con tutt a capuzzòl.
La causa che mia mader s' è instizzida
V è sta, che mi voléa eh* la me vestissa ;
E s* planziva , e lé s* è incancarida ,
0 perchè a' hava tela , o eh' la n* vollssa ;
E ben ben ni* ha cavàda la puida
Tutta piena d* velén > com' una bissa ;
E dop'avèrcm scuiazza e pela,
La m** ha lassàt per mort in mez dia cà.
Or mènter eh* borbottànd Tè andà al balcòn.
Mi me son leva su pianìn planin ,
E via fuzènd , al (In ad un casòn
Son capita dov' alloza un fachin ,
Al qual ò racconta la mia rasòn ,
E lui m' à diti : 0 pòur fantesin 1
Es* m' à vesti e dà da desinar ;
Mo in qualche mod al vuò remeritàr.
Al gh' è tra vu una Menga marìola ,
Ch* a P à du oÒ lusènt com' una gatta ,
E s' è tcgnù per la più bella fiola
Che sia tra i contadin dia vostra fatta ;
Ali gh' ordinò una bella zimignola^
Ch' la s' innamorarà com* una matta
Dell'ospite mio car, mister Zanin,
Con tutt eh' al sia da Bèrgam , e facchin.
Savid com' a farò ? Farò eh' Pirin ,
F radei dia Menga, eh' anc lu è un ragazzètt,
S* addormenta in sia tieza un pochelin ;
E mi in sto mez a piarò al so aspètt ,
580
PARTK SIOONOA.
B acsì m' adovrarò pr al mie Paebìn
Coo aguziargh riniègn e l'iotellèll,
Cbe quella putta , e la sua zia ancora
Se coni ènten de lù tramb' in un' ora.
Drè a questa Mamolella , cm' a una cagna ,
Córron tànl' amorós de sto contórn ,
Che r è ona maravìa e una cucagna ,
E lei glie dà martèl la nott^ el zórn.
Bla sovr^a luti un Togno da Fazzagna,
E un Piròn dia Zanlna én sempr Intórn
A quel casòn dov^ alloza la Menga ,
E l'un airaltr^un dì darà una strenga.
Stari a sentir adonca ; al mie Fachìn ,
Se ben la del giudizio e dlMntelIèt,
Se sent ancor lu tocco un pocheltìn ;
Ma el non s^ attenta a diri el poverèt ;
Ilo al fin el farà mèi che i contadin ;
E s' V averà per sposa al ter dlspèi.
Avri le orèè, ch^a so ch^a riderì;
E Intani che me ritir , e vu tasi.
i750. La seguente è la da noi mentovata Canzòn in lengtu^
mminìim .fopra la gran ìnoda d^ quel fémenj che s^ dtnàndem-
mezz palajj eh' a vrèn tgnìr al bazil a la barba a Uitf el dam^
Sebbene non sìa meno insipida della precedente, la rìproducia*
mo di buon ànimo, per la fedeltà e purezza del dialetto.
Canzòn.
Quand' a sèm in l' 1' uccasiòu
Ch' tutt el fémen von ballar ,
E giràrsen pr al Lislòn ,
Con du stec sol pr al granar;
E de! volt an gh"* n'è gnanc d'qui
Ch' mgnè con 1 flà scaldàrs I di.
Pur rinvèrcn dà dia pena,
E am' par certo eh' al rlncrèss ,
Ch' a si smalt sin in t^ la schena ,
E a sta In t' V aque cmod fa 'I pess;
Po tra '1 fred , la neva e 'I glàzz ,
M' an frusta sin al paiàzz !
Chi pò *l man à pln d' zladùr ;
Chi 'I busanc à in tM calcàgn ;
Chi r iurcÒ à con 'I ferdùr ,
Senza pò V iàlter magàgn ;
Raumatìsm' e dola d' costa ,
Ch' manda d' là , cmè per la posta.
E pur me 'n la so capir ,
Vdend sti donn ch'n'àn gnint indòss,
Ch' al gran fred el fa ghermlìr ,
Pur desquèrt el 1 àn sti oss,
Ch' én pò sec e acsé destrùtt ,
PIÙ ch'n'c un oss scarna d^ pcrsùtt.
LI han apena una zamara ^
Con *l mandgbetti sin' al man;
Ma n' so pò eh' razza d' capara
Abbia vlù V Ebrei Suliàn ;
LI han per dsgrazia i manuplòo
Fatt tutt du ira d' pezz e pcòn.
DULKTTI liìllLIANl.
381
Pur lor s^ gòden con quài frese ,
E pr al più senza un quallrèin ,
Anc più rossi d' un Tudèsc
Qoaiid r è Colt dentr' in V al vèin ;
Li han pò ceri manùzz inglèis.
Ma v'sicùr eli* i èn gatt mudnèis.
LasU pur pò far a lor
S'per dsgrazia el dan in CamìlI ;
El slan alti cmè i dstindòr ,
El' D' darèn la pas a un grill ;
Pur la panza d' quel sgnurèin
Fa cuDtràst con i fil d' scbèin.
Liban di spcett e di spilòn
Io ria scofla e pr i cavi;
Li ban un diavel de zignòn ;
Po tant lunglii eP iun^ di di ;
Mo i mari i^ I el guàrdn^ es' tasen ;
Ma a sta mei la sela a V àsen.
U han quale poc pò d' zamaretta ,
Col slrassin più long d*un braz;
Po una zàcla maladelta
Li ban in zioia a tutt qui straz ;
E acsé netti el van a ballar ,
Cine uo zacòn d' qui da pullàr.
Pur l' invèren negh' dà impazi ,
Cmod' è me ch^ al m' pias csé tant ;
Anzi a digh : Giov\ av' ringrazi ,
Ch'Pè vgnù'l temp ch'a stag d'incànt^
E a detcst da gran sf agiòn ,
Quand a j*òm al Sol in LIòn.
•Ma II' guzza da cap a pè ,
^1 eh' a fadi quàlcr pass :
A si mòi dnanz e de drè,
Ch' al sudòr v' cola in t' i sass ;
^ a si péz d' qui eh' van a wèder ,
Ch' èn tutt rott sin in t' al seder.
Vù n' psì scrivr , a n' psì studiar ,
Ch' av' turmenla d' più la sonn ;
^v' vin i oò coi' è 'I du d' denàr ,
^ del volt cm' e qui del donn ;
^ si d' zent e più culór ,
Colè M lavlozzi di pittór.
Ule n' sarév cosa truvàr
l*er dscavàrm' al cald d' adòss ,
l»erchè m' sent sin' a brusàr
Quel che d' dentr' a j' ò in tM oss ;
E al ccrvcU eh' è fredd da sé ,
M' par un forn' in men ed' che.
Tutt i estrèm a i egnòss pur trop,
eh' un péz di' altr' i èn catlìv ;
Ma l' està V è un cert inlòp ,
Per mèi dir un solutìv ;
Po tra '1 cald , el pulgh e '1 mosc ,
Chi ha i be' oè igh dvènten losc.
Quel eh' un poc del volt m' artoroa
L' è al spadzar su per la mura ,
Vdend qui niur csé bé d'in torna
Con in zima una verdura,
Ch' srev capazza d' acivàr
Di bgatèin a raiàr a miar.
Vù gh' truvò là un poc d' ristar,
Masm'andàndgb'al dòp disnàr.
La a ghe vdì di' argènt e di' or ,
eh' del cariòl a s' prév cargàr;
Del zamàr con '1 consumò ,
Da pagar quant me n' al so.
Cert là '1 Sol ne v' dà fastedi ,
Perchè allora al va a ponént ;
E s' con nu foss' anc' Ovedl ,
Vdend el mod di de presént,
Roma certo al s' prev dscurdàr ,
Ghe pur trop gh' fu un pcon amar.
Al ghe vdrév , masm* a la festa ,
Maridadi, vedvi e putti
Con del diàvii d'seofi In testa.
Ma pò dnanz pluladi e sutti,
E più smilzi d' una ragna ;
E a diressi as' va in cucagna.
eh' al eminzàss In za e in là
A girar inànz e indrè ,
E ch'ai vdiss chi vin, chi va.
Chi sta a seder , chi sta in pè;
E om e donn al vdèss a flotta
Più eh' n' è '1 mosc In t'ia ricotta.
Addio vers a vrcv eh' al dsess ,
Addio insin'al grand'Augùst ;
Ma gh' vgnarév al guarda fess ,
E al dirév , eh' zamàr, che busi !
Ah piutòst che andar in Pont ,
Che a srev vgnù con '1 man azónt !
Gran balvàrd è mai quest che.
Al dirèv adirilura;
589
PARTE SECONDA.
Al Ci mòli è quel eh' s' vcd le ,
Ch' manda V aria netta e pura,
Ctie gli'* vin dam e cavnlér
Con taccile , pag e stafér.
Al ghe vdrév in quài balvàrd
Tutt' el mod eh' ha 'I femn ndòss ;
Anc più runzi el sien dal lard,
O in t' la gola al iàbn' al gnss ;
Lor in testa gh'von*al mlon^
La regina e i parpaìòn.
Al ghe vdrév la bella moda
Del zamàr con al capùzz ;
La Lucrezia andàrsen soda ,
Con do brazza d' mus ugùzz ;
Ma li urèi tutl pini d' rezz,
E pazinzia si èn puslézz.
Tuli la testa pò inspuivràda,
Con di udòr d' muse o d^ lavanda ;
Lu camisa pò n's'gh'abàda
s* r è luti rotta da una banda ;
i\on ostànt i manlzèin
El gh' von mèter con 'I punlèin.
Lu ghe vdrcv del scarp in pè
chi miniadi e chi d' bruca ,
E '1 pc mnàr inànz e indrè
Perchè al sia ben usserva ;
Pur a gh* srà i gran calzulàr ,
Ch' al so Ulster V è quel d' biasimar.
Lu ghe vdrév dia roba al col ,
eh* el sien peri* o pur galàn ,
eh' an n' ha tant al He d' Mogol ,
E a dirév al <;ran Sultàn ;
Li han Devota e Pretcnsiòn ,
Li han Staiiella d' Spumillòn ,
Li han del miàra dMngranàt,
Tanl al col cmè aliorna a i brazz ,
Di ventai che cosln' un Stai ,
Dpint a r oli e dpint a guàzz ;
E 'I s* dan V aria con al crac ,
E in men d' che 'I fan eie e ciac.
Me ne v' dig pò del curdèll ,
ChMuU sii fénien s'flchn adòss;
El s' lambìehen al eervèll
Per trucar a più non poss ;
Ma Bucèin e la Verzona
Dìsen roba sfundradona.
Me 'n v' in degh dia Bertarelltf »
Figurar pò dia Pasquèfna , *'
S*el gh'àn dà dia roba bella/ ''
aùì pizz d^ sèida e dia mnslèlat j(^
Ma zugiirg a prév un 06 , ''
Cif i so libr' èn pin d' pa9trd& \ '
Di Firmò, del Bòchel d' brfll ' * '
Li han liureè e tutt du i bratìi','
Ma 'I sa Onofri, al sa Camiti •
<:h' fun tira fora dal mazz^
Per pagar quel tatr'a Eufemia,
Dal più pur crlstàl d' Boemia,
Con rusetti e zerd dura;
Al vdrév Zvanna e la Diunlsa:
Mo 'I mari pò in cà affama ,
Senza scarp , ne la camisa ;
Ma in t' la Mura el vòn andar
Se '1 cherdéssen de sciupar.
A gh' ì ceri divertimènt ,
Vdend el donn acsé putidi ;
Po di colp av^ zur ch^ as' sent
Da quel fémen cb'én ardidi;
E anc da quel! cb' parn' un oca ,
Ch' agh diressi al pàder moca.
Vu gh^ vdì far senza ribrèzz
Di inchin e di basa man ;
E graziosi e con di vezz ,
El v'salùln' anc da lunlàn ;
O eh' el V fan *na riverenza ,
Anc cir al n' àbbien di' eccelenza.
Quest i cgnòssen i om a usta,
cmod fa i can eh' cn brav da cazii
Po in allora el s'mettnMn susta,
Cmè una ciozza quand la razza;
0 eh' al s^ meltn' a la parada ,
Cmè una loca eh' sia imbalzada.
Tuli le '1 s'godn al dop disnàr,
£ mustrànds a quest e quel ;
Ma in ca sova an' s' fa magnar,
^è la letlra gh' e d* un el;
D' più , quel test e qui mnstàii
1 s' in dormn' In l' al paiàzz.
Se eh' allora va via '1 blelt ,
E a svanìss la lavandèina ;
Ma s' prev fargh' al bel sunètt ,
Se 'I se vdèssen la mattèina ;
DIALETTI BMILIANI. 585
Va chi sa senza tgnirgh drè
Cblel ne m^ vegna un de tra i pé?
Vamé'n voi più andar iiiànz,
Perchè a cgnoss ch^agh'dag turmèni.
MaM me dono av'zur di' a pianz ,
E a v'al dJg d' ben sentimenti
Vdeodv' indòss galàn e crest ,
Senza aver camlsa al zest.
Fin eh' è terop fa mo gludezi ,
E impara a vòster spes , ,
E 'n tuli pr un sgheribezi
Quel cb' av' dig ai tant del mes :
Mtiv in testa sta lezlòn ,
Cb' me v^ lass star con la canzòn.
1840. In Saggio deir odierna poesìa modenese offriamo i se-
guenti sonetti^ dei quali i primi quattro furono scritti da vìvente
distinto cnltore delle patrie lèttere ^ la cui modestia non ci per-
mette di nominare. Come appare dagli argomenti^ sono essi poesie
d' occasione I, e furono già publìcati; gli ùltimi due sono inèditi
ài anònimo autore gibboso di cara memòria.
Per Nozze,
Sgnor Dutlòur , i m' han dilt cb' al tor mujera ^
E cb' la so sposa ba mill beli qualità :
A m' in rallégber seg , mo ben dawera ,
Cbe chi ba una bona sposa è fortuna.
Al mond d' adèss V è guast , ma pur assà,
Pr una fuga de matt cb' òn zo d' carrera :
Un pòver cap-ed-cà sèmpr è angustia ,
E pensànd ai so fio quasi al s** despera.
Uà per quest' an^ v^ avi pò da scmintir ,
Percbè s' a si ben vó , sM' è bona le ,
Sol di ragàzz a mod a n' ba da vgnir.
Prinzipia prest a dàrgb educaziòn ,
Dàgb bon esempi , sappiàgb tgnir ad rè ;
Badàm a me ; a n' avri consolaziòn.
Pei' Nozze.
Quand a seni cb^ una zovna s" fa la sposa ,
E cb' r è una zovna propri com' a va ,
Me a g^ bo un gust matt , e a dig : Cbe bella cosa !
Cbe spos felìz 1 che fortunàda ca !
Una donna d' giudizi e virtuosa
L' è la sort del mari che gh' tuccarà :
E r è cosa acsé degna e preziosa
Che pr un premi ben grand al Sgnor la dà.
384 PAETB MOOflIllA.
Vo, Mllòr, a r«W 9U bella tori :
I platér de ste mond Iv' sran maggior ,
E In t' i affiin ^ eh' a gh' d' è aénpr , avrf on eoofèrt.
La vostra gfoja n' ha da finir che ;
E ancb quand a srà appassì di ann al fior ,
A diri ben e spess : Bendètt quel de !
Per novello Pàrroco.
Coni ! eh' a n^ ve smintldi , don Zemgnàn.
L^ è vera eh' èsser pàroe l' è un fmpègn
Da far fermar I òmen piò sant e degn ,
£ eh* porta seg mlll eros e mlll affàn.
Bsogna tendr al mala , badar al san;
La gioventù bisogna tgnlrla a segn ,
E avrir bisogna ai ragazzén IMuzègn ,
Dal Bellarmén con la Duttrina in man.
A gh' voi scienza, pazinzla e carità,
A gh"* voi zel , a gh' voi pett , a gb' voi vigor.
Coràt ! che vo a gli avi at' tal qualità;
E mancar a n* ev' poi V ajùt dal Sgnor ,
S^ a v^ tgnari a ment, che Dio ste pes v' ha da
Pr al ben degl' ànem , pr al so sant onór.
Per Nozze.
né an' son chi , o Spos , a iar di cumplimènt ,
Es an*voi tirar fora Imèn» ne Amor:
Ma av' dirò sol quel eh' a sent in fai cor
Con quel paról che prima em' ven in ment.
A gh' è in sr brut mond una briccona geut,
eh* parla dal matrimoni con dsunòr :
An' sta miga a badar a sii impustòr ;
In t' al so cor a gb' cova al tradimènt.
El nozz cn una cosa santa e bona :
Fa eh' a dura l' amor eh' a v' sinti in sen ;
Tgni ben luntàn la gelosia birboua ,
E pò sta allegramènt , càr i me Spos y
Che per du cor che s' vólen propria ben ,
Al matrimoni Tè tutt viòl e ros (i).
(1) A 'm par eh* uo quilchidùa diga : Per cotta far un suoèt io mudnbt L'aoiòrP*!
fati per far unòr al so dialètf es cherdével ino da taot? — A ràpoadrè a diriUara: Sgaor
no j a )* avrà las^a sia cun u chi fóu sti pia al du. •— L' al fall p«r oMUeria 7 — • A eoa*
furò KÌeltamt'nl , eh* a pr^T èsser. Ma la bona ragion 1' \ sliida , eh* a j* ho t^ù far ooòr
DIALETTI IMIUAni. 58^
Risposta a rime obbligate
Sonetto nel quale venne descritto il ritratto dell^^utore.
A son sta assicura da bona part
Ch' a m' avi fat al me ritrai , Albert ;
Ma a m' Immàgin però eh' ai avri quert
I me difètt , e avri tgnù su et me cari ;
Che s^ no , vo si al Poeta , e me srò al Sart ,
E a j' ho del forbs che tijen ben dal zeri ;
Anzi per vostra regola a v' averi ,
Che molti volt, per poc e gnint me a tcherl.
Ma a J^ho una paura ch^a m'Inspirt^
Ch' al sunàt an' sia vòster , eh' al sia un furi ,
Perchè l'è fatt trop ben , senza farv tort :
1 m' n' han da idea , e me eh' a son un spiri
Ch' a cgnos al pan dal steli , av' dirò in curi :
8* an n' è d' Glullàn Cassàn , ch^ a casca mori I
I Predicazione quaresimale del celebre Padre Granelli,
Curi tutt quant , per carità curi
A sentir al famòus Predica tòr
Granelli , eh' in cuzinzia V è un terrór ,
Ch' a v' prumètt eh' al cumpàgn a n' l' i senti.
Oh quài s'pol ben clamar om erudi,
E a dir al ver , al loda nòster Sgnor :
Lu n' dis pass , eh' al ne v' zeta le i Autor,
eh' al par eh' al li abbia tutt' a mena di.
A fu a sentir eia bocca d' verità ,
E *I m' arivò csé prest a la limosna ,
Ch' arstò in t' la bota bel e stemacià.
alb m^ maoera , a sU du spos. E per dir reni , a n* em sintiva brìia abbatlaota
m rìder adrè , 6cciiDd un nié saotàu italiào io t' noa raccolta acs^ riapeUiilMl come
1* YO) mioga dir , iotcDdènies ben , eh' an* fou sia ben d* mettr ÌDwm , a fona d'
d* «furdigarm i cavj , qaattòrdes ver» anc io lingua toscana : e quj quattòrdes rers
tfs psa intrar in quale altra raccolta , o almàoc alraànc essr attacca al colòno. Per-
ii eh' a rag rd^nd , el colono d* adèts enn' co miga , com* i dì>rD rh* èren quelli
à* Orati , che o' vliven orisa ch* a gh' fus» di poeta mediòcher, ma el se slin adattar
rr^nt, e sustìoeo tutt quel eh' a s'gh' incolla adòss , fina ch*a n* al strappa ria
cbèo o quale diletlaat. Ma melt^nd , com' a diiva, un sunètt de sta posta in mesa
li eh' e'o poesii da Iwn, ni' avrev fit miaciuoar : e m^ |h> per far unòr ai Spos, an'
férm dsunòr a noi. E questa è la gran ragion eh' m' ha (att tòr 1' eipadi^ot d* far
I al OM sunètt ; s' la o' ev* piiis , paxbtia ! Dal r«st , i Spos gndirào al roè hoo
i ia cuottol lor , cou tIìv mo dir vó , i^or Critic 7
386 PARTE «BCOFIDA,
L' ultma part sfumò via com' una lostia :
Oh quài è un sogèt degn d' èsser manda
A convertir T America e la Bosna ;
E s' la marchesa Frosna
M' vless lassar da so banca eh' è le avsén ,
A gh'vrév andar, eh' a n'in vré perdr un s'sén.
In Saggio del dialetto modenese attualmente parlato, valga il
seguente Diàlogo d' un vivente cultore dottissimo delle cose pà-
trie; questa composizione > e per èssere scritta in prosa, e per-
chè racchiude parecchi idiotismi e modi proverbiali, d sembra
meglio d' ogni altra adattata al nostro scopo.
Diàlog fra la BunesnM e VÀnlonia^
qudla eh' i ciamen per scutnuii la Pota-da-Modna (4 ).
L'era una nott di' invèren passa, eh' a tirava un zagnùc (s) eh' T è
impussébel , e la povra Bunesma s' desdò intirizzida , con i grell in t'i di
e il busanc in tU p«.
(t Ah sii Hudnés dia sgangla (s) ( la dis ) i n' s' arcòrden più , che per
dàrg da magnar, a j' ho spes tant bugnin, eh' a j' ho fin vudà la borsa; 1
m' làssen che a ghermlir dal fred, eh' i n* sràn gnanc da tant d'farem una
scoffia, 0 d' imprestàrem un scaldén •.
Salta su la Pota-da-Modna , eh' V è poc luntàn , e che dal gran fred la
n* psiva durmìr gnanca le.
a Làssem dir a me ( la dis ) eh* a son vslida da gran està ; vó a gh'a^'ì
alfflànc un para d' slanèll , e s* gir avi Tumbcrlén sovra al zucchèt(4);
ma me , vdiv , a son che a la sbaraja , eh' a m'ueva in xéma a tutt'il me
garabàtel (5) : e vdiv, slor de sti magna-cudghén (6) i én squàs tutt' fio di
me quaranladù pulén (7).
Bunesma, Per quàl eh' Tè, scusàm vdè, Tugnena, ma an' vré pò gnanc
eh' a j' avessi la superbia d' mètlrev da V impara con me , perchè a vdi
ben anca vó, che dispensar dil limòsen aesè grandi , com' a j' ho fatt nié
r è ben quale cosa d' più eh' n' è a far di ragàz.
I*ola. .Ma pian , Bunesma ; a capéss anca me che a far aesè gran limòsen
(1) La statua dia Bunesma è in t' un àngui dal Pa1!ix Comuràl , r la figura di* AdIoom
ad Modna in t* al mur rsti'rn dia Catlednil ven la Piatta.
(a) Zagnùc , per fredd.
(3) Dia sangla , voi dir puvrct.
(4) Zucbèt , la lesta.
(5) Il me garaliàlKl , vul dir la m^ roba.
(6) Magna -cudghiSa , rbè 1' è dett p«r Rfodo^s.
(7) Quaranladù puten , perchè rAutooia ave ^2 6ò.
\^ DIALETTI BMlLlAffU 587
ij'avì avù un gran cor, ma quale cosa d' grand a ghTarò avù anca
me s^ a jMio psu regalar a st' pajés un mczz battaglfòn d^Algerèn (i).
Zertùn dvènten famòs per la testa , vó pr al cor , ì canlànt per la gola ,
i balarén pr 1 pé , e me per quelàter. Bonapàrt al dsìva , eh' la dona più
brava V era quala eh' fava più ragàz (s) : e s' a fuss nàda più tard , e
<?hMQ arèss vlu far giustczia al mèrit, Tare busgnà eh' al m' avcss spusa
me. Alora « rlt Bunesma, per merilarm al so cunzàt a gh' n' are fat almànc
un centunlr , perchè cai putàn eh' è le , al gh' iva la manera d' mante-
gniri tutt.
Bunetma, A ved anca me , eh' i Mudnés i v' dovrén considerar come
marna , ma iter tant I m' arèn da far anch' a me , perchè s' v6 avi mesa
si mond i so bisnòn , me pò a gh' ho dil da sbàtter in castèll (s) quand
'< gb' fllSva suttlla (4). Ma cherdi , Tugnena , eh' il eos al de d^ in-có il
^an a la strapèz. Difati vii vader la bela gralitùdin e al bel rlspat deista
Busunàra per do dam dia nostra qualità ? I s' an pianta che su a badar a
la gronda di eopp , in mezz ai palpastrè , in l' un sii dov a l' eslS a insa-
biàm dal eild , e a l' invèren a luspirtiim dal frid.
Pota, A pensàrgh ben , savi ...tré roba da far drizzar i cavi.
fhAne*ma. Com' a vii eh' i s' pòssen tgnir da cont noàter, s'I 'n san gnanc
^bi a sam. — Eh sé . . . il dòn d^ una volta I gì' èren altra cosa; e a un^ oc-
corenza i gì' èren anc beli e boni de mnar il mani che slMl smurflost
d** adèss i n' én boni iter che d' mazzar 11 pulg. — Oh . . » sti sunaj pò ,
^'dè , dal de d' in-eò , In' san mcnga gnint coss' abbia fatt i so ve£ ; e in
(' al studi dia storia an'sarév dir s' i in savcssen più lor o i cappòn, per-
ebbe , vdiv y lor cn sèmper occupa o a far da bela gamba a una quale
Rispetta (s) u fumar un zigher, o a lèzer quale romànz.
Pota. Cara vó, dsi pian ch'in' sènten, perchè s'i s'acòrzen eh' a dscu-
^m insam , a gh' pré saltar el caprezi , a sii galiòtt, quand i g^ban
<iualc cosa eh' en^ va pr al so fasòl (e) , d' fàrs descòrrer nuàter do , anc
^* an n* àm voja , com' 1 én sòlit far a Roma con chil do flgùr d' Pasquén
« d' Marfori (7).
L'ombra dia Tarquénla Molza , eh* V è dentr' in Dom , a s' gh' arizò al
^^s, perchè stMI petlàgli desturbàven la so chièt: la saltò fora pr' una
^*cbil turètti eh' én in Piazza de drc dal Dom , e la dess:
« Dsi su , bragheri sfundradoni : coss' è st'badalùc (a)? an n' è mài ora
(1) Algerino , per l>iricb«^n.
(2) Al U 4é»s a la sgDora De Siaci.
(3) SbiiUer in caslèl , voi dir magnar.
(4) Filava suttila, quand i stcntaveo da \* fèim.
(5) LiipèUa , per tivètta.
(6) Ch* eo* va pr al so faiùl; eh' en' va a geni.
(7) II latir ch* es* frfn a Roma |)f>r la più i en Djalog tra Fdtqti/n e !\ffar(òrl.
<^) Badalnr , fraras».
588 ^ARTI tnOflDA.
eh' a tasi ? Adsadès s' a dig man ai me léber , cb' a j* ho le dentar da i
foesira (i) , roé v' 1 féc ben in t' ai nàs a tutti do n.
Al pars un squass d' aqua : st* il do vàci avèn sudiziòn dia Poetai
( perchè i poeta i én zervé curlós ) ; la Bunesma 's supuò in t'I di , «
déss^aler; la Tugnena dventò rossa com'un tocc,e s'mess noa ■
dnanz a la bocca ... e torsùo roeléssem , la me fola è beli' e (laida.
G. B.
NB, La figura doirAotoaia intarloeotrice h ignuda , ed in attegf iamento piotlMlo «i
do , motivo forse por cai fu collocata alla sommiti dell' edificio.
Pkrlaoo di essa t Rkobaldo Ferrarese nel suo Summarium BtvtmmMt Eeeiéaim elP ai
12791 ^ Crònaca del Domenicaoo fra Francesco di Pipino da Bologna, ambe pdbUfa
dal Muratori nella Raccolta B^mm ftmlicanim, ce. al Tomo IX ; il Vedriioi nel Toat
della iS)Eori« di MòtUma, il quale ne ofire' anche il ritratto j la Crònica ms. ddlo SpMi
esisterne nel Comunale Archivio di Modena , ec ec.
i7tfO. Come abbiamo accennato a pag. 506, i più antk
monumenti della letteratura vernàcola reggiana andarono e
tempo smarriti, e solo ci rimasero alcuni Almanacchi pur o
difficili a rinvenirsi, nei quali sono sparsi alcuni brani di pra
o poesìa vernàcola. Fra questi ci fii procurato dalla genfllei
del benemèrito prof. Bedogni il seguente diàlogo in prosa , d
ci parve molto interessante , essendovi alternato col rùstico
dialetto urbano. Per non defraudare poi i nostri lettori d' \
Saggio della poesìa del sècolo scorso, soggiungiamo un grasic
Sonetto per nozze , tratto pure da una raccolta di poesìe di qu
tempo.
Sandròun da Rtwelta strolgh modem sàura rami 4757.
Dialgh rustgàl tra Sandròun e la Sgnòura Betta inzivlida
Sandt*òun, Oh' diavi! òja sèlmpr da star plica, e n'ciapàr mi un |
d'aria? Pruma ch'vègna sira em' sòun porla olii in Tal Stradòun d^l
velta pr far una spadzadella e sanlèir quelc novità, mo chi an^ s' ved gn
un can. Tas , eh' al gh' è là una bella sgnòura , cb' pianèin pianèin vi
e zò zirànd da pr lìa: oh cmè ma possìbl eh' s^ veda unalevraecb'n'l
sia a dna al can eh' la burra ? Egh' m' vói accostar pr vèdr s' P è fug Ittv
Fatt ànm, Sandròun, e vàia a liverir: tas, ch'ai m'èd'avisd'cgnòaser!
( I ) La f^moca poeteua Moln è sepolta io Dòm , e la lassò i ù> tiber a \é Comoaiti- .
\
DIALETTI BMILIANI. 589
Alla Ce r è Just lìa : r è la ptella dia Daliòuna , cb' toas cV arlsanèll n' so
gaant ami fa : pofar la nostra maridla ! alla fé , r ha tratt via la meua-
UuuLÌ lil pur mo ch^ gh' m^ vói accostar , mostrànd d' n' la cgnòsaer. Eg
i^MM liverèlnza , sgnòura ; còunsa fala da pr lia chi da sti band ?
Beiia. Addio , galantòm : j' asptàva la me serva , eh' è andada a irciir
m po^ d^ insalata ; stèv fors da sti band ?
SandròuH, No , sgnòura , che sòun da Bubiàn.
Betta, Povr veè ; e sì mo vgnù chi a spass un poc , è vèira !
«Séndrófm. Còunsa vuelta- iarg? al llncréss a star sèimpr in Ti sua pa-
viròun.
Betta, Anca mi e sòun vgnuda pr quale giòm a prendr un pò* d'aria,
e vdèir se poss parar via al mal d' testa. Usév al tabacTln vliv una prèisa?
Sandròun, E la lingrazi , eh* n* in tog , e pò am* prev nòser pr essr in
t* ana scatla d^ arxèint.
Betta. Oh che pazzia 1 E si molt sèimpllz a credr una debolezza si fatta.
«Sàndròim. Cóst vin dalla me gnuranza. Cbéra lia , eh' la m' prldòuna.
Al n' è d'avis d' avèirla vista st' ann so pr la Fiera eòun di' iètr sg nòuri.
Betta Poi' essr ; la me sgnòura cognata e altr sgnòuri mi amighi , eòun
<iletr 'I nostr servi.
Smudròwì. D' còst en in so pattacca.
Betta, y erni fors io t' una quale butèiga da drap a far spèisa ?
iSiiifufròtm. ( Aria ! ) E II vist da star appoza li fora , a far di zirimoni
^un di jetr eh* arruvòn.
Betta. Bèln , bèin , eltr sgnòuri dia camerata.
Sandròun, (Post crpàr!) Cbèra lia, eh' la m' diga : sti sgnòuri in zandal
^U sèimpr tant da far ?
Betta. Com sriév a dir ?
SoMdràun. Alla me piniòun em* parn tant zivèttl eh' zogàtien In V al
Mmòan pr attraplàr i oslì.
Beffa. Cosa fanli , da far un giudizi d' sta sort ?
Sandròun. E vdiva che s* tiràvn al zandal fin dnanz alla bocca, e pò
^ndaven a dna pirlandl pirlandl , eh' al pareva eh' fèssen un rodèll a una
^ainisa , e quand e V èvan a cól sign che vlevn , o eh' el spinzévin su al-
^' elta f o eh* el slargbàvin cm' al vantai ; e da li un poc e guastavin eia
^irlèina , es favn una piga larga larga , buttandsla indrìa dalla testa, e pò
^ còunsa , pr fars vdèir dou aleltl in zuma alla testa , sgnacl evidént
^h' al gh' svolazza al zrvel , che pàren d' quel elàll d' lata eh' tèin dnanz
^Ula lama dall'oli vun eh' studia a tavlèln, e d' pu un stompajuel, o una
d' panoccia d' formantòun in zuma alla fròunta, tutti còuns da
Br ridr ; e cól eh* è péz , far portar sti mod fina a di ragazzetti eh' san
tneora d' odòur , se s' intandèin ? Cos' hanni pajura 'I miidr che'l sòu fluell
dipn dia sborgna em' al vèlnen grandi ? Se'l fùssen pò almànc prsòun
^a sostantar alla longa a imitar 'I mod dia sgnoria.
Betta, Pian un poc; av' si móult arscalda : cosa iv da badar vuètr eun-
ladèin al mod di zittadèini ?
390 PARTB tflCOXOA.
Sandròun, Pur trop s' gir bada , eh' adessa 'i cuntadèlnl pareo tanfi €
gnolèini d' Bologna còun i colarèin e sframpMIi al coli , qnand ana ynà
r jera grassa , eh' la colava , avèirg un coli d' corài ross e pò maU; i
somma, s*iàn da essr '1 spousi , j' en arruvàdi a vlèir un iibit d' carità ',
pò ghe pèinsa i pòuvr rzdòur.
Betta, Cósr { én seecàgien , probe i bo sèiropr senti a dir , eh' pael fi
puel anca purtar.
Sandròun, Si *, mo tàr un vuel portar , eh' n' può! pagar.
Betta, Vdiv mo s' V è vrgogna eh' reuntadèini porto '1 mod di zilUdèi
In campagna ?
Sandròun, Mi en' gh' al nèlg; mo l' è anc vergogna a vdèir ceri iim||
d^ artsàn a vlèir tùer su tutt 'i mod di sgnòuri.
Betta Avi ma fumi? Al s' conòss bèlo eh' i avi poc inzign ; ma ae
fùssen 1 sgnòur e àltr prsòun che a caglòn di mod dèssen da lavorar e
om e a dono, i artsàn cmùed farìevni ?
Sandròun, Cert prsòun pr andar in r r oibella farèvn cmòed el fan:
vzlli ch^ n' i ma slàd emandàdi. Sgnòura , la s' è mòult arscaldàda : ti
noma un poc In fai noslr parpòsit d' pruma.
Betta, Dsi pur su , eh' m' imàgin che in scntrèm di più beli.
Sandròun, E pansàva, eh' sii zovnotti zindalieri , a star sèlmpr oh
brazz alParia, egh'dìn dolèlr mollbèin alia sira.
Betta, Si el dovrìvn bèin più dolcir al vostr cuntadèlnl a far romp^
e a gramlàr la canva : em' pari mòult ardì.
Sandròun. ( y ho toc la panza alia zigiila. ZItt pur mo , Sandròo
ch^ al diavi n' t' altèlnla. ) Sgnòura , eh' la n' vaga in coltra; j'bo vist p<
fina d' colli còun di zandà in co tuo castròun e mal tapà , es fèvn ai
lòur r islòss zoglari.
Betta. Lassarli far ; al gh' è sòimpr la so difTerèinza da prsòun a prsèi
Sandròun. Csì crc<l, prchò e in vist anca d'eoli cur al zandul imbru
e agroppà d' dria dalla schèina.
Betta, A s' conòss bèin eh* n' àvev air da far , o che n'àvev d'danir
spendr.
Sandròun, La dis la vrita; mo cn fc pirò gnac scrivr a ngun. Eh la ]
sgnòura , àltr che al sambùg fa dal spalpàdr pr avòir dia frasca moltbè
Betta. On s' era pari un villàn mòult pungèint. Pr n' avcir occaslÒQ
perdrv' al ris|>èt, e vad. Appunt e ved a vgnir là la me serva eh' la
dev fors zrcàr.
Sandròun. V ara fors visi so miidra a parar a cà i tampora , e 8^ ai'
eredr eh' la sia la so serva: cmùed s' fa ma prest a imparar a far
sgnòura. Alla fé la cavalla ha tmù al spròun : eh' la s' contèinta cb* i
fai finta d' n' la egnossr : eh' r impara a far mane la pavòuna.
On s' tiroma fora al scòurs dal Lunari , e demgh' un oeciadclla pr TJ
s' al cammina bèin. — Avrà il suo cmancipio Tanni I7tf7 in sabati sieofl
l' usi di la Chiesa; e quanto a quello dì noi altri strologhi cmancipiari
DIALKTTl EMILIANI. Z9i
11 mini a h. 13 e uo coperto per attruvarsi in quel punti Marcurio in
meno de! Cieli casa di Giovo ; questo sarà di sua natura bagnigno col dar
boDdanza di formeinto e marzàdeghl , cun la Pruraavera sutta , V Istate
tollirabile, l'Àvituno dalizlosi, ma l'Inverni longhi e freddi. Chi arremo
poiduoi dissi dilla Luna, Il prumo li 4 flbraro cumlnziando h. is m. e
fino h. 15 m. tt6. L'altri pur dilla Luna li is lujo a li. s m. tf formato a
h. 4 m. S8 fino h. e m. io. — L' è vgnù sira, che vag a cà.
Padre e Madre dello Spo.w,
S u n è T T.
Set , mujera , cir incùa r e appùnt col di
Ch' al s' muda affàtt afTàlt la nostra cà ?
La nuora vin , vultòmla o d' là o d' za ;
An^ s' è psù far a mane d' en^ far acsì.
Mi , per fSr bòin , J' ho fatt futt col che psì ;
Tocca mo a va a guardar eh' la n' gh' daga in là.
E percb' r an' fazza cmuód qualclf una fa ,
Tire bòin la cavezza e tgnila li.
Vu si Rzdora ; es farò mi col che prò.
La par pò fiuala bona , e s' mài la n' fuss ,
Tànt e lànt an* s' ha gniànc da far falò.
E so bèin eh' agh'srà d' zent fluss e riflùss ;
Ma per nù dù al gh' in srà za fin' ad co.
Fòns' unòur j e eh' e d' drìa , sera pò l'uss.
^820. Fra i moderni scrittori in dialetto reggiano abbiamo
wlto onorévole menzione del celebre conte Giovanni Paradisi ,
autore di parécchie composizioni satìriche inèdite , e dell' instan-
cabile canònico prof. Bedogni , autore delle brillanti poesìe rac-
chiuse nel Lunari Arsali dall'anno 1841 in poi. In Saggio
Quindi della moderna letteratura porgiamo un Sonetto del primo.,
olenti di non poter pubblicare di più ^ a motivo delle personali
Contumèlie o dei concetti osceni racchiusi nelle d' altronde mi-
'^bili poesìe di quest' autore ; ed in compenso offriamo alquanti
^niponimenti del secondo^ fra i quali una pregévole versione
^^ versi reggiani della Sàtira d'Orazio sull'Avarizia, Chiudiamo
Poi questi Saggi con un grazioso Sonetto inèdito del vivente si-
gnor Pompeo Cecchetti , gentilmente comunicatoci dall' autore.
503 PkMtK ticmiDA.
Ad un cailko Poeta.
S u « i T T.
sta mal teina »upplènd (i) la leina d'Jér
J' ho v{st de d^ sovr* al ròmd in d' un cassett
E! vòster rim squarzàdi in fazzulètt ,
E e! j' ho guarda prima d^ spazzàrm al msér.
Mo a veder co! bel stil ^ chi bé pensér ,
y andava dur , e a m^ è sallà '1 cagbètt.
E pò a m' è gnu tant sonn , che senza al lett
J* ho durmì le in tV udòr quattr' or intér.
E che da st' fatt j^ ho mo truva la vèina
A spiegar perchè al dio eh' emanda al cansòn
L'abbia ano giurisdiziòn su la medsèina.
E r è perchè I vers ch^ fan tant e tànt ^
La più part, come I vostr', io vers cojòn ,
Ch^ pon servir invéz dl^ opi e di purgàoL
Sermòn d* Orazi Flacc «ocra V Avarizia,
Sior Josafat , lo eh' sa d' astrologia ,
Am' diga per piascr cos* è st* mapèll
Ch^a fa tutt sti moderni Geremìa
Tulèndla con la sort e con el strèll ?
Ivel rasòn al Figurcn d'Milàn
Quand al t' mi fé tusar da meconlàn?
V è che in grazia dal sècol a \ttpór
Nissan voi tirar dritt pr' al veè sintér ,
E con poca fadiga e mane lavór
Tutt han la smania de mluràr mister ;
L^è r avarizia infàm , j' in i quattrén
eh' han suggerì st' idèja al Flgurén.
y ho senti un veteràn , con ci me uree,
Adracà dal campàgn eh' al n' iva fat :
Meda coiu ai puvrèi el venir veè !
Sol iti can de marcàniyén fortunata
Fallènd a lemp, robànil du terz per brazz,
Devènien tiori , e «' mòm in di palàzz.
( I ) SrppelletKlo « metmform.
DIALRTI BlflUAFII. 505
Bmedètl el maiér del giurabàce i
( Rispònd al negoziànt ) mi m* tocca atìdàr
A tutti 7 fér eh' se farij a battr* i tace ....
5*011 tià in vapor tre volti a vomitar ....
Finalméni il ièioptadi cosa [ani f
Se mar? te mòr; te no? V tèi capitani.
Un legai inciulda in t^ un mzanètt
Dal sgiaról dia mattona a un* ora d'sira
A slntìr dai villàn tott II sajètt,
E vendi*' i so parer a un tant per lira :
Eh benedètt , al dis , T aria d* campagna ,
Quel cielo ! quel bel verde ! e com* a t' magna ! !
El cuntadén eh' vìn dénter dai lega
El vèd sti bè obelisc e st' el grandèzz ,
Eh, el me tignar, al dis , cìie belila!
Bendèlt i tiori eh' pólen star a Rezz !
Intani noèter pòver contadén
A «' tocca andar e vgnir in volantén !
In somma , per finirla e per scurtàrla ^
Ed cuntént veramént a n' gh* è nissùn ....
Mo eh' al senta st' idèja e pò eh' al parla :
Sopponomma che (utt, a un a un,
Hudèssen sort , e eh' psisn' aver in fin
Tutt mài el coss che gh' gìren pr al buccìn.
Donc supponòm che Barba Giove vrissa
Scóder tutt i caprlzi a sti so fio ,
El ciapèss al suldà e pò *\ gbc dsissa :
ra a spass , mett su butlega e fa colV vó ;
E pò al mercànt: E te, sior Salomon,
Lassa le H bone , e mars , ciappa 7 tuppiòn,
E vu, sior avucàt, lurnè a la zapa,
E sbrujè la carega per Oervàs ,
E té, punghèll, fa presi, méttet la capa,
Barattèv t mestèr e andavn* in pàt ....
Credei mo che sta ginl la ghe stare?'
Al sré pur matt s' al le cherdìss , al sré.
Mo i fio , . , mo *l punì d* unór .., mo la cunzinzia . . .
Questa srè la risposta d' sti pajàzz;
E se Giove priss pèrder la pazinzia ,
AI n' egb' dire suppiànd con du ucciàzz :
Sangua d* la luna ! se lurnè a sta fola ,
Ev' cavare la tèj con la brasola.
59h PAKTB SEOOTIDA.
Al dirà che V n* in cos da buffoiiar ;
L' è giusta ; mo 1' è vera pò alcriànt
Ch' la verità s' poi dir anch' in scherzar.
Un niéater eh' voi insgnar a un prinzipiànt ,
In t' al prim més al le tós su dusmàn ,
E In t' al seeònd al gh' mola I speramàn.
J' ho principia anca me con d' ci bajèll
Per fargh' andir In corp i me argumènt ;
Donca e fag una dmanda a un quale punghèll ,
A un o^i , a un negoziànl , a un d' chi purtènt
eh* in per mar e per terra in tutt i sit ;
Per eotsa imbróini , e fjirnij e iaccni liiì
Al dira bràvaménl , eh* al t' a/fadiga,
E eli* al se slrangla 7 cól per meltr^ a pari «
Sul (fusi ech fa in campagna la furmiga ,
Pr I ann dia vcita, e pr en* murir al tffuèri ;
Che Vappelilo infm Ve un edifizi
Ch* fa truttàr fin el beili eh' n' han giudizi ;
E siccòm la furmiga indusleriota
La porla a la so muccia quel eh^ la poi,
Pentàud che dop per la tlagiòn piu9o$a
La n* prà più sallfir fora quand la voi,
E allora la s* in rosga allegramént
El pro9i8iòn eh' V ha fall in di furmèni ....
Ah manaròn ! L' esempi del furniigh
Al gh' entra cmè la corda in t' al prefazi ;
L' è un paragòn qucst che eh' un' vai un fig ,
Perchè vjiètr' arpij en' sì mal sazi ,
Con più en avi , più in vrìssi'fa l' incontrari ,
f^ furmiga n' provéd che 'I nezcssarl.
Vuèter tutt istà e tutt invcrcn
En"* pensò che a far muccia , manaròn ,
J' andarissi pr un sold al bocc di' infèren ,
In fond al mar e contra 1 battagllòn ;
Pr un sdld . . . mo cosa conta , za sta gìnt ,
S' as tratta d' sold , la n' ha paura d' gnint.
Ah pella d' avaròn 1 cos' et in me nt
A tgnir scpplì i scarto^ di maranghin ,
Scnipr* in mezz ai spaghctt tutt 1 mumònt ! . . .
Ahn sé ? te i roett a pàrt pr un bisògn eh* vin ,
E pò perchè spindènd htlt al maghèll,
T* currìu in rìsegh ed murir pwrèll ?
DIALETTI E)IIL1A.N1. 3^5
Mo M in stc riscgh an' gh' è gnint ed ver .
In t' na muntagna d'or, d'bcU cosa gli' è?
Bàttet min sacc d'furmènt? De per piasér,
Al to stòmegh in linei più dal me ?
Abbiet pur anc la lóva per magnar.
Una panza a la fin la n' ò un granar.
Di su, 'l fumar eh' al porta in l' la bargàgna
A quj eh' vendn' a la mnuda, i pan da tri ,
La vòdel prima se per sort in magna ?
Donc applichè V esempi e s' capirì
Che a battr' un micra d' sacc , a bàtlren zcnt ,
Un om eh' è modera lu V è cuntòni.
E so che rispondràn , eh* l' è un l)el sguazzòn ,
Veder taul bé «cartoó denlr' in t' la cassa ;
Benìssem. Gran bel gusl! Ma se un sCrazzòn
0)n i so quàter scozi tant a s' la passa ,
Csa conta al scrìgn , e i magazzèn pin d' biava ?
Per me la fag V istèss , dls col eh' la fava.
Se quand' un om ha sèj , invéz d' andar
A cavar di' acqua In t' al so pozz eh' l' ha vsén ,
A gb' gniss in meni d' andarla mo a caviir
In V la Mudiéna con al caldarén :
Siv ainatti , e dirìssev , mo dsi su ,
Cherdìv ed bèvreo un biccér de più ?
E pò . . . ( via za guardè se gh' ho rasòn )
A n* gh* i più '1 doppi pena u tórla là ?
Perchè se in t* acchinàrs al dà un bllsgòn ,
Al s' leva '1 pulgh' in t' l' aqua come va.
Sunài , va al pozz ; costa è la via più dritta ,
T la bevrè ciara ^ e t' salvare la vitto.
Mo za , pur Irop , adèss sti progresslsto
Fand consìster tutt l'om in l'ai quattréo,
J' ban colloca al dinèr in cap ed lista ,
E chi n' ha d' sold V e le eh' al fa 'I bertén.
A s* guarda i zens , el cà , i fond , e i slàbil . . .
Min zchin d' inlrada ! . . . Che omo rispettàbil !
Figurèv cm' a eh' a s' iiifia sti usurari
Con da so vitto da desprà pitòc !
Lor en egh baden mlga èsser somari ,
Che r inzègn senza sold al cunta poc . . .
Pretènder d'Iar vergogna a chesta gint,
A srè r Istèss che perdr* al temp per gnint.
506 PAKTI taOOilDA.
In t' al sècol passa e so eh' girava
Un veó avàr per Rezz sempr In lavàtt ,
Spore , taeeuoà^ musnént ( al se spasziva
Al grugn quand V èra a tavla eon al gatt ,
Per sparmiàr I tv(gó), ben donc slnti
Cosa e dsiva sto veè , che capiri.
Quand la inèja l' stifflava per la strada ,
E la gh' dslva dia lesna e dal blrbòn ,
Mulàndeg ( per so us ) ^na quale sassada ,
Cantè , canlè , al gbe dsiva , i me ttrazxòn »
Bravi t zighè pur fori , forti , pajàzz ;
Me intani a gh* ho la coisa, e 9u di iiraxx.
E m' arcórd che studlànd umanità
( La quàl se studia per dvintar umàn)
E less d* un zert slor Tàntel cundanà
A star in t' l' aqua con 'na sèj da can ;
L' aqua era ciàra , fresca , al la sintlva
Contra i làber , mo bèver ? s' al ne psiva.
E so ch^ in propria fole da umanista,
Mo n' gh^ è mlga da fàregh tanti arghign.
Invéz ed Tàntel dsi un capitalista
Cb' staga sèmper de e nott d' intòrn' al scrign ^
Adorànd I sacchètt cmè un reliquiari
Senza tuocari mài ; e agh' srà poc svari.
E cos* in godei pò ? Quel eh* a god me
Quand e guàrd el pittùr dai Procazzén ;
Al ne gudrè mo 'I doppi , allorachè
Al li mlttìss a man sii so quattrén ?
Ah! 8' al savìss cs'è i sold al de dMnco,
Crédal che un dee al stare viv d' faso ?
Adrè ai sold, prima d*lult, a gh' vin al pan ,
Al vén , V urtaja e tutta la euséna ,
E pò , chi gh' ha di sold , V ha tant in man
Da zugàr Tunivèrs a la ruléna;
Ch' al pensa mo lù adèss csa poi mancar
A un d' sii bò d' òr eh' al sappia ben pagar.
Invéz ch'ai guarda al strassinà usurari,
A star desdà la nott , smaniar al giòrn,
Mez mort per la paura di inzendlari ,
A stumpàr al camén , murar al fòrn ,
E s' a stranuda '1 gatt , s' a casca un ciold ,
L' è un làder eh' scappa via con I so sold t
DIALBin BMIUANl. 397
Èl quest al bel piasér cb' a i' dà i (o bezzi ?
Ah y qaand un om abbia da tur sV el viti ,
L' abbia da (ràr insem di seld a sV prezzi ^
L' è mèi arslar pitòc , e tirar dritt
A la mèi con di strazz , che za cól eh' plas
PIÙ d' ètra cosa a sV mood l'è la so pas.
Mo se un aver l' aviss da trars a Ictt,
Pr un catarr , o pr un colp ( eh' l' è più d' costùm ) ,
Chi gh' arai in d' la stretta pr* 1 brudètt ,
Pr i fumènt , pr 1 cristerl e pr I perfùm ?
Gh' arai chi vaga a squinternar el port ,
Tant eh' ariva un duttòr prima dia mort ?
No , che nsun al voi vlv. E n' han asse.
£n vèdden l'ora d' mèttr el J^ unj^ In zai :
M ujèra , nvou , parént , vsén e cugna ;
Crèppel f an* ereppa mài t qìàand cherparùl f
Fin i ragàzz e 'I ragazzetti d' strada •
El vólen mort per iargh pò la vus&da.
L'è d'giusty che un sellerà eh' a n' abbia avù
Nissùn amor d' famija e d' amicizia ,
Che un om eh' ha duna l' anma a r òr battù ,
Sacrifieànd incossa a l' avarizia . . .
Qual dà in parete^ dis i Flurlntén ,
Tal riceve, l\è d' glust se nsun gh' voi ben.
E vu f avàr moribònd , e capiri
Che par iares vrer ben , an' basta miga
Tgoir a cont 1 parènt in punta d' di ;
( Post eh' la natura e i dà senza fadiga )
Vrer che 'v fàghen la cori senza interèss ,
L* è pretènder che un trol vaga pr esprèss.
L' iv capida , i me avàr ? Donca fini ,
Finì eia smania pòrcgna d' amucciar ;
Za con più bezzi i fatt , con mane e sì
In pericol d^ patir e de stintar.
Iv fatt di sold? Tulìv donca dal strett,
E spindii y e gudli » siév benedétti
Se no la v' pré tuccàr cmè al sior Ursén
( Sinti sta Tavoletta , e pò e tir dritt )
AI qual gh' aviva tant ed chi quattréo ,
Che n' egh psend far la somma a ment , né In scritt,
L' andava al mué ed la muneda fina,
E pò '1 msurava 1 sold dentr' in d' la mina.
398 PAKTI tHC05IDA.
Mo cosa? Intànt 1* andava visli mal ,
Pèz che n' e I senilór , e in chi tcmp là
I servitór j' ancLnvn' a la papal ,
Con ci rcllqui d'el IIvK>i dia cà;
El stlntava la fam sol per paura
De n' andar per ncclenza in sepoltura.
Lu n' purtàva d* cani Isa gninl afàtt ;
El so gran trattamónt J'èrcn lumag;
E V aviva al costùm ( vardè che matt ! )
Ed sedr' in blànc per ne frustar el bràg;
Donca siniì che sinfonia gh' Iucche
Sinlì , sle manaròn, che fin al fé.
Al gb* avi va una donna al so servizi ,
Donna fedèl al sólll per tradir ,
La quàl 'na bella nott agh' vens caprlzi
( Una cosa da gnlnt ) ed fargh un tir :
La tòs un manarrn , e pafT , la gh' sciapa
La testa in dou , to su un saeehètt e scapa.
^j ai.' cum^èla, am'pré dir un avàr,
Donca s*ha d' andar là con al òrinlàn ,
S* ha da flccàri in Seccia sii dinari
Adàsi ; cm' a s' capìss che t' è un mindòn !
Una cosa V è (ir economìa ,
Un' ètra V esser strie come un' arpia.
Se far al mauurón V è un bnitt mestér ,
Al n' è gnanc bel col d' far al consumón ;
L' è al giiulo mezzo eh' s' ha da far valer ;
Quest rè al òusilUs per chi ha cogniziòn.
Troppa grazia , diss coli , cch^ toss in fall
La scòrsia , e pò 'I saltò d' là dal cavali.
Ma per turnàr al fll dal me argumént;
L' avàr al n' è miii quet , V è sempr abgbi ,
Con tutt quant i so sold , mài l' e cuntéot ,
L' invidia I èter fin In d' eli arlì ;
S' un ha fatt dal furmàl più che ne lù ,
Al piànz , al va in del furi , an' magna più.
Però pò, in d^ r istèss tcmp , ul guarda ben
De n' parer un puvrètl in mezz al mond;
Anzi al gh' ha adòss la spiura d' piòé pulén ,
Per star a gara, punt quattrén e fond ;
El voi che la gint diga: Col sgnor là,
A par ben, mo Ve UH sgnor , lu sé ch*ol gh* n*hal
MALErri UILIANl.
InUut r avàr al bisca ^'percliò «n^ gh' e
Di ricc al mond , eh' aa' gli' in sia di più ricc;
Fati pur iQàni , e pò ? t' fare come
Un caraltér , clic tlrànd zo bcrlice ,
Al frusta , al frusta per saltar dednàna ;
Ho i rosa e van ed pass , mlga de sibnz.
Ecco s* è véra , com' e dsiva prima ,
Che di cuntént a st' mond a n'egh** n' è brisa,
E tult e gh^ han de dénter la so lima ,
E s* fèm com' el lumag in d'ia burnisa ;
E che i sold e n' hin miga un elemént
eh' faga viver la gint alegramént.
No , n' gh' è nissùn che quand F è a la cavdagna ,
Al possa dir d' èsser sta ben al mond ;
Com^ a r accàd a un cuntadén eh' al magna ,
E dop aver fatt panza e pulì '1 tond.
Al dls , vudànd V ùltem bicccr ed vèn :
Di gh'n^armMia iani» che iiag giuit ben.
Ma basta. Andèm iuànz acsé a la mèi ;
Za infin a se gb' sta poc » e U simlteri
L' è là , che a bocca averta . . . ostf « oèi,
Em' sent a dir , adèu Cem ve s^l seri ?
Ko , no , eh* al scusa , al rcst al le sintrà
A la prèdica In Dóm , s* al gb' andarà.
Costumi contemporaneij
studj intimi e ritratti del bel mondo {{),
S' a gh'era dia barbària a i terop di ve^ ,
8' a gh' era dia miseria e dP ignoranza ,
Adèss a regna al còren d . . . . T abundanza;
Adèss al mond a s'gh'è scurii gli urè2:
Se s* tiràven su el bràg con el xirèll ,
Se i pagn s' ercditaven con i stàbll ;
Adèss modist e sart e gust variàbil
E v' snudn ogn' més dai scàrp fin al cappèll.
Se gh' avivn a chi de di sold in cassa ,
Adèss e s' fan girar , e' l' e san al mot ;
S* a gh' era da chi de mundbéo d' devòt ,
Adèss a gh' n' è moltissem ... di bardassa.
Vii e»tr«Ui J4I Lumai. 0 Baggiano,
30
tn
400 PARTE SECONDA.
Se chi vcé e scampavcn nuvanl' unii ,
Ignurànt fln dal noin d* apoplosiu ,
Adèss almàac e v' sòncn V angoiiia
A mala péna a 8* riva ai ziiiquaiil' ami.
Sicché danti jin*iicciada a i tciup d' alóra,
E dand un' atra ucciada a i temp d* adèss ,
An^s'pól niiga negar un zeri progress.
Che vedròni pò compi quand a srà óra.
La Cometa e /' Edinw.
Iv mài vlst in t' la testa il' na cunictta
Una trezza piò longa d^ quella là?
L'è glust eh* a gh' vója tant mill ann d'tulella.
Prima eh' la s' faga veder fora d' cà.
Su per la mura andóm con la lorgnctta ,
Guardo s' l' è bella, e dsìm pò s* la v** piasrà :
Vdiv , anch' al zel al s' fa passar st' uretta
Con al délmi d' un astr', o d' cól eh' al srà.
Basta che n' fidi miga la materia
De squinternar el mur d' sant'Agustén ,
Com' a 9' fare d' un banc a r òpra sèria :
Aiich a r an d'Ià quand ha passa l'eclìss,
Staud su pr i cópp a gh^ fu di muscardén
eh* rumpivn al te£ e che zigàven bis !
-'^m»^
A i temp indré 8*a s'era in cum|Kignìa,
A s' stéva alégher senza sudizióu.
Con la banzóla }k s' igni va in alegVìa
Per tutta sira una' conversazión ;
Che battimàn , che rìder , che mapèil
Ch' a s* fiiva tanti vòlt pr un indvinèil !
F pò passànd ai seri e gh' era al victt
Ch' cuntàva una storiella d' gioventù ;
La Sempronia cantava el cauzunclt
Con un gust , con un* aria , che mai più;
A passava la sira come al vcnt,
V. luti s'n'andiivn a Iclt san e cuntcnt
\
DIALmi BMIirAflI. HOì
Adèss , in grazia dia filantropia ,
Bisogna 0 far la mùtria, o*maniniriir,
E annnjàrs fazènd mostra d^ alegrìa ,
Suppiàndes spèss al nas per sbadacar ;
Perchè a dispèt dal brio , di lum , del donar,
A gh^ è d'nóv a tgpir dur contr* a la sonn.
E i póver veé che vagbn in t' un cantón ,
Con I so bemardón e al leggendàri ;
Ch"^ e dàghen post a la murmorazlón ,
0 a i murós mal madùr , o al inat contràri ,
Ch' al prinzipia squacciànd i flgadén ,
E al flniss con al roch e un biccér d' vén.
Quand scrivìva Ouldòn , l' andava mài ,
Perchè al pòpol gudiya e al.s' instruìva ;
Adèss che al pòpol r è sentimentàl ,
S' an^ gh^ ha ci làgrem a i znoé, an' dls evviva;
Tant è véra che , mort al sior Guldón ,
A s' è pers i Brighella e i BaUnzón.
S' intènd pò a dir , che a pSghen a un cantóni
Pr un quàrt d' óra d* ragaja i mezz milión ;
A vin la spiura d'iniziàrs al cant;
A vin la smània d'imparar Tazión,
Perchè a s' ved a la fin, eh' a se gh' fa beli ,
E a vài più la ragaja dal zervèll.
Quindi n'dagh miga tori a chi: peglòll,
Ch' fan dar di trcmulàzz in V al prim sonn ,
Fand la prova per Rezz dop mezza noti :
Lassomma pur eh' a s' inspaventa ci donn ,
Che me intani a dirò, vultànd galóa:
Cantàl canta, ragàzz^ che gh'i rasón.
<^oneUo inèdito del signor Pompeo Cecchetti di Reggio,
Novella.
Una sira a s'truvàva a 1' ustarìa
01 o dcs fra captar e zavalén :
Sii ragàzz e magnaven tanto l)én ,
Ch' cs' srcn ditt dilettànt ed pucsìa.
hO% PARTE SBGO?(DA.
L' era liird , mo n* se psiva scapiir via ,
Perchè in dés en' avìven che un lirén :
E r ost eh' i «spiava lò sott al camén ,
Al priniipiava a dir quSlcli eresìa.
Per bona sort a capita un vilàn.
Che sema star a far lant cumplimènt ,
Al s' mett a sédr , el dmanda cosa fan?
Al più sveli rìspundè : Una ragauida,
L* è una maléria eh' la s' è ^ignuda in meni ,
E a piga tuli chi indvina una sciarada.
Cos'rla sfa tarroàaT
L' è un indviaèl , sintì : cos' è cól còas
Che n* g' ha ne pè, ne gamb , ne peli , né oss ,
E'IsàlUtntt i foss?
Vi^ té, tè, tè /Enlarza (Tmmm iimama .'
£ rkè imàpimàda sema ck'mi s'odaao;
trà\^ vilàn ! T'j'è pròpia on om d' lalént;
Pi^; e I* pnghè ; bo r d^va sòl tra I dent :
SaMèlt «Bar sapiènt !
Lèitra tcriita dal B A al signor Nicola Bi
maèstr di Paggi de S. A. S. in Jfi/Jii, e deputa dia
nità de Sistola so patria, per la tutoria di' V ha oU
favor di Pastór e PossùUnt per Faffàr di Campdz,
lolken tnettr a culti^aziòn da X X,
Jmig ear'utim ^
A quei patràs ingiùst e pin de liòria(t>
Al <k Ini va chi gh* a mesdà U biava
In (azza dal Pacs; quand men s' pensava .
I Pastór ban avù la gran vittoria;
E adcM i pòn condùr alla pastura
Tutt el so t>esti senza aver paura.
L' è vera eh' a gh' avi dà l'assislenia
E Catt sentir sì ben el so rasón;
Tutta la gloria è vostra e diligenza.
(i) 1 procDotori della colti vasiooe dei Caujiacci non mcriùiano di «iter
perchè ciò col tempo sarcblic italn di grande vantaggio al Paese.
DIALETTI 'ElilLUNI. 405
Tatt én contènt , e s* godn al beli e al bon.
Ma al fu fatt re al Pastór eh* mauò Ck>lia ,
E al premi ci' va eh' ai scdlt an' so qual sia.
Al srà r amor di vòster patriot ,
Che n' sran ìngràt a cgnòssr al benefizi.
Vtt sertamént an' v' sì tratgniì in balòt
A mettr in vista tutt i pregiudixi.
In' psiven sceglier deputa miglior
Che gh* la cavassa con maggior onór.*
Vu avi coi vostr"amìg sbrujà l'affàr,
E fatt costar quant sia d' comùn vantàz
La praderia i armént a pascolar,
Pr averne ifrutt, e a mantenerne el raz;
E acsé pensàvn i nostr antìg pastór
A ftir cuntént la turba , e a farse sgnor.
L* è andada mèi acsé senza fracàss ;
Dalla virtù fu vinta la questión ;
L' abbà Nicola ha moss sì ben i pass ,
E destés acsi ben l'informazión,
eh' al Sovràn ha cgnossù la verità
De turnàr i Campaz air ùs de prà.
Bella provincia degna d' ogni ben ,
Madre degli art , e de sì be' talént ,
Che god fecónd in pas i su terrén ,
E al comerzi gira dai possidént :
In fin nel nòster Stat V è un pez da s'sanfa
Con la bencdizión de Terra santa.
Sèstola a intènd de dir la fortunada -
D* aver un flól tra tutt i Sestolén
De giudizi e d' sapienza rafinada ,
Che s' è si fort impgnà pr al comùn ben ,
E s' ha senza quattrìn purtà vittoria
Degna da eonservàrs alla memoria.
Vu si quel fiòl eh' a pari, Bàrtoli car ,
Dia terra vostra onór , di prct decòr ,
Che con sti straz de rim av' vuré ludàr ;
Ma en"* son capàz de tèsserv un allòr;
Intànt av* àugur bona sort e pas ,
Av' salùt , av' abràz , e av' dagh un bas (i).
^^) Questa LcUvra la .stampata in Milano per Anloiiio Agnelli rrgiif ttampalore nel 177^»
^^^ *o cui monsignor Niccola Bàrtoli ottenne ila S. A. S. Francrsco ili duca di Modena
■Onero annullati i contratti di livello della praterìa detta i Cumpucci e restituiti ad uso
^••wlo comunale.
404
PARTE SECONDA.
1760. Le seguenti poesie furono dettate dal pastore Nicola
Galli. A dir vero non vi abbiamo riscontrato né originalità
concetti, né mèrito poètico. Che anzi la maggior parte dei
é sbagliata nella misnra. Siccome peraltro ci sembrarono tutt.:^'
via bastevolmente interessanti per la purezza del dialetto ^ così
le abbiamo qui unite senza toccarne sillaba^ per tema d'alterarane
le forme.
Al signor Segretario di ò\ A. S, Francesco IIId'Este{i) •
Reverénd Segretario ,
La posa giò al Breviàrio ,
E eh' al negh' para fadiga
A lègger st' quàtter rig
Scritt da un vilan (s)
Che 'n sa parlar toscàn ,
E poc alla destesa ;
La ne s** tegna dono offesa :
Che al difèt di' increanza
Nasse dall' ignoranza.
8ia malcdct i me pcà I
E son tant desgrazià ,
Che n' so dir una parola
Ni in vers e ni a fola ;
E sta volta cn* poss star
Che ho bsogn d' rasonàr
Con Lustrissma Vosgnorìa.
Quand s' fava la gran via (s)
Pr ubidir a So Altezza ,
La gent con allegrezza
Passava da tult ci band
Es andàvan descorrànd :
Andèn alla via ducale,
E mi era caporale ,
Che cniaiidàva cs lavorava ,
E vdcva cs osservava
La gran puntualità
De tutt quant et Comunità
Dia provincia dal Frignàn :
E tutt di man in man
-El contava es e gU ho scritt ,
E per quràt en estò zitt ;
Ch' al fo saver al mond
Dalla lima sin al fond
Dia montagna, e d' tutt al pia
E- fors' anch sin a Milào.
{*)
Cime cos dighe mai !
Che n' trovàss adèss un guài ,
Un esìgilo , 0 un càstig
A dar sì gran intrig
A un personà(^ par so ;
E poss ben dir oibò.
Quest voi èsser un brutt fatt.
Sfa volta s* i m^ dan dal malt,
E dirò V è sta me dann :
Può èsser che m' inganna ;
Mi n^ so dir altra rasón ,
La s' mantegna san e in ton
In t' al so ^MMt d'onór ,
E preg al nòster Sgnór
A liberar dal cos funeste
La nòbil Casa d* Este.
La me scusa e la m' perdona
Se ho tedia la so persona :
E s' ben eh' al sia lontàn ,
E gh' bas al pè e la man.
(1) Monsignor Nicola Bàrtoli di SèstuU , protoootario apostòlico e prtrosto M\» d'
rliiosa di S. Maria Pomposa in Modena.
(a) Nicola Galli, che r«almente era pastore , e senta studio.
(3) La Via Giardini.
(4) Mancano alcune carte nel mauoKriUo.
DI A LOTTI ntfLIANI. 405
Ina Donna eh* dmanda da filar par land sestolés.
li e son v^gDÙ
qui dman da vù
' dad da filar ,
b a lerch d* guadagnar.
lalUi montagna 9
e psi vedr ai pagn ,
Ih d' bisèl
^van glò a c^mpanèl.
desgrassià
idà con f soldà -
1 l' ba sentù al lambii r ;
sr che n^ me n' incùr.
mod 9' 0 stava a cà
va , cmod es sa ,
1^ fèss le spese a !ù ,
oè am"* toccava su.
1 m' ba lassa soletta ,
pan an n^ ho una fetta ,
quàter fansìn
starén sot a un corghìn.
ibe 800 mi sola ,
Ì9 la famiòla ,
ruv da mangiar
1 rocca e al me filar,
tutte ci Ale re
presta in t' al mcslerc ,
ira e lil più mi,
* fa un'altra in tul ni dì.
itonio me compàr
un gal in t' al polàr;
[ e sent eh* al salta sii,
erdì che staga più
r , mo in t'un trat
V su dit e fai ,
' met in co ni traI)sM ,
imbàl e la slancila ;
em' son afflubà ,
in via per rà
olta dal camìn,
un zolfanin ;
su al stopi n
ma un podio ,
Es al bagn e pò T appìz
' E pò fo kiàns i stiz.
Quand e jò apià al fog ,
Em' met li in tal me log ;
Che sto sempr in t' un cantòn
Con la me rocca a galòn.
E lì prilla , 9tor£ e tira ,
Tutr al dì fin alla sira
Bmpj e vod , e cav e mett ,
Fila e ioaspa e fa gavètt.
En' manj; mai un bcòn,
Donn mi, che sappia bon
Per la gola d' lavorar
En' ho temp mai de mangiar.
Quand e log al fus in man ,
Em** mett in grerob un pan ,
E pò di quand in quand
E in tog un bcon, es vo mangiànd.
E jò pò quest pr us ,
Che n'destàc mal al fus
S' al n' è gross de pieha man ,
Che tutt i me vsin al san.
Ev vo mo dir d' più
eh' al sràn là da nù
Da zinquanta montanàr
.Che n^'fan altr che filar.
E se vii che al diga tutt
Tant el veccic cmè V putt ,
E al dirò se stàd attcnt
Che gr jo tutt a ment.
yai ■ • • • • • • •
Quest tutt che v' ho conta
San tgner la rocca attacà;
Mo e in prò dir più d' cent ,
.eh' a filar gli en valcnt.
Alo a diri In conclusiòn
Mi n' acatt parangòn;
Che gr ho tu.tt supera
A far seg al goccia.
OBO tralasciati i aomi di vàrie filatrici, riteocadoli inùtili, perchè strambi.
%M
FARTB SeGOHDA.
K per lllàr u^uàl e tond
Ah* >^ in trov io tuli al mond ;
0\U far leu d'Uà,
n^ta dop|>idi , • itedÙL
K»^ per 9orl e vii vdèr
l« mhk ovr«« rè al dver
Cà* ew «MMlr* s* la v« pUs
Ho a'e$à dai p<» d^ «a».
C«ardÀ qui M' (^MOfesèt »
ClM vdrì cttMKl r è beli;
ijiw»! è »lMpp%« <<tii»4 carwl:
vv ìli dta\ . 1^ ■!& iiìi ?
\9 par a >ù ch^al sia bel?
Mt» (uardii »4' attr yiiiìèi «
Cb' ^ %h>piM d' la più cattiva
^ii' uià' altra «mì u'^g" arriva.
^jiftaud 1^ d«^ ia r una rticea
1^' caraòl tNu Ui^^rà»
H IO iJMà iil> cH' a^* :<ù dir «1 »
^' Uh :w<da a a* ^ asnM.
>lià X r ò iK^ «.HMKa mal..
Il u' Al ]^kt» lar v^aàl ^
Che !«a4 <lh» ^4all» slrwp
IM*a iiMp«^ a«i PM tropi.
E ]ò ben pò la petnella,
Gh' tutt al di la mia sorella
La sta seiQpr a petnàr;
E mi attènd sempr a filar.
Orsù donca n' manca,
Se vii èsser ben tratta,
Dim un pò da lavorar
Cb' em possa sostentar.
Dam donca , se vii,
Lin , stoppa e qnei cb' ai ;
Cbe per cont dal pagamènt
k n' srà da dir niént.
B torre robba e qnattrìn
Bofliiiòl, rémolà pan e vln,
Caffltsòl , cali e straui
eh' i sran bon pr^ i raganl.
Orsù e TQol andar In su
ih* en posa star qui più.
Ch* i rafài stan a spiar
eh' cg*" porta da mangiar.
Doon , mi dooc em arcmànd ,
^ vfBl mal da qnel band
VegBÌn a star da mi.
Che start la mII e al di.
tili;i»t»i> KsBftAKKSC.
I7i0. ft filalo^ se^oeiile è tratto inHe f^eng tern
di Gùrobso Bvudkll , e lo porgiamo omk il Saggio
da noi rinvenuto del dialetto ferrarese.
m- eh' anp^Ua t Palròn% àtiiu fwecffh.
D f A L e e a.
Znm , Ikmórd , Tma»m , Buriim ,
Z*fm, A voi ! a voi f a voi \
t può I n' voi eh' i appa argnoì
I ruetAh, %' con tult^al ^ cridàr .
La /.ent n' i %'ol scultàr.
A voi ! Mo cossa e quella ? una crìatura
Quella eh' è li pianta ?
DIAUSrri EMILIANI. %07
La nott è tant scura ,
eh' a n' r aveva arvfaà.
1 1' ha pur vlù piantar in so malora
Quel maladèt flttón in s* al sagra
SU bndìt Fra ,
Perchè l' carròzi an' gh' rompa \ s6 sunnìn
Inànz al Maltutin ,
E nù a tgnen star chi fnora ,
Acsi per bel dilètt;
A bàtter dr brucchètt.
Bem. Ah , ah , ah , ah , ah , ah !
Zpon. Chi è quel eh' mlnciona là ?
Bem. Ih , ih , ih , Ih , ih, ih 1
Zpofi. Chi è- quel eh' sgrlgnazza li ?
0 Bernard , 4ett ti ?
Ho an' n^ ho donca rasón
S' a i ho sqnas spia al timón
Per causa d* quel flttón.
Mo ti è vgnù acsi a bun^ora fuora d' cà?
eh' ora è ?
Bem, Qnattr' or sunà ,
E la Cmcdla n' è gnan'c alla mità.
Zpoii. Ch' dièvul fai sta afra sti sdiapin ?
Bem, Opera nuova : i Quàtter Truffaldin.
Z9an, La merita i quattrìn.
Bem, Sent mo là s^ i sgrignazza a bocca averta ^
Ch'apar ch^i n^happa più vist terra dsqucrta!
Zpon. Lassi rider , eh' i paga.
Mo lassa pur ch^ la vaga.
Sta volta i comcdiànt i gh' ha al so pan.
Bem, A m^armètt a Stadiàn,
Stadiàn al portinàr.
Mo di volt r è un gran spass
A sentiri' a arida r
A quel spurtèll da bass :
Fé largb a st' cavaliér ; largo , Zelenza ;
Quest è d' Cort d' So Minenza.
Franco sto gentilòm ; e al va buttànd
Di titol solennìssim d^ quand in quand ,
Ch^a in tocca a tu tt, e nsun s^pol lamentar.
L' altra sira all' intràr
jy un peruccón bellìssim ,
Larg , al cridò, fé larg a sC illustrissim ;
E sat, Zvannòn, chi llera? Lieraun cuog
i08 PAHTE SECO^IDA.
Vslì d' culòr fuog.
Mo n' n' bai dà di' czzelcnza
Fina al cont ButU V àsn in so presenza ?
A gh' n* è acsi più d' quàtter ,
eh' vien a posta al t caler
Pr èsser lustra alla porla ,
Con al stafflér eh' a gli' porta
Al fanàl e ni tabàr,
E i paga quel eh' a gh* par ;
Du Pattacùn , la so Bluraiuletta ,
E butta in la cassetta.
Perchè a s' diga eh' i paga.
Z^an, SV ann a bsó eh' la gh* daga
In sti burdié , perchè nuàlter cucciér
Aiòn d*ognÌ mumént In serpa al msìér,
E a sten scmpr in andar. ^
E flna dì a n* gh' è V asi d' dstaccàr.
Zira chi , zira li,
Tutta la nott e al di, ,-
D' za e d' là , d' su e d' co ;
Da qla banda , da st' co;
Dal Diàvul e da so fiól ,
Per fina eh' a n' s' rumpcn na volta al coli.
Dem. V è di' a n' so cmuod ql rozz
Puossa tirar quel brozz ,
E pur an' ifè tàcul;
J' è cavai cif fa miràcul.
Zvan. E eh' miràcul , fradcl ;
S' t' savìsset cmuod gh' sta la peli !
Paja saetta d' ogh' ora ;
E gh' in fuss anc in so tanta malora :
L'è eh' di volt per biava e per fén séett
Ha bsgnà darg da mugnàr infina ai lett.
IknL A i ho prò sentì a dir da un mie amig ,
eh' alla fiera d' Ruvig
Al voi tuor di Platùn.
Zvan. Chi ? al mie patron? al^lurà i so luincìùn.
liern. Mo a so pur mi chM' e a torn
A métter sii na muda.
Zvan. Eh , al m tra su 1 so corn.
Mo con qual ? Bsò eh' 'al suda.
L' è un ann eh' V induradòr ha quel cuppè
E a n' s' accatta la vie
D' farai vgnD* a rà .
DIALETTI ENIUA^II. 400
Perchè al povr' om voi prima èsser paga.
E s'nient nient al -sta
A tuòral In T annessa (mo an^ par
di' mal al gh' appa da andar), . ,
si ben eh' il n' ha speranza ,
V andarà vie V usanza.
Mo sent pur : quest è nient.
A gh** è può i furnimént
Mexz Impgnà dal slar,
E mezi dall' uttunìr ;
E per n' i vder fumi .
Al n' passa più per d' li.
Crédei eh' a stema fresch, al mie Bernard;
Eh nù a scn nassù tard
Per veder in bon post 1 carruzziér.
Quest gnanca lù al n' è più al bon mister.
Bern, Mo a vuoi eh' t' m' al digh' a mi
S' anch quest' è .un* art falli.
S' at vdiss sta llvrè, a gh' n' è più fil.
A gh' è un sart in curtil ,
Cb' n' ha falt ogn' ann tunnina :
E mister Tirurlna
Gh' ha lavurà d' dritt e d' arvèrs ,
Mo adcss d'tegnirl' insièm a n'gh'è più vcrs.
Zvan. Sent mo là qla Tampella
Ch' vien vulànd. Èia quella
Dal cont Impernigà ?
Sem. No , rè un mèdog eh' va a cà.
Zvan. Al par ben lù : mo credm , Tè Tmasòn;
T' n' vcd qui kinternòn
Ch'c sbus da tutr i co?
Beni. L'è lù^Tè lù , Tè lù.
Ben vgnù , cumpàr , ben vgnù.
Tmas, Sòiàv ^ zuvnotti ; gh' è posta ,
Ch' un tantin.a m' accosta
Anca mi sotta st* volt?
Zvan. Si ben: dà indric , Bernard , eh' anca mi a gh' dag.
Tmcu. Basta , -basta ; eh' a gh' stag.
È sunà '1 quart ancora ? •
Bern, Si II è lì eh' el' fa 1 fus ;
A srà ben dbott un' ora ;
E 'I cinqu è in su al bus. >
T\na8. E a n' è gnanc fnì st burdèll ?
Zvan. Si f adèss i e in t' al più beli.
kìO PARTE S8C0HDA.
Tmai, E sì al patron m' ha diti eh' a viena presi.
Cosa vor mai dir quest ,
M' al sat dir ti , Bernard?
Bitm, A Sfa, ch'ai Matùréng al srà vgnù tard.
Tmai. As poi ben dar. 0 sten pur chi.oanUind
La falitélla e la paisiè d' Urlànd ,
Fina eh^ al patranzìn s^ in sent là vola
D' andàrsn al so boia.
Oh ch^ vita maladetta ! s' poi mo dar ?
Sr viàz do volt ogn' sira a i^ ho da far.
Prima eh' la cmedia finissa al vie» lù fuora
E 8^ voi eh' al mena a casa d' tona sgnora ,
Mojéf d'un brentadór , in Tua euntrà
Ch^ an' gh' è alter che qla eà.
Quella , quella ....
Bem, Sì, si ,
Tmasón , a r ho capi ;
A r ho vist anca mi quel cunfalón,
Quand 'na volta a fu imprèsi dal lo patron.
Ttnas» E può a bsò che dop l' quàttar
A toma anch al teatar
A tuor su la patrona , e al marchsìn
S^ in^ va in t' i camarìn
A sugar fina di, •
0 fina eh' i è fallì.
E s' a n' Indvin' al punt,
Prest i m^ daric i mie cunt ,
E a cascariév al tiel dal grand armór ,
E a mi tuccaric a tuor.
Cm' a son a cà , e eh' a 1' ho missa zò ,
A bsogna tornar d^ co ,
E dar volta in qla strada eh* a v' ho ditt ,
E star li a vent, a fraza derelitt
Infina eh' la pittona ha cu va i voov ;
E a sona li ott e V noov
DI volt , eh' a son anch' lì
Mort dal fred e sbasì.
A son mo a cà mi , e si a n^ gh' è un' anma , uif can
Ch' a m^ daga una man :
Mi attaccar^ mi dstaceàr,
Mi avrìr , mi assràr ,
Mi stargair, mi lavar.
Mi dar fen , mi spazzar ,
Mi far tutt, car cumpàr ,
\
DIALETTI EMILIANI. 411
E mai vien qla maidetta ora d' magnar :
E' sie vzilia quant a' voi, 4a a' gb' i^rdooa,
E al dzun s' sgrappona ;
E tant volt e tant ,
Acsi beli e galani
Cmuod a vien fuora.d' stalla ,
Bsogna cb^ a staga in sala ,
E può cb' a vaga in tàvula a servir ; •
E la sgnora m' sa dir :
Faiv' in ìk, cb' a puzzai.
S^ a ptizz, cb' la m^ lassa là In t'I mie cavai.
Bem. Mo a n^ gb' è più al cavalcànt?
TVias. A gh' è Psò corn : l' è andà suldà in Levànt.
Sem. Per forza,. o pur pc amor?
TViot. I gb^ ba può fatt Tunòr
D* tuòral dalla stalla
E convujàral con un rem in spalla.
Bem. Ab sì , cb' r lera un d^ quj siè
Cb' Imbiancava ai patrùn rarzenteriè.
TVnot. Si ben, l' è andà in galera lù e so pàder
Per sulennissim làder. *
Zvan. Ho a bsò ben vivr' a qualcb^ maniera a si' mond ,
S^ a n' gb' è né fin nò fond
A pser aver salari ; vuol cb' a t^ diga?
T' sa pur cb^ ogni fadiga
Merita premi: a vói mo dir, s' t' m'inténd,
Cb' chi n' ba, n* in spend,,
E cbi n'in ba, s' n'accatta; e dov'a gb'n'è,
V è li cb' a sfonda al -pò ;
L* è li doV a in va tolt ,
Né (f ir : V è puoc , .r ò molt :
Al tatt gisL in savér far ,
Del resi, rè un mstier da sgnor ancb' al rubar.
Cosa ditt ti Tmasón ?
Tmat, A n' al so , cb' a j' bo son ;
A vriò cb' flniss 'na volta st' carnvàl.
Bem. Dai un può a quel cavai ,
Cb' morsga al mie.
Jhuu, Sta carogna
L'è più affama e rabbiós ch'n'é'na sclogna.
L'ha tanta fam, fradèl, cb' a sto per créder
Ch'ai magnariè al cumpàgn, veder, e n' veder.
Una , dò , tré.
Bem. Lì è il cinq ; n' t' V boia di'ti ?
412 PARTE SECONDA.
Na folla , e nù puvrìtt
A sten chi a sV beli sren , e a tt' aiarida ;.
Magari eh' la duràss fina d' uiatUpa.
7*m(M. Tas , eh' a sent In sta strada
A vgnir di camarada.
I s^ è urta , e si i ha roti.
A caminàr e a caruxàr ad' noti
Altr' a n' s' poi guadagnar.
Zvan, A sta ai patron a fari' aeeamudàr.
Bem. 8ò dann ; l' è Burilin,
eh' sta con al coni Pnarola ; • l' altr e al tiucrz ,
Ch' è imprèsi da un zittadin :
Quel eh' ajér rumpi al stert
Vultànd in s' al cantòn dal Sarasìn ^
Mo i n'sà mo i so patrùn, eh' in scambi eli' l' un
L' rod ^ a^ magna la sunza.
Zvan, 0 Guen , hat roti ?
Guerz. Mi no.
Mo a ho fatt veder i quel bartia Nido ,
Ch' a so più eamiizàr
Hi , eh' lù n' sappa stargiàr.
S' a gh' ho roti i du speé dia pultrunxina,
eh' al m' zita dmatUna. -
Buri. Mane arguoi , Guerz maldètt ,
S'a t'accatta Tstretl,
T^ n'ara da far con mi; priega al to diàvul
eh' al sappa al marehés Pàvul ,
eh' al t' farà ben lù metter zo qui grii ,
E V n' vdrà più al fnil.
Sti pela pie munzù ,
Perchè i serv' gius! un ciù ,
eh^ ha più superbia eh' a n' eva'Luzìfer ;
A gh' è d' avìs d' aver la testa d' fer.
I ha ben al nom d'esser bon zittadin,
Mo a sten tutt' avsin ,
E si a sen tutt dà Frara ,
Ch' a savèn quant' è i clumb dia so clumbara.
I sta ott mis dV ann a Franculin
Senza spcndr un quattrìn ,
E i viv a pinz e a zucch ,
E può i vien struech , strucch ^
L' Invèm' alla zitta
Ch' i n' poi tirar al Ila.
E al so cucciér , oh' in villa dseva , tezza ,
^
DiALrrri eviliam. 415
In Frara al va ranand con la cavezia.
Ho finalmént al mie patron l'è un cont
Dia razza d' Rudumònt ,
E a' al sa .eh' t'm' strapàzz ,
Al t' farà spulvrnr quel gabanàiz.
Guerz. Al m* darà d' barba là ve: mo s' al n' dà
Gnanc a quj eh' ha da aver, e eh' l' ha sita :
E t' vuò eh' al m* daga a mi ?
Ti è pur bon anca ti ;
T' ha rasòn , Burtlìn , eh' mi a n' tem' affrónt.
Zpan. 0 vie , su , lluó , quietév, e mtila a moot.
Bern- Tasi , eh' a par eh' la zent s' vaga cunslànd
D' andar « cà : Tmasón , vatt' accastànd.
Ttnoi, A n' puoss ^ eh' a m' son impgnà
Tra *na culona e un stel : fatt prima in là
Ti , eh' ti è in larg.
Bern, Sì , s' a u' fuss
Anca mi attacca a st* uss.
A gh' è può un mu6 ad' fang e de perdizz ,
Buri, D* chi è là qui du cavai ?
Ch* s' m' arbalt , a n^ m' addrizi.
E murié ?
Z9an. No , i è bài.
Buri. Senza cuceicr, alla dscarzión dia noti?
Zvan, I è del marchés Pancòtt.
T' n' acgnòss quel svimer dov' i gh' è attacca ?
Buri. V è vera , a n' m' n' iera adda.
L' è al svimer dalla lit eh' si era tacca ,
Che con tutt al vulàr per la Zvecca
Con la contessa Checca ,
Al n' psì arrivar a ora di' moss ,
£ squas squas i barbar gh' saltiè addòss ;
Mo Uè pur anch l' fatt minciunarì ^
Sti svimer da sii di :
S' in' par propri castiè da burattin
Con dénter la Simona e TrufTaldin.
Zvan, Spetta eh' 1' usanza fnissa ,
eh' i n' voi cavar dia fissa :
L' intai, l'or e l'arzént
N' valrà più gnent ,
E in Ghclt ili' l' avrà
S' in' gh' r dunarà.
Buri. D' chi è qui du pulicr là eh' ha la toss ?
Bern. Ti e pur minctón > t' nM acgnòss?
tu PAETE SECONDA.
Jè dia beila Glròlma dai gran squarz.
Jè du puiiér buis man ,
E iiè di8 eh' i è arfardà.
T' n' acgnòss qia l>ÌTba dov' i gli* è attacca ?
CliM' è sta prima d' ud fra , e può d' un priét
eli' adèss è andà' anipriét ,
E può dal barisèl , e può all' incànt ^
E può dal marchés Guant,
* E può di' ost dia Fraschetta ,
B può dia sgnora Betta ,
B può in Ghett da Agnulin ,
E può d' un gablin ,
E può d' st' aitar patron , eh* ha fatt un stoc ,
E al n' gh' ha gnanc paga '1 broc.
Buri. S' al' arriva a savér mai quei poeta
eh' anc su i svimer ha lat la caniunetta ,
L' andarà a rotta d* col
In lima al Ventaròl.
Bem. Lassa eh' al fazza, eh' al par ben eh' l' abbia
Allg rezza in cuor , mo al canta dalla rabbia.
Burt. Chi è al so eucciér ?
Guerz, V è ql' Armagnòl eh' fava
Al vturin , puoca biava ,
Alias dett Tirapatta.
Zvan, Ch' ha per mujér qla matta ?
Guerz. Al mari dia Ciudina ,
Qla bella spuslina?
Zvan. Sì , eh' l' é andà dentr' a cmcdia prinzipià ,
Mustrànd d' andar inànz con un fanài
Fagànd lum a una sgnora d' qualità ,
E l' iera so mujcr con al zaudàl.
Guerz. Uhi ! hat vist quel ^oclò
In spalla a qla sgnurina
Con quel caplìn In co ?
Zvan. Puttana t la Drundina
Ch' la par 'na 'buarina.
Ella sola ?
Guerz. Mó nò.
Sent r amìg eh' a se sèiàra e gh' tien driè,
L' ha mustrà d' andar vie
Inànz eh' Unissa , per seappàr la fùria ;
Mo r è fuog d' lussùria
Quei eh' la porta vuiànd. Adcsi» a s' va ,
Inànz d' andar a cà ,
DIALETTI BlILlArtl. 41^
A tri 0 quàtter fstin ,
E può al sòlit casìn
A far al rest .dia nott. »
E so mari , merlòtt ,
eh* è un om d' bona fed ,
AI dorm in leti lù sol , e s' niuor dal fred.
DmaUina può a s* va a cà
Sillaicà, sìUacà,
E al bon mari gh' admanda , dov siv sta ?
E Uè gh' arspónd per dargh un può d' confòrt :
Car mari , a son sta a far la veggia a un mort.
Tinat, L' è chi al patron , e a bsgnaric eh' a vuUàss ;
Mo a gh' è dr trav' e dii ass
Li sotta a quel vultón
Dov sta quel màrangón ,
Ch'a n'sò s'an riuscirò.
A arvòders': i mie fio.
Aceri. Bona nott. "E nù mò
Qaand andaregna ?
Tnìos. Tas y
Tas 9 Buri li n , eh' a j' ho squas
Speranza eh' sic fini.
Dentro. Casa Sbrisa ....
Burt, A son chi.
Dentro, Casa Codga , dov slv ?
Su ben !
Zvan, A son chi viv.
Dffilro. Casa Rustga, su ben faiu chi da nù.
Guerz. A son chi eh' a mont su.
Zcafi. Al barisèl vien fuora ,
In so tanta malora.
Questi li è emedi etèrn.
Ecc' l' torz e l' lantcrn ;
Ecc' al stafUcr d"cà con al fanàl.
A son ehi puntuàl.
Fio, bona nott.
jlltri. Va pur,
Ch' a m' libera da st' mur ,'
E eh' a m' dzapcUa fuora da st' suoi.
Zpon. A. voi ! a voi ! a voi !
8S0. Il Componimento che qui porgiamo in Saggio dell' at-
e dialetto ferrarese è un Memoriale inèdito scritto dal celebre
tlt PABTg ilCOlWA.
Frizzi stòrico ferrarese. In esso V autore ha cercato di métte
in òpera tutti i modi proverbiali , i traslati e le frasi popoli
più comunemente usate nel suo paese , e yi' riuscì, eoo singol
grazia e sorprendente spontaneità ; per modo, che possiamo r
guardare questo breve iscritto come una collezione di proveri
proprii del pòpolo ferrarese. Come tale la raccomandiamo a|
studiosi, e rendiamo nuove grazie al chiaro bibliotecario d
Giuseppe Antonéili per avercela gentilmente comunicata.
Discorso fallo dal signor N, N. all' EinìneniUsimo iV. N.
Legato di Ferrara.
Mi a 80U sèmpar chi a scar la màdar , e a rompr I garìtt a V. E. La di
eh' a son na piàtula e una greppella ; ma cossa volta far ? Clii voi , vag
« chi D'vol^ manda. La guerra è fatta pr al suldà. Vostra Minenia» oca
6^ sol dir, ha dia bontà; ond la s' la tòga mo in corp, pare|ièy a dirgl
mi a 80D in t'il péttul fin ai oè. — A vien donca , e a* a dig , Emineoi
che con cai cumissariàl dia famiè dal sgnor Tibcri , cb^ la m' b« p^ii0f
la m' ha dà ^na bella gatta da patnàr. Quest' è una barca sfassada; - bai
fundada an^ gb' voi sessa, • Am,' cardeva ben d' truvàr di tàcul ; aia ta
pò a n' al cardeva. L' intrada l' è poca , e , sibèn ch^ a gh' la tir col dei
nonistànt la pezza n^ stroppa al bus , e sunànd su rusc e brute , an^ 8^|
andar dcò dia cavdagna. -^ Mi quand agh' intaiè , a m' fa pronisa p
pan che furmài : am' fu ditt acsì , aczà e aclà; ma pò a io truvà eh' 1
un aitar mnar d' pasta. A io slé bocc , eh' lavora ogni di ; il fàbHcb
tutt' In sbrandcl; la muraia dal fnil gh' à un sbarlcff tant fat; al cuèrt a
d' so nona. Mi dil volt. Eminenza (e sì la sa ben , che chi n*stroppa bufi
n' stroppa busòn ) , andànd pur mò avanti con stì bó magar , a batt
testa pr il murai, e a faz di lunari tutt' al dì 1 Ma cossa serv ? Dov'an^M
a' n' m* gh' trov. A mèttar al rev con il peti, a gh' è tant da vivar pr'<
més , e pò pr al rest , addio gabàn ; finì questi , ò fritl i luzz: e allora cu
farémia? Da chi a un més , chi s' è vist s'è vist. 1 farà di crusùn a la f
Che quand an* gh' è aqua , al mulin n' masna , e a s' fa i strunz magai
Eminenza : za a sr ora a sén alla frutta. Basta ! pr al vgnir qualch sa
^rà. Mi za quand an' putrò più , e che avrèn miss i mastiè in t'il mastli
a buttarò al mànag drè alla manàra, e ani' turò su al trent'un. — E pa
Eminenza , agh' prutèst , che se al mal batìss chi , e se tott gU aitar co
andàss par la so carzà , al sariè un pan unt. Ma sala cossa l' è quel d
m' fa vgnir la grlnU In Vi cavi ? L' è cai naturai d'sta zent. Cai sgnorT
beri rè un, eh' n'À vola d'zarlàr; al darle fond a un mar; an'gh'lM
starià T intrada di Pèpul. Al s'ia sgagia da cavaliér, e quand al n^à>il^
Me U^ tò ti. V è sèmpar sbris , cm' è don Quintin : sèmpar 1* è al eiii <
B'h aitar ehe dar dil stucca a quest e a quei. Quaod pò al n'bi, algh'dà
al spólvar. Quand as* gh^ in dà , ben con beo , allora al vien lò malsìn , e
r^ un pan d** zùccar ; ma quand al trova ch^ la ftplna n' butta, al dis di'
oedt si. Sala, cbé'na.voH^ r atidò al cantaràn, cardènd d^ truvàr al mort,
e parche al vìst 'cb' agh' Jera su San Pier, al dò In ti bac e al prlnzipiò a
inoclàr com fa 'na bestia. Mi me , che am' gfa' imbati , an'p\itì star, a dò
IO di bàzul, e a vgnissam al tarasìn: o puttìn , com' dis minòl , are dritt
e le bel sole, e an' grate al zieUco gli nnj;, parche s'a mtrò i can alPaiqaa,
si par Dina Nora , ch^ av' zularò curt ,'e av' faro filar al fin da un. Mi si a
soD cai babi da ricórar a So Hinenza , e vliv zugàr , che quel al v' fari
baiar su un quatrin. — Cossa crédla mo ch^ faiéss sta iavada d' campanèi?
Mò b fez cb' al m* mandé 9 far il fassin mi e Vostra Mlnenza: e s'an'dseva:
«Aiùtam , gambetta , die adèss i m'ir pètta ", al m^ dava il mie fadigh ,
cab scapiè pi' al bus dia clava'dura. — Cossa disia, Minenza? S'al m'il
IttgDava , ìs^ li* sariè sf ada da cantar su al calissòn ? Insomma , baugnò
eb'agb' mulàss , e F è grassa cb** la cola. Mi an' son bon d' infilar cai spag.
L*èstà tant'aqua eh' è andà zò par Po. Al di driè as'sén truvà al fictil
<fW,e ogni di a sèna sii cavi tira. La diràlic:» An'gh'èsòmaiércb'al
possa tgnir In stadiera ? '> Oh ! adèss ; la Zuana gh** ved, e Bamardìn gh'fa
lUQ ! eia carampana d' so muièr la nVal un baracfiém. V è 'na bselda che
<}vaDd la parla la fa vgnir al latt ai znod. La s' lassa cascar ( pagn d' at-
tiro, la par'na Rachel. Pòvar ragàz! Chi gh'à mai miss da vesta? In
('onbisògn, la n'ò bona d' cavar un gril da 'n bus. L'è'na gnc gnè,
dama' un , eh' anf n' è mori dù. So mari in fa tunlna , e la s' lassa schizzar
il rìvoi in t' i oó fin da la serva. Insomma, s' a stass a liè, V in farév dia
fissa. Cstié eh' achi pò vedla , cstic eh' achì, al V assicùr , eh' V è 'na bona
zima d' mazurana. L' e sctt cott e na buida ! A cred pò eh' l' abbia pia al
col, Eminenza , ch'an' gh' in dig gnént. L' è diès ann eh' r ha miss al cui
io sia cà , e tra d' rif e d' raf V ha cumdà ben i ov in V al zcst , che agh'
^dir mi . . . Liè V è domina dominanzia: Uè tira sempr aqua al so mulin:
li la sa , che quand al paiàr brusa , tutti s' voi scaldar. L' ha una bàtula,
ooadardella, ch'an'finise mai. Lio l'è quella cìi' ticu al pùlpit: s'as'gh'
^^ tantin , la dis.tantòn, e a vlcrla tarsantàr, l' è giust cm' è dir tcùteni.
^^,nè l' ha rott i sedòzz con qtialeiìn. Sèmpar la s'rangogna colla patro-
na, e dil volt s'in dà di strafùt, ma sonòris ! insomma , a tgnìrla lunga
^ corta , Aminenza ^ esile , s' a cmandàss mi , al Fesl agh' vcrzriè ben mi
^o'fe/tt/a, e agh' dirle : « Orsù , to su il lò rug . e pò aida ». — Sala chi
^v piotòst una flola eh' avrìcv zufT, zafT e zarvèl? La Camilina, la putta
^^cisa; ma cossa? Anca liè la gh' à al dar e l' avir. L' ha darseli ann^ e
l^r la sa moli ben d' barca mnar , e la sa a si' ora dov al Diàvul lien la
^▼a. L^ è pina d' imbinzión , e in T al dargh' in là , la gh^ à anca liè la so
^^tta. S'Ia la vdiss quand Tè tirada su in fll^ e eh' l'è. sgurada, an'
i^'è gnanc malàzz. Agh' digh ben pò , eh' l' al cgnoss anca liè, e la lieva
^^cova in zirella, e la s*fa puzzar d'dric moli ben. Poe fa l'aveva un
tl8 PARTB flKORDA.
tracquBCcièt , e la galuppa gh^ batteva V azzalìn , e gh^ purzeva In
inoU ben. Sala , IlineDza, ch^ un dì j'aveva balù cumpuslela Uè , al
din e la serva par farla fuora , senza cb' al savìss 1 so d' cà ! Ma mi
a dscuar^ la quaia a temp , e arivlé a ora , giust com' fa la lampe
zncc , e agb^ rumpì i ov in l'ai zcst. Ha cossa avévia da far ? La s* i er
cada con un car arbaltà eh' la s'angava. mi sì a cardeva d^avér trai
liè na nidà d' passarin , e aveva pranzipià a tirami' su i sfun . . . ma
a gb^ è intra al sgnor Tenènt , e a io fat tavela. Ma basta , an' m' ai
sèmpar al bac sul prar I Pussibll cbe al séiòp m'fazza sèmpar crìst?
quel eh' a dig quand a dig torta; tutt sa , e aosùn sa; ma questa è «
tra mnestra. — Intani , Eminenza, cossa disia ? La sgavetta è ingatti
attt.atif ; s' la n' è Liè cb^ agh' trova 'l co , s' la an' gb' ifietl un starli
ch^meta i oss a so sii, mi a butarò al mànag driè alla manàra, e
avérgh' arnunzià arm e cavai , aiki' turò su al treni' un. Zeri eh* an^
far da Zani e da Pantalòn. I dirà eh' meda si ; ma tanl' è : — I' a«l
ìe$lo f mangia di questo, — Mi a so;) ben da ov e da lati , dà boec
riviera ; ma an' vói pò eh' a vicna un su e su, e eh' i m' fazza far al
a cavai. Tolè , Sgnor Emlnenlìssim , oibò oibò , mi an' sorb si' cucèo.
nalménl fava e fasvò , ognun fazza i fatt so , e bona noti Cola ! ,
Sery' umilissim d' Vostra Minenza.
1897. Le seguenti Sestine furono tratte dal mentovato Lun
Chichetl da Frara per l'anno 1827, che si riproduce ogni a
con nuove poesie vernàcole.
La Zena al svur.
Un galantòm èva ciapà al costùoi
eh' al s' la znava , la. sira andànd a spass ;
E acsi col mot e al risparmiar la lum ,
Al gh' truvava al so cent , e al gneva grass ;
E spezialmént in t' la slasòn d' islà
A m' par che al mèlud an' sia mal pensa.
Gnend fora d' cà vers sira a pie , a pie ,
Prima d' tutt al cumprava un par d' panctt ,
E pò al spendeva cinq bajòc , o sié ,
0 d' salàm , o d' parsati lì avsìn al gbetl ;
E dop spatzànd o pr' una o pr' altra strada ,
_ ■
Al dava la so t>ela sganassada.
D' in tant pò intani , truvànd quale magazìn ,
Al bveva bravamént la so fujetta ;
E na quale volta as' arlvava al mzin ,
D1ALETTT EMILIANI. ti 9
Sgond che la qualità jera perfetta ;
O al stava fn drè, s* rjcra rol>a mecànica,
Za ch^ l' jera propria professor d^ Dtilànìca.
Sicóm pò eh' al butgàr , dov tut il sir • '
Al tuleva at sàlàm , gh' èva fat l' us^
Lù gh' preparava anc senza vderK a gnir
Spess In t^ Ila carta al so salàra ben cius ;
(}uest passava , pagava , e andava drlt , *'
Tulènd la carta, in mane che mi an* v^ V ho dit.
Ha una tal slra , un garzunzètt d' bulega ,
(Ch' as' sa za eh' j é na massa d' birichìo)
Al i* die i bott con un aitar so culega ,
Garzòn d^ n* aitar negozi , a quel avsin ,
E in vez d^ salàm , i gh' pl'eparò bel bel
Na carta d^brls , d^artàj, d^ pezz, d** lazza e d' pel.
Quel passa , tol la carta e tira vie ,
Secónd eh V jera za avézz a praticar ;
E dop a n' so quant pass , al prinzipiè
Con i dida, e col dent a lavnràr,
mèndas in boca , air orba , quel eh' agh' vgni ,
Ch' il fu bris , pr* al prim bcon , e al sMi gudì.
Ma quand pò dop agh^ cascò sota ai dent <
Zeri grup ad^ peli con la so lazza e tutt , .
E che al durò a biassàr inutilmcnl
Pili d' un quart d^ ora senza alcun custrùtt ,
Al s^ acurzì d' al zog eh' i gif èva fat,
Dàndagh la zena tolta ai can e ai gat.
eia sìra za al dzunò: da cai butgàr
Mai più al gh' andò, eh' al s' V avi Irop al nas;
E gli aitar sir pò quand al vieva znar ,
A nMoss più roba inscarluzzada , a cas ;
E prima eh' al pagàss quel eh' al tuleva ,
Al guardava , e al pruvava s' al gh' piaseva.
IdBO. Mentre stavamo pubblicando la presente Opera, siamo
ti ai^vertitì^ che sin dall'anno 1849 venne in luce in Ferrara
t) Lunario contenente buon nùmero di Diàloghi in prosa ver-
sola, col titolo: / Plagulò d*Frara^ il quale continuò anche
|li anni successivi. Onde pòrgere quindi allo studioso un Saggio
Ile deli' odierno dialetto, abbiamo estratto il Diàlogo seguente
Volumetto stampato per Tanno i850.
La Rota e la Giara*
Ciara. Bcc la mie Rosa: 0 1 a. d^ gh' è dubi eh* la manca: «1 prii
stosÓD , 0 calda o fresca ch^ là sié, Te chi a truvàrm : o si , I
vera , r j é P ùnic^ amig a eh' a m' apa eh' s' arcorda d^ mi , e
sincera.
Bosa. Li amlghi.rj é pòchi, dola: gencralmént il fa blin bile
vanti , e pò par da dré ... Oh da dré il picia zò a tirundelal !
al Sgnor, a' n ho sf difèti: s' a J<ho quèj da dir, al dig In fani
vis far , al stamparév ancfa. Bundi, Ciara. Cossa gh^ hai d^ nòv e
euntàrm ?
Ciara, Gnenl d^ nòv e gnenl d^ bel ; lui coss veci e bruii.
Rosa, Pur trop li ò sèmpar ehil coss , e nu a psen zigàr
gola , che ansùn s^ da meni. V arcardèv V an passò eh' a s^ Uu
tanl dal manipoli dia nostra piazza, dPinsuknza di urllòn, dia
dil strad ^ d' i paricul eh' s** a vdeva a, lassar i vas d' flnr fora <
senza ripàr , e prM can a miara senza patron ch^ morsga que
0 eh' fa di aitar malànn par la strada? Ebèn ! Nò avèn bf$n dil
nòsl#r , ma segna pò slad seultadi ? iv visi che il coss sié an
Gnenl afal! Donca a J én rasòn a dir, che il eoss li è sèmpar vai
Ciara, Anzi avi da dir più bruti d' prima, parelio la miseria
più ehe mal : i budgàr , i arvandró , i frutarò s' è abusò dil
passa par véndar più car la roba e far i fai so. L' Imbròi dia e
seà tut, 0 squas lui, s' il spai di puvrit. Al Guèrn puvrèl V bi
eh' r ha psest, par farP andar com s' duveva; ma sii galiòt di b
la VÓI a nsun pai , o vero sié i eress i prezzi alla roba eh' V è
quàlar; ma lor I la compra e i la spend a tór la roba in gross.
dis, che ansùn rifiuta carta, sinehinò i pagana 'na multa e i i
parsón. E lòr gh badi? meremèo! Al Guèrn al dis, ehe V az dal
carta in quatrìn sarà dal tri; ma i nòstar cambista? meremèo!
par vlesl Poi, al dics, al dòdas, al dsdol; e pò e pò acsì i h
f<gond eh' a s' dis, e al ered, eh^diés, ehi dò^ ehi tré mila scud.
dì puvrìl eh' crida vandelta!!
Uosa. Pur trop V è vera, e a j avi da dir d' più che fin eh' è dui
dia Rcpùbiica, e sibcn che tul vdeva eh'l'J èra un fóg d' paja,
saveva com fuss fini chi pèzz d' tarla, i andava vie con la perdi
dal nov , dal dódas ; quand è turno al Guèrn legìlim , eh^ n^ ai
zò in elèrn, eh' P ha fai bòna la carta, eh' a n' gh' J era più pav
vérsan sarvir sòl par cai sarvizzi ; gnor si ehe alora invcz d* e
earsèst la magnarle.
Ciara, Ma ! A J ho Sin test di avucàl e di sgnor 1 a dir , che
aliar volt a gh' è sta la carta, eh' P j era P istèss, e eh' a n^ gb^
rimedi.
MAUrm MIUAFII. #11
!•#«. A n' f h è rimedi al so DIàvul eh' i porta t II 1, Al s' a cffaBdàta a
Sb* arèv bea la riizèU da goarìr stimar.
dora, E eossa farissi?
Bota. Un bel òrdan io stampa graada eh's'alzis sens^uciaj , ebe ehi
«rflatarà la earta in t; 1 cuntràt grand o pieni eh' 1 sié, i eambista ch'torà
piò d^ tant, sarà sùbit fusili senza pmièss', e mahtgntr Ifr parola aFus
todèsc, tant a ehi compra eom a ehi vend, sf a ebl Uen eom^ a ehi seordga,
e parfiD a ehi fa , e a n' fa le spie. Oh a v* dig mi ehe la earta currév in
pressia !
Gora, Ande 'por là, Uosa, eh* a si 'na brava nfedga par tert mal eh' a
f vrev ch^ a n^ 9 gh* fuss nfadsina : ma a dirò epm dseva h* Abrei : 9u nò
0
tomasfìdoft tno/.
Bota, Ben, a n' importa; qnest' è al rimedi bon , e basta aetl. Disenrèa
i* quél aliar. Cardiv eh' tirare d^ lung porassa sV cald ?
dora. A sòn persuasa , eh' é"* al mola , a faga frese.
i7ota. Ane elù eh' va in là m** al sa dir : mi mò a vien e s^ a dig , ehe
sicòm arén d' tant in tant di squass d^ piòva , giteila al Sgnor senza tam-
pesta, al eald a n' s* farmarà.
Ciara, La n'è sol la tarapesta'ch' fàcza ^1 frese; ma al dlpkid dai veat
cb' daminarà , e mi a n' a v^sò dir , s'I sarà d' chi cald o d^ ehi fred.
iloia. Basta, al. eald a n' fa mal qaaod l^è rot da quaich piova, e àdèss
eh' a parlén a j avén un gran bel fìramént, eh' i dia eh' a s* In fazza vlnt-
qoàtar, vlnlzlncsmenl. •
Clara» E al furmantón , eh' a gh' è sié panòd par gambo ! e il vid eh' li
«carghi d' vó da sbiancar il ti rèi t e la eanva. .. In soma, so Dio al man*
Uén, a gh è un racòlt st'ann, eh' a n' gh è memoria d'oro; è se 1 sgnorl
i Q' fa limosna , e i 'n dà da lavuràr ai artista e ai uparari st' an , i é
iodègn dia pruvidenza . . . . Oi, a sona la campaoina in Dora; a vad a tór
sta messa , e pò dop a lurnarò eh' a j ho ita cossa da dfrv eh' a n' vói
ch'I' a m' resta in gola.
fioia. Ben : mi adèss a vad a bévar un cafà chi sota i eariiarin atàc ala
^leta : gni là , eh' a v' a»pft là.
Mirandolege»
Non trovandosi veriin componimenti a stampa in dialetto mir
ftadolese, siamo lieti di poter offrire ai nostri lettori il seguente
Capitolo inèdito , nel quale si descrivono i pregi della città di
^Mndola, comunicatoci dalla gentilezza del D/ Paolo Ciardi.
«fi
UZHiHlm
C^rìrit
■• sto altare
a fh'C pKSMBt e
E ch'a ■'«(h-ito al s» 4ritt » .k ift* al 9» anms
■jwgii €*• r ia
I iMitiMwi al melili re
ntettficà^iiis^iiiM|ì fteKtitÌL
Oi»v<acà'ihtiiii,€
Da Tcé wrillari «l
S" iBliadi poi al
E taitorta ìB ti am a Cài
Ck* KB parila mal por nAòiia « par
Bcfli p«r 9CHa pietà . 4<«k «■ Ila Yèi ,
Ck*ai' «BUpMT» aaea ni fii cft* avrò ftà,
rarckè a tfrti AB rè ■' te pài al fai.
As'^ìs . e al W por «ri * ckr rta alla
La s'Irv^a fièekad» ìa Tal poatàa.
E cà" r arù r « c:&tl£^;& p«r»!àL
Cb' r è tro9 ar«ia i ì iill e fiirfc «i' aia .
Cb'b B'kadil beuiCi. ti b«ì pabn.
lawaai <à' r è ex ^rcu ÀI . sa sài da caa.
Aa* fu diS CKa' a»* pcssi x^tr aaslàa
D' cvaUr ài 9ÒsUr «£t $4' il Ciofitoocài
Da Yvadar «I ai (coi . iImù e r^àn.
Qablì jea aablkvail WKt rwviiì
D' cài bei aaM- <b* j^' pau 5«tr ai aa» .
E cft'aa*4iflia(aiM fan ì aka da U laccfti.
■a aa' 5' ancaKSèa al sa^pr < sica ia p» ,
Laaèa cà* cfnàa r iaUada caa al t«I .
Cà' aa' fb* è aa <« d' ì»;«Kiìrse par 5lì sqaas.
, che poUilirài"
i
DIALVrtl EXILIAMI. 4^3
L^ è za dar cuni' è ciar la lus dal sòl ,
Che la nostra zitta fu un dì un Castel ,
Ch^ In più volt s^ ingrandì , ma dop un pzòl-
Che un zert Ugo Manfredi al prim fu qupl
Ch'ai duminò con gloria e con amor,
E al rés ben più eh' al n' era e fort e bel.
Che la 80 Discendenza a\ì V unór
D'cmandàr in vari sii eh' agh^ tuccò in sort,
In premi d'un gran mèrit e valor.
E acsi In cai temp che st' Ugo èra za mort
La Sgnurìa dia Mlràndula andò ai Pie,
eh' fissòn chi par di sècui la so Cort.
S' éran om dia ciavétta e s' érao rie ,
SapicnI , ma senza boria e curaggiòs ,
S' éran Prinzip vgnu fora dal lambie.
Cai Zvan , dsì su , eh' savlva Unti còs (l) ,
E eh' fé sì gran fraeàss par tutr al mond ,
Al fu di Prinzip Pie al più famós.
E d'aitar, che d' dultrina l'era un sfond ,
A voi mo dir al pòvar Zanfranzèsc (s) ,
L' era un Pie anca lu , s' a n' am' cunfònd.
A numinari un pr' un a starév frese,
E più s' a vliss cunlàr tutt quel eh' i han falt ;
Ha d' andar trop in long an' voi e an' pese.
Donca saltém al foss tutt* in un tratt,
E lassém eh' ognun friza in t' al so grass ,
Ch' i savi an' van d' aceòrd mai con i mail.
E se pò qualch furbàtz o guardabàss.
Sol pr'al gust d' mèttar mal, vliss dir eh'adcss
Il cós vecci e il cós novi an' van d' un pass ,
As' pré arspòndar eh' il còs 41 van l' istéss ,*
E che al cattiv , al hon , al beli e al brutt
Cura' a gh' era una volta a gh' e a un diprèss.
Al prim nòsiar castèl fu za distrùtt ,
E i furtìn , e i bastiòn , e il torr , e i pont , «
E di Pie al palàzz andò squas tutt.
Più d' un marcbés a manca e più* d' un cont ;
A gh' é men fra , nien prét e men cunvént ,
infln moli' òpar belli é andadi a mont.
I cUrlire Giovanoi , coookìuIo sollo il oome di Fenice degli Ingegni.
^iao-Fraocrsco , iiipole di Giovanni la Fenice , valente scrillore UUoo Je* tempi
chiamato per consento ilei dolli ti litteralisximo. Qnrskto princi|i^ mori Larliaramcnte
lo dal ni|iole Galeotto.
494 Mftn SICONSA.
Ma qaesr o eonta poc , o an' conti gneiit ,
Parche tuUMl zitta, luti' i paés
Van suggèll dop un pesi a cambiamént
E quand sìa vera eh* do volt zinq /an des ,
L' è vera eh' presi o tard una furtezsa
La portj^ dann , pauri , fam e spes.
An' s ha più , an'àl cuntràsl, la cunlinteua
D'aver in sta zitta prinzlp e Gort>-
V. di sgnor d' gran potenza e d' gran riceheiia.
Ma a s^ ha ìjìv^z dil bon Cà pr'ognt nippòrt,
E qualch' lesta eh* a n' è gnenl mamalucea ,
Ch' a lamintàrsen propria a s' avria lori.
An' pòrian pia i dullór spada e pirureii ,
Ha i fan il so rizzelll lani e tant,
0 i san a meni al €òdiz e al De-Lucca.
A gh' è chi fa di vers seri e galani ,
Chi scriv in prosa e fa dil pelizión ,
E chi sperdga la terra , o fa al marcànt.
A gh' è i so fra , I so prél in prupuraiòn ;
Sori , tèàtar , scoli e la gabella ,
Un beirusbdàl e on Moni eh' an'ha passiòn (i).
Bell cuntradi , beli cesi e piazza bella ,
Bona zenl , e eh' a dirla an' è gnanc bralla ,
Màssim chi Iiivéz dil briigh ha la stanella.
Bon vivar par chi spend alla minolta ,
eh' a costa poc al grass, al vin e al pan ,
L'insalala, al furmàj, i òv e la fruita.
In -somma a sa sta ben e 'a sa sta san ,
Sibbèn ch'an'gh'è gran zent e molt qualtrìn,
E an' avòm gnenl d'invidia a chi è luntàn ,
CuntènI d' èsser cgnussù dei nÒ9lar\,ysÌn.
A malgrado delle molte nostre ricerche non ci riesci rìn?emr«
alcuna poesia in dialetto mantovano publicata colle 8tamp«>
Per riempiere questo vuoto e pòrgere qualehe idea di quesU^
dialetto, offiriamo una canzone in dialetto rùstico di Gio. Marii
Galeotti, poeta della seconda metà dello scorso sècolo, i com-
(a) llirr* «iMliiliinrato che fj pr^ktanie graluilr.
^
MAUTTI UILUNI.
tM
Dti del quale girano ancora manuscritti fra le mani de'
Ddttadini. Queste poche poesie èrano dall' autore desti-
1 tesere recitate nei carnevale da una màschera da con-
lair autore nominato Gaspare Testarizza, gastàld dal Gas.
^ /^/ Cnrmàl d' campagna.
Canzo!iibtta.
l'è ben puvrètt ;
i- magDA che poletita ;
a fnil , eh' a n' al gh^ à lett ,
iga, al suda , al stenla ;
d Ve riva 'n c6 d» P^an ,
ini va per a per ; .
il Ura pr al gabàn ,
I* è fatt con i so fèr.
ftta dov dir a s' poi ,
n' V è òr tùtt col eh' a lus ;
è tanti e tanti vói
pél più gross dal bus.
wèl 0 pien o vòd ,
« allegra è la campagna ;
on teinp a nòstar mód
BSÙrèm con la cavagna,
temp, 0 dal somnàr ,
tdkr , 0 sfa dal médar ,
:i sempr* a cantar ;
al ered , eh' al vaga à védar.
idem , ridém da bon ,
fém nò cmod taf* e qua!
tM>cea in d' on cantón .
a gb^pol passa i eorai.
ài r è dova pò
iDdóm fora d' earerà ;
In 8Ù e ehi va In zò,
ÌOM i par 'na fera.
sia la verità ,
I eh' a n' gh' ò M calissòn ,
pètt eh' ò ehi nota
rv sèniar na canyon.
Zè eh' i à, averi di matt ta gabbia ,
Chi pr amor , e chi per rabbia ,
Tùli è fdra a voltión ,
Fora a volllòn.
Fora al pàscol tutti a macca ;
Vaga a rubi al b5 e la vacca ,
E li pégori e i moltòn ,
E li pégori e i moltòn.
Al gaslòld la so brassenta ,
* E 'l fattòr la lavorenta
Mena in volta a fa carnvàl ,
A fa carnvàl.
La gastalda e la fattora
Li gh'tegn drè bei-bel d'agnora ,
Par cattar Pdf in s'al niài;
Par cattar l'óf in s'al nlàl.
Quand 1 à vist pò tant eh e gh' basta
E in s^ al dese a mnar la pasta ,
Ingrinlàd' i torna a cà.
I torna a,cà.
E \ famèi li clama , e '1 biòlc ,
Ch' i are dritl, fazxe bel sole ,
Oh' li voi far palla e paga,
Ch* li vt)l far patta e paga.
PedarzoI con la Mengbetta,
Ch^ s' èva miss la socca netta ,
zò d'.an pdagn sblisghò'n fan foss
Sblisghé'n fan foss;
La s' r a tutta Impaeciurada ,
£ in t' on spin la s' è In&proeada ;
La s' à fatt on brùU sfarlòss ,
La s* à ?att od bruti sfarlòss.
4^26
PARTE SECO.^DA.
S.' à fa sposa la Mariola
Ch' gh' à promìss so barba |n dota
On co d^ àbit, on per d' manz ,
E cn per d' mdiìz.
Ma n' la U cred fa pulta, e s* zfira ,
eh' se Barnàrd na'gh'tol la Disùra,
N' andarà '1 negozi Inànz ,
N' andarà '1 negozi inànz.
Tant e fant la fa '1 sp cónt
Al bùsògn da legnr in pròni ,
E s*è fati on IcU com's'dé,
On lelt corn' s' de.
La gh' à ipiss d' penna al strfimàz/,
E'I fazzòlsott'al pumàzz ,
E'I pontclairass di pè,
E'I pontèl all'ass di pè.
Par sta sposa al zìmbol séiocca ,
Con la zent , cji' a par la aocca
A trolàr in l'ai fllòzz.
In fai filòzz.
Sott al fnily 0 all'aria squerta,
S' (ira dentro a gamba averta
Ora e donni a niùó e a rozz ,
Om e donni a mùÒ e a rozz.
Par stoccada e par <^adena
Gh' à la nian la Maddalena ;
E Andrio^ a mnar di pè,
A mnar di pè ;
Ma n'gh' n* impatta nsùn la 21uana^
Quand la sbalza a far furlana ,
Tant par dnanz , cm' a ciil indrè ,
Tant pardnanz,cm'a cui indrè.
Andariol gh' à una fardùra
Sott la fubia dia zantiira,
Pr andar d' nott cn' al calissòn .
Cn' al calissòn ;
Ma gh' n' è tanti che la sguazza,
Gh' à brusà tut^ la gavazza ,
E intacca fin al zoncòn ,
E intacca fin al zoncòn.
Msir Zam pàolo dal Trambàj
BaU la luna e magna V àj ,
Par la Fluppa eh' a gh' fa 'I miìs,
eh' a gh'fa '1 mi'is;
Parche al gh' fé la gambarola
in t' al ball dia spazzurdla ,
Ch' la mostre Con , Ron e Bvis ,
Ch' la mostre Con, Ron e Bus.
A chi pias a far i zog
Va in t'Ia stalla o press' al fog,
Ch' s' a gh' starla inTin ch^ a s'mor,
lnf»n eh' a s^mor.
S' fa volar a man calcadi
Piìgn , pzigòn e scùlazzadi,
E s' a gh' dis : Tò su 'I me cor !
E s' a gh' dis : Tò sO 'l me cor.
La Catrina e TonlPigor,
Zugolànd a sconda ligor,
I s' à scòs in t' al pajér ,
In fai pajér;
Ma so meda ghM' à caltada ,
Ch* r era tutta sbarùffada ;
La vcns rossa cmè 'n sbrasér ,
La vens rossa cmè 'n sbrasér.
A n' sa fnìss mai la ganzega ,
Ch' un fa vista d' cattar b^a ,
E la lum Tarbalta zó,
L' arbalta zò.
E II donni sa sparnazza ,
Chi sa scònd in t' la navazza ,
Chi in t' la grùppia , e s' fa cò-cò,
Chi in t'Ia grappiate s'fa cò-cò.
41 razdòr , eh' a n' voi impègn ,
Va^zigànd: Li man a aègn,
Tant eh' a batta l' azzalìn ,
L' azzalìn.
Ma gh' n' è d' còl eh' vegn alli brutti.
E li vecci dis : Su , putti ,
A- palpòn zarchè "l stopio.
A palpòn zarchè H stopia
AI carnvàl l' è na cùcagna ,
V è '1 ver gòdar la campagna ,
Ch' i patron a n' gh' è pr i pè,
A n' gh' è pr i pè,
Cost l'c'l tcmpch'qualch passd'lcgna
Passa in piazza la rassegna,
E sa sguazza ìnfin eh' a gh* n'è,
Infìn c4i'a gh'n'è.
DlALBTTl EMIÙAM. ^27
Sióm donc lutti in allegrìa ,
B in sul còl lassóm la bria ,
Gh** al bon temp r è tutt par nii ,
V h tùtt par nù.
Zóvni , vecci y, netti e brodghi ,
Cam e pèss , e oss e codgbi ,
Póma tùtl on sQ par su ,
Poma tùtt on so par su.
In Saggio del dialetto di città valgano le due seguenti sestine
di sconosciuto autore, le sole che ci fu fatto di «rinvenire.
Corri obi , corri chi , vèé e giovnòtt ,
A t5r scola corri dal me niaèstar;
Trovari la panada e i pan biscòtt ,
Ch' alla fam brutta mei tara '1 cavèstar ..
E 'l spirit purgarì , gh' avrì la scola
Par tèssar on bon*fln senza la spola.
A dsì dimàn? Dimàn sarà. T istèss ,
Sibbèn eh? on giòran sol n' al sia gran cosa ;
Quand è rivÀ'l dimàn, l'incó d*adèss
L' è In fum , n' al torna piii , né 'I temp riposa ;
Istèss r è dop dimàn , e acsi per dia
Press i anni dP ozi , e quei del ben va via !
Gruppo Parmigiano.
Parmigiano.
Nei pochi cenni premessi a questi Saggi sulla letteratura ver-
iiàcola parmigiana, abbiamo appuntala la mancanza totale di
componimenti di qualche pregio e meritévoli d' èssere inseriti
nella nostra raccolta ; ciò nultadimeno, e per sopperire in parte
^ questo vuoto , e perchè lo studioso abbia un* idea più chiara
della natura e delle forme di questo dialetto , arbbiamo avvisato
di pòrgergli il brano d' uno fra i meno insìpidi Diàloghi del lu-
i^Q pel IB30 intitolato: // sireUi msuradi con la rocca da la
^odfiga da Patioccia. A questo poi abbiamo aggiunto una ver-
sione libera della Paràbola del Figlio pròdigo^ in prosa ^parmi-
Bìsina , redatta suir odierno frasario vernàcolo.
491 PARtl «KMM.
D
1 A LEG.
Zrfi Fodriga arrida a ai, e la raspuna acsi da le.
Sia lauda al Zel, ch'a'son a cà, e eh* a Jarò fors fni d^ andir Id giria
pr stamatlélna- A propósi! : cosa magnaròja mo inco? Agh^à da ìsser db
po' d' faréina d' mclga, e bognarà far un po^ d' poléiota, lacchè an'gb^è
àter. Al mal guài isser povrètt! Al dì d^ inco as' £adlga dalla mattéina alla
sìra cmè i asen, e pò quand V è òura d' dlsnàr, grassa eh' la oóula i* a gh'è
un po' d' poléinta conxa con V àira dia fneèlra. Ah! dov' è mai anda co dì
che s^ as' fava un servizi a von, as^ era siciìr d\ciapir o un tvajolètt d^fh
réina, o una bocetta d' véin, o alla pu baronna on panèlt! Allóura si chM^cra
un bel vìvar, e amMrovava propria contéinta d* isser vgnuda In ziltida;
mo adcss as' gira alla midema maiiera . e pr^ al «pu as^ ciappa di^ oUigi
pr Odessa , am* arcordarò pò d* vu, as* vedrema fx» « e col dì d** ven miL
Basta : pr sii quàtler di d'invàren bognara avéir pasiensa, e tirar ìà,ms
s' agh' son sta primavéira, a ciap propria su la me rocca, eamMn tomi
Panoccia... {picchiano oW uscio). Chi è 'no st' secca fastidi a sróura?
Jsia. 0 Fodriga , siv in ca ?
Fodriga. Agb' son mi ; chi è eh' tu* zerca?
^iia. L' è TAsia , ch^ v' ha da dir na parola.
Fodr, {apre) Ah! siv vu, Asia? Vgni inanz. Cosa gh'lvi d'bel da contareii?
jlsia. Meni affai ; a son gnuda a disnàr vose mi , s' am gfa' vri.
Fodr. A vgni propia a boiina man vu; guarda, ch*a gh'è ancora ai gali
in t' la zendra eh' a! drónia.
jlsia. Oimà! donca la va mal mondbéìn
Fodr, D' pez la n' porre andar.
jlsia. Ma ! l' è acsi per tul\ ; s' a savìsscv i niè guài...
Fodr. Oh ! tasi pur , s' an' gh' i àter da eontàrem èhe di guài , pirrhè ia
séint anca trop lui al di.
/isia. Quand V è acsi tascma pur. Oh siv niQ cosa a son gnùda a far?
Fodr, Ili no eh' a n' al so , s' an' m' al dzì.
jlsia. A j' avi da savéir, eh' a son passàda pr bourg di 11 ass^e agh'en
alla fnestra la siora America Bellabocca, e la m'ha ciamà, dsèodem ch^agh'
faga al servizi d' gnir da vu , e d' direv eh' andà là sùbit da tè , eh' V ka
premura d' parlar vose.
Fodr. Olì! eo:$ta ài' despiàs, pirchè arrìv giusta in cà adessa, e am^ vreva
far un pò d' poléinta, pirchè a n'em son ancora zivàda.
Jsia. Eh ! andà là dalla slora Tiséin , eh' V è vséin a òuni d^ disnir » •
rè probàbil eh' av' tocca quel anc*a vii.
Fodr. Basta : andoma pur (s* incamminano). S' a fuss cmè na volta, Vt
sicura eh' a disnarc anca mi; ma téimp era e téimp è: chi sa s'Ia gh'n'iii
\
piAum BHUAm. 4Sf
pr le 9 ptrchò , povrelta , ti di d^ ìdcò U d' è mìga pu colia d' oa
volta*
JHa. hi 80 anca mi, eh' la a' gh' è mudada; ma so dan: ani n' in sa brisa
■il , perchè la a' è ardusida acsi pr al aò poe giadiil.
^bdr. Eh sicura ch^ la s* è cava i so eaprizì .. . .
J$ia. La a' i è cava, e la sM a caVa ancora a-forza de sog d'IesUu II belli
Baal n" plasrén anca a mi ; mo a fag al pass cmed è la gamba , e a lasf
aodir adrè al modi chi n' gh^ à aller da pinsar.
fbdr. Eh purtròp V è véira eh' la spéinda tot In cargadurl ....
Mia, La gh^ k''po anca un mari , eh' V è al re di ciolÒH , che n' pensa
eh' a nagnir, e al la lassa far tut col cb^ la vói.
fbdr. A gh' avi rasóun; V è propia un pappa e tas.
4Ha. Goarda a' al pòi èsser d' pu bon, pr^ n^ dir alter. Za av^ arcordari,
eie 8l^ lata la s^ fi scurlar tutti i riss , ch^ la pareva na cràva; è véira?
Mbdr. Am' n' arcòrd ; e am' figùr eh' la sarà acsi anca adessa , pirchè i
cavi n^ fan miga acsi prest a gnir su....
J$ia, Eppur inco a la vedri con un bei zignón tacca su con «b pètten
l*aiil cb^slratlga, e Cant trezzi tut vojadl d' intòurna alla testa, eoa pa
filiera d' riss pr' i dormidòur , e da lontàn la par propia eh' V abbia \%
fbdr, eh' at' magna i lov ! Cosi voi dir , eh' la s* sarà fatta far un pirrucm
ekéia p e ehi sa cosa al gh' è mai costà 1
Jiia, Figuràv ! L' è véira eh' la n' ara paga alter che la fattura , perchè
Bol-bon em d'sò mari l'ava erompa di cavi per fars na parucea, ma
per contintàrla al gh' i à dona a le.
Adr. A so béin eh' am' burla.
J$ia. An' bùrel brisa; e s' av' ho da dir la vrilà, al m' al conti lu l'alter
li ; anzi am' fi maravia ; e lu m' di per risposta, cb' V ava fat pr contin-
irla , e pr avéir la pasa in cà.
Fodr, Ahi a cred bcin eh' agh' in sia al roond di mamalùc, mo di com-
lign del sgnóur Mogol an' s' in trova d' sicùr —
^ffo. Ehi! vdila là alla fnestra V amiga, eh' la v' aspetta.
fbàr. A la ved mi. Post arrabir! Mo cos* è eia cosa rossa, eh' l'è in co? .
J8ia. S' an' m' ingànn, l' è un bochèt d' flòur féint.
fbdr, A m' è d' avis anca a mi ehi Ja sicn fióur féint.
J$Ì0. La s'Ja mise In tànt eh' a son gnuda da vu. Bisogna dir eh' l'abbia
rM qnaledon' altra con al bochèt in eò, e agh' In sarà gnu voja sùbit anca
I là. Malta slòndradòuna !
fbdr. Ah ! béin eh' agh' avi rasóun T
Mia. Oh mi a vag zo d' chi da bóurg Monta^ù, perchè a J' ho d' andar
ta nn% me amiga.
f9ér, Andi pur, la tnè Asia ; sta béin , e a béin arvèdrés.
Mia. Si; av'gnlrò pò a trovar eh' am' contari cmed la sari andàda pr' al
Hsnir (parie).
450 PARTE
/Mf:. Vgnì pur; ma a f ho pagart cb' la v^a iiaar.'bUiiea (d|aM). An*
gnlrè béin la lóuna^ a' la m' mandàss in giròo aebia prima dàrem quaieoas.
da Elvarem. Ma mi a sod capazza d' dìrghel, eh* a loa dèbla onè. nm alrais»
pirchè al proverbi dls , chMa rana è senza cova , plrcbè la n' la dmandi
{arriva sotto la finestra). Bondì sgnoria, sgnòura America.
/imerica. Olla Fodriga. Gni pur su eh' I' è un pezz ch'av* aspètt.
fbdr. A ven sùbit (entra in catay A son chi mi s cosa cmandla dai fM
me? •. ^ •
jlmer. Mi a J' ho bisògn eh' am' fa un servizi , ma sùbit.
Fodr. Ch' la diga pur , sgnóura.
/imer. A j' avi da savéir , che la stmana passàda a compri al' acial cUf
mo mi al n' m' piàs pu ,* e am* in vòj desfàr , perché l' è un. colòar Irop
sfazza , e tutt m' disen eh' V è da persóuna ordinaria ; però va am' avi da
far al *servizi d' andarmel a vénder , e pò portarem chi subii ool cb' i
ciapari , eh' an' ho vist di bel in mosira in t' la bassa di Magoan , e a fu
cont d' andarmen a tór von tant ch'i gh" cn.
Fodr, Eh! mo as' claparS poc^ vedla, d' cosi eh' en chi^ pirehè V è béia
vélra eh' l' è nòv, mò za la sa, che quand la roba è fora d'bottélga, e ch'I
s' zerca d' vélnderla....
Amer, A so cosa a vri dir ; mo mi an' m' imporla d' niént, e an' al v^
pu brisa drovar.
fbdr. An'accór ater, e la 5arà servida.Ch' la diga: cosa gh'eoitU qwfli
1' al erompi?
jlmer. Al marcànt m' dziss ch'ai vreva na dobla....
Fodr. Uh diavel ! A m' è d' avìs eh' la gh' abbia dà Iropp.
/imer. An' 1' ho miga ancora paga, perchè al fl notar alla parlida d' mt
mari ... ,
fbdr. Oh donca l' è sicura che al marciint gh' ha da dèbit d' na dobb
pirehè al n' vra miga scrìver pr' ngotta. La véira l'è d' andar d' accordi
prima d' portar via la roba da la bottéiga.
j4mer. Oh mi pò am' basta d* avclr la roba; a tocca pò a me mari avéir
giudizi in t^ èl pagar.
- Fodr. Mo n' sala eh' l'è d'grazia a ciapàr na colonada d'srCaizolèttclii?
j4mer. Ebbéin , pazienza ; mi za av' torn a dir eh' an' al vòJ pu. ^
Fodr, Béin , béin , sgnóura ; mi a farò col eh' a porrò.
Amer. E pò bisognare eh' andàssev anca dalla me scofflara, e cb'agh'
dzissav, eh' la m' portass in za von d' chi capléln alla mamalucea d^ultoa
moda, e arcroandàgh eh' 1' abbia un bel'burlòn eh' daga dia grafia almo-
stàzz.
Fodr. Eia ancora la sòlita la so scofflara?
jlmer. Sicura; oh ! an' gh' è dubi eh' a la lassa, perchè la lavòart d'boo
gust. Am' son stuffada d' portar sta petnadura , perchè bisogna «tir dil
iòur alla toletta pr comdàr i cavi, a il (rezzi, e dil volt am' scapa la
pazienza.
INAUTn'BlllLlANI. ^31
Fùdr, Eh! sicura eh'agh' vrà del téimp mondbéin . . .
Àmer, E pò a dirvla, am' è d' avis, cb' a 1 abbia da piaséir un po' pu
era el capléin, percbè a v€d dil brutti cosazzl , che qnand i &d al capléln
lo ce, Il n' pareo pu lóor. E vu cosa dziv, Fodriga? Staròja pu béin?
Fìadr, Eh, mi a n^ em' n' Intènd miga d' stil cossi. V è mèi th' la s' metta
al espiéin In co , e pò eh' r In zerca cont a cu zovnòt eh' vènin alla sira
lo con versaziòun > . .
dmer. Ho V para! Chi buffonàz le i sarcn capai d'direm eh' a stagbéln,
e pò derdè al spalli rider cmè i matt.
Mr. Basta; eh' la Caga le.
àmtr. Oh! toli un pò al sciai, e anda bel e presi, e portam di dinar sù-
bit, eh* a possa pò andarem a crompràr st' alter , colóur d' lilla.
fodr. No sgnòura an' gnirò miga indrè acsi s(ìbit, pirchè l' ha da saVéir
ck' an' ho ancora ziva , e fag cont d' andar prima a ca a farem un po'
(Ppolélnta....
Àmer. Ohi si dabbòn eh' a vdj aspiar tant! puttòst anda dadla da me
■ari , e dzigh da parta mia, eh' al v' daga un tocchèl d' pan , e un po'
fbrasoUa^ e magna bel è prest un bcon, e pò anda sùbit, perchè mi a gh'
ho pressla.
Fàdr. Oh ! pr mi a son pu contélnta acsi, la sgnóura , e al Zel gh' l' ar-
sirla. Adessa andare donca dadla dal sgnòur Mogol a lirem dar col eh'la
■* ba dil , e qoant a ]' abbia magna un bcon, a vo subii.
jÈwur. Anda pur , e fa prest.
Fodr^ pcu&a in cucina. Bondi sgnoria, sgnóur Mogol.
Mogol, Oh Veh! la Fodriga! Cosa voi dir ch'am' si gnuda a trovar?
fbtfr. Am' ha manda chi la sgnóura America, e l'ha dit ch'ai m' daga
01 loecbèl d* pan , e un pò* d' brasolla da far clazióun.
Traduzione lìbera della Paràbola del figlio pròdigo,
Tòcc del f^angeli $crilt da san Luca,
Acadi una volta che nòster Sgnóur s' miss a contar al Farisé e ai I>ot-
tour de eia Icgfa d' allóura al fati eh' av' vag a dir.
A vcns , che un om gh^ ava du fio ;
E al pu piccén , eh' era al pu bardassón , ciapì so padr e al gh' andi a
hi curia. Papà, a voi la me parta. Adessa pr' allóura dàm la me roba,
eh* am' porrà locar. Cosa vriv? Al padr eh' era bon s' agh' è mài sta pàdr,
scomparii la so roba a scadavón.
ila n' passi miga ne mcis ne ani, che col birichlnùzz al fi fagòll d' luH'i
so dinar e d' tutr i so fogn, al s' butti per viàz, e gira che le gira. Pandi
In r un paés lonlàu lontàn a cà del diiivel , dova a forza d' dar aria
ai mooèldiy de sgaggiàrsla e d' divertirsla a quel biondo, e per (oiria
m PAKTB SBGONDA.
c per seurlàrla, d' fòr una viU d^ niQaDàxi e da coosumón, «1 di fond a
tutt.
E dop ch^al 8' fu magna al coli e '1 crud».a véna in col alt oa gna
miseria, che lull j^/ern parla mori e parla mali da la (ami ® *i^^ ^ ^
cialnii a baltr il so bajoneUI.
Al 8' desiosa donca de dMa , e V andì a fnir eh' al a' mlaa a palròn tm
von d' chi castlan , eh' al V slV arflli par famèi In V la so poaaiòo con cai
eh' r andass adré ai gozéin. ^ •
E al ne vdev-a V óura e M moméinl d' podérs desUmar a so vojty magan
anca con la gianda con il gussi e tuli , pàrU a la magnava i geséia ; m
an' gh' era vera né manera ; al n' in podeva avélr gnanca 4^ cola.
Donca al torni a calar giudizi pinsand ai so guài , e cminiand a din
déinlr d' lu : Quanti agh' n' è mài di sbrodgón a ca d^ me padr ben Mi
e ben vesU, eh' 1 gh' ào del pan a balùc.ch' i a' al lìren adré, e ni a Hi
chi slangori eh' am' seni a morir da la fam !
Am' loro su bel e presi, e a slongarò da me padr e agh' dirò: Papi, a
gh' ò un gran pca adòss conlra d' Col eh' sta lassù , e conlra d^ vu.
Mi a 8on indcgn d' sinlirm a minlvar per vòsler fl5L Fi coni eh^ a di
un vòster servitór, e Iratlam parti a ja tratta tutti in ca vostra*
E tolands su bel e presi, al slongbi da so padr. Con loti eh' l'era kniii
eh' al s' podeva a péina veder, so padr al la slumi in l' al moment. Agk^
véns un magón cmè d' pianzer, al gh' corri Incontra, e salliindagh eail
brazz al col , al la quali d' bas.
E al fidi subii al o' miss a dir : Papa, ^ gh' ò un gran pei adòss contri
d' Gol eh' sta lassù , e conlra d' vu. Ili a son indègn d' sinlirm a lalnM
per vòster flol.
So padr allóura fi córrer tutta la servitù, diti e fati, e s' miss a 8bn||Ìr
Tocca su a la svelta, porlàgh' i paga da la festa, e metil in gala; figh ft
bela flgura con un anèl de diamànt , e catagh dil scarpi novi da métter
ai pé.
Corri a la stala , dà d' man a col vitcl eh* è ben apasta , maxzal e cosi
nàl; a voi eh' a magncma e eh' a féma goghetta.
Perché si' me ragàzz eh' era mori e supli , l' é viv e risussita ; V cr
anda pera cb' an' 8' sava pu dova, e a r éraa cala, eh' an' para gnan vèln
E i s' missn a Uvla, e 1 prinzipin a dargh déintr, e a star alégr.
As' di mo 'I càs, che 'I fidi pu grand torni d'in l'i camp, e in t'c
l'ostars da manimàn, al sinti l'armòur dia géinla ch'vosava e eh' saltivi
baiava, e scavalzàva per tutu la ca ch'agh' pareva al Intieri.
Al clami donca von d'chi scr^itóur ch'éren per ri vera, e al gfae dmandi
cos' era mo col gran tananaj.
Al scrvilóur gh*di per risposta: 'N saviv mo? Vòster fradél pn pleoéi
eh' era andà pr' al mond, l' è mo torna a ca lu, e vòster padr eh' l' i via
ch'ai ala ben, al gh'àgust, eia faluiazàr al vitcl apasta per far alagrti
Quand r avi sintù acsi , r andi in fumana, e al miss lò von de chi nuf
DlALOTl EMILIANI. Mi%
rbe a diri Tè niént, g al ne vrevft pu savéir d' mcitr pc io ca , ne niiga
né brisa. So padr donca al salti fora, al se gh* Ci sotta eoo bóuna niancra
e al cmiozì a dir : Mo Ifi , lassa andar. i
Va lu tutr Ingrogna al dì per risposta a so pider. tolì> J^ én ani e ano-
reo eh' a fag al strussión , e ch^ av^ vegn' adrè a us d** an can per senrirv,
e per contintàrv in tutt e per luti ; e col cravètt da *godr con I me cama-
rida, cb' a possa dir eh' am' V avi da vu per regàl, arò ancora da veder.
B sior si , che Inco eh' ay' torna a ca a romper al fastidi st' àter balòss
(Ho m' perdóuna s* a pec) eh' n' à falt' d' ogni erba e fass, e eh' r à slovà
a rotta d^ col tatt' al so con dil porcbigni , per lu mò ^ sfonda il lozi , e
per la a (a mazar al vitcl pu' grass d' la stalla.
Vi so padr al gh' rispóus sùbit: Séinta^ al me ragàiz; mi a t' ò séimpr
daini al oè; ti at' sta in ca d' tò padr, e la roba d' tò padr Ve roba tova;
Ma tò f radei V era za mori e supli , adessa V è vlv e risuscita ; V era
udi pers, eh' an' s^ sa va pu dova, e a T ama cata ck' an' para gnan vcira.
Dmea r è giusta , an* s' podcva a mane de n' star alégr e de n' far go-
Iketta parti a J' ama fatt.
Piacentino.
1050. Abbiamo riportato nei precedenti cenni istorici alcuni
brani che adombrano il dialetto, piacentino pei sècoli XIII e XIV;
e vi abbiamo ricordato alcune poeslp del canònico Maurizio Cor-
teinglia , scritte nella prima metà del XVII sècolo, che soggiun-
giamo qui appiedi. Sono esse inserite nella Grillaja di Scipio
Glareano (l'Aprosio), e propriamente nel Grillo FII^ intitolalo:
W Plagiariij o sia degli usurpatori (leu li (^Urui componimenti.
Ivi è detto, che uno de' Plagiarii fu certo. Guglielmo Piati, il
[naie solca tramutare il proprio nome colL' anagramma in Gle-
nogilo Talpi. Contro costui fu scritta la Talpa plagiaria ed ima
erie di componimenti di varìi scrittori, tra i quali appunto i due
^enti del Cortemiglia. Nel primo il poeta Introduce il Talpa
tesso che tenta escusare il proprio plagio, ed al quale il poeta
isponde :
Plati.
Un eh' arcopiàss' un quiidr
D' Tiziàn, de Bonaròtt , o Pardonòn,
Nsùn poràv zainiii di , ch'ar (i) flss un làdr;
Mi prchc a V occasiòn
(1) i#r per l'artìcolo r pel pronome perdonale è voce luUavìa in um) nei moolì piacemini.
484 PAATI 8IC0?IDA.
Am' vals de .quarch concètt ad'sert schiriòr.
La lent fi tant là ia ,
Digànd, cb' a mert la seova e la tiarEeona ,
E anca la forea , com' saMÌn da strà !
za
Msé Talpa , a V ingaDe , ,^
tb' ar mond n' è cai cattiv ,
Cina fo8 n' aV pensè ; ' ^
Zpedi la aomlania d* depentór ; ^ ,
L' è òna prfurla eh' ao' vai un ciù ; ' i^
E savi ben , cb' ar non è bon armedl
Drova dll frasche pr acqoatir ar sedi. fia
Pias eh' a V la daschienna? ii'
I v' dìsen ladr , perchè a fé pr flgQra 2*1
DI originai eh' n' én vos , vossa fattura.
k
SONITTO y
Vardòl pr avél tot z6 da iin libanòl i
Quàtter rigb , tant marum , e tanl r5 ro , . t
E anda In sa e In là qnaind Zora e Grigòl , y
E stracca ar mond, né mcn flnila in col
Fò cBnt, eh' i me sermón slcn tant briòl I
Da burattén, o pur tant gòcciaro ; y
Battei anca , s' a vii , par bandirei * |
Fatt tutt de bastaiur e de piò;
Sta ben ; ma atl lavór , s' a guarda flss ; ^
Pr r ordinari a i én cusi csé ben,
Ch' asquas nan la cusdura n' a s' cogniss.
In fi vos, voè da Ioni, voè da visén,
(A qvenAa(i) dilla, tant énnli mal miss!)
A s' gh> ved e conta 1 pont da zavattén.
1720. In Saggio del dialetto piacentino del successivo sècolo ^
riportiamo il primo brano del mentovato componimento inèdito ^
del conte Carlo Scotti, intitolato : ^
(1) Sulla voce qvenla che ugDlfic« bisogna , fa d* uopo, ▼èggaii ciò ebt tàAitm ^^ '
pag Sp alla voce Bentmr.
DIALCm BNIUANI.
455
La Patterà.
Camionb.
l'BIrié luslrÌ8sm,
b sior patron «
'à vodl? in ton
Con bona sera.
I eh' 8on la patera ,
1- gh'' fa M sarviii . . .
ioi' air* Indizi ,
Za '1 m' intéinda^
rs ora d' maréinda
I Jer un anùs ,
al il 8Ò eamis
A la ciìsnera.
esM fisa vera ,
al una ragazza,
toeo ad' lion prò fazza,
Ha in 8' ia glfisUl
oa, e 8' r è robuata ,
ì , bianca e rosaa »
r nna zimossa
Incarnadéina;
■ lavrl d' cìiséina ,
la mozza un' orìggia ,
Bài 8ta la pariggia
In casa seva 1
5 eh' a gh' diga in dova ,
iott fina adèss
il eh' a sta là aprèss
A casa mia,
i Insgna moti a la via
'^ d' pitanza ,
i nossa usanza ,
Com' è a la moda,
séinza eh' la loda ,
motta a la prova ,
drà , eh' a n' s' in trova
gquas ansùnna.
vd cuntàghen vunna,
M ciaraméint ,
pira! miga al vèinl ,
Ma eh* la cognìss.
Un de sta fiola a m' Qiss;
Cara spòsa TJresa ,
Za so, eh' a si cortesa,
E eh' a m'vrì liéln;
■é vré , eh* a domaltéin
Sa par- si dastrlgi,
A m'gntss a nodrlgà
Un pò d' polaja ;
Perchè bigna eh' travila
Asse p5 d' r ordinari , .
eh' dman un tal Padr Ilari
E on so fradèl
I stan che a tra 'n eaatòi ;
E forsl , s' a n' m' ingànn ,
A gh' véln anca Don Zvann
Al pret d' la Cura.
Giusi In d' eia conzontura ,
Za eh' era le In s' al fati ,
La m' moasè vari piati,
eh' la mtìva à l'órdan,
eh' aravan tira a dsórdan
(Tant I comdavla bcln)
Anca un Fra Capiìzéln
Di p5 scruplòs.
La m* diss : Cosi è guslòs
Par qui eh' a gh' pias al tasi,
eh' i gh' n' àn da tòs un past
FéiAa eh' a gh' par.
Col alar eh' gh' era a par
L' era una pònta d' peti,
eh' in cogniss béih pò d' seti
eh' disan dil zanz ,
eh' a n* s' in mii vist dnanz ,
A gh' zur , gnanca pr insògn
Un boconzéin esc gnogn ,
. s Kè csé godibil.
Al terz r era teribil ;
La gh' ava un par d' plzzòn
Conza béin da razòn
Con poca spesa ,
43 G PARTE snojiiii).
Ch' a vdiva le in d' al piali
Csè béiD aparigia ,
eh* bastava d' un' ogià
Par mott aplit.
E fati a la Franzesa ,
Séinza al e sélnza coss ,
Séinza testa e séinz' oss ,
Candid coi' è latt ,
1820. Scendendo di sbalzo ai tempi nostri, in Sag^o del di
letto vivente porgiamo ai nostri lettori alcuni Sonetti d' occasioi
inèditi e ripieni di sali popolari , del sullodato Gaetano Ferrin
del quale la patria deplora ìa pèrdita sin dall' anno 1830. Ne
r intitolazione l'autore assnme il nome di Toléin Gùcalla; si
questo il nome d' un personaggio , che nelle scene piacentiD
rappresenta il tipo genuino dell' uomo del pòpolo, cosi appunti
come Meneghino Peccenna il Milanese, Girolamo i'À8iigianO| ed
altretali.
Una forzinà ad SonóH compost da Tolèin Cuealla
da ci' ann eh* i àn fatt al famós dibà ad Comini in SUadella,
I.
Pr' ai Tiàiar ad Piaseinza.
Flasoo , sì , fiasco , i me car TaUàn ,
S' a vri inibalsmàv -, i pròpia da vign che ,
Sì , propia che a Piaseinza , e v^ al dig me ,
Che st' ann s' gh' arfeina l' or pò che a Milàn.
Noi sì eh' a gh' óm tri quadar dal Tiziàn :
Bonoldi e la Bonéina a si cos P è ;
E la nostra Tinella a gh^ tigna adrc ,
E vialar slnti alma a bajà di can.
Sanquìric al Tlàtar, e al nos Zorzéln
A r ha pitùrà il scén; gh' óm pò un lambdàri
Csò strasighèint eh' a s' voda féi I miìsséin.
Donca a dì fiasco òi fors mìga dit béin ?
eh' sarà fors qualch braghcr eh* diga al contrari ?
Al n' e un spilàcol eh' a ga fuma i s^scln ?
II.
Par la Siràda dal siór Claudi Bonoldi nòstar ligitim Piasintii^
Sintì 9 i me fio , me a n' fag ad paragón
E lass a ognoin la so abilità ;
Ma cóst V' al dirò béin, che par otnli,
Al nos Bonoldi a gh' fuma i bùstarnón.
DIALETTI BMILU.M. 437
L' è un pczz cb' so' al moiid , e n' ho sitili di bon ,
B di cantant di car 8' In pò trova ;
Ha tanr ànma in dal slómag , tant' aziòn ,
Csc un tutt assom , gh' ò il me difflcolla.
Lù al va al cor , Iti al canta ciar e noit :
' Quatte al vanozza* polal fa ad' pò mèi ?
Me dig ad nò : n^ as' dà d' pò maladott.
Za a tutt ad' sèìnlal s' gh' è scada i zervèi ,
Ad' mod eh' jorsira gh'éram tanta strott,
Ch\son andà a rìsag d' fàm sgnlca i budèi.
III.
4 la (ozia dal siór Claudi Bonoldij dia sióra Emilia Bonéina
e dia sióra^ Tognòtta Tinella.
Plantla , Roséln , s' an' V vo ciappa dil bòtt ;
Che a féln di còint sa j' ò impignà al parò ,
An' r ò miga Impignà par zuga al loti;
Né tirai so pr i pé , né tirai so.
Mezz frane al zavatéin pr' ILtò scarp roti ;
Véint sod pr' al ris e pr' un quartéin d' fasò.
Son sta a tiàtar , j' ò bovi un mzinòtt ,
E j' ò vanza du sod: to s' a T ja vò.
Guarda ! par sèint Bonoldi e la Bonèina ,
Che vòin e V alar gh' «in 'na vòs csc bella ,
( Giò m' malidissa ) a vèind fcin la marsélna.
Quand vigna la siràda dia Tinclla ,
Pùtòst che n' scint da cara passarcina ,
Te a t' è da l)òi ; ma impign anca la sdella.
IV.
Pr' al 8iòr Jàcam Flippa^. soimdór da rìoléin.
M' arcòrd ancora quand' èra in socliéin ,
Che me nonna , bón ànma, la m' cantava ,
Che un zert Orfeo col so bel chilaréin .
Al Diavol r incantò , tant bel '1 sonava.
S' la gh' flss adàss , me sì gh' al dire bcin ,
Che le la n' sàva gnèint, propia la n' sàva :
E al de d'incò gh' òm di talèint pd féin;
Dirév al siór Orfeo : Vatr I a lava.
458 PARTE SECONDA.
Me si Jersira eh' j^ ò sintì un ragàzz
iy diods Bnn, eh' al tira tanta béin V arcott ,
Ch^ al n' in vorév di Orfèi tréinta navàia.
Se csé picéin r è za ese nuladott ,
Quand al gh' ara la buiia in s' al mòstàsz ,
Al bégna al nas a luti, né gh' a scomótt.
V.
Pr* tifi Ussér eh' à vri cùnia par forza
in dia Cademia ad Cà Costa.
Me , eh' traga via al me léimp par fi od sonòU
Par cól bel fig eh^ a J' óm slnti a canta 7
Vorìv eh' a v^diga saetta la vrìt»?»
Putòst gh' tir'ré In dia schèina an car d' si^dtt.
Gh* dircv : T' n' et miga aeeòrt , sit maladott,
Ch' V è ròtt al cui a tutta la briga ,
A risag coi to vers d' fi gomita ?
Canta dil iltaxiòn , nò di duott.
Me m' par eh^ V ariss da Jèssat dslngana:
Fam' un piasèr, n^ a m^ rompa pò I cojòn ;
Sta schizz y 0 càn , va via , va , passa a ca.
I birichéin i én atar che pò bon !
A m' dà pio gust i ortlàn eh' vósan par strà :
Oh il verz , il rw, i silr, i fatolòn !
VI.
Toléin risponda a qui eh' disan eh' a l'è iropp piazzati
in dil so sprissión.
Son scapuzza Jersira In d' iìna paja
A bév un mezz , cai* a s' fa , con me mojér;
E sèint a di ^ eh' a gh' è quatcddin eh' a baja ,
Ch' a fag di vèrs tropp spère e lò d' sinlèr.
Ch' al vigna Inànz sta can da Dio eh* a bija ;
Sto viso, sta cagai > mestar, braghér,
Spudém in fazla , e dsim eh' a spn canàja »
S' a n' al fo andà pò fort eh' an' fa un corér.
Me son nassi a Piasélnsa , e miga a Pisa :
A fag ai zavatéin , sango de Bio 1
E stag In dal cantón là dia camisa.
N
■ »
DIALITTI EMILIANI.
439
Me par al n* à mài dilt nò mio né Ho : >
Parlànd in squincio ^ al dsiva alma quale brisa :
Chi Vhà per i cojón /belV idol mio?
Per ùltimo in Saggio della letteratura dei citati Lunari pia-
ntini, soggiungiamo un Discorso in versi tratto dalla Piligréina
rolga mqjér dal zavalléi Ficca par tiitt^ dell'anno 4858, col
olo:
Una Gabióla d'thatt,
Dascurs.
itra nott m'son alvà in camisa .'Che puro còull ch^am'confid,
Cb' a n^ 8' ga vdiva gnan na brlsa' Ch' a vadrì cìi' fo csé par rid :
Bill e prest m* son visti so,
rant par fa cui poc eli' a s' p6 ,
i ho ossarva col canoccial
Ih* gh^ era a vota on tiraporàl.
va piir guarda I pianotta
i la loina co6 la motta ;
ia era tant I* oscurità ,
Ih* a m' son missa a consulta
7 mond eli' ho ditt, ossia gabiola.
rond e fati cmè ona ribiòla.
vist tanl d' quill stravagànz ,
V quill da rid e d' quill da piànz
rra tutl i om in general,
raat eh' finiva al thnporàl ,
£ ho ditt csémò da par me
I che sorta d^ gazzaghc !
D lontàn da critica
A gint brava in società;
U Jò vist in gabiolcina ,
hefl' fa'l matt qualcdoi ghMncléina:
la vadri s' V è mlga acsé : .
'A a bon colnt gh'son dei anca me.
ttl maU , scuse sa sballi ,
' in podrè fa anca on detalli ;
r av' n' abbiè mlga pr' a mài;
di eh' a pari' in general
d' cert matt ch* han poc giudizi,
h' fan di r mond^ eh'. in cargh ad
vizi.
Na v' fé za d' applicazión :
0 che téimp ! i sinti V tron 7
Zirca cóust lassumla le :
Sa vri rid , ridiv con me.
Gh' è da rid in zert momélnt
Vod al mond péin d' malcontélnt :
Béin ch'as' dis che eh' rida è matt,
Ma me d' rid me m^ nin fo on piatt:
Po v' la lass ^a vlàtr a decid f
Sa fo mèi a pianz o a rid.
Si che r mond V è on beli tiàtar:
Gh'è I cattiv, gh'è qui d*caràtar;
Gh'n'èdi trid,gh'n'èch'énln fil,
Ma dal pò al mane, cardii ,
Voin dop r àtr In gabiolélna ,
Tutt gh' fan déin la so copléina.
Za eh' a s' tratta adèss da rid ,
V voi fa vòd , tocca co' I did,
CV son par div ad quill vrità
Ch' faràn rid la società ;
Spezialméint pò zerta gInt ,
Ch' mànglan^ bévan, fan mài gnlnt.
Me zert matt.Ja compati^s,
M' rid, ma n' poss gnan tas sa vriss;
Vod zert matt tutt in corréinU ,
H' rldf m' la god, e son eontéinta;
Quas dire , eh' l' ho féin pr^ onór ,
D* ess in lista assom con lor.
**0
PAITC SBUMDA.
Gh' p qui matt eh' dan dal balòss
A qui cb' ban di slraxz adòss ,
eh' fan r oziós , eh* én mal vUlì ,
Dséind, eh' i én matt da eompati ;
Ma anca lor s* i (issaa dtd ,
1 man^rén poléinla e spnd.
Gh* è qui matt fra lert daspra
€h' éo al scandoi dil zitti ,
E n* par gnint a sèintia lor «
Po i gh' dan a mira, e da zert or
S' fan mòtt déin, eh' l'è eul negozi,
Ch'fa eia gint eh' stan sèimpr in ozi.
Za sta bei l'è on azzidcint:
eh' nassa pòvar fa i gran stéint :
Fi r balòss , seguita (il,
Stè sicùr eh' a T è un gfan mil :
fiass balliti l' è ona disgrazia :
Fa V balòss véin róuss la fazia.
Za vdi st' mònd eh' l' è pcin d' affàn»
Péin d' malizia e péin d' ingànn.
Domina dall' ambizion;
Coli eh' trionfa è coli eh* gh'ha bon>
E accordcm s' gh' i sintiméint ,
*
Che 1 pò matt \ én pò cootéint.
Gh' è qui matt eh' disan : magara 1
Se la roba la gniss cara :
Pòvar noi em' òmia da fa ?
S' la va esc noi sum daspra ;
E rabbiós cm^ a i én i ean ,
S' dan al diàvoi tegn a man.
Gos n' in véin pò d' ricompéinsa ?
Gh'è tant gran ch'l'è roba imméinsa.
Al long legnai in s' i star
Par spatta eh' al vigna car,
Al marsizza^ e gnan i bo,
Dagh' r inànz , in' la vòn pò.
Gh'^è d' cu matt , stramàtt, mattòn ,
Oh' gh' a In canléina dal véi bon ;
Ma parche 1 n' san travasai ,
Gh' è tant vot eh' al gh va da mal:
0 eh' al véin fort emè V asè ,
0 eh' al s' briìsa o eh' al' s' tra jè.
Gh' è eh' s' immagina d' sta mal ,
Pez che i matt eh' én a t' osptal ,
Ch'vìvan scimpar malinconie,
Delicàt, pò i dvèiutan crònic^
Parche I n' san god l'allegria,
Matt mala d' malinconia.
\
Gh' è d' cu mail, siè parsuàs,
Ch' stan bel e i lércaa d' mala-;
Ch* ogni brìsa d' pott caga
Stan In lett par fis curi;
E sU matt long tò madsélna,
Poe a poe van in arvéina.
Vak a dÌ4 che 'I Barbatogli,
Long purgis ema d' gh'è l' bus^
E fas mòlt di lavativ.
Li a fa ess pò mort che viv.
E sii matt prima eh' flss V ora.
N* ho vist tant andi in^ malora^
Gh'è pò chi alar matt dal pari,
Ch' pèinsan sèimpr e i fan lùnA. ^i
Ch' battn i quart secònd la IòìB'^
Ch' a s' laméintan dia fortòina
Ch' favorissa i pò bricón;
Ma qui én matt, stramàtl, m^ìì^^
Gh'è d' qui matt eh' rèstan Dojòs ^
DI miatt timid, vargognòs,
Gh'è 1 pacclón, gh'è 1 mail alcir*^i
Gh'è 4i matt zuccóo, laslird,
Gh' è d' cii matt ch^ han dia risi .^>
Ch' tàccan lld pr* antipatia.
Gh' è d' cu matt eh' rèstan f&riós,
D' cQ sofistic fastidiòs :
Gh'è d'eù matt eh' a n' pòa vi bèi ^^
D' cu eh' la Iòsan ema la véin:
Matt ch^a tòsan tùtt par bon,
Ch' i s' fan di dal matt minclòn*
Tra sti matt'gh' è zerta gint,
Ch' van in corla anca par gnlnt.
Gh'è d' cii matt ch'rèstan blsbètl^ '
Ch' i s' rabissn, e gh' vd di emètir
Gh'è i flemmàtic marmottòn,
Ch'i én d'eù matt ch'i én pò birbòi^
Gh' è d' qui matt .eh' a n' san di d'no^ ^
Duz a^ cor , eh' fan god al so :
Fagh a mèint s' l' è miga vera :
Féin eh' i gh' o' han, tiìtt a gh' far^
Seguitànd cóUstil medésim (cera^
Ja vdi nùd, séinza on cintésim.
Dand ià '1 so, il s' fan mlncioni
Féina a tant eh* i én dsinganni;
Ch' al spcind trop l'è ona materia
Cb*a condanna alla miseria.
Béin eh' al s' sa, eh' l' è roba antif a;
Ma sti matt na gh' pèinsan niga.
/
1
DIALETTI EMILIANI.
kki
CU malt tribuladór;
lardàsn anca da lor»
!can lid lùtt i momcint,
l risi eh' n'cn mai contcint,
nissn in quale in anera
«rsón 0 là in galera.
latt eh* han dal balòss (oss:
iDca qui eh' a s' fan romp i
pàgan pò a il so spes
fan tra long. e dastcs,
lai, dai, e importuna,
SII de eh' i s' fan mazza.
ich'a vMa par longa?(Ionga:
il dono matt d' la léingua
i' cu matl eh' miarà ligaja,
voD tas gnan a bastonaja ,
I a dsórdan I marr,
r om ja fa imatlì.
il donn, eh' pàran gint soda,
in mati pr' andii alla moda,
matti II pòvar sartór;
natt a sèintia lor
artór eh' fa il vasi mal fa(t,
lia ridas cmè tant matt.
remando in ascondón
langàzz, quill guarnizión;
matt fan compari
eh' tasa I so mari ,
' ho dilt, v' al dig ancora,
sta causa la sartora.
BIc v' salut, eh' voi lassa esé;
Dire d' pò; ma lassùm le:
Sta gabióla , la me gint,
Consijifàla, e n' pinsc gnint.
Dess a vò col canocelàl
Vod s' finissa V tlmporàl.
Po mìa ridas ^ sto sicùr,
Con quill matt ch'én cargadur,
. Povra gint, d'*quill donn d' arila
Ch' fan la vita longa on mìa ,
Par vri fa la vita stròtta,
Strinzi a brazz con la fassotta.
Gh'è d' quill mati d*quill sporcaeción,
M' intèind séimpar zert parsón,
Ch' i tran fora da il finèslar
Còli eh' J aràn da tra in dal destar.
Ch' van a rìsag da sporca
La gint eh' passa eh' én par strà.
A stil matt eh' n' han d' polizìa
Miàra stàg lontan zéint mia: (sciali,
Gh' n' è d' quill eh' pòrtan di bei
E ch'I girn in s^al faesall
Con dil scuffi e di capléin,
Ma da d'sótt i cn spòre cmègréin.
Béin patHà- ma i san da spùss:
Co il pocciàcr in mira all' uss:
Gh'è il scatià ch'gh ha l' rùd in s'j U
Con la mota féina al znoé.
Par fas mòti a tutt i pati
Som in Usta ai àtar matt.
A v' n' in siv ancora adàtt.
Che in gabiola gh' è i gran malt ,
Poe 0 tant coi so difètt?
Me, par me na gh' zont on ett;
E s' ho ditt na quaich vritii
N' av' sto miga dasgùslà.
Pavese.
Non conoscendo verun coìnponimento in dialetto pavese
ì alla seconda metà dello scorso sècolo, come più antico
K>rgiamo ai lettori le seguenti Ottave di anònimo autore,
nella mentovata raccolta di Poesie per la elezione a
fangnifico dell' I. R. Università di Pavia del Prof. Don
'amburini.
443 PkWTE SBCO!<IDA.
Ott
A V.
Mèi 9on sturdi , mei scoli a fi di eviva
Al professor don Pédar Tamburél ,
In tudèsc , In franzés , e In r la corriva
Léiigua di Veneziàn , e in ver^ latéi ,
E vddi ansoi Pavés a tra la piva*
Fora dal sac , a di : son chi anca mèi ,
Soo chi anca mèi par di la me rasòn ,
Par cràss la giojre la consolaziòn.
Pussìbil 1 e pur so , cli^ anca I Pavés
Stùdèint son cors in folla a V eleiiòn
Dal sur Rettór Magni^ , e ò pr iniès ,
Che tutti , o quasi tulli in bona union
llan elèlt Tamburèi dott e cortes.
Pussìbil donc , che nanca una canzón
In nostra léingua , ch^ fatza on pò d^ fracàss
As^ voda in sta raccolta 7 Oh ! resti d' sass.
Se fuss ancor cui tèmp , che quasi troppa
Grazia am' fava la Musa , e bona zera »
E la m' mòttiva ad cui cavai In croppa
Ch^ porta 1 cantòr dov fan i Mus U fera ,
Mèi no par zert tgnarèv la bocca stoppa ;
Propi da bon al dig ; propi da vera ,
Anca mèi cànlarév o bèi , o mal ,
Par onim a la gioja ùniversal.
Piira quaich coss voi dì , ne V abbia a mal
Ansoi , voi di , che s^ al nos Tamburèi
L' è maltratlà cmè dn can dai so rlvfil ,
An^ podìvn i studéint desmostra mei
L' amor oh^ a gh' pòrtan ^ e rèndal iroorlàl ;
Sebbéi eh' ài la sia za par i so bei
Liber che V k stampa , che con V alzai
Al Rettorà con plaus' uni versai.
No , fi* al pòss no nega ; che st' eleziòn
L'abbia slntì qualcdoi con crepacòr;
Piira poss dì , eh' r à avii r approvazión
De tutt la gint dabbci^ e eh' anca fòr
Di scoi s' avdiva la consolaziòn.
Intani mèi slava alcgr , e in t' al me cor ,
Quand ho sintì sto fall , pèin d' gioja dsiva :
E viva ^1 nos Bettòr , e viva , e viva !
%
DIALCTTl IMRIANI. 445
18. Fra le molte poesie del signor G. Bignanii abbiamo
per Saggio la versione del Lamento di Cecco da FaV"
, nella quale il poeta seppe introdurre con molto magistero
le forme e le grazie della propria favella,
I Lamént d' Cicchìn d' in Borg- Olia{i).
••
Ottav.
S' érani già d' maj guer guer alla mila,
£ 1 campàgo d'erb e d' fior éran starni;
Féna i òrt e 1 giarde! dentr' in citta
Éran d' un beli, che.na s' podlva di,
Quand al póvar Ciccbin d' in Borg Olia
Par la so Linda coU « brastolì,
PSr sia crudela eh* la gh' ridiva ai spai
AV sfugàva '1 8Ò goss giust lai e quii:
Ma cum podal mal sta, Linda tirana,
Gh'at' am' siat tant ingrata e tant arvèrsa?
Ma st' òja falt, o zett ad' maggiorana.
Da trattam anmò.pef^ d* un^ ànma pèrsa?
Pù sposmissi par ti, pu In padovana
T^ vòllat i ùiè sospir, e t' fé l'Inversa;
E vultra a quàst, par dam la bona msura .
8'ar vegnl apprèss, t' la sghibiat adrlttura!
Ma scappa pura, e va piasse cb' n* è '1 vent,
Che mèi già't vegni adré anca a cà d'Clappéi...
S'iss bèi d'andà in t'àl log, son strà-contènt ,
Basta pur eh* sia eon ti, ear ciapppoléi ;
S' iss anca da soffri mila tormènt,
A tutt i sto par ti, son pront in féi...
Faga pur cald o fràd, slal nott, slal di,
M' n' in fa da gnint, se son apprèss a ti.
eh' al sia pur duli al temp, o brusc, o Invèrs,
No gh* è prigul che un eredo at' perda d' vista ;
All'ort, in cesa, a spass, in tutti ! vers
Son li tira cmè un stacch a tgnitt ad pista,
Quànd eh* a V podi no vod, pari voi pérs;
Ma s' agh* rivi a liimàt, gioisci a vista;
Agh' motlriss r oss dal eoli, che in tuU al mónd
Da vorr?t tanto bèi gh* è no '1 ^ecònd.. .
•go Oleario e una conlrada remoU tli Pavia, ove Uìtmuì pancchie ortaglie e dovi:
) wfflMsi più immane dal cooUlto degli sUanieri.
flHf^ PARTE SEC090A.
É ton iiitt quàst T gh' è cor lei da sbcflaiu .
Dà guardàin io barlùsc, fam al grcntòn!
Obperdjndo! si* òi fall, da merilam ^
Tanti dasgàrb, sgrògbàd, e mila arbgnén?
Degnai almànc pu srena da guardam ,
Oa fam un pò 'd bocchin , oh sanguanón !
Se d' no già crepp sicùr dal gran dolor, '
E anso! ta resterà con lànt amor!
No V gh^ avare pu un ànma , cradem pìir ,
Ch' af porta tutt i fest ài maxzd M fiùr ,
0 che sulla alla fne^tra quand V è scur
At' fàga I serena coi sonadùr ;
0 quand ài^ gh' et In rori 1 frut madùr,
0 eh' vegna la fiirgà di nos lavùr ,
Propri anso! n^ agh^ sarà cìC àV daga niiln ,
E t' toccarà a strùziat ti come un cSn !
Donca ajutam, fa prast , lassara pu incèrt ,
Prima ch^ vaga dal tutt dentr** in t' la busa ;
Ma già r e propi un predica al desèrt ,
Ch^ n"* at' vo senti pregbiér, rasón , né scusa»
Fa pu tant V ùstnnà , Linda , e sta cèrt ,
Che mèi V mlncioni no, compàgn già cb' %' usa ;
Dàm doma ùn^ oggiadéna e pò s' aV por ,
Nega dal pòvar Ceceh SI crappacdr. —
T* al giùr , che par ti mori , e' i* fo bosia ,
Vorréy mòvam mai pù da sto post chi ;
Vorrév che ci' àltr al gniss a portam via;
D* avègh mai pu i gran bèi da vodat ti.
Già son giamo d' dù Indritt, propri un ombrìa;
Guàrdain , at^ pieghi , e prast , fàm pu .pati . , .
Doma un' occià ta cerchi , o M me folètt ,
Pò tirarò contànt , s' at' vò , I calzèttl
I son quattr' ann chi adàss a ^antospéi (i),
E gh' ò U taccuìn in ment beli e stampa ,
Che dai tò bei /attèzz , cara Lindéi ,
Son resta come 'n mèrel ingarbià;
E m' s' è tanto ficca In t'~àl cor. quell spéi,
eh' am' trovi anmò biilùrd , oca incanta ;
Da quèlI moment -féi dcss , o car Signùr !
!S' ài s' è pasià un fargùi quell gran dolùr !
(1) S. Spino è una reliquia serbata in Pavia, e che per antica pia cretlgnia ai venera cco^
(•arte della Corona di spine di G. G. Ogni anno vi si consacra la seconda Festa della ?«■''
(ecokle, nella quale viene portata in solenne processione. Il poeta sostituì opportanameaU qoc
^t' (•{•ora cfflel>rc presao il pàpolo pavesa a quelb dvirAsGCMÌoBa indìcaU aell* origiadc
\
DULffrn niLiANi. kkìi
Son pu bon d' un masté nan long mezz djdu ;
S^ a comenci un lavùr , poss do flnil ;
S' ho da fa su un toppio , tjàji la Vida ;
Fo in disèmbr o genari coss .d' aprii ;
Insuma M me zarvèl V e senza guida ,
E dia rasón gh' ò pers féi r uUim fil;
An' fo che pianj^ in tutt ài santo, di ,
E d"* nott compàgn d' un fio , am^ mdtl a sgarì.
Uéì che i mich in t' un buff voUiiva vìa ,
An"* poss pù nanca sentii a nomina ;
Ora d' disnà , né d^ atena agb' n^ è pii mia ;
Né ^m sostanti che M piant ^ e ^d sospira.
E 1^ linic me ristòr , la me legria
L'è 'I tò faclo» s'el rivi a contempla....
Che altura am' n' in vò tùtt in geladéna.
Né dal mangia m' arcòrd , né dia canténa !
Ab ! che brutt di V é stai -, gh' V ho ancura in ment ,
Quand t' bo-vist a imbosca i me .prim arbión ! . . .
Un cald e fràdd am' son senlù, un spavént ,
Come s' am' fùss séiattà davséi al tron ;
iin battlcor , un ccrt sambojamént
Ch* m' ha fatt anda la vista in avojóq ;
M' è salta '1 tram , m' é cala i forc al znòd 1
E eh' él eh' n' iva la culpa ? ... I tò bèi od.
Senza podè mòv bocca , né trii fià ,
Son resta 'd gèss sul fatt , e fora 'd mèi ;
E in carna d' oca tutt am' son trova,
Squàs m' issan tratt giù di' aqua in t' al coppci ;
E quand, arvgnù , 'm son miss anmò a fissa
QuàI car faccio d' amùr , quàl latt o vci ,
la' è pars che tra i deliri , e tra i magòn
Ma scrabùsàss al cor un gravalòn ! . . .
E iin fort sconvolgimcnt m' è gnu in manera
eh' am' cardiva d' avègh féna '1 brut mal ;
Gh' ò vist pu 'd fati, e a ditta a vèrta ci^ra ,
N' ho miii prova al roé mond tormént ugual ;
Ma son senlu un cert tram , che dal choiera
Adrittùr r ho battza pr '1 prim segnai ,
E al er pur tropp un siign di piì cattiv ,
Ch' al so nan mèi cm' al sia a trovàm viv.
Basta , a la féi dia suma al fatto sta,
Ch' al' m' è sarvi da barba e. da periioca;
E se U gràm Coc t' incaptat d' ajiitii,
T' al vadrèi beli e prast con r«tl la Bikca;
\
Ito wàMtn
Se a niéi r vd no di féd , va pura a iosplii
Ai tò camaradóo che sta a San LQca ;
Lur, cbe io giardéi iii*a védao ila tfiU'i ur,
Ta diràn s* fo pu piani, o pù lavùr!
Da un facciotòn cbé s' era e un mattùtéi ,
Adèsa son gnu un arlàc , un grataeu ,
Pùssè stria dai bùst ad Cattrinéi (i):
Sii lavar smort, e sU oé fondu fondu
Ta fan vdd dar e nati il*niè dastéi ,
S^ al^ gh"* a o6r , 0 balossa, M sta anniò su ;
Ma quand che t^ am^ vadrè pò io V al barlóo ,
Ar dire 5 ma pir gnint, — V iva rasòn.
Uh ! maladdtt 1 ma a fi cm' al' fé la cigoa ,
Tsò , to màdra sicur V ha no baiti ;
As^ dirìss che una' tuva da montigna
0 una tigra ancasì V ha partorì ;
E in t^ un quii bosc o in meii a na campagna
1 zingur o I strión I' han istmi ;
E che una vipra, o quaich^ alter sarpènt
T' han datt tutt ^1 so vléi par me torméoi.
L' è gii un pò M temp però , eh' am^ son accori ,
Oh' at' fa gi6 i busch Lorenz, e ch'ir gh' V è in visti
Fors. parche V è pu siur , e 'I gh' i iin belf òri ,
E d' fèsU 'I gh' i n cappèl ala Cariista!
Ah 1 s' at' gh' v5 bèi pir quast, t' fèt un gran tort ,
Che in t' i siorii V amùr no la consista ;
E un fio sincér , un pastissòn son mèi
Con beli il cor, s' V è gràm al marsine! !
Sì eli' ò mangia la foja, e fò 'I minciòn
Par v5d un pò si' intrigo com il va ;
Trattini sto chi quaÒ qua£ , da gatt-mainòn ;
E son ai sett da cupp par fatt gHiga;
Ma se quaidoi vo plam stu beli boccòn,
Son quel muso , i' il giur , da fall cajà 1
Che a vodes la polpetta a to fo M min ,
L' è roba M dasbattxass , da diss a Gian.
E guirda aF fatto tò ve a dim bòsird ,
0 eh' cerchi di rampèl pir torna indrè ;
eh' r alter giùren col sul insi gajard ,
T' ho visi a fa alla foestra un va e ve,
Pir doccia quii zuzù , che comò 'I lird
A gutt a guU il t'deslenguiva adrè ;
E se par cis s' er no con tò f radei,
T' avrissat vist che futta , e che afragòl !
(i) Lu xbdcUro dtUa Morie.
MALIItljnULlANI. |%7
Uh Siàtaoàss ! s' la m^ salta, già t' al tè!. ..
ParivM iin baaalise , un gatt rabbia ;
E 8^ n' el gh' er lo a pregam lèi par piasè »
Gb^ iva edr da mandai al mond da dia ;
Ne I al ad qui dia Iona eran asse,
Né I caròzz a vapùr par fai scappa ;
Che Inorbi dalla danna e dal velél
L' andava a pia , s' el fuss salta In t' al Tséi.
O Unda , gh' o pagfira, ma sV istòria ,
Am^ la vodl In V un spè} , la v5 andii mil ;
Che se gnint gnint al m' secca anraò la glòria ,
0 vdl 0 V alter va a forni aP osbdal ;
eh' s' alter n^ am^ resta par canta vittòria ,
N^ agh* mòttarò slcur péver ne sai ;
Da fio d^ onùr v5i vodla , e va oom' va ,
Finirò i me tormént al ciis dasprà.
Ma gb^ farò tant la sgnàita al barbiséi ,
Ch^ r ha propi 'd forni lù sutta i raè man ;
Lassa pur eh' et scapuzza adré al giarde! ,
Ch' iigh' sarà li pargia 'I so beli bastran ;
Starò tant col séiòp mont , che in féi di féi
L' ha da boria in V i\ lazz stu fidi d'un can :
Si, igh' insgnarò, s' P inguanti adré al polé, '
In dov sta 'd cà Bamàrd 81 montagne.
Ma già vramént nan lu V- ha tutt I tort ;
E vodi bèi d^ che part ven la mangagna;
Dov gh^ è no d' rati, el gatt el gira fori;
E chi an' vo can prM pè , liga la cSgna ;
Ma con ti n' as' pò piala in dritt , né ih stort ,
Che coi glngin t' vd sèmpar fa cavagna i
E In quànt a mèi ma scaldi da minciòn ,
Parche at^ d&nssat ciane a un battajòn !
0 Linda ^ lassP'anda , sta al me partid ; —
Si , fa a me mod , s^ t' vo no pentit in féi ;
Costu ^1 V fa da sasci ^ ma 'I fa par rld ;
L^ è tute par tira 1* àqua al so muléf.
L'andrà no tant, eh' at^ farà mord al did,
E in scambi 'd ros t' gh' avrèt doma di spci ;
De sii gigiar pur tropp V è M sòlit pan ;
Ma da' ti voriss tègntal da lontan.
Lindena , t' a scongiuri , dàm datra :
Nadàl el gnfarà prast, e par bondt
Un beli scialòn d' battizz V ho destina.
Con tant 8d bord , e M giigglòn d^ òr ansi.
SS
hUS PAan uooNDA.
Dispona dal fatt me a tò volontà ,
eh' son proDt a fatt tùtt quel ch^ at' piàs a ti ;
Ma un patti sul t' à fo: lassa queir alter.
Dal rest gh' o pù 'd fastidi , e n' oceór alter.
Gh' ò un storn ad colombéra 'd irédes més ,
Leva propi a boocòn , e senza vizi ;
Doma a guardàgh bsògna resta sorprés
Pr' i ciacclarad eh' à fa , pr' I so .ma'Uit;
Appena ciar , e prima d' andà a vés
Al dis tre volt: Lindèna, fi giudizi,
Gh' ò dii conili ansi bianch come latt ;
E On passarél eh' al gioga fé! col gatt.
SII InezI , voltra al rest, doma par ti ,
0 cara la me gloja én destina ;
> E insema '1 cor vorrév mandai ansi ,
Se ti ', birba , *a V am' V issat già sgrafgni ;
So bei oh' al par un cribl tùtt ferì ,
Che par glostàl gh' à ansol la facoltà ;
Parche il aula V gh' et , o marcandréna ,
Quèll tal liròtt d' amor, eia tal madséna.
Ma già capissi , V gh' è nane par la ment
Ne mèi , né 1 me preghiér , né i me regai ,
E '1 so 9 che n'«r sospirai che 'I moment
Da vodam a fa pùlvar pr' i beccai ;
Se quasi V é tùtt al mal eh' ai' dà torméni ,
Son proni a sodisfalt , a tot di guai ;
E insi i' gb' avrò pù 'I lòx del me piatta ,
E t' smorfiaré con ci' àlir in libarta.
Che se certi prelùd' i fàlan no ,
A sbertìm prà^i sicùr vegna '1 me loti.
Stu Sàbat Sant di vidi colùr ponzò
Ho somnà in tal mezzdì propri al prim boti ;
E gnivan su iùt dupi e com' 1 fò ;
Quand (jLitt e fatt son resta li M pancòti ,
Che una tampcsia grossa pù che I sass
M' ha irati e vidi e vàs tùtt in sconquàss.
St' aprii intani eh' andava inzà e ina
A pianta giù al me posi e i erb e i fiur ,
Gh' ò vùd anch' in.i' i cosi una sassa,
eh' m' é mori iq quindas di tùtt i migliar ;
I zeti già prés, o pass, o marina.
Péna i leànder m' àn fata anca lur.
E a me madra la ciòzza col galàti ,
Gh' é stai sgrafgna Jarsira da un falchatt.
DiALsm MiUAM. 4%g
Dai , ciappa , curra , àllòa , monti 1 me séiòpp,
E a toUi' I cast voi plaglij al ladfonón • . .
Ma si domin , par ficca , da galòpp
Vài a màtt gin M Lok^ns sura un ìnoròn';
Allura ho ditt ira mèi — ^ ab qiAsl-P ò iroop:
E su ila mi^radéla Insi a gattón».. ^ '
Già s' era Insima ^ tèe , già scaValciva,
Quand al balòss col sgriif al dm pattnava.- .
Ad gionta én clii tré nott che una si vetta
La vegna siU me tèe a fin sintì ; '
E a mezza noti fin gait pégar al a* metta
Sènipar par contra* air usa a sgnauli.
I m^ han coppa M cagno clil gin dia stretta ,
Che senza '1 musardr T'era sorti;
Insuma a compi r òpra alter n' agh^ vòr-
Che a daglr una creppada mèi- da cor !
Sii arlii mèi nA § h^ I avriss 'nane par la meni ;
S' fudiss In t' i tè grazi , o beli tesòr ;
0 giù Ja mandarév tranquiilamènt '
Par r amùr tò , d** ogni dlsgust ristòr ;
Ma appóni pfir quèll apreizam'continaamènt
Am' par che tutt al mond ma canta in cor :
O Cicehiu Ci* a fel cìd? e$* a voi spera?
Fomissla tm pò na poiia; e iasil* onda!
Sì l' è vara 'd fornita sta galèra ,
E toro da sti supplizi , e M sta parsón ;
Gh' ho adòss tùli i dia voi In manera
Cile fèna I stèli am' nègan compassión :
in t' al so lazz Amùr , pur trop r è vera 1
T' ài m' ha iiigarbià polìd come un mineién ;
E par llbràm ad tùt^, e fati contenta ,
Impagnarò da Sécca (i) che spaventai
E parche' 1 so, che a furia M gnltt pr' 1 pè
Ta son già in quèll sarvlzi , e m^ r ài giura ,
E so anca sì i mascògn eh' ai semfir^ adré
A fàm dappus i spai , par fàm dana ;
Ma son risoli par quasi un ceri mastè ,
Un cèri boétèl da tègnam prepara ,
0 là 'd Paso andà insima dal bastión
E cacciiim giù in t' ài Tsèi a tomborlòn !
Pò dop, s' am^ supplì riin ^ vdi no vess miss -
Alia possión fò 'd porta Sani' Ustèoa ;
Sia sul sente , eh' ai' tègnat sèmpar Qss
Quand eh' ài' ve al tò giardèi sira D matiéoa ;
ione.
hM PARTI teOOROA.
E par fa che Idtt sappian i me sfriss ,
Voi che in pavéa sia aeriti e in pietra Céna ,
A esempi de chi resta e a me oonfòrt.
La storia dia me vita e dia me mort
Ve donca , o Gattrioéi dal ferr da pra ,
E concédam l' onùr dal fùneral ,
S' aV trdvat il me cdr anmò infiamma »
Ta preghi col tè giaxi da rifrescal ;
In tìiuL féi ta preghi 'd cariU ,
Sto brutto fog salvadag da smorxal ;
Ve donea a oonsolam , fum pu paròll «
Refilam fin beli culp tra crappa e coli.
Addio , glardéi , addio , piant , erb e fiur ,
eh' si stit '1 me sostègn, la me passión !
Se féna M del r è surd al mò dolùr «
E '1 vo eh' fornissa I di in costamaiiòo ,
Par sti quatir' tws v' a cerch l' ùUim favùr »
De lass&i riposa chi in t' fin cantón.
Già a spron battfi mèi curri al mond dadla ;
E par sèmpar v' a torni a saluda ! ! l
In stu mdd il strillava 1 nos Cecchin ;
£ fui^ibónd V andava par eupass ;
Ma vist eh' t' era tropp dar » prima fin aognin
L^ ha vorsfi fa , cardènd da ristoriss ;
Oasda eh' l** è sUt, pensando gh fin farguin,
L' ha riflettfi , eh* ai fava fin gran brfitt pass ;
E in fél di ount 1' ha dit : Oh gandionàn,
Aangia» e beva, o Ciechin, e mài pa»$ión!
i8S3. Per ùltimo, onde pòrgere al lettore anche un Saggio
delle poesie del miglior poeta onde si gloria la musa' ticinese, 0
dal quale deplora la pèrdita recente, soggiungiamo un Sonetto
che il professore Sirof Carati dettava nell'occasione in cui, dopo
lunga vacanza della cattedra episcopale di Pavia, vi fu innaliilo
Monsignor Tosi.
A Mohsnir Tus rdsc (id Pavia,
SoFfATT.
Quasi tutt in sconqoàss in mez a Dséi ,
Senia ne ram, né corda, né timón.
Già r andava a fius futt in V on bórón
Al pòvar baroé vè| ad san Siréi.
MAUrri «IILIAlfl. PARTB SECONDA.
«Bl
Vii, Monsiùr» con coràj agh' saitè dréi,,
E in quàlar colp, taf! al tire sul bon ;
Vii drlzxè 1 gamb ai can , ma guardiv "bel !
A gh' è di barcaro sóiòp e volpón,
eh' 1 pela Poca, e la fa no erida;
Ch' i gh' à la scróva al l&g , eh' 1 gb' l' ha in t' i tSnn ,
W i è prìór framassón , bosàrd e fra.
An"* pie parer da tiiU stl poHgann,
Ch^ av' basaràn par dàrv^ ona sgagna;
8' ad nò, la barca r andarà a piilaon.
CAPO VI.
Bibliografia dei dialetti emiliani.
Bolognese.
cr Intricati. Favola pastorale di Alvise Pasqualigo. — Venezia, per Fras-
Cesco Ziletti, issi , ia-8.® In questo componimento poètico P autore intn-
dusse un Graziano che parla H dialetto bolognéte, ed un Calabaza ek
parla lo $pagnuolo.
Opera nuova, nella quale si contiene il Haridazzo della bella Bmnettiai^
sorella di Zan Tabari, ec. ec. Quest'opera; come accennammo nella bibUè'
grafia bergamasca, comprende fra gli altri linguaggi anche il botognett^
Fu stampata ih Venezia, per Bastiano e Giovanni dalle Donne , sema diti,
e ristampata in Brescia, nei iisss.
Grazianp. Favola boschereccia in versi sciolti. Padova, per Giovanni Guh
toni, 1S88, in-8.** — - Venezia, per Gio. Alberti, isae, in-8.® — Ivi, per
Giorgio nizzardo , leos , in-is.° — Ivi , per Lucio Spineda , t esi , in-it.*
Banchetto di Malcibati. Comedia in terza rima deirAcademieo Itnsio
( Giulio Cesare Croci), recitata dagli Affamati nella città Calamitosa^ alli i*
del mese dclP estrema Miseria, Tanno dcIP aspra e insopportabile Neees-
sità. — Bologna, per Fausto Bonardi, issi. — La stessa , in Ferrara, per
Vittorio Baldini, leoi e teos, in-8.® — Venezia, per Sebastiano GoaUi
1608, in-8.**
Il terzo libro delie Canzonette a tre voci di Adriano Banchieri Bolognese,
Intitolato : Studio dilettevole nuovamente con vaghi argomenti e spasse
voli intermedi fiorito dairAmfiparnato. Comedia rusticale dell'eccellenttaiae
Horatio Vecchi. — Milano, per T erede di Simon Tini, e GIo. Fraacato
Besozzi , 1 600. Ivi gli attori parlano e cantano in varie lingue e diakttii
vale a dire, in italiano^ spagnuolo, bolognese, veneziano, bergwmast», ^
in un gergo bizzarro iUiU^-ebraico.
Fileno disperato. Dramma di Guidiccione Luccheslnl di Lucca , recitato
Tanno leoo in casa Bentivogiio di Bologna.
La Primavera in contesa colTAutunno. Dramma di Melchiorre Zoppio
Bolognese, recitato nella villa di Budrlo Tanno looo.
Il Capriccio. Favola boscliercccia di Giacomo Guidozzo da Castel FraiKO,
nuovamente data in luce da Lodovico Riccato da Castel Franco. — Veaeiiai
DIALBTTI BMIUANI. 455
per Giacomo Vincenti, loio, in-8.^ Fu ri<fainpa/a pure in Venezia da Ales-
sandro Vincenti , nel lesi. Fra gli inierlocuiori di quaio componimento
poitieo trÒHUi un Graziano che parla boloqnue.
Il furto amoroso. Comedia in prosa cogli Intermeiai, di Camillo Scali*
gerì dalla Fratta. — Venezia, per Giacomo Vincenti, i6fz, in-ia.^ — Bre-
scia, pel Fontana, less, io-it.''
Comedia recitata nelle nozze di Blesser Trivello Fornanti e Madonna Le-
sina. — Ferrara, per il Baldini , t ais , in-8.*
H Politico svergognato. Dramma di Heicliiorre Zoppio detto il Caliginoso,
recitato nella villa di Budrio, Fanno I6i7. .
Questione di vari linguaggi, di Giulio Cesare Croci. — Bologna, i«i8.
QuezV opùscolo è in versi, quasi in forma di diàlogo, ove un Bolognese ré-
cita alcune slrofe nel proprio dialetto.
I Falsi Dei. Favola pastorale piacevolissima di Ercole CinHlotti Estuan-
te;— Pavia , per Giambalista Rossi, leie, in-is.'* — La stessa, Venezia,
per Alessandro De Vecchi, taso. Fra gli interloeulori Graziano parla il
éiateiio bolognese.
La Catlèina da Budri. Comedia in prosa di Adriano Banchieri. — Bolo-
gna , per Bartolomeo Cocchi, leie , in-8.® La stessa fu ristampata per gli
eredi del Cocchi, nel I6S6.
L* Urslèina da Crevalcor., ovvero TAmor costante. Comedia In prosa di
Adriano Banchieri. — Bologna, per il Cocchi, taso, Ìn-8.*
Lamento de* Villani fatto da loro V anno che andò il bando che si por-
laMero tutti gli schioppi alla. munizione {di G, €* Croci). — Bologna, per
Bnrtolomeo Cocchi, teso.
La Minglièina da Barblan. Comedia in prosa di Adriano Baneliieri. —
Bologna, per il Cocchi , tesi , in-8.®
La T^ia d^ Bart>a Poi da la Li^Tadga fatta dal Cavali , di Ginlio Cesare
Grod. — Bologna, 1681.
Bl Non dia ìliclina dèi Verga con Sandrell da Blontbudell, di Giulio
Getare Crod. — Bologna, per Bartolomeo Cocchi, isti.
Lassato, ovvero Donativo che fa maestro Martino a Catarinòn, di G. Ce-
Crod. — Bologna, pel Cocchi, leai.
La gran Vittoria di Pedroiino contro il dottor Graziano Scattolone , per
delia bella Frànceschina, di Giulio Cesare Croci. — Bologna, pel Coc-
chi, ioat. Alla fine della Barzelletta sopra la morte di Giacomo dal Gallo
iràvasi tm- Diàlogo in lingua rùstica sopra la morte dello stesso.
O Scaeciasoono, Testate all'ombra, e P inverno 'presso II foco. Opera
«netta, morale, civile e dilettevole di Camillo Scaligeri dalla Fratta. Cu-
riosità copiosa di novelle, rime, motti, proverbj, sentenze, proposte e
risposte, con vari Bagionamenti comid. — Bologna, per Antonio Maria
Magnani, teas , in-a.® — Venezia, per Angiolo SaKadore, 16S7, ln-iB.*
Qitesio libro contiene una Comedia, nella quale si parlano varii dialetti, e
fra qyesti il bolognese.
fìtlH PARTE SECO?IOA.
E con lutt qua»t V gh' è cor lei da sbcflani ,
Da guardàip io bariùsc, fam al grcntòn!
Obperdjndo! si* òl fall, da mcrilam ^
Tanti dasgàrb, sgrògnàd, e mila arbgnóa?
Degnai alniànc pu srena da guardam.
Da fam un pò 'd bocchin , oh sanguanón !
Se d' no già crcpp sicùr dal gran dolor, '
E anso! la resterà con tànl amor!
No V gb' avare pu un ànma , cradem piir ,
Ch' ar porla luti i fcst ài mazzo W flùr ,
0 che sulta alla fnestra quand r è scur
Ar faga ! serena coi sonadùr ;
0 quand àr gh' et in Pori 1 fruì madiir,
0 eh' vcgna la furgà di nos lavùr ,
Propri ansò! n^ agh^ sarà eh'' ar daga min ,
E V toccarà a slruziàt li come un can !
Donca ajutam, fa prast , làssara pù inceri ,
Prima eh' vaga dal tuli denlr' in i' la busa ;
Ma già r è propi un predica al desèrt ,
eh' n' al' vò senti pregbiér, rasón, né scusa»
Fa pu tant V ùstnnà , Linda , e sta cèrt ,
Che mèi V mincioni no, coropàgn già eh' a' usa;
Dàm doma un' oggiadéna e pò s' ai' por ,
Nega dal pòvar Gecch ài crappacor. —
T* al giùr , che par il mòri , e' s' fo bosia ,
Vorréy m5vam mai pù da sto post chi ;
Vorrcv che ci' àllr al gniss a portam via;
D* avègh mai pu '1 gran bèi da vodat ti.
Già son giamo d' dù iodrìlt, propri un ombria;
GuardaìD , ai' preghi , e prast , fàm pu .pali.. .
Doma lin' occià la cerchi , o '1 me folèii ,
Pò ti raro conlèot , s' al' vò , i calzctil
I son quattr' ann chi adàss a^anlospèi (i),
E gh' ò U laceuin in meni beli e stampa ,
Che dai tò bei /attèzz, cara Lindèi,
Son resti come 'n mèrel ingarbià ;
E m' s' è tanto ficca in t' al cor. quell spéi,
eh' am' trovi anmò bi^lùrd , oca incanta ;
Da quèll moment féi dess , o car Signùr !
!S' al s' è paslà un fargiìi quell gran dolùrl
(1 ) S. Spiuu è una reliquia serbata in Pavia, e che per antica pia credensa ai venera come
(larte i\v\h Corona di spine di G. G. Ogni arino vi si coosacra la seconda Festa della Pm*
iccoslr, nella quale viene portala in solenne processione. Il ^loela soìlituì opportunamente qoc*
«t' r{ioia cirlebre presso il pòpolo pavvat a quella dvirAaccoMOM indicala BclI* origioale.
DIALETTI BMIUANI. 45^
Panie degli innamorati. Dramma recitato Taiino itfss nella villa di Pcr-
cetlo; e Tanno I04e nella villa Malvasia di Panzano.
Il BaUibecco delle lavandare, di G. Cesare Croci. — Bologna^ leso. In-
mindia con un Sonetto in tingtia italianaj del quale la coda è in dialetto
Lt Nlclosa da Mnirbi , di Fulvio Gbcrardi) detto jlcqua tepida, — Boto-
la» per il Peri, f640. •
Amorosa Costanza. Tragicomedia boschereccia del conte Andrea Bar-
ila. — Bologna , per Giacomo Mónti , 1 046 , in-4.®
Lo scudo di Rinaldo, ovvero lo Specchio del disinganno. — Venezia ,
UO, In-is.*"
La Bernarda. Comedia rusticale di G. Cesare Croci. — Bologna, pel Fer-
•I, 1647. — Ivi, iott4. E questa una versione dall'originale italiano del
tUe Bidolfo Campeggi,
AmainU scliiavi. Comedia ridicola; o piuttosto capriobioso ghiribizzo di
ancesco Miedelcbini Academico Ritirato, -r Orvieto^ per Rinaldo Ruli ,
01, in-is.^
Dlalogogia, ovvero delle cagioni e della naturalezza del parlare, e spe-
ilflMnte del più antico , del più vero di Bologna; di Qvidio Montalbani. —
ilogna, per il Zenaro, lòtts.
Cronoprostasi Felsinea, ovvero, le saturnali vindicic del parlar bolo-
eoe e lombardo; di Ovidio Montalbani. — Bologna, per il Zenaro, t eoo.
I Disperati conienti. Comedia piacevole di Gratto Vecchi. — Bologna ,
r CarrAntonio Peri) ietf4, in-i2.'*
La Tancia di Michelangelo Buonarroti voltata in dialetto bolognese dal
aldo Academico Dubioso (A. Banchieri)^ che la intitolò la Togna. —
legna, per Giacomo Monti, I6tt4, in-B.**
II Vocabolista Bolognese, nel quale si dimostra il parlare più antico di
legna lodcvolissimo ; di Antonio Bumaldi {Ovidio Montalbani), — Bolo-
By per Giacomo Monti, teso, in-is.® Questo libro comprende le due òpere
niovates eioè la Dialogogìa e la Cronoprostasi dello stesso autore.
Il Villano ladro fortunato. Comedia in versi, in lingua rusticale, di Giam-
tlota Querzoli. — Bologna, per CarFAn tonto Peri, leoi. Fu ristampata
l Muecoii e dagli etedi del Pisarri,
Ea Pluonia da Castiun di Peppl. Comedia rusticale di Fulvio Gherardi ,
ito TAquatepida. — Bologna , iggs , in-is.''
l'eia da veira e sudèzz burlèvol. Dscurs murai, tant curius quantesem-
Tg eh' tratten del vivr al mònd, perchè an' s' vaga al profònd; di An-
ito Maria Accursi. — Bologna , 1064.
4A Pirlonea. Comedia scritta ne' dialetti bolognese , bergamasco, napo-
ino e veneziano da Lazzaro Agostino Cotta. — Milano, leeo. — Ivi, itob.
4A Regina Statista {Elisabetta) d'Inghilterra. Comedia in prosa di Ni-
h Biancoletti. — Bologna , per Giovanni Recaldini, leeo, in-it.®
fi Villano nobile. Comedia rustica -civile di Cesare Ventimonte. — Bolo-
Ito PAKTB MOOHD*.
Se a mèi V vò do dà féd , va pura a insplii
Ai lo camaradÓQ che sta a San Loca ;
Lur , che in giardéi m'a vodan tla tutl'i ur,
Ta diran a^ fo pu piàn^ , o pù lavùr !
Da uh facciotòn che s' era e un mattùtéi ,
Adèsa son gnu un arlùc , un grataeu ,
Pussè stria dal bust ad Cattrinéi (i):
Sti lavar smort, e sii oé fondu fondu
Ta fan vod ciar e nàti al'mè dasléi,
S^ ar gh' a cOr , o balossa, *ù sta apmò su ;
Ma quand che V am' vadrè pò in V al barlón ,
Ar dire , ma par gnint, — r iva rasòn.
Uh 1 maladòtt ! ma a fa cm' ai' fé la cagna ,
Nò , lo madra sicur t^ ha no baili ;
As^ dirìss che una' luva da montagna
0 una tigra ancasi V ha partorì ;
E In r un quài bosc o in mezz a na campagna
1 zingur 0 I strión t' ban istruì ;
E che una vipra, o quaich^ alter sarpèni
T han dati luti ^1 so vléi par me torméni.
L' è già un per M tcmp però , eh' am' son accori ,
Ch' al' fa gi6 i bùsch Lorenz, e eh' al' gh' 1* è lo vfa
Fors. parche l' è pu slur , e U gh' à un beir òri ,
E d' fèsU 'I gh' à n cappèl ala Carlista!
Ah 1 s** àr gh' vo bèi par quasi, V fèt un gran lori ,
Che in t' i siorii P amar no fa consista ;
E un (Io sincèr , un pasllssòn son mèi
Con beli al cor, s' V è gràm al marsinèi !
SÌ eli' ò mangia la foja, e fò 'I mlnciòn
Par vod un pò sV intrigo com al va ;
Trallani sto ehi quaò qua£ , da galt-mainòn ;
E son al seti da cupp par fati gHigà;
Ma se quaiddi vo plàm stu beli boccòn,
Son quel muso , t' al giur , da fall cajà 1
Che a vodes la polpatta a lo fo 'd man ,
L' è roba 'd dasbattzàss , da dàss a Gian.
E guarda af fallo tò ve a dim bósàrd ,
0 eh' cerchi di rampèl par torna indrè ;
eh' r alter giùren col sul insi gajàrd ,
T ho visi a fa alla fncstra un va e ve.
Par doccia quii zuzù , che come H làrd
A gutt a gult al rdeslenguava adrè ;
E se par cas s' er no con tò f radei,
T' avrissat vist che futta , e che sfragèl 1
(i) Lu KbdeUro dtUa Morie.
bULBTTI EMILIANI. * 457
da Zorz Buriintòn ( Geminiano Megnani ) poeU |M)c accori. — Ferrara ,
per il PomafelUy.iees, in-s.'* Bìstampato in iiologna nel 1690.
V arvèina d' Troja, ovèir al brusainèinl é* Burtlèin Maiusavàcc fllatuiir,
d^ la otUva rema al cónta la so dsgrazia e '1 miseri di Trojan. Cun la
frèisa d^ Bnda, e altre coss del guerr'tra i Cristian e i Ture {di Gemi-
niano Megnani). — . Ferrara, per il PomatelH , tese , ln-8.® Bisfampato
in ^ìlognay nei i69o.
intennenl fra Undurèin e Sandrèina. — Bologna , per il Pisarrì, senza
l'anno (tese).
L*Aailcamera di Don Pasquale. Comedia del dottor Ranieri Cenci. — Bo-
laina , per Gioseffo Longhi , 1 6.00 , in- 1 s.*^
lA Sdegno superato da Amore. Opera del dottor Ranieri Cenci. — Bo-
logna, per Gioseffo Longhi, leoi, in-ia.*'
ÌM. lèlsna novamèint aguizà dalla so nobilessima cumpagni, e j» fundà
In Bologna , purtà in ottava rema da Geminiano Megnani. 7- Bologna, per
la Blamperìa camerale ,1698.
La Bemarda. Dramma di Tommaso Stanzani. — Bologna, 1094.
. GC' Inganni amorosi scoperti in villa , 0 sia la Zanèlna. Scherzo giocoso
di lieiio Maria liandi , in versi bolognesi , rappresentalo T anno leoB nel
teatro Formagliari di Bologna.
Povertà sollevata, ovvero l'Invidia abbattuta. Opera in prosa del Do-
rfglata. — Bologna, per gli credi del Santi, leoe, in-ia.**
La Zelida. Dramma <li Tommaso Stanzani. — Bologna, leoe.
; U principe più reale, che amante. Opera in prosa del Dorigisla. — Bo-
logna, per gli'credi del Santi, 1696, in-is.® — Ivi, per il Plsarri, 1780.
La finta verità nel medico per amore. Comedia di Fabrizio Nani. — Bo-
logna, 170S. Fi tono parlati i dialetti bolognese e bergamasco.
Rimedi pr la sonn da lèzr alla banzola. Dialoghi sei di Lotto Lotti. —
Milano, 170S. — Ristampato in Modena nel i704,in-4.'', e nel iti 8, in- 18.",
.per Bartolomeo Soliani.
I Litiganti. Opera salirlcomica di Girolamo Gigli. — Un pazzo guarisce
Taliro. Comedia dello stesso autore. Jtnbedue furono stampate in Venezia,
sei €704. f^j seno parlati vari dialetti, fra i qtmli il bolognese.
.. La Berparda. Comedia rusticale di Giulio Accursi. — Bologna, I70tt.
Chi .finge amore non può durare, ossia Tabarino affaccendato e deluso
In amore. — Bologna , per il Longhi, 170IL Ivi il dottor MalijMrdine e
Tabarino parlano bolognese,
Arminio. Poemetto drammatico di Pier- Antonio Bcmardoui Bolognese. —
Bologna, per ii Pisarri , 1706, in-8.^
La sala degli incanti. OpcradiManastaSottoginio(7\>maio«S'anto(|ro|//ni). —
GreoK>na^ stamperia Ferrari, 1700^ In-is.**
n geloso di se medesimo. Dramma pastorale per musica di Pier-Antonio
Bemardoni Bolognese. — Bologna, per Costantino Pisarri, 1707, iu-o.**!
II marito confuso. Dramma recitato in Bologna in casa Calderini dagli
AcademicI Costanti, Tanno 1708.
khS PARTI UOONDA.
Dispona dil faU Die a tò votooli ,
Ch' 800 pniBt a fati tfilt quel eh' at' piai a li ;
Ma fio patti sul t' à fo : lassa qoeir ilter.
Dal rest gh' o pù M ItaMì , e n^ oceór alter..
6h' ò un storn ad colombèra M 4rédes més ,
Le\'a propi a boocòo , e seoa visi ;
Doma a guardig h bsògoa resta sor prés
Pr' i ciacciarad eh' à fa , prM so maUst;
Appena eiàr , e prina d' aoda a vés
Ài db tre ^-oll : Undàm, fi giOdixi.
CJi* è do conili ansi bianeh cooiè lalt ;
E un passarél eh' al giòga féi eoi gatl.
SU ineal , vultra al resi» doma par ti ,
O cara la né gioja én destina ;
C inseoia 'I cor vorrév mandai ansi ,
Se II ', birba, 'a V am' V maA già sgrafgni ;
So bei eh' al par ùo criM tùlt feri.
Che par giuslàl gh' à ansòl la incolla ;
Parche ti sola t^ gh' et , o marcandréna »
Quèll tal siròtt d'amor, chi tal madséna.
Ma già capissi , t' gh' è nane par la meni
Né mèi , né i me preghiér , né i me regal ,
E 'I so, che n'«r sospirai che 'I moment
Da vodam a fa pùlvar pr' i bocca! ;
Se quàst 1' é luti al mai eh' al' dà torménl ,
Son proni a sodisfatt , a tòt di guai ;
E insi V gh' avré pu H Idi dei me pUitfi ,
E t' smorfiaré con cV altr in libarla.
Che se certi prelud' i fàlan no,
A sbertim prà^t siciir vegna 'i me loti.
Stu Sàbat Sant di vidi colùr ponzò
Ho somnà in tal mezzdi propri al prlm boti ;
E gnìvan su tùt dupi e com' i fò ;
Quand diti e fati son resta lì 'd pancòtt ,
Che una tam pesta grossa pù che i sass
M' ha Iralt e vidi e vàs tutt in sconquàss.
Sr aprii intani eh' andava inxà e ina
A pianta giù ai me post e i erb e i flur ,
Gh' ò vùd anch' in.V i cosi una sassa,
. eh' m' é mori iq quindas di tùli 1 miglior ;
I zett già prés, o pass , o marina ,
Péna i leànder m' àn fala anca lur.
E a me madra la ciozza col galatt ,
Gh' é stai sgrafgna Jarsira da un falchàtt.
\
mALgrri bmiuani. 4K9
'taitro di Pier-Jacopo Martello bolognese. — Bologna « per Lelio della
olpe, n^éf in-8.^
Et' dsgrazi d^ Bertuldèin dalla Zèna , miss in rima da G. M. B. (Giuseppe
Ihrta Bovina) Acadèmic dal Tridèli d' Bulogna. — Bologna, per Gosian-
ino Pisarri» 1736.
Al mèdie faxil» o sia un rimedi squasi a tuU i mal ini va dal Grovaloorèis
er dlvertimèint dia banzola. — Bologna, i738, in-is."
flnergolamento, o sia Plantuori eh' fa la zia Tadia'del barba Salvester
a Tinun» quand Sandrin so fiol andò alla guerra r alter de. — Bologna,
b1 Plsarrl, i7S8. Questo componimento è di Giulio Ceware Cruci,
n festino del barba Bigo dalla Valle (di (?. C. Croci), — Bologna , per
PiMITi, 1788.
La Simona dalla Sambuca , la quaie va cercando da filare in Bologna ,
[ 6. C. Croci. — - Bologna , pel Pisarri.
Vanto di due villani, cioè Sandròn e Burtlèin {di G, C. Croci). — Bo-
fna , pel Pisarri.
Ciaocaramenti, viluppi, intrighi, travagi e cridalesimi , che si fanno in
alOfiia al tempo delle vendemmie, di G. C. Croci. — Bologna, per il Pi-
mL
loflMil, intrighi) ciaccaramenti che si fanno nella contrada del borgo
, Ffotro 6 del Pradello. — Bologna, per il Pisarri.
La gran grida fatta da Vergòn dalla Sambuga, per aver perso rasino
al aoo patrone. — Bologna, per llVPisarri. Quato lèpido componimento,
H pari che i precedenti, è di Giulio Cesare Croci, e tutti tono icritti in
ugma rùstica òolognete.
I dagraxi d^Bertòld, d' Bertuldèin e d^ Cacasènn. — Bologna, i7S8,
1-4.® Quetti tre poemetti furono tradotti dalV originale italiano, comune-
MOUe attribuito a Pompeo Lizzani, in ottava rima bolognese, per cura
flit due sorelle Teresa ed Angiola Zanotti, delle sorelle Maddalena e Te-
ma Manfredi^ e di G. Gcu!tano Balletti, Furono ristampati' per Lelio della
olpe, a Bologna, nel I740, in tre voi, tn-8.^
Là Fleppa lavandara. Cumedia nuvessima in lèingua bulgnèisa. — Bu-
fila, In V la stampar! dèi Lung, I74i , in-ia.®
La Ciaqlira dia banzola, o per dir mèi: Fol divèrs tradotti dal parlar
ipolitan in lèingua bulgnèisa , per ridiedi innuzèlnt dia sonn e dia ma-
■eani. — Bologna, I74s. Qwsta versione daW originale napolitano Cunìo
s U Ganti è òpera delle sorelle Manfredi, e fu ristampata in Bologna, per
ispare de^ Franceschi, nel isis.
Yéta dia Zé Sambuga nata in t^ al cnuin de Diol , cun la nasslta, véta ,
laièss e dsgrazi d' Zé Rudella so (loia. Bologna, 1 743 , in-8.® Sono sei Canti
i ofÉOKHS rima d'anònimo autore,
V ignorante presuntuoso. Gomedia in versi di Pietro Zanotti Cavauoni
liognese. — Bologna, per Lello della Volpe,. 17 43, in«8.®
La pmdenia nelle donne. Comedla del Dorigista. — Bologna, 1748. f^t
no partati i dialetti bolognese e bergamasco.
460 PARTB SECONDA.
Invìd d'un dultòur bulgnèis al barearòi vcnczian eh^ prumess d' far wu
canzòn pr d fclìzessem nozz dèi sgnèr còni Jachcm Marùll cun la agnèn
cuntcssa Camèlia Boccadferr. — Bologna, per il Plsarri, I7ss.
Gii sposi travestiti. Comedia di Jacopo Angelo Nelli. — Siena, perii
Rossi, 17511, in-is.**
Matilde, ovvero, li tre fratelli rivali negli amori deirincogniUi sorella.
Opera in prosa. — Bologna, per gli eredi del Pisarri, semaruiiiOy iiii^t.*
Poesie italiane del dottor Giuseppe Pozzi. — Bologna, tvt4. M iròmui
tre joanzoni in dialetto òolognescj due dette quali di D. Giulio BtmtU, si
una del Pozzi.
Al triònf di Hudnis pr una seccia tolta ai Bulgnìs. Poema ridécol 'Ini-
porta in lèlngua bulguèisa da un Academic dèi Tridèll. — In Mtdna, iffVf
iii-4.** Queelo "poemetto è la persiane della Secchia rapita dai Tìa$Moni,
Bacco in Toscana, di F. Redi, con l'aggiunta di CL brinditi, ee. In et*
lava rima di Tirsi Albeno. — Venezia, itti. I9i tròootui quaiira brimMti
in dialetto bolognese. ,
L^Asnada. Poemòtt del sgnèr Clemòint Bondl tradott d* In Tuein li
Bulgnòls. — Bulogna, S. Tmas d'Aquèin, i77S. lYe canti in olfcNW rima
di éinnibale Bartoluzzi.
Rem d' Zambatesta Gnudi da BuIògna, dedica al dllettani d* lèingu
bulgnèisa. — Bulogna In V la stamparì d*s.Tmas d^Aqnèln, ivi«.
Poesie di Giuseppe d'Ippolito Pozzi. — Venezia, i77«, ln-8.* NHItn»
volìtìme di questa JUaecolta iròvansi ite Canzonette in dialeUo òplogmm$.
Cun più l*è rotta, la s^ cnnza mèi. Ikitermezz. — Bologna, itts.. In»!.*
Pr la mort del sgner dottor Francesch Zanott e dia duttoressa Lmui
Bassi. Poeside Francesch Longhi e d'Anibal Barloluzz. — Bologna, 1781,
ln-8.*
Poesie d'Annibale Bartoluzzi. — Bologna, per Lelio della Volpe, liti.
Li Cittadini Bolognesi all'invitto generale Bonaparte. Sonetto. — Boll-
gna, pel Sassi, i7oe. ^ .-
Sunet con la co , rezità dal ztaden Rampon al zirquei coaliloiiunal 4*
Bulogna, In arsposta dal Sunet d^ Cesarei, compost da veni itadeniia
Sciga in t^ al magazzen, Tultma sira d' camevaL — Bologna, pr elsUap
dal Geni dcmocratic, 1798.
Sunett al merli di g^tilessm spus nuv, la ztadina Teresa dal Ho e si
ztaden Juseff Cursen. Sonetto segnato G. M. C«
In lod di^ apparai fatt da Santèin Burzi lardaròl dal Casal, al glovedé
sani dèi I807. — Bologna, per Masett.
Lunari bulgncis dal gran duttòr Balanzòn Lumbarda pr I^ann 1887.^
Bologna, pr al stamp dal Sass.
Lunari bulgnèis dal gran dutlòr Balanzòn Lumbarda, pr Pano Mwtti*
1808. — Bologna, per il Sassi.
Ai sgner Zvann Avon cif s^ aggroppa in matrimoni con Ur sgnert l^
Guglieri al meis d'Liii dell' ann 1889. Sonel con la co. >— Buloioa, prel
stamp dal Sass.
DIALETTI BMILIA.1I. 46 i
Pr el matrimoni del sgnotir Marcantoni llalvasj cun ia sgnoura Marj
fiora. Suiièt de Don Juseff Zarapir. -* Bulogna , i soo.
Pr el nòti del sgnour Jusfln Guidalott e dia sgnoura Rachlina Malvasj.
Beilo §Uuo autore.
Dods Sunett fatt pr la mort de Sabast Taner, de Don Juseff Zampir. —
Boloffittj isii.
fttameiit d'Zanin Brandoli dett Zanin dagristori. -^ Bologna , in V la
lUmperi dia Clomba.
Sunett per la Solenn proeession general del ss. Sacrament per la parroc-
ckfai d' san Gregori, ec. de Camill Maccagnan. — Bulogna, iSts , stamp.
dift Clomba.
Vocabolario Bolognese-Italiano di Claudio Ermanno Ferrari. — Bologna,
IMI» in-s.*
Bonetti vari di D. Giuseppe Zampierl — Bologna, loai.
All^egregto preelarissimo giovine signor Pietro Bigalti, cui viene confe-
rita U lanroa dottorale in chirurgia nella -pontificia università di Bologna
1 luglio ISSI. Sonetto in lingua italiana e in dialetto bolognese di Luigi
IodUIU.
Serudèli sclèlti in lengua bulgnèisa da divcrtirs In t* i dsnar e in T e
ara al Garenval, dedica ai dilettant Zerudièsta da BoniCaii Cadoas. —
Magna, itti, in la stamp. dia Clomba.
Rtecolta di componimenti in dialetto bolognese. — Bologna, per Ric-
lltsi, fltt7. Qu^ta raecolia, che doveva ònere ripartila in dódici
i, fk iHeomùteiata tolto la direzione del Ferrari autore del Vocabo-
trio bolognese , ein dal 1897 , in cty' venne in luce il I volume, contenente
kologna travaià dal guerr zivil di Lambertazi e di GeremL Poemctt scher-
èvol in Qttava rèma, e in 7 Cant, di G. G. C. {Gregorio Conte CaioUy
feW anno euecessivo tate /ti publicato il II volume» che racchiude EgrOper
l*Lott Lott, purgate dalle mende ortogràfiche delle anteriori edizioni di
%nMa« Modena, ec. Quindi V edizione fu soepeia, e solo nel issa venne
tmiinMiata $ino al voi. FU inclusivo. Il HI racchiude Egr Oper d' Fran-
èMh Mari Looghi; il ly» Varii puesi d' divers, e zioè d' Gnudi, di du
OBghi, d'Annebel Bartulozz, d'Benfna% d'Tartaja e d' Ferrari; il V, Al
•entameròn dfzuan Aléssi Basile, o sia cinquanta fól detti dadildonn in
enqu giurnàt. Tradazion dal napuletan in lèngua bulgnèisa. Seguita a
bU al VI ed anch al VII volùm , dov s' attrova anch El dsgrazi d' Bertul-
èin dalla Zèina d' Zèiser Cròus. — Bologna, tipografia di s. Tommaso
'Aquino.
Progetto d'ortografia bolognese, d*un Accademico del Tritello {Il prof .
K Gio, Boti. Fabbri). — Bologna, 182 e, per le stampe del Nobili.
Voeabolario Bolognese-Italiano, colle voci francesi corrispondenti , com«
iMo da Claudio Ermanno Ferrari. — Seconda eduzione in-4.® Bologna ,
ptgraBa delia Volpe, iosa.
llHenraiiòn zelest fatti dal Dullòur Truvièin souvra Pann 18S«. — Bu-
h6^ P\Kn SBC0?IDA.
logna, dalla statnpari dal Sass. Già da alcuni tèeoU si pùMicano AUmmu*
chi con varie poesie e prose in dialetto bolognese, sicché sarebbe toverdUa
ed inùtile impresa il citarli ad uno ad uno. Quelli del Dottor Balamòn Lom-
barda e del Dottor Tnivlèin sono tra i più antichi e più aeereditatt, lièi-
Panno i84t fu instituita in Bologna una società di giovani timdioei pel
miglioramento de'patrii Almanacchi, e negli anni successivi gareggiànm
tra loro le due Società del Vecchio e del Nuoto Tm^ìèin, inserèndaeiegni
anno scritti di pùblica utilità su vari argomenti economici, igiènici, «e.
Bastino questi cenni per ciò che spetta agli Almanacchi,
Canzon per brusar la vecchia a mezza quaresima. — Bologiui» fstr,
tipografia della Colomba. Fbglio volante. Questa Canzone hamoUaeeiebrtA
in Bologna, o^ parecchie persone la recitano a memoria* La pàbUca ipf-
nione l'attribuisce alle sorelle Manfredi; tutti gli anni se ne fasma mm
edizioni.
Quanto alle poesie volanti e d* occasione, sono pure in nùmero eesuUs
revoie, epecialmente quelle degli ùltimi anni, sicché troppo Ismgo MnNf
r enmneraHe partiiamente.
' ROMAGSIOLO.
ftueeico Piero da Faenza. Comedia nuova stampista In noreua ai
istanza di Ealdassar Faentino sul principio del secolo XY , lii*«.* Sei m
contadino parla il dialetto romagnolo, e propriamente il Faeniimo,
Vocabolario Romagnolo-Italiano di Antonio Morrl. — Faenza, per Mei»
Conti , 1840 , in-4.*' È questo il primo libro publicaio iniomo ed diiWtf
romagnoli, troppo negletti e sprezzati da quelli stessi die li parlane, il
Morri, nella Prefazione al suo Vocabolario, dichiara di non conòeeere •#*
runa produzione èdita in questi dialetti; nello stesso anno peraiiro vénmn
in luce alcune poesie in dialetto Fusignanese, neW òpera seguente:
Scelta di ]K)esìc italiane e romagnole di Don Pietro Santoni Fusigiiaii0c^
raccolte da Giacinto Calgarlnl. --> Lugo^ pel Melandri, 1840, in-B.* Mk
100 pàgine di questo libro 40 racchiùdono poesie vernàcole.
Poesie Forlivesi di A. G. {Acquisti Giuseppe). — ^ Forlì, dalla lipogialt
Casali, 1844, in-8.®
Mode:iese.
Contadinesca in lingua rustica, detta la Menga o Zia Tadela, fatta per
intermedio deirAminta del Tasso. Ridìcola assai e morale insieme. — Mo-
dena, per Rartolomeo Soliani, lotts , in-flG.°
Canzòa in lingua mudnèisa sovra la gran moda d^ quel femen che s^dnao-
den mezz-pataj, eh' vren tgnlr al bazìi alla barba a tutr ci dam. —In
Modna, 177«. Con licenza di supcrior.
Canzone per la ricuperata salute di monsignor Foglianl vescovo di W^
dona. — Modena (i8oo incirca. Fu scritta da un certo dottor Ferrari)-
Mille voci modenesi colle loro corrispondenze toscane. Sema ÌadleaiiiB<
DIALBTTI EMIUANI. 4<|5
veniiUL QueitQ Saggio di ^Vocabolario Modenese fu inserito in un Mmq."
iMeeo nel taso ifìcireas publicato per gli eredi Soliani, ed è òpera del vt-
«Mlt dotior Ercole Reggianini,
Reggiano.
(•ndnin da Ruvalta strolQgh modero, spernostic per Tan I730, e sac-
cetaiYi. — Reggio, pel Davolio. Questo pronostico è stampato in foglio; dal
primeipio dello scorso sècolo continuò sin verso il 1 7ao , e contiene varie poe-
ti» iaièriehe in lingua rùstica reggiana, € propriamente del villaggio di
Hipttlltt, celebre pel palazzo cke vi esisteva degU antichi Estensi. •
Le none di contado. Mascherata Catta in Reggio nel carnevale deir an-
it ivst. — Reggio, pei Vedrotti, in-4.** di pag. eo. In questa raccolta di
KMtte trovasi il Sonetto d* autore anònimo in dialetto reggiano urbano in-
mito nei precedenti Saggi.
Al Gontaden astròlegh. — Reggio , pel Davolio. Questo- Diario fu puòtì-
rato nella seconda metà del sècolo passato, e continuò parecchi anni. Con-
Mènr eticuni discorsi in dialetto ritstico reggiano.
SeÉrtalu d^Ambrosoun Sgarbaxia incoun il lunazioun, fest mobl e
deM» ee: — Reggio, pel Davolio, i7e«-i770, in-8.® Questo aimmmeooj
mMeàio pure nella seconda metà del- sècolo passato, contiene varidieeorsi
n Haietto rùstico. Nel 1771 cangiò formato, e fu publicaio inr folio*
Lanari Arsan per l'ann I82ii»99. — A Rezz, da Tursan e Comp., in-s.*
ÌUre alla prefazione in versi rimati, questo Lunario contiene varie poesie
mre in dialetto reggiano, V anònimo autore fu il conte sac. Prevosto fiocca
U leggio, morto ne/ iSsi.
Dizionario Reggiano-Italiano, -r- Reggio , tipografia Torreggiani e Comp.
test, e voi. in-8.* L'anònimo autore è il vivente dottor Gio. Batista Ferrari.
Lunari Arsan per Tann i84i-4«. — Reggio, tipografia Torreggiani e C,
B-e.* Questo Lunario, che ha per motto: E sferzo il vizio, e chi sen duol
^•ecfisa , contiene wia prefazione in versi rimati, e varie poesie in vario
miro, Vuna e le altre in dialetto reggiano. L'anònimo autore è il vivente
smònieo Ferranti Bedogni.
yarie poesie d* occasione furono ancora publicale in questo dialetto, o in
ogiietti volanti, 0 inserite in alcune raccolte.
Limarlo Reggiano iB4tf. — Reggio; presso G. Davolio e figlio. Questo
nhmneiio racchiude molte brillanti poesie vernàcole, fra le qiuUi emerge la
enione di buona parte dell' /irte Poetica d'Orazio. L'autore è parimenti il
rof. Bedogtìi.
FBRaARESB.
Traducion del caos in otava rima del plus quam perfetto dottor Gratiano
orÌMSoni nella sua lingua. — In Venctia, per Fioravante Prati, f «oe. in-4.**
Le cento e quindici conclusioni in ottava rima del plus quam perfetto
33
464 l*ARTE SECO.^DA.
dottor Gratiano Forliesoni da Francolino, ed altre manifatture e composi-
tioni nella sua buona lingua. — In Venetia^per Fioravante Prati^fiiao, io-i.*
La Pazzìa. Gomedia dì Pietro Baglianl, comico Unito, detto}!! dottor
Graziano Forbesonl da Francolino, -j- Bologna, per Teodoro e Clemente
Ferroni, 1694, in-4.®
I Prugnostich per r ann 1 75S , cumpunesl da Barba Uaureli StupplM
{jimbrogio Baruffaldi), Arzdor d' la villa d' Cona. ^ Frara^ pr al FUoa,
i7ss, in-i«.^
Piocaja Zemgoan- Stelazocc d' TArcivescovà. Sunett air EminenttaiB e
Reverendissim Prenzip lisandar Uattei di Duca d' Giov Arcivescur d'Fra-
ra. — In Frara, par i Ercd d' Giusef Rlnald. Senza dolo, ^n foffUo POlgUt.
Al Eminentissim sgnor Cardinal Zanmarlè Rlminald Patriil Frares, 8«-
nett. — E1 Marangon d' Cà Riminalda. — In Frara . 1 786 , prl Ered d^ GUnef
Rlnald. Fbglio votante,
Arnest Baluosa Marangon d* Cà Riminalda in znoch ai pie. d** V EaiMA*
tissim sgnor .Cardinal Zanmariè Riminald ch^ sta par tumar a Roma. «- b
Frara, par i Ered d' Giusef Rinald, 1780. Fogtio votante.
La lum dal manegh. — Dialoghi famigliari in lingua ferrarese eoapoiti
da Ubaldo Magri Farolfi, e dedicati all'onesta e gentile villegfialm di
Quartesana. I7i8. Sono contenuti net Ili voi, dette Opere postume di Qi-
rolamo Baruffaldi. — Ferrara, 1787, in-8.**
Vocabolario portatile Ferrarese-Italiano delPabate Francesco Nanoiai. —
Ferrara, per gli eredi di Giuseppe Rinaldi, laotf.
Al sgnor Giusef Bonlci , eh' sposa ia sgnora Lucrezia Zacco , un so cs*
sin. — Frara, da Checch Pumatdi, lais. Due sonetti, tn-s.*
Chichett da Frara {conte Francesco Aventi), Lunari nov con sturidlif
mattieri per Tann isae. — In Frara, stampa da Francese PumatelV.i>-*>*
Questo Lunario continuò ogni anno dal i 92 e sino al presente, e rocMide
motti graziosi conìponimenti vernàcoli.
Per la sulennissima lUuminazion fatta in tutta ia ciUà d' Frara,espe-
zialment alia fazzada gottica dal Dom, con Pappendiz d'una macUoid'
fogh artiflzial in unor, gloria, congratuiazion dal nov Eminentissim sgaor
Cardinal Gabriel d' la Genga Marches Sermattei Arcivescuv a^iniMflnp d'b
Diocesi Fraresa. Sunett Veniacul {di Giacomo Maria Bottoni). — Fran, da
Bresciani. Foglio volante.
1 Ptagulò d' Frara. Diàlugh in Frarcs pr al Lunari dal i84t. Frara, pir
Dmenagh Tadei. — Questo lunario/ nel quale tròvansi raechiuti ok»fù
diàloghi e Itarzetlelte in dialetto, cominciò nell'anno 1848^ e amiinwn'
nera nei successivi.
Mantovano.
Vocabolario Mantovano-Italiano di Francesco Cherubini. — Milano, 9^'
Gio. Batista Bianchi e C, I897 , in-a."*
DUI ETTI E^IIUAM. 45K
PARMIGIANO.
li Possidente in villa. Lunario dilettevole ed istruttivo per Tanno 1809. —
Panna y per Giuseppe Paganino, in-ai.** Hawi un diàlogo, nel tjiuaU alcuni
ìnierìoaiiori parlano il dialello rit3tico parmigiano.
Stròlgament dil Strcl, pr Tann isia, msurad a braz con el forca da
lo braoz, dal Caperai Quatlordes Cazzabal dia Villa d^ Figazzel. — Perma,
in-flt.^ Questo almanacco generalmente conosciuto col solo nome di Gazza-
tial y /tt incominciato circa alla metà dello scorso sècolo, dal parmigiano
D. Innocenzo Sacchi, e fu poi continuato con poche interruzioni sino a noi.
Tàl9olia nelvènnero in luce nello stesso anno due o tre, collo stesso titolo,
MÒftene diversi. Gli stampatori ette successivamente lo publicàrono sono :
làchem Blanchon , Ross Ubèld , Flupp Carmignàn e Jàchem Ferrari. Essi
contengono alternamente poesie in dialetto urbano e rùstico.
Il Strell compassad con la rocca dalla Fodrlga da Panoccia. — Pernia ,
in-it.^ Questo jllmanacco è conosciuto col solo nome di Fodrlga , ed cttn:
primtipio incirca al tempo del Cazzabal, col quale riialeggiò. Ehtte pure
viàrie interruzioni e vari stampatori.
Giornal pr Tan bisestil leio compost da Luigion dal Belli Braghi. —
Parma^ per Fllp Carinignan^ in-S4.®
L^Occialon Pannsan, Lunari neuv pr Tan bisestil iste, compila da Bo-
bUuÌ Occialon Barbèr d' Parma. — Parma, pr Fllp Garmignan, in-94.*
Oltre ai citati almanacchi, furono publieati ogni anno Lunari in foglio
foiante, con poesie vernàcole, dei quali basterà rammetitare i seguenti:
El matrimoni dia siora Majen sartoreina con Fifola ci calzolar. — Par-
ma, pel Paganino, iste.
Descours d^Catan. — Parma, isso.
La Festa in cantcina. — Parma, pel Carmlgnani, 1821.
Il Ser^'i ch^ meulen ci nas al so patron. — Parma, pel Paganino, issa.
L^AvvocatTridura clf teiis la difeisa dil servi. — Parma, pel Donati, issa.
Avis a chi s^ vcul mandar. — Parma, pel Donati, issi.
La pressia dil fieuli per teur mari. — Panna, pel Donati, is.'ss.
El Mond rè na comedia. — Parma, pel Donati, 1838.
I^anatich pr el Lott. — Parma, pel Donati, less.
El Mond neuv. — Parma . pel Donali, 1834.
Blanera noenva d' far la barba, -r- Parma, pel Paganino, lass.
Rimedi pr la gelosìa. — Parma, pel Donati, lasis.
Contras! tra la nona e fa neura. — Borgo s. Donino, pel Vecchi, ikak.
Contrast dia siora Malcontenta mojera del sior Imbrojalmond , con la rii-
sincra la Potaccionna. — Parma, pel Paganino, isso.
La Famìa d' Fifola al calzolar. — Borgo s. Donino, prl Vecchi, iss».
El Mond alParvcrs. — Parma, pel Paganino, 1837.
El Mond dia Lòuna. — Borgo s. Donino, pel Vecchi. 1837.
4 Off PARTB SBCONOA.
La Cuseina Napolitana. — Parma, pel Lucchini, irst.
Il festi d' Nadal. — Parma, 1838.
Lunari Parmsan del 1838, Per chi veul buttar via i strazi, E far al me-
ster d^ Michlazz.
El Matrimoni diflcoltòus. — Parma, pel Ferrari, i839.
La Montagna del Giudizi. — Parma, i840.
San Crespen eh' fa Pissaloli zavaten , mari dia Trecla con Fracass md-
ster d^ musica arrabida. — Parma, pel Ferrari, 1849.
I Zercadòur da dzor (di tesori). — Parma, pel Ferrari, isia.
Gran Aéademia vocala e istrumcntala. — Parma , pel Ferrari , fl B4S.
I vilan a la moda. — Parma, pel Paganino, 1844.
I Vestiari a la MUj sicché. — Parma, per Rossi-Ubaldi, t84tt.
Dizionario Parmigiano-Italiano di Ilario Peschieri. — Parma, stamperia
Blanchon, I8S8, s voi. in-8.®
PlACBNTWO.
La Pilligraeina vedva d^ laidori Ficcapartutt zavattaei e strolegh. La-
nari in dialoeutt Piasintaei par Pann 1839. — Pìaseinsa, dal stampadonr
Tedeschi, Ìn-i8.®
La Pilligraeina pajarwula, ch^ ha sposa al coeug Spcina-Carpan. Lunari
in dialoeutt Piasintaei par Tann i840. -r Piasensa, dal stampadour Tede-
schi, in-i8.*
Catalogo di voci moderne piacentino-Italiane, del canonico Francesco
Nicolli. — Piacenza, pel Tedeschi, i83S.
Vocabolario Piacentino-Italiano di Lorenzo Foresti. — Piacenza, pei Fra-
telli del Majno, laso.
Pavese.
Poesie per relezione in Rettor magnifico deiri. R. università di Pavia
del prof. D. Pietro Tamburini. — Pavia, I790 , per Giuseppe Bolzani. M
trwansi due componimenti in dialetto pavese.
Dizionario Domestico Pavese-Italiano. — Pavia , dalla tipografia Bizzo-
ni, I8S9. Questo piccolo Saggio di Vocabolario è difeso in due partii delle
quali la seconda contiene il Dizionario Italiano-Pavese. Un voi. in-8.* 4à it»
p&gine.
Un Nuovo Passatempo per Panno 1858. Almanacco. — Pavia, per Bii-
zoni, 1852. Questo almanacco fu publicato per tre anni consecutivi^ e con-
tiene varie poesie di qualche pregio, che sono di Giuseppe Bignami,
II vecchio Gioralett del 1783. Nuovo almanacco per Panno bisestilf
1C36. — Pavia, per L. Landoni.
I du prim mes del Cholera in Pavia , Ottav ^d Sirei Cara ( Siro Cara-
ti ). — Pavia, Fusi e C. . f 838.
Saggio di poesie pavesi, almanacco per Panno bisestile i8S6 di G. B
DIALETTI EMILIANI. 407
K^Ghueppe Bignami). — Pavia, libreria della Minerva di Luigi Landoni.
%fuesV almanacco forma la conlinuazione del Nuovo Passatempo, del mede-
-^imo autore, e fu publicato per quattro anni consecutivi. Ivi tròvansi varie
Jboesf'f originali » ed alcutie versioni di mèrito in dialetto pavese , tra le
^uali quelle del Lamento di Cecco da Var lungo e deirAmante scartato del
^aldovini.
Vocabolario Pavese-Italiano ed Italiano-Pavese di Carlo Cambini, dottore
In ambe le leggi. Pavia, Tipografia Fusi e Comp. isiio. Un volume in^A di
S46 pagine» delle quali 288 racchiùdono lutto il f^ocabolarlo Pavese-Ita-
JHtno, Se quindi alla tenuità del volume si aggiunga, che Pautore v' inseri
buon nùmero di voci che sono prette italiane» come aqua, aquila e simili,
né 9i hanno significazione diversa; che talvolta le voci italiane opposte
alle corrispondenti vernàcole, o noti esistono, o non furono mai usate ; o
meglio ancora, che in tutto questo lavoro non si scorge un piano diretto
da sano criterio ad un fine detertninato^ sarà manifesto, che questo t^oca-
Mario non è gran fatto migliore del sumtnentovato delPanno 1889. — In
tenia povertà di mezzi, siamo lieti di poter annunziare ai nostri lettori»
dke altro lavoro di simil gènere condotto con maggior diligenza e dottrina
a buon fine esiste manuscritto in Pavia» lasciato morendo dal benemèrito
pavese Robolini nd un professore emèrito di queiV Università» onde fosse
amplialo e publicato, Nutriamo quindi fiducia» e facciamo caldi voti^ onde
il dotto legatario» intètTtrete dei desidera del defunto e dei viventi^ voglia
riempire con sollecitùdine questa deplorata lacuna.
Errata Carrlye
Pag. s 19, riga t4-tii Borgotarese Frignanese
M sti, *> 3 Ramo BoLOGRisB Grìjppo Boloqmui.
n 304 , n fl Si Sopprìmano le parole Dialetti Roim6roli.
^
PARTE'
DIALETTI PEDlBIiOllTANI
53
CAPO I.
§. i. Dmsmie e posizione dei dialeUi pedemonèani.
I dialoUi pedemontani sono oliremodo importanti, collegiii-
1I06Ì strettamente nelle estreme loro modificasioni occidentali
cogli occitànici, mentre a mezzogiorno si fóndono nei Ogori, ad
oriente col lomt>ardi e cogli emiliani.
Questo ragguardévole ramo della famiglia gallo-itàlica è con-
terminato, a settentrione, dalie Alpi graje e dai monti che divi-
dono i tronchi sop^riori della Val Sesia e della Valle d'Aosta
dalle sottoposte valli del Cervo, dell'Orco e della Stura; ad
oriente, dal corso del Sesia, che sino, alla sua foce nel Po lo
divide dai dialetti lombardi, e quindi da una linea trasversale
che da Valenza sul Po raggiunge, serpeggiando, TApennino presso
Bobbio^ per la quale è separalo dalla regione dei dialetti emi-
liani; a mezzogiorno, dalle Alpi marittime e dall' Apennino li-
gure;, ad occidente, dalle stesse Alpi marittime e dalle graje,
lungo le quali va fondendosi nei dialetti occitànici.
In tanta estensione di territorio, avuto riguardo alle più sa-
lienti e caratteristiche dissonanze nella pronunzia , nella forma
« nelle radid, esso divldesi in. tre gruppi distikiti, che dalla
vegione rispettivamente occupata possiamo designare coi nomi di
piemontesej canavese e monfer'rino. Ciascuno poi consta di un
■maggiore o minor nùmero di svariate favelle.
P^iilBl^ne* Il gruppo Piemontese è il più diffuso; esso oc-
cupa tutta la regione occidentale conterminata, a settentrione,
dalle Alpi graje e dal corso del fiume Orco; ad oriente, dal corso
dello stesso fiume sino alla sua foce nel Po, indi da una linea
serpeggiante attraverso i colli del Monferrato,, la quale congiuvge
473 PAETB TERZA
la foce dell'Orco eoa Asti; e per ùltimo dal tronco superiore
del fiume Tànaro che dalla sorgente sull'Apennino ligure discende
sino ad Asti; avvertendo, che il corso dell'Orco separa il gruppo
piemontese dal canai^ese^ e la successiva linea serpeggiante col
tronco superiore del Tànaro lo dividono dal monferrìnoj a mei-
zogiomo, è conterminato dalla catena delle Alpi marittime che
separano la Provenza dal Piemonte, intersecata fra le due sor-
genti del'Tànaro e della Stura meridionale; ad occidente, dalle
Alpi marittime e graje che dividono il Piemonte dalla Francia
e dalla Savoja.
Il gruppo Canadese ^ cbe, come abbiamo avvertito, ad occi-
dente confina col piemontese lungo ii corso dell'Orco, si estende
a settentrione sino ai monti che dividono il Piemonte dal du-
cato d'Aosta; ad oriente raggiunge la destra sponda del Sesjà
sino alla sua foce nel Po, lungo la quale si fonde nei dialetti lom-
bardi; e a inczzogiomo è conterminato dal tronco del fiume Po
racchiuso tra le due foci del Sesia e dell'Orco.
Questo medésimo tronco segna appunto il confine settentrio-
nale della regione occupata dal gruppo mon ferrino^ il quale,
seguendo le linee da nói superiormente tracciate, ad oriente è
conterminato dai dialetti emiliani^ a mezzogiorno dai liguri^ e
ad occidente dai piemontesi.
E quivi pure gioverà ripètere la generale osservazione da noi
premessa nelle due Parti precedenti, tornare cioè affatto impos-
sibile il designare con precisione il luogo ove un dialetto finisce
e rallro incomincia, ciò .che avviene per leggeri e quasi im-
percetlibili gradazioni; e doversi quindi risguardare le linee su-
periormente designate come diametri di altretante zone più o
meno larghe, lungo le quali i dialetti di due gruppi, o di due
famiglie distinte, vanno assimilandosi e fondendosi insieme. Di
qui appunto deriva l'indeterminato nùmero di varietà nei dia-
letti d*un medésimo gruppo, del quale gli estremi di due op-
posti confini differiscono tra di loro assai più , che ncm ciascuno
d'essi coH'estrcmo della famiglia o del gnippo limitrofo.
Incominciando ora dai gruppo Piemontese^ esso è rappresen-
talo dal dialetto Toriìiese che ne è principal tJi>o, e che in ogni
direzione si distende lungo la circostante pianura , lungo i colli
DIAI.BTTI PBIMniOYTAill. 473
e le moltéplici valli che dalla cerchili della Alpi, quasi raggi con-
cèntrici, convèrgono verso la capitale; so non che, di mano In
mano che c'inoltriamo so per l'erto dei monti, 0 dfaifetto pie-
montese, trasformandosi, assume alquante forme del dialetti oc-
citànici, ciò che porge nuovo interesse al linguista che nell- in-
corrotta favella dell' alpigiano scopre ancor vive le vestigia della
lingua dei Trovatori. E perciò in questo gruppo è d'uopo sèe-
verare i dialetti del piano e della parte inferiore dei monti da
quelli delle più alle pendici. Tra.i primi, i principali sppo: il
Torifiese^ Vj^stifjiano^ il Fossamsc^ il Faldvsa ed il Lanzcse,
Il Torinese è parlato con leggere varianti, oltre alla capita-
le, in tutti 1 circostanti paesi, inoltrandosi a mezzogiorno, su
per le valli sino a Chcrasco, Savigliano, Saluzzo e Pinerolo; o
ad occidente sino a Susa.
L\4stìgiano è proprio della città d'Asti e del rispettivo terri-
torio, nel quale a poche miglia di distanza verso occidente si
va assimilando al Torinese^ e verso oriente si fonde nel gruppo
3fonfen'ìno.
Il Fon$ane$e è parlato nella parte superiore della valle della
Stura racchiusa fra Savigliano e Dalmazzo al disopra di Cuneo.
Il Faldese è proprio di tutta la valle di Luserna presso al )
versante settentrionale del monte Viso. . \
" • ■ I
Il LanzesQ è parlato nella valle della Stura settentrionale,
all'imo della quale va assimilandosi al Torinese.
Tra i secondi, che distingueremo col nome di alpigiani^ o
meglio coll'aggiunto di occitànici^ sono da notarsi i dialetti se-
guenti : quel di Limone^ parlato alle falde . del colle di Tènda ;
di f^aldieri^ parlato nella valle di Gesso; di Finadìo^ proprio
degli abitanti del più sublime tronco della valle Stur?! meridio-
nale; di CQstcimagno^ presso alle sorgenti del Grana; di Elva e
di ./cc^g//o, presso alle sorgenti del May:ra; di San Peitr^ parlalo
nel tronco supcriore di valle Varàita; dì OacinOy posto' presso
alle sorgenti del Po; di Fineatrelle j ^ i^derì^ìo in tutto il tronco
superiore di vai Clusone; di Giaglione e d'Oulx^ verso le sor-
genti della Dora Riparia; di f^iù e di Usseglio^ prpsso quelle
della 'Stura settentrionale.
Il gruppo (7a/Mpe.se, che abbiam veduto racchiuso fra l'Orco^
474 PARTE TERSA
il Sesia, FAlpi ed H Po, consta pure d*un nùmero raggoardè^k
di svariate favelle. Esso è rappresentato dal dialetto di Ipna^
che con leggere modificazioni è parlato in tutta la regione rae-
chiusa tra la Dora B&Uea ed il corso dell'Orco. Ivi è sola distinto
per piToprietà speciali il dialetto della f^àl Spana , parlala nei
villaggi d'Ingria, Ronco, Valprato e Gampiglia. Nella nregioiie
poi racchiusa fra la Dora ed il Sesia prevale il dialetto di BM-
la^ che si distende con poche varianti in tutta la sottoposta pia-
nura; e verso i monti sono da sceverarsi il dialetto dli^ndomòj
che quasi anello congiunge il gruppo canaf^ese col /omAordo-
verbanese^ e quello di Sèttimo frittone posto presso al confine
del ducato d'Aosta.
Il gruppo Moti ferrino^ posto fra il Tànaro e rApeaninaligore,
è rappresentato dal dialetto AlessandHno^ parlato non solo io
tutta la pianura d'Alessandria e tra i vicini colli, ma altresì lungo
tutta la vaHe della Bòrmida sino a Bistagno al di sopra4'Aeq«i.
Più oltre prevale il dialetto A*Alba^ che si parla con lievi imh
dificazioni nella regione superiore fra il Tànaro e la Bòrmidi;
e per ùltimo, il dialetto di Moudtm , che per gli eiementi ete-
rogènei onde consta, oongiunge il gny>po PiemotUese al Mm-
ferrino:! ed entrambi alla famiglia dei Liguri. Meglio poi d'ogni
altro segnano il passaggio dal Monferrìno alla famiglia Ligure i
distinti diàlettr del CàirOj sulla vetta dell' Apeìmino presso le sor-
genti della Bòrmida , di Garessio e di Ohnea^ presso quella del
Tànaro, ove la Ligiiria è divisa dal Piemonte.
a
§. S. Proprietà distintiipc dei tre gruppi Piemontese ^
Canawse e Monferrìno.
La prima e la più ovvia osservazione sommaria generale per
la quale i tre groppi Tnemonte^, canaK>ese cmonferrino appàjooo
distinti fra loro, si è la complessiva forma di ciascuno, che ri-
vela nel primo le impronte caratteristiche dei dialetti della Frao*
eia meridionale, nel secondo quelle dei dialetti lombardi, od
terzo quelle dei liguri, per modo che T aspetto loro si assi-
mila rispettivamente a ciascuna di quelle disparate famiglie.
Questa generale distinzione per altro non è se non il risolta-
DIAUm KDCHOTfTANl. i^75
■
nMDlo di Mite peculiari difléraise che ricMèggona ti» dffigeitte
e drcostamialo oonfranto , e delle quali appmrteieflM ìé {irecipiie
e le pie caratteristiche.
Primieramente, il Càna^tse ^thugnerà dagli altri' doei ghippl
per la tepiiiiiaiioiie in àr di tulU gli tofiniti dei veriM di prima
eoqogaaione, die il Piemontese ed il MoHferrino volgono in, i :
Italiano andùre • portare fare stare*
Ganavese andar poridr far star
Plemonlese i „ '' , . •
lio»rerrino| «'^ '»'"'* ^« "*
Il Man ferrino alla sua volta si distingue dal Piemontese e dal
Canaf^se^ permutando d'ordinario in at^ it le finali dei parti-
dpj, che gli altri due volgono in àit^ à^ èt^ ti, o altrimenti:
Italiano . dolo fatto atidato detto
Honferrino dai fai an^tài éit
Piemontese 4àit fàit andàU , . dit v :•
Ganavese dèt fet andèt^ dU
' Questa distiniionc deriva dalla proprietà del Jlfon/lrfrAte di
scambiai^ sovente in i le' tt delle sillabe finair delle panile ,
dicendo toni per tontf , tU per tutti, e slmili. Per una tal pro-
prietà, mentre questo gruppo distlaguesi dagli altri due, va as-
similandosi ai lombardi d'oltre Po ; che anzi dobbiamo avverti-
re, come la stessa penetrasse ancora in alcuni dialetti del gruppo
Canavese^ posti hmgo il Sesia ad immediato contatto coi dialetti
verbanesi ^ ai quali pure è comune.
Da uno degli eseinpj succitati appare altresì, come il Mou^
/ermo scambi. talvolta la fli in t pura, ciò cb9 parimenti lo
distingue dagli altri gruppi.
Italiano uno tutti fosse . gettare
llonferriao in , tH ' fissa - bitie
Piemontese ) .. ..„ ^^ ibiitiè
^ e un tutt fUu l ; »^, ,
CaiHivese ' ' . . ^ebiiUar
Il Piemontese poi va chiaramente scevei^to dagli altri due
gruppi per la proprietà qua^i esclusiva di ripètere i pronomi ,
noo solo quando esprimono il soggetto, hm eziandìo quando rap-
476 PAUTt mzA
presèolano J'aUribato (f una proposìiione, A Bueglio chiarire ara
tal. proprietà vàlgana .alcuni .esempj: noi abbiamo risto nei dia-
letti lombardi ed emiliani ripètersi co6tanteti)ente nelle seconde
e terae persone dei verbi il pleonasmo dei pronomi : ti ée riiief^
lu el dis^ oppure le la dìs, per (u didjegli^ o ella dice, ove li
(By lù e/^ là la sono ripetizioni dello stesso pronome^ sebbene
sotto forma diversa. LiO stesso avviene nei dialetti pedemontani
di ciascun gruppo ^ ove per lo più lo stesso pleonasmo ha.loogo
eziandio nelle prime persone singolari e plurali: mi io, ti tos^
chièl a fd, not t ònta^ ec. per io ho^ tu Aat, egli ha^ noi aJt-
biamo^ ec., ove idi i\ equivalgono ad io io; ti t\ a Iti fu, e
cosi di sèguito; ma io questi esempj, che dimostrano la proprietà
stessa comune a tutta la- famiglia gallo-itàlica^, i pronomi sono
sempre rappresentanti il soggetto del verbo; laddove nel gruppo
piemontese Io stesso pleonasmo ha luogo eziandio quando 1 pio-
nomi rappresentano l'attributo:
Italiano egli mi ha dello io Vho ceduto tu V hai perdalo
Piemontese chièl ntd dime mi i Fd vdulo ti t* fas perdub
Ganavese eh&l m*à dif mi i /* ti mi H V Ve per$
Monf^rrino cul-Jà m^i dio me a Fò visi té t^ Cai f»rs.
Di qui si vede come il Piemontese ripeta il pronomi; mt e 70^ cfac
fa le veci deirattributo, suffiggèndolo'ai'particlpj, ciò che non
ha luogo in verun caso nei dialetti degli altri due gruppi.
Lo stesso avviene colle particelle pronominali , ossia coi pre-
nomi-recìproci, ove il pleonasmo è di règola:
Italiano egli ne ha fatto ìie è stato si è perduto
Piemontese chièl n^à faine n*è stane s*è perduse
Ganavese chièl n*à fèt n'é stèl s'è pers .
Monferrino cuNà n^à fai n^è stai s'è pers.
Sebbene esclusiva del gruppo piemontese , questa proprieti
rinvlcnsi ancora nel dialetto di Mondovi , il. quale porge il sin-
golare fenòmeno dì riunire i caràtteri più salienti dèi due gruppi
piemontese e monferrino, mentre più d'ogni altro si assimila
alla famiglia ligure. Ed e appunto per questo che, mentre po-
trebbe a buon dritto associarsi al primo gruppo, abbiamo prefe-
rito rannodarlo al secondo Come ^più omogèneo nella comples-
Mva sua forma.
DIALETTI PEDMOirrAFir. 4^77
lUiano rha mto l'ha baciato s'è alzato ^g^i ha detto.
MoDdovk r'àvislro r'à iHvsàrù . s'èaussàse ufàdije.
' In questi ésempj, se il pfeobasmo è caratteristico del ptemo))-
tnij i pronomi rOj u per loj egtij sono'iilìa lor-volta caralte-
listici dei gruppo monferrìnOj e lo distinguono dagli altri due.
Che* anzi le medésime voci v, ti/j er^ rOj ra valgono talvolta a
rappresentare , oltre ai pronomi personali , anche gli articoli il^
hj laj eome presso i dialetti liguri.
Italiano. il padre U cielo del pane la parte
Monferrino er pari u sé der pan r(i part.
Altro caràttere distintivo dei tre gruppi abbiamo nelF uscita
dei futuri dei verbi, che è sempre in 6 oi^pure ai nel primo
gruppo, ù net secondo, ed ó nel terzo. ' .
Italiano io dirò io farò 'io'portej*ò io. andrò
nemontese mi i dirò i faro ■ t portro i andrò
Canavese mi i dirti i fàrù i por tra i andrù
Monferrino me a dirò a fatò a portrò a andrò^
• . ■ ■ ■ ■
Molte sono le varianti caratterlstidie di sl'mil fotta atte a sce-
verare i tre gruppi, l'esposizione delle quali comporrebbe un
trattato grammaticale, anziché un ràpido Saggio quale ci siamo
proposti di tracciare. Numerose varianti sono da notarsi altresì
nella pronunzia, la quale è più stretta nel jpìicmontcse', e resa
aspra dal frequente accozzamento di molte consonanti per la
soppressione delle vocali radicali; più aperta, più vocalizzata e
sonora nel mopferrino, che segna il passaggio alle vocali aperte
dell'emiliano; più piana e più schiacciata nel canavesQ, che
sente deli* Influenza lombarda.
Inoltre è caratteristico nel Piemontese un suono nasale affatto
distinto dal nasale, lopibardo e francese, il quale é assai tempe-
rato nel Monferrino^ e si dilegua presso, che interamente nel
Canai?e$e.
•Coel il suono della ò tanto frequente nel Piemontese^ va sce-
mando nel Canadese, e si dirada oitremodo nel Monferrino.
, Altra serie non meno ragguardévole di radicali dissonanze
fra i tre gruppi ci pòrgono i lèssici rispettivi y in ciascuno dei
478 PA&TB TBRXA
quali si trova un nùmero stragrande di radici strane e primìlife
ignote agli altri due. Ed è invero a lamentarsi ^ come in tanta
dovìzia di materiali e in tanto commercio di studj^ non si. sia
pensiate sinora a raccògliere le voci proprie di tante separate
Provincie, che avrebbero ìairriccUito la scienza etnogràfica di
importanti rivelazioni; dappoicfafè, p^^ quanto ci consta, di tutta
la vasta regione pedemontana furono compilati sinora più o meno
copiosi Vocabolari' solo della parte piemontese propriamente
detta, restando negletta la can^vese e la monferrina non meno
di quella importanti, the anzi della stessa piemontese le ricer-
che vennòro ristrette ai dialetti del piano e delle città precipue,
trascurando il preànoso patrimonio dei monti; end' è che non
troviamo nef vocabolarj piemontesi layod scerres, bearbàrs bakhé,
usate ad Acceglio ed a Valdieri per scégliere, dissipare j perchè s
nò le congiunzioni abu^ 6u, 6o> avo,embOj usate solle alpi ma*
rlttime e graje per esprimere corij le quali ricordandoci Vab
delle lingue romanze, ci pòrgono Tetimologla dell' Qf^ec dei Fran-
cesi, deirappo e dell' aiii6o degli Italiani.
Per la stessa ragione non vi ^i rinvengono le voci gori^ durbij
colle quali alcuni dialetti canavesi esprimono padre, nò boi^ €et,
9»m/; pójiij toisàn^ colle quali altri esprimono figlie j nò cento e
cento- altre strane radici, che pulr mòritano là seria attenzione
del linguista.
Se non. che tutte queste voci strano- appartengono sólo ad
uno o a più dialetti, non mai a tutti i componenti Tuno o l'al-
tro'gruppo, e perciò ci riserviamo a pòrgerne un Saggio nel
seguente Vocabolario, come pure preferiamo appuntare nel se-
guente paràgrafo le proprietà più salienti , che, sebbene comuni
ad alcuni dialetti d' un medésimo gruppo, non lo sono di tutti.
$. 9L Proprietà distmtifpe dei singoli dialetti.
Nel gruppo Piemontese abbiamo superiormente distinto i dia-
letti del piano e della parte inferiore dei monti dagli dlpigimi^
come quelli che pfù si accostano alle forme occitàniche; a rènder
ragione- ed a chiarire nel tempo stesso questa prima divisione
sommaria, valgano alcune osservazioni.
DiALsrri PconONTANi. JI79
Primìwtniciite, d'ordinario gli {Uphfiani risòlvono in dittonghi
alcuno vocali radicali italiane, che il piemontese conserva:
Italiano padre fratello tntiofo tgcca
Piemontese pare padre (ratei mori Coca
Alpigiano pàìre pàtri fràire fràiri muèro tuòccia.
Più sovente ancora raddolciscono il suono duro della e, scam-
biandolo nella et italiana, in quelle voci che i Francesi raddol-
clsc4>no pure, permutandolo nella sibilante eh.
Italiano peccato caprétto cantare calzare
Piemontese pecà cavrèt cantò caussè
Alpigiano . pecià ^ ciabrì ciantdr ciaussàr
Francese péché chevreau chanter .chausmr.
Permutano ancora nello stesso suono d italiano la t nelle sil-
labo finali toj te^'^i, to^ tu^ ciò che abbiamo notatp come ca^
ratteristico del. gruppo monferrino a distìnguerlo dal piemontese.
Italiano detto fatto ^ quanti punta- giunto
Piemontese dit fàit quanti ponta ri^à
Alpigiano dio fai . quané puticta» giUni.
A simiglianza dei dialetti occitànici, alcuni alpigiani fanno
plurali i loro nomi e gli aggettivi aggiungendovi un' s, che pro-
nunciano:
Italiano t porci t miei amici . U fémmine allegri.
Alpigiano luscusclàns muns amis ' tes femmcs allégres.
Nella costruzione di alcune frasi gli alpigiani, seguendo la
fornia occitànica, preméttono al ierbo il pronome reciproco,
che i IMèmonIcsi pospongono, come gli Itx^liani.
italiano per levarsi di ritornarmene per godermi
Piemontese pr ieipèse d'arlornèmne pr gòdemla
Alpigiano . ])er se levar de m'en tornar per me regiui
Francese . pour se lever de m'en retonmer poùr me réjouir.
Per iillìmo il vocabolario dei dialetti alpigiani è molto più
aflGite a quello degli occitànici , che non il piemontese^ Qasta
notare le voci maisànj valcs^ repàt^ ctiiùii, répondU^ rien^
baiclié^ e tante altre voci quasi prette occitàniche, dello quali
inseriremo le più comuni nel seguente Saggio di Vocabolario.
^
1^80 PARTI TERZA
Ciò premesso, fra le proprìotà più caratteristiche del dialetto
Torinese y e quindi ai\cora della maggior parie del grappo dal
medésimo rappresentalo, sono da notarsi:
La frequente elisione delle vocali^ iiel mezzo, delle (Carole,
che ne rende aspra la pronunzia coir accozzamento di molte
consonanti di sèguito. *
■ •
Italiano ancora, per menare minulo mto eottoméUerlo
Torinese , dcò pr mnè , mnu vdù sotmétlo.
La mancanza del suono jz.duro italiano caratteristico dei dia-
letti lombardi occidentali e dei francesi, coi quali confina, al
cui posto sostitoisce* il suono dell^ t dura.'
Italiano prefazione colazione grazia avanzare sosianm
Torinese prefassión colassión. grastia a^ànsè soBtanta.
LfL soppfiessione della sillaba finale re nei verbi terminanti in
italiano in ere breve. ^ -
Italiano 8crti>ere . - romperle ridere riconóscere
Torinese ^ scrive rontpe rie arconosse.
*
La permutazione in e grave Of aperto dell' oScita in are dei
verbi di prima conju|[azlone. '
Italiano andare amairé fare addocchiare lodati
Torinese andè omè ' fé dock lode.
La mancanza del suono italiano scj al quale sostituisfee la i
dura.
Italiano conoscere schnia suscitare scegliere scena
Torinese conosse siimia siissilè seme sena.
La permutazione delle sillabe iniziali m, ri in ar.
Italiano' raccomandare ribàttere rimproverare ricelta
Torinese arcomandè arbalte arprocè ' urseta,
i
La permutazione delF al nel dittongo àn quando si trovano
unite in fine di sillaba.
Italiano alto alzare calzare scaldare calce
Torinese àut . aussè catissè scaudé caassiM.
Talvolta ancora evita raccozzamcnlo delle due consonanti cr^
scambiandole in cher.
UALBtn PIDBHOirrANI. 481
Italiano crédere crescere liMto crepare credenza
rorinese cherde cherse chersènt cherpè cberdema.
Vj^stìgìano è oltremodo affine al Torinese partecipando ge-
lottlmeale di tutte le sue proprietà caratteristiche, con leggere
accezioni. Se non che, essendo posto a contattò col gra]ppo tnon-
^errino j ne sentì ^l'iniiaenza cosi nella prononzia, ette nel pe-
riodo è più sonora , come nelle voci , alcune delle quali ' sopp
«aratterbtichb del Monferrinó^ come p. e. cosi-qui^ che il pie-
montese esprime con cost-si^ o c/ita/-^y f et per a^ie e ta-
lon" altre. , .
Questa influenza per altro idei Monferrino è molto più mani-
resta nell' as< jgftano rùsticOjOyt appàjono gli articoli erj ra^ ro
in luogo dei piemontesi 'Ij laj dove la i^ come neirAlessandri-
BO, si cangia talvolta in t, dicendosi Hit per (uMt* pnt per ve-
%uip^ bitte per butte j ossia méttere j, gettare. Per questo appunto,
ibbiamp detto^ èssere V astigiano l'anello che congiunge'il gruppo
friemontese al monfeniiio^ séìitiene quello, che si pària nella
città d'Asti sia, quasi idèntico al torinese.
Lo stesso dobbiam dire del Fossanese^ il qual^ si distingue a
naia pena dal Torinese per una pronunzia più strétta cbe.solp^
im fino orecchio può sceveraùre, e per qualche' modificazione
leggera di voci, come frcl per fratèl^ 9itèt per vitèl^^ e dmili.
Ove- però si vada scostandosi dalla città per entro i' monti, la
rùstica favella vi assume alcuni caràtteri dei dialetti alpigiani
coi quali confiiia.
Cosi, p. e., a' Cuneo i partìcipj dei verbi che nel torinese
escono in àitj si volgono in cit.
Italiario andato fatto dato mandato stato
Torinese andàit fàit dàit mandàit • stdit
Cuneo andèit fèii dèit mandèit - stèit. ^ t
Ben più distinto dal Torimse si è il dialetto Faldese piirlato
in tntta la valle di Luserna, il quale sebbene partecipi dei prin-
cipali caràtteri di quello , pure segna chiaramente il passaggio
lai piemontese all'occitànico. La sua pronunzia è alquanto pia-
na, non sopprimendo le vocali intermedie, e talvolta ancora
serbando le finali. Scambia d'ordinario la vocale o in u, ciò che
o dislÌDgue dagli altri dialetti piemontesi.
2|83 PARTS TEREA
Italiano . lo appressare servitore órdine padrone - con
Valdese lu apprucià «em/(V ùrdìne patrùn run
Piemontese 7 avsitiè srvitór àrditi padràn] con.
A differenza dei Piemontesi^ termina (atti i verbi della prima
cdnjugazio&e in d.
Italiano dimandare baciare toccare amnwzzare tornare enirar^
Valdese dqmandà basd iOQcà, massa ilttmd àUri
Piemontese dinanctè base '-tocliè masse 'artomè iniri.
Dìstinguesi pure dagli altri piemontesi colla terminauone ii
nella prima persona del futuro, in luogo di a, di»
Italiano dirò farò lederò tornerò berrà
Valdese* direi -^ favèi leverei tumarèi ' bemrìi
-., • ^ i diro faro • le^ro tamaro be^ró
Piemontese J ..^,. ' ,. , ,. ^ ,. r ,.
: i^mrai farai terrai tùmarat tomi.
D^l resto cosi la costruzione, come il vocatiolàrio spno affitto
slndU al piemontese: ' *
Vifrcando il Po, troviamo nell' .opposta valle; di Lùmrp il dia-
lotta /%i/io»^e«c affatto slmile a quello della capitale. La sda
differeosn di qualche Importan'za' consiste in alcune voci meno
usitate nel piano, come veildt^ frèt^ peV vitello^- fratello^ e nel-
r uscita in à degli infiniti dei verbi di prima conjngazione, come
abbiamo avvertito nel Valdese.
Italiano menare inangìare fare chiamare - traspare
Lanzese mnà - mingià fa dama trooà.
Alcune varianti (li maggior conto riscòntransi nel superiore
dialetto di Cario ^ la «cui forma sebbene affatto piemontese, pure
se ne discosta per alcune dissonante. Ivi appare in mó)te voci
il suono a dei dialetti emiliani, come: /af, andlit^ stàt^ e in tutte
le seconde persone plurali del presente dei verbi: andà^ mio,
pur là ^ e cosi di sèguito.
Come il Valdese, scambia quasi sempre la o in u, dicendo:
sgntu\f cnmpassiàn^ fiùr^ trufpàr^ mèritu^ mòrti ^ "per signore^
compassione^ fiore ^ trovare ^ mèrito^ muojo,
G)me i dialètti del gruppo canavcse, col quale confina, tè^
mina gli infiniti dei verbi di prima conjngazione in ar^ ciò che
segua appunto il passaggio dall'uno air altro groppo; eome:
MAUrn PEDIMOIITANI. 4^85
trwoàr^ sunàr^ sercaf^ alar. Questo passaggio vfeoo segnato
alti^esl dall' intrusione di alcune voci che non sodo prette |iìe-
montesi, o m^nio iisitat^.
Altro . caràttere che distingue il dialetto di Gorio da quelli
del priniò gruppo si scorge' nello uscite delle prime e terze
persone plorali del preféAte indicativo.. Lo prime sono^eniprc
in éfi penlré il piemontese tèrsnioa in. ama. ' .
Itaiiabo mangiamo andiamo facaamo stiamo (Riamiamo
CorÌD . i tMifigién andén fasén èfasén dàmén ,
Pieibobtese mangrioma andóma {orna stórna ciamóma.
Le teme in en muto, laddove il piemontese 'termina in o.
Italiano mdn^tano , andavano facevamo àbpiMo Qi^éoano
Goria ' màngien andàoen fasieu àtrien awn
Piemontese mangio andando fasto dbio aoìo»
Per tal modo è abbastanza dimostrato, come si pf*ogrediscà
per gradi dall'uno all'altro gruppo, ecomp quindi tpnii gene-
mlipente. impq^ibile il detenmnarAe,con pfedsione i'rispettivl
eoiifiiii. Il passaggio. ràpido e compiiitp dall'una all'altra fovella
a-viene solo alicHra, quando si trovano a contatto dile lingue
drlndole allatto diversa, come l'italiana e la tedesca nel Tirolo
e nel Friuli, o due dialetti il oui sistema fònico, ò esseiizl^lni^Dte
diver^^ come il milanese ed il bergamasco confinanti sull'Adda.
E perchè una tale repentina separazione abbia luogo, t)ltre al-
l'intrinseca dissonanza delle favelle, richièdesi ancora, o una
naturale I;»arriera, o una divisione politica, il cui concorso no
rend^ malagévole e quindi meno frequente il commercio reciproco.
Procedendo a favellare dei dialetti alpigiani., abbiamo testp
appuntati . alcuni caràtteri pei quali distinguonsi dagli altri pie-
«mitosi, e vanno assimilandosi agli occitanici. Per non. cader
quindi in soverchie ripetizioni^, adcenneremo ancora: ad. alcune
proprietà, per le quali ciascuno va distinto dagli altri.
U dialetto ' di Limone possiede i due suoni 'distìjiiti del z ita-
liano; il duro cioè in alcune vbci, coikie mozzar^ aszàl^ ed in
altre in luògo della t^ dicendo: diz:, fuz^ tiiz., per detto ^ fatto ^
iuUis ed. il suono dolco che sostituisce in luogo della (/f italiana.
Ilaliano inaagiarv giudicare giusto giurare
Limmie manzàr ziidicàr ziisto ziiràr.
48% PAETt TBUA
Pèrmula sovente nelle voci la i? in a, dò che -ne rend
pronunzia mollo aperta.
Italiano ancora 'bene degno entrare sempre pr
Limone ancara fan dagn antràr sampri pn
Teonina in dn accentato le prime persone plurali dei prei
dei verbi; che i dialetti di Valdieri, Vinadio, AccegliQ^ Cft
magno e talnn altro volgono in én.
Italiano mangiamo cominciamo andSamo sUamo
Limone manzàn comansàn anàn stdn
Valdieri mengén ' coniensén ' anén stén.^
Il dialetto di Faldieri alla sua volta distlnguesi &S ci
stanti per la forma che suol d^re ai futuri, che è pure co
nica-, o meglio francese;
Italiano dirò^ farò porterò ' euelodlri
Valdieei mi dir vai far vai portar vùi gare
Prandese je vai$ dire fòite parler goicder
' n dialetto di Finadio^ oltre alla Torma complessiva dePe
e delle frasi, che ancor più degli altri si^accosta alle oediàni
ne va' principalmente distinto per una pronunzia nasale I
stretta, e per una forte dppoggiatura sulle vocali. finall,-
produce un òanto distinto.
La terminazione in o dei nomi femminili è un caràttere st
che distingue i dialetti di JccegliOj S. Peyrey Oncino e*
gitone dagli altri alpigiani; valgano d'esempio: la ciarestÌQ^
vesto j la primo vestimento, catnpagnOj musico', chesto alU^
ì quali nomi, come si scorge dagli artìcoli^ conservano il' gt
femminile.
il dialetto di Finestrelle è talmente composto di voci e
francesi raccozzate insieme con sintassi francese, ma fonati
forma e desinenza piemontese, che anziché un dialetto ital
sembra un dialetto francese travestito all'italiana.. AIl'v
parlare, si direbbe la favella d'un Francese, che si sfona i
nizzarla per farsi intèndere. Cosi p. e. Fotre fràire è venj
rotie papà A tiiA Un vclgra, perché cli'a Va trubà an
sandà. Una sémplice occhiata alla versione della ParàbdU,
!>^ggi^uigÌAuio qui appresso, varrà meglio d'ogni altra spi
zione a pòrgerne il preciso concetto.
DIALETTI PEDBMO^ANI. I|^5
Non lasceremo per aitrodi potare, cerne eécliislira e peculiare
di questo dialetto, l'uscita in «te della prima persortà* singolare
nel futuro, come nei seguenti esempj:
Italiano dirò trowrò andrò leverò ' narò
Finestrelle dirèk trubarèic anarèic leoarèic^ serèic.
Del pari che quest' ùltimo i dialetti di Giaglioiìe e d' thdx
potrebbero per le loro proprietà caratteristiche dirsi piuttosto
ffancesi che piemontesi, non serbando di questi se non déboli
traccie. In essi infatti compàjdho i' suòni i e i\ fion'chefe //
molli, ignoti ai piemoiiresl propriamente ' detti ^ e sì femigliari e
frequenti nei francesizzai quali ancora attinsero- e vocabolario
e forme grammaticali. Non mancano per altro Si elementi baste-
voli per èssere coUegati agli alpigiani itàlici^ quali sòiio' il
pronome eufònico Uj comeT u l'è tnrnàj u l\ére perdila e simili:
la forma sintètica di alcune frasi, e alquante radici loro pecu-
liari.- Noteremo ancora come caràttei^e proprio di Onlx il suono
Ih che in alcune voci sta invece della Sj e nel dialetto di Già-
»
glione la yòee ót per ha^ che non trova rincóntro veruno degli
altri dialetti pedemontani, o francesi. ' * '
Per ùltimo, nel tronco superiore della valle di Lanza, segna-
tamente a Fin e ad Usségtìòj ì dialetti partecipano egualmente
dei piemontesi e dei francesi. Rozzi ed informi, non pòrgono una
fisonemìa loro propria, né un caràttere determinato, tranne
quello d'un' assoluta irregolarità nelle forme-, d'una pronunzia
incerta e d'una mistura di voci, che accennano ad un accoz-
zamento • dei vari! dialetti circostanti , riunendo più o meno le
peculiarità da noi accennate degli altri dialètti alpigiani.
Nel tracciare le proprietà distintive, dei tre gruppi, abbiamo
notato alcuni caràtteri più salienti che più generalmente rin-
vèngonsi nei dialetti del Canadese j trai i quali al)biamò 'annove-
rato come varietà distinte dal rappresentante comune d'Ivrea,
i dialetti di Val Soana, di Biella, di Andorno e di Sèttimo Vittonè.
Sebbene le poche dissonanze ivi appuntato, màssime nelle
fleasiohi dei verbi e dei loro partidpj, vàlganp a' sceverare il
gruppo canadese dal piemontese j ciò nulladimeno non sono ba-
stèvoli ad imprimervi un aspetto distinto; che anzi dobbiamo
avvertire, come il Canavese si assimiline! resto al primo gruppo
34
486 PAftTB TERZà
avendo .coinùne coUo slesso e la pronunzia, e la sintassi, e -poco
disGordUndp . nel lèssì<^ Ciò vale per i dialetti racchiusi fra
rOrco e la Dora Bàltea^ rappfescntati da quello d'Ivrea, e
appena dislinii fra loro per leggere e non curàbili differenze;
ma non gi«^ per le varietà suinmenlovate, le quali differiscono
considero vQluienle,. non solo dai Piemoutesi^ ma altresì dai vi-
,cini Canai^cM,
Tra queste emerge anzi tutto il dialetto. della Fatte Soana,
parlai nei villaggi d'ingria, Ronco, Valprato e CampigKa, che
.presenta* lo strano fenòmeno di pronunzia, forme è radica ignote
a tutti i circostanti, e ol^e può quindi -coq/siderarsi come un dia^
letto preparato e distinto da : tutti i tre gruppi. Hoì lo. abbiamo
posto nel Canaxisej noh già perchè vi abbia maggior rapp<|rto
4i afi^iità^ ma solo per ragione geogràfica, trovandosi nel mezzo
di.qiieslQ. ». . ,
Tra le molte speciali proprietà che Io distinguono, noteremo
nella pronunzia un suono aspirato ben distinto in alcune voci,
ed appena seii^lbile in moltq a)tre; la permutazione del jmkmio
ca in da, dicei^do ciaussàrj ciaresliaj ce^rèij ciargidr.j.per cfl-
zara^ carestia , capreUo j caricare e simili; manca del suono o,
comune a .tutti a pedemontani e lombardi; ed in generale è scor-
révole., dolce e. sonoro, evitando T accozzamento di più conso-
nanti, e facendo uso frequente dei dittonghi e dei suoni g^ èji
che sostituisce jsoy^te al duro ed aspro delle medèsiiiie lèttere.
Quanto alle forme delle voci, sono per lo più affini alle fran-
cesi, mentre quelle delle frasi e della sintassi sono prette .ita-
liane. Sono da appuntarsi le flessioni dei verbi nelle terze per-
sone, che serbano la caratteristica latina l nel singolare, ni nel
plurale, avvertendo che vi è pronunziata, e non già solo scritta
per ragion^ etimològica, come nel franceise.
Italiano Aa avesse viene era avepa. vote^ entrasse
V. Soana hat Ossei vini érel avéit volèit intràsset.
Cosi pure nelle terze persone plurali;
Italiano fossero morivano mangiano decano oc^nzuiio
V. Soana fiissent creoài^nt cticunt donàvani af?ànsimL
Più di tutto per altro questo dialetto distinguesì da tutti gli
altri per una serie di radicai affatto strane ed esclusivamente sue
^
DIALETTI PEDBII03ITAFII. 487
proprie, comò gorì e durai per padre j cospa per easaj poglin
per Aglio j nuircdr per- mangiare, e miolte altre delle quali por-
geremo un Saggio nel seguente vocabolario^
11 dialetto di Biella ^ e con esso un buon nùmero dei circo-
stanti, distinguesi daf dialetti posti sulla riva destra della Dora,
per' la flessione dpi participj, che 6nl8Cono in aij id, come daij
,dity anziché in et; per la terminazione in è negli infiniti dei
verbi di prima conjugazione, che gli altri -cànavesì volgono in
0ry nel che si collega ai Piemontesi^ come pure, a flimig^nia
di questi, fa uso costante del pleonasmo nei pronómi redprod
e personali, dicendo: $'è aussàse, s'n'è anddsnej al l*à vd&lOj
evitato se^ipre dai Canadesi.
' Distlnguesi pure dagli uni e dagli altri^ pel frequente' uso' del
suono -M italiano, che sostituisce alla ctj dicendo: ptjrscèij^ ntiòj
panscia-j per porci j ciòj pancia. Nel resto partecipa più o nieno
'dei caràtteri, cosi del' piemontese, come del' canadese é del
monferrino.
i dialetti di ^^fndomo e di Settimo- Fittone; j)ostf al 'setten-
trione-di Biella sui monti, e che possono Visguardarsi come va-
rietà di quello che parlasi in Biella stessa, ne differiscono solo
per unsJt prontinzia più rózza, e per alquante radici, che pale-
sano origine latina,^ coide: àndà an obiaj per andari iilcoìUiro^
oOpttim ire; recollcèj dal latino recai lectnm j per raccolto; «c-
stimenta per venti j ed altre. Sono pure da notarsi radici strane
cosi nell'uno come heiraltrp <lialetto;- per le quali vanno dagli
altri distinti, come: matj matètj loisónj mul, mUlètj per figliò j
iài, nigìia, prìcàj squajdj per majàle^ famcj direj arèimazutre.
V Alessandrino, e con esso i dialetti parlati nella • campagna
circostante e lungo la valle della EJi&rmida sino al di sopra di
Acqui, sono precipuamente caratterizzati dalle pro)[irìetà già menr
tovate, quali sonò: la permutazione' della u in i ^ come tiè'y per
fuftijT r articolo er^ pel maschile, e ra pel femminile, che^fanno
dér, arj dar, dra, ara, darà, nei casi obliqui; k sostituzione
della dalla t nelle sìllabe finali' di molte voci, oome^fuoné^
tèèj étdi'j andaó, per quanti, tetto, staio, andato," e la costante
presenza dell'eufònica u, che talvolta fa le veci del pronome
egli, e più spesso tien luogo dell^eufòiUca a degli altri dialetti
piemontesi e lombardi.
kSS PARTE TERZA
Ciò non pertanto a questi caràttori dobbiamo aggiùngere l'uso
di vò1geile*>lc b in u nel maggior nomerò delle \oci, màssime
in fine di sillaba :
Italiano presto giòvniie órdine tromre lorrurto ancora' lontana^
Alefó."* preslu </.itipe«' ùrdin trw^è tàriìd anatra lantàn.
Come pure nelle flessioni dei verbi che i Pientwtresi termi-
nano in o: > '
italiano' andai^anìo nuingiano iuondcano credevano
Alessandrino andava mangiu sunofHi cherdiu
Piemontese' andaco mattgie sunnvo cherdh.
L'uso dì permutare le terminazioni ino^ tVia^ ia én, énna na-
sali, ^ceddoisitadénisitadénna, stioalén^ cassénnaj per citta*
dinoj ciltadinat stwqlino^ camna, e slmili.
E per ùltimo l'nso di alcune voci peculiari , come utf per
questo, che ricorda Viste dei Latini, acsì^ acsì^'Chìj per <ott^,o
91(1 j che accennano, del pari che la pronunzia^ all'inflQeiiza
del g^ppo emiliano col qu$ile confina a mezzogiorno,
j RisalenidiQ U corso della B^rmida e del Tànaro il dialetto nunh
ferrino sì accosta al piemontese ^ cosi nelle forme còme n^
voci, per modo .^ che, dopo avere già assunto in Bistagno la 6
piemontese, ohe T Alessandrino appena fa sentire in poche voci,
depone in Alba alcune proprietà distiìitive,. e ne riceve altre
dai Piemontesi medésimi.
Ivi infatti cessa la permutazione, delle ti in » e delle t io éj
ed incomincia il pleonasmo dei pronomi recìproci, affatto carat-
teristici e ^istintivo del Piemontese; cosi pure a molte vóci
proprie del monferrino succèdono voci e frasi piemontesi. .
Ciò non pertanto, insieme alle aitile proprietà monferrine,
vi perdurano e la u eufònfca, e gli articoli ed i pronómi er^
ra/roj che strlngonp in un solo fasdo questo gruppo, assimi*
làndob alla fkmijflia ligure; e questi articoli e tutte le altre
proprietà distintive^ccompàgnano i dialetti deHa parte superiore
delle due valli del Tànaro e della Bòrmida sino alla vetta del-
l'Apennino, ove gradatamente si fóndono nei liguri limitrofi.
Il dialetto di Mondovij che, come abbiamo altrove avvertito^
riunisce i principali caràtteri del monferrino e del piemontese,
si distingue da entrambi per una pronunzia più aperta e più
DIALETTI PEDBVO.^TAIHI. 489
rocilixzafa, facendo U90 di molti dittonghi in luogo delle sém-
plici vocali, come nìàirii, per mèrito ^vììàii^n, ddiva, tumàha^
mroj per venkn, (lam, tornava, ora, e slmili. Disitngnesi aa-
oorf pel suQQO duro della z ignoto agli altri grup|ri, dicendo: zi
per -ftity auzèy niazzè^ preziàs, per alzare^ amnwzaàrt^ preziono.
; Raggiungendo ^a vetta deU'Apennino, troviamo a* Millèsimo,
li Cairo e a Montefiotte il dialetto indnfefi:ino con tutte le sue
proprietà 9 e eon una tinta dei liguri,- resa manifesta dalla mo-
lificaxione di alcune desinenxe, daU' elisione della, r in «Icone
foei, come: $enntùi/per tervilori, e dall' introduzione di qoÉl-
she parola e ffase genovese. . • ' '.
^Questa tinta Ugùre è assai più foirte e preyalente nei dialetti
ili Garessio e di Ormm,. che per gli elementi onde conciano
possono del pari èssere classiGcaii' nella ligure famiglia, assimi-
làndòsi-alle favelle vernàcole della riviera di poneate» I caràl-
Ieri quindi che li distìnguono dai rimanenti del gruppo nonfer-
rioa, sl'desùmono egualmente dalla pronunzia, che dalle ^fpnne
B dal lèssico. La prima è.dolce e scorrévole, pei? r«fflueiisa- delle
vocali e dei^ dittonghi^ per la frequenza dei suoni i^ i/i e fj
^per l'uso di evitare le voci tronche,, terminandole' per Io piti
in -vocale. ^ .
Le forme sono affatto liguri nei participj , che finiscono' in
ipio, iciOj oppure àoj iio, io:
m
Italiano doto detto andato ntatìdato ' t^enufo sentito
ISaressio dado dicio andóo manddo t^ùo seritìo: -
Sono liguri* nella permutazione della ;) in c^ dicendo dà,
nrìÈse, per più, empìni^ e slmili; e lo sono del pari nella sin-
à»i, che non è punto diversa dalla genovese*
Rei dialetto poi di Orroea 16 forme liguri prevalgono talmente
opra ogni alfra , da non poterlo collegare* in verun mòdo al
«mo pedemontano^; noi lo abbiamo qui inserito, perdio' trp-
rlodosi sili versante seltehirionalc dell' Apetinino,* é formando
mrte della valle del Tàharo,'è ancora politicamente racchiuso
iella Provincia di Mondovl; perchè avvenendo 'la successiva
nisformafzionc dei dialetti monfeMni e piemontesi ih liguri
»er gradi, sé no trovasse in questo il compimento, e valesse
[olndi di opportuno riscontro agli studiosi; e d'introduiìóne alla
490 PAKTe rtìLiA
famiglia ligure, che, a Dio piacendo^ ri proponiamo, di svòljeere
in «m futura- publicazìonc.
: Tjàki sono 46 piìi. ovvie e. più <*araUer)sliche proprietà alte a
ffceréntre* sommarianiénte fra loro i singoli dialolli di -^piéalo
ranio iooportante, per quanto è possibile •delerminarlQ nella eoH-
fosa congèrie di tante favelle piiì o meno -fra loro everse. Gò
non pertanU), a provare la magare p minore esattesaa delle
espòste x^sservazioiM 9 e meglio ancora a porgere un'idea fitk
geoecalè é adequata dell'Indole di tutti questi dialetti e dei lora
scambiévoli .ràppocti^ varrà un attento "esame delle seguenti
versioni della Paràbola del Fùjlio Prodigo ^ non che dei'vSbjgrt
cN iMtermtìtra vernàcola che soggiungeremo 'piA ol.tre. '
§. 4. « Osisercàziom grammaticali m generate.
li piincipia onjinatore che jgeneralmente collega in tina si>la
famiglia'tttttr f dialetti gallo-itàlici non viene punto meno nei p»-.
demcmduit^' aebbe^ in apparenza dissonane dagli altri. Diciamo^
in apparenza^ avuto riguar^ al sistema ^onceUhale, nssia a
tttlto^ ciò che istituisce la forma gramitiaticale dei ìnedèsinu,
mentre le dissonanze nella pronunzia^ ed in conseguenza nella
forma •pìh o meno alterata delle singole voci, non che appa-
renti, sono assolutamente reali. ' • .
Tutti i dialetti pederaonlani mancano d' una ven^ decIinazioDe
dei nomi, valendosi df^gli artìcoli e delle preposizioni italiane
dij Oj daj to^ coHj pevj e simili, onde precisare nel discorso le
varie relazioni dei noqii stessi colle altre. parti. Gli articoli sono
sempre gli stessi italici itj lo^ uiio^ pel maschile; la^ uAa^ pél
femminile; e sono espressi in varia torma, giusta le varie prò-
nunzio. Il m^chile determinato vi h rappresentato colle voci el,
'Ij r, lOj lUj erj Vj ro, Uj til^ che nel plurale fanno i^ li^ gij il
femminile d^lle voci lay ra, che nel plurale fanno /{f^ rej e sigli
upl che gli altri si contraggono nelle preposizioni^ come in Ita-
liano, per dinotare i varii casi, facendo: del, di, der^, dn^ dal,
delay dia, dra, oppure al^ atuj ar^ ala^ ara, e così nei rispettivi
plurali.- L'articolo indetcrminato è m^ ùit, % mia^ ìinaj 'mu
I (gèneri che per lo più vi .s>no distinti, sono i soli due nà-
DIAUrm PEDEMONTANI. 1|9I
turali y maschile e femminile; e questa distinzione vi è determi-
nata in vafio knodo; primferàmente col m^zzo dell' arllcolo^cke
.è abbastanza diverso nel nùmero singjolare, ma non stnipre nel
plurale, .màssime in albani dialetti; in< secondo luogo^, eoa voci
diverse, il' 6he . avyiene solo per àistìngoere il maschio dalla
Iftnimina in alcimespecie jl' animali, indigeni,' come 'l^bàj 9 la
jMCcaj proprietiu'comune a tutte le altre lingne; in terzo inògp,
(001 mezzo della terminazione^ che spesso è In fr^.^oppure in o
pel maschile, in a pel femminile, e terminano: rispettivamente
in i ed- In e nel plurale. Questa règola peraltro iatante. svariale
Avelie, delle quali H carittfere più costante éi è una eòntioda
irregolaritji, va soggetta ad un nùmero .indefinito di ecceiioili,
non solò da diiiletto a dialètto^ jna eziandio in ogni Mrfgola* Ta-
vdla; di modo che si richiederebbe un lungo trattato ad espi^rre
compiutamente solo le principali nozioni sulUi distiniiène dei
gèneri. Bensì appunteremo come ttn fatto di tomma importanza
la differenza di gènere applicato ad* un medésimo nome dai varj
#
ilialetti, differenza assai più ripetuta, ève si raffrontino I dialetti
•pedemontani alla>lingoa.comnne d' Italia, -nella quale sond masehili
parecchi nonri^ che in varj ^iàletli son di gènere femminile, -ed
inversamente; come l'aratro^ il }ìifji$trtllo^ che dìconsi in piemon-
tese la slbira, la ruta-volòira. Non v'ha al<;un dubbia, che lur-
ooglieiulo i copiosi mat^piaK di tal fatta sparsiiiei moHèpHci- dia-
letti delle valli .del Tànaro^ del Po, delle due Dm*e è del SesHi ,
ralfirontindoli fra loro e colle altre famiglie vernàcole, e risa-
lendo alle origini, si otterrebbero rivelazioni, di somma impor-
tanza per r eliografia e per la storia; giacché -non a caso i7 so/e
che jè di gènere maschile- nelle lingue lattile, è femminile nelle
germàniche, e inversamente /a /tina.
Anche i nùmeri dei nomi, còme* in italiano, vi sono distinti
e per meazo degli articoli, e colle desinenze. Gli articoli lion
«
sempre, ^ non in tutti » dialetti, sono sufficienti, valendo talvolta
lo stesso articolo per ambo i nùmeri; né sempre bèstamy le
desinenze, che variano indefinitamente^ e p<^gonó sempre nimve
eccezioni: Ciò nullameno, tenendo conto dell'oso più ripetuto
in maggior nùmero di favelle vernàcole, -la desinenza t distin-
gue il plurale maschile, la e il femminile, e nel maggior* nù*
492 PARTE TERZA
mero dèi dialelli alpigiani ancora ]ik Hj come in lutti ì di^lclli
francesi. L'u9o prevalente per altro. di troncare le voci, elidendo
le ùltime vocali, rèml9no impossìbile, per lo più, lo scekerare
il singolare dal -plurale senza il soccorso degli articoli.
« Gli aggeUivi, per lo più, tono eorrnziotii delle Voci italiaAe,
eorel^lale -le radici indigene e; forse primitive peculiari di da-
Mtuno. Nessuna legge per altro ne'règola la formazione, tranne
per avveoturfl quelle ^cha derivano .dall' italiano, come a cagion
-d'esempio r'aflislioiìe delle parlkell^ in, dts al po^itivd' per
rènderlo negativo ,. nelle voci-6(f/j ii^ùtilj giistós, dùguntós, ed
altreUU. .Per la 'distinzione dei gèneri e dèi nùmeri, sèguóno^le
poche varianti ohe abbiamo accennato nei nomi; e divengono
dimiauti^iy aupaentativì, pcggioi*ativ1, Comparativi o supcfrlativi
^Qfk lecere flessioni,- die. derivano chiaramente dalle corrispon-
denti ilaliaae^ sebbene più o meno alterate e mutilate, a norma
delle* varie jMronuniie.
Anche i pronomi derivano dalle radici comuni a tutte le lin-
yuo lndo*etiropee, e nella «trana forma che li' modifica si* acco-
ntante .assai più alle lingue della Francia, ^ che non all'ltaliaiia.
.1 personali sono: t ^ mi, tue/Hlj te, iSjfKj él, IS; cMH, chiàlj
tè, chila^ che restano indecHnibili nel singolare, e tfiel .'plurale
volgono in iwì, i, twdè, voi, ìj votìé, lor, tur, cuNd*, e varia-
monte ancora^ Nei casi obliqui sono precetUiti dalle preposizioni,
tltinne- il dativo che per la prima -persona è me, o m', per la
socomifa, le^ o.i'j e per la terza si maschile, che femibiniie, è
j^jeyli, gi, che corrispóndono aHe Voci italiane gU, le.'
I «pronomi possessivi, sebbene derivati del pari dalle radtd
latine 9 vi subiscono- molte e strane variazioni; per addurtie al-
cuni esempj, m/ovi è rappreseirlato colle voci: me, minu, mio,
miuj moiy, muli; il pronome tìio colle voci : Ho, tiau, lon, lo,
Uuj cosi suo con: so, san, sto, sim;- e lo stesso dicasi dei pro-
nomi MoffiO^ vos/ro^ /oro. Di qui si vede, come la forma allon-
tanàAdosi dall'italiana, si accosti air occitànica , ed in qualche
dialetto sia pura francese.
Ancor più variano, assumendo forme francesismi pronomi di-
mostrativi questo e quello, che in un medésimo dialetto sono
espressi in moftèplici guis^. Per citare le più comuni^ valgano i
OIALETTI PBDSHOKTAKI. 495
seguenti esempj. Queato vi è alternamente rappresentato da
aciiést, acliést'issì y se-si, só-si, costj cusl , cmt'SÌ^ ntOj stoffa,
dièsis sitOjSel'issi; equ^Jo, coììe-yocA: chéi, ìò'j achél^ se-la,
col^ atlj ciU'làj ed altre varie, che sì possono scòrgere nei Saggi
che aeggitii%eremo in sognilo.
Nella codjiigflLZione dei verbi prevalgono ora la forme e le
inflessioni dei <erbi italiani^* 'ora quelle ^ei francesi , si le. une
che I^ altre modificate a nprma delle vafie pronunzie. Se ^i
yolefese tener conto delle «'continue varìantt. che s'incànti^aiio,
Don solo nei molti verbi da dialetto a dialetto, ma in un solo
dialetto medésimo,, si richiederebbe un volume per le cosjuga-
doni e doe per le varianti. Ciò nulladtmeno in tanta congèrie
li forme diverge, trapela pur sempve in ciascun gruppo un
;erto tipo generale di cqnjugazioné, intorno al quale più o menq
la prèsso ai aggirano le varianti stesse dei molti suddialelti;
» questo tipo comune rinviensi appunto in due . conjugazioni*
principali dei dialetti che rappresentano ciascun grappo, di-
Forino, cioè, di Ivrea^ e di . Alessandria.. À^quepti tre tipi^ dei
[piali porgiamo le conjtigazioni, abbi^ipp. avvisato indispensjJ>ile
ipporre a riscontro la*, cónjugaziooe degli stessi verbi nel dia-
etto di Mondóvl.) coraB quello che congiungendo insieme i gruppi
ìiemQHte^ e rnonférrino alla famiglia dei liguri, forma quasi
in quarta. tipo distinto.
Anche qui, come si scorgerà di leggeri, manca del tutto la
^oce passiva^, alla quale venne surrogata ' la composizione del
erbo ausiliare èssere col participio di ciascun' verbo, che* varia
HÙ o meno in. ogni dialetto. Così pure nella Voce attiva man-
ano quasi tntti riempi passati, che appunto, comp in tutte le
ingue neo-latine, vi sono composti dell' ausiliare aireree del
participio. Neir impossibilità di appùgitare in un sémplice Saggio
e innumerevoli forme ed anomalie che si riscontrano in tanti
variati dialetti e suddialetli^ facciamo voli perchè, riconosciuta
'importanza d'un lavoro compiuto, gli eruditi .d'ogni singolo
•acse^ i quali soli possono condurlo a buon fine, provvedano
nalmente*a questa deploràbile lacuna, illustrando la favella
ei loro avi, jnella quale e colla quale appresero a pensare.
494
PAKR TOUEA
TORINESE
D* IVREA
DI aUssandria di UONDOVI
Modo LidefinHo.
Tempo prm, iportè '
» panato I avéi porta
n futuro \etiepr porle
Qfinm4io Iportàod
PartidpUk i porta
ni .1 porlo '
ti (* porlo
chitl a porta
noi i porióoM
.voi- i porte
lor » porto.
mi i portava
*
li t' portava
Mì^ portava
noi i. portavo
voi I pò ria ve
lor a portavo
mi i 0
ti l'as
chièl a l*à
nii I urna
voi i ève
lor a ràn
portar
avéi pof là
te
«•sfr (a) pr portar
portànd
porta
porte • • j
avéi ^ortà
essi par porte
portanda
porli
porte
ÌTli porti
estejir porli
porti^
poHi(i)
Modo Indicativo.
Tcoipo iprrseal^
mi i porlo*
ft t' porte'
rhièl a porta
nui I porfnma
viit porte
a
lur a pòrto
me a port
fé t' porte *
cul-li 4 porla
noi a porhiaia
¥of I porle
■ «
cul-li i porlo.
ToMpO pMMtO PritMUiO .
li i portava | roé a portava
ti l' pertave
chièl a portava
Olii i porta vu
vui'portave
Itir a porlavu
te t' portavo
cul-là '1 pòrtavi
noi a portavo
'I voi i portavo
cul-li 1 portavo
Tempo PasMio Perfetto (d).
mi i un
li t'è
chièl a Pi
nui i urna
vui^i^ èi
lur a ràn
me a i ò.
tè rus
cuMà l'i
noi a i urna
voi i èi
cui-li i in
e
mi pori
ti V poHi
•
chél m porla
no&6(tf)
voi£ porti
eì^él porto
•
mi poriiiva
ri V porliivi
chél poriiiva
B0iè> porlilf M
wfiè porliivi
chél portaivo
mi i«
tiri
ohèi V r'i
noaéami
void èi
chél in
!
DULCITI PEDMOflTANI.
40»
Tenuto PasiatiT ÌIìmoIo.
i i avia
Tavie
ièl a l'avìa
I i aviir
i i avia-
«
r I «via •
mi i avia
li l'avie
eh ièl a Tavìa
( ayien
«
, ,, 5aviu
( avien
me a r.éiva
té r óive
■
eul-ià rèi va
noi a i éivo
voi a i éfve
*
cui*l» i éivo
o
mi ai va
li r aiVi
cfaél aiva- .
noà2 aimo
v(M aivi
cliéiaiva
<%
Tev^ FaUfOi
i I perirò (e)
t'porlHis
Ut a poKrà
I i po'rìnima*
i i porlré
r a porlràn
mi i porlrù
^lì V pòrirè
chièi a portrà
• •
Dui i porlr&n
.vui porlri
lur a portràn
me a portrò
le l* porlrài
cu Ma 'ì poHrà
riol a porlròma
voi i po/trài
cui*là i porlràn
mi porlro
li r póltra . ,
éh*él porlrà •
nM t>oclrmà '
•YPad poKrè
chéi porlràn
i I avrò
l' avràs
ièl a l'avrà
i i avroma
i i avré
* a l'avran
TeÌDpyo' Futuro Paàfiito. ^
■ ■
mi i avrù • \ ine i avrò
Il 1»$»^''^
vra*
rè
ctiièl a l'avrà \ o-
nui i avruma
vui avrì
lur a l'ayràn
lei' avrai
cui->à l'avrà \ *§
noi avróma * *'
voi i avrei
eui-là i avràh
mi avrò'
. li 4' avrà-
chéi u r'avrà
noàè avrmà
voàè avrei
chéi r' avràn
5^
ria li
'a pòrta
riama noi
riè voi
'a portu
Modp Ifnftrtàiiyrò,
porta ti I porta té
ch'a porta
porluma nui
porte vui
ch'a portu
ch'ai porta
porlóma noi
porte voi
ch'i porto
porla li
ch'u porla
' parlmà nòe
porte vóe
ch'i portu
499
PAKTE TERZA
Moda Conghmtko.
Tempo' iPresente.
chi mi i porla
tlM ti t* porle
dM chl^l » porla
€ÌM aoi \ porlo
€ÌM voi i porto
doloro porlo
ch'I porU
eh' ti V porle «
ch'^chièl a porla
eh'. Dui i po'rtu
.eh* vui porte
eh' lur a pbrtu
che me a porta
cht té r pòrte
i:he'*cuMà *l porla
•■ . •
che noi a porlo,
che voi ^ porle
che cui-là i porlo
.eh' mi porli
ch^ ti r porU
eh' ebél porta
éh^ noàè poriBo
: eh' 4ro&< porti
eh' chef porla
l*eiipo Pà§Milo Pi^MiaM.
cht »i i l^rlfisaa 1 eh' mi I portéis | che me a portéissal eh' mi porlàlm
clM II I' p^nfisse I eh' ti I' poHélaae J che té l' porléisse 1 eh' U 1^ porlàiai
eWehMapo^léisa4.^'<^^l«A^^' |cheeul-là'lponéiiaa| eli' cbél porOiM
pc^isa» I eh' noàé porttai
portélMoteh' vdkè partlid
tao l«r a iion^sao ' eà' lar a poHèlasa %heeiii*làl poHéiasoi eh' daU parlàh»
rhM a po^léisaal eh'ehièl a jiortéis Meeul-là'lporU
Im4 I p«AfUao|eli' uni iporlélsau| che noia pc^i
v«l I |«Htlaa% I eà' viU poHéiaai lehevoii portéj
•hf ni I ìWm
fh» filtri » l*vhMa
•hf «Mi I «^11
fht^dibèie
•h»'l««r » Ti
s
Teiapo PsMate Pofelto.
cfc* mi I abbia . , I che me a i ala
eh' li l*àbblc j Icheiérabf
cb*diièl a ràbbia f . 1 rbe colla l'ala
cb' nui f àbbiu i w-l che aol a i alo
Vb* vui i àbbie 1 I ch« voi i abe
cb* lor a 1* abbia I die cai-b i ab*
ch*nialMa
eh* li rabbi
ch^chélabbi
cb* anàé abbia
eh* v«iàé abbi
cfa'chéiallo
t
cht aii I avéiftsa
che li TavcisM
cbecbièlaravéissa
che Boi i avéissu
che voi i avéisse
cb( lor a Tavéissu
o
Tempo Paatuto Rlmoto.
cb' ni. inveii
cb' li l'avéi»s€
jch'ihìiì a l'avéia
cb' nui i avcÌMu l S-
cb* vui «yéissi I
eh' lur a l'avéi^so '
che me a i éisM
pbelé l'éisse
che coi la Téissa
cbe noi a i éisaa
che voi i éissc
che cui-là i èiiso
eh* mi avàim
cb* li ravàini
eh* chél avàissa
cb' noàè avaisa*! *"
rb' vnàé avàiul
eh* «hd avàissa
I
MALETn PCOBNONtAMI.
497
Modo Cotuiizionale.
Tfinpo Preiente.
'le
mi i porlrìa .
li V poriritoe
chièi a pòHri^
nui i po^trio .
irlii«
Drlilésae ;
Ilio
ivria.
o
vui portrlssl
lur a portrìu
nié a ppriréiva
té V portile! v€
cul-IàM porlpéiva
noi a portréivo 1
o
mi I i"~
cavns
„p Uvrie
(avrÌMei
ehièla l'avrial
voi i pertréive
cui-là.l por Irei vo*
Tempo Patsato.
me % ì avr^is
mi porlréa
li V poriréj
chéi^iorlréa
no࣠portrélnio
voa£ poHréi
chéi portréo
1
nuli ^«^""- Ài.
( avrÌ88o|
^avrìi \
*•"' |avrl»»l\
Savriu I
avrissu { -
té l' avrélsM
CHl-Iàl^aVréissa'
rtoi i avréisso f ?-
voi iavréisM
cuMà i avréisso 1.
mi avréa
■ ti V avrei
«
ebél avréa
1
noa£ avréinà) / fi;
voa£ avrei
* •_ »
cliei avreo
•
Modo Indefinito.
et. 'Ini
tgnir
lene
mi
i/o/a-véi tnii
avéi Ignii
avéi ini
avai Inù
V ycfscprloì
èsser pr fgnir
essi par lene
esse pr Ini
•
l tnènd
Ignènd
Inloda
t^ànd
Inù
Ignù
Ini
Inu
«98
>ARTB TEIXA
mi i lètio
ti V lène- .
chièi a lèn .?
noi I inuma •
voi i lène, . •
«
lor a tènu
> mi I tnia
U V Inie
chièl a tn.iì
noi i Iniu
voi i tote
ior a tn|u
mlio
li ì* as
cbicl a l'à
no) i urna
voi i ève
lor a ràn
mi I avìa
li fa vìe
chièl a l'avia
noi i avLu
voi i a vìe
lor a Taviu
Modo lùàkaiwo,
Tcappo Preteale.
ml'i legno,
li V legne
chièl a legn
nui i tgnuma
vui tegne .
lur a legno
me a t^n '
té t* ikfì^
cul-là ■ tèn
•
noj.a Ultima '
vofi tene
cui-là i leno
Tenpo Passato PrÒMimo.
mi i Ignia
ti t' tgnie
cbièl a Ignta
nni i tgnìu
vui l^nie
*
lur a Ignio
' »
m'é a In iva
té r laive
CQl-1à a Infva
noi k tnlvo
voi i'tnive
eui-là f Inivo
Tempo P»«atQ Perfetto.
e*
mi i un
ti rè
cbJ^l a rà
nui i urna
vui i èi ,
lur a l'àn
<w
me a l ò
té l'ai
cuMà Vk
noi a i urna
Noi i èl
cui-Ià i àn
Tempo Palmato Rimoto.
mi i avìa
li t'avìe
chièl a l^avìa
avìu
nuil)
avien
voi '»*!?
r avie
3
CI
furi
,\aviu
\
avien
me a i civa
ié réive-
cnl-là rèi va
• • •
mi tèo
Il r teiii
chèli tèa.
noiié IdnA
voàèf tata
cbéi i teno
mi Iniiva
.li r mèivi
ciel u iBalia
/noaft' I tiiii«l
voàéitdiifi
etìSì \ tnélft
mi 6
li t'à
chél a Vi
noàé ama
vo࣠èi
cbéi r'ao
noi a 1 civo \ ^
voi a i éivc
cui-là i rivo
iqi aiva ;
ti raivi
«faélalva
nM< amo
voàé aivi
cbci aito
DIALETTI raomOilTAKI.
k99
Trmp* Fvtvro*
I ^
Oli ilgniniì
(i r Ignite
tfhièl à Ignirìi
Dui i Igniran
vui tgnirr *
liir a tgoirìm
me a ìenrò
té V tenrài
cul-là u lenrè
noi a lenroroa
voi a tenrèi
cu Ma i lenràn
mi tniro
li V tnirìi
'chél fnirà
noàé Inirmà /
voàó' Inirài
chèi tDiiin
01
Tempo Futuro Pataatoi
mi 1 avrù i
me i avrò \
mi avr5
,, ., vavra«' /
• 1 ■
té t'avrai . /
li t'avrà
cbièi a l'avrà \^
cul-Ià l'avrà A ^
chiél u riavrà
nui i avruma l .^*
i 1 "^
noi avroroa 1
noàé avrmli
vui avrì ' 1
voi ! avrei 1
voàé avrei
tur a Tavràn
cui-là i avràn /
chéi r^ avràn
Modo Imperativo.
*
tègn ti
lèn té
tèn ti
•
cb'a legna
eh' a Ièna
ch'u tèna
tgnuma nui
tpuma noi
In ima noaé .
•
m
Igni vui
tene voi
Ini voà£
di' a tègnu
eh' i lèno
chM téno
Modo CongiuntiiH).
•
Tempo Preseate*
1
•
M.
eh' mi 1 tègna
che me a tèna
eh' mi Ièna
«
eh' U t* tègne
che té V lène
eh' ti V lèni
Ièna
eh' chiòi a legna
che cul-là a: tèna
ch'chél tèpà
ad .^
eh* nui f tcgnu
che noi a lèno
eh' *nokt lenmo
ne ,
eh' vui tègni
che voi i tene
eh' vo࣠lèni
ni|
oh' lur a tcgnu
che cu i-la ì tèno
eh' chéi tono
noo
PARTE TERSA
TeMp» PmmU Protsino.
cbc mi j Incissa
che ti t' tnéissn
, che eh lèi a tnéissa
die noL i tnéisap
che voiJ llkéiate
che lor a inétsso
eh' mi i Ignciss
eh' ti l' Igncisse '
eh' ichiél a Ignéis '
eh' nui i tgnéiMu
eh'vui i tgAéiisi *
eh' tur a IgoéJasu
che me a tnissa
che té rtnisse
checuMà a Ialina
.che noi a Inisao.
il
che voi i tnlBse. *
che ciii-là i loiiM
eh' mi imkìm
th' li V tntissi
eh* chél o taite
eh' noàé laìffMi
eh' vQ&è- laaiiri
éh'ehéiiliuM
Tempo Pasiado Pc^fictto.
che mi i àbbi^ i
eh» mi i abbia
é
che mi a i aba
eh' mi àbbii
l
dietit*àbble 1
eh* li ràbbie
che té Tabe
*
eh? U r abbi 1
che cbièi a l*àbbia ^
g
rh*chiùl a l*àbbia -
.che cui là l*aba ^
1 B
ch*<cbétabfea
m
1
che n«i 1 abbia "^
di' DUI 1 àbiria (^
«
che BOI a 1 ahi»
che aoMi abbia
K
die voi t àbbie
eh: voi À àbbie
che voi 1 abe
che vaie liat
che lor a l'abbia
cbMor a l'abbia
che cui-là i abo
eh* chél alba
Tempo . Passato Rivoto«
che mi i avéissa ,
eh' mi i avéis i '
che me a i éissa
eh* miafàiai
che ti Tavéisse / .
eh* (i l'avéisse l
che té raise
eh* ti favài»
chechièla l'avéiMa i '^
,ch' chièl al*avéi$Ì
che cul-là l'cisM .
éh^chaavàin
che Bei 1 avéissu 1 ^
99
eh* BUI i avéiuu e:
•
ch^ noi a ^ éisso
eh'ooàéavahm
che voi 4 avéiise 1
eh' vui avcissi
che voi i éisse
eh* va࣠avàiai
che lor a i'avcissu
,ch' iur a l'avéissu .
che cui-là i eliso
eh' <jhcl bvàtaa
1
mi i tenrìa
li V lenrie
chièl à lenria
noi i teiiriùma
vni i » ^wirie
^^" i lenriésse
|or a lenrju
Modo Condizionale.
Tempo Presente.
mi i Igneiia
I.U r Igneris^e
chièl a Igne ria
nuli Ignerìu
vui i tgncrissl
lur a tgneriu
tné a lenrélva
té l* tenréive
cui-là a lenrélva,
noi a lenréivo
voi 1 tenréive
cui-là i tenrcivo
mi tniréa
U l' tnlrél
.ciiél tniréa
aokò lairéia*
VfM^ tnifèie
chéi tniréo
\
MALKTTl PBDiaOMTAill
50 i
Teìnpo PaiMtii.
I avria
r avrìè
lèi a^ravcia
i i avrìu
I I a(\rie '
.l' avrìu
iSi
mi i
I avriH Y
ì avriss I
^avi
chièi a Tavrial
ivrie
rhse
noli»""!" /g.
/ avris$u
^"^'.{avrlssl *
lural'}^:'^"
1 avrissu
Ole a i avrete
té t' avréisse
cuI-làl'avi^Ma
,vòi i avréisse
Icui-làiavréisso
mi avr^ )
U l'avrei"
chél avréa
noi i avréiaao 7-^* mM avréiBO f ^
vo46 avrei
cbéii avréo
OMer^omiif . (a) In hrea , . come in generale ^ in tutte le
cillà e Inoghi abitati da classi distinte^ vairia il dialelto ar-
enilo- proprio delie classi civili dal rùsNcp proprio della cam-
pagna|, e qnindl ancora della classie ol^eraja alimentata sempre
dalli campagna. Siccome nelle Provincie la classe Aiyfla^enta
nella 'domèstica conversazione accostarsi alle forme deHa .ca-
pitile, cosi abbiamo preTerito sinché nei verln attenerci . ^ille
ferme usate dal pòpolo^ come le sole proprie del luògo, consi-
derando le altre come imitazioni forzate e fittizi^ , che sovente
•
haniip r aspetto di carlcatiira. Avvertiamo perciò che la voce
iuer è H tola del dialetto rdsUco * mentre l'tirbano direbbe 98si
od exsej similmente nel presente di a^^ere in luogo di t.iinj l-iur-
bano direbbe^ ad imitazione della capitale, iOj per io hoj nella
• ■
prima e terza persona singolare dell'imperfetto del congiuntivo,
direbbe porléissa, tneissa^ in luogo del^rùsticofioriét^^ tffnìléisj
ed in tutto quest'ultimo verbo sopprimerebbe la/jr^ preferendo
la forma torinese (fitr alla rùstica ignìrj da noi preferita. • Ciò
fnlga ancora a rèndere ragione della preferenza da noi data ad
alcnne forme nei verbi degli altri dialetti, 'come più general-
mente usate dalie inasse; cosi p. e^ nel futuro sémplice del tor
rìnese abbiamo preferito t porH^ó alla forma i portrai che vi è
pure usitata.
(6) Dai varj esempj altrove citati fu manifesto quanto varie
Tonno assumessero i participi noi moltéplici suddialetti d'ogni
35
KOÌ PkWn TERZA
gruppo ) màssime negli alpigiani, ove abbiamo notato le termi-
nazioni d^ di, dit^ dè^ èt^ èli nei participi della sola prima con-
jjagazioDe, co^e; fd^ fdi^ fdii^ fài^ fet^ fèitj quindi le termi-
nazioni t, ilj a 9.^1 i^i ^ ^'^i*^ molte, oltre alle coiltinue ano-
I
malie ^ nei parMcipj- degli altri verbi. Valga quindi questa breve
osservazione i supplire alla mancanza di appòsiti modèlli, in
luogo dei quadi rimandiamo Io studioso ai Saggi da noi proposti.
• (e) La Iònna ftfrana dei pronomi noi e/m neri dialetto di Mos-
dovì deriva dalla composizione* dei medésimi delle due voci no^
o PO corrispondenti a noi, ooi^ ed di^ chd signi8ca'a/(ri, oisia
noi^ltriy voi-^ltrij, come si usa da alcuni Italiani , dai Francesi
(noìià'auif^ì^ .ivué'^autres)^ e come lo abbiamo già visto usato
4ai Bergamaschi fra i Liombardi, che dicono, nóter e poter.
(d) I dialetti dei quali porgiamo qui due tipi di eonjugaaione
màneàtio «fatto della formfi sèmpUco del passato perfetto^ come
i» generalo lutti i p^emontani; In alcuni per altro serbasi tnl-
tavto' qualche raUquia, per lo piùù'ella terza persona singolarei
la tfaAt varrebbe a provare, che anche la forma sémplice on
lempd ttoisteva^ e. a. pooo a poco venne dlleguanda. Cosi tre*
vianip nel dialetto -di Possano, sogiùus^ persoggiufmej a Vina-
dl*^ ciamà^ dinuvndòj ad Oulx, fKxrlì^ 9enl di, per fNirli^ («nne,
dhàes ad Usseglio, tcqùs pregd^ per esciy pregò j in Alba; amdè^
• • •
per amdo/ nella campagna alessandrina, arspùs^ di8^ ed altrelali.
Generalmente perd anche questi dialetti faiwo uso della forma
oomppsta.
4
(e) Abbiataio ayv:ertito, come il Torinese, oltre alla caratteri-
stica o, Maccia ^so altresì ^ di a formare la prima persona
sing(ilare del foturo; ambedue queste forme, o piuttosto queste
Tociy Mìo purè usate dal Torinese col pronome persopale ì,
{^'esprimere io ho^ dicendo ègualmehlè t o, oppure t ài. Qne-
ata oiteertazione earebbe sufficiente a convalidare la scoperta
per la prima volta avvertita dal Raynouard , che cioè i fetori
sémplici In tntte le lingue neo-*latine sono composti dell' ìnde-
fiaito presente del verbo, al quale é suffisso T indicativo pre-
sente deir ausiliare a^rej di mòdo che leggerò^ .leggerai ^ kg'
g^rày ee., consterebbero di Ugger^ho^ lègger-haij tegger-ha^ e
<Ml di sèguito. La scoperta del Raynouard , sebbene conslatatt
DIALBRI PEDEHORTAFII. 50S
da una serie di falli, ciò nulkimeno per alcune anomalie in
poche voci del fuluro di alcune lingue, fu posla in dubbio da
qualche erudilo forse Iroppo scrupoloso. Ove per altro, prima di
risòlvere la, questione,, si fossero consultate anAor« le tante fa-
miglie di dialetti^ ogni dubbio sarèbbesi dileguato. In essi il fatto
si manifesta io. tolta la sua chiarezza per modo, che, separando
in tutti i futuri d'ogni dialetto italiano la parte che rappreselita
l'indefinito d^la caratteristica, .quest'ultima ei porse per iiitero
il présente, indicativo dèi verbo aitare nel dialetto rispettivo.
Valgano di prova i futuri da noi già proposti di . tutti i diilélti
lombardi^ emiliani e pedemontani,
'»
Hilanne Berg.° Boi.' Reg." .Parm.o Tor.* Iv.* Ales." Mond.
portar-ò ò ò ò ■ . ò o , ù ò ' ò ■ ■
portar^] , e a a a as e as a
porfar-à à à - à 4 a dà à
parlar-efn { , , etn {. em urna an otna ina
■^ Ima • 9omm .
portarci t % t ^ i. e. t et e
partar-dn d àn dn dn dn' ^dn dn dn\
A qtaesti^si possono aggiùngere i futuri più svariati dei sud -
dialètti -di ciascun gruppo, nei quali purè Ta cmtteristica ò for-
mata dal, rispettivo ausiliare. Cosi, per esempio, negli alpigiani
piemontesi s'incontrano le forme por lardi ^ poriardie^ poriarèi,
pairtarèic^ ove Tauéiliare ho è -appunto espresso con di^ dtc^ et^
èie. Se Yisalia'mo alle forme più antiquate di nostra lingua qoMdo
solèasi dire (in Inogo di farò, dirò) faraggio^ diraggio ^ vi tro-
viamo pure. agrgfto per ho; di modtf cfaie^ dòpo tante* prove cosi
iq'anifeste, pare non potersi più dubitare della verità- deU' os-
servazione di Raynouard. ' / .
Ed ècco in qual modo lo studio circostanziato dei dialetti pqè
tornare vantaggioso alla soluzione di moHi problemi coA lingid-
stici, come stòrici ed etnogràfici.
ìiOh PARTE TERZA
CARO il.
■ • ••
■
Fersione della Paràbola del Figlimi pròdigo ^ Iratfa da S. Lu-
ca^ cap. XV i fMrì principali dialetti pedemontani. '
• • -
Serbando sèmpre l' órdine' da boi adottato nelle dtfe prime
Parti, soggiungiamo Ta versione della Paràbola in tutti quei dia*
lètti' e suddhiletti che pòrgono maggiori variazioni hdla prò-
nunm, nella forma o nelle radici. A rappresentare i sùonf di-
versi ci siam^ valsi del sistema ort^ràfico da nói esposto nel-
r Introduzione a pag. xxix e ^guenti. Le versioni poi d Aàrono
graziosamente apprestata dagli studiosi più distinti d'ogni sin*
gòlo paese, ohe furono da noi invitati a fèndere il feslo tanto
lettei^almente quanto, lo permettevano i mezzi e l'indole del
rispettivo dialetto. Se talimo, óosi nelle due prime Parti , ooiie
in questa, ha talvolta deviato, il maggior nùmero per altro si è
serbato fedele , e ne rendiamo pùblicbc grazie di nuovo sì agli
uni .bbe àgli altri. Alcune discrepanze nella forma , lungi dal-
i' èssere imputate ad infedeltà del traduttore, dèvonsi attrìbalre
solo air Indole ie\ dialetto, od alle consuetudini del luoghi. Il
servo , p. .e. , pafla col padrone, ora in seconda persona singo-
Ine, ora plurale, ed or<a in terza pej^onà, giusta l'uso del pae-
se, al quale non può il traduttore derogare. Lo stesso dicasi
dei rapporti, tra padre « figlio. Avvertiremo ancora, che la mo-
dèstia, di parecchi traduttori non ci permise di'publiearte il
pofue a piedi della versiokiQ rispettiva, pomo avremmo desiderato
poter (are per guarentigia comune.
Per ùltimo abbiamo coordinato tutte le versioni sulla .norma
dell'esposta classificazione, facendo precèdere le picmonCeit alle
WM\mi^ e queste alle motiferrìn^ Cosi {)ure le. urbane prece-
dono le alpigiane in ciascun, gruppo.
DULBTTI -PEOEMONTA^I.
t(05
Dialetto Torixf.se.
if. iin òm a Pavia doi fioi;
ft. Col pi giovo rà dit a so padre:
dèaie la pa^t di beni 4:h'a m* luca; e
ebièÌKl^ cui'liCDl fa fàfae dee pari.
fls. E da lì a pochi dì 'I flol pi gio-
vo, buia ansèni tut cui ch^^ Pavia
tire di »ò behj, s'.è-andàsne ani' un
|iMlODfiin,'e là oinànd una vita os-
sÌ«Mielu8uri08a, a 1*^ dllapidà'l fatsò.
14. E dop d'avéi consuma iiii lo
filila Taxia, venia cVanÌ*cu1 pais a]
nana unte fatoina die pi fiere, e che
chièi 'comensa a manche del neces-
thri;. . • ' ■
m. E ve dasse ardriss, e s*èagiu-
atasse al servissi d^un sitadìn d* cui
paia, eh' a V à- mandalo a na soa cas-
sImi con Vimpi^ de mnè i pors an
.pastura.
la. E a desiderava d^eHipIsse la
pansa d' 9UÌ agiant istèss ch'i pors
a mangiavo; e J'era gnun eh' a 1 por-
téissa.
. 17. Ila anfin anlrà 'ni se stess Pà
dit: Quanta geni salaria A cà d' nir
l>adre Pà d' pan «in abondaiì^dr, e. nii
•aon SI' elfi moire d* fami
18. L'è lemp chM m* leva da sì, v
chM vada da me padi*e, e ch'ìj dia:
Padre, mi i' o pcfà contra '1 aìél e
an vostra prqseiisa : . • '
IO. I son pi nén dégn d'e^tse cianisu
vosi fidi: acelème coui'ùn di vostri
aervitùr.
ao. E alvandse sii, l'è vnù da so
padre^Ma già sV |K>vr fidi, Irovauése.
giiimal vsìn a la cà d' so padre, chial-sì
rha vdùlo, e piit da la compassión
j' è corife anconlra, P à ambrassàJo
e basalo.
21. E 'I fìòl j*à dìji;: Padre, mi i' ó
pccà cohtra M siél, e an vostra pre-
sensa: son pi nén dégn d'esse cianià
vosi noi.
29. Ala so padre Pà dit ai so ser-
vilór: Tira sfiblt^fòrala vestai'pì pres-
siosa ebiìièila; bulèie so anèi ant'et
dì, eaussèje I stivalét: .
SI. E mnè1ne«ì un vllèl bih^rass,
massèio, e -fé eb^ la Susina a branda,
ch'a j sia fin disnèè'un tratamént da
nosse;- . ; < 1 '
94. Pepchè Sto Biè ftdl l'era oiart,
e rè toma a vive; tf'era perdGsfte, e
P 6 tomàio a trbvè : € s' son -b&lasie a
tàula. ' -
2«. Ma n fiSl pi vèj Pera an cam-
pa'gna; e vnènd vers cà, qùaiid « n^è
st|ine.ystn, Pà sentù jch'a a' sofiava,
e ch^a^s' baiava. *
26. L'% clainà-an di 8ervUòr,«e a
P à^interogàlo del perdbèdVla novità?
97. E chial-sì j'à dìje: Vosi' fralAl
Pè vnu, O'Vost patire Pa fait nasse
ihì vitàlbln angrnsftà, perchè Pà rlr
f flperàlo san e sulv.
ss. A sii! parole-si Pè andàit an
colera, velia pi nén ItUrè 'ni' cà. Per
lo. so padre sqrliènd chièl istèss a
s*é fas^ a preghèlo d' vorèi tntpè.
90.1lla'l iiol rispondèndje^ij'à dìje:
)Son tanti ani cbM.V servo, e P&jliat
Irasgredi utv di vostri órdin» i voi
m'avi mai dame un c'ravót da fé un
ragosio con 1 ine amìs.
■ 90. Ma apena vnit sto vosi (Idi , ch'a
Pà divorà.'l fai so con d* fóninie d'
mala vita', 1 fé masse pr chièl -un
vHcl biuangrassà.
31. -Ma 'J padre a j'à dije: Me car
Ool, ti V SOS sempre conimi, e tùt
lo ch'a Pè me, Pè tò.
32. Ma bsognava de un gran past,
e fé n'arjioisansa, perché to fradòl lo
chcrdia mori, e Pò tornalo a vede
vìv; Pavia perdiilo. e Pò lornàlo a
Irò ve.
IS. N.
»06
PARTB TBRZA
Dialetto Astigiano {Pieniontexe).
ll.ija to ravìà doi Adi;
12. E '1 pu gfòvo a ì'k dfl t so pa-
ri: Pari, dèmte un p6 là mia parl;*e
'l-parha rà ditii le soAlansefra lor.
U. Da lì i (lochi di, easènà iutli'
raduna, 'I pd giovò a l'è parti p«r
un paia lonlàn, « Jà a rà dissipa la
tua part, vivènd lusuriosaménL
14. Doi^che ràvlrp5i oònsumà Uilt,
ani eoi pan a J'è vnQc oa ifrairfain,
e chièi rà comensà a%'èj d' bsògn; '
15. £ rè andàt a siè per servi lór
»'cè d'ùii d' cui pais, dal qual Ve
alai manda aa campagna an paslurf
ai crln.
le. ChièI al sercavy 'd'cmpbie la
piiisa di glandr, ch'a nangiavo lor;
am gnfin a ] na dusia,
il, Aniora loriià ani se stess a rà
411: Quinta geni d' servissi *an^ eà d'
me pari alK>ndo à' pan ^ 'e mi ^ut a
mor d' la fami . . . • .
. 18. Andrd dunque da me pari) 'e
a j diro: Pari, mi jgià i* 5 fai mal
avanti al siél e avanti a voi;
i0.#GÌà mi son.pu néndégn che a
.m' clami vosi Adi: fami com' un di
vosi servitòr.
. SO. E ausàndfi a l'è 'andai tla so
pari. A l^era ancpra lonlàn, quand
sé jMfi rà visi>, e pia da la compas-
sión a j'è corrùje 'ncontra, l'à am-
brflsièlo aniòrn al col , è rà basalo.
,21. E '1 fidi a rà dije: O.pari, mi
V ò pecca centra 'I siéi , e voi ; già
son pu nén dégn cfa^a m! clami v<nt fidi.
12. E 'I pari dUal«ervil6r: Pr^st «
porte la vestimenla po^bela, e veslil^
subii: butèj l'anèl ani 'I-di, e le acarpa
ani i pè;
23. Une prèsi fin vktèl grasa, e
massàio: mangièai^, e dòmsr fin pasl^
24. Perchè cust me Udì- a l'era neri,
ere risuscita; rera perì, a Pè stai
trova; je as* son butàse a mangia.
2]i. El fifil pu vèj a reria an eali-
pagna; tornànd, e Irovàndsl vaia a
cà, a rà senti la musica;. •
2e. E a rà ciaroà '1 perchè -a 'b
senildr?
27. Costruì J' à diie:Tò fradèia rè
lornà, e tè pari rà fai masse un vi-
dei , perchè a rè toma a cà san esalv.
28. Cust fidi rè andai an còIra, e
*ì voria nén entrè. 86 pari aniora fé
vniye 'nconli^a, e lo pregava ch'à
l'entrèissa. . -^
29. E chièi a j à responduje: 8ob
tanti ani che mi a v.' serv\ e J 5 msi
disubbidivi; e voi a m'èl mai dànl
n'agnèi da mangia con l'mè^mit;
so. E dop che cust vosi floi che s
rà divora la soa pari con le dona d'
móod, are torna, a J'èi massa Sa
grass videi.
81. Anlpra '1 pari a J*à diJe: Scint,
me fidi • il a r sès sempre con mi, e
tuli cos a mi posséd a l'è tè; .
52. j^.bsognav^ però de un past,
e sic alléglier, perchè tè fradèì a l'en
mòri, e a rè risùscilà; l'era perdfissi,
e r a vóma trovalo. ,
N. N.
DiALrm peDs«OMTA:ii.
507
. DULETTA DI FOSMHO.
Ifi.-Va.òm'a Tavia dai fidi;
It. k 'l pi gCóvo a J'a dite: Pare^
iène 1» mia pari eh' a m' vea; e '1
^ra a l'à fàit le pari.
f s. gualcii' fi dòp , a 8*è iindàsne
*nV uo pai» ben lonlin, e a J'è pa
odlje vàlfe, eb'a t'à fàil «aplé tùt,
itandonàiidM a ogni sort d' pia3L
14. Ma qnandfa' rà a vii tkìi prà
ndld' quanr a l'avi^, a ]*è vnuje una
\àm ani'. cui paiSf.cb' faèìa orùr^ e
ebièl balìa U grangia; .
Itt. Es'èagiùstassecon un proprie-
tari d' cui pafs, eli*a l'i piandàioa la
tm cassiaa a guarnè i crin.
fèiX a Tavria yulsùsse empi la
paitfa d^-CMlé giéndr 9h*a mangiavo
I aniinài; ma J'era 'nsùn di*a J na
déiaaa.
17. ailomà 'ni tè sIom a l'à dit:
Oonatl arvitòr eh' 'nr cà d' me pare
a inangio.lanl ch'a s' lu lucco, e mi
I nor d' faro !
18. Su dùnque, i 'ndarò da me pa-
r^^ e j diro: Pare, i' ò pcà centra 'J
lièi e conlra d'«va;
li. I son pi hén degp, eh' a m' dio
voal 051; bùlème 'n r *1 numer di
vosi ri servitór.
to. Dil, fàit E a l'era ancor, bin
lontàn, quand so pare al Tà visi, e
pia da la compasslén j'è cura 'neon-
tra, é il finìa pi né^ d' l^Msèlo.
ti. E nudi a j à dije: JPare, i' o
pcà contra '1 siél « ^onlra d' vu; i
Bon pi uén degn eh' a m' dìo voajl fidi.
SS. 'Nlora'l pare a Pà clama i srvi-
lòr, e a j'à comartd^ie d' porte subii
<
ràbil eb'a Pavia prima; d' vaino ,
d' bfime Panel .*nl' 1 dì , ? le acarpe
'nPipe;
28. Ifdè 'nr la alala, aoglui^a 'r4MÌ-
re, pie un* di pi bel vilèl, maaaèlo,
e cb'J alago aì^ben .
U. Prchè^mé fiol Tara mori, e Té
risùsiU; a Pera pera,' e i P6 Irovèlo:
e a Piin bùia I pè sui la làu.lfi.
su. 'NI cai mentre '1 051 fi vèi.
eh' l'era 'n campagna, a' na lurOa a
cà,,e acni eb'a a*. sona, e aènl ch'a
a' baia.
se. infècoga un' di srvUòr, xosa
v5l di lU'li?
S7. 'L arvilór aj rapónd: Voaì frèl
l'è turnà a rà, e yoat pare vok ale
at^ber» prcbè'cb?a Uim^ M casi si.
. sa. Scnitt lo eh; Pera^rt ) è viiì^e
'1 fui, .e a vulìa pi P^ e»lrè 'ni cà.
Dunque 'i pare Pà dovu sìirli fmil»
e- preghèlo ch'a intréisaa.
so. Ha 'I fio pi vèi a.diaìa: (Kf^fc,
a soii tanli ani eh' i v' servo , ^ P 5
mai dsuhidive.'nl nienle : e voi
m' ève mai dame un beoo # pr sta 'n
pòc ailégr con i me ami»;
30. 'Nlànl probe eh' s' i^rd V f^ «
Pè mangiasse (ul a mal m549 9 a' è
lurnàsne a eà, voi J fé massf '1 pi
bal.vilèl.
3i. Ma, M me fio* j'à ^pósl 1 pare»
U èìn nén .sèmpre con mi, e lo eh'
Pome, alo oén luì tò?
.SS. CusUsì poi a Pera morl^ e ir Pè
riaùsilài a Vera perji, e i Po truvàJo;
vuslù nén ch'i lassa un po' d' festa?
Teòlogo Ciò. Bosio.
508-
PARTE TEMA
IHaietto ni Cirxro.
- fi. Un òbr'a l'à tvu dof fidi:
flit E'ì pi glUYo d' «usti a rè dìf
al pare: Pare, dèmela mia part^ e
cblèl J'à dàje lo eh' a j locava.
'18. Ì>a5sà quale dì, radunasse lui,.
M floi pi s^uvo s^è parlisne da cà pr
d' pais lontàn ; e a l'à mangia M rèa
so imt' le ribotfe.
fl4. Qoand- l'a avu con^^ìintà lul^
J'è vnfije 'òr cui pais'na carestia^
e chièl Vk comcnsà pati la-fan;
fltt.'E rè andàsne, e 3' è ginsfàMe
con 'n fitadin, cb'a Tà mandalo a
9ÒB campagna a goernè f'par». ,
flft. E l'avrìa vufsùsse pare la.fa'm
coki d^agt&n dfa'ì crini mangiavo, e
pndia gnMC'a'vèiop. .
fl7. Toma 'nt sé stesa,* a Vk dtt:
Quante* prstne d' servissi* ànr la cà
d* mi pafè l'&n d' pan fin cb'a volo,
mebtre eh' mi sì I mor<r d' fam.f ^.
fl8. Ab! i partirò, j'.andro da me
partf j e {•'diro: Pare^ mi i' d manca
centra 'I ccT, e contra d' voi.
fl9k I son pi ncn dégn d'essi ciamà
vostflol; pième, cuni lia VoMa prsofia
d' servissi.
io^ E aussàndse,'S'è andàsne da
so pare; e mentre cb'a l'era 'ncù
lontana so pare Vk cunosùlo, e }'à
fàje compassióne, ecoréndJe''ncontra
l'à ambrassàìé e basalo.
51. E '1 floi J'à dìje: Pare, mi V6
manca coqlra.'M cel, e centra d' voi;
mifitp pi nén d'essi clama vosi fiol.
52. E 'I parcl'*à flit mi ikìmhììt:
j Prcst lire fora 'I vesli pi bef, v bù-
Ièlla; d^ l'anèlant'ldi^ecaunièl»
dcò bln.
ss. P5i pie 'n vilèl bln grass • ma»-
scio^ voi cb'i slago ajègbert
Si. Prcbè 9to flòl l'f»ra morl,.e Tè
arsussilà; J'era pi nén, e L'è lomà;e
a s'è fasse^nn beni past, e a*è oikii-
glasse^, ' .
2»."L (151 bi vèl l'era 'n campa-
gna; tornànd a cà, qoand Ve siate
vsìn, a rà senti '1 tapage; •
26. E l'à ciamà a 'n servHòr 'eo<a
ch'ar Tera lo?
27. E cbièi j'« dìjè: Vo4l (rèi 4^è
torna; e vosi pare Pà fèit masse 'n
bel vilèl grass, priehè eh* l'è lomà
san e ardi.
28. Mora slo-si l'è'ndèit an còle»
rà, e vulia pi non 'ntrè. Ha '1 pare
rè sùrtì, e l'à comctisà a llreglièf».
29. E l'àut l'à dit a so pàfe: Mi l'è
lanli Vi^iì ch'i v* servo sensn mai avci
manca n' et, e j'é%'e mjii dame 'a
cravót da mangèmlo con i me amis;
30. ^lenire ch'a (mna vjifi sto voJkt
fidi ch'a l'à mangia tùt M fèit so eoa
d' bagasse, j' ève subii fèit masse 'a
vitèl grass.
Si. E '1 pare j'à dije: O me idi,
ti t' ses sempre con mi, e lo ch*rd
mi 4 l'è tò;
82. Ma baogInavaMn Irate e fé fe-
sta, prcliè slo'iò'frèi l'era mort. e
l'è arsuftsità: Vera prdusse, e a Tè
torna. ■
Teòlo(;o r.ALio ranòniif).
4)1 A LETTI PRnElllO!<ITAi^l.
S09
Dialetto di Car\6lio'^( Valle della j^tara. pfov. di Cuneo).
fi. ÓiKÒm Pavia doi flòi;
ti. 'L t)ì giovo di doi Vk dilal
pare;- Fare^ * dème lo eh' a to' vèn
d' Bla part: e 1 pare l'à divis e j a
dlje Ip ch'a j toccava.
IS« E da li a quale di, butà ^nsèm
tnU M fili 8À, M flòl pi giovo 8' 0' par-
tUne pr iin pab loiitàn, dov l'à fall
pri| net d'tutt thn \lveda spenskrà.
14. E'dop d'avél fogolià tùtt, a j'è'
fiiQje na grikin carestia 'o t' col pais,
• ehièl rà comensà a pati d' faoij
Itt. E' a s'è andasse a fltè da '^
•gnór d' cól'pais, e cost-sì rà man-
dalo A sQa «Campagna '» pastura ai
crJB.
ié, E l^via vdja d'empisse la pausa
d'agiàfld ch'a mangiavo i pori» e'
gnuo a j n' dasia.
17. «a torna *n t' chfèl, a l'à dit:
Quanti salaria a cà d' me pare a l'àn
d' pai^ 'li fin ch'a volo^ e mi i don. si
ch'i moiro d' fami
18. I m' ausro.e i andrò dame
pnre,e l>dird{ Pare, io fàit mal cod-
ini '1 cél e còjatra vue;
49. ^n pi nén dégo d'essi ciamà
▼ostr' fiol: Inìme pr un di vostri
•ervitór« • .
50. B aussàndse ì'c étidàit da «ó
pare^ e mentre l'era ancor Jontàn,
80 pare l'à vist, e^j'à fàje eoropas-
sión, e corrèndje 'n contila s'àcam-
pàsaje al col e l'à l>asàlo.
St.E'Ifiolj'à dìje: Pare,! ài manca
conir' 'I -cel e. centra vue; son pi nén
dégn d'essi ciamà vostr' fidi. .
92: Ma 'lutare rà dit ai so servi-
lór: Porte fitlo 'I pi bel vesti, e bu-
tèjlo adòs, cbulèii l'aoèl 'n i' (\ «le
e le scarpe 'n i'i P^*
28. E mene'M Vllàt gras e maBsèlo ;
»mJingeròma e slaróma aléghcr;
21. Perché co8t me fiol l'era mori
e a Pé risiissili; •l'.era'pers, p s'è
truvasse: 1» lUn comensà la fé al-
legri^.-
(2tt. Ha'l fiol \A vèj era 'n^ampa*
gna; e tornàndne, e avslnàndse a^cà
rà senli la mijsica e 1 bai. ^
' 26. E U'à clama a iin dt*serv4lór»
'e l'a interogàlo cosa fussa lo?
27. ET servitór'j'à rispèsi: Vostr»
fròi rè torna; e vo^tr* parei'à ma^sà
iin Vilèt gras, perché. ch^ Vk tomàio
ria Vài san e 8«lv-.
. 28. E chiel l'è andàlt 'n còllera e
tolia nln ahthè. Ma 'I pare sorliènd
d' fora s'è bu tasse a pregbèlo.
* ' 29. 0a chièi 'n risposta l'à dit a so
parei . béichc 'n poc; a l'è tant' iifv
pes chM v' servo, e 1' ài mai marfeà
al vostr comànd: e m'avé' mai dame
un oravót, perch' m' IO godéisa cori i
me «nis. . ' " *
50. Ma da p6l ch'.l'è voO sto vostr
fidi ch'à s'è. mangiasse' M fàit so con
le fomne d' mond, l'ave massa pr
ehièl nin .vilèt gras.
51. Ma '1 pare J'à dìje: fiol, ti sds
sempre con mi«, a Io ch'.a l'è me,
l'è tò.
52. Ma poi Iwtognava b^n ^lè alé-
gher e inangiè'ben, perché cosi to
frèl l'era mori, e a l' è rlsihsilà;
l'era pcrdù, e s'è tornasse truvé.
Prof. D. C^RTÌi e !>. I«oardi.
»iO
PARTE TGRX.4
xDuLrrro di Ti«»b (VahleM).
'it/Un-òiD avia dui Al;
li. E lu pi giavu di a sl^ pare:
' Pare, ti une -me la part de ben che me
véli ; e a li a parlagià adi l>én.
13. E un poc apra, quasi lu 01 pi
gluvu a agtt tul rabaalà^aieu'èanà
fora cni* un paia tdgn: e lai a Vk dea-
sipà aòi^D en vivinlant'la deabàucla.
14. Eaprd olì* a Vk agu lui despeo-
dil, una gran^ fumimi .è vet^gua ente
quel paia )àl^ e a l'è areatà-cun rèn
dar tul.
. Id» Alùra ft se n'è anà, e a a'é
buifà à palrun cun Qn di abilanf
d'aquél paia, elie rè manda enjl adi
puaaèaa per gardà li pdrc.
16. E a deairàva de raaaasèsae de
le (ave che lì pòre magtièven; ma
gnun gliene donava pa.
tT.^ianaman com'a rè arvegnii
a se latèaa, a l'è dil: Che de manuèl
a ] è a la ce de me pare, ch'èn de
pan fln ch'i vùlen, e mi moru de
fan\l
18. Me leverei, e me ne vau pòi
da me pare^' e li din poi : Pare., ài
pece eunlra lo ^icl e contra \ù\
' 11K E slu pa mai dégn d'esse de-
manda to fli; tratte-m^ com'ùn de
toi manuèl.
20. A s'è duRcra leva, e a T é vcngu
da aò |>aré; e mentre eh' a l'èra anca
logn, so pare l'è visi,* e a l'è i«lè
tucà de cumpasiiùn, e curànd'a él,
a s'è tape a so coi e rè base.
SI. Ma lu filile djt: Pare, ^ì pece
eunlra lu si^l e de veni tu; e slu pa
dégn che tu me die lo- lil\
82. E lu pare di è sol servitù:
Purlà la pi bella vislimeiita, e bù-
lagliela; bùltè-li un ancl ar de, e
4t aearpe ai pé;
28. E roenè-me ai la vèl graaa, t
maaaè-lu , e ialéma allégre Vn mio-
glà'nt-lu ;
21. Perchè me 111 chf*a Tlé-ai, era
mori, ma a l'è arsiiacltà; a l'èra
perdu, ma a l*è arlmvè. B f se am
bSttè allégraméol a mlnglè e beare.
2g. Manamèn la di pt vegl era ai
ciamp; e com'aae n'en lume va e ch'il
l'appruciava de, la ce, m l'à odo la
mùaica é la bai.
2«. Ba l'è deinnnda Qn di/aenrltè,
e jè apiè aò che Pera?*
27. E que' servila gli di: Tè friire
evenga, e le pare è nMaà |a-vèl
graas, perehè eh' a l'è lomè Iravè
san e aarv.
28. Ma a a'é butte en culto, a«
rè pa^vnrgu Iritrè; e so pan di*!
poi sii^rli lu pria va d'Inlrè.
29. Ma a l'è respondu, e dil a sé
pare^ Bùcè^ la] è tfnii ènn che te
servu , e glamèi ài dusnbeì e I5i èff^
dine, e pura tu m'ès giamèL dune Aa
ciabri |>er Iste allégre ensèm a mèi
amìs:
80. Ma quanl quesl-si, to fil, th*k
mipgiè tò 6én cun de done de cai-
iiva ^ita*, è vengu , tu II èa ornale
lu vèl graaa. *
SI. E lu pare gli dì: Me ear fi1» ti
sie sampre ensèm a mi , e lui omÌ
ben son tòt'.
8«. Vantava ben Islè allégre e ar*
légràssc, penile che qiiest-at, lo f rèi-
re, èra mori, e a ré -arauscilè; a
Tcru perdù, e a s'è artruvà.
PiLTRo Bert, minislro valdese.
DUtrm PFOEMO^TA^I.
511
Dialetto di Lanzo.
flfl. An serrom a l'ava doi H;
15. E 'I pi giùvu d' chili a j*& dit
al paté: Par«, dème la poraiónd'la
roba fb'a m^ viti; e cbiài a ] à spartie
la roba.
19. E da lì a càie dì, M fi pi giù-
vn, btfponà tut/glrànd, a rè andai t
ani an paìs logn logn, e là a Vk
ifbe|rii lui M fati si; mn&nd na vita
da doabàn^. • '
14, E dop che chiài a l'à mingià
tSl, ant cai paìs-là a j è vnqje 'na gran
car'alifei, e chiàI a rà comensà-avéi
Ifiòf n d' lut
IS.Ea l'èAndàit^cas'èarcomandà
a 'a s'gnór'd' cai paìs-là. Cai s'gnór
u Vk mandalo a'na sua grangia a'
laryliè i pors.
16. E a J locava mingià Tagiàn ch'a
Binglavo H stessi pors^ perchè là
gnvn a j na dava.
17. Artornàtid poi an sé, a s'è dil
tri chiài: Quanti srvilór a cà d' me
pare a l'àn da mingià fin ch'a volan.
a ni poi sì i moire d' fam!
f ^ I sautro su, andrò da me pare,
e J dirò: Pare, ì'ài pcà contra '1 siél.
e an faccia a voi;
fO. Già.i son pi nin degn d' eia-
marne vost fl; fé -con mi, comparisce
eoa un di vosi srvilór. '
ao. E ausàndse, a vin da so pare;
a eom chiài pòi a l^era ancàu asse
logn^sòparea l'à visi; la.conipassión
ara pialo, e corrèndje ancontra a
I à aaulàje al coi, e a l'à basalo.
ai. E'I fiòlaj à.dil: Pare, i aipeà
coBtra '1 siéL e. aii faccia a Voi ; già
i son pi- nin dégn d'ciamàme vostfl.
82. 'L pare a j'à poi dit4i isò sr-
vilór: Porte presi 1 pi bel visti, bu-
tèilo: bùtèje n'anél ant'i di^ e d'
scarpe al pè.
.SS. Ande a pie 'i veilàt pi * bel •
masséto, i mingirùma, slarùma àie*
g|>er;
84. Perché cosi me fla l'era* mori,
e a l'è arsuscllà; Pavia perdù, i Tài
trova. E a s' sur bfkàsse a fé ribòta.
8tt. .80 fl pi vél a l' era pdi ant 'I
camp, e cum' a T è vnù , e a s^è auvsi-
nàsce a cà, ara sentì a canià e a
sona.
se. E a l'à clama a un di so srvi-
lór, e a l'à anterogà cos fuss tut so-sì?
87. Gost-sì aj'dis: Tò (rèj a l'è vniì,
e tò pare a rà massa '1 pi bel veilàt,
prchè a rè totna a cà san.
48. A j'è saqlàf'i fut^ vol^ pi nin
antrà an cà; a J è surtìe dune '1 pa-
re,, e a rà ciamà.
29. Ma chiài r'spondéndje a J'à dil
al pare: Eco, da tanli.agn mi i v^
servu,.1 è mai nin dsubidi à 'n vost
comànd, i m*èi mal dàil un era vói
p'r ch'I féissa pa riboia con i me amìs.
80. Ha dop che cost vost fl, eh* a
l'à sgheirà tut 'I fàit so coh d* lestras-
sone, a Tè vnQ, j'éve massàje ^^ veilàt
pi bel. » •
81. E cbiàl a J'à d^e: Fi, (1 i t'
sès sempre con noi, e tut a l*è tò.
29. A cuvnèt dune sta alégher, fa
d'arginvissanse, pìrché cost tò frèi a
rera«inort, a Tè arsuscità; -a Pera
spèra, a Ve. trova;
N. N.
ìii^
PARTE TEIIKA«
Dialetto di Cório.
11. Un'òm a Pavia duh fi ;
12. 'L pi 4*it a ì^à dit a so pare^
Pare, dame la part d'i beni eh' a iH'
vèn. *£ rliièl a l^a.fàl le due part.
|S. ìì' lì aquarch' dì, M fi P^ Cìì
ciop avèi 'mbaranà 'I fSt so a Té 'ndàl
'n t' un pais da lt>ns da lons, ea l'à
sghàra tul 'n P le desbàucie.
I i; E dop'ChHi Vh avù lut cunsiinià ,
a j.' è stàt.^nl cui pais na gran care-
stia, e ^hlèt l'à comensà a mancar
''d ^ò bsògn.
t». E a l'è ''hdat, e a s'è flcà a cà
d .*n sgnùr d' cui pais, ch^al'l'à
manda a na sua grangia a guefnàr i
pors.
16. E a Tuia 'mpisse la pitfnsa d'^
l'agiint ch'a mlngiàvCn i pors; e a i
era gnun eh* a i n^en'défssa.'
17. Bla arvgnù "'nt chici, a J'à dil:
lQuent^ lavuràhl a cà d? me pare rb'*a
ràn di pan fin ch'a vùlen, « mi $i
mòru d' fam ! .
18.^'ro levro^eandrò do me pare
e j dirò:' Pare, i'6 pcà centra Nosgiiùr
e conXra d^ui;
IO. I m^ mèrilu gnanc pù d'c^sir
cianià 'vo«t fi; Iralème cum'un d'i
vosi servii ur'.
20. A s'^è aussà, e a He 'iitlà4 da so
pare. E 'nlraniénler eira l'era 'ncùr
da luns, so pare al Vk visi, a j'à avij
cumpassiùa, a j' è 'ndat 'ncuhtra*, e
al l'à *m|)rassà e basa.
21. E '1 fi a j'à dlt: Paro, mi l'o
pcà conlra Nosgnùr e (fOntra (fui; i
m' mèrilu pi iiin-ch'i m' clami vosi fi.
22. KM pare a j' à dil ai sue ser-
vi tur: Daje villi 'I vsli pi bel, butàjf
l'anèl al di. e caussije le scarpe.
' 28. Mnè i vèl 'i pi gMs»; massaio,
e ch'i mingièo, e ch'I sfasèn aiéghèr;
24. Prché cust me fi a Ter» mori,
e a Pè arsuscltà; a Pera prdii,' e a
s' è truvà. E a i^ao coniensàr- a slir
aléghér.
28. "I^ fi pi vèi a rera'"'n c«ìii|N-
gna; e 'n lurnànd, ^ntraménler cb'a
s'avsinava a'cà, a Pà*sentì sanare
ba1àr> ' *
2<(. E ^ P à manda un di serrllàr,
e a j^à eia ma che eh" a Péra -su llf
27.'^L servitùr, a "J'à respmidu: A
fé turnà vgni v^st f radei; e toiI
pare a Pa massi ^n vèl grass, prdié
ch'a Pè vgnu san.
28. E a cbièi a J^é vgnu 'I fui, e
a vififi nin 'ntràr. Adùnc *l pure a
Pé sorti fur/ e a Pà cuiilensà pilli
à le benne.
29. Sìa chièl a j a respornlQ, e dil
a so pare: A Pé già fertlf agn^elie
mi i v' servu: f o sempr fat'su eh'l
nPni cuiiiandà, e ui m'iii mai dal 'n
cravót eh' i m' '^1 fuss mingià eum 1
ma cumpàgii. ' '
.^u. Ma a péin'a vgné cust vosi fl,
ch*a rà mingià 'I fai so cun f|Me
lartuse<,j*ài niass^prchlèt'l vèl griss.
31. Ma '1 pare a j'à dil:' Uè car
fi, li Pc semprcun oii, e tutsonrlì'15
mi, a Pè dcó lo.
S2. Ma'à Pera gìusl d' star alè-
iJiher, e d' far fesl^, prclié cust tò fra-
dp| a Pera mari» e a Pè ar>ùscità; a
s'era prtlfi, e a s'è giuiilèl truvà.
AVV. CLAI'DiotniES».
\
DIALETTI PEDBIIOPITA:^!.
»15
Dialetto di Limone.
if. Un omjDì Tavìa dui fìè:
12. Lu pi 7.I1VÌ dii chesli gi a diz al
piiri: Pàiri, dónania la pari eh* la
m* van; e lo pàiri^i à dona la sua
BiftÀ.
13. 1>a si tt pochi' znrn lo fìù s'è
liiB lo nio fitòt, s' n'è parli dalla casa
d' son pàiri, es' n'è aiià ant un paìs
lian da Idio, e asì l'à faz anàr tùz gi
M^ iiMiànd una vita dazzàn. «
ft. E dop d'aver consuma lui lo
eh* l'avia, ecco eh' la g'è arrùbà ùivi
gran tareslia , e t^ c'omansà a patir
la faiD.'
Itt. E sei s' n'è ^nà^ e ar s'è ar-
comanda a un 'sgniuri'da-cal pais,
ah'ar io prajighessa al siu servissi*;
a cheiit issi l*à manda ani la sua ca-
Mina a gardàr d'^purchi.
16. E slo fiè Pavia tanta Tarn, ch'an
voiia 'ampi rara la trippa con kì ag;
gféiil eh' mahzavu gi pure, e nisciùn
d'na duilava. •
17. Allura rè rientra an se sièss,
e Vk diz: Gaati servilùr nnt' la casa
iTon pàiri i gi àn da m^inzàr fln al
eoi, e mi issi gargin In luna^ e muru
r farti !
18. Ah! voi luvarmu d'issi, e airàr
ila casa d'on pairi^ e a gi tlirài;
Pài ri, uri ài pecca centra lu sei e
Ioana ai vostri dò;
«•.ìli sai pu nin dagn d'essri cjamà
u vos fl£; ma accetl4ma ancàra come
in di vostri servilùr.
10. Sicché ar s^è aussà, e ar s'è
iveanminà a la oa^a d' son pàiri : e
■enlre eh' l'era an carda lòin, lu siu
Miri rà visi, la compassión Vk prns
irg'ècurs ali'liieonlri^ ars^'è campa
il col, e ar Tà bai2à.
SI. E io fidar g| à diz: Pàiri, mi ài
leccàconlra lu sei «Mlnans ai vostri
)c: mi sa^i pii nin da^n d'ossri clama
u vos fio.
SS. Lo pàiri allura l'à diz a gi sai |
servilùr: Piest, biittà fora la \esta
pi 'bela, In pi bndiula cir la gi à an
l' la gardardba, e veslèlu si ban da
festa: bùnàgi d' chiò l'anèl a» l'ai dà,
e gi zùssVr nav anl'l.pè.
S3. E mnà issi lu vàil pi grass, e
ammassagli, e manzàh, e slan alleigri;
24. Perchè chest min fio l'era mori,
e l'è riscinscità*; i'era perdij, éxrs'è
trubà: e i gi àn comansà a far ff;sta
e a star allegri. ** *
8g. Jura lo. flà pi vèò s' titubava
a la campagna: e mentre cb'ar vnia
dal zabòt, e éh'ars'avsina^aalia ca-
sa, ar 'Sani ch'asi dins la s' aomiva
e la s' ballava. .
86h Ar clama un ili servilùr, e ar
gì di: Cosa gi àia d' nav?
87. E aehcst' issi gi rispònd : Devi*
sai>ér, eh' liiMiu fràlri l'è vangu, e
lon pàiri l'à ammassa hi vàil pi bel
cl)^ f'avia, perchè l'à ag^u la fortuna
d' vàiri ancàr lu siu fi6 san e salv.
88. E sel-issr l' è monta sia miila
malia, e volia pù anlràr an casa, e
ar fasia lu suda: lu* pàiri allura Tè
niscì d' fora, l'à comansà a parlo
alti bonai e « fan nin paràò.
89. Ma chest' Issi gi rispónd a son
pàiri: Eh! mila gi h za.ianfi an ch'a
/vir sarvu, e ài mal jnasjgfredi un hot
lo eh' m'avé comanda, e vù n^'avé
mai dona uri tzabrjn da' manzàr àn-
semo agi mai amiS;
so.. Ma' appana eh' la ghè vango
chésL vòstri fio, eh' Pà i^là lu faz sfu
con il bnilfai vessai d' frammàl, dar
m'omànt ave faz scanàr lu vail pi bon
eh' la gi aA'ìa ant* la stala.
31. Lu pàiri allura gj à diz: Fié,
iù s«s sampri con mi: e d'Io eh' mi
à1, ses padrón tu l'islèss come mi :
32. Uni l'era pi che zùsld' manzàr
e d' star allegri, perchè ehcst fràiri
liu l'era mori, e rèrisciiiscllà; l'era
perdei, e ar s'è trubà. N. N.
ìiì^
PAETE TER^A
Dialetto di Valoibri (Valle di Gesso, prov. di Cuneo).
11. N' òme a l'avìadui fl;
15. Lo pii giòve i dil a soo pére:
Pà, donème la mia pari d'ardita, eh'
"a m' vèn: son piro j'à dò»i lo c|r i
parlocciava.
1^ Donirai giorn' apprèss, rabajà
tut asciò eh' a l'avìo, a a' n'c parli,
e al s' n'è anà 'nt pais da légn,^ e a-
chj a 1^ filmila lo fèl sé con,d' femnes
d* mond.
fi. pop d'aver l^arbà lui ^ fé vengu
'n V achèi paés na gran ciareslia, e
chièirà cmensà avàire d' fanì di diàou
f tt. A Ta aerea s' càich parliculàr
velia pèrle da fami; al <o'à Iruvà ùo
chTà manda al làll a gardàr i puere.
16. E ch{èl orna vorgù emptrse la
trlpa di. ghiànd ch'I puerc mengià-
von , e d'gùn I n'cn doftava vi4a*
' 17. A rà paesà 'n pau d* temp 'n
la da miseria; maramàn 'n glbrn al
S'è bulla a pensar 'ntrsi d' cbièi, e a
rà dil: canti servilùr 'ni la casa d'
me pére mànglon a sóianca Iripa, e
mi Isl sai coslrèl a crepar d' fam !
^8. Val 'Ivarme d' isi , e lornàrda
me pere, e vai dlrje: Pà chic, è manca
centra 'I slél/e centra à* vos;
10. No sai pila dégn d'esser sona
vostre fi: contenlèo d' tnirme pr' un
di vostre servii òr.
SO. Dil isò, al s'è lèi còiv 9 ^1 s*
n'è parti, e a rè vengù da son pére.
A l'era 'ncàr da Idgb cb' son pére rà
visi: 'n tal vàirlo la cumpassión rà
presj'èeorrogu 'neentra»f s'è campa
al col, rà 'mbrassà, e ar T.à baisà. .
21. Lo fi j'à dil: Pà chie, è manca
centra '1 siél, e contra d' vos; a mes
mèrito pila d'ètwer lengù pr vostre fl.
22. Lo pére è vira ai servilùr: trote
gari a péije na bela vestimenia, vi-
sièlo; bùtéje l'anèl 'n l'i de, eciosséio.
SS. Anè 'ni' le slabi , sceme lo vàU
pCi grasS| massèlo , eh' vai eh' istéo
alégre, e eh' fadén 'n boa pesi;
24. Baiché Isi sto me II ara nètrt,
e a ré afsiiscità ; l'avio prdu» e l'è
turnà trovi. Dil fèl, 1 a' aon bilti a
far a r bòi re.
2tt. Lo fi pu Yèj aloni eni 'n cmì-
pagna. Accosiéndse a casa» m l'à setti
a ciantàr e musicfaiàr.
26. A l'à sona 'n servHór, e m gli
spia, eh' volta dir sto lapagel
27. L'autre J a respoodu: Lo voilie
fràre è arrlbà; lo vòstre péra lattla
giùe eh' a l' à agù d' vàirlo ch'alia
n'era torna» à fèl matair lo pa lui
vièl.
28. An l'el sentir na cosa ptrfiif
la rabia l'à prés, e al volia pila *■-
trai* in casa a manìara d^guoa. Io
pére sapù Isò, è nalsì d' fora^ Té
pres al bones.
20. Ma lo fi j'à respondu: Mi da
tanti ann eh' a vu servo, evolsi
sempre sia a coment 'n tut, m'avéi
che dil na vira, le ve» prente'n da-
bri, ve' 'n pò far ila ribòU con I lai
iompagnón?
30. E ura pena arribà sto cariga
d' me frère» ch'à soffia IqI lo lèi io
.con '1 bagand|[es,^avé fèl subii manàr
Io pu bel manzòt.
51. Lo pére j'à respondu: Ahi me
car fi, paziete, nosautri sén scapn
sia insèm, tra nosautri dui J'é mai
sta ncnt d* parli.
^2. Ma l'era ben di giùsld'iar
n'argloissansu a te frère eh' s' pensa*
jcn ch'ai fQssmùart,e a l'è 'ncàr vìe;
eh' l'avicn prdu , e eh' ura i'avéa
Iruvà.
D. Gio. Ptcrao BossLLi Parroco'
DIALRn PEOBMONTARI.
»i5
DULITTO M VlRAINO.
II. En òne a via dui cnfan;
i^ E lo pu giove d' Bollili à djd a
tea pài re: Pàire^ doiAme la pari de
MI che me tuòccio, e' lo pài re lor
) à parti.
is. Eli pau de tenip après, cant
if fi lo che li Venia, lo pu giove eolàn
ss pirli, e es anà'via lùagn, e à
UDgià lui lo che avia ensemo las
ilòmlas.
11. Cani agii lui mangia, es vengù
Ina gran clarastia an achèi paia, e
il k pHnsIpià e sospirar.
18. Après s'es afflila embo ùo d'a-
rhél pais, e aehésllo à manda a su'
SMalna a gardàr li puerc.
«•• E per se levar la fam mangiava
l^aghiànlea^ perchè degun li donava
lèn'da mangiar.
lY. Prés d'^achesla miseria s'ès
llèdan'él:€anllservilórà mon pàk*e
I ourlsón, che niàngian lan de pan,
! mi alssi crepo de funi I
18. Ai pensa de ni'en loniàr émbo
non pàire, e II direi: Pàire, mi ài
«eefà cuonlro lo siél e cuonlro vos;
!•. Mi n'en mèrito pus, che vos m'
(msé do pàire; ma tur un mi siau
'oatra enfàn, fasè'roe, corno mi fosso
n vostre servi tór.
10. E s*encaminà vers la maison
le son pàire: era ancora de lùagn
le maison, son pàire l'à visi venir^
! afa compassiòn de son enfàn, l'is
ini encontra, l'à embrassà e l'n beisà.
11. Allora l'enfàn' à die al pàiré:
>àirp, mi ài peccià cuonlro lo slcl e
tienlrovos; mi n'siàu pùsdegnd'ès-
er ciamà vostre enfàif ; ma prcnème
«r vostre servi lór.
!. Allora lo pàire àdiòaisiuser-
vitór: Anàghefi al ciamliru prendre
lo pu M vesti, e vestilo; butàll un
anél al (ÌL, e ciaussàlo;
25. e anà prèner lo pu bel vèaL
ch'es al \eè , luàlp, che lo mangén e
slém allégres;
24. Perchè mon enfàn pensavo che
foghés mòarl, esveogu;Paviam per^u
0 l'avèm Irobà.E àn prinsiplà a star
allégres con mangiihr e béure.
2». L'enfàn pvi vièl che era en cam-
pagna, es vengu a maison; e cahles
sgu procee, à auvi de sóbsde piuslco '
e de danso. . .
.26. Clamò donco un de suS'séfvf-
lórs, e II demandò, eh' ero lo d'acchì ?
27. E achlll gli à dl£: Es vengu vo-
si re fràire, e vostre pàire fa lùàr lo
pii bel vèal, perché lo« Irobà san.
28. Allora lo fot Tà prés, e n'en
velia ren entrar a maison. Son pàire
doncó es sorli , e lo à présTa los buònos
perché •ehlrèss.
20. Ma jél à respondu a son pàire:
Como, mi J'à tanti ann che tós sièr-
vo,- e i ài sempre fa Io che m^avé
comanda, e m'avé mal dona en ciabri
che mangiesso, e slesso allégre embo
li miàu amie.
so. E irò eh' es torna Vostre ènfàq,
ch'à mangia tot son ben embo las
clòrnias, li ave Ida lo pii bel vèaf
che avià. '
81. Allora lo pàire ìt à die: Mon
enfàn, tùsias sempre embo mi, e lui
lo che mi ài es liàu.
52. Ma cialio mangiar, béure e star
allégre, perché lon fràire, achèi ch'ero
mùart, es torna viàorc; ero perdu, e
s'es (ofnà Irobàr.
N. K.
»1A
PARTE rwum
DuLETTo DI Castelmìcno (ValIc di Grana, prov. di Cuneo).
II. i)tf) òme a via dui figi:
IS. E In ptt giòve dà chisli à did
a suii pàire: Pàire^.dùncnie U pa.rl.
dia roba rh' me loca. E el à faé tra
tur Ips pari dies sostànses.
13. E piiitsà cardie giùrn,1iriUà ini
ensèni, lu figI pti piéòt 'se n'è anà cn
le d' P91S lo^n, eisi a l^ì^ consuma
Itfl lu (ài sio ^n d' pdi'cherìes.
14. £ cani a l'àgù finì lutes Icfi
cotes^^gli es »a((1i na gran' carenilo
ea i' acbél iwis, e ci à cu mensa a
' patir lu /a di'.
IK. En t' achésl meni re gli «s vengu
en i? la lesta d'anàr tmbàr un Sila-
dind' achèi pais, eh' a l'à ipandà a
gardàr i puerc.
iO;'E a Tavìa voglia d'cmpirsc la
Iripa die» glande» che mlngiàvèn J
puerc, e deguu gnen donava.
17. Bla 'nlrànd cn l'ól stess a Tà
fìiè: Canti servitù en V la casa de
mio pàirc san ncn eh' far cTl pan, e
iqI muèro d' fam isì ! *
la. Vi ausàrnie, e anàr da mio
pàire, e dirgli: Pàire, -mi ài ofTendu
Iddio e vu;
IO. Sio nén dégn d'esse clama vo-
mire figi: tratème roaccum'«n di vo-
stre aervitùr. '
20. 'e ausàndse a l'es anà de ^uri
pàire. Essèod encara da lùcgn, siin
pàirc rà visi, e piglia da- la cum-
passión e gli es anà 'nconlra, e en-
brassàndlu af col, Tà bisà.
21. E lu ligi gli àdi^.: Pàire, mi ài
manca contra No<gnùr^ e vn: mi mè-
rito pus d'esse clama vostre tìgl.
22. Ln pàire, dsmcntiànd lui. dis ai
servilùr: Vorlè siibit isi la pà bela
vesta, e veslièlo; buUègli Tanèl al de,
-e clossèlù^
25. Po meneme un vèl -ben grts,
e amasaèlu: vi ch^ lo mangèn, e A'
slén alégro; •
^4. Prcbè achésl mio dg| era ■^^
le, e a l'es risuacilà; al s*en prdi,
e al s'es lurnà tr^bàr. E a rìia.Ci-
mensà mingiàr e béure.
2ìS. S'c dà lu CB%^ cb' lu prim tfi
era anà véire la campagAa; eé Tel
ritùm avsinindae a casa, a l'è acati
sunàr e baiar.
26. Clama un di servilàr, e la ii-
lèroga eh' voi dir asòT
27. Ili servitùr a J rspòdd : Ba tarai
' Ilo fràife, e tun pàire à fa6 aauMÌr
un vèl gras, prchè*a,l*à lumi atartt
san e ^Ivu. '. . •
• 28.. 'Séntènd fio, plén d' rabWo
valla pùs^enlràr emticata. La paln
sai de fora, e lu prega » néndunarfiit
nchél (Igiist;
20. Ma èl a i rspónd; e i dfs: Son
già Inoli agn eh' mi vu servo, ch'fo
faud d' pianla a-cumànd, e VQ de
mal sia bon a dooarme fin clabrì,
prtànt eh' sle^s' alcgre con I mèasii»
80. Ma dop ch'es vengG aclieite
vostre flgi, ch'à divora lui lu aio bea
cun de frcnics porches, ave amatn
pr ól un vèl gras.
31. Ma sun pàire gli piglia la pi*
noia, p] dis: Figi, tu ses sempre ea*
scm a me, e lui asò ch*àl, es Uo.
^2. Era dunct'e giùsld' far un grai
(lisnàr, e 4' sia r alégro, prrhè aehéit
Ilo fràire a l'era mori, e a Tes rlsu-
srllà; a l'era prdù, e a l'es trabà*
D. LoRe>zo Falco, Parroco.
DIALBTri PEDeilO:iTA.'«l.
»I7
DiAir.Tio DI Klva (Valle di Marra).
11. Un òme a>fa dui fj:
12. Lo niellar di «dui à die a soii
pàire: Pàiri*, donami la partd*i brni
ch^ apparirli a mi. E U) pàjrc j'n parli.
f S. te gàicc aprè$*1o fl pù giove,
dop d*avpr ruj Jgt-aré sóa ròlia, se-
a'ès n' «ii.Vanr ùit*paìsbcn da liìvgii.
Ed arflbà ^ilai , na de» h^dieia après a
11* àula, a ràmingià taii ciralnù agii.
14. E consuma cli^a l*à agu lui, e
eh' al 8*cs Irpbàjiianc pus abu la puu*
rUi de n'aguja.y «|S vengùa na gran
clarèstìa An aquél paiate al's'ès trubà
ciigi d' anàr crónt.* * .
f K. E ifl ès anà 9crcas&t'LMi palrón^
e s\ès afiUà abu en sitladyi d' aquél
paÌ9. E lo patron l'à manda à In sna
rampagna a gardar i pucrc e nienajc
en pastura. .
16. E a réra giunó a lia mira de
miseria, rli'a l'u\ ia vuòj.i d* empisse do '
J* IstèasagiìTnt che niingiàvon i puerc,
Ba*rav4a degiiR clf J n' eu .doncss. ^
17. T,urnànl alerà cn si^stó^s a Va
dl£:. Quanti sérvilùrn la c.-isa de mon
p&fne'ào'de pan mai eh' i vóloil, c^
flii clssi muèro .de fam !
18. |Ss tilt die, ci.n) ch'a ine gare
d' elÀìi e eh* ane d casa de mon- pài-
re, e. vùi dije: Pàire. mi ài faó mal
roDlra lo sél'c conlra vus:
19. Slopa piis-degn d*é^«e nomina
TOst«-fi, IraKàine piira inac cmà un
di vesti servitù r.
20. E^u^àndsc dal culp l'è^. Idrnà
al slo pàire; e ant' el mentre eh* a
l'era encàrada lùegn, son pàire l'à
visi, e s'ès sentii pia da la coinpas-
ftiòif. e s'ès biilta à corre pr' aiiàje
encontra , e l' à ainbras<à sirèna al
còl, e l'à beisà.
81. E lo fl j' a dio: Papà, mi ài faé
mal coolra io sèi e conlra vu: ino
véo da mi, eh* a mèrito pa piJN d'esse
arconelssu pr vosi fi.
88. Ma lo pàire à die à si servilùr :
Cava lit dal coffe la vesta pii bella,
e'ayviassàlot e butlàje l*anèl al de,
e ciau^'sàleo ben.
23. E pé anà piar lo vèl pu grass
e 9niassale: e fasscn tijcct ffs|a| min-
gén e sten allégra ;
2f. Perchè achcsl ipon fll l' era
mori e a l'-ès arsù«silà; M s>ra-pef-
diì, e al 9-cs tui;pàlo véirc; e .1 se
son biillà a s|ar allegre.
2)S. E ani' aquela lo fi pu vie] craen
campagoa, e anT l*arliràsse q.uan4^a
Pes ala dapccasa, »Vk sentu sonar
e. ballar: ■ , * e -'
26. E al à sona un di scrVilùr pr
enformàssc de lo che Favfà de nòu ,
i> che vulion dir tantes screnàde»?
27. E \<\ sèrsilùr i* à ris|>òst: Tio
fràire c^ vengù, etQn pàire à amassi
un vèl grass pr la conlentetsà di' al
à i>ruvn anl'el wirUt'^an o safv..
. 28. Senlènl Iq.motìv de Ja fi^ta a
rès saulà en còUcrH^evulìa reo eo-
tràr. Lo pàire dóncre es'ftaì de fera,
e s'ès bùtU^a pialo à Ics bohes e
pregàJò. , .
20. Ma elle à rispósi e di6 a sio
pàire: l^eicà cn'pau/l'à giò tanti àn
che mi vii Siicmiu o ài mai Ici^à de
farla pfi peciòta A-òsa'chc vus àje
pia'^ii d& comandarne, e vo sic mai
sta aquél de rég;»iamo en bòi en eia-
bri da pulcr far na merenda d*alltì*
gria abu ì amìs^
: so.M»aùradopch'òsvengii acbcsl
vos't (I, cìì'k sghclrà tu4 en compagnia
iìfi frcmes de calli va vita, vus'a\1(!!'fil
ainassà pr cHe en vè1 grass.
51. Ma le pàire j* à dio: Mon car
fi, lij sies sempre abu mi, e tut asò
ch'ès mio es ilo.
M. Ma l'èra giùst de star allegre
e (ar fesla a la venua de ton fràire,
perche elle èra mori, e al ès arsiis-
sità; al s'era perdu. e al s'ès lumàio
véire. Canònico Garmiri.
36
»i8
PARTI TCAZA
Dialetto di Acceglio (Valle di Macra).
'II. (i'oinnie avi» dui effàni;
l^'E lo pu giòve a die al pàlre:
Pnire, donàous ma part d'eredità, e
el!<> J'i dona spnitòe.
AZ.È cardie giórn.apprèss reffTànt
gióvev M nò bagòt, en parl^ de son
paìs, se n*ès ani èa Tun paia da
lòregn., e aclil Vk faè anàr tot cani
ch'n l*ayia fasèad la librogna.
14. Qop oh'a i'& agii sg|ieirÀ tot,
è.H vengù eff t' achèi paìs na grossa
ciarealia, e elle patia lo fame.
flI.'É eìle es aoà, e s'è afflila bo'n
signor .de cbél pais, che Vk manda
gardàr i pue'rc a sa cassi ii:iv
16. El'avia g{8(j d'empisse la pansa
almèncji'agghlint^ che mingiàvon i
crin; Ina degun j ne donava.
17. Ma enirà ent'elle stess disia;
- Ah! canti servJtòr alla- maison de mon
pàfre màngioi^ a calre ganàxos, e jò
issi muèrò de fame!
18. JÒ me levare! d'issi» e lornànd
a Bion pàire j direi: Pàire.jòai'offés
noységnòr, jò ài ofTés vos 1
19. Jò Sion piÀ rén degn;del nome
d'dfànt \ ma fase alméno bo jò, coma
bo i servi lòr.
20. E*s' ès^'a'us9à> e s'es e'ncaminà
ver3 son pàire; era ''nca da lùegn, e
son pàlre l'à visi, e pjà.da compas-
siòn , j ès cors enconira, ] ès sautà
al còl, rà bei»à.
21. E l'effànt j à dl£: Pàire, jò ài
manca con tra del sèi, e Con tra ves;
jò Sion pfi ren dégn d^esse òiamà
vostr* effànt.
22. Ma el pàire à die ai servitór»
Fit, fil, porlà-jc la vesto pù bella,
e biiltàje la virro al do, donàjc de
ciàusso5, e de ciàussier^.
25. E anà .«icerre ^n \èl, che sia
ben graf^ massàio 4}ercliè lo mìngén,
e sten allégre.
24. Perche achèst effànt «ro noK
e auro ès rp^sfiscflà: ero. perdii,e
aiìro s'ès trobà; e se son b'utlà ioii-
glàr é béorre. ■ .
' 2tt. Ma Teflànt pu vièjero anà ei
campagno, e lornànd, coso ès sta da
•vesin d' meisòh, à seniu chesld nv-
sico, chesto allego.
26. A nona. 'n servitóre e ] à dmaidà
che l'aYiaf • '
27. El servitòr j i di£: Voatr Cràire
s'ès erijra , e;, voslr pàire a M anas-
sàr un bel vèl gras, per.avér to|iia
vist son effànt san -e lesi.
SU. E elle ès sautà 'n bestia, es
d^un conte volìa entra r;,doncra is
sai son pàire a pfcgalla che %^eo*
ghèss.
29. Ma elle en . risposta à dté al
pàire: Beiccà capti ann ch^Jò.vos
fau Io servitòr, jò sempre vos ài. ub-
bidì , e vos m^avè gnani;a dona eo
ciabri per star allegre e fariwi ribolla
bo i mi amis.
50. Ma aura che ès vengCi achésl
vostr effànt , che à sghcirà lo cb'a
Pavia bo suos ciorgnassos, pr* elle
avi flt amassà enbel vii.
51. Ma el pàire j à dii: Tu sìès
sempre sta bo jò; asò ch'e^ mio,
era lio. . ^
52. Ma auro ciaria beri che fasés-
son cn pasl, e se rallegréssoa, per*
che top fràire eco- mort^ e aùroès
ressiiscità; ero perdu, e aùros'ès
trobà.
l>Ao PiETEO, Prevosto.
DIALETTI PEDEMONTANI.
»iO
Dialetto di Saiì Pitre (Valle di Varàila).^
II. Un pplrc avìa*<iu1.ti^
1S. Lo più gfpve de costi ò óìè al
piire: Pàire, .donarne l» pari dt!i ben
the mf vien: e U pàire à fa£ a lor
la di vision del ben.-
iS. Da chi a-^o-'n trcsgiorn looiù
gflovo k radornà Jut , es ana far vlagc
da lùein pais , : ove à dissipa le ^ies
ben, menand una maria vita.
i4..Quand à agù con<(unià ^t, «s
vengu en l' achèi paìs una fprla ca-
retlia^ e s'es tomensàa trobàr eh
tè la povertà; * *
18. Es anà .donque'affitlarse bo un
d«l aiùadìh de chél paìs, ci quuI l'à
mandi en le sua villa en pastura af
puerc.
16. E lai pI hvrìavolgù empisse la
pansa dei 4ighliiD(| ch^ i puerc men-
glàvon; ma degi|n ì n'en donav;i. .
17. torna «fiiialmént en l'el-à diùt
Canti seryilór en casa demio pàtre
niiiinglón^lien, e mi si muèro de fame!
18. Me leverei; e anarèi da mio
piire* e' j direi: Pàire, q pecca cen-
tra lo SÒL e centra vo;
19. Sio pa -pus degù d'esse ■'de-
mandi vostre U: fasséme qual ch'ùn
dei servitór al vostre servisi.
SO. S'ès ìevà donque, ès vengù a
sio piire; e cssènd enei daIùein,.sj'o
piire l'à. Vist, e l*agù cpmpassióu,
ès corru a cargiàrselo se le spale,. e
l'i beisi.
^t. jPiire^ j.à die Io fl, *ài pecca
cÓDira Io sèi » e conlra yo: mi sio pa
pà^^egn d*esse demanda vostre fi.
SS. Ha lo pàire à die ai sies ser-
vitór: Porti! Ì9Ì_flt una viestio la
))lus pressio90, e beatelo: Buttai al de
l'aneti^ e de .ca'usse^ al pè;
25. E mena fora lo vèl Ingrasai, e'
ammassilo^ mangióma e stóma.al-
légrc;
St. Pèrche coste mio fl erar morl^ ès
torna en.vjla;'era perdue a'ès |robi:
àn eotomensa donque aste allégre. '
Sttj EntàiU lo fi più grand, che Pera
en campj^na, jes retoviiày e taienire
.L'era yesin alla ca«a,à senti asonir.-
SS, Demanda un dei s<5r,vilÓR, e j'à
•demanda chi l^jeca?
27. I^j'àdì^loservltàr: Es veagù
Vostre (riire, e ioslre paire i fa£ am-
massar lo vèl engrassi',: perchè 'l'i
rtM*upeià san e sa IV.
88. Cost-si allora' plen de. rabbia
velia pa entrar: e sio' piire ès'sorti,
e s'ès butti a pregarlo. . ■ • ''
se. Ma ci en-retposta à diéat pai-
re: Beici canti an4;he son che vos
Servio, e sempre vus ài Taè comind,
e vus mai in' ave dona nianca fin
cravói, perchè stéissa allégre ensèm
ai irtic amisi
so. Ma ;krengù coste Vostre fl, che
i mangia le suos soslansos ebseme a
chalos che mepivon cattiva Vita, vus
fi ve faé ammassar pei^ elle'lo vèl in-
grassa.
51. Fi, j'à respòst lo, pài re, vus
sié sempre ensemo a mi, e iut- lo
ch'es mio, es vostre.
52. Ma fasìo besogn. slè allégre;
perchè cost vostre friire era mort, ès
torni enyita; era perdu, e s*ès trobi.
N. N.
520
PAHTE -TCKZA
Dialetto D*(Hci?ia (Valle (k?l Po).
II. Un òm il Vh ;if$iì dui rfgl:
Il2. La |HÌjRt^<;a l'à dl^ a 9bn pp-
rc : Pare, donarne ma pari , lo che
ni' po'venh e a |& fpfgt lé| pari.
iS.E'dASÌ a dui 0 Ircs giórn lucci
^nnsemo , lu figi pn gipve a Ve parli
per pari n'icgn, e,a^à a Vh majà son
{latriplonl^ vlvend pQlaniiméht.
'll.^K cant a l*h agu mlpglli.ìiil,
gire vchgi) una gran cfà^PStio ant'e
cbél pài, rh'a rè arcslà p^ure;.
, 15. E rè jinà; e ji 8*è amila bu un
particùlàrd'acliél pai, e lu mandavo
ant^c sic berti pasturo al orln.
16. E a Pavia vifgllo d^'mingià
d'agJànt^ cW gli crlrt mingilfvpn; e
dcgun gn t^bniivopa nén.
17. VcRgu Ira el stéss*, a Tà die:
Tanti servi lór airi' la meisón d^roon
pare , eh' Tart tantu pan ,. .e mi Ì9S*i
sto còstrcé a dìurì d*fani!
18. M* levo d'^si^ e vàu da inon
parc'<) e gli dìo: Pnrc, ài mnncn con-
Iro Iddio e contro d' vu;
mento, e veslielo; cbùMàsU ùnanrl
»nt'so:i i^ian, e son ciàus^ie ant*i pès
83. E ména un vèl lu pu gras, o
ma.«sàlo,'e lu majcn, e sten allégre.
2l;*PercHé chesi mÌ9 flgi a. Tera
{nort,' e a l'è Wsfisiffà; a l'era pcnlu«
e a l'è«là Irubà. E a l'àn comensa
a sta allégre.
25. E lù sio agi pu vfègl a. l'ero
:in i^ampagno, e venènd,e atesina a
méison, a l'a seiilii a sona e clanlà.
26. E a rà demanda a un Idei sol
strvilór, e a rà interi^gàlo io <b'
Pera?;
27. È ci gli i di«*,. Vostre fuilre a
rè vengù , e vostre pare a Tà amaasr
lu pù bel A'cl gras , perché a i'é
vengu laty. , . - ' •
28. A r e monlà ^ cagnino, e volio
pa pQ inlrà: donche «orli son pare,
a l'à comensà a pregàlu. '
20. Malèl -rispoDd^d a l*à die a
son pare: Ecco lanli an, che oU v^
siervo, e v'ci mai manca 4il voslre
IO. Già sio pa'pu dógn d'psse de- 1 CGfmànd , e mai vu m'avé dona un
manda vostre lìgi: ma'* tvncnie giust
fpma un d' vostri servi lór.
20. E Jevà, a ac n'é anà Vi sóo pa-
». ■
re: a l'era anca ben lùe^n, son pare
l'^'vfsK, e la compassión l'à prc/e
corru a gli è cidi se son col, e^ Tn
beisà.
. 2t. E .a l'i die lu lìgf al pare:
Pare, ài manca contro nos SFgnqr'e
contro d' vu ; già sio , pa pu degn
d'esse demanda vostre figl.
22. A l'à die lu pare a sic ser\i-
lór:Gari,gari, portamela primo vesti-
ciabri a majà bu i mei amis;
so. Ma dapui eh' chest voslre figl
ch'a rà majà lu fa( sio con le putane,
a, rè vcngù, e vu gli ave amasia lo
pìi, ^ras yèl.
51. Ma igl gli à dio: HgT, tu aie»
sempre sia bu mi; e lùcci f mie beni
son l'ie.
52. Ralicgràsc poi, e st? allégre
convenio,- perche chesi Ilo fràirea
rera^mofU e a l'è ritorna a vive; a
l'era pcrd6, e a l'è sia torn& Irubà.
D. Tommaso Rossi, Parroco.
DIAI.RTTI PRORiyOllTAM,
5*1
Dialetto di Fe^bsturlle (Valle di Pr*igclus).
Ifl. én ònie nvìo clu gar^ìins;
fS: B le più gtùve à- jrlil:vPapà\»
' dùjierine la (iiirslùn -da ben vhe-. nfe
revein; elepàire lur àdivlM sun bpn.
18. Pàue de giurs apre' qiraiit le
piy giù ve garsun k agu rébatà tuie
sa pu'relòit, à ite n'ès anà viaggia dins
un pai ben l6gn/dont a l'à disrtpà
tut sun ben, vivèntdlnslusex'cènel,
Iffdebàucià.
.f 4.' E apre ch'*u Vk agù mlngià lui,
èfi arlbà une grifncfe (nmÌ4ie*dtn qiiè
pai, e a .cumensavie a esse diala mi"
nére,
f ». Alare a l'èsanà se biilà en ser-
vlst Bbu un sibilànl da .pìij che ra-
mando a sa mesùn de campagne per
gardà su curins^*^
16. A rie^irave de rcmpli san ven-
tre (hisjiglàns dhe'lu curine óiingià-
van, et nutf n'j en donave.
17. Mn e^èVrt rinlrà d(ns el hfiè-
me. a r& dit: Oàire de valésclic din
la Aripsùn de mun pàire àn de pan
lantch'i vólan, e mi moni isidefurrif
•iS.Heleyerèic e a-narèic trubn mun*
pàircyglitlircicf Papà^àipecincuntre
le slél e i*unlpe Vu ;
f9. Sin pa mni digne /l'esce volre
garsiin; tralòme cume Km de vo^ru
20 A4urti a Tè partì, ^e venga trubà
«^un p&ir'e; a l'ere encare ben lòf^n^
quanl sun pàirn l'n vii: se-si* purlà
de cumpa<iSiùn-grès anà a dranl, s'è
lapà a snn còl e rà baisn.
SI. Le g^ursùn gli à dil: Papà, èie
pccia cnnlro le.sicl e cuniro vn:
sin pa mal digne d'osse volre garsùn.
22. Alare le pàire à dil n su valé^:
.Purlème'\lte hr più bèle rcrbe, abU
gliè-lu: btilèrgli une vlre a dé^ e de
ciùsies a pàs: . ,
2g. Mene Cin vèl grS, lùé-lu, min*
gién-IU) et regiuisséa-nu;
24« Perchè «He OMid garsòn e|ie
véisivére niori, a Tè fevusclìà; a
•l'ere perdu,. 41 s'è retrubà. Ahifa 1^
ràn eomensà'a (òKliun repàt.
Itt.'Ma fe.'garsùn fé plfi.vèigl ère
en eampagné; cumeas'en rovento, e
rh'^ s'appruciave de lauesùnf^aV-à
entendù le san das Inslrumei^, e le
lapageiia bai. , *
26. A rà demanda un da vatéa,
Và-inlcrogià Su se cb'ére tal quant
27. J.C valél gti à répondu: yolrje
fràire è-vèngii; e votra pa^p^ a tua
un vèl gra,. perchè ch^a Tà Irubà eo
bune sandà. *
' «SS. Susi l'aiènt. indigna, a.vulio
pas intra din la mesànt'jna'le pàire
esscnt.'surlL, -a s'è butà a, le pr^
d'inlrà, . - '1
20. Le garsùn' gli à répondu9 i^-
pà, vèicliì plùsiòrs ans che vg sef*-
vu; yus èie gian/al déàtibei en rien,
e pure u.m'avé giamai Uunà du cia-
brìn per me regiuì nbu.mons anr)s;
50. e óre che. vetr'iyMtrA gari»ùu
à niingià sun ben aUu la ralìns -è
revengii, usavpiiià un vèl grà |>er el.
• SI. Ma lepfihre gii-{i (>it: Mungar*
sim, u se tugiùr abu ii^i, e lus non
bens sun per vu: • .
39. La ventave ben fa iiu bup ^e-
pàl, e nu regiuì, perchè die voira
fràire ch*on viè-lsì ere nwirl, a Tè
rcsu,<»cilà: a 4* ère pcrdiK a s'è r«-
Inibà. - .
(;ir!4Kn>F. Fii.liòi..
522
partì TERSA'
Di A LETTO DI Cu6Lio?(E (coiilìne di KovaK^sa).
11. Un ómen avè'dfie bOI;
f S. E lo |H'gi6ven à ddt a non
pare:9loii pare^.donàmme mon dcrt;
e lo pare a l'dl parlagiàtiois son béln.
. 18. Gio'n trai giort apre che lo pi
fióvén a Tot a}d tntta 9» porsién,
a rè allèsfltenen loin loln^ ededin
dé'pai étrangéve izié u l'ot argheira
tut s5 chTu l'avéil, da delbucia. «
ft. Apre d'avéi tut déipeodù, ano-
grill' fuioinp è venào din sa pai là;
e 0 comtoiansftve èitre a la misere.
Ig.^Allora u't'è artfraMe, « u l'à
alli a oetlrtf san d'un particulié d*u
pat;ch'n Tot inaodàllo a sa casslna
(h*^ mnè' ef n ciàn l) carrin. •
. . 1^ E 0 raVéit doglia de l^evès^e.
Ir fam. bv5 gif aglair che li puerc ma*-
èlffvonl', me J'avéit pan un che glie
•nen doniste. . r .
17. D'izlé'u''rè tumà en sé-méi-'
mo, u''lk)t d5K elle de vallot dedip
ta Diesón dp mon pare mingilo lant
che vùlon, e. me creppo de fam fssé!
18; Me lederei d'tseé e.lurncròi
travet man pare,- e glie direi: Mon
pare, i' kì manca conlra Io Sic e
devànt yo^ •
€9. E sei pa-pì digno d'éHre de-
manda vòtron flgi;. trattante Som' un
/le vutri lavurìe.
SO. U l'è donca levasse, e u Tè
é'nciaminasse* vf rs sòn'pare; e son
pare ftjènlo fìran de lofn vi veni, U
compassiòn Tot pròllo, u l'è cur^
2S..E lo pare dot a sì vallai: BOrtà
lep |Q> pi b^l giusbcór, e abigKàllo;
billàglie una vira ao dei , e cinssàllo.
SS. £ RDenàoie isaé lo vèl pi grai
e Inailo, e éilén allélgber;
SI. .Aperché 1$. inoo boi, ch'a
vajés {«sé, u l'ère mori« auro a. l'è
fuma arsissilè; l'aiu perdùllo. Tèi
tu ma Iru vello, e-d'iiièi.èn cob-
men«a l'allegria e a fare. lo paiL
*' Sìi:.tOi)i viègi di boi u rèff .CR
campagìia; e venàBR mèaóo e a a^
sura cb'u s'appfoclave, u Tot aoBlii
siine e cìanlé e balle.
SS. E u r è adreasàse a un di vAllót
PC savai che ch'ere tut sa trauiRBét?
29, £ sa vallot u gli oi do^ Tùtroo
frare è turnà, e yùtron paro u l'ai
èitrenglà lo vèl gras, pr mii che o
l'ot turnà triivèllo.eo boo état '
sa. Me ui'è enfurlasse,- e u Tot
pa vullu. intréi e son pareejàn sur-
lù, u lo priincit a le.bonnQS pr fare
jnlrèllo.
20. Me u V ot réipondù, e dot a
son pare: Avveilà-issé, i' ol tanti aa
t;he vo servo, e i'èi iamai éisùbba
vaVrìórzcn, e pùrro vos'aiiamài do-
narne solamcnt un clorat pr dèiver-
lime avo mi aniìs.
."(O.MScanteche rautro-iiié,vùtroa
bot, ch'u Voi fricudà vùlron bela avo
^ garaudes, u l'è venS", vos ai
tuàglie Io vci gras.
31. E lo pare u gU.ot dot: .Boi, te
riìglie a récontre, u l'è^autà enbras- . te sùes tégiórleilÀ avo mé^ e Io mein
sello, e u Tot beisàllo. ' • ere tei. . .
SI. Mèlobotu gii òtdòl: Mon pa-> 82. Ftitave donca (are lo past e
re, i' ai pccià contra nòtron Signù e
devànt vos; e mèrito pa-pì (l'èitre
demanda pr viilron Hgl.
eité alléigher pr mu che lui issé,
lon trare, u l'ère mori, e u l'è re-
sùssità; u rércper(iu,e u l'è truvà^se.
N. K.
^
ni A LETTI PRnEMQNTAlVI.
5SS
Dui ETTO D'Oiri.x (Valle di Dora Riparia) (*).
flfl. Un òmme avie dns cifàns;
18. Le più itive d'iélluB dì a sun
pàire: Pàire, dùiiaine U purtlàn de
ben the me rev^n; e ^ lus à parlaiÀ
le ben.
f S. Còebtt tura apre, alèrf tiit re«
iNiti; le più love garsùn parif.par
réitrangì-H par uii pai élluni^, e*ilhi
u rà dissipa sun* ben en vivèn lùxu-
rliismén.
14. 'Me apre cb' ul'à -agu lui cun-
soma, l^es surv^gu une grande fa-
mine dina qué pai, e Jé m^lme u Vk
cumensà a ea^M) u besùn.
f tt. Alure u se n* èi aìià, e i» s^ èi
■
alUU a un do^ abllàn de qué pai^
e S6l-lssi l*à manda a sa mèisùn de
campagne, t^r (a paisse lu» cusciùns.
I6.4lhì u déisirave rempli sun ven-
tre de lis cròfasrclie ujijàven lus cu-
sciÙDs, e nengu n'i en dunave.
t7.'RÌ(ilrèo alure en si mélme, u
dì: Che de menenère din la itfèjsùn
de mun pàlìre kn de pan abundamén,
e mi Issi a crèpu de'famj
18. Ab! me levare!, anaréi Iruvi
mun p^ire, e a II direi: Pài re , ài
pei^ià coittre le Sé e contre vu ;
19. Nau, a siu pa mai digne d'esse
appelà votre garsùn; traltàme curoà
un de votrus mer^enére.
20. E se ievàn, n ven ver sun pài-
re; me cumà ul rre encore lon, sun
pàire rà vi^.e la cunipassiùn Pa préi,
e currén a le, u s'èi tapà a sùn col,
e u l*à embri^Hsà.
^. e le garsùn gli à dì: Pàire, ài
pe^cià contre je Sé e con Ite vu; a
siu pa mai digne d'esse appelà votre-
éifàn.
' SS. Me le pàire di a sun domeslìc:
Apurtà vile sa première robe, ebllà-
la-|{« e duniàli de ifne Vire par^aa
man, e.sebi^ttas par sun p^;
SS. PòlUdùsé le ve gras, .tùà-ltt,
par che nu myén, e che nu mi rer
gallén;
S4. V^rse che qiun éifàn che véil|>i •
ere- mori, e ul èi resùscilà; iiL*4r^
perdiì, e ni èl truvft.E i se sun bitàa
a (a bune scère. ,. . y
Stt. Ser^ndànt stia., garsùn le.pla
vegi ere u sciàm; e Qumà u- venie, e
ch'u s'approsciaye de la mèl»ùn« al.
à antandiì une sinfonie e iìii chòti
so. Ul apèlle un domesiic, e a li'
demànd se che Tére?
87. E tè li dì: Vqtre fràire èi y^D-
gu , e votre pàire^a^ tua le véiras^
parse che u rà resebiì an bune s^ndé*
88. L'àutre alure s'èi indigna, «il
vurìe pa* intra. San ^ire étati surti,
Vèibitàa leprià.
8Ó.Mè ié an reipnnse u^l' à di a sua
pàire: Véiihì cb^ jdepo lau d'ansa' ve
servu, e che iimài ài miuntàa vòlros
ò^res; e fornài u' ro'avé duna un
scia b l'olia mie regala a bu muris aoiis;
so. mÌ dep5 che votre garsùn -ch'èi
• itni, ch'à deiVurà' sun ben abu de
.garullas, èl vengiì^ u ('ave (ùkle^vé
gres par iè. .
si.Jiè'ié pàire gli à dì: Mun éifàn,
lu sìas luiù abu mi T e (ut se cITèi
méu , èi leu ; t , ».
52. Me la veotave fa bune scère^,
e se réiuì ,*par$echp lun fràire ch'èi
ilhì ère mort, e ul èi resùscilà; u( ère
perdù,*e ul èi Iruvà.
Prof. Anto?iio Allois.
(*) Siccome questo dialetto ancora più che i precedenti è afflne ai Francesi coi quali
confina, così dobbiamo avveri ire, che tulle le e poste in One di. parola o di sillaba sono mote,
«•he la i corrisponde al suono ) de* Francesi» e le ih al Ihcia dei (Wixi. osisia all' idea-
lieo suono rappresentalo pure con Ih dagli Inglesi.
»94
PAIIT£' tcrka
Dialetti» ni Viù (Valli* ili Lunzo).
fi. Un òm u ì'avcl dui fci; .
18. Lo piG $\ovif d* sii dui, u Vh
dlt a 9on parie Para, dónnmA'la mii
pari d^ Mu -fli^i m' vin , e 'rhiè-9i ii-
Pà aparli l'ardila Ira lo dMi.
.15. E di che a darrhi giuòfn, lo féi
piv giovo u r à buia Ip^a «sua pad
anilèmbio, e u Vmì ala lu'gp ani fin
paìs,.e uj'à'd'sgairia ioi lu fall w^
vlvàrtdfda d*8galrón.
f 4;£ cani chVi rà avii d'sgairià
totMu'ch,\i ra\ét, e yh viniìTinoa
gran dnraslì ani mu paia Ichu e chiàu
fc J^À 'comen^clA a vinili la miseria.
ftt. U Tusl ala, e' u s'^arengià da
un sgnór de i* pajs^ e* icliì srto-i^sì
o rà jnahdn a sua caìnpagni a largifk'
Il crio. ' ■ '
16. SHo II l'avót giei dMmphsa In
panaci d'agiànL rh'u nìingiàvon li
crin, e i'ffra rt^in clie ] n*an donas^a.
' '17 Ma cani n Vh poi cngiiof^ur ch'u
l'avélfàit mal, o rà dil: Canti <;ar-
vflàr anP la eh iV ni in para u Vhn
irò d* pan, ^ e mei Iwi I inuòro d'
htnf' .
18. I m* auftrài, e i gialràl d) min
para, • I li dirai: Pura, i gi ài manca
cdnlFflr d'. Nosgniir e conJrù d* vó:
10. 1 sé pu pili (Icgn d'èl<)lre clama
vostre Tel ^ e trallàma Pislès com'un
vostro sarvilùr.
80. E u s'àiiscia drct^ e u Tust ala
da 8.on para, e u l^cra ancora lugn,
son para u rà vifi e j à fàit compas-
slón, e u s'à hulà alali anconira e
u s*à lapà a u còl a basi àio.
81. E hi fcj u Pà dil: Para, 1 gi ài
manca centra ^osgMÙr, e 'centra d'
vó; e i se pi guance di'gii d'èislrc
clama par voslro fói.
28. Lu para u Tà dil u li suc> nar-
vilùr: Lcsli . uaxà fu P viasla piii
Isella, f vUliscèlo^ e butàll aa dai
Panel , e li ciàuscia at|li plA.
25. E ala prendra. Tu vali piti gra*
cho J'è ani ii tét , masfiàllo. e che <
niinget, e eh' isl^n tulli aHcgar an-
!«^niblo; * - •*
84. Parchai. silo min féf u Pera
inori, e ora u PGst arsuscÌti;*Pen
f)ar4Jri, e i P^n trova; e u Pan co-
menscià'a Isla allegar.
8)S. Lu féi più viè| u Pera ala par-
chi par li prà;* e. turànd a^cà u l'i
sinlii a sona e chès' ballava.
8tB. i; l'à riama un iP li sue spj^
Wlùr, e lì là dil: Ch' sloi silo fmcM?
87. E silo u j'à dil: E ]*à lorn^ ton
frara, e lon'pàra u'PÀJàlt roa'ssii la
vàiJ pili bel eh' i.gi'&viu ant*u tèi,
parchii'ton frara u'Pust torna arili.
88. E chiàu u r à avù tan Ib fui,
e u vòlét pi gnonca intrn ani cà: lo
para alura u i*u<d saifi Tii/è u Pà co-
ini'nscià prenderlo nV bona.
• 89- Ma/Chiàu u j*à dit a <roii para:
E j à già lanll'ana' eh' i v' fàu lo
sar\ì)(ir, e i v'ài sempa ubbidì ant
lol, e vò u m* è inai duna fin cievrài
eh' i lìì" lo godisso ansèmbio-alli mie*
ninis;
30. ParChài cbcjà vinti sto vóitfo
féi,* min frara. ch'u J'à ^gairià tot
san eh* u f*a\vl ansòmbio aP gargà,
Il l'è fàii inascià par cliiàti lu vàil
piii bel eh' i gi avìu aii(l'u tòt.
71. Ma lu para u j'à dil: Minféi,
là! Pei sempa isià min, e lui sàu che
] iist (i* mài, e liil lon;
52. E i era brn giiist d' islà allegar,
e d' farà d* fòlsla, parchài «^ilo lon
frara ii IVra mori, e ora ii PiLsl ar-
sùscilà; Il l'era imrdti, e ora i rèa
Irò va.
Avv ItiAMiiETTi. Giudice.
DI \ LETTI PEnMOnTA^I
5^tt
Dialetto a' Ussecmo (VaMn di Lanzo).
II., Un -certuni a r^àavui dui tt;
18. Lo plfi $ìò\^n d' sii a a Tà dlt
a u pare: Pare, donarne ma porsión
d* roba che m' vin ; e o Ta porlie la
roba'i '
fS« Clièi gior aprè^ abUaronà eh' 9
l'À avu tjit, balandronànd*, q Test
ala lugn lugn. E lai 0 \'k sgheirà là
sua rolKi^e l'à fàit tinti san-baloràn
e pascanipa..
14. Apre eh' a Tà avu minglà lu^
a J' è ygnù ''na gran earsiìa a 11 sau
paU'Iàl, è efajàl bclcavi la niGragll.
.15.. Ad l'est alà^au Test stacà' bra-
gia a 'n signor d* sau paìs-lài: saii
signor lai, -Oli rà maqdà cjQrà li
.crln. • '
16/ A I lucciava mlogià cliiàl avo!
Il pors gli agiàn , e niùn n'i do-
nayè nin.
17. Autoriiànfl pò an chiài au Tà
dlt: Yàirn srvilù u cà d' mon pare
abòndan d' pau,.e [ pascisso d' Cuui
avòi li criii !
IR. I«ìutrri' su, j'*ajM*i da mpn pa-
re, e je dirci : Purv, i'ri p'cà con Irò
'I siél. e in faccia a vu:
f9Ll sei pi gnin degli d'rssi demanda
vostre ligi. Fcìspiiie con furia a un
d^ vosli servitù.
90. Aussanlànd-s» sii, au Test ala
da son pare. Peste ancop aii pò lun|:,
soii pare au l'à %òst: la compilation
a l'à préi^ au Test alfì ancontn,'au Vk
cìapà pr 'I còl, au l'à basalo.
21: Lo figi au j'à dil u 0 paro: <ìlon
pare , i ci p'cà contro au sié! e 'n
faccia a vù. I s<>i-pi gnin dógn d'essj
dmandà vostre ligi.
22. Lo pare au l'à dH a sii servila?
Porlèa dona la pi /beli vesti , ciòvèlu
e causàlH;
• 25. E qfi'jià la vél più gras ch'aviRÌ,,
massàio, pò lo mingién^ e'siasén
Hlégre;
■
24. Perché cosi. mero fifi au l'ere
mori, au r«st^arauscità ; rereperdà,
i rèi trova; ' e .au son luiilà <i Ifià
alégre. •
2». SQn.figì più vói au. l'era po.ai>
capipagba. Qom^au l'è-vnn, austà
da pé (i^la'cii, » l'à santà finta e
sona. ■ ' * .
20. Au l'a d 'manda un di su servi-
tù, e u l'à mandai ch'i ^tàis fant^ Ì49Ì?
27. Lo serTitù aU.ràdil: Ton fVare
au rè vnu; ton pure au Ta' fàit miissN
lo piii bel vèl ch'au l'élsce, prché
ch'a L'è.vnu a cà sftn.
^a. E j'è sauté V fùt, au vulè^ pi '
gnin ala a cà. Son pare dune au sajii,
e au fu prega ch^ a f inlres^i*.
/ 29^ Mu rhiài respondén, au.gll à dil
au pare: Da tanti agn eh' mi t' ser-
\ìsu, i .V"h mai d^subidì; e t' m' è
/inai dona un ceiròt ch'i Jcssu 'na* ri-
boia avòi piin ainis;
' 50. Ma dòpo se (Igl isci eira Vii
rningià (ut '«o fèit so avòi rpiilanis
au l'est v'nii, j t' à'iuassà lo^vèl pi
gra*i.
51. Ma lo pare a i\à dit a \o ligi:
Tl't' sès.scmpi sta iscì avòi mi, e
tiit est lo; ,' ,
52. I convoli donc nringià e bei re,
e sta alégre, prché cost ton frari au
Tere mori, aura est arsiiscilà: au
r ere prdii, au s'c^^t trova.
Martino Castraie.
820
PARfB TERZA
DiAiETTo D'fvRBA (Canavcse).
11. {jn'òni a ravìa dui flòi;
flt. 'L pi gióVén a J'à dit à so pa-
re: Pare, i voi ch'im' dàje lo^h'a
m' vèn;.« M pare a j^i dètsóa paK.
18. 0a li '0 pochi d' di .a Ve tèi
so fagòt, e a l'è andèt 'nt ùd paia
lontàn,.e A ri sguUardi \ùt.
f4. DOp d'ayéi sghe.rà «lui; a J'è
vnÀ na gran oarestia.'n cui pais; e
chièi ara comensà pnivàr d' fam.
■ ■!¥. Ba^V^nd pr li te sgdsia, a s'è
aerea 'U padrùn pr là, ep'i l'è manda
a na«óa cascina a iarg&r i ppi^hèt.
16. Chièl l'avrìa vorsù 'nrpisse la
pansa d' l'aglan ch'a mangiava i por-
chót; ma gnun a ] na dava.
19. Antlora a {'è turha 'n chièl, e
a VA dit ds par chièi: Quanti servi-
tur* a ce d^ me p»re rmàngen a crpa
pausa, e mi i stun si a murir d' fani!
ia.1 m'darù ardris< e i andrù a.
cà 'd^ me pare, e i dirù: Pare, i' ù fèl!
mal contra Nos^nùr e centra d' vui.
10. j duvrissi pi nin clamarne vos
floi; ma tralèaie iir i (uss 'n ser^^tòr.
SO. E e s'è aussà. e a Tè aiidètdn
sòpare; a rera'itcura lontàn, eh' so
pare a l*à visi; e pia da la coiiipas-
sión a J'è curii 'ncòi)lra',a l'è pia 'rìt
na brassà e a l*à basa.
81. £ chièi a j di : .Pa^e, I ù manca
contra 4^ Nosgnùr e coiitra d' vui;
e i son pi nin dégn d' esse ciamà
vos flol.
22. 'L pare a l^à dit al servitur:
Tirèje fora pitst 'I ves^i pi bel, eh' a
A' lo bùia adòs; bulèje t' anèl at dì,
e t sfivalio aij>è.
25. Ande piar 'I bucinili graa, sa-
gnèio« mangiómio, e stórna aléghcr;
24. Purché cuet me Oòl a l'era mori,
e a rè arsuseità; a l'era perdu, ej^
s' è truvà; e a l'àn comensà la ribotta.
2g. X flol pi vèj a V^ttm 'o campa-
gna, e turnànd acà, a 1^ à senti so-
nar e ì>alàr.
26. Ciama .a 'a servitur lo ch'a
r era st' rabèl 7
> 29. fi ràut a J'à riApondu V A J'è
turnà ià frèl, e lo pare l'à inaia al
vèt gras, purché ch'a Kè vdu san.
88. Chièi a l'è sauté 'n béstia,
e a vria pi nin 'entrar. Ma M' pare a
rè sorti for a pregalo;
29. Ma chièl ara rispondo a lò
pare: Aison tanti agn eh' i'I' senr0,
e i t'ù mal dsùbidi, e li t' m*è mai
dèi 'n cra\òl eh' i. 'ndèissa a man-
gialo 'nsèm ai ine amis.
SO. Ma Hdcs ch'a' j^è vnii.cust tò
fiotj ch'a l'à mangiar '1 fai so con té
porcile, l'è massa M vèl graspr èhièi.
31. Ma '1 pare a j'4 dit: Fio», ti
l'è sèu^per niè, e lo ch'a l'è- me, a
l'è lo; .
%%. Ma a ventava far na rit>oUa,e
star alégher, purché tò [rèi a l'era
morjl, e a rè arsùssìlà; a Pera pcrs
e a s^ è truvà.
Doti. GàTTA.
\
DI \ LETTI PEhBMO^TAKI.
»97
riiALGTTo DI VBacELL! (Caiiavcse).
II. Un òm a r ava dói floi;
IS. E 'I pu giovo d; \òr Vk-àìi al
parif 0 pirly dèmi al fnt pie, ch'a
m' poi tocfièml; > 'I pari l'à (^ la
divisiórt.
f S. E- pochi di dop/1 liol pii picio
rà rabajà sii 'tùli, e s* n'è andarne
lonlmii, « ^n poc temp s^èt>utasi 'ii
malora per fé d' ri|>oli'.
14.' E d^p consunta tùt J' è vnuje
^t e^l pais *nn gran faminna , e IO
r a eomensà trovèsi fin bsògo.
fltt.-B i^è andà con un d^ coi paisaH
eh?»-"! rà mandato anlM so camp a
larghe i porc»-^
#6. E lùM desiderava d^ empiei Ton
le seòme che mangiavo' { crin;.ma a
fera nén lin ch'aj na deissa.
17. Ha pépsànd ai fai so a l'à dlt:
Quanta geni paga da mò pari i àn da!
pan « rolla d* còl, e mi bei e chi i
crèpb d' fam 1
18. 1 m'ausrò, e i andarò da me
pari, e ijdiro: Opari, mi io fai mal
avanti a Dio, e dnàns a voi;
19. E i mèril pii nén d'essi clama'
vos floi;, femi vos se.rvitór.
^O. Donc aliflòl s^c anssàse, c>i'^
vnu da £Ò pari; e 'niànt ch'a l'era
ancor lonlàn, so pari al rà'vdiilo,
e J'à ràje penna; a l'ècors, a s'^è
ràmpàse al còl e i'à basalo.
SI. E *i fidi j'à'dìje: 0 papà, mi
i ò fai mal e centra^ nos Signorie
'n farcia d' voi; e i inerii pù nén
d*èssi ciamà vos floi.
'S2. Ma M pari l*à'dil(.ai so servl-
lór: Porle subii al. vesti pù bel, «
butèju an -pdf da cap a pè, con l'^anèl,
con d' scarpe noVi ; '
Si. Anlànd ma^è 'I pù Ul vitèi*;
eb^ a possQ mqngèlo, k stèssni alégar;
24. Parche sto .floi n l'era mori, e
adèss rè vivo; a l'era perdù, e>a8'è
trovasse; è i s'''són bùìàsse tùlìi a fé
gran.fìesta.
SS. Mlàhd ài pcim niat a l'era an
campagna, e vnènd a cà, essènd' già
vsìn« al sèni la 'mùsica e *V bai;
2é. E ancantà. al' clama .a &n do-
nièstic lo ^h''a J ara iV nof-7
. 27. E 16 a j'à dije: AP sòr fratfl a
J'è vnq a c^, e- so pari a Tà fall mas!|è
'I pù bel vilèi, parche ch'a l'è riva à
irà arti. -'
és.'Sla cosa rà Tàje vni H in^^ e
Pera li par'andè^nl; m^sp parivend
ad'fora al Pà pregalo d' a vhi dreni.
29. Ma lui i'à dilt al pari: Hi^codie
mi., dop tanH ani éh'i r.ùbidiso,.i ò
mai avù un cravòll par stèmiue alé-
gar coni amìs; '. '
SO. Ma adès che is. mal, ch'a l'à
sgarà (uU al (ali so con d' le. porche,
l*è vnù, .voi fci masse al pù bel vllèl.
31. E lui l^à diti: Car al me mài,
ti l'è sèmpar con fili, e luti lo oh^a
rè me, a rè lò^ ' • '
3S2. Adès poi li V dovìu fc festa, e
stè alcgar, parche sto lo fralèl a l'era
mori, e adès l'è viv; a 1* era perdù
e s'è trovasse.
D. Carlo Valenzano Biblioteca rio.
»38
PARTE TERZA
Dialetto di S. Bbr^ardo pufwo Ivrea (Conavcse).
II. *Un^ òiD a I* à ì)Ju dui fiòi ;
* iS. E M pi gióven a t'à dft al so
{>are: Pare, dèimcja porisIóiH cli'a m'
vèin. E « j'à dèt là sua pari.
fSu E da \\sL ppee di, a s'è fèl 'I
sò'.fagòt, e à Ifè andà ani un pais
lonlào^e là a l*à mangia tql 'I fai so,
fasènd 7 balórd.
14. E dop ch'a i'à mangia lui, a
J'è gnu *n cu4 pais -na grossa cara-
stia,* e chièi a I'à cmensà patir fàni.
\ ftt. E a l*é andà a giuslàsc da ^er-
vitór con 'un padròn d'. col pais. E a
V4l manda a lafrgàr i por^hèt a nà
sua c^sinna. « ;
te. E à desidenrva d'aropisc la
ptnsa dia giang , ch'a mlngiàven gì.'
faniaia];'e nliilì a J na dasé.
fl7| Antlora a Tè lurnà'n chièi, e
'l'àsUt: Quènt servitiir 'n/la oà.d'l
me pare a uièngien pnn s\ì\ ch*n v'ò-
Ico,/; ni! si i moèro d^'lam!
'18. -A l'è mei eli' m'ausa,. e ch'I
vàjà a trovalo, e ch*j dia: Pnr<», I* ò
fèl mul: j* ò offenda M Signor, e vui;
IO. 1 sua prope pi nén lìvnn d'sir
cianin vos (ì6l.; Ini me me pi mi fiiss
'n \:os servi lór. . .
io. E' ìiusàuiM! a s'è 'ncumiiifi vcfrs
cà; a Teru 'ncura loiitàn, '1 so pare
a.l/à visi, e- a l'n abiu coinpa^sión;
e 'iidàndj all?<inconlru, n .s'è4*ampn
al col d'I fidi, e a-Tà hasà.
81. E 1 Uólaj'n 4il : Pare! i ò fì'l
'n gros paca al Signor, e a vui ; i son
pi nén dégn d' sir ciamh vos liol.
22. 'L pare a I'à dit ai so servi-
lòr: Stilli l> por tèrne sì la sa a ve»ta,
e bùlèiia aclòs/ e dèjc l'anèl a la sua
' man, e bulèje ja scarne an t' i^ pè.
W. E andè a piar »n vè\ gras , e
massèio, e mangìumlo e stuma alle-
gherv .
SI. Perché cost me fidi a IVra mori,
e a l'è arsusòUi; i l'ave pars, e i t*ò
trova; e f.l'àn prinslpià a star al-
légher. • ■ .
t6.E '1 so floi pi yèj a l'ere an
campagna : e gnèiiè a cà^quand ob'a
1|era da ysin, a I'à senti nac^sinfeaia ;
- 26. £ a rà clama un dl-scrvllòr,
e a, j'à clama che ch'a J'era?
27. £ chièI a J'à dll: A J'è gniu 'I
lo frèl, e 'riò pare a I'à mani 'a
' vèl gras, perché ch'A I'à torna aviir
san e salv. . ■ ,
2d. Ai' è sauln 'I fui e a vulè gnaoca
'Mirar 'n cà; 'hsoparc a Tèsorti, e
a rà prigàvh'anlrélss.
«29. Ma chicl a j! à rispondù al so
pare: Oti '. a son Icrir agn eh* 1 v' ser-
visse, e v'ù nial,dsrLbdì^ e \ m'cl iiAi
{ibi 'n cravót, ch'i féiss n' allegria
coji i me amSs;
.%0. Ma péina ri\à cò^i vos fidi, ch'a
rà nianglà 'I fai so con le putlaa^t
i j'H massa 'n* vèl gras per clilè|.
51; E'I pare a j'à dil: Me car Odi,
li l'è ^c in per con mi, e lo» eh' a l'è
me, a rè lo.
32. \i\ò^ a |>oytava far 'n banehèi,
e' sfar al légher, perchè cost lo frèl
a Tcra inori, e » l'èarsuscità; a l'era
l»ers, e a s'è Iruvà.
C\MP\R(> Gi(»\A>M. Previsto.
DIALETTI PEUEVO^ITANI.
»99
!)iAi.kTT<> DI P.\vo:«E (Canavcsu).
f I. Un òm a Tavce diii Vii
12. 'L pi gi^véa n rà dit al><tò
pare: Pare, dt^ime la.parlcb'a in'
vcgn; e \\ par^ a j'à sparti Uiit dui.
15. Qualcli' terop après *\ pi gió-
ven rf s'è 'nsacà I so dner,'e a Vh
'ndà da lóns, e a rà consuma tut 'n
desbàucle.
1.4. Dop cb* ara liquida liìt U'
fai so, .a j'è vgnu na-gran fnminna
'oqui pais, e clièt a s'è trova 'nt'
la' miseria.
Itt. A l'c 'ndà glustàssc da ser-
vitòr con 'n partirolàr d' col pais
eira to mandava largar i porrbil.
■
IO. A trovava sauri la gi.nnt eh'»
uiingJàVen i animai ; ma gnun a j nu
dasce.
17. 'Ntlora a rà duèrl i c^jj^e a
J'à'dit: *Nt la cà del nrè pare tent.
servt^tór a nicngcn a qual ganasce, e
mi -si i muèro d' f;ini!
la. I v6j 'ndàr trovar 1 nnVpare,
e i dlrù: AhlcUr pare, I j*ò ninncà
contra M ciól, e conlru voì<
19. Ison pignin di'gncirim'ciame'
vos fl; tgnimc come iin di vos ser-
vi tór.
80. A rè parti, e a Te 'ndà trovar
'I so pary 'I pare eh' a l'a visi vgnìr
da lonlàn, a n'à ablu compussión, a
j'c curu 'ncontra'a s'j è campa sol
còl, e al rà basa.
21. E M ti a l'à dit: Ah! car pare,
i j'ò manca cantra 'I cirl e centra
voi ; I son pi gnin dógn cb' im' ciamc
vos ìiai.
22. 'ISllorft 'I p.ire a l'ù dil ai so
«ervitór: Subii portème la pi bella |
vesta, e vcstimlo; butèjc un anèi al
di, butèje^le sdarpe al pc;
23. '^dè pi)r 'I Wh\ gras ch'à j'è
'ni la stalla; ì(canèlo , mangióma,
tralómse. '
'24. 'L nrè'car A a= ì'era mori, è a
l'è arsuscltà: a l'era pers, e a l'è'^lèt
trova; e a s'è fòt un grart «banctièt. .
i,)i* 'N cosi méntre '1 fl pi vèj cb'a
l'era 'n campagna, a. l'è riva a càj e
quand a Té stèt avsin, ai'à senti '1
sòn'dje stromcnt e '1 bai. '
2C. A Tp clama un di servitòr, e
a j' à dit: che ch'a l'è ttit s' fracàs?
■ 27. 'L servllòr a j'à'dit: A J'c vgnG
a cà 'I vo's frèl;"l pire a l'à fèi mus-
sar 'I vcl gras dì gòj d'avèllo visi
ancora san è vlf.
28. 'L frèl senti ste paròje afe
'ndà. 'n colera,* e a l'à gnan'ca via
liintràr 'u oà; '1 pareà l'esorti chièl
istès a progàio rh'a-.nintréiss.
2ik "Ria '1 fidi n j'a dit: A l'è tent*
agn eh' i v' servisse, ^ i pulì gnin dir
ch'I v'abbiù mai-nrancà d'obMiensa;
ma il mi i m'èi mai dct/n cravòt per
far na marènda con i me camarada.
50. i^la 'I frèl cosi fati , ch'à l'à'eon-
siima tùt 'I fèl so con d' forane d'.
mala' vita, sùbit ch'a Tè riva a cà,
voi j'èi fèl massàr 'I vèl |^raSw
.31. 0 me carfi, arj'à. dil 'I pare;
li t*è Romper con mi, tut lo ch'a Tè
me a l'è lo. ' e
52. ALI vutii gnlh ch'i sèe alégher
è ch'i fèe festa, se 'I lo frèl, eh' a
Tera mori, a l'è arsùscità; il tgnéc
j)er pers, e i l'ò trova?
P.* Dui Lieo Fraxcbsco.
»30
PAHTB TERIA
Dialetto di Vismoaio ( Canavese ).
11. 'N òm a rà avù duj fidi ;
12. E 'I przóvèn m SU )Jiu a Vk
dit al pare: Pare , dèine si la pari
eh' a m' tocca a m\. E chièl a j' à di-
vis '1 patrUnonh
iS. £ a rè ni» andà long teuip»
che sto .fidi pi jEÓven a s' n'è parti
per pais loiitàn lonlàn; e Ita !*à dèi
c/iniin i e macia tu t ci fall so ^ mnànd
na vita disonesta. _
14. E d9|5 avéir consuqià lutlò ch*a
Tavia, a J^è.'ncvpita.na fam 4a ean
pr cui pais, e cRÌèì-si a rà 'n pò
pripsiplà a trovasse aiit la necessità.
Itk E |i.8* o'è 'n pò parlisne, e a
8' è arraiDl>à a 'ii particoiàr. de cui
pais; e si' si a rà. inonda 'ni na soa,
tera a largar i porche! t.
l'è. Slòje com' a r era a dsiikrava
d' 'mpisse'la pansa di agiàné eh* a
rusiàven 'i porchèit; e nión a j'na
daséja.
' 17. Anlrà pòi an.sè a Tà dìl:
Qucnt servi tur an cà d' me pare a
ràn d*4)kn- an abondansa, e mi i
crpo sr d' (am !
18. I m' darù ardrisa, i andrù dal'
me' pare^ e j dirù: Pare , i ù manca
'scontra Nosgnòr, e 'ncontr^ vui.
.19. I son gnano pi dégn id* èsser
clama vos fiòl;.pième com'ùn di vos^
servi tu e.
20. E S^ndse aussà arò torna dal
so- pare. Anterménl ch'a l'era, ancor,
lontàn, 'I so pare al rà visi, e a Tè
stèt pia da la compassión, e corèndje'
ancontra a s'j è larga al còl, e al rà
basalo.
21. E '1 a a j'à dijc: Pare, i ù
manca 'nconlra '1 cól e 'ncontra vui ;
i son pi gnin dégn d'esser clama
vosi Uòl.
22. 'L pare poi a l'à dit al so ser-
vi tur: Vito; porte ansa la prima ve-
sti menta, costilo, «è rangièlo, e dèje
l'apèl an man, e.oaussèlo com'a s'
dev ant* i pè; * . •*
X^. E pie *n Vèl'gra8s,,e sagnèlo,
ch'il meiigéq, e ch'i 9tén allégber;
.24. Perchè che st' me fi a l'era
mort e.a rè torna arviver; a l'en
spers, e à s'èJfuvà«E a l'àn cmèmi
u ,taffiàr an règola.
2;s. A reca poi l'àut so fiòt'pi vij
'n campagna, e argnènd, eaavBiMiiK
a la cài a r à senti a' sonar e cantar.
2g. E a l'à clama fin di servUàr,
e all'a 'nternàcbe ch'a j'ero steooieT
. 27. Ech^l-siaJ'àflit: 'L véslfra-
del à rè vgnù, e '1 vosi pare a l'i
massa 'n vètgcas, al perchè ch*a l'à
arvù san e salf.
28. E a j'èsauta la bill, a Vari
pi Din 'ntrar; e 'I so pare sorti, a
s'è bulàsse a pregalo^
29. E chièl respondénd al so pare,
a j'à dit: Etché lit mi da tant tenp
ch'I v' servisso, e v'ò mal dsubldi
na mésa, e i m'èi mai dèt sUméiit
'n cravòt , chi m' féiss na ribòtta eoo
ì me amis;
. 30. Ma doi> eh' st' Qol-si«h'a l'i
sgherà tufi fot. so con le rpittlane,
a 8' n'c torna, vuljlèl subit massi
.'n vèl gras.
51. E chièl a j'à dit: Beicà fi; ti
l'è sèmpre con mi, e lui lo ch'a l'è
me, a l'è lo. . .
52. A l'era pòi necessari de (afa
convit , e n' allegrìa, per<.*hé che sto
fradcl'bi a t'era mori, e afe arvivù;
a l'era perdii.'e a Tè slot truvà.
%
OIALETTI rEDEMONTAflI.
531
DlALBTTO DI CALU80'(Cans|ve8e).
f fl.'Ua ònib a l'avìa dui inatèl;
19. Bl pi giovo a J'à dlt a so pa:
Pa, dèioe la mia pari cii*;^ io' tocca;
e II pa a J*à dèi a tiiit'dùi '1 fatifò.
18. Da lian poc, strensù '1 fat so,
"I mfitèU pj giovo a l'è àndèt ani -un
pais lonlàb) a ri mangia futi que'
ebe 89 pwe a J'à dèt fasènteh potane.
14. E apr^ avéi mangia lijt,'ant
col paisà J''è oiu na carestìa;, e cliièl
l'à comensà ^ stanlà.
lìL, A-s' n'è andèt via, e a l'è an-
dèi a sia «ervllòr a cà d'jun parti-
cola r de col pais, ch'o rà beila a n^
ióf» cassioa a 'larga i porcbìt.
16. Per gavèase la fam, a 'l'era ob*
bligà à mangia* lagiand, i;b'a maor
gìatp'l porchìt, !porcbè niiin ai de-
sia niéntus.
. 17. Avèiid pensa ai fàit'Sft: Quaitli
'lervitór a mangio a cà de me pa M
pan a. uffa , e mi i son cestrc^ a-oiorì
d' farai '
f8.*I voi pi nén sia sh i voi andà
tla me pa^ e j' dirù: Pa, ) rò p/eccà
conerà Nosgnór, e centra vul;
IO. I son pi nén degn d'esse clama
vos fidi, plème mi cb'l fùss iin vos
oervitór. » , •
M.. Aor bei;i.|A3i)sànt a rè andèt da
8Ò pa; a l'era ancù lontàn ^' so pa
al t'à vbt, e pia da la compassióne
a s'è bùia core latin, j'è saula al
CÒI5 e rà basa.
SI.^Alloriielfiòìaj'àdil: Pa, i l'ò
pepcà centra Nosgnór, e centra vul;
i aon pi nén degn d'osse clama vos
fidi.
2a. EI bon vèja j'à dit a un di9Ò
servilór: Presi, porle la vesta pi bella
cb; l'abbio, butèla a^òss; dàje l'anèl
ch'a s' 10 bùio ani i di, e de scarpe
pr ch'a s'<càussa.
. 85. Presi . pie un vèl ^nM, iàas-
sèlo, mangi^mlo e «tóma allégbèr.
24.'Porchè el mè.matèt a Torà
Oiort,e a l'è risùsc^; i l'avia pera»
e.adèss I i'ò troVà: 6 l'àn cooiensà
a stè allégher.
Stt. El fiol pi vèj di' a l'ehi andèt
an campagna , vnènl, e vslnàndse a
cà^ a rà senti canta e sona.
26. A.J'à clama a .un di «ervitór
che' ch'a Tera ch'a fasio?
. S7. El-^ervitót a j'à dit4 A J'c nlù
tò fradèl, e là pa a l'à aubùl nuisià
un vèl gras^ porche ch'a l'è nlù ftcà
san e salv.
28. St-ei a rè saulà an còlra, a vria
nén andà » cà; el pare a l'è sortì
(ora, e al l'à clama.
29. nachièl a j^à risposi, e dlt «a
so pa : A 1* è da tanl .tèmp cfì' i ira*
vàjo per vul, eh' i jò sempre fèl qué
eh' i vHje, e pur 1 m' et jnai dèi niànca
n'agnèl» ch'I mangiéissa con -I me
aoiis;
30. ^a sùbùt cb'a'J è nlù còsi vosi
Adi , cb' a r à ioaiif ià tu l a*lrci(ie, a i' èl
sùbùt per cbièi massa ùa vèl graa.
SI. £1 pare allora a fa. dit: Séll, ^
li t'è sempre elèi con mi, 0 lui qué
ch'i l'òa L'è rà.
$2. Anlava ben mangia e slà.ah-
légher, porche tò (radei a l'era mori,*
e à rè risuscita; I l'avìa pers, e I
l'ò trova.
N. N.
532
rARTE TEHZ»
DiALETTu-Di Stiia>bi>o (Conave^f).
II. Un òatcìi a l'avi» rlni cèl;
■
19. 'L pi gióven iV sii oialìl a l'à
(lìt al pare: Pare, <l(>iiic la part del
palriniqne oh' a n* ve^n: e '1 ^are a
J'n Rparli M pAlriinom».
■
16. Poec fiì après, mtènd lui aii-
Sem'; 'I cèt pi gióvun a rè andà ani
■
fm [taw lonlA'k^^ e a rà con«iimà la
itoa P9rt^ vlvpnd da plandrdii.
14. Quand' a T à abiu consuma IRI.
A 3 è ariva ant ctil pais na gran ca -
ristia ; e'I cèt a Pà couiensà a sentir
'1* bsògn.^
•. tu. E a rè andà a giiislassc al ser-
visse d' 'n sgnur de. eul paìs, eh' a
vìi manda a-' na ^a cà d' campagna
pfer «h'B larghcissa i pDrchìI.
flt. F 'là dsidcni^rh d'empisse la
pansa d' la ^iand, che i pnrcliìt a
mangia ven; t gnnn a j dasìà gnonlc.
17. Ila H chi lornànd ^u'n se stcss a
rà dit: Oh!-qdonl stTvitùr'nnl la
cà d- me pare a ràn d*.pan d'a\àn«.
e mi sì'l morò-d' fam! "
in. I me levrà da si /e i andrii
dal me pare, e J dtru: Pare, mi I ù
paca devcnt del €iSl, edcvòni da vui:
IO. l£on pi ni 11 de^n d'esser cì«-vinà
voscpt: fcme cum'ùn'di vos Servii iir.
20. nisònd paìrér^ a 8*c Iva, e a Tè
andà.dasò pare: tròvàndse pò sei-si
anciir lonlàn, '1 pare a Vh visi, e pia
da la corop»ssión a l' è córu , a j' ì*
cheìt sul cól, e a Vh basa.
»l. Sì 'i cèt a rà dit: Pare, mi
ì ò paca devcnt dui Ciól, e dcvènl
da vui; mi son pi niti degn d'esser
cianià vos cèt.
22. 'L pare anliiini a l'à dit ui so
servii ùr: porte subii là soa pi bela
vesta, \'eslilo. e bùicje Tanèl atti ci
dì e Te scarpe ant i pè.
23. Ciapè ijti vcl gra% e massèla, e
gneli mangnrnma,e istar^n aléghar;
24. Perché st* me cèl a Tem morì,
e a l'è ^rsjissn»; n Pera perdu, è a4ài
a s'è trova; e a l'àii «amiiisà a baa-
chetàr. ,*
2». Ha *l vèt pi vèj eh' a l'era a ta
campagna, turnànd, eysinàndsea
la cà, a rà senti a sunàr e a cantar.
20, E a rà, eia ma àn di sèrvUòr,
e a j'à clama fo eh 'a l'era 7<
27. E '1 seryitór a j' à . dll : A fé
ygnù M tò'.rrèlr e 'I pare a rà maisi
lìo vèl gra« per avéjer 'irquistà 'I ti
28. Senlcnd l'afàr, a j'é vgoù M
flit , e a 4'ojà pi Bin antràr an ca. Ma
'1 pare ^end àorlì il l'à comiosàa
pregalo* ■ •
• 20. 'L cèt pò rispondènd a fa dit
al pare: A ^on leni «gn che nli f v'
servo, e i ù mai dispressà '1 vos co>
iiiànd; e vui mai, e pÒ mai i' iii'a\i
dèi un cravòt da mangiala con i me.
amis.
'so. Ma après che sT vos eèl, eh' a
rà consuma 'I fat so con le pùUne, a
l'è lorirà, voi^'avi massa 'n vclgras.
ii. Ma M pare a j'à rispòsi,: 0 né
car cèt, ti l'è «èmper con mi, e lui
'1 me Si rè lo.
32. A 'Convè^nà ben banrhelàr, e
far festa , perchè si' lo frèl a Pera
mori, e a l'è 'r>iissità; a t'era per-
dila e a s'è trova.
L). .Uatteo Romno.
\
MALint PUNSIMNTA5ÌI:
555
Dialetto di 8. GioiGtb (Canave^).
• II. iÒo ÒHI a r»viQ dàt cè't;
11. B'^l Kond a Va dit a so pari:
Pà, dème '{* fai me. E M f>ari a j'ii
lèi la. pyrt^d' tsò ch'a ) locava a élal.
ÌZ. B da H an poe'ies-li k rà ra-%
basta Ini so eh*k yk dèt , e a a*, n'è
'ndèt l^ntin lontàn , e a l'à sghèrà
tal ^ rat «^ vi vènd dà strìplà.
14. B apkt» cfa'a rà fat arlàs de
tfii ad ch^li raviè, 'nt èl paia eh'.a
l'e#a a i['è 'ngna nà ipNissa careslia,
e eel a l'à comensà 4 patir la fafti.
Mf E a rè 'ndèt f^ piatasi a na
persona d* eoi- paia. E 'Cei-là al l' è
Manda a aoa'^aasinna a largar f pòr-
^hèii.
'!•. B a.l'HVlè vòja d'Jmpìsal la
passa con I giandua eh' a mangiàven
i porehèll, e gnèn a j na daaJè.-
«7. Tornènd pò an eeìf a rè diti
Qeantl aervltòr a ca-d' me pari a l'àn
del pan fin ch'a vóien, é mi si i moro
d*'fim4. *
. 18. A 1^ è mèi ch'i m'àusaa, t ch'i
ve da ttiè pari, e ^h'i j'di^a: Pa, i
l'ò rèt frane mal ; i i' ò ofléis Koagnòr
e vai;
%9, Par aùri mèrito pi nin d'è^aer
eTamèvoa flpl; tralèmi mac com'-un
di vos aervilòr.
to. E ausaàndai a s'è incannila
vera la ca ti*, so pari: E "'ntraméht
ch^ ii}' efsynoór lontàn, aò pari al l'à
visi, l^*còm|taaalón al rà pià^ e cor-
rèodaj'è'auitàalcòt, e al l'à basa.
Sfl. 'L 051 aj'à dit: Pà, iVò tòt
frane mal; ì rò offéts Nosgnór e voi;
aùr i m' mèrito fn ohe vul im' clami
vos fidi.
28. Ma so pjlri a l'àdit ai servitór:
l[»rest, dèi foi* 'I vestì ch'a rav)è pri-
ma« e bfitèilo adòs; but^é l'anèl 'nt
il dì, eli aeaii^r'nt ì pè.
'2S. Tire for 'I vèl pi g^s cb'a
J'é, e maaaèlo; ch'H mangt^h-, e eh'
ia^n aléglier.
t4. Porche cpat me cìt a l'sfa wavtl,
e a l'è arauscllà: i-l'avièn pera, e
1 ràft tcovà. E u a^ten bèC» a' ri-
botar: . ' '
8»..'NcòstmenM;Ì flol^ii vèich'a
l'era *n Campagna-, fdrnànd a cà a
rasenti ch'a^oiraven exh'a-caii*»
làven. •
86. E a l'à clama An di aervilòr,
e aj'à dltr Che ch'a Voi dir so-si?
- 87. E c(^(-si a j'à ^tiz Vos fradèl
are 'ngnu, e'voa pari a l'à Tèt nàa^
aàr n-pi bèi vèl, porche ch'a l'è tóìmà
aan e aaiv. . • / .' ^ '•
88. Senti 'al» ndvl, il J^è aautà 'I
(ot, e a vojè 'pi bln intràr. ' 'Lpàri
'ndrónc'a Tè aorti, e a l'à èomenaà
a pregàio.
89. Ma cel a T a Vlapòal' a aò pa-
ri : Vardè, a l'è tanti in eh' i v' si;rvo
a pontin, e i t^'Ò'fèl aempr ao ch'i
m'èi dit; e vul 1 ;n'èi mai dètgnanc
tìn cravòt dà atamni àlégher eon I
me amia;
50. Ma aprè^ ch'a j'è riva còst tò
flol,ch'a l'à aghèrà liil con li alartdrl«
]' ci rèt maasàr '1 vè^ pi graa.
51. Ma 'I-pari a J'à rispòalr Fidi,
ti 1 l'è aèmper con mi, e tut aò ch'a
rè me» a l'è tò;
S8. Ha a ventava ben alar alégher
e apaaaàsla , porche cost tò fradèl a
l'era mort, e a l'è toma arviver; a
Tera pèrs, e a s'è trova.
57
list
PARTE TERI.%
Dialetto -DI Captellamosite (Canavcse).
ll.'NòiD riva aiii fidi;
• la. E '1 pi gióipiQ di dui VA dit at
pare : Para, dh^mì me lòq e chèi Vk
fe( U j^fi a tuU dui. ] ..
18. Da li an poc '1 fidi pi gióan
ralMSsà^AiU el.fèl aov s' nSè ll^àvià*
loDtàn lonftn, e li^ a l'à 9g(pèi3i liìU
da glig|làrd xon {e fumne.
fi.'Esgh'Srà ch'a rà'avu iy)l, u .cattipagoa^gDèiìtacài-egiàvaiOfeoeo
23. E^ór 'i vcl 'I. pi fl^s, e la-
gnèlo: t tpan^rùma, e i daràpia 'I
•pa&t; . *
. 'l4. Purcilè che cuti me idi a. l'era
mori, e a òr a Tè ortusclU'; • rem
sperdu,*e a s'è inivà; e à l'ào cobi-
neuBÌi M pasl.
2tt.lli( n floi p\ vèl, ch'a l'era '■
cui pan J'è riva adòss 'na graìi 6iid,
• cbèf ara eoAm^sà a pirtìr.
, Itt. Eeyò dòlurdrìa ^ a «'è giu:
V ala pon ^B. ben d' cui pan, cU'atrà
manda a la* caaslna a largar I por-
clu&il. ^ .
• . . .
if, ^ Il bramava d'ai4>ÌMe la pausa
^ r agiànd .ell'a mangiavan i por-
ch^t, e gnun cb'a na dèiasa: •
17. Onlù lerniL en chèl a 4i8iAva:
Quinti servitór a cà d' roè (tare cli'a
ràq d' pio da mangiar pi ch^a na
vólcn, e mi "sì-chi cbèjo d' fam!
18. Bèinoh'i m' rarùcura|;i, I an-
drà dal me pare, e ] dirù: Pare, | u
fètn^gl anvèrs del (lél^canvòrs^'yui;
19.. Sor pi,AÌn dégn d'esser ciamà
vos 0dl, Igpimi ma (us un.d* vos
aervliùr.
90. E su, e dèje anvèrs aò pare; e
a. l'era auoór lonlào; che 'I so p*are,
yk già visi gnir, e. pia da la coni-
passlón^véslo, mapcij^ 'qconlra Un-
cl^a j'è cheìl adòss, e l'à basàslo. "
. SI. El adi j'à dìt: Pare, i ù fèt mal
anvèrs del Gel, e anvèrs d' vui; son
pi nin dcgn ch'i m' ciaine vos i\'ò\.
88. E '1 pare l'à dilai sòscrvilùr:
Vito, la vestiméinta la pi bela, e bùl-
lèila;viloranèl ai dì, e le starpeaipc,
ch'a* seni sonar e baiar.
te. Vito a dama 'n ,a€nrltàr, e a
J dls; Che ch'a voi dir a'. Upagi?
. 87. E'I aervitùr J'à $fU: A-l'ègao
'i vo9 fradèi, e.'l vos ifare l'à fet aaa-
sàr '1 vèi pi gr^sa, pur^ié ch'a l'a
arbinà san e salf.
88. E per so-ò rè andàt tu b^pUa,
e a volava nin pr ain lnlràr;^'à
dovi! '1 pare chèl SQrlir fór « è • i^è
butta a'pr({gàlo.
89. Ma/l fio! j'à rispósi, e l'à dll
al palle: Vardè; Tè Uni lèimpch'l
v' fon 'I servitùr, i ù sèmper tèi lAl
so ch'i ih'èi comanda, e 1 m'ètnai
dèi iin motlóii iWi m'el mAogléiisa
coni i me amìs.
^. Ma aura ch'a l' è gnu sló vof
ftòi ch'a rà mangia liii M aó con le
pùtlane, i masse per cbèl 'I vèl pi
grass.
SI. Uà 'I pare a j'à dil: Fidi, da-
gagna nirt; li l'è sìèt sèmper icon-oii,
e tuUso.ch' Fé me, l'è Iq.
58. Vantava bcio far legrla, purché
cust tò fradèi a l'era mori, e bèkh»
arsìiscilà ; a l'era sperdù,' e aùr a s*è
Iruvà.
Mèdico TOMMASO PULLIKO.
DIALETTI rEDEHOMTANI.
53»
Dialetto di Valferga (CaiiBviuie).
il. iin òm n j'à avii dili fènt;
19. 'L pi gióf ep d' lor a jSk dii al
pare: Parè^ dèmA la part ch'a m' \én :
ecbièlaj rà dèu!
flS. Qa lì 'B pò, '1 fi pi glóven ar-,
grià USA, a l'è andèl an^ no pais
da ICMi#, • li a rà dsipa '1 fèt so a
far n dètbkuL.
14.«Qiiaiid eh' a rà avù coniumà
tui^ a J'è gnu da gran cartella 'ut
cai pai», 0 cbiàl a ì'à cmensà patir.
flg. A l'è parli 9 e a %' é aramba a
'n SfDur d' pr là, eh.' a Pà manda a
la fin «asaln^ a largar i. paì^..
f g. E l'avìa vdja d^ouiisse la pausa
die giand chM /mimai a mlngiàvan;
• a i'era gnÓn ch'a J^na déiss. .^
f f. AirtgQu pò ent chièi, a Vk dU:
TMi aervitéf en càd' me pare a ràa
d* pan sin c^'a vólcn,- e mi si imóiro
d'IamM .
18. 1 m^ desvirù, e' andrà da me
pare, e J diru: Par^ i m^ la son pia
eoB-ftosgnàr e con vui;
f •b Lm^ mèalto pi nin d'esser cìamà
voàl fi: pièffle pr untl4 vosi serviiùr.
to*. A 8^ è aussà su, e a s'è 'Qcam-
ninà pr andar da so pare. A l'era
p6 ancor da lóns, che '1 pare a r.à
già vnl, e pia dà compassión a }'è
oMiroii'q contra, a j'àcbeit s'el còli,
e al l'à basa.
ti. E '1 fi a j'à dit: Pare, i or'. la
aon pia con Nosgnùr e con viti; i m'
mèrito pi nin d'esser clama vosi fi.
gt. £ '1 pare a J'à dit al so scrvi-
tùr: Presly tire for la pi l>ela vesta,
I •
e vestilo; e bjilèje l*anèl ani M di, e
but^ le scarpe ant'l pè.
28. E mnè 'n sa te vài grasa^ aidaa-
sèlo, « n)ingiòma, • st&nui alléglier;^
'94. Prché cust né fi a rentinort,
e a rè arsussitg^ a' l'era pera» ea.ré
^lèi trilla; e g s* aon buie a tlir ìal*
li^her. • . • ' '
8&. JL J'era pò '1 «è ft in vi] 'if «ani*
pagna, to méblte cfte*^chli1«ai a gaia,
e cb'à l'ei^ glà^apprd a cà^' a yk'
senti a- sonar e otintàr. ' ' '
86. E a j'à clama un di aervllàr,
e a fa éliti Che Ch'a l'è'su-siT
87. E chièt à J'à ritppndu: A J'^^
gnfi vtfst f radei, e vost* parie a. .fa
massa 'n vàt.grass, prché al Pà'tr*.
lira salf. , • • '
^8; AnIIora aj'è vgofi n fài)«iriià
nin andar défn: alcchèdiilke a fé
sorti so pare, e a s'è biitlfl piegàio.
88. Ma chièl a yk risponda, 8 l'à*
dlt: Deicbé 'n pò, jlen|e ago di' i v*
servo, 1 v'òi'n« mal dsubdi gnanc oa
vota, e vui i Wii mai dèi 'a cra^él
prcb'i stéiss ànégb^r'Uuèni al me
amir.
so^ Ma siibit Che cust vo'st K, £h^a
J'à dsipà n fèt 8Ò cun le plandre,
a rè gnu, a J'èi massk'n vè^ grata.
51. £ '1 pare a J'à dit al fi: Ti I t'è
sèmpr cun mi; so cb'i^ l'è me, a. l'à tè.
sa. A ventava ben trattar e far tè-
sta ; prehè cust tò f radei a l'era mori,
e a l'è arsùssilà; a s^era perdù, e a-
rèslèttruvà.
Dottor Bellor»*
555
VARTB TIRZA
Dialetto di Posit, Aluttiì e Fr\s«I!«etto.
l'I. N'òm R l'.RvÌR diii fiòi;
12. E'I pi fióv^n R Tr ditRlpRr«:
PRre^dàmelRBilN pari cb'a.m'locca;
e l'ivirei^J L*à dette.
IS. BdR 1Ì.RB pochi ili R s'è Rti-
Utcà'tut ?l fidi pi iróvanv •' n'è
' andà tonta» ro t'.un paìs froslér,,é
U R l'R grupiooR tiU lo ch'a rRvia^
diindae Rt bel tèlmp.
fl4.'« dopo RVRlr.niRDi^ià tùt, R J è
vgoa UBR gran CRreStìi^ rd cui pf is;»
e chiàl R l'R comensR a trovàse ant
le flilserìe. ^
fltt. E a t'D'è pRrti, e.R rè Rodà
V^Mrvir 'D Rgo^r d' cui prìr. E r1 rà
mRndl R Ir sor cascina a iRrgàr I
pOfSrf ' ^ ^
f e. E. fl Tr vri^' mangia volonlér d'
olile- gtondé eh'R niRogiavan 1 po;^;
e niùn r J ur dR9tli. " . '
I7;Dr U torni ru cIiIrì, r I'r àii:
QuROtR geni 'n cà d' me pare a màn-
glRn 4* PSB siBjch'a vòlon , e mi i
son RI ch'i nòjrò d' faoi!
IR. A vèlnlR ch'i m' disvia, e eh* i
vrJr dR me 'parerli eh' J dlsR: PRre,
i o (et mRl cpntra ISosgnqr, e contrR
d' vul;
IO. toon pi nin dcgn d^ èsser ci a ma
vost fidi;'trRttèm.e ro'uu vosi secvitór.
to.fdyndse ardris a rè torna da
so pare; e essfènd Rqcora lonlàn da
CR, '1 so pare a Tà vist, e a l'è slct
pUà^dlR compR'ssión,.e andàndje in-
contra a rà RbbrRSsà pel còl e a l'à
hasà.
SI. E 'I flòl a j'à dit: Pare, i d manca
centra Nosgnór e contra d' vui; già i
son pt olndégn d'esser ciamà vost fiól.
ss. 'L pare poi a l'à dit Ri so ser-
vitór: Prest, portèje 'Iprlm vesti e
vestìfo; e butt^e en man l'anèLe
le scarpe al pè.
S5. E andè piar iin vèl grass, rrmz-
tèlo, e 'mRngióroa*e stòma Rilegar:
' S4. Perché cost me ilol r I'otr mori,
.e a l'è arsuscità; a l'er^poVperdsc,
e R s'è trova; e r Tàn eomelntà a
slfar airég'ar.
S». ML so 051 pi vèj eh'R Pem an
campagna^ vgnènd e RVslta&odsR a
la oà , R r'à sitbti sònar e ennliir.
S6.>£ R l'à ciRmà uD doLienrilór»
e R l'à hiterrogirdtoèindjo, rh^ l'en
un pare tripudio?
^7. fi M servMór r fa dit: Afe vnd
vost frRdèl/e '1 vost pRre .r l'à fèt
nbizàr un bei vèl grRsàyporclié cb*R
rè toma R cà SRB e srIv.
SS. A J è vgnu Ir rRbblR^ e it velia
nfn intràr. Ma sorti 'I so pare^R l'i
comRnsà a ciaihàr.
. se. Ma chiàt par risposta r l'à- dit
a so pare: Mi eh' par tenti agn I V5
servi , e i V' 5 mai dsùbidi , e 1 m'avì
mal dèt un cravòt, ch'i mRnglàIssa
con i me amisi;
30. Ma aura eh' R l'è Rrrivà.eost
vost fidi eh' a rà mangia M IrI so R
puttane, aj'èi roasaà par chiil ihi bel
vèl grass.
SI. Ma 'I pare a j'à dìt: FioI, ti
faste sempre con mi r e tqt so ch'i
J'ò mi, a l'è lo.
SS. A vantava pòi che 1 féissan Te-
sta, e che istéisscn allégar,perch»slo
tò fradèl a l'era mort, e R Tè torna
arsùscilàr*,.a l'era pers, ea s'è trova.
A. Ci^ifiiaosirii^
DlALBTtl PFDKHONTANt.
W1
DiALRTTo DI Loca N A (Canavese).
II. 'N.òftì a ra\éa.dùi Ggl;
It: Et pi lióven dethigU duia rà
dit asò'pare: Pare, dppie la pari
d'ardHà eira mMocca; e-ci51 a gl'i
Kpaiii riirdità.
15^ E d9po pòdii di', eosi figi pr
giòven, piglia Ini son cti'a gravgn^a,
a f'è parti da sòl paìs, e'aTè andà
Ioga )ogn; e là, vivènt aiegramént,
a rà dsipà le soe sostanse. ^
14. IS^ dopo aver consuma lut, ani
col pab a , gr è vgnu na gran care-
stia, e clol a rà coibnsà avèi bsògn:
|g,E^ l'è scapa via da la^ e a 8*è
arambà a 'n spnór de cole pari, ch'ai
r à nftandà è na sOb cassinna a largar
i por^L
I6k E là , pr la tanta, fìam cli'a
patisséa, a a' saréa contenta .d' min-
giàrd^aglànti,com'a mingiàven i por-
che!; ma gnGn a jìia daséa.
17. Arvgnù ani eiol a rà dil: Quai^ti^
servilór a J son ani la cà de né pa-
re, a- ràn tutti aboirdansa d' pan, e
mi i moérò si de Cam 1
18. I yegi Iva me da si, e 1 végC
aiidàr da me pare, e diglie: Pareli
gl'òn manca 'neon tra Nostosgnór, e
'nchnlra vi;
19.1 son pi gnip dògn d*èsser>ciamà
voslo Agi: fème un d'i vQsti srvitòr.
^.£0. E, ausandse, a l'è vgnu a cà de
ile pare: so pare al.Tà vis^ da logne;
pia cla«la compasslón, a Tè marcia a
'inbrassàlo, e ài rà basa.
5tf. Anllora el agi a gr a dit: Pa-
re,! gì' òn manca 'nt'ontra ^ostosgnór
e 'neonlra ai; i son pj gnin dògn
d'èsAcr riama voslo' ligi.
22. El pare a Tà dil hì mic servi-
ter : Porte si prò^ la prima v
ev8lìlo;«d^glie Panét^'iit le
vslimenla,
doglie ranél*'nt lesoe aian^
e le scarpe 'ni i soe pei. / .
28. E. meioò un veli graasi e nai*
sàio, e mangióma alegninijèiil} • ,
24. Prché cust ii|e.figra l'era mdtt,
e ara a l'è arsiisità; a l'ora perdu«
e ara a s'è trova; e a l^an conàensi
a; mangiar alegram^nl.
2». El so' figl pi vegìjà Vera 'ni èì-
'camp, e cante ch'aTè vgnu, e cli'a
s'è aprocià alia pii, a l'i slnlì 'J son
e 'I cani de \^ musica.
2G. A l^à ciamà un d' 1 servltór e
al l' à 'nfi'ogà pr savérson ch'a gV era
de nof?
27. JEcul servilór a. gì'. à.-dH: A
l'è vgnu vosk) fradè), e >ost0.4Nire
a rà massa un veli grasa pr arglofs*
sansa, eh'a l'era torna a'i;! san^ \
22. (fusi Ogi pi vègi desfignàde
sonsi a volca p( gnin 'nlran 'n cà: el
pare a l'è sorti, 'e a l'à coménsà eia*
màio.
29. Ma cidi a l'à rspondii, e a l'i
* « ■
dit a so pare: Ecco, mia l'èglàlèiati
agn eh' i v' servo .e 1 v' òn 5èm|^r
ùbidi, e vi i m'èi mai dèi un crav^
pr ch^i sl^;iss lilcgr.con ^amia:
so. Ila dopo ch*a l'è vgnu coM
voslo flgU ch*a rà dsip^ 'i so patri"
moni malamcnt, vi j èl aiaasà iin véli
grass.
31. Ma M pare a ^' il respondii:
Ile ligi, li 1 l' è sèmper «con pii, e
li]t^9 le mie soslanse a son lóe.
33. 'A mantaxa ben fard'anvil e
aie^ria, prchè cosi lo fradèl a Tera
mòfl, e ara a l'è arsusità; a l'era
Iperdù, e ara a s'è trova.
Dollor Taro Carl' Avcnpo
liiB
PAHTC TERZA
Dialetto di Sparo!«b (Cinarcsé).
fi: Vn sceist ònit Tavia dói fidi;
it E M pi giovo d' còsti ara dit
al 8Ì;pare: Pàfe, dème la porsión
eh' a m' tocradle sostMise; e a rà
au|>it divida 'tiA cpstl le^soslair^e. ' .
18. E da Ila pochi di, rilfrànt futt
1; presse dlèisóesoataÓBe, có'it fWjl pi
glévo à'-t' n'.è andàsne via ^ paìs
lOBtan, e là a t'adissi pà lutte sóe
sò^tanse ^Ivènt^^lussuriosamént. '
M. E dop'd'ayéi òonsomà luti, a
J'è sficceJQje fina gran fi^m ant cól
paìs; e chièl a coiAeirsavà'J;ià a èsse
bsognòs^
Is. E da li a s'è allonlanàKe; dop
so-si a s'è convDuse con uo slladin
À' c6\ pais, M Iquat' a t'à manda a
p^scolè i pprs.
46. E ehlil'a desiderava d*nipi$se
'sòa pensa d' còlie ^i&n'de ch*ai^an*
gfava 1 pérs, e /psun a J na dasia.
,17. Rifletfenl ^oÌ ih sé sless a l'à
dit: 0 quanti servilór a sóli 'ni la
oà d' me pare, cb'a l'àn d' pan fln
ch^a na veloce mi sì i-moire d' Tain !
"la. 1 m'àusró, e I andrò dal me
parè^ è J dirò: O mè'clitr pare, mi i
òn p^a' 'ncontra '1 Slél e dnans d' vói;
le.'Tsònpìnén dégn d'èssfr clama
pr vost flól; considefème pr. l'avnì.
com'un'di vòét sc'rvitór.
20. E subii a s'è aussàse, e a s*è
porta *n vers II. pare; e essènt 'ncora
'n pò loritàn, '1 so pare al l'à vdulo^-
e pia 4s compassión, corrcnrn pressa
a s'J è cascft s *ì so col ^ e al l' à ba-;
sàio.
SI. E'I fio) a J'à dije: 0 pare, mi
i'on pcà ancontra '1 Slél e dnans d'
vói; i son pn pi dégn' d'esser clamò
vost flól.
82. Allora. 'I- pare a Cà Iditai so
servilór: Pòrte subii" si la vesta pi
bella, e vstifó; è bulèje l'ariè^'n !^
man, e I scarpe ai so pé% .
25^ E porte sì un vailèt gres, e
'masséto, e mjingròftaa, e buvòina;
24. Prpbò còst me flól a Pera nort,
ea l'è torpà a %'ive; a l'era Mu <
a s'è trovàse; e a soa buttasi a
mangc. .
'2«. E M fiòl pi vèi a i'era.'n cam-
pagna, é vncnt e avsinàoUse a cà, a
Pà saniì d' sinfonìe e d' cant.
20. E a l'à clama un di serfflór,
e al Pà Interrogalo, tfosa ch'ji l*%n
tnlsósìy
27. E ctUkì a jà dìje: 'L fò'ffadèl
ai'è vnuy e *l lo pare a P% niiissà
un vailèt gras, prche ch'aNPà ffra-
vàlo. ' .
88. 'Nrabbtò còst<^ a velia pi néa
'nt^è 'n cà; sortènt 'I, so pare, a s' è
bu lasse a pr^ghèlo.
2é,.Ma chièl rlspondèntje a j'à dit
a ^ò pare: Guardè 'n pò; mi, ja son
già da tanti agrt ch'i v' servo, e i v'
son sempr stèt ubidiènte e pura i
m'èi ^i dame un 'eravòt, eh' I Io
mangcisa con i mè'amìs;
' so. Essènt por vnu^vost flól. eh' a
Pà consuma tutte le sostanse con '1
puttane, } a vi massa j e un vailèt gfas.
\i. È chièl a ]'à dìje: Blè flòI,' If i
p4 ^empr. s^èt con pii; e' lut Pon
ch'a Pè me, a l'è tò.
82. 'i^ còsta occasióp a bsegnava
mangè e sto allégr, prché c^t lo
f radei' a Tera mori, e a Pè toma a
vive; n l'era prdu, e a s'è trovàse.
Sacerdote Verlcca Giacomo.
DIALVCri PRDCVOKTAI^I.
H49
DuLETTo DBi.LA V KiCt DI $0ATi4' (Ingria, Rofico, Volprato e Campiglia).
fl<. Uo gori Jro al avù cliii figU
12. È \9 pigfòvno ho al dli u soa
'0h: Pa|Ȉ,;doiianime lu mia pari, chi
4ne vini de tot le falle nostro;. ^ lo
bon.durbi glie l'à donà^ edividua:
is. D^apré a pochi gcr aveiit ra- bèi vfl, m^sciclo, preptfràdeftn boti
slféil tótia sua larga, se flglpi glóyno
sci ho M n'e»l ale logiiòn ante de
pai^ forestér; e lai con sia compagni
bb at' mjureà tof tji la tai^ga di son pà
ali- vm poc de tèn, men%nt irna vlla
^a niaunèU vl^nftrdéì*/
e nostro noglìn bb al comensià estre
eia rglà'd^ ogni miserj.
15. Die màneri che )io Pest sta co-
alrélsl a cast^ifjie un baudròic d^ sii
jtontór', e se baud/óic-.«i ho lo at
naofli a^goeriiàur le.crùina an una
sia cassina.
lo. ^d qvrìtt murcà d&scènt, chi
cùcafit li chexsa, se ho n'uBset porsQ
avéir; ma gniin gnc ne donavate;
It» Ho at pbibin pensa da se mc-
détai ani fàile siri, e determina, di-
selli: i2*ian ti famàut a cospa db ro'on
ffurbi J'aVànsuni de gerp, e ghigió
gè creyo sci de ghèlsi !
lé.41o s'è^'rèsòlt de tornar a' son
pè,e geli dirrè: G'èi fàit luiti li mal^
o moD papà, ver^ lo bon Pierlq, e
.vó, mob bon diìVbi; ,
19. Gè mèrito pi d'eslrc diniuifdà
vostro poglin, m;^ tenìolme mas hhc
com'iin d'i vostri famàut.
tO^ flo s'^est bùia in^carcheri, ed
bo t*est venù a soii pà; essèot ancor
lon(, lo son bbn dQrbi^lo at vlii, ed
ho a*est rendìì eonipassión,rest fuieit
AH conh-e, sautà ni c^ul, ed ho Tal
basià. *
91. B sojì ligi ho at dit a soh pà:
P*pà, g'èi fàit liiili li nini- vere la bofi
k>ÌerlO'efl a vuo, inon |>»pà; gè me-
rifo pi d'èstre dcmanUji vostro ligi.
22. Son p:\ ho nt comanda poij e
dit a sièi famàut; Prest, vistilo de
gr-arbigluire d9 brbci'cooic dovànt,
e bùtàli ranci. alll dei de sia man^
e ciausèli ^ie nià con di bli-Mvàt,
S9..Alade subit a prendere lo tM
dinar, che ne st^n allegrò*;
,84» Perch'é sre mfn pofjfn-aci lo
avo! perdi, e 4:reù mort, ed ora go
IVI trova vi , e f la vii a il^e ; C(im«i|*
sén .duncr<j a jitar allégro, inJBgén e
bevén per consolaslòo.
OtK. L'attiro 6g( pi vieti ^ l'«ret
n. Apre' d^' avéir cùcà lol , J est
venua4!n-8li eonlór tk|a gran ciare- 1 Usy per la eam|)agnir e aisànt che bo
^lì, ch'I crevàvoiit medi do tni^orda; | fall peV venir, a avisinàsse a maaèii,
h(\ at sentì li son de la band^.
20. Hoat demanda a un de fi fa*
niàut scen ch'o Perai, .od 'I ftissopl
scelc adegrte e festìp? * * • ♦
. ti. 8ce famàat^l ft»*|ì'a( reépóli*>
dii: Ho Test venu vostfojrare, ^vo-
stro dùrbl percìiè.hoat trova son po-
gtin, vostro frare, ho at fàJt almma*
sclèr lo vèt pi gra^, chelio avélt, per
donar un past d'allegri «e conj$0ias(6n.
28. 8ce flgl-sci primlér^bo s'osi en-
rabià con Ira son pli, e ho*volélt nieni
entrar. 0 miisòn; son dùrbi dbnc, ho
Pesi sorli fera da'cospa, ^ ho l'hai
prega, che ho Intrissét. -
^o.SCìs poglinpivlèglhoal respon-
dù a son durbl .Da tedCi ant cbe gt w
*servéiso, e v'èi mal dÌBÌifafbidi^m*éddc
mal dona fin cevrcì, che gè Qiureas-
so, e sUsso allegro co'iniei cam^.;
^0. Ma poi asce ttgUscI pi gfdvnp,
che ho ai consiiniài ^nsenlbio alle
porcaz^e lotta sili larga, ora* che ho
l'o^t venu, ^r edde amìnascià to vèt
. 3t. Lo bon durbi ho gl'ai ^espondu
cnt esi a maneri: Mon caro flg{, te
sempre sia ei me. e son che ho l'est
inin^ ho l'est leu.
52. Ho Test poi dosa bona, e bin
faiti lo rallegrasse', e far fesla^, per-
c(ic lon freclo, che gè lo creoi mori,,e
pcrdu.ho l'est revìvii,c gè Tèi trova.
Il Rettore della Parrocchia di Campigli».
64a
PARTI tnUEA
Dialetto di Bibi.i.a (Canavese).
.11. Un òm a l'éja dui Odi;
ft.'E l'ullJm di dui a yk dià]ft a
80 pére: Pére, dème la mia pari d'
scio ch'à m' vèp: e céi a J'à'daéje a
tQé dui sóa part.
18. Da. M a uèro dì, stu fio pu iu-
vo, a l'à biìtà luti 'nsèmmii; 'e a
rà faè s6 (agM, e a s' ii'è* andàsbe
'nr lin paia da luni , e fÀ en ribolle
d'taé i culjir aVà sgaii luU 'i faC §ò.
14. Qbaot ch'a l'à Jo mangia lùli,
a J'.è vfiiuja ^nt cui paia^à n:i gran
carestia, «•cel a Vk cmansà slanlè
dia fi^m.
45.JS.a s' n'è 'nd&tpe,.e a s'è
ajualàste con n'asgnùr d' Cui paia,
eb^^l rà mandalo 'nt nà sua cas-
siUna a guarnàj por^l.
I6..E al ré]a c^I la yoja d'ipplnìsse
la panscia di agiàod eh' a mangiavo
I porchill; ma gnun a J ria déja. '
* 17. (^ant pò cli'a^l'a dvèr^ I òé,
a Vk die: QÙanè '8ervi4ùr ^nt la^tà
d' raè pére al' àn d*'l'pan a sràg, e
mi qui i ;n^ morqd' nella !
18. 1 vé.aossèrae, e i ve andènme
da me pére, e I ve dìje: ^ére, mi i:ù
pcà'ncontra^Sguòr e 'nconlra d'^'ui;
iò. Mi i ^n p' gnìtì dégn. d'esse
clama .vòsfié; tratl^c com l'uUim
di voa servilùr. .
*8o.B a s'è propi aussàse , e a i' è
'ndàsne da so perete 'ntàni ch.'a Tera
'ncù iontàn, so pére al rà*vgulo, e
a' n'à ajune compassión, e a j'é cursjc
'ncontra, a ]'à butàje i brass al còl,
e al l'à basalo.
Si. E 'I fidi a j'à di£je : Me car pére,
mi I ù pcà contr' 'I Sgnùr, e conlrà
d' vui; mi i m' mèrli p' gnin d*es8e
ciamà '1 vos mài.
28. E 'I pére a J'à diéje ai so ser-
vilùr: Su, sii, viél, tire farà la Test
la pu bela, e bulèjl' adèia; faiiròje dcò
l'anél 'ut' 'I dì, e J' ascherpe 'ni i pè.
as. Mné dcò qui 'I bùcin pG grtiss^
e masséto; eh' i vò ch'imàogitt e cb'i
slago>àlégher;
. 24. Parche s' me mal a l'era* mori,
ea l^é lurnà/irsiisiitè; a s'era prdii-
se^ e a s'è lurnàsse<ruvè.'B 'nlrtànl
a l'an cmansà siè alégher.
8K. 'L fiol- prim p5 a l'era 'n cam-
pagna ; e 'nl/1 rilùrn avalnàndse a cà,
a l'à senio 1 lun e l bài eh* a s*11ja.
26. E a l'à fafi-avni iin di servllàr,
e a J'à ciamàje sciò c^^a Ter» sciu-li7
27. È cél-là a j'à ^pondfijei A fé
iornàje vos (rèi, e vos pére A l'à
massa 'n bel vél grasa, parchi di'a
turoa avèllo a cà. .
28. E céi alurAi a Té saulà 'a he-
• • •
stia, e ^1 a vria p' gnì 'nlrè 'nt cà.
'L pare donca a Té sortì da d' ^ra,
e a s'è butàsse a piélo a I' bènne.
. 29. Ma céMà a J'à.rsposlje, e a J'à
diCJe a so pére: A son Jà lanÒ ago
eh! mi 1 v' servisi , e i«u aempr fai
tiitt sciò eh' vui I m'èì cmandàme;
»vui l-m'él mai daòfne 'n cravót,
ch'i m* lu gudéiss cun i amia.
50. Ma dop ch'a j*é vgniye bV vos
mài, ch'a l'à sgarà lùlt '1 Tao sèi con
d' jé slrùsasce, i èi-roassà pr cét l' bn-
cin pii grass ch'j' élsse.
2fl.>Ia 'I pere a j'à diéje: Me car
liò, li a i'c seropr.cuH mi; e jiilltciò
vìi* i ù mi, a l'è anca lo.
S2. Ma a l'era pù .ch^giusl d' fé
na riboia, e d' fé festa , parche sto
tò frél a l'era mori, e dès Tè risot*
■
sita; a s'era prdusse, el l'urna tor-
nalo truvè.
N. N.
DIALETTI .PEDEìiONTA^II.
Ui
Di4i.rrro ni C\iavi?io (Canadese).
11. Un òm a réja duj ri:
fsr'LpÌugióvpa]'àdi£a so. pari:
Dèmi, pari, so eli* am' loca d^ mia
pari; « ^i.parijij'à cf^is, e aj'à àkf
sóa parL' \
ìs. Da H,an polc di apro 'Ifi pi
giovo a 8'à *iicaniinàssi, e a 9' n'a
'ndàtni lontana e a rà manglasaà tuU
^1 fsè 9Ò4 moànt una vita a mal mòd.
«4. CoDsiimà cli*a Pà btu luly a j,'c
gnì^a una gran' carestia ant cui pais,
« «'l'a emensà trovasi bsognós.
IS. E ^nlani avènl gnin da man-
giar, a rè 'ndà da n'òm d^cuf pais
prlèatcliM déissa d' IravàJ pr podèi
gavàai la f^m; t si' òm a l*à mandilo
M Da sóa eaacinna a largar i porcliil.
^i^ An tra mentre*. a desiderava
Anna à' mangiar la giant ch'i dèjo
ai porchit; ma f era gmin cK* a J tia
déiss.
17. A l'à butà testa a parti, e a
l^à dio da prciàl: Vuèiri servitùr cli'a
l'è me party ch*a l'ànd'pan flncli'a
volo, é nil qui i ftiorio d' fam!
^ 18. ^ll^Jl l'è mèi cliM ro'àussa su,
ch'i vèjo «la me pari, e cii' j dijo: Pa*
riy i ù manca contra Dio e contra vai";
19. J mèrito p^ gnin d'essi ciamà
voti (i\ pièiu' almén pr vost servitùr.
to. Ba s'è- ausasi su, e a s'.n'à-'n-
dasne da 9Ò pari. Mentre. eh' a l'era
'ocòr letali, ^1 so peri *\ vi vgùlo,<
0 pia ffa la comp^ssión a j'è corùje
*ncontr, a J'è.saulài al còl, e 'i Pà
basalo.
ti, 'L fi pò a j'à die: Pari, i ù of-
féis Dio e vui; i mèrito p' gnin d'essi
fgnù pr vosi fi.
2S. Ma ^l^pari clama i so servilór,
e j dì: Presto, qui Torà la pi bela ve-
stimenta, vcslimlo.: b.ulèj l'anèl ant
M eli , e causèmio. '
83. Plè'.'^iì vèl grass, masaèlo^ rh'l
mangiómp, e cii'i stòma alégh'er:
S4..Prchf ciist me fi a Pera -mori,
e a Pè risùscila; a s^era perdusi e a
s'è trova; e 'ntratànt a s^ son butassi
a mangiàf e sièr aleghixr.
8». 'L.fi pi vèè pò a 8/ trovava «^ii
campagna;, vnènt donc, e*vsinanlsi
a cà, a P a ^entQ eli* a s* sonavo e di^a
s"* baiavo.
86. Clamava 'n so servilùn Che cb^a
Voi dir sta novità?
.87. E cial a j'a rispòst.* A i'^ gmi
vosi 'fradèl> e vost pari^ tant coiitènt
eh'» s' Pes vguslo a ca 'rdl^ P.à M
massài* 'I vèl pi grass.
88. SAiti sii cosi a ì'è gnuj la ca-
gninna, e vuia gbin entra 'n eà; j'è
9ÒTÌÌ donc 9Ò pari, e 'I Pà prega ch?a
.'ntréissa. -. .
t8. Ma ciàl J'à rispósi: Hi «h'a Pè
tene ago ch^ i v' servo, e chM v' ò
Aempi obdi 'n tjjLl, e pr lui, i sì mai
slaè cui d* dàrtii solamèifft u|i cravót
pr far n'alcgria col roè atiits. •
so. 31a dop c6* j'c goHJ si vest (r
chi, ch*à Pà mangiasii^ tu( '1 fàèsò
'ndasànt pr trayèrs , j[' èl. subii M
massàr 'n vèl grass,
SI. Jtfècar fi, nfk risposi 'I pari,
ti t'è.sempi con mi, e lui so cb'a
Pè qaè', l'è lo.
sa. L'era pò tul glùst eh' sicisso
•alégher e eh' i félsso festa adèss, eh'
j'è gnùj M lo fradél, prché Pera mori,
t! 'dcss Pè risùscilà: Pera pers, e
'dess <*h Iruvà.
N. N.
«45
PARTIR n.hl\
Di\t.cTTo ni AzFr.f.10 (Cànnvfìse).
II. Un òm a rèja dui tioj:
*i8. R *\ sicónd a Vh iM a'sò pari:
t^afi, dcDitni la mìa part 'àé\ l)éni
eli' i m* Vissriitsl. E col pari a \*h fèl
le part dèi beni cli'à i'éja.
' 18. E dà li, a polc dì, el sit6nd fi,
a l'à bQttà (ilr ansèm.è s'.n'andà 'n
tonlàn pais, e a Vh .inanglà ifit in
bagordar!. "^ .
. V4. Q&and ch'a VH mangia tut^ a
j 'èra 'lia. grossa cnrUtU *ol col pais,
e col fi a*4'à pf insipià slantàr de lui.
iti. Quel fi a rèandà da un rie d'
cui pais, iqdala Pà manda ani. una
* spa campagna a largar f porchii.
ie.'E \hi^ tanti volti n 'i dslidejava
d't^vàr driigiànd pr Inplssi fa pan*-
sa, ch'a mangiavo i porchii;' e gnun a
j da déja. . « ' .
f7. Ha cosi Ti a Vh penvk trà'cial
e ciaf, e-a rà dìé: Quepé -servi (ór a
j Bdnf Din in eà d' mf pari ,^ch'a J'àn
del pan* fin ch'a vólo, e mi i ro' pa
mori d* fam I *
. I8.-I aostrd, e i andrò da mi pari,
] dirò* a dal: Pari, *ì ]'ò pck contra
HCiél e contra vul;
19. I son.pti nin dégn d^ <!iamàmi'
vds Ti; 'trattemi solamcnt òome un
cfcì "vos ser\^tór;
SO. E li a s'è aussà, e a Te andà
da so pari ; e 'ntramént ch'a l'era an-
cora lonUn,so par! a rà vgu,,e subii",
a f'à.avu gran compassióne e a j'à
corni 'ncontra, e a j'à bQUà i-bras
^1 còl, e a rà basa.
SÌ. E '1 fi à j'à die: Pari, i ò pcà
' conira 'ICiél e contra vui; 1 son pù
nén degù d'essi clama. vos fi.
22. K 'l.pari a l' a di« ai sé servi-
tór: Presi, p reni, ga ve forala vesta pà
t>ella cìi'a J.sb. v bQllégfla adòss:
bùtlèj l'unèl »I di, e I scarpinai- p^.
95. Eninc qn vc| gras, jnazaèlo,cli'i
s'< mangia, é ch'i fajo bancàt.
24. Porche cosi roè fi g t'era mori,
e adès ai t'è ris^ussUà ; a l'era perdo
e a s'è trova. E cosi I àn o^enli 1
far |>àncàt. *
• 2». 'Ntlorr !• prf ra fl arerà »n ean*
pagna: ent'l lornàr avsinandsl a tua
cà, a:.rà santi sonar, e chU %' baHava.
26. E a l'è clama « un servilér, e
t{\*h domanda che ch'a l'era cella
festa?
27. E col a j'à die: Aj'è (orna ^ tò
frad^l, e tò bari a f'à masià «fi vèl
gYas, Qrché ch'a rà rlavS san.
*98. E'I pWm'fràdèI al'è'artdà In
còlerà, e ai'vorria nin intràr eii'Cà.
E M pari 'nflora a l'è soMì for, e a
l'àcmipsà a pregàio.
29. Mif '1 prim fi a J'à rispósi, e
a j'à die a so pari: A ison tk lène )igB
ch'i V' servis, e Ò'mai dsobdi 'lvo<
comànd, e pura i m'èl oiìil d^ an
moKonàt eh' 1 féls una marenda con
i flxc cnmpàgn.
50. Ma poroiic ch'ag'è vgnli l'àul
ri ch'a^'à mangia lui con d* fònni
(^' catliva vila, j*èi m'aiz) un vèl gras.
51. Ma so paH a j*à di£: Fi, 11 l'è
sempi tUè fi ; e lui col eh' i J*ò a rè tò.
32. Ma a l'aera ^iust d' far bancat. e
d' far fcsla , porche cosi tò fradèi a
l'era mori, e aiiès a l'è risìbsità; a
l'era perdù, e a s'è trova.
N. N.
ntALErri p£demo?(Taki.
Ui
Dialetto di Honr.oii'Àsino (Canàvò^r).
fi. Un òm a hnvìa dùr fidi;
fS» 't picit a pà <li& a »b pari;:
Pare, dèine lainia parlch*a ni' tocca
dlb^ni; E- eet a J'à subii dlvidiije
dasènije lon ch'a j. toccava. * >•
18. Dop poi 9tn pochle giornà sto fidi
'l.pìì glÀyb avènd 'i^mtissà tììl lOn
eVa Vk pudfi, a s^ n'è parli pr un
pais lonlàn,.dunt ch'a l*à déipà jut
cui ch*a l'avia con d' merelrls. '
I4.]B dop p5i a'avé cc^nsunià, e (laé
Qnrar lut, ani col pais a j'è vnujé na
gran carestìa, e a J'è cressu la fam,
maocànlje ogni sorl d' cose.
Is.'A^l'è andàje,àprd a un'd' cui
pais, e cust-qui al Tà manda a na
Silva caslnna a larglrr i ^rcbìt.''
16. E lìt cHa s' figurava d'ampisse
la pausa con cale gianty eh* a man-
giavo Iporchìt; ma gnun a j na dasia.
f 7. Pi'nalménI pò a s'è bùtà pensè
tra cel e cel; oh ! ten^sei^vilòrcb'al'à
me pare ch'a I*àn del .pan d'avàns;e
mi I m^ trovo qui ch'i moro dia fam !
18. Studiànt ben a l'à di£: 1 m'
•usrà^da qUi, e i andrù da'vnè pare
e J dfrù; Pare, mi i ù pcà conlra ^1
Ciél,e coAtra d' ti;
19. Mj i SQP pi nén dégn d' esse
ciauià 'I tò tfoK tràtme com'Gn di (o
Mrvitór. • •
20. ^Qsàntsc s' n'e parli; auvsi-
nànlse a la cà d^t pare, *ì pare l'à
▼dfi da lODtàn, al Tà conossii; pia da
la conpassión a. s'è butàss^ ciirean-
dasènije allMncónlr, pianilo pMcòl
e basàuUo. .
.21. Ani (Cui moment 'I fio! a J'n
die: Pare, mi i ù pcà contra 'I Ciél,
e contra d' ti; mi t son pi néii dcgn
d'osse ciamà tò lìdi.
22. E 'I pare a J'à dtjc subii ai so
servitóre Ande piar la ivi bela vesta
ch'i IrOVCf e vestilo siùbil; e biitèjc
anche i'anèi -aNÌt al di, e fé 'i$c.'\rpe
anl.l pé.
'^, E andè] a piar 'I vitèl alpi gras
ch^a j sijo, e massèjo, e ch'i Tòma
un Wq banchèt, e ch'i ituraa tue alc^
gherj •
24. Parche mi cusl Adi i lu cred^it
mort, e a r è rtssuscilà; i lu credija
perdii e rù rtrovà; e 1 kn comjensit
skè aléghar.
25. ^L floi maggior Pera 'n campa-
gna, e vnènd^ e vsihmitse'a labà,
seni d? concert d' son e d' hai.
2G. A dama un di sd servttór, e
a j'à ciamàje: Coss'èto cusl rumor?
27. 'L servHéc a j'à rispondiijel
A Pf tò frèl ch'a l'è torna a cà,.e.tò
.pare a Pà M masse 1 vitèl pi gras,
parche al ràvdu sair e sahr:-
• ■
28. Senténd caste ndvé, cusl-qoi a
rè saulà ah «òlra,* e a l'à nén vfù
in Ire ani cà^ M pare sort fora*-, e al
rà pregàio d'anlrè. '
29; Ma cel a ]'à*rfspunduje:' Mi a
i^è tene agn ch'i V «servo e i J'd ipal
fa£ gioente ccuTitra 'I t^t-voléi; e a mi
V m'è àinì dàmte gnanra'un cravòt
ch'i nr lo'godélssa con f me aq^is.
so. Ma cust tò (Idl'Ch'd iVmangiji
liite y suve sostaiisc con d' mere-
tris, e cK'n Pè fdmà a cà,'ti Pàs M
masse '1 p\ bèi vitèl gras.
SI. 'Lpafea jrispùnd: Ti Pè sem-
pre con iQi^; i»mè avéi a son tue tò.
32. Ma adcs . a P è ben giust eh' i
(asso festa*, e. ch'i sluma aiégher tuo
ansenia, parche lo frcl Péra mori, e
a Pc.rissiìscilà; l'era perdu, e al s'è
rtrovà.
N. N.
S44
P.4RTR TERZi
Dialetto di OmltAcco (Canave^e).
fi. Un òm a Pavia Uói.fiòi; '
12. 'Lpl dov'o a J dis arpare: Pà^
re, lièmela mia pari;, e. 'J pare allora
a Vh spartì a lut'ìlói il patrimoni.
fS. Da li quale dì, fi fi pi dt>vo,
ramassà e pia con chèi tul 'I fat so,
a s' n^è parli, e a Tè andàK ant un
paìs'ìontàn; dove ti l'à manda al bro
la sua roi)a , con balossade. .
• 14. Dop d'avéi dissipa tut q^uant,
a|tiiunl«ìndse an cui paìs dna. gran
carestìa, a Tà comensà sentì oh'a i
mancava '1 necessark .
i». Allora a'Pè andati pr là, te^t
aggiustèse un padróna dal qual a l'è
filàit manda a na cascina a larghe 1
pors.
16, E la al d^sidrava d'ampisse la
panza d* ctiì agiànd ch*a manglavai
pors; n^a a n*a podia nént avéi, per-
ché niun a J ne dava. «• • , *
i7.>IloraMporriòla l'è entra art t
chél, e a t^à camensà dir: Quanti
servi tur a 1 sòti jl cà d^ me pare,
eh* a madgio pan a crepapapza, e mi
al log i moro d' fam! •
18. Ah 1 1 m* levro ben da sì , e 1 an*
dro. dal* pare, e J dir5 ben: P'are^ i ^
manca a d ispèt del Giél e a dispèt vosi;
19. I son pa pi dégnd'èsserciamà
vosi fi; picme però ancora Qom£ vosi
servi tór.
SO.^Con cust prop'onimcjot a rè
andàit dal pare; e '1 pare avendlo
visi da long, pia da compassiona j
cut ancQfitra , à j butta* ibrass siil
còl, e al basa.
81. 'L fiol a J dis: Pare, i ò offéis
'1 Clél e voi; i son pa pi dégn d'es-
ser clama vosi fi.
82. E *l pare, vollàndsc ai servi-
tur, a j di!«: Ande pie e porte prp<%t *i
vsli pi bel, e butlèjlo adòis; biit-
lèje Taqèl al di . e le soarpe ai pè.
85. E andè pie un l>el vèi grttSi
mas^èlp (M-cst, perch' l' Casto un tfrsi-
gnon; ..
"* 84. Perché cast me fi « l'era mort^
aura a Tè ai*susciti; a l'era pers, e
a rè ar trova; e da li a s'è comeiisà
far feisla.
^9. 'L fiol pi vèi a t'era in cast
fratèimp ani campagna^ tarnànd a
cà, mentre a Pera vnu visin^ asèini
*d' rumùr e d' danze.
•86. A clama a unservilùrchecbe
j era d* nofs e perchè a s'/aiTia culla
festa?
^. SI' servi tttT.aj dis: A l'è toma
tò fratèl, e''l pare a Vk'fkli ciaèchè
un bel vèi grass, e T à vqìu fAr.lesIà,
perché che^l'è torna san.
. 8&. 'L fiol pi yèi allora a l'è an-
dati ànt rabbia, e a volia pa pinénl
anCrè an cà ; e 'i pare a l' è sorli
fuor a ppegàlo.
sa. Ha '1 fiol a j à risposi. parai:
A i son tèinéagn eh' i v' servo^ i v*5
maldisobJdi, e pur io m^i avu da
voi un era vèi, perche (iodéissa le
arsignón coi me araìs. ; .
so. Ades"^, perché ch'a toma a cà
.ràut vost fiol, dop d'aVéì mangia lui
'1 fat so, e méinà la' grama vita, i
masse per chèI 'I tèi pi grass.
31. Allora 'I pare a j'à rispósi: Car
lì, ti rè sempre con mi^e Uiche Jó,
a rè lutMò.
S8. Ma' a l'era pr àul giust ch'i
férsso un arsignón adèss^e ua*argÌQÌs-
sansa, perchè ch'cl tò fratèl a l'era
mori, e aùr' a Tè arsiiscità; a l'era
pers, f» s*è trovasse.
D. GtUMANo Sa?iihii.
DIALETTI PEDBMOKTAKI.
»4»
Dialetto .m Ruesliu (Cankvese).
II. N'òm a ri^ avù du fi;
JS. E 'I i>ì f ióvan a l'à di6 al p:i«
re: Pare, dèm'e la porsipn clS'a mì*
vèn : é 'l pare a j'à dèe a (uè ^ dO
la ada pari.
f S*. Da li aD'pòlc dì *1 fl^ pi gióvan
a rè parti, dop a vài stroppa tut so
ch'a l'à possa arabasàr^-ant iìn pais
tanto da lóns, e bete la a Pà iriacià
tut so cMa l'*ava con na parlia d'
sbianche.
14. E dop avai macia Hit, a i'è
gnu na gran (am an qui pais, e a Ta
coiAansi vesne dia bela.
• flSt E a s'è tujàit, e a Tè andà a*
sarvHór con- un jd* qual pais, '1 qnal
al Vk manda a kirgfir iporcbit..
«6. E a l'a^'a^ója d'ampise la pausa
di agiàn ch'a nlaòiatan i pprchit; e
a ravB gndo cb*a gn» dàss.
«7. Dop avài armana<;jà an pocdas
par cbèl, a rè die: (ènÒ sarvitùr a
cà dal me' pare a l'àn cf pan d'a-
và'ns,e mi si a carpar d"* fani!
f^ I lyrù su, e i ci' n'andrù 'dal
me pare) e J dirù: Pare, i rò fé bèta
grgastf a Kosgnór, e a vui tutta; *
§•. I m' mèrito pi nin cl^' vo i ni*
clami par vos fi; baJchème mhc pi
com'un di vqs sarvitùr.
Jto, E ausànse su a s'è ^iraiu'uiiiià
vera al so pare: e mentr' a l'era an-
cor da Ipns, a l'è stc \1st dal so p^-
re,''l qual'Ciapà daia compassión a
j'è corrii subK an contrade a s'jè (acà
al col, e a rè basa.
SI. E '1 ^a j'à did': Pare, ì Vò fé
bela grossa a Npsgnór, e a vui tutta:
i m' mèrito pi hin eh*' vu i ui' ciami
par vòs fi.
P. BlANCN^m
2a. E H pare a l'à die ai so sarvi-
tùr: Vuito,- 'porte si la pi !>ella va-
slimanla^ e vasiilo da driò, dasije-
n'aitèl an man.'e causèlo còm'a s' déf.
95. E andg avài un vèl gras, eam-
massèlo, e maciùma e banctùma;
24. Porche quast niè per fi i\ erjt^
sa va mort> e a l'è torna «(rvivar; ìi
l'era pardQ, e a s'è torna trovar; e
li a rào prinsipià*a banctàr, e 'star
alégar. '
Sf». 1S *1 so fi pi vèj a Tera'par cam-
pagna, e meotr' a gnava, e a -s'avai*
nava a cà, .a l'à sanli. ck"chènd e
d' sun.
86. E a rà Clama tip* di so «ar^vl-
tur, e a j'à diÒ, ch'a J conCàissa an
pòe ch'a l'era tilt qual romór? -
87. Eqùala j'à dìo: Aj'ègnii'^l/
lo fradèi, e '1 to pare a ì^k ammassa
un vèl gras, -porche ch'a. s* L'è vist
a unài bel san.
' 88. A j^ è gnu 'I fot, e a tifava manca
'qtràr; ma 'liso pare Aorl'iànije an-
conlra da d' fora, a Ve bùtà a pregalo.
• 80. Ma chél rispondànlje ai pare
a j'à die: Idi a j'è tene agn ch'i v'
sèrvisso, e i Xi sàmpar fé tut so ch'i
m'ai comanda; ma vu i m'ai mal de
ùii era voi da far palla coi me ami».
50. Ma appàina gnu quast' àut vòs
fi ch'a rà nfi.acià tùlt M fu€ so* con
ja sèlanche, j'ai ammassa ùp vèl gras.
51. Ma chcl a j'à die: Fi, ti t'è
sànfpar con mi» e tut sq eh' e me a
l'è lo.
38.Aùra anlava banclàr,e arlgràse^
porche quasi' lo fradèi a l'era mort,
e a l'è torna arvivar; a Tera pardìi,
e a s'è torna trovar.
Bartolonmeu, .\laestro di scuoia.
»i|5
PARTE TERZA
Dialetto- DKUA Vaile d'Andorno (Camvesc).
II. Un òm a réja dui malètl;
f2. .'L pu giovo a rà <lièje a sq pa?
re: Para, dèóame la mia pfurt cìi'a
ni* tocca; ce 'I pare i'a dàcceila a\tuó
e dui. ': ,
15. E da lì a quaic 4i si* groé,
' r^^ollèé n4ia ?sdò cii'a l'.éjà, s'n'è
'ndàsne *ni ùn«pais da Iud&, e ià a
l*à 'mangia 4ult *l faÒ sa, .faglicnd
l'iiBggrón. ^ '
14^ Aprc-th*à l*à jù mangia liht,
a J?è vgoii|€ 'na granr caristia 'ni cu!
' pai»; e cél » 1*9 cménsà pati fam. '
. IH: E l'è andà bùtcse.'a servì a cà
d*un dgnór d* cui pais; e si' qui rà
mandalo a» 4»mf>agna a vardò i por-
chili.-. * ■ # . •
16. B à l'éja l|nU'fam,-cii*ìLj ti-
>. rava fimia la gela d'ampisse la vbu*
tre dlfi gioQt eh* a mangiavo i pò^-
chill; e a J dcjo.gnanca còlU^-là.
17. Andócca a Tà divèrl I ógge,
e'i.'a di£ das par cól : QuenÒ scrvìtór
a ci d' me pare a j'àu d' '! pan d' a-
vàns, è mi qui i oior d' fam!
18. La! i ve bugcmc da qui. tornè
n cà d' me pare, e dije: 0 pare, i ò
fadneQnalropgrossaalSignór eavui:
10.1 morii pd gn^in d* ciamème
vos fiol: -pièmmo nume par.vos sar-
vitórb^
Sb. E s^è aussàsc, e l*ti andà a cà;
e Tera 'ncòra .du luiiS eli* 6Ò pare l'à
vgiilo; la corapassión l'à pialo, j' è
andaje presi en obia, s'è taccàse al
còl e a rà basalo.
SI. Andóeca 'I fidi J'à diéje: Pare,
i ò offendùve vai e- '1 Signor; son«,pu
gnan dégn ii'esse ciamà.vos fiol.
.' 2ft. 'L pare a l*à die affò servitór:
Porte presi die vestlroente; vcstillo;
bulèje l'anèl. ani el di, e càusèllo.
■ 25. Ande, masse 'n vèl Imo grass;
anche ìrallómma e fòmmla bran|iè;
.2«.J>ar8ciò chM me matt r«n
mori, e a l'è rsùv^ità; Tera pardiln
e a l'cjrovà.
25. 'L'prim frèl Tera 'n campagna;
tornànd a cà^.el seni cui .Upigi;
2(i. £ al dama da 'n servilór che
ch'a l'era?
27. SI' qur a J dJs: jeè vnqje lo
Trèl, e lo pa^e M tratta paf scio-li.
29. l/àulp J'è vniUe M fai, e. 'I Viia
gnin airdè d'inte; '1 para l'è' vgai
(ora, e s'è butase a plèlo il bènae.
'2e. Ma ràul l'à di^a: A l'è teai
agn ch*i l' serviss; son Isempa sUé
ùbidical, e a^è mai daéme 'q era>
vci par fé 'na giulissknaa con I mk
amìs. '
« SO. E adèss, cb*u j'è vhuje sfinì
tò-fiòl ch'a l'à mangia 'I (aé so oaa
le cmare, . par cél i^ è /aè . masaè '1
mèj vcl cb'i abbio.
51. E ràul a j rispónd: O me car
Ipisóh, li l'è sempe cpn mi; *e lati
sciò cli'a rè me, l'è tò.
52. Aula va bè fc 'n po' d' festa aa-
clié par 40 -frèl, ch'a l'era moli, e a
rè rsiiscilà: eh' ì ^cherzìo frane pa^
dii, e róninia torna Irovèlo.
DIALETTI PEDEMOXTANI.
tt«7
Dialetto di Settimo Vittumk (Ganavese).
il.'N'òiQ a Favìa dui niiii;
Ifi. ''L mulct a Vk dit a. so pare:
re, dème M iqè toc d' paìs eh! a m'
d; e ni' à panie.
fìL E dop ira chela f- a Pà ansacà
(qoal«òftch'a rà tira,' e a s' n'à
dàsoe da lons; e là fa9ènd viole,
Iftjbàficle ansèm a d* lurOe a }' à
arlàn « tut. \-
|4. TrdvàDM con pi niente, as-
tile na gran.famina ani cui pah,
'ara 6Mtrèi a Ur 'ì rtdàiì.
|tf. EpuI a l'è andèt a far '1 ser^
& ansèm io d'cul pais ch'a 'I
lodava a larghe 4 Iqj.
If. Tentar era la jBgurjiia cb*a'
ivki, cb' d«ide^avà d* fé na pél d'
If gians ^h'.a mangio i tòj^ ma
la *gna davi. '
if.^À rà pensa na chela,. <; pu a
Icava da spar cièlt 0 quentie ser-
tòr e^'a son a cà d' me pare'' cb'a
D d| pan fin ch'a vólèn, e mi come
ridlin i Bioro d' niglial
18. A rà p'en^ ben ì su vers e a
idìU 1 vili andà a trova me pare,
vul dìje: J^are^i ò fel néc 'I bon
Bsevul;
I^. Bérito pa pi d'esse vos mùl .;
BCjjBie almén per vos servitór.
tO. A s'è-ausàsscL, è a Tè macia
^ la.cà d' so pare; a^i'era ancor
..lòps eh' al sa pare a '1 -rà nurfiu ,
k dia pompassión a Va coru vers
BÙI, al rà embrassà e a j'à fàje ci.
Si. .% miilét a j'à pricàje al pare:
re. i ò otfcis '1 bon Òlus e vni; i
D pà pi dégn d'esser vos mùl.
t%: 'L pare ajlora a l'à dit ai sar-
vilór: Porlème la soa pi bella vesti-
menta e qua télo; e« biUèje 1 frìcio
ani' al dì , jd le oàusse poniìe.
is. Ande a pié'l vèl pi gras; squa-
jèlo e fóma na jribotta; .
24. Porche '1 me mulct ch'a l'era
mQrt, a l'è^arviyu; l'avia perdù, e
t' ò trova; e a l^àn^ copiensà- a far
vjola, e a star alégher..
25. Ani cui mcimént 'a J'è riva a
cà'M mul pi vèj, ch'a l'er^'enl i pda-
sès) avslnànsè a cà, a l'à senli ch'a
sonavo e ch'a ballava.
26. A rà clama an ^ervil^i'V e a
j à dije: Cb'élo s' Upagp?
27. E't servfl4r: A j'è- torna vos
frèl^ e vos pare a l'sf féisqiiajà '4 vèl
pi gras, lanl contènl .p^r avél. anco
visi 'i so miilél piòlb ' \
28. A j' è sauU 'I -fumèt , a varia
pi andà a.cà; '1 so para a t^ e saffi
fuor a prieàjé e a blinàio.
29. Ma a l'à raspondijje, e#j'à dil
a so pare: A l'è giàtènt agn che son
con vui, e che v'ò scmpe atUuve be-
'uc, e m^ avi mal dèi un cravci par
mangia con l die amie. • .
, 5(k Ma siìbit che l'adi vos mìHèl à
l'è riva, e ch'a l'à mangia lui cui cb'
j''avi dàje, ansèm d' lufflàsse^ j'avi
massa '1 vèl pi gras. * \ ^
31. Antlorà '1 pare a J'à dije: Me
car mul, ti l'è sempe- slèl con ini,
e tùj.t 1 niè possès a son par ti.
52. Ventava -ben fé na ribotta , e
violò ampbc, porche là frèi a l'^a
meri, e a l'è arsusità; l'ave perdute
rò turnà a trova.
N. N. •
»4A
PARTE TCllZA
DiALETTtf Ale!>sandri?io ( llonfcmno ).
Ifl. In òni l'éiva dól Oóì;
fS. Er pu giuvu d/ 9ti fiói- ri'dié
il so pari: Papà', (kini ra pari di beni
ch^o m' Iucca; e IG u J'.à spartì, e u
J*à daó ra so pari.'
15. E da lèi a pòchi dì^ er flapù
giuvii l'a M sii lui, e Tè andàé ani
in p»ìs luntàii, e la Pà- sgarra* lui er
faò «ò a'fc der sbàuci. '•
14. E qtiand cli'u n'èiva pil nént
affsé, J^i sta^ na gran carestia ani
cui paìs, e IO l'à prinsipià a slànlè
par \M, '
itt.'E rè andàé, e u s*^ intrudut
an cà d'J6n di jftiltadìn d' col pais,
ch'u Vk manda a ra so cassénna a fc
ra vuardhi ai ^èn.
16. E bramava d'ampiis ra panca
der.giànduri ch'i mangii^vu i ghén,
è anson a J n^pi dava.
• 17. Ma quand eh? Vk siii usòdis-
ingàn, l'à cti£: 0 quanla geni d^ ser-
vissi an cà d^ ibè'pari, .^h'i àn der
pan' ji tiljfa , e mei acsi-thì' a m' na
mòr dra' fam !
18. L^è mèi ch'^ m'àussa, e cb'a'
vaga da jnè pari, e a. j dirò: Papà,
m^i a i ò -manca conlra u Sé e con*
4ra lèi ; , .
19. A n"* mcril gnìanca pu'd*cssi
ciamà Ic^ Ilo; trat-uii cmè eh' a fissa
Jon dù lo servissi.
20. E su eh' rè slui, rè anilàé
da so pari;,cn Irattànt eh' l'era an-
cura lunfàn, so papà u l'à vjst, e
pia darà cofifpassión, u j^è curs'an-
cc^ntra, e u j'à brassà er tòl, e u Vk
bazà.
ai. E ist lió u j'à dio: Papali ò manca
conlra u Sce conlra d' tèi: a n* morii
gnìanca pii d'essi clama tò tìó.
2a. ter pari l'à dii al so servìtàr:
Pifstu, lire fora ravsit pu presiù«,
c'bullèigH iindòsv t. miuy Tanè an
t'u di, e i slivàlén a( pè.*
25. E aknnè cbi'er videi grat, e
massèli', e ch'u s^ mangia, ech'us'k
slaga alegramcnL
24. Perchè isl m& Ho l'erh «Min,
e l^'è risuscita; u s^era pène oVè
Iruvà; elèi 1 àn prinsipià a tèlo graa
pasl, e sièssni alégher.
2tt. Aniura ei'fiò prlm Tera an can-
pagna, equìind cfa^ taraava> ani-
nàndsi a ra cà, Vk santi eh* I snuava,
e eh' i bali a vii»
26. E i^à oiamà Jon di servll^r, e
u rà aiìterrugà se eh* Per* an-chl?
27. C l'àler rà rispósi: L*^ Una
a cà lo fradèi , e tò pari l'à' maait ia
videi gras, perchè ù Vk -ricpperà laa
e saly. '
28. E lùTè andàò rà ìcòlca, e n*
vurrìva pG ànlrè dreni ; donea rè
filarti fora er pari , e F à prfntipià a
preghèli. *
29. Ma lù rà rispósi, e l^à die a so
pari: L'èzà lane aAi che méi^raenr,
e a n'ò mai trasgredì Jdn di lèòr-
dinVc n' t' m'ài^mal da£ iA cravèl
par eh' a m/ la gndissa-con i mèamb.
io. Ma da dop ch'Q f* è avni cbì bl
tò fio, eh* rà divurà lui ei'.faèfò
CQd dei* doni dDà'sl eéja, Cài massa
par fiì er videi ^ras.
51. Ma er pari u*J'à die: Fio , lèi
l' è! sèmper eon ;nèi, e lui col cb'a
j'ò mei , rè tò.
52. Ma l'era ben giibl da fé in graa
past. e da Te festa, perchè isl tò fra-
dèi icra mori, e l'è risuscita; u s'era
pers e u s'è truvà.
ThMoa.
DIALKTTI PEDEMONTANI.
H»»
Dialetto di Castbllazzo'Camondio (Monfèrrino).
II. In òm l'ava dui hinciòU;
-11. B irpi peni dM« ch'a eòi Vk
die a saparì: fiip&ì dénH ra paYl d'
tilt cui eVa m' tncca.'Ecblll u J'i
Ile inIÉr'Iùr ir p|irl dir Uè so.
18. B da lèi a pòir dèi , cass^ Icaas
antemmo, ir fi pcitt u s* ji'^ and&é
ali di iMlb laolan , e là an abàuèi Vk
•falrii mt eul eli' l'élva.
14. B ardlé aii -sbrìa , ani cul^ paia
u yh tÌMÒ gran carisalia , e eli iti la
csaBlè atl di' aptil.
•a. B ì^è akdàé, e u a'è arrambà
da Jéi k' col boQ alaghènC d'eul paH,
ch*o l'à asaodà a ra sa easaélna a
vmrdè i ihél.
!•• B* Fàorélvà ampìsL ra pausa dir
glawlri, chM nangiav» i gkèl, e u
«I' «ra pei joh'a |,na dava. ' *
a7.lli-laét6^ta,i*àdié; Quanòaeiw
vìlùr ao'eà d' me pari i àn dir pan
a afta, e mèi coi a tu* na mor dra
iam!' • *• * V
IB. A a^ Uvrò' set ; e aqdrò dk me
pari, e a ] dirò a chiti; Pari, a i ù
lillà eoUtraf'dn 8èj e centra d' vùi ; .
iS. A n' 800 pi dégn d'essi dama
ynmtt fit tratèibl ciffièjéi di vodfami.
Ha. B' atvà sèi, i'è andàè da so
parik B afmènl^ che chili i'era ancàr
laaiào, so papà u i'à visi, e n s'è
aiovi a compassièr, e u l'è curs an-
èónter, e o fa cassa ir brassl' ar còl,
e u l'à basa.
al; B ir A o i'à die: Pari, a i ù
falla eonlni du Sé, e contra d^ voi:
a n' son pi dégn d'essi ciamà vosir f r.-
18. 8o bapà rà dìo ai sol aervitùr:
Afgagià) 4lrè forara gippa ra pi bel-
la, e bittèira; casè^ raaè ani u di,
e Ir af^rpi- ani f pè. '
M. E amai coi Ir boeèl graaa, a
masséti; eh' Vh Irmp d' laanfè e d^fè
banchèl; ^
B«. Perchè .isi aie fi l'ora moM o
l'è arsosìrà; U'S'ora'por^ e u 8*è
Uova; 0 i ^ emcnsà a boiK^tfr.
a«. Aura Ir fanei^tt pi grane Iforà
a par lèi : e ant u turnè| aoslnàndai
a cà l*à stnti 191 mlalca^o tr cnrrèàti.
te. E l'à ciaM.Hrdl sortllèr; e
u j à sireà cséi'ora stHcoi? * '
27. E chili u J'arspù^: Ve 'toiM
vòstr frèl, e v^i' pari t*à massi Ir
bucèi grass , perelìiè Vis tOml*i ce
ardi.
50. E chiii i*è andàè an còfra, i
n n' vorèiva màvc aiilri.- Ani célia
sorba^ rè aurti datt^lM, 0 11 rà
emcnsà a babQrèl!^ ' ' ""'
BO. Ha chili Parspàa, e Tk die a
su pari: L'è fa lììné agn ohe BÌéi 'à v*
ierv, e a n'ò oi«Ì trasgrodi Jèl dl^roé
emànid , e I n' m'ai m/U Aie' in fièg
da godjni an cui mèi ^mis.
80..1la dapòi ^' rè avni> cà ist
voslr lam^lòU, ch> Pàavarpà ilttii
so an curt cttT donni j fkì imissà por
dilli ir buecèi grasè:
51. Ma ir pari u j à di£: Me fi, tèi
V èi d' lung cum mè^ e liti cui ob'a
J'òl'èUttlò.
80* Ma l'era gisl d' siè ai^er,a'
d' fé festa,, perchè isl tu'frèirrera
• mori, 0 l'è arsusità; u s'era pèrs^
e u s'è trota.
K. N.
58
ttKO
PARTE TERZA
Dialetto di Castilnuovo Bórnida (Monferrino).
11. Vote a l'è! va dof fidi;
iS. Et pi giovo » rà dit « so pari:
l^apài dèm' un poc «lilla jiarlebe on
pè IqcdiiMiii; i;d il .pari q J'à dàt la
so porsiòn a tutti doi.
fS. Da li a p^ dit uiess'- ansèm
tùli le s4 cosej il fló pi giovò a l'ò
andè ant up pais beq lonJàn , e la
rà,fai4iadè il r»t so ant vizi e bii-
fforìMa.
i4. E flop',^che Vk consuma ogni
coM^ a. rè arriva una gran (ani aift
cui pais, 9 diii iy* comaosà ave un
gmB baògD.
tll,^E.cliil • a^ n'è an'dà, e o s'è
apdf^à ad 09 ^nir.d' cui pab; a
• Pà manda alla so cassina a guarda
* por».
ia. E ohi! u/leaidarava d'ampi la
pensa d' cui f landa, eh* I màdgivo
i pCMTs , a nessun 0 ) na dava.
j^. Ma antnapol io sa slèss , cosi
0 s*è ^ss. a di: Dh! qùan6 servitór
aqi là X» d'jPB^ pari iàn del pan in
abbondamta ,9 ma a m* na mor d!
fam 1 /
'ta. Ali ! a m'aisrò, e andrò da mi
pari, e'a j dirò: Pari, a J'ò pecca.»
cantra 11 Sé è contea vtfi.'
19. Già a n'sonnéné dégn d'essi
clama .Msir Oó; femmi comejin.dei
voò servilQr.
tO. E alzàndsi a Tè jindàl da so
pari. Ed essinda ancóra txtn lonlàn ,
so pari o rà visi, e a l'è sCà pia darà
misericordia, o j''è andà anconlra 0
>'à eas»à ir brassi aozima al còl, e
o l'à basa.
21. E col fio 0 j*à ditt: O pari, a
j*ò pecca e contra u Sé e contra voi;
e me a n' son pi dégn d'essi clama
vostr fló.
sa. mia il pari l/à dit al sol servi:
Portemi prèsi la prima vesta, e aìet-
lìjla addòs; cassèj l'anèl ai|i la sé
man, e i calia.méni ani I pài.
SA. E andè a niè un vilèl gmsa, •
mazzoli , e a^ mangi roma 9 alaroma-
aléghér; •
91. Percbé M me l|6|i L'era iM>ri,
e a l'è arsù^eilà, u s'era pecia-a
s'è trpvà; e i àn comioaà a «tè alé-
ghér
2». L' àter fi» pi maggior a a* a'afa
in campHgna, e avaioda d^ ta cam-
pagna avslnàndsi a la eà^ l'à.mli
dei cani a. dei son.
26. E l'è clama Jin d^ a^rvH^» e
0 l'à anlerogà .cosa l'era .col fneim?
97. Il ferviiòr 0 J'à riapòfii 4^ Pò
torna a cà vòsier' f radei, a vèstar
papà M Vfi miMxk un vil^ graa, ne^
che cb'o rà riavi san a aalv.-
. 28. Il fio priHi a l'è andà an eèira,
e a n'auréiva néni antrè ani eà;al*
lora il pari a»r èsserli lora^ e l'è
.eomansà a preghèl^< -^ - .
29. Ma il fio cosi rà risposi, a l'è
dii.a so pari: Vuardè, i son tanè aa
che me a v'serv,è a n^òanallnagrarii
dn vòster comànd , a i n* m*èl mai
dà un agnè da godilmi col mtk amis.
50. Ma dop che a l' è veiii lai vò-
ster fio, eh' l'à. fa andè il fei.sò eaa
personni d' mala vita, per chll J'èi
mazza un vilèl gras8.
51. Ma ir pari ò j'à dit: O Uè, ti
l'èi sèmper con me, e tìHi irmi oasi
1 son tifi.
52. Bsognave poi de ùa pasi, e
ralegrèsi , perché isl io fcadèi a l'ara
mori, e a Tè ar!*tiseità: a l'era pèrs«
e u s'è trova.
N. K.
DIALETn ra)BlHWTA?ll.
58 1.
DuLirr6 u Bistacmo (Mooferrioo)..
II. In òm ff réiva dui fanciòl;
It.'Erpu pql di dui rà di^ a so
perir 'Pàli , dèm ra me pari che m'
Uica;éclill n J*à dVis.
IS. E dff H a càie dìbfiOI Ilu*an-
ékm, er pu lovu u s' n'èandà an( in
pala ttmlin, eììVk éheìfA ioti er
fié aò a mangè e beivi e fé anpò d^
Hit
•é.Bdopd'aTéi sgairi luU qUatkt,
tt J*è sta na gran caristla' ani q^al
pàÌ9, edili ns'è trovi seciza Ikiangè,
^•. t'th andà da fin *d' qual pais
e a a*è'gÌSalà'da servita: Ist cheqol
V l'à mandi a na so càsclAna a scoi
al gblD. ' .
-M:*B' n s'èarèiva ampi aurahlé ra
fAnn dm gfaodr cA* i mangiavo I
ftoft^BM un* J era'niin die ] rf9 déls?.
«ir.Ha arcnaselndsl l*& die; Qtiahé
kHà an eà d*.mè^ fiarl cb' i inl>on-
daaia d* pan , e mi qni a moir d'
raiam!
l8#A:8atftfo 9Q, e andrò* da me
pari i a J diro: 0 pari, a ^ o II pd
canini ti'SIgnàr, é conira d' vul;
It. m an' mèrli pS d'essi «lama
i9al1l;frattèmcm')un di Voè ter»
vllàr.
10. E aasànd^l l'è andà da so pa-
ri. ApeMM eb« so V'ari u l'è visi, da
Matiin» bj'è vnu compassiòn, rè
aori pr andè an cotftra, u l'è braià e
a Pi bali. • '
" -11^ Er fi l'i die «ripàri» 0 iwVi,
a I ^fi pdi cantra u Signùr e con-
ira vui; a n* mèrli pu d'essi elamà
▼oilfi. '
SÉ. E V pari rà di£ al sci scrvi-
fàr: Perle subii er robi eh 'I élva an
prGma e vestii, e bdtèi l'anè ani u
de, e *r scaVpl ani I ^.. ,
28. E* ninè qui Hi- vldjsl grass , é
maxèll, è tpabglùmle è slum' •lègr;
a4.Perchè lsl'mèAinc1òi|'M«/mari,
f l>i arslùsdti; Tert *pèA,' « n s'è
travi: a I in emenxi a mapgfè.
att. Er pu grand d'Ié dal fknoiòt
^Péra an campagna, e avulìrtda • vsi-
nàndsl a ci l'i senli a'sunè/c ett'i'
ballvu.' '* '
ae. E Pi clami JQn drWvilil e u
Pi Interagi cosse eh* t'era tStt qnal
fracass? '• ' * • • ^
ar. E efall u fi arsp6$!' t^t MI
Pè A'nn a ci, e inai parf.Pi fi nàaè
in videi grass perché Pi.vM A^'ci
ardi/ . • ' . 5
as. E cbit irVir anrabfi e « 'iC
vrélva pA andfc a di; dònea 'r pari
Pè Sòrti e- Ti cmanfipiia pragh^t/
29. Ma er (i arspondèiidq n fi diéi
Yardè, i son ii tand a^ ch^a* vVfas.
,u servHà , e <nian{li chr m'èl cman- ,
di, a v'o sempr'obdi, ^ t nf m'èl
mal di In cravètt' da godftil con i
amii.
' 80^ tu pènna eh' Pè rivi lèi vostr
fanclòt qui, eh' Pi mangti-er M so
con der doni, tal e qua! I f èi fi mate
ih videi gràss. '
SI. Ma cr pai'l H j'a ^12*: aibnclòt,
TI Pél Sem pr sii* con' mi, equalch'a
J'5mi,Pètò. *
, 82. Ma l'ora trop d'ù glust ^*man-
gè,*d' bèlve è d' fé festa^ perchè Ist'
tò frèi Pera mori , e Pè arslQsciti;
u s'era pérs, e u s'è trov^.
N. Pf.
ttttj
PAUtt TEHZ^
Dialetto d'Alba (Monferrino).
11. Un òm u r* avìa dòi lldl;-
12. 'L pi pdt un di u r'à dil a so
pai:^: Pare^dèiae ra par^.ch'a tn* vèn.
''L pare seotèod so-si^ u r'à fai ra
pari, e u r*à dije lo ch'J locava.
I s. Da U a pocbi di » ftl' Aol u r'à ^u^liC
lu} et i$\ si ansèòi» e u a' n,'«è ai^dàsne
AiU un pai» lonUo nulubèo, e ansi là
u r'à s^iéirà lui ani' fé '{ ba|prdùn.<
i4. Penna eli'u r'à finì d' fé andè
liilf J'è vnJUfs* na fran carslìa ani
cut paU, è tIMòl ;U r'à 5là rid'jil a
méne pi avèi u necessari pr vive.
i». ^,i;«n4jè.pr srvilH ani cà d'un
4' c^l paìs; e ctiièl-«i u r'à mandàm
a na ai|a VHa a gulir^è ì crln.
. M. ABai-là'jU r'avìa mane, d' ra
giàivlrt tk'\ daaìu ai crln, baslàni
dfk 9f YMse ni fam.
i7. Àillura pensand ben ben al so
ca», u r^à dil anlrà c)»ièl: Mal Unti
srvll&r. ch'a J'à api cà d\ipà pare 1
r'àn lati, der pan Un cli'ivoru, é
mi àlag si a fflurimne d' fajn 1
18. U r*è fflèj die n^'àussa su. e
cbe mi na. vaga da me pare, e che
i d)ga adri^uraparèi: Pare, mi cu-
nùaa d' avèi manca centra MoslSgnùr
e conlra d' voi;
igl Hi sou pi'Aàn dégn che vuj i
ni' ciàmi pr voslr fidi; iralékne d'
mac com'ùn voslr sryilù.
SO. U s'è sùbjl aussàse, e u j''è
subii parlìsne pr' andè Iruvè so pare.
Menlrc ch'u r'.éra ancora discési da
hua cà, so pare a r'à 'ntervisl, e piada
ra cumpasslon u r'é curvge aiiconlra,
u r'à arebrassàru, e u r*à basàru.
Sl.iAlura si' flòl u r'à subii. d^e:
pMre, mi r'ò manca conlra ]J(ostSgnùr
e conlra d' voi; mi son pi nén dégn
ch'i m' ciàmi pr vostr flol.
22. Ma 'r pare u r^à subii dal ór-
din a ra srvilù^ch'u iKirtéisbO presi
lì ra pi bela vslimenla ch'a j fùssa an
cày-e eh** ni- vsléiss subii da eap a
pè. e ch'a j buléissu r*anèl ani i dì
23. Andè, V r'à dcò dit, lire fera
d'aul.ra ^ala er.pi grassrveUèl cè'J
^sia^ masséru subit, che v^ cIm (asta
n'arsinùn» e che slago .alégr ;
%l, Prcbé me MI a r'érf mocli e
u r*è riscossila; r'jivia prd&rn, e
r'ò*lu*naru Iruvé; e pò l&ti fon bit*
làie a làula.
2tt. Ani cusl mentre 'r ini pi v^
u r'era an campagna, e-loraàad'a
eà, quand u r' è sta li da vaìg 'r'à
senli ph'a a' siinaya e cà'gV balata.
%%. y r'à clamià uo di •rvilùr.pr
savèi cosa, r'era tV ^legrla?
27. ChiièI o i'à rappadiUa: J'à
lurnàje so fralèl, e so pare u.Kàlal
masse un gross vellèl^ e u ^a fae|a,
prcbé n r'è luraà a/cà saa^diapàiL
. 28, Senlénd so^si sto fidi pi v^. n
r'B sautà 'n còtera, e u vuM fi «én
anlré 'ni eà^ aò|>ar»cb'u r^àiaavint
u r'è surli fora, e fion.d' beto pa*
rote u r'à srcà d'cbiielèru.
. 29. Chièrperò u r'à dlt .a sé: pi-
re: Gom^ vàia? MI u r'è da UoU M*
che son con voij» e chje v' aervÌq|M*
mónl^ e v'ò sempre fai 4iii le cb'i
m'éi dimCf e yoi r'è! mal dMB in*
raniénl un cravél da andè a sii ì»
poc alégr cou i me amis. .
. sgi Ma penna ch^u r'è lucnàcosi
vostr 051, eh' u r'à sghcirà - tùl 'r fit
so*cao d' (umre d' caliva vito, r'à!
sùbtt fai masse prchièi iìn graa veilèt.
IH. Me fiòl, u r'à rispoai ^r pare:
Ti V sèi sempre con mi , • lùtléche
r'ò mi, U r'è In.
32. Ma u r'è d' co gioslche sléisN
ùq. poc alégr « che félssu iio pò d'
festa pr tò frél,jch'u r'era mori, e
ch'u r'è ris:>ùssità; r'ifviu prdóru,
e r'óma lurnàru a iruvè.
N. N.
DIALETTI PBDONMTAMI.
9V7
DlAtllTQ IH MMOOVÌ.
•I. CfR ta « r* ahra do Gf ; •
•tt. "R- |rt lovo 4ll dóe u Vtt die a
sòùpuae:: ftM» <^b>^ 'r ^ ^9C d'r
laé aè; 'tf* ché^ u r'à af^arij tra d*
rliél rà roba ch'i ynàiva.
19: Ha* li a pocl di^ ridarà tot.
'r*! pi taro u s' n'è andà /«r in
paia d» tan», e la u ir'à M" baie Y
M aa* vivèflMi a buca eh' votii.
§4. 1 daé ariia a tafv'nt cui paia.
J4'-Taii|a aa ffan iaaiiiMia, e chpi u
e^ Mhrèie a rabèl. .
««; Bur^é'ndà, e us'évgiustàéa
eofl un Hfnur d' cui pais, eh' a: e* à
■mMìm^ a fia' aòa caaninna a seo ai
viiù: Dagafave-t Irè'fSfa hi mia ni
pi preilusa*, bilvirc^anèl 'nt a- di,
eiatrvè'nlllpè;-: tr * v.
' M. fi ainÀ 'n v||èl'graaa,-inpsaèrè;
mangema e Tania gi^aidliiaMa ; .
ti.-Prebè sV ma ll'u r^ara «ori*
e aum. u r'è raiacHàvu a'^an pari^
e r' ama, Iruvàra; e I aè aaà alàf tfl
alegraméni.a Cava, • . ^
s». ¥«n «h' V ft pi vèl a T'era pr
li 'n.AmpagBB, a Ifa a^tfatft'a
tarp4iva « d a'avtoèlvita'eàf a'i:'à
aenli re obade eì bai. ^. .,'
te. E u ftà M «ni > Mrvftiì,>
e uj'àdaaiàcpaffiiala? •
tv. E cbai u J'àtftpaaRlÒa: Vatif
MjBttVaiva.vdjad^mplate'd^-ra, frèl u'r'è turnà vni, eraalT par»*u
gia»ir cbM maagiàl^o 4 grin, /e gnia
^•^ìAl1la^ . . •
17. Turnà altpra 'nt se stéaa, u.t* a
dièi ItaanèiaerTilà a ce 4' me pare
aauiBflu dV pan a crpa panaa! a
M «I i' aiiir d' fam !
18. I v5i aUzème e 'ndè da me pa<^
ra»« I dtardt-Papé^ i o (a4 pca «onlra
'I /M e tetiiira d' ^'óe;
IMI piiafsA Aéh dégn d.'«ssa ciaoià
««air II; Imllèma armSd tPud di
voatr ìiervllà. f *
■ S4lw.B nj9*é ausMse, a u r'é 'ndà
a* ce é' aà para. E 'ni 'r toenlUB cb'u
r'ara 'ttf à da inna « so .piira u Ki
vlstni, a clapà da ra compaaaión,
• |è«ttra ;ncuntta, u. a'J è campàsje
col' braaa ar cai eìi r'à.bafiro.
ai, E'r fl u J'à dìje: Papà, 1« fa^
mi- cantra Dio e eontra-d^ voe; i ai'
odUrlt pi néa d'èase clama voiir fi. .
ai. E u 9Ò fi^rt, u r* à dM ai 9Ò ser
e k manà ila vilM
prrli^ u
vr è turnè '» -bonaa auittp .
n. Ediél « Va 'j«dà/n firiai, 4
u valva nén*'nlrè. PI* lo, so parti u
r'é 'Baci fera, e a s'è bulissè' a. pre-
gherò. *
19. Il# chél. a fA rspòil a die a
so pare: I son fanf agn eh' mi I V*
servf e 1 soi» sta tavola jEOmàpd^ e i
n\m'^i 4àme 'n, era vói, chM pa^
godroro con i me aam.' • ^
s<K Aura prdiè a J* a ^mS$é si' vastr
reh' u jr' à baH^ »rM sé €od ra
pland^e, ir' ai mazsà pr chél cui
vUél giHiM. ?
, s^ Ma 'T para n fi diét Ud^.M
V s(é lavQta eoa mi , a f r 'M.flli u
r'è lo. - •' • r , *
ZX a|a^ ù, t'era gliMl^ d' slésaar a
lavo, e ci' fé rigaiìHo^ prché sia lo
frèl u r'era mort^ e 'uàré u r* i rsn -
scitì^ u r't)ra> prdii a u s'è Inivì^.
Gio. Edoahik) Fersua.
Mh
pAtn muu
DiALBTT»-!»! CAiM>.(Monlérrino).
f«. Vtkbm Pàv»<lHÌ Miv »
'ft. U dètliovii rà'dié a so \f%m
Pupa, dème fa pari dl'benl che m*
tocea. B-eblèl l*à fì^ Ira lar érpart
du so palrltfiofil.
il. Da^li'a pochi dì 561^*101 in-
sftm 'si fl5^clù pei! o s» n' è and* Ini
Inpab lamàn, e qui rà^sgboirà lui
*r fai so In slraviii;
■ 14. pà eh' l'i avu fin 9 IGI, l'è
Irof 'ot'gns caHstia In oul pois, e
« J'è prllipMiJo a «nàndiè u iretes-
sari pr vivi. ■ " # .. .■ ,
. Iti. L^è andft e iiVè inlrodul press
a 'n parHeQ|àr d* cai pafs, eh' 'u l'à
toandft lol 'sa tò oascinna pr andè a
sedi al gM».
i«;Jt*u s* sarétBsa* Inei vurtint^r
ra pan9a dr fiandr oh' mangiava i
|hint ina u -n^J^ra- nun eh'J n'un
déièsa;
ly. Me torna In si l'à M: Quanti
servitili, in cà d^ me pare i àn d'r,
pali Un eh't Nr5ru, e mi qui a mU^ir
d' fami
*I8^ A n* levrd sii, e andrò da me
ptfro^^afdlrà: Pupa, af 5 pdicon*
Ira u Sgnù, e eonira d' voi; ''
IO. A iiMnèrileiiì d'essi clama
vosth Od; Iraième eum' un di vostri
servltài. \
ao! Did e fa; rè sta su, • l'è andà
da< so plircf. E menir' l'era ancora
Iòniàt) ' sé pare u l' è ¥l»l a vnì , ra
S2. B''r parola Ve vnlàBe ai ser-
vilàr: Prèsi, o J'A die, Urè-lore ra
veslfapenbi dà bela e Mllfra IMòs;
e-butèje^l'anè ini h di, • fin panid'
scarpe ini i pè. '
' is. E pie un vile fris^ flomèlB, e
ch'u a' niìnfia e slama alép'^-
•4. Perché 'si me fio V eri «ort4
r^ r'suscità; ■ s'ora pora, e • i^l
Irovài B P in eomeosà a Mogè.
111. in^ si' fMèinp > Id eia jnmi
l'èra in campagna, e ini m r*tomè,
avsinindse d cà Pà senti a aoaè e
a baie.
so. L'à clama un <li sertltàioi
#
Pà Inlerogà cos'a Pera sia cosol-
ST. E chièl a J'à riapòtt : V è Iona
▼ostr frèl^evoth* paro l*à A ■•ni
un vHè gras, perché ù Pà pfovfi-aMi
e (01 ardi.
18. E chièl l'è andà. in eolrr, e a*
voréiva mane intrè lo cà. IHÌaca 'r
pare l'è sortì fora, e u l*à eomenaà
a prèghè.
50. Ma chièl u J'à riapiòol: Son là
lanci ani cb*a v' serv e .a f5 aempr
fa io ch'i nP èi difl; e.l jqi' m'H mai
dà àn cravèl da mangà oop I mèi
amisi.
80. j»a dop eh 'si voslr Uà cV Pà
m»nglà luf.'r fai so con^ d'r palane,
Pè vnù a cà , j- èi maxn p'r ehlèl fin
vite f ras.*
51. Ha 'r pare u fjk rìspòat: Omè
compddsión a Pà pia , e u j'è ancia flò> li Pél «empr coh mi, e lol loeh'a
incanirà', u Pà brasa ar còl/e u l'à
baia;
M. E *r fio u J*à did: 0 Pupa, a
J'o pcà conira u Sgnù e conira d' voi;
a n' son ciù dégn d'essi clama vost r fio.
j' d Pè lo.
«S. Ma Péra giùsi d'slèalégre
fé festa, perché 'si lo CrèP Pera mori
e l'è rsuseìtà; n s'era pers, e u <è
trovàsp.
DiAtiirri PKDimoNtAKi.
85K
DiALSTTO DI Garb^sio (Provtiicla dl^ondovì).
41. Un omo l'ave dui fldf;
ir E a ciu iono d' sti diìi rà diclo
• sé pare: vifé^ dame a parie df l>éiif
eh*a m' foca. E le l'i facfò Ira d* lor
re 'parte di bèni. *
If. E d^ li a pochi di bulào luU
In^me alò Ilo clu iono a* n'^i àndào '
ini in palke lont&n , e là rà Kglreirio
iflUo ir fiaieio ró ini I bagórdi.
14. E dopò eh' .rà ftvuo con9Ùinào
tfttlo, ini col pahe u J è vgnfior'n
gran rarstìa, e le rà comensào a avél
baogno.
ili. E rè andào,-e ■ s^èacordàoda
tetgnór'd* còl paise ch'u rà nian-
dào a. 'na so campagna a vurdàr 1
porchi.
M.'B l'ave \'d]a d'fncirse'a pansé
dfé giaAdre eh'ì mangiav'' i' porchi,
e nsfin u In dava.
17. Ma 'rvgnùo int le rà dlcio:
Qaanei sérvltór fu cà d^ me pare àn
dupanin abundanza, e mi lì e mòfro
d* Eamel
i8. E ei'ìisrd e anilro da me pa-
re^ e J diro: Pare, o peào conlre ii
Sèi e centra d' tf;
ii. E ni m' nièrilo ciù d'esser cia-
nào io fio; tràlnie com'iìn di loi
servitór.
10. E essèndne aussào 1% aridào da
so JMI^. E mentre le l'era ancor lon-
làn^'SÒ parcj u l'à visto, e u n'à avQo
eonpasaiòn, e u j' è corso d Pincon-
t^O) e u rà abrassào, e u Tà llasào.
ti, E 0 Oòl u j*à dlcio: Pare, 6
pcào conira ti Sei e contro d' ti; e n'
m' mèrito ciù d'esser ciamào' tò fló;
M. E u pare rà diclo ài sol ^c-
vilor! Posto, gavèrfSra a vesta ciù
pretfosa , e 'bulèjla a co11o> e Tanèl
Int. l 'di , e V^ srape al ile,
SS. E aercbèi u vitelle grisso, e
amassèllo; e v6jo che manj^moeéhe
lénia pasto. ' ^ . .
31. Perché slò me Oò l'erf Àorté.
e l'è rsciuscHèe; u s'erA' perso/c l'o
tòrnào a CW>vàr. E I . àn 'eomeitslo a
far^paslo. ^
^8. U flò Intanto ci& y^Jo l'^Va In
campagna, Ib tomanQÒ e avsinàndse
a cà, lli'tenlio ) conoerA e I soni.
Su. E rà aplào àn di servilòr, e
u J'à ciamào cos'u foste sto tapage?
. 27. E té u J'à riportò! L'è tornèo
tò fràier, e tè pafe Vi amassàd fin
vitello grasso, perché u l'è loraàp a
Acquistar san.
%s. E le ì''c andito In cenerà';' e u
n' vorre entrar. Pi||lo-li u pafe l^è
sorlie, e rà.coménsàe a pregarlo.
29. Ita le rà rsposto ^ ^Tclo.a so
pare: Vardèi 6n jibco,'! sèn là tencl
agni eh' mi 1 V servo, e 1*5 'tem^p
farlo cos ti m' eomandàvj; ti n' n'àl
mni dào un crayotto pr omngiahnlò
coi me amisi. -
SO. Ma aura ch'are vgn&o sto tò
(ìA eh" Il s'è mangHip u taclo so cdh
le plandre. Il ài'amassào Qn vitello
grasso. -
Kì. Ma le u J'à dicio: Ile Caicò f^à^
ti t'è sempcr con mi» etutto u facto
me rè lo, .
52. Ma Tera giAsìo far paslo* « star
allegri, prcbé slo tò fràlcr l'era morto,
e rè rsciuscitào; u s'era' perso , e ti
%*b tor^o a Irovàr.
Prof. f). DoNÌNico Boxa.
5»«
PARTE TCKEA mALBITI ^BOBMONTAMI.
Dialetto D'OaMRA (Provincia di Hondovì).
li. Un omo ravta,doi pòi:,
it. 0 dù iuvo Vk dteio-al poà:
Poà, diime lo ch*a ni' pò ìoet^k dl^
mie soajanse, E M poà o J'à dacio la
Ì8. sfa IF a pocht dì sto flòp ri'
r^unà 'nsp-ipe tji^lo 'I so , poi s'
n'è pafli» e js** n'f^ andà 'nt' un
pàtse.Iunzi; e lì'r'i d)sslp% tulle le
8Ò flostanse, dasèndse al bon tempo.
14. C dopo d'a verse consuma liiUo,
r è. ygnu Oda, gran carestìa ' 'ni qual
paite*'p manera che coinenxava a
mancoà d' lutò. . ^ ,
iS. Vk pfi 'I parti d' buttarse al
servili dtjiiii omo d'.-qual paisc, ch^o
vk malldl^ a scòa I sporchi.
16. L'avreva desidera d^encissc la
pania .d* la giandà dì' a* mangiavo I
porehl; ma o d* poévar manco avéa
a^sò piasia. *
17. L'è 'ntràlmalmente 'n.sè slcs-
fio,, e 0 dlseva: Qu/inci servitòa eh' 'n
cà d'.mi poà l'àn dei. pan d'avanzo,
e 4QÌ m'eq moro d*; fame!
.18. ile farò .coragio, e ondrò da
me pdà, e j dirò: Poà, ò manca 'n
faccia a nosfroSignòà e 'n faccia a voi*.
f •. M( n^ son dù degno d'esse da-
ma vostro tlóa; ligninie coin'i lignj-
ràissi un di vostri servitòa.
so. E fralanto s'è 'ntliminà da so
poà. Va quando eh' Tera ancòa da
lungi, so pQp 0 l'à visto, e o s'è
mòsso a compassiòn , e aiidàndje a
l'incontro, s'j'è campa al eòa, e o
l'à basa.
2'l. AUóa l'à diodo 'I lìua: Poà,
mi ò pcà 'n faccia a nostro Signóa e
'n faccia a vói : mi n' son dù degno
d'esse dama voslr llòa.
22. E 'I poà Vk sùbito comanda ai
servitòa eh' andàisso a pia ^^na vesta
e ch'i lo vestisso , e eh' i bulàisso
t'an^ 'nt o di, e cbli lo cabzàisso.
ss. t poi rà comanda. ch'i piilsso
'0 dù bel vitéa, e ch'i lo aaiazaèisso,
tlisendo: Vòjo eh' i stagmo aUegri,
ch'i man^nio, e ch'i béivmo;
24. Prchò sto me flòa eh' Tera morto
l'è risùs^ilS^ eh' s'era peno 'I s'è
trova. £ quindi l'àn comenèà a «jtoà
allegri.
8». E 'I fiÒ9 ciù vèjo eh'o vgniva
d' 'n campagna, avsinàndse a ci^ l'à
senti a sonoà e a cantoà.
« *
26.^''à dama ùq servitòa ooaa losy
sta festa?
27. £'l servitòa J'à dJceio: Ve
vgnù voslj-flr frèa , e vostro poà Va
faccio amazzoà o ciò t>el yjléa eh'
l'avaisse, prché so floa o s' n' è torpà
san e salvo.
88. Sto nòa ciù vèjo 0 s'è sdegna,
e 0 n'c ciù vojù.^ntrà 'nt cà. E '1
poà OS' n'è acorto, l'c' sorti d' 'ni
cà, e 0 rà prega ch'o 'niràiase.
2». sia '1 flòa rà risposto a.sò poà:
L'è lanci agni ch'i v'seryo, e n'v^ò
mai maqcà d'ùbidienza, e i n' m'avài
mai daccio solamente un erayota ch'io
puìsse starnine allegro con i mh ami.
so. Ha dopo eh' sto vostro fiòa eh'
l'à scialaquà tutte le sue sostanze con
d' le plandre o l'è vgnu, j'a^ài facdo
amazzoà o ciù bel vitéa .eh' j'avàissi
per lùi.l
51. Ma 'i poà o j'à diodo: 0 me
fiòa, ti t' sei sempre sta con mi, e
tulq lo ch'j'ò mi Tè tò.,
52. Stòma dunque allegri e ,maD-
giàimo, prchè tò (rèa eh' Pera morto,
l'è risuscita; tò frèa eh' l'era perso,
0 s'è trova.
N. N.
* ■ . ri .!■■ , .
CAPO III.
SAfSGIO DI VOCABOLARIO i^DEWO?fTAf^r>.
Se SI considera T estensione occupata dai dialetti pedemonta-
ni^ il nùmero e T importanza delle città nelle quali sono parlati,
e la moltéplice varietà dei medésimi «, reca singolare ibera viglia^
come venissero trascurati sinora dagli studiosi.' I dialetti lom-
bardi, come abbiamo veduto^^anche meno estesi e meno -distinti,
posseggono ornai qtfasi tuttj uno o più Vocabolarj,- quali soncr:
il Milanese, il Comasco, il Cremonese, il Cremasco ed il- Brescia-
no; un Vocabolario più 0 meno esteso hanno quasi tutti i dia-
letti emiliani, tra i qqali: il Bolognese, il Aomagnolo rappre-
sentato dal Faentino, il Modenese, il Reggiano, ti Ferrarese ^if
Mantovano, il Parmigiano, il Piacentino ed il Pavese; e fra
tutti i dialetti pedemontani, il solo piemontese propriamente
detto, ha ateuni Vocabolarii, che in vario tempo parecchi dotti
vennero oompilando ed ampliando; mentre tutti i dialetti capa-
vesf , ttitti i monferrini, e gli stes^ piemontesi della regione più
elevata, rimasero slAora prìvT del rispettivo loro lèssico. Questo
difetto rese a noi malagévole, e pressoché impossibile, Tappre-
stare im, bastévole Saggio comparativo delle loro più distinte
radici; e fummo quindi costretti ad accorttentarci dei pochi ma-
teriali che Siam .venuti ^na e là spigolando , è che , sebbene
scarsi, saranno per avvenMira sufficienti a pro.Vare la somma
importanza d'upa compiuta raccolta dei medésimi.
Abbiamo^ denominato Pitmonten le voci che appartengono al
maggior nùmero, 0 a quasi tutti i dialetti del ramò pedemon-
tano, apponendo alle voci proprie di uno o di pochi dialetti, il
nome del luogo al quale esclusivamente o precipuamente ap-
partengono.
558 PARTB TERZA
Siocome poi nn, nùmero stragrande di voci piemontesi hanno
il loro corrispondente omòfono nella lingua, o nei dialetti della
Francia, cosi dobbiamo avvertire, che fra queste voci abbiamo
appuntato solo alcune che non hanno comune radica in italiano
o in latino, come: acabU, cacete per opprimere^ nì^ilìo e sihiill,
ommettendp le molte , che sebbene di forma affatto slmile alla
francese, Hvèlano radice latina- od italiana, come: adusA, oh*
braxsè^ per addolcire^ abbracciare^ ce. ,
a
Spiigazionì •
** Ùèìle abbtevlatune impiegate nel seguente Vocaholario,
Aec« — Aeecgllò.
Ales. — Ale39anilrÌno.~
Alp. — Alpigiano. ,
Aitd. — AodMno.
Ofo. — Ctpavese. ^
Eni. — EmMlano.
Fin. — finestrelle,
f r. — Francese.
Gael. — Gaèlico.
Gto. *— GUgllone. •
Gr. — Gi;eco.
It. — llaliino.
'l. — Latino.
Lomb. — Lombardo.
Ilant. — Mantovano.
Mif. -^.ìliUneae.
Mond. — Mondovl.
Mqnf. — Honferrlno.
Piem. -^ Piemontese.
Piem. ;iis. — Piemontese
• rùstico.
Prov. — Provenzale.
SeL V,.— Sèttimo Vit-
tone
Sp. -^ Spagmiolo.
CJss. — Ùsseglio.
V. — VfdL
V.r 8. •- Val Soapa.
Vaia.— .ValdlerL
Ver. -^ Verona.
Vin. — Vioadio.
Voc. Loffl. -7-Voeabolario
LomtNÌrdò.
Vqci Ein. -> Vocspbolarlo
Emiliano.
Ababièse. Piem, Accosciarsi, pa
Babi, che stgnifiea rojipo, onde
cùrritpondèreifbe' <k rannicchiarsi.
Ab barena. Use, Raccògliere, mèi*
tere insieme. - ^. Barone.
A bi me. Piem, Inabissare, sprofonda-
re. - Fr, Abimer.
A boti. P/efn.H {uscire. • Fr. AWulir.
Ab u. Mp, Con, appo, appresso. - Già.
Avo. - Usi, A vói. - Onoino. Bii.
- jIcc, Bo. - Kifn. Embo. - Prov.
Ab. - Fr, A ve e. Da tulle queste
svariate modiflcaziùni della radiée
primitiva latina A b, rAe serbò lun-
ftnnieuti' la signi fica2 ione di co» .
em&ge manifesta P origine dette
voci diverse in appartili», appe,
appresso, ambtf^ eome pure delia
francese ayec ff . E m b o. ^
Acab le. Piem, Aggravare, opprtoM-
re. Fr, Àccabler.
Aer opi. Piem, Aggrovigliato, aggrap-
."paio. - fV. Croupi. -
Ad U ss. Piem, Scaturìgine^ aorgeate.
• Notiti la pròssima eosuotumTù
della voce lombarda à v es, cAé pure
significa scaturìgine ^ sorgeille; r
delta f»ooe'Afte», o 'Adesca cAeè
. il vero notne del fiume 'Adige.
Afaltè. Piem. Conciare. - Afaitór.
Conciatore. - ^^ Falle.
AIY. Piem; Brivi«lo, spavertto. - fV.
Affre.
Agasftè. Pi^m.EcciUre^aizzare, ade*
scare. - -y. Anandiè.
Aghi. Piein, Ghiro, «cojàltolo.
Ajassa. Piem, Pica, gaiza.
Ajdi. Piem, Ramarro. r.*K. Lajòh
AIrór. Piem. Trebbiatomi.- X>a Aira,
jò Era, a|a.,
A I a rio è. Piem, Intimorire. - Fr> Aj-
larme».
Ali cor Di Piem. Cervo volante.
A I p» Piem, Diceti propriamente un
alto, pàscolo con fabbricato ^ ove i
pastori condùconp le mgndre dg*
ranle la stale.-f^. A I p nW roc./.om6.
Apbusc. Pkm, Divertire, sollauare.
<- A*. A no se r.
Aiiand iè. Piem, Eccitare, stimolare.
-* f. Agassè.
Anast, nasi. Piem, Odorato, 0uto. .
Anbajè. Piem, Socchiùdere. • An«
*l>ajà. Soccliiuso; e per irasluio:
stùpido, eatitioo. • y, nel f^oc'tom.
Bada.
Anbsirdè/ Piem. Incamminare, al-
lestire.
Aji b é r ferpj è. Piem, Imbrogliaf e, con-
fondere.
Anberborè. Piem. Dicesi per taf-
l«re nell^qua tmpoco di iegtio onde
aesodanie le comìfusiure*,
AnborgU4rè. Piem. Fugare, dar la
teccia.
Ai^liéBiifè. /Virili. Imbrattare, spor-
care.
A n bossi. Piem. li^Uriuilo, tòrpido.
ADbiodè. Piem, Acconciare i pan.
nilini nel Uno per bucalo,
AAbòss. Piem. Boqcone; V opposto
cU suplqoi - An^bossè. Capovòl-
gere...
▲ afaosta. Ptem. Manila, giumelja.
Anbrignèse. Piem. Non ou rarsi ,
non dare ascolto.
A n buri. Pieni. Bellico, umtiilico.
A n b u ss 0 n è. Piem. Stipare , assie-
pare. • Dal Fr, Ruisson.
DIALETTI FEMMONTAFII. KIH)
Ancate. Piem. Osare, aver ardimeli-
lo. -Ancalur a. Coraggio^ ardire.
- r. nel ree. Lom, Scalàss. •.
Anche, ^^d.*- Anodi. Piem. Oggi. -
F, nel f^oct Em. Inc6.
Ajiciarraè. Aem. Ammaliare, in-
can4are. « Ft, Cbarmer.
Anclorgni. /Ydn» Assordare. '
Ancona. /Vem. Tàvola o lei» dipin-
ta. "V. Foe, Lomb. ed Bm.
A n e u t L • Piem. Aggroppato , aggro-
vigliato.
Andi. fìref A. Mossa, via nolo.
ADdòìp. Piom. 'Andito, eorridojo.
Ap^lrigia. Piem. Letame, ^oneìou*.
- Andriìivè. Concimare. ^ i ■
Anficèsè. iVem. Noo curarsi, non
far conto.
Aline. /Yem. BrutlAre, s|A>r«ippe. -
A n gag è. Piem. Impegnar!): - Pr.
Engager. ' *
i^ngarghi. Pimn. Impigrire^
Angassa. iY<m.' Cappio. • AiHf»S'
«iìn. Cappletto. - r.l»agafta.
Anglierna. 'Piem, Pieootai ioeisiofle,
tacca.-* . . •
Anghernì. ^^m; Cachàlloo.
Anghielo (Fò). Piem. Inanolire,
destar desiderio ^1 quialcbe oosi,
A n g i a V l è. Piem, Accovonare. - Fr.
EnJaVeler.'
Angringèse. Piem, Introdursi, sc-
olarsi dentro.
Angrumtise. Piem. AggroviglUrsi.
K. Acropì ed Ancùtì.
A n g r ù s s. Ptem. Doloroso, spiacévole.
Angusè. Piem. Ingannare,. Imbro-
. gliare.
A n m a r 1 è. Pi«m. Ammatassare.
A nmasehè. iVem. Ammaliare, in-
canUjire.
Anorfanli. Piem, Attònito, stupe-
fatto.
Anpatagnè. Piem. Fasciare.
Ansarise. /¥pin. Arrecare, divenir
ràuco.
ttjfliO
AnAÒrgh«. Piem. Rioorcare.
Ani», h'em. Imporla. • f^. f'^ocLom.
Anta.
Antamnè. Piem, lÉanomètlcre , in-
laccare. Fr. Enlamer.
A n 1 à r. itfsuL V a n là r, V e D t à r. Pk'em.
Bisognare, ponveoire. Quesùt è un
vef^ imper$onale; uiai9 ^lo in
ierxa persona^ come : v en ta e li* a
J diav ia d'uopo «h'fo le dica , op-
pure j ventava chM aDdélss,.
era d'uopo ch*Ìo andassi-; ed è (7e-
neraie coù -in Pietmonte^ come ira
akune prùpimiie lombcarde ed. end-
lianfi. d Pioosma in'tuogo di vo4i-
ta^ diceU q venta: inVaif^ersa-
toa ^ b frh t a. . jlUri Mialeiti fount^^
u$o di altre voci loro ppùprie^ per
U qumii y. miyoc'Um. Be n t à r.
Ante, eniè.'/Vem. Innestare. - Fr,
Enier.
A n tordo i. Pifim, Indeciso, irreao«
lutò. /bri^ (tal I. Lntor duas? .
Antopì. ,P(0fVi. Coìprir di tolle. Da
iopa; musco. /^« Tepa.
Anterpì. Piem, Pigro, neghittoso.
Anlesna; /Vtfm. Pìccola Incisione,
taeca.f'.AncAtfCra'n, Angherna.
A'Birapèse. Piem. Inciampare, in-
toppare.
A n t r a V è. Piem, Impedire. Fr, £ji-
iraver.
Anvìa. Piem, Desiderio, brama. -
Anviè. Desiderare. ' Fr, Envie,
envler.
AnViròn. A^m. Circa. - Anviro-
né. Circondare.-- fV*. Environ«
environner.
Anvuì. Brozzo, Udire.
Aptfirè. Piem, Aver tempo, ogio,
comodila.
ApU. P/mi. Scure, accetta.
Aranbèsc. Piem. Accostarsi, rv vi-
cinarsi.-A ranba.Alato, vicino.
- /^. P'oc, Lomb, Arèot.
Arandòn. Piem, Sgarbo, disprfsio.
PAIITK TEREA .
A ran gè. Pi^m. Orìlimiiv. a(*ronHà-
re. - Fr. Arrang«r.
A r b uPiem, Truogolo,- A r b i à. Quanta
contiene iin truogolo. A. Al ve-us?
Arblón. Piem, t Lomk, Piaciti. • V,
yoc, Lom,
Arbogè. Piem. Rimuòvere. • Fr,
Bou^gcr.
Arbòire (Far). TaM. FUr festt.
A r b o t u. Ptem. ClpigUalo, hf osco.
Arbroncè. Piem. Rlnclampilte. 1?
per tratia^: Replicare.
Arbus (A J'). Piem. A capriccio.
Arcate. Piem. Ricomperala: ^ A*.
Raehete'r.
Archinchè. Piem, Ad4abbare, or-
nare.
ArcJampè. PiVm. Accmnolare, ada-
nare.
A r e i n .. Piem. BafbaI ella, propàglne.
• r. aiicAeCogÌóÌ#a. • Recia.
Ffr, iiffni/Ua Racemo.
Aréis. Piem. Inleramenle, aiatlol
Aresca. Piem. Spina. -xJtfIf. e Fer.
Resca.
Ariana. Pimn, e Parm.*Cloaea, cessa.
A r i 0 n d ì n. Piem. Trltollo, cruacMI-
lo. F. Arprum.
A ria n. .l'Ami. Sciupo. • Fé arffìkÉ.
Dissipare, sciupare.
Arlia. Piem. Ubia, idea s^persUiio-
sa. - ^. f^oc, Ij^m, ed Em.
Armangè. l'teni. Rimbrottare, rim-
proverare.
Armjs. P/fm. Lógoro, frusto.
A r m i s ter I. Afm. Strèpito, fracassa.
Armnùre. Piem. Capecchio. - F,
Barbè-l, Biùc, Cucia.
Armusòè. Piem. Rovistare* '
A r n. Piem. Aratro. - f . oncAe SI ò l ra.
Arneachè. Piem. Rinvigorirsi, faf-
forca ni.
Arnós. Piem. Accigliato,* melanco-
nico.
A r pai è. Pftfin. Ristorare, gtiarire.
Arpriim. Piem. Tritfello. - f'.Bran.
Arpussè. Piem. Respìngerò. - Fr.
Eepoysser.
Artài. Piem, Anelilo, ambasci».
Arsansè, arsente. Pieni: • B-e-
s/BOtà. W/. - Resentàr.'f^er. -
Bisciaqiuirè , rilavare'. - Fr, R i-
fenUr.
Arsela, arsìs^ Pì0h. Slanlìo. jig»
#fimlé di pane Secchio.
Ars là. Broxzo. Ascilugare.
Arslgnón, arsinùn. Otn. Goiio-
viglia.
Arsjvole. Pimu. Ciancia frùscóle ,
Irivoltai^.
Artòrt. /Và9i. JiolUi. -fy»Ressorl.
ArtaJòr/IVem. Plszicàgnolo.
Artonibè* Piem. Ricadere. •
Retomber.
Artraosè. Piem. Risecare. -
Retraneher.
A fti. itota. Arnese.
A ti nel. Piem. 'Acino, fiòcine.
Atrope. P4em. Sorprèndere. • Fr.
.Al Ira per.
Attranté. Monf. VolenH^rh
AntÌR. Piem. Vigila, vignelo.
Ava ile. PieHL Agguatare, stare in
agguato. •* f^. Vaitè.
AvatJ^r. Piem, PéviBl>a. È dano»
tarsi che in «louiii diaieili vèneti
dieeei i ò r a , ed <>i alcuni emiliani,
léra e lòdra. -.r. nel ^oc. Lom.
Lora, e nell'Em. Lodra.
Avischè. Piem. Accèndere. Dieesi
anche Vi sdì è.
Fr.
Fr.
Babi. Piem, Rospo.
Bablgiiàrd. Piem. Ciarlone. - Fr.
Babillard.
Babòa. /V^in. Verme, bruco. • ii^itcAe
Sanguisuga:
Babocia. Piem. Siero. - Fr. Ba-
beurre.
Babòja. Piem. Spauracdiio; anche
capolino.
DUMEtn PBMMOMTAMI 8éf
Ba b u r è. jiles. Blandire, accarenare.
Racajè. Piem. Parlare a spropétfto,
balbutire. -//V. Bégayer.
Bacèn. Piem. ViHano, conladino.
Baeiès. Piem. Slagno, guanatojo. •
Baciasse. Bagnare, sprutivre con
aqua.
Bade, badola. Piem. Scimunito,
baggèo;
'Badine. Piem. Scbenare. • f)r. Ba-
diti e r.
B a f 0 j è. Pkem.Chiacc|ienire,; cicalare.
Bafra. Piem. ffotrimento, penhgglo,
alimento.- Ba f ré. Sbasofllare, di-
vorare.
Baga ra.*ffom. Confusione, tumulto.
Ba gò I. jécc. Fagollo. - ' '
Baiehé. fTiOi. Perchè.
BàJ. /Vem. Sbadiglio. - Bvjè. Sba-
digliare.
B a l a fr ò. i'iffm. Basof Bare , mangiare
avidamente. • B a I a f r 6 n. fìbiot-
toheu
Bai ari dòb. P/em. Baldoria, tripu-
dio, tiaceano.
Baldi. Piem. Guercio, balusanle.
Baiò ss. Fece generale. Briecane,
birlNinte.
Ban as tre. Piem, Masseriaie di poco
0 nlun valore.
Ban fé. Piem, Respirare, ansare.
Barane^ Piem. Zpppo, loppicante.
/)topai di Ècrannm, tàvolo o simiU:
y. oficAe Baròs.. ^
B a ra s a. Piem. I^inda , luogo. stèrile.
- Dicni anche Ba raj a.
Bara vai. Piem. Pànico, stoppia.
Baravanlàn. Pieni. Stravagante^
ridicolo.
Barbar, ^ald. e Aiand. Consuomre,
dissipare.
Barbe, ficm. Adunghiare, Involare.
Barbèl. Piem. Capecchio.-/!^. A.rm-
niire.
Barche. Piem. - Baleà. tornii, if
Piac. Cessare, scemare.
n5%
&a rd òci. /Vffit. Muletto. -/V-.Ba r d o I.
Bariè.'/Yem. Losco, guercio.
Barìcole. Piftn, Rullo della noce.
Barivèl. /¥em. Frùgolo^ sbarbaleUo.
Barone, baroni. Piem. Raccòglie*
re, mettere insieme. ,
Baròs. Piem, Sciancalo, zoppo, stòr-
pio.
Bariif. Piem. Mesto, melanconico.
Ba 9*1 e ole. Piem. Gironzolare.
Basorda. f^. .9. Fame. • K. Sgosa,
Sgurnia.
Baudéla. Piem. Suono a festa. -Fé
l^auiléla. Suonare a festa, scam-
panare.
Bau do ria. Piem, Gozzoviglia. - f^.
Riguzì>gllo.
B a tt d r ò i e. f^,.S, Padrone.
Bund rÒR. Piem. Quella spranga che
serve d^appoggio lungo le scale.
BfùU.A'em.AUalenb.-Bau ti è. Don-
dolare.
Bau ila. Piem. Loggia, ballatòjò. -
-Far. BaladÒr.
Bavo. /'/«ni. Bìlico. Spranga df legno
alle cui estremità si app^dono sec-
chie, canestri od* altro, e si mette
in ispalla. - Mil. e Mani. Bàsol.
L. Bajulum?
Bècia. Piem. Pècora. - y. Fé a.
Bedàine. Piem. Scalpèllo' da fate-»
gname. - Ft. B'ec-d'ànc. ,
Bedra. Pfem. Yen tnacola, grossa pan-
cia. - Piac. Bodriga. Ventre.
Bèg. Alee. jCa pretto.
Beghéna. Pi^n^. -Pettégola, scimu-
nita. '
Beglòja. Piem. Effigie, imàgine di-
pinta 0 improntata.
FARTI TERZA
dubitare deW origine germàniea a
questa voce, da Berg, efìe ffgni-
fica monte. Daita -etetea derivò la
voce Bergamina , che nbi dialetti del-
l^l//a Italia eigm/lea un^ Intera
^mandra , che fu da taluno deriPota
da Bergamo ; tenza apparenza al-
cuna di veriiimigUariza,
Berghlgné. Piem. Raggirare, simu-
la re, Ingannare.
frergiolè. Piem. Sereziato, avari
colori. '
Borgna. Piem. Testilo rozzo eoola-
dinesco. • Dieeei ancora Bergna
cost'to pianta del progno, come il
frutto. • *
Bergnaché. /Vem. Sdìiaedare, cai*
pestare.
Berla. Piem- Cacherello dKpèoore,
lepri, topi e simili.
Be r I a i ta. Scotta, sitro deposto dalla
ricotta.
Berna. Piem.eMil. CroMafa, ranno.
Bernage, bernagi, berBà8.Mai.
e Lomb. Paletta , paUf da ftfoe«.
Bersò. Piem. Pèrgola, pergoialò di
fiori, 0 viti. - fV. Bercc»u.
Ber I a, Pie^n. e tA)mb. Gazza.
Berla véi. JHem. e £om6.,l>eggaoa.
Specie di rete da pesca.
Ber tèi. Piem. Tramoggiki.'
Bcscàns, bescànt. iVem. Obliqua-
mente, a isghembo.
Btfscaré. Piem. Sbcrdare, fallire li
segno.
B e sèi a. /Veni. Ciocca, ciuffo.
Bessiè. Piem. Balbettare, scilin-
guare.
Bessón. /Vcm. Gemello, binéilo,
BeJcà, ^e^ché. Pfffw.eCan. Guar- Bestanlè. Piem. Indugiare, dife-
da re, osservare. K.ancAf Buche.
Berf9. Piem. Casìpola, capanna. -
y. Caborna, Ciafiò;!.
Benne. Piem. Prima aratura.
Bcrgé. Ptem. Pecorajo/ mandriano.
- Fr, Bergor. - Aire non potersi
ri re.
B i a I e r a. Piem. Corrente , gora , ri-
gàgnolo. - y. onc/ie Dò Ira.
Bianchisòsa. Picrw. Lavandaja. •
AK Blanchisseufre.
B i b iu. Piem. Tachino, pollo dnadJa
Biè. Piem, Bardotto di uiuralore. y.
Ferie.
Biòtl. Piem, Vizzo, appassito.
Bifè. A'fm. Cancellare, ràdere. - Fr,
Blffer. .
Biga. Piem, Scrofa, Iroja.
Blgal. Piem, Filugello, Baco.
Biiiè. Piem, Arrivare ^giùngere.
Bia. /Yem. Stia, guard'lnfante (es-
autodlvimìni. - r. ancAf G lì e r MI 0.
Bloecia. Piem. Ritaglio, scampolo,
frastaglio.
Bioìa/Pfem. Betulla. ,
Blòn. Piem. Ceppo, gran tronco d'al-
bero.
Bisa. Piem. Brezza. • Fr. Bise.
Usta 8 8 a. Piem. Birbanteria, fur-
fanteria;
Bisòc. Bitm, Bigotto, collo torlo. -
Bisodiè. Masticar pater nostri.
Bi8tòr?../Vem. Crescione, nasturzio
- aquàtico.
B i ù e. IVem.Capecebio. -K.Ar m n ù r e.
Bi um. Pian. Tritume di paglia, pula
di fieno.
Blioà. SeL F.lSitjìàire, accarezza-
re. - F. Baburè.
Boa* Piem. Bum. Follia, fanfaluca,
fandonia.
Bò. Pietn, Si, appunlo.
Boba./Ycm. Smorfla, sgrincia.
Bodèro. iVsm. Corpacciuto, panciu-
to. - B 0 d é i a f i in alcuni dialetti
emUiani iiffnifica gonfio , enfialo.
F. Botcnfi.
Bodrè. Piem. Mescolare, melare.
OIALCTTI PEDBHOMTANI. tf(^5
Borncl. Pietn. Doccia. - Bornò. Ca-
naletto, tubo.
Boraèse. /^fom. Limitarsi. - Fr. Se
borner.
Boro. Piem, Errore, sbaglio.
Bocù. Piem. Bùrbero, triste. • Fr.
Bourru.
Bo9. Piem. Acerbo, immaturo.
Bosa. Piem. Aq uff stagnante.
,Bosom. Piem, Scbiarèa, salvia sel-
vàtica.
fiòl. Già. Figlio.
Botenfl, bo ren fi. Tiem. Gonfia,
enfiato. EMI, Bodélnfl.
Botiira. Piem. Barbatella, tralcio. -
Piceii ancAe Bronbc- K. A re ili.
B r a d i a. Uu. Presso, appo. F. A b u.
I Forse è lo stesso che Breda. Bre-
fcfdifO, che significa possesso cam-
pestre.-£. ,B rosd i u m?
B ràj. Piem. Grido, rimpròvero. -
Brajè. Gridare, rtmpognare.
Brande. Piem, ilari, capifuoco. -
Xomò. Brand ina. - fVoe. Brin-
dnàl. - In Gael. BranMair ff-
gnifiea Graticola ferrea-.
Brande tignified ancora far gran
fuoco, e bollire fortemente*
Brassabòsc. Piem. Édera ^ abbrac-
ciaboschi.
Brave. P/em. Affrontare, insolenlire.
* Fr. Braver.
Brèn, bran. Piem, Crusca. «K Ar-
prùm.
Bric. Piem. Poggio, colle. - Gael.
Brlg. Mucchio, cùmulo.
B o gè. Pietn. Muòvere. - Fr, B o u g e r. > B r i n. /Vem.'Ciocca, ciuffo. - fV. B r i n.
Boja ca. Piem. cLomb. Minestra, |>ol-
tiglia.
Boléng. Piem. Laguna, pantano.
Bordò e. Piem. e Lomb, Piàttola. -
L, Blatta orìen tali*}.
BÒrgno. Piem. Guercio, losca.- fV.
3o rgnc. - Jtal, ont. Bòrnio.
Boria. PìeiH. Bica , covone. - Bo r tè.
Accovonare.
Bri sa. Piem. ed ^mif. Brìcciola, mi-
n uzzolo. Derip(^ dal verbo Meffuen-
te, che il Piem. ed il^Fr,. òmUr-
^ vano.. •
Bri se. Piem, Spezzare, fràngere, tri-
tolare. - AV. Briser.
B ro a. Pietn. Sponda , parapetto, ripa.
Broà.^ Pian, -Broàr, brovà. Lowtix.
Sboglienturc, lessare. F, Brovè.
K64
PARTE TERZA
Bròc. Piem. Cavallaccio, rozzo.
B ròci a. ftem. Spiedo. -Fr.Br oc he.
B r 0 j è. PUm.GérmofflUre. - B ro j ó n.
Geroioglio.
Brón. Piem, Ciocca.
Broobo. Piem, Tralcio, rampollo. ?
r. Bollirà, Arcin e Brojón.
.B ronda. Piem. Bamo d'albero. -
B ronde. Scapezzare.
BropfM* Piem^ Pslo, broncone.
Brovè. Brozzo, Castagne bollile. •
f^. Broà.
Brus. Piem, Cacio forte con droghel
Brute. Piem, Brucare. • fV. Br o t e e.
Brute. Piem, Stajneggiat-e.
Bjièst. Piem. Malaimo, teompiglio,
rovina.
Bù. Piem, Manico dell^aralro.
Bu. /Vem.Beopo, intento. • /V.But.
Bua. /Vffn. Denteo pupla. DieeeiMla
foreheiia e simiii,
Bucbè^ beicbè. Piem, Guardare,
osaervàre. - B u-e, Guiardo, sguardo.
Bucì. JU», - Bocin. Piem, ViteHo.
Buja. Piem,U9i9ìe\\o, Anche lite^ran-
core.
Bui verse. Piem, Métter soasopra. -
Fr. Bouleverser.
B ù ra. Piem, Escrescenza d'aqtie, stra-
ripainenlo.
Busa. i^em. Letame vaccino. -Buse.
LetaoiHJò. - y. Andrùgfa.
Buss.Piem.Arnia, alveare. -AV. Bu-
che.
C
Cabassa. fYem. Gerla, cesta di vì-
mini. • Fr. Cabas.
Cablai. Piem, rus. Bestiame dato a
nutrire in società.- Fr, Cheptcl.
Caborna. Piem. Casipola, capanna.
#^. onc/ie C i a b ò t e Bena.
Cacè. Piem. Guardar di furio, sog-
guardare.
Cacete. Piem, Sigillare. - Fr, Ca-
che ter.
Ca r^ r d. iHem. Ipòcrita , bacefaettone.
FY, Cafard.
Calie. Piem. Calzolajo. • Ken. Ca-
le ghér.
Carnato. Piem, Faechlno.
Càmola. Piem, e Iromfr. Tlgnuòla.
Camp è. Piem, Gtttare, lanciare. •
K. ancAtf Tampè.
Camu. y, S, Amico, compakDo.
Cantabruna. /'^ein. P^era. • Fr,
Cbanteplenre.- r.MtcAeAva-
slór.
Canta rana. Piem, Raganella:
Capala. I*iem, Bica, covone.
Carmassa. /Yem. Sudicia, aporca.
'Diceti di donna,
Capàstr. Piem, 'Astore, uoedio di
rapina.
Carpògn. lYem. e £om6. Pottinìeelo,
mezzo, avvlzzltor.
CarrerR. trotto, Golifmda, pa^
Caraài.P/aiii. Gallaja, apertora adU
siepe onde entrare nei cnnipi.
Calò. Pimn, Comprare. • Fh, kcke-
ter.- Ver, Ca l àr. ^Troirare.
Catefle, o poterle. PUm, Clape.
C a t i n . Fin, Meretrice.
Cansaagna. /Vem. ''Argine, fossa*
tello, 0 solco, y. ttel yoe. Umb.
Cavedagna. * Z. Caucfanea.
Cavàgn. Piem. eLomb. Paniere, ca-
nestro /atto di vimini.
Cavalla, Cavarla. Piem, Correg-
giato, battènte. .
Ce. Piem, Nonno, avo.
Ce a. Piem. Graticcio di canne, ean-
niccio.
Ceca. Piem. Buffetto.
Ceca ir e. Piem. Balbo, balbuzienle.
Cechc.Wem.Schiàcciare.-f.Ciachè.
Cecojè. PiVm. Diguazzare, sclaqnare.
Cemì, durai, rtcw. Poltrire, la-
trislire.
Ccnìa. /'icm. Bruco. -AV.Ch enfi le.
Cèl. Con. Figlio.- y, nel yoc.iAfmIt.
Sòèl.
DIALrm FflOBHOllTANI.
H5B
herpògD. Piem, Insipido, appas-
sito.
Cheta (na). Set, V, Un poco.
Ch eia. K. .9. Porci, majali. -f^.Crin.
Chi tè. /Vem. Lasciare. -Fr.Qu i Iter.
C jabot. Piem. Casipola, casuccia
campestre. - K Bona.
Ciabrissà. Piem, dibassare, fare
schiamauo.
Ciacbè. Can» Ammazzare, uccidere.
C i a d è 1. Piem, Disórdine, scompiglio.
Ci a die. Piem. Assestare, aver cura.
eia fé ri a; Pifm. Guancia. -
Cia-grin. Piem. Dispiacere, afflizio*
ne. '' Fr. Chagrin.
Cialàr, claràr. Mp. Far d'uopo,
bisognare. Forte dcdPanlico 9erbo
gpagnuoio Caler, di effual tito e
tigniftaio; o meglio dal 9erbo Ìcp-
fjfio Calere, f dal mo derivalo /la-
Uùno G a 1 e r e, e^ eignifea impor-
tare, prteere, enrarti. Ottnia^ver-
òo» com$ iuUi gli altri di eguale
HgnificttMtim»» è difettipo ad imper-
ttmaic, eiùi viene adoperato eolo in
terzapertona ; perchè poi tutti sono
a noelroopHto radici primitive d^
.rivate da antiche lingue j e perciò di
somma importanza j crediamo op'
porluno ed ùtile allo studioso raccò-
glierti qui appresso. -Anta r.Jnd, -
Uantàr.Ctfn.-V^ntàr. Yenlir.
/Yem.-Cventàr. Piac. - Rentàr.
' Fai Ferzasca. - Ver li. Lorna: Jnf.
' Hiàr. Lod, Mil. e Pomi. -Se ù-
mi. Bergam, • Mgnàr. lìeggiano.
-Cognàr, scognàr. Presso al-
cuni dialetti riistici lombardi e vè-
neti. - r. Anlàr.
Cianpairè, s^iaiipairè. P/em.Fu-
gare, sbaragliare.. r.Sbergìairè.
C i a p u l ò i r a. Piem. Trilalojo.
CI às, ciòs. Piem, e Lomb. Ricinto,
brolo. - Dicesi ancfte C i o v e n d a.
Ci cane. riVm. Cavillare, sofisticare.
- Fr. Chicaner.
C i m e n a. Piem. Uomo dappoco, ten-
tennone. '
Cieca, ciochin. /Y^m. Campana,
campanello. - Fr. Cloche.
Cioma. 7Vem. iNwl/eo. Riposo delle
vacche. - Greco. Kolmaow Dor-
mire.
Ciòrgn. Piem. Sordo. - Sèiorg •&
Assordare.
Ciò mia. Fin, MertUìtm, ' Kmèeke
Garùlla, Loffia, TaritUa,
Garàude, Gòria.
Ciòs, ciò venda. Tfem. RIeInta, si»»
pe, cinta.
C i r i m i a. Piem. Zampogna.
Ci s. Piem. Foce tolta quale i conta-
dini slimolano i buoi, ^rrì dei To-
scani. - Cissè. Stimolare. .
Cisampa. A'cm. Brina, rugiada o
nebbia congelata. K. anche Gala*
verna.
Ci u m is. Piem. Tanfo;iittzra di luogo
rinciiiuso.
C i u pi. Piem. Chiùdere, socchiùdere
Ci usi è. Piem. Bisbigliare.
Co eh in. /Vem. Furfante. -CoebiBè.
Furfanteggiare. - fV*. Coq n 1 D» eo-
qu iner.
Co e i 0 n ù. Piem. Stopposo , disecca-
lo. Dieesi dei limoni j aranci e si-
mili. Dicesi anche R a v 1 à.
Cogiòira. Piem. Barbatella , propli-
glne. • f^. Arcin, Boldra, Bron-
bo, Brojón, Garsdl, Méir,
Provana, Risòi ra , cAe Aonno
la medésima significazione.
coirò. Pian. Zàcchera ^ pillàcchera.
Cója. Piem. Bagatella , ciandafrù-
scola.
Col issa. Piem. Incastro, incanala-
tura. Fr. Coulisse.
C'ona. Piem. Cótica, cotenna.
Ounba. Piem. Bassa valle. • FT.
Combe.
Conche. Piem. Paraninfo.
Conserge. Piem. Castellano^ custo-
30
U6
PAITE
de. - Fr, Conci erge.
Cóp, cup. Piem. e Lomb. Tégola.
Copròs. Piem, Caprifoglio.
Corba, gorba. P/«m. Cesta, paniere.
Coriór. Piem. Conéiatoi'e di pelli. -
L. Cerio m. Pelle.
Cospa. y. S. Casa.
Coti. Piem, Mòrbido, pastoso,delica(o.
Co tu re. Piem. Arare on campo. •
lomb. Co tura. Campo arato.
Goviello. Piem. Buffone, zanni.
Craehè. Piem. InOoocchiare, dar
panzane. - Fr. Craquer. • Cra-
queur. Spaccamonti.
Gran. Piem. Tacca, inUglio. - Mil.
Ore nn a. Fessure. - F. Antesna.
Crasè. Piem. Schiacciare. - Fr^ t-
craser.
Creata, trozze. . Timore. - Frane.
Crainte.
erica. Piem. e Lomb. Saliscendo. -
Cricad' bosc. NòUolo. .
Crin. Piem. Majale.-Gia. Carrin. -
/Ite. Curin. • Mond. G ri n. • f".
•^.Cruina.-f^.ancAeTòi eGbén.
Cri olia. Piem. Scrofa. // primo n è
affatto naeale. Ne tono derivale le
foc^- Crinale. Porcaro; Crine.
Grugnire.
Croàs. Piem. Cornacchia; uccello.
Croc. Piem. Gancio. - Crocèt. Un-
cinetto. • fy, Croc, Crochet.
Crofa. Oulx. Ghianda.
Cròi. Piem. Fricido, marcio. - Mil.
Cròi, tignifìca rùvido, fàcile a
rompersi.
Cr 09. Piem. Cavo, profóndo. -/»>•.
Creux. - lomb. Sup. Cros.
Crossa. P<>iii. Gruccia. -3/<7. Se róz-
zo I.
Cucàr. r. S. Mangiare. - Piem. Cù-
chò. Assorbire.
Cucia. Piem. Capecchio. - f^. Bar-
bèi, Biùc.
Cugir. Elva. Costrìngere. - Z.. Co-
igerc.
TBiZA
Cùj. Piem. Cògliere, raccògliere.*
Fr. Cueillir.
Cupe. Piem, Tagliare. - Fr, Co u per.
Cùria. Piem. Tinozza.
Cu sin. P/tfin./anzara. • Fr.Cousin.
Cussa. Piem, Zucca.
Dabòrd. Piem. Da prima. - fy.D'a*
bord.
Dagn. PIfm. Falce. - F. LadròI,
Poiràs.
Dagnè; Piem. Gocciolare, slillare.
Dangros. Piem. Doloroso, molesto.
Davano. PiVm. Annaspare. - Davi-
nòlra. Naspo.' - /V. Devider,
devidoir.
Debite. Piem. Spacciare, dar ad io-
tèndere. - fV*. D é b i t e r.
Debordò. Piem. Traboccare, stra-
ripare. - Pr. Déborder.
Dcò. Piem, Ancora. Qwui dicem:
' Da eò; dacapo.-fy. De recbef.
Degh Isè. Piem. Travestire, nasebc-
rare. - fr. Déguiser.
De gol è. P/em. Appassiire, avvizzire.
Degùn, dgùn. jilp, edOccil. Nes-
suno.
De lab re. Piem. Rovinare, lacerare.
- Fr, Del ab re r;
D e m 0 r è. Piem. Trescare, vezzeggia-
re. - Demorìn. Vanerello, vei-
zeggiatore. - 71. Dame ri no.
Derbl, derbis, èrbls. Piem. Vo-
làtica, serpìgine. -Affi. Dèrblta.
Desabùsè. Piem. e Afil. Disingan-
nare. - Fr. De s ab user.
Desalterc. Piem. Dissetare. • /•>".
Désaltérer.
Desbàucia. Piem. Straviuo. - Fr-
Débauché.
Dcsbela. Piem. Dissipatore.
Desblè. Piem. Scassinare, schian-
lare, scomméttere.
Dcsbrossè. Piem. Spalare.
\
Desdè. Piem, Slacciare, rallentare.
Dea doli. jPiem. Sgangheralo, sgar-
bato.-F. 0dit. .
Desgagèse. Picm. ACfrc^Uarsi.-Fr.
Se dègager.
Desga vigne. Piem. Sviluppare,
sbrogliare.
Desgerbi. Piem, Dissodare il ter-
reno. - y, Gerb e Gèrbola. •
Desgicbè. Piem. Dicioccare, levare
i germogli d'una piante.
Desgognè. Piem. Schernire, sver-
gognare. - Fer. Far le sgogne.
Desgrojè. Piem. Sgusciare, smal-
lare.
Desmolè. Piem. Erpicare.
Desnandiè. Piem, Distògliere, dis-
suadere. - y. Anandiè.
Desolile. Piem. Sbrattare, tògliere
dal fango. • F. Nitta.
Desmolè. Piem. Slacciare, sciòglie-
re. - Fer. Dessolàr.
De stenebrò. Piem. Disordinare,
sconjiaginare. - f^. S t e n e b i è.
Deste mi. Piem. Smattonare. Forse
dal L. Sternere?
Destiss. Piem. Estinto, spento. -
jinche Distrutto, esausto.
Dea tra vis. Piem. Strano, disusato.
Dieta. Brozzo. Tempo, època.
Doit. Piem. Garbo, grazia.
Dója. Piem, Boccale, brocpa.
Dò Ira. Piem. Rigagno, canale. È
anche nome proprio di due fiumi j
la Dora bàllea e la Dora ripària.
Don tré. Piem. Alcuni, pochi. -Do n-
trè di; alcuni giorni. Qtiasi di-
. ceste: Due in tre. - Fald. Don-
tràl. - Già. Gjontrài.
Do^ssa. Piem. Macello, siliqua.
Dròc. Piem. Abbondanza, in gran
copia.
Drolo. Piem. Faccio, gioviale. • Fr.
Dróìe.
D rosse. Piem. Abbàltere: cardare.
- Fr. Drosser.
OlALBTtl PBDBIfOflTAIII. 5(^7
Dr u. Piem. Grasso, fèrtile. Dicesi di
terreno. La voce antiquala francese-
D TU significa apptmio. (orìe, ro-
busto, gagliardo. Da questa radiee
deriva forse la seguente.
Drùgia. Piem. Letame, concime. -
y. Andriigia e Busa.
Duo. Piem. Vagò, leggiadro, avve-
nente.
Duna. Piem. Presto, sùbito.
Dupè. Piem. Ingannare, uccellare.*
Fr. Duper.
Durbi. F. S. Padre.
Diiso. Piem. Gufo. Uccello.
Diìssia. Pi0m. Ghiera, cerchieito. ,
G
Egajè. Piem, Rallegrare. - Fr, tgsir
yer.
E Imo la. Brozzo. Lagrima.
E m bo. Fin, Con, appresso. - K. Ab a,
e Bragia.
Enta. Piem. Innesto. - Ente* laD»»
stare. - Fr. Ente, enter.
E rea. Piem. Madia.
Erio. Piem. Smergo. - F ò T e r I o.
Insolentire, divenire arrogante.
Eva. Piem. Aqua.
Face. Pk>m. Disgustare, IndispoUire.
- Fr. Fàcher.
Fai tè. Piem. Conciare. - Faltór.
Conciatore di pelli.
F a 1 u s pa. P/«iii; Favilla.
Famàut. f^. «S*. Servo, famiglio.
Fa mina. Pm/i. Carestia. - Fr. Fa-
* mine.
Fàmula.Pifm.Fantesca.-£..Famula.
Fara, fiara. Piem, Fiamma.
Fara bùi. Piem. Ciarpiere.^ smar-
giasso.
Fard. Piem. Finto, simulato, falso.
- Fr. Fard.
KOS
PARTE TERZI
Fa ssèlla. Piem. Cablino, forma del
cacio. - Lomb. Pitrm. e fìeg. Pas-
sera.
Fa L Piem, Scipito, sciocco. - Fr. F a I.
Fa u dal. Piem. Grembiule, zinale.
Fèa. Piem. Pècora. - Anbaroaè le
fèe; raccògliere le pècore; aggre-
giare.
Feramiù. Piem. Ferravecchio.
Ferdonè. Piem. Strimpellare. - Ft.
Frédonner.
Ferfói. Piem. Serpentello, frùgolo.
Feria. Piem. Germoglio, rampollo.
- L. Ferula.
Fé r teca. Piem. Ferita, squarcio,
taglio.
Ferlochè. • Piem. Ch laccherà re ,
cicalare,
f ersèja. Piem. Legumi fn gènere.
Ceci , Unti e iimiti.
Fertè. Piem. Fregare, stropicciare.
Fiat rè. Piem. Putire, puzzare.
Fiàp. Piem. Vizzo, avvizzito.
Fiàona. Piem. Buccia, coda. Dieeii
del gambo deW aglio ^ delle cipolle
e ùmili.
Fic. Piem. Presto^ immantinente. •
Jlp. Fit.
Fiesca, fiosca. Piem. Spicchio.
Dicesi d'aglio e simili.
Filón. Piem. Mariuòlo, borsajuòlo.-
. Fr. Filou.
Flacìj. Piem. Smargiasso, albagioso.
- y. anche Flón.
Flambar. Fald. - Flambé. Piem.
Dissipare, scialaquare. • Fr. Et re
flambé. Essere rovinato. -KFri-
cudè, barbar, sgairc, sgu-
liardàr.
Flato. Piem. Lusingare. - Fr. Fiat-
ter.
FI ina. Piem. Rabbia, stizza. - y.
anche Zara.
Flón. Piem. Spaccamonti , smargias-
so. - Fio ne. Pompeggiare.
Fófa. Piem. Paura. - Fófòn. Pau-
roso. - Mil. Fifa, fi fon. - Dial.
Em. Foffa, fifa, faffa. Paura.
Fogagna. Piem. Sbirraglia.
Fojè. Piem. Frugare, rovistare.
Forlì. Piem. Asseverare, persistere.
Fosón. Piem. Abliondanza, auinealo.
- Fosonè. Abl>ondare, créseerc.-
Fr. Foison, foisoaner.
Frapè. Piem. Colpire, tàtlere. -I>.
Fra p per.
Frassa. Piem. Catena dell'aratro.-
y. anche Provèl.
Frecio. K ,y. Fratello.
Fricio. Sei. y. Anello.
Fricudè. Già. Dissipare, telala-
quare. - y. Barbar, Flambar.
Fri pò n. Piem. Mariuòlo, guidone. -
Fr. Fripon.
Fris. ^rozzo. Poco. • An fris. Un
poco.
Frissón. Piem. Brivido. - Frlsso-
né Abbrividire. •,. fV*. Frisson,
frissonner.
Fròi, frùL Piem. Chiavistello, a-
tenaccio. - Frojè. Chiùdere eoa
catenaccio.
Furfa. Piem. Turba. Le permuta-
zioni delle consonanti f, b, v, ■
50710 assai frequenti nei dialetti pe-
demontani , of e trovasi p. e. bù rbo
per furbo; a malòc, pera lialoe-
chi , m a n t à r per vantar e simili.
Furvàja, fervaja, friàja.iVaa.
Brìcciola, mica. - Lomb. Fergùi.
Cable. Piem. Contèndere, cavillare.
- Gablós. Rissoso, accattabrighe.
Gadàn. Piem. e Mil. Sciocco, ba-
lordo.
Gagè. Piem.Scoméltere.-/>.Gager.
Calaverna. Piem. ed Emil. Brina,
rugiada o nebbia gelata.
Gala via. Piem. Trebbia.
Galiicè, gal US è. Piem. Sbirciare,
DULETTI PeDIMONTAKI
559
guardar ili Iravfr^o. - r. anche
Lorgnè.
Galufrè, galupò. Piem, Scuffiare,
pacchiare.
Galùp. Piem. Ghiottone.
Gamoro. Piem. Bùrbero, zòtico.
Ganivèl. Piem. Sbarbatello.
Garàude. <j/a. Bagascia^ meretrice.
- y. più avanti G a r u 11 a.
Garbé. Piem. Ventre, pancia.
Garbin. Piem. Alveo, truogolo. • K.
Arbl.
Gargarìa. Piem. Poltroneria, vi-
gliaccherìa.
Gariè, garibotè. Pi>m. Scavare,
• vuotare. - r. G ù r è.
Garnàc. Piem. Ciarpe, ciarpame.
Garsamèla. Piem. Laringe.
G a radi. Piem. Tralcio della vite,
serroeDlo, magliuòlo. - K anche
Risòira, Cogiòira.
G a r u 1 1 a. Ou!x. Bleretricc, libertina.
f^. Ciòrnia, Lùffia, Tartusa,
Garàude, Gòria.
Ga rv. Piem. Sello. Dicesi di terreno
non assodato.
Gasse. Piem. Eccitare, stuzzicare. -
py. Agacer. • (^r. Akazèin.
Gatìi. Piem. Sollético, diiético. -
Bresciano Gatigol. • Mil. G a 1 i 1 1 ,
garìtt.
Gavass. Piem. Gozzo-
Gavia. Piem. Conca, catino.
Gene. Piem. Impacciare, disturba-
re. - Fr. Géner.
Geo il. Piem. Puro, mero, genuino.
Gerb. f. .S. Pane. - Piem. e Mil. So-
daglia, landa, luogo stèrile. .- f^.
anche Gèrbola.
Ctrhsi. Piem. Covone, manipolo. -
- Gerbè. Accovonare.
Gèrbola. Piem. Landa, sodaglia.
Gerle. Piem. Sudicio, sozzo.
Ghedo. Piem. Garbo, grazia.
Gliéisi. y.S.Fsime. - f^. Sgòsa,
Basorda, Grangia, Néglia.
Chén, gbin. - Monf. Blajali. - f^
anche Crin r Toi.
G h e n i a. Piem. Cosuccia , baziècola.
G herbe. Piem. Rigògolo, beccafico.
- MiU, Gaibé. - f^. nel f^oc. Lomh.
Galbéder.
G h e r m o. Piem. Stia, carrucolo fatto
di vimini. Dicesi anche hi 9i eGro-
mo. - Mil. Còreg.
G iài. Piem. Nero. - Alp. Voglia, de-
siderio.
Gianin. Piem. Bruco, vermicello.
Già ri. Piem. Topo, ratto.
G i b 0 r è. Piem. Sconvòlgere.
G i t. Piem. Gajo, vispo.
G idi.' Pi>m. Loglio.
Giòia. Piem. e Br. Baldoria, alle-
gria. - y. nel Voc. Lomb. -Giòia.
Giora. Pi'ém. Vacca vecchia, magra.
- Bresciano. Gloria.
Giùc, giòc. Piem. Pollajo. • Gio-
che. Appollajarsi.
Glissò. Piem. Sdrucciolare, scivola- '
re. • Fr. Glisser.
Gò. Piem. Pitocco, misero. -Gosaja.
Poverume, ciurmaglia di pòveri. -
Fr. G u ejii X.
G 0 d r 6 n. l\fm. Catrame. - Fr. G o u-
dron.
Gèi. Pii^. Lisca.
Gòi, gòja. Piem. Laguna, stagno.
Gola. Piem. Bernòcolo, pùllca.
Gora. Piem • ò o r i n . Mil. Vermena ,
vinco. - Di qui la voce piem. G òr
regn. Tiglioso, màzzero, come ag-
giunto di pane stantio.
Goti. F. S. Uomo.
Gòria. y. S. Meretrice, bagascia. -
y. sopra G a rulla.
Grangia. Piem. Fame. - y. Basor-
da, Ghéisi e Sgòsa.
Grave. Piem. Scolpire, incidere. -
- Fr. Graver.
Crei. Piem. Fórfora.
Gribòja. P<em. Scioccone, melenso.
Gridi in. Piem. Vispo, snello.
«70
Cri DI ft ss è. Piem, Lagrimare. - FY.
Grimacer.
Grlnfa. Ptem. Zampa, artìglio. -
« Or in fé. Ghermire, abbrancare.
Grinte. P/^m. Spicbe o bacelll smal-
lati.
G rióne. Piem. Frugare, mondare.
Griòta. Plem. Amarasca (frutto).'-
fy. Griotle.
GriTa. Plem. Tordo. - fV. Grive.
Grivoó. Piem. Uomo accorto, disin-
volto. - Femm, Grivoésa. - Fr.
Grivois, grìvoise.
Grdja. Piem, Guscio, scorza. - K
nòia.
Grò la. Piem, Ciabatta.
Grosón. Plem, Giallo càrico, arancio
(color d').
Grfiflè. iVem. Scuffiare,' mangiare
avidamente.
GQrè.Pìffm.8ventrflfre, tirar fuori le
interiora. Jnche mondare pozzi ,
fogne e iimili. - r. Sgu rè, e nel
yocLomb, Sgurà.
Gdsaria. Piem, Indigenza, miseria.
- V, Gfi.
Ighéra, eghiéra. Piem, Brocca,
vaso per aqua. - Mani. Inguéra.
Truogolo. - Pr, Aiguière.
Imita. Brozzo, Eméttere.
In or fan tè. Piem. Istupidire.
Iona. Piem. Fallo, sbaglio, balordà-
gine.
Isì. Alp, Qui.- Già. Itiè. -Fr. lei.
Istór. Piem. Busi, Lavorante, con-
tadino.
Lab ré. Piem. Ghiotto, goloso.
Ladròt. Piem. Falcetto, falcinola. -
r. Dagn.
Lajol, ajdi. Piem. Ramarro, lucer-
PARTI TIRZA
telone. - f. nel Voc. Lamb. Lin-
gori, e neWEm. LIgór.
Lam. Plem. Rallentato, rilassalo. •
Lamé. Allentare, rilasciare. Qll^
sia voce ha molla affinità cof leio-
me lemme di Dante,
Landa. Piem. Smòrfia, leziosàgine.
Lapin. Piem, Coniglio. -'Fr. La pio.
Largar, larghe, largià. Qm.
Condurre al pàscolo, pascolare.
Lén. Già. Sùbito, Immantinente.
Lesa. Piem. Treggia, tràino. -Parm.
e Beg. Le zza.
Leta. Piem. 'Scelta, elezione.
Levertin, luvertin. Pfem. Lup-
polo. - K. nel Voc, Lomb, Loer-
tis; e nel f^oc. Emil, Lovartis.
Lifròc. Piem, e Mil. Scioperato.
L i m 0 e i a . Piem. Plgros f entennooe.-
Limocé. Indugiare, esitare.
Livrè. Piem. Terminare, compiere,
consumare.
Lo e è. P/em. Tentennare, tMirdollare.
Fr. Locher.
Lo i r a. Piem. Pigrizia , svoglialeiZL
- Loiròn. Pigro, poltrone. -Mii
Loj. Pigrizia, sonnolenza.- Llròn.
Pigro.
Lorgné. Piem, Sbirciare, addechia-
re. - Fr. Lorgner.
Lesa. Pi'em. Xavagna , ardèsia.
Lo sua. Piem. Baleno, lampo.-Losnè.
Balenare. - K. Ferzasea. Leso. •
Boi, e Beg. Losna. - Mil. Las*
nada, Lampo. - F. Slussi.
Lo tra. 'Piem. Lontano. Forte dal
laMJItra?
LQcsubi. Piem. Stùpido, tiabbèo.
Lùffia. Set, l\ Bagascia. - F, Ga-
rulla.
Lurón. Piem. Furbo, astuto.
Lùsà. Piem. Caduta, stramazzo.
Lùsché. Ptem. Rapire, involare de-
stramente.
Il a e. Piem. Sdaroenle, appena. 7>t-
cefi anche Nume, noma.
Macblgoón. Piem. Sensale d i ca-
valli. - Fr, Maquignon.
Magna. Piem. Zia.
Il a g n i n. Piem,^ Caldera] o. • Lombi
ed Em-, Magna n.
Mag&n. Piem. Lorna, ed Em. Aceo-
ramentOy dolore, rancore.
Mai. Mp. Più.
Mala. Piem. Valìgia. - Fr, Malie.
Malés, maléflo. Piem. Larice, pi*
no. Di qui forse il nome proprio di
H/to09to^ Malesco, luogo cinto
di larici, in Val ^egezza.
Malòros. Piem. Infelice. • Fr. M al-
be u re ux.
Mal pina. Brozzo. Affaticare, pe-
nare.
Malsoà. Piem. Affannato, inquieto.
Manàn. Piem. Rùstico, incivile, vif*
laDO* - y. Maunèt.
Mantàr. Con. Far d'uopo, bisogna-
re. - y. Antàr e Clalàr.
Maràja, marajota. Pi>fti. Bambi-
na, bambinello. Nàtiti^ che Mar,
neWanlicd lingua islandese signi-
fica figlia, e Mercb nei dialetti càm»
tirici. • y. nel yoc. Lom. Ma ràS e
Marò.
Mara man. Piem. Forse, a caso.
Ha reta. Piem. Matassa.
Marèsc^ ma rase. Piem. Fuscelli-
no, fettuccia.
Mar gài. Piem. Cencio, straccio.
Marghé. Piem. Latlajo, formagiajo. -
JLom6. Malghe, maighés. Man-
driano, proprietario di vacche.
Marlàit. Piem. Un tantino, un po-
co. -Marlestio. Un pocolìno.
Marmlìn.Plem.eAfanf. Dito migno-
lo. ^ Mil. M a r m è I. -, Irlandese
' Marmmcar.
DIALirn PBDBWnTAM. 574
Mar mora. Brozzo. Predicare. Si
raffronti alla voce iUUiana Mor-
morare.
Mar òca. Piem. Lomb. ed JFmIi. Ma-
rame, scarto.
Maruf. Piem. Ritroso,, fastidioso.
Harùisè. Piem. Tògliere i| filo ad
arme da taglio.
Masc. Piem. Stregone. - Ma se a.
Strega, maliarda. -
Mascarpin; P/em. Cacio freseo fatto
con fior di latte.- Afi7. Ma seber*
pa. - Piac. Maséiarpéin. Ri-
cotta.
Masnà. Piem. Fanciullo, ragazaa. -
Masnajà, masnojada. Ragaf-
lata, fanciullàgine.
Massàcber. Piem. Tànghero^ til-
lansone.
Ma s ù ra. Piem. Catapecchia, casolare
cadente. - y. Ben», Caborna. '
Hat, mate t. /Yem. Fanciullo, figlio.
- Femtn. Mala, ffi|iteta.
Maunèt.. K.<9. Disonesto. - Piem.
Sporco, sudicio. />*. Malbonné-
te. Villano, incivile.
M é i r , m é i I. Piem. Sermento , ma-
gliuolo, tralcio. -^. Cogiòira,
Garsol, Provana, RIsòira.
Méprisè. Piem. Dispreziare. - Fr.
Méprìser.
Miana. Piem. Paura, -y. Fòfa, Pa-
vana.
Min di. Pi0m. Pigro, tardo. -MI noj è.
Tardare, indugiare.
Mòea. 'Piem. Smorfia, visacclo. -
Mochèse. Boriarsi. - Fr. Se mo-
quer.
Mogia. Piem. Giovenca. - Mogión.
Vitello.
Majìs. Piem. Palude, terreno uligi-
noso. - Mil. MoU.
Món- Piem. Mattone.
Morù, m oro nù. Piem. Rabbuffato,
ciplgliato.
Mossón. Piem. Topo selvàtico.
»7S
PARTS miA
Mótrta. Piem, eLomb. Cipiglio, cef-
fo, visaccfo.
M 0 1 u r a. P/em. Macinatura, DNcinata.
Mnl, mulèt. jipl. f^. Figlio, fan-
ciolio. • r. Cèt, Poglin, Toi-
8Ón, Toto, Masoà.
Món. Eha, Maggiore, primo nato.
Murcir, murcbìr^f^. 49. Mangiare.
Mora. Piem, Villanione, tòlico.
MQscis. Piem, Meschino, sconcio. •:
Jnehe miseramente.
MGsè. Piem. Pensare, riflèttere.
IV
Nà. Stozzo. Andare.
Nàè. iVtfVi* Camuscio. - Nacè. De-
^lùdere, adontare. - F, Né e.
Hai ve. Piem, Annaqoare, macerare;
dicali della cànapa e timiU,
Nasi. Gen. Odorato, fiuto. - Lomb. e
yèn. NaaliT.
Nata. Piem. Sùgliero, severo.
NaTÌa, nevia. Piem. >iòtloia , sa-
liscendi. - f^. erica.
Nèc. Piem, Corrucciato^ di mal umo-
•re. -ilfl/. Gnèc.-i9ef.f^. Far nèc.
Cprrucciare, offèndere. - K.,Na£.
Néglla. ^/e//a.-Niglia. Sel.y, Fa-
me, inedia. - KBasorda. G bei-
si, Grangia, Sgosa.
Niss. Piem. Livido, fràcido. -Lomb,
Nifi, niz.
N i t. Brozzo. No, non. - Ted, N i e h t.
Nitta. Piem, e Piac. Melma, limo.
Nùansa. Piem. Gradazione, sfuma-
tura. • Fr. Nuance.
Nùfiè. Pfem, Fiutare, odorare.
nume, Jnd. -Noma, doma. Lom,
Solamente. F. Mac.
Oriol. Pian. Rigògolo. Uccello.
Or issi. Piem rm. Uragano. - 77ci-
nae. Orisi, Aurizi. •• Bomaqnok.
.Aurizl.
Obada. Piem, ru$. Serenata.
Obia (en). And. Incontro. - £. Ob-
viam.
Paci oche. Ptem. Diguazzare.
Painàrd. Piem. Tànghero, Tiilan-
zone. - y. Manàn,M^firs.
Pan tal èra. Piem, Tettoja, tenda.
Pa p 0 1 è. Piem, Vezzeggiare.
Parie. Piem. Scomeltere. 'Fr. Pt-
rier.
Farmela. Piem. Gànghero. - Fr.
Paumelle.
Paraù. Set, y. Scorto, visto. - Ft.
Apper^u. '
Passón. Piem. Palo, ^roncone. -
Passonà. Palafitta.
Patanu. Piem, Ignudo.
Paté. Piem. e ijomb. CeneiajQOlo,
rigattiere.
Patói. Piem. Goazzabagifo, aoonpi-
glio.-PatoJè. Scompigliare, scoa-
vòlgere.
Favài re. Piem. Non molto, poco.
- y. Vài re.
Pavana. Pf'fm. Spavento, paura.-
F. Fòia e Miana.
Pcé. Piem. Nonno, avo. - P ce rèo.
Bisavo, bisnonno.
Pen. Piem. Goccia.
Per. yald. Prèndere.
Péri a. Ptem. Pévera. - y. A vasi ór,
Verslór e Cantabrùna.
Pevìa, pùja, pùvìa. P/cm. Pipita.
- Mil Pili da.
Plaje. Piem. 'Arerò, plàtano sei-
vàlico.
Fianca. Piem, Tàvola , passalòjo. -
Fr, Planche.
P i 0 1 a. Piem, Ascia , accètta.
Plot. Sei, y. Sano , vispo.
Pista. Piem. Beffa, célia.
P i s t ó r . Piem, Pigiatore , ammosti-
•ore. - Fer. Fornajo, paneltlerc. -
L. Pislor. Fornajo.
Pila, f^a/d. Più. - Piem, significa
Pollanca.
Pìtlma. Pftfm. Accorto, furbo.-l.om.
Cavilloso, flemmàtico.
PI Ti. Piem, Rondone, róndine mag-
giore.
Poglin.F..9. Figlio. - #^. Cèl,Mùl»
Tolsón;
Poi ras. Piem, Roncone, falcinola. •
y, Dagn, Ladròt, Ransa.
Pois. Piem, Pisello.- Fr, Pois. -K
anche Arbión.
Pondrà. -Piem, Pojana. Specie di
falco.
Posse. Pi'tfm. Spingere. - Fr. Pous-
ser.
Poterla. Piem, Bianco spino.
Prè. Piem, Ventriglio.
Pricàr. .Spi. f^. Dire.
P rocce, f^in. Vicino. -Fr. Procbe.
Pròn. Hem, Scojàttolo.
Pros, prùsi. Piem. Porca, solco. -
- Mil, Prosa. * Mani. Presòt.
Provana. Piem. Propàgine, ser-
mento. - y. Arcin, Coglòira,
Garzol.
Provèi. Piem, Catena dell'aratro. -
y. anche Frassa.
Prù. Piem. Abbastanza. - Brozzo.
Prò.
PrQs. Piem, Pera. - L. Pyrus.
Psuc. Piem, Becco, rostro.
Puisè. IHem, Vuotare,, consumare -
FS\ Épuiser.
Piiss. Piem. Lezioso, affettato. -Pus-
si è. Carezzare, adulare. - F. Ba-
bure, Blinà.
Rabadàn. Piem. e Lomb, Ctiiasso,
baccano. • Prw, Roumadàn.
Rabarè. Mond, Raccògliere, radu*
nare.
MALrrri pedbmoiita.iii. K73
Rabascè. Piem. Raccògliere, radu-
nare.
Rablè. Piem. Strascinare, trainare.
- Rablòn. Carpone.
Rablòira. Piem. Lumaca. - Fone
da Rablè.
Rabòt. /^em. Pialla. -Rabotè. Pial-
lare. - Fr. Rabot, raboter.
Radolè. /'fem. Vaneggiare, delirare.
- /V» Radoter.
Rajc. Piem. rus. Separare.
Ra i n ù ra. Piem. Incavatura, scana-
latura.
R41I, ral. A>m. Gallinella aquàtica.
Rama. Piem, Spruzzata. Dicesi di
pioggia.
Ramognàn. Piem, Melìac4i.
Ranche. Piem. Strappare, svèllere.
Rande. Piem. Scolmare, ràdere le
misure. - Lomb. Arènt. Rasente,
a randa.
Ransa. Piem. Róncola, falcetto.
Ransonè. P/fm.Taglieggiare, estór-
quere. Fr. Ran^onner.
Ratavolótra. Piem. Pipistrello, nòt-
\o\si,- Propriamente significa: Ratto
volante. Cosi appunto la nòmina il
Lodigiano R a t-sg 0 1 a d ó. - r. fie/
yoc. Lomb. Grignàpola, le-
gna, TegnóI a.
R a va gè. Piem. I>evastare. - Fr. Ri-
vAger.
Ravlù. Piem. Stopposo. - F. anche
Cocionu.
Refrèn. Piem. Ritornello. -Fr. Re-
frain.
Regretc. Piem. Compiangere, ram-
maricare. - Fr. Regretter.
Réid. Piem. Rattrappato, rigido. -
Fr.Koìdì.
Reta. Piem. Striscia, fila.
Rema. Piem. Travicello, corrente.
Rèn. jllp. Nulla. - /•>•. Rìen. Forse
dal L. Rem?
Ren, rèssa. Piem. 'Ordine, fila,
rango. - K. Reta.
»74
PARTI TBIUe.4
Revè. Piem. Sognare, fantasticare.
Riào; Piem. Riirronc^ scavo fallo
dalle aque.
RIana. Piem. Fogna-, sentina. - F.
Ariana.
Riho tè. A'tfm. e ^m6. Gozzovigliare.
Rigiizigllo. Mond. Gozzoviglia.-
Piem. Rigo sic.
R tondi n. Piem. Tritello. - ^. Ar-
prum, Ariondin, Bran.
Ri so ira. /Vem. Tralcio di vite. - K.
ancAeGarsot, Arcin, Co gioirà,
Bolùra, Brojón, Provana.
Rista. Piem. Cànapa, garzuolo.
Rd, ròl. Piem, Cerchio, cìrcolo.
Ròcol. Piem. e Lorna. Ragnaja , uc-
ccllalòjo.
Ról. Piem. Ròvere, quercia.
Ròta. Piem. Hallo, guscio.
Ronsa. Piem. Rovo. - Ronsé. Ro-
veto. - /V. Ronce.
Rosine. Piem. Piovigginare.
Ross. Piem. e Lorna. Penzolo, mazzo
di frulla. K. nel Voc. Lomb. Ròs.
Rosse. Piem. Bàttere senza pietà. -
Fr. Rosser.
R uà. Piem. Baco, bruco. - lìom.^ Beg.
e f^er. R uga. - L. Eruca.
Rubi ola. Piem. Pìccolo cacio. -Aft7.
Robiola, robiora.
Rum è. Piem. Grufolare, razzolare.-
Rumenta. Immondizie, lordura.-
f'. nel yoc. Lomb. Romént.
R ù p i a. Piem, Ruga. -Rupi. Rugoso.
Rusa. Piem. Furberia, pretetto. -
Rusè. Pretesta re. - Fr. Ruse,
ruser.
Rùslè. Piem. Rovistare, frugare.
Rùss. Piem. Sommaco. - f^. nélf^oc.
Lomb. Rusca.
S
Sabàrd. Piem. Tànghero, zoticone.
Sacagnè. Piem. Scuòtere, scrollare.
- Fr. Saccader.
Sagrine. Pfem. Affliggere, rattri-
stare. - /'>. Cltagrlner.
Saglir, sair. dip. Uscire, venir
fuori.
Sa na. Piem. Bicchiere, càlice.
Sànàt. Piem. Vitello da latte.
S a n e r è. Àfm. Inca vare.-FVr. fi cb a n*
crcr.
Sa pél. Piem. e Bre$. Cai laja, varco.
Sara, zara. Piem. Còllera, stizza.
Sa mèi. Piem. Crivello. - Forte dal
L. Cernere?
Sarslòt. Piem. Beccafico, ueeello.
Saruzz. Piem. Ribrezzo, brivido,
ghiado. - ^. ancìie Sglii.
Sarvàn. Piem. Incubo, affanno. -
iHi/. Sai va n. - Mil. ru$. Lénteg.
Sa ti. Piem. Addensare, comprimere.
Saviij, savj. Piem. Ago, pungi*
gitone.
Sbajè. Piem. Socchiùdere. - F. nd
t^'oc. Loutb. Bada.
Sbardè. Piem. Spàrgere, sparpi-
gliare.
S barn è. Piem. Spaventare, sbara-
gliare.
Sbergiairè. Piem. Dar la fuga, io-
calzare. - y. Clan pai rè.
Sbergnicbè. Piem. Soppeslare,
schiacciare. - Mil. S g n 1 cà. - Parm.
S g n a e a r.
Slùa, splùa. Piem. Scintilla, la-
vi Ila.
Sboi. Piem. Spavento, sbalordi-
mento.
S bore. Piem. Sbruca rc-^ficike sd^l^
ciolarc, scivolare. - F. Scbiè.
S^bra masse. Piem. Sgridare.
Sbrinò. Piem. Spruzzo. - Sbrincè.
Spruzzare.
Sbris. Piem. e Lomb. Lógoro, là-
cero.
Sbrolc. Piem. Sfrondare, brucare.
Sb ù r d i. Piem. Spaventare, atterrire.
Scarabèo. Piem. Sgorbio.
Scarpentà. Piem. Scarmigliato.
DULETTI rEDEMOKTANl.
Scèrner. ^aW. - S ce rr e. .-/cr. Sce-
gliere.
57»
Schio, sgbiè. Piem. Scivolare,
sdrucciolare.
Sciancar, f^ald. Scoppiare. - Piem.
S ò i a n e h è. Stracciare, squarciare.
Sdiàss. Piem. Flllo, compallo. -
Solasse. Comprìmere, serrare. -
j|fi7. Silàss, séiàsser. - Piac.
Séiàssag. Fidò, compatto.
Séiavandé. Piem, Boaro, bifolco.
So io n fé. Piem. Scoppiare.
Sélorgni. Piem. Assordale.
Sco. Mond, - Scoi. 'Biit. e Cairo. -
Scóa. Ormea. Pascolare, pàscere.
- K. Largar.
Sconsubla. Piem. Comitiva, bri-
gata. - Prw.^ Mani, e fieg. Mol-
titùdine.
Scòp. Piem. Tronco, ramo reciso. -
Scope. Scapezzare.
Sc6r. Piem. Nàusea, schifo. - Dicesi
anche Stri.
Scossai. Piem. e Lomb. Grembiule.
- f^. nel Voc. Lomb. Scòss.
Scravassa. Piem. Setola.
8 eros. Piem. Sozzo, sùcido. - K. an-
che Bla une t.
Scrussì. Ptem. Scrosciare, screpo-
lare. - Fesso , screpolato.
Sé ber. Piem. e Lo^nb. Bigoncia, ma-
stello. - Sebré. Bottajo.
Seiràss, sairàss. - lHe:m. Ricotta.
For$e dalla voce siero?
S fra sé. Piem. Abortire, dispèrdere
il parto. Dicesi solo degli animali.
Sfurniór. Piem. NIdace. - à fur-
ti fòt. Implume.
Sgairé,sgheiré, sghelràr.PiCTw.
Sciupare, dissipare. -T: anche B a r-
bàr. Flambar, Fric'udc». Sgu-
llardàr.
Sgarbél. Piem. Squarcio. - Sgar-
blà. Squarciato.
Sgaré. Piem. Sviare, deviare. Pr.
Égarer.
Sga rogne. Piem. Scalfire.
Sghiè. Piem. Scivolare. - Sghiós.
Sdrucciolevole.
Sgiài. PiVm. Brivido, ribrezzo. -3ff/.
Sca||^.
Sgnachè, sgnichè. Piem. SchiaC'
ciare. - T. S b e rg n I cb è.
S gogne. Piem. Contrafare, far le
flche.
Sgosa, 8g58ia. Piem. e Can.Tanit.
' Loìnb. Sgajósa.-ilfayi/.Sghiza.
- f. Basorda, 'Ghélsi; enei
Voc. Emil. Sghe^sa.
Sgul lardar. Can. Dissipare. - f '.
Sgaire.
Sgurc. Pi>m. -Sgurà. Lomb. Astèr-
gere, forbire, - Gael. Sgur. - V.
nel Voc, Emil. S g u r à r.
Sgurma. Set. V. Fame. V. Sgosa,
Basorda, Grangia, Negli a.
Sìa. Piem. Secchia. - Fr. STéau.
Sim. Piem. Sego.
Sire, sirogné. Piem. Tòrcere, pie-
gare.
Siri. Piem. Gallo alpestre;
Slvignòla. P/ftn. Manubrio, mano-
vello.
Slipè. Piem. Sbiecare, tagliare obli-
quamente. Di qui diconsi hip e le
scìieggie dei rami tagliati.
SI ó ira. Piem. Aratro. Dicesi anche
Arn.
Slòje. Can. Sfinito, languente. - V.
L5J nel Voc. Lomb.
Slussi, si il ss I è. P»cm. Lampeggia-
re. - Fer. Slusnàr. - K. Lósna.
Smisi. Piem. Stemperare, dissòl-
vere.
Smone. Piem. Olfrire, esibire. - Fr.
Semoncer.
Smorbi. Piem. e Lomb. Schifiltoso.
Soà. Piem. Tranquillo, quieto.
Soàstr. Piem. Cànapo, gómena.
Sobòc. Piem. Rimbalzo.
Soli. Piem. e Mil. Liscio. - ^oliè.
Lisciare. - Em. Sóli, sollà.
576
PARTB VBKU
Sorobre. Piem, Oscuro, tetro. - Fr.
Sombre.
Sonar. Jlp, Chiamare, appellare.
Sonde. PJem.Tasteggiare. - Fr. S o n-
der.
Sp a r m è. Piem. Temere , pavjentare.
• S par ni. Terrore, spavento.
Spiar, f^ald. Chièdere, Interrogare.
- Piem., Spìe.
S più fri. Piem. Uenolo, floscio.
Sqoajà. Set. V. Ammanare.
Sq u a r è. Piem. Sdrucciolare , scivo-
lare. V. Se hi è, Sborè.
Squieè. Piem. Franare, scoscende-
re. - Sqaita. Frana.
S t é b i. Piem. Tramezzo, assito. -
, Stèle. /Yem.eKer.Scheggle, scaglie.
Stenebiè. Pieim. Disordinare, scon-
vòlgere. - V. Deslc4iebrè.
Stermè, streme. Piem. Nascónde-
re, celare. - Strèm. Nascondiglio,
ripostiglio.
Sterni. Piem. Lastricare, mattonare,
ciottolare. - L. S te mere?
Stravis. Piem. Strano, prodigioso,
incredìbile.
Stri. Piem. Nàusea, schifo. - V. an-
che Se or.
Slrojassèse. Piem. Sdrajarsi.
Stròp. Piem. Stormo, stuolo.
Sul, ass&l. Piem. Scure, àscia.
Sùsambrìn. Piem. Giùggiolo.
Sùsnè, sùsnì. Piem. Agognare,
bramare ardentemente. -AfiT Sus-
si. - Boi. Sunsir.
Sust. Piem. Cura, sollecitùdine. -
Sùstós. Sollécito, attento.
Sva che. P/em. Sparire, dileguarsi.
Svalùrì. Piem. Scolorire.
Svàss. Piem. Sciupo, scialaquo.
Tabalòri, tabalùc. Piem. e Mii.
Sabbione, baggèo.
Tabi a. Pitm. Deschetto, scanno.
Tachignè. Pt>m. Litigare, altercare.
Taconè. Gen. Rattoppare.
T a f i à r. Can. Mangiare , pacchiare.
Ta f US. Piem. Trabocchello, trappoli.
- Anche Carcere.
Tajóla. Piem. Carrùcola, girella.
Tampè, tanpè./Vem. Gettare, lan-
ciare.
Tanpa. Piem. Fossa, sepoltura.
Tapage. Piem. Fracasso, tumulto. -
Ft. Tapage.
Ta ragna. Piem. Filare di viti.
Tarèf. Piem. Blalaticcio, aciaccoso.
Targa, y. S. Patrimonio, avere, so-
stanza.
Tartùsa. Piem. Bagascia. -K. Ciò^
nia, Garàude, Garùlla, Ca-
ria, Ltìffia.
T a vota. Piem. Sempre, ognora.
Téó. Piem. Grasso, pingue. - TeL
Diclc.
T e n p 1 è.PJem.Annojare, Imporlunars.
Tèpa. Piem. e Liomh. Zolla, còtlft;
onìehe musco.
Té pò. Piem. Bica, mucchio di paglia,
e ùmili.
Terla. Piem. Óioja, allegrezza.
Tòi. .Sel.KMajaIe.-K.Crin, Ghén.
Toirè. Piem. Mestare, agitare. -Tòi*
ro. Miscuglio, guazzabuglio.
Toisón. AnA. Figlio. - Mii. e Prw.
T.ós. - V. Tota.
Toma. Piem. Cacio fresco.
Top. Piem. Oscuro, bujo.
Tòpia. Piem. Pèrgola, pergolato.
Tota. Piem. Giovinetta dicondizioae
civile. - Toto. Giovinetto.
Tra. Piem. Spago. - De Irà. Dare
ascolto, dar retta. -Afi7. Dà a tra.
Tracassè. Piem. Inquietare, mole-
stare. - Fr. Tracasser.
Tramane t. Gtfa. Fracasso , susurro.
Tran sì. Pk'em. e Lom6. Assiderato, la-
tlrizzìto.-.W/.Strasì.-PV.Transi.
Travonde. Piem. Trangugiare, lo-
ghiottire.
DIALETTI
Trfpa. Picm. Lottib. e f'cn. Pancia,
ventre.
Trìssè. Pian. Ingannare, truffare.
Truna. Piem. Sotterraneo.
Tuna. Piem. Beffa, burla. • De la
luna. Beffare, schernire.
V
lljÓD. Pinn, Pùngolo, stimolo,
un in. Piem, Usitato, manomesso.
Usèl. Pitm. Abbaìno.
Vai. Piem, Rado^ dod Alto.
Va ire. Piem, Molto, guari. • Fr.
Guère.
Val tè. Piem. Agguatare, stare in
agguato.
Va losca. Piem. Loppa, pula. - y,
aftcA«Vorva. .
Vane. Piem, Vagliare, veutllare.
Vantar, vani è. Gen. Far d'uopo,
bisognare. - f^. Antàr e Cialir.
Varlopa, verlopa. Piem. Pialla.
- FY. Varlope.
PEDEMONTANI. 577
Vanda. Piem. Landa, pianura In-
colla.
Ve ir, vlr. Piem. Vanga. - Va ire.
Vangare.
Versi ór. Piem. Pévera, Imbuto. -
^. Avaslór, Pèrla e Canta-
bruna.
Ve so. Piem, Grillo, uzzolo.
Veligli a. Piem. Bazzècola, Inezia.
- Ve li gì le. Cavillare, sofisllcare.
VIàl. Brozzo. Volla, fiat».
Vièl. Piem, Appassito, vizzo.
Viola (Far). Set. V. Gozzovigliare,
far festa.
V i r. Piem, Giro , cerchio. Z>j gtii V i-
ra, vire, per anello. • Vi rè. Gi-
rare.
Vischè. Piem. Accèndere.
Vii. Piem Presto, sùbUo.-fV.Vile.
Vorva. Piem, Pula, loppa.
Zagajè. Pieim. Schiamazzare, cin-
guettare. - Za gajà. Tafferuglio,
chiasso.
Zara, sarà. Piem. Slizza, còllera.
CAPO IV.
Cenni istorici nulla letteratura dei dialetti peiteiuontani.
Quando ci facciamo a considerare il nùmero e l'importanza
dei componimenti vernàcoli i, che dal sècolo XVI io poi, in quasi
tutte le Provincie d' Italia , vennero successivamente io luce , per
òpera di valenti ingegni, non possiamo imaginare, come tanti
eruditi che imprèsero a raccògliere ed ordinare gli annali delle
lettere itàliche^ quali furono il Crescimbeni, il Quadrio, il (m*
niani, il Ginguené, il Tiraboschi ed il suo continuatore il Lom*
bardi y abbiano potuto accontentarsi di passare in rivista le tante
òpere immortali lasciateci in retaggio dai nostri maggiori neUe
eulte lingue del Lazio e dell'Amo, obliterando affatto, o toc*
cando appena di volo, qualche Saggio di letteratura vernàcola.
Noi abbiamo già visto , nella ràpida enumerazione degli scrit«
tori che in varii tempi illustrarono i dialetti lombardi ed emi*
liani, come fra questi emèrgano uòmini distinti e sommamente
benemèriti delle lèttere clàssiche, quali furono: tra i Lombardi,
Carlo Maria Maggi, Domenico Balestrieri, Cari' Antonio Tanzi,
Girolamo Cerio, Giorgio Giulini, Pietro Verri, Giuseppe Parini,
Giuseppe Bossi, Tommaso Grossi, Francesco Cherubini, France-
sco De Lemene, Lorenzo Mascheroni e Cesare Arici; tra gli Emi-
liani, Giulio Cesare Croci, Maddalena e Teresa Manfredi, Anni-
bale Bartoluzzi^ Pietro Zanetti, Claudio-Ermanno Ferrari, Pietro
Santoni, Antonio Morri, Giovanni Paradisi, Girolamo Baruffaldi,
ed altrelali, nomi tutti assai c^iri alle lèttere ed alle muse ita-
liane; e vcdrem pure come fra i cultori della poesia piemontese
non isdegnàssero prender posto Silvio Balbis, Delfino Muletti,
Vittorio Alfieri. Edoardo Calvo. Michele Ponza, ed una schiera
PARTE TERZA OlALCTTl rEOEHONTANI. 570
di benemèriti coltivatori delle lèttere clàssiche. Abbiamo altresì
dimostrato, come, se la màssima parte dei componimenti di al-
cuni dialetti constano di canzoni da trivio o d'insipidi almanac-
chi, ve n'ha pure un nùmero ragguardévole, che per origina-
lità ed elevatezza di concelti, per squisitezza di gusto ed ele-
ganza di forme possono collocarsi a buon dritto fra le distinte
produzioni delle letterature moderne. Che anzi egli è ormai di-
mostrato e dalla ragione e dai fatti, che nessuna lingua eulta
è cosi atta a ritrarre al vivo il pensiero, i costumi e la vita di
un pòpolo, quanto la favella volgare, nella quale sola ei può
trasfóndere i sentimenti e le passioni che lo informano e ne
determinano il modo di esìstere.
A rèndere escusata ed a spiegare in buona parte questa non
curanza generale delle letterature vernàcole, ci si afiEàcciano al-
cune fòrti e giuste ragioni. La prima, perchè da principio i dia-
letti furono introdotti dagli scrittori nei loro componimenti, per
célia <) e divennero il linguaggio esclusivo dei buffoni nella Co-
media'., e degli scrittori da 4rivia negli Almanacchi. La seconda^
perchè ogni produzione vernàcola, comunque pregévole, è pa-
trimonio esclusivo del municipio o della terra nativa, oltre i
confini della quale non le è dato. spiegare le penne, giacché non
v'ha dubbio, che fa d'uopo aver succhiato col latte la robusta
e vibrata favella del verzajo milanese, per intèndere appieno ^
sentire e gustare le inarrivàbili bellezze delle ispirazioni del
Larghi, del Porta e del Grossi; come è mestieri aver temprata
r ànima sotto l'influenza del profumato cielo di Sicilia, o tra le
festévoli e plàcide isolette della vèneta. laguna, per bearsi nelle
delizie dei canti del Meli, o per assaporare gli arguti sali e le
dolci melodie del Grilli, del Lamberti e del Buratti. La terza,
perché i profondi studj preliminari e il vasto corredo di sòlida
erudizione indispensàbili a chi le coltiva, rèndono in fatti le
clàssiche lèttere a buon diritto venerande sopra d'ogni altra, e al
loro altare attraggono senza eccezione i tributi di tutti i pòpoli;
giacché le lèttere clàssiche non solo parlano alle intere nazioni ,
mentre ^le vernàcole ai sìngoli municipj ; ma sono ancora le sole
intèrpreti delle scienze e delle belle arti.
Se queste brevi osservazioni valgono a rèndere ragione del
R80 PARTE TERZA
poco onore tributato generalmente alla vasta e splèndida lette-
ratura dei moltéplici dialetti italiani, non scemano ponto per
questo i pregi eminenti della medésima, né provano meno ùtile
e meno importante lo studio dei dialetti, per poterne gustare le
peregrine ed esclusive bellezze; giacché, fa par d'uopo il dirlo:
ogni dialetto principale forma quasi una lìngua separata, che
lia Vóci e modi proprj , elementi esclusivamente locali , e quindi
ìndole e vita distinta.
Una prova ineluttàbile di quanto siamo venuti sin qui espo-
nendo ci porge appunto la letteratura dei dialetti pedemontani,
ricca oltremodo di produzioni originali e di miràbili compcud*
menti poètici, sebbene assai poco noti oltre i patrìi confini, e
solo apprezzati come coiiviensi dai culti nazionali.
Prima di farci a tracciare il sommario prospetto della medé-
sima, gioverà preméttere alcune osservazioni generali intorno
alla sua estensione ed al suo caràttere distintivo.
Quanto alla estensione, essa appartiene presso che esdusivt-
mente al gruppo piemontese propriamente detto, o meglio ai-
cera al solo dialetto della Capitale, mentre tutti gli altri di ogni
gruppo, o mancano affatto di componimenti stampati o scrìtti,
o ci pòrgono appena qualche poesìa d'occasione, senza impor-
tanza e di tenulssimo pregio.
Abbiamo appuntato questo fatto, come quello che si ripete in
ogni famiglia, ed in ogni ramo principale di dialetti, ove co-
stantemente il dialetto centrale che rappresenta il tipo comono
è il solo che vanta Tenore d'una propria letteratura, mentre
gli altri furono negletti. Noi abbiamo visto fra i dialetti lom-
bardi il solo milanese possedere una vasta ed eletta letteratura;
giacché se nel gruppo dei lombardi orientali anche il Berga-
masco fu celebrato da parecchi scrittori, ciò deriva dall'essere
quel grup|K) distinto dagli orientali per modo, da poter quasi
costituire un quarto ramo separato della famiglia gallo-itàlica,
del quale appunto il Bergamasco rappresenta il principal tipo.
Similmente nel ramo emiliano vidimo accordato esclusivamente
al Bolognese l'onore d*una letteratura propria; e lo stesso av-
venne in tutte le altre famiglie dei dialetti itàlici, ovo frai
Liguri il solo Genovese, fra i Vèneti il Veneziano, fra i Càmid
DIALETn PBOBMONTANI. K8I
r Udinése, e cosi di sèguito, furono illustrati dar una speciale
e più o meno Tasta letteratura. '
Né questa osservazione è vera solo per le vernàcole lèttere; mit
altresì per le clàssiche, lo sviìnppo delle quali è precipuamente
dovuto alla prevalenza d'un dialètto privilegiato, al quale tutti
gli scrittori vennero mano mano uniformandosi. Cosi infatti la
clàssica letteratura italiana si venne informando sul .dialetto, to-
scano, la spagnuola &a\ casigliano, la francese sul parigino, la
tedesca s(tillo svevo, cbe alla lor volta prevalsero su tutti gli
altri dialetti della- penisola itàlica e dèli' iberica, della Gallia e
della vasta Atemagna-. - . •
Quanto al caràttere distintivo, la letteratura pedem'ontanaV
del pari'cbe quelfa degli altri. due rami, è affatto priva di comi
pomm'enti tradizionali, vale a dire di quei canti popolari, che
accennano al primo sviluppo dèli' incivifiniento nelle ^popolazioni;
ma^ln quella vece, surta %otto gli aiispicj d'una civiltà "già tna-
Uiira^ e quasi novella intèrprete della medésima^ essa è fntfa
artificiale, e tentò contribuire al suo perf^onamento. Perciò
essa eéttsla generalmente di composizioni originali intese, o ^a
celebraire stòrici avvenimenti ; t> a reprimere 1 pf e^udizj , i so-
pr'usi'ed i corrotti costumi dei tempi col mezzo della .salini,-
gènere di componimento al quale. cosi* il dialetto, come il genio
subalpino, "sono mirabilmente appropriati. Invano si cerchereb-
bero nella bibliografia pedemontana quelle poesie d'imitazione,
che abbondane nelle altre letterature vernàcole, e ideile quali
sprecarono il prt)pri'o ingegno e tanti anni dt lavoro valenti
eruditi, qhali sono: la Versione della Gerftsnlemme Liberata^
dell'Eneide e slmili, che costarono tante inùtili fatiche, e forse
non furono mai lette per intero da alcuno. Se si eccettuino al-
cuni brani dei poeti clàssici italiani, V^rte poètica del Bòileaa
ed alcune fàvole del La Fontaine rese liberamente pien^ontesi,
la letteratura vernacola subalpina è tutta originale e diretta per
lo più a' promuòvere, ora coli' apòlogo,, ora colla sàtira {ed <»'
colla fifvolà, le più ùtili histituzioni, e le riforme sociali.
Ciò non pertanto anche questa, come le precedenti, incomin-
ciò' colle produzioni facete intese a trastullare le brigate, giac-
ché non*8ono da considerarsi come parte della letteratura ver-
iàì%
582 PARTI TERZA
nàcola i più antichi Saggi di quei -dialoUi , che . nell' infanzia
della lingua àulica generale tennero luogo di questa ad uso cosi
dvile^ come religioso. Tali sono: Gli statali sopra Vo$piih
della Socielà di S. GiorQio.del, pòpolo* di ChieìHj ed il Giura*
mmto che dovèano prestare i Rettori di quella Società; come
pure le Laudi ^ e le Orazioni dell' antica Casa di Disciplina di
Saluzzo. i primi, che ci furono serbati solo in copia mss. nella
Raccolta dell'avvocato Montalenti di Cbieri^e che furono pù-
blicatiper Inderò dal chiarissimo L. Qbrario^ nel II VoIuiBe
della Storia di Chicrij portano la data del 25 luglio i5Sf.
Dal medésimi appare manifesto, come a quel tempo, dopo la
pnblicazione dello Statuto neirincòndito latino, «i suolessé vol-
garizzarla, per intelligenza comune, trovandosi in più luoghi alla
lipe d'uno Statuto la fòrmola: Lettum et puèlicatum^ et tn^ga-
rizàtum fuit. Le seconde sèrbansi in ui^-Còdicf di Saluzzo, scritto
in; sullo scorcio dei sècolo XIV, ora posseduto dal conte Vittorio
Bayneri di Lagnasco» e furore publicate nel Voi. IV delle Ut-
morie ^lòrico'iliplomàtklie appartenenti alla Città ed ai ifar-
chesi di.jSalusso^ raccolte dall'a^^^ocato Delfino Muktti, e pti-
blitate con addizioni e note da Carlo Muletti (Saluzzo, iS^f).
Questo Còdice, che fu un vecchio Uffizio dei Confratelli deHa
Gasa di disciplina -in Saluzzo, oltre ai Sahni ed alle consuete
proci 'latine j racchiude trentadue inni o canzoni spirituali, dettie
Laudi j nell'incòndita lingua italiana di quel t^mpo, mista di
voci comodi vernàcoli piemontesi, e dieciotto Orazigni dette
RefSomendaciones a nel dialetto locale di qi|el tempo.
Egli è quindi manifesto, che tutti guesti monumenti, anziché
appartenere alla letteratura vernàcola pedemontana, valgono
piuttosto a tracciare i primi sforzi ed i primi tentativi fatti dagli
scrittori onde pulire i rispettivi dialetti, ed a pòrgerci un Sag-
gio, comecché imperfetto, delle forme dei Caletti medésimi a
quel tempo, che, come agevolmente si scx)rge, beo poco diffe-
rivano dalle odierne. Sotto questo aspetto appunta considèràa-
doli, noi li oiTriremo ai nostri lettori nel Capo seguente, insieme
ad una Iscrizione in versi martellianì rimali, che si legge sopra
un muro dirupato della chiesa votiva oretta nell'anno 1403 dalla
pietà dei Saluzzesi, a S. Sebastiano, in occasione d'una pesti*
lenza desolatrice.
DIAlfETTI PBDBHONTArfl. 589 >
Né dèvesi rìsguardare altrimenti una Canzone senza metro
Sterminato, 'scritta in 3ul principiò del sècolo XV, snlla.resa
li Pancalieri alle Brmi di Lodovico principe d'Acaja^ awenuU
l'anno IMO. L'originale si conserva manoscritto negli Archi^
Jella Città 'di Torino; fu publicsita per la prima volta nei II Vo*
lume della Storia dei prìncipi di Sa^ja del ramo d*j4caja
[Tjorino, 1852 ), e riprodotta dal Vallaurì nella Storia della Poe-
IMI Ì4i .Piemonte j componimento rozzissimo, affatto privo dì
idee,' che non è scrìtto né in versi ^ né in prosa, non ih lingua'
italf^a^ né vernàcola,^ ove. (anno rima at^w con bombarde s
ore con ottobre, e che per conseguenza nuli' altro attesta, fuor- ^
cbè l'imperizia e te dabbenàgine deU' anònimo autore.
Il principio della letteratura vernàcola pieìnontese fu propria»
mente segnato ^da Gipvan Giorgio Aliene,^ nòbile astigiano, che
in sul principio del sècolo XVI scrisse e .publij;^ le sue Opwa
fociindaj metro macharronico, materno et gallico Qompositaj 4» '
noi ricordate nella Bibliografia dei dialetti ^lombardi j e ddtte
coi varie .edizioni porgeremo in quella dei pedemontani piùcirr
coslanziate notizie. In questo libro, oltre ad upa poesia msiccà--
rùnica^ che precedette dì molti anni la tanto celebrata del Fo«:
lengo, sopranominato Merlin Cocajo^ ed oltrQ a parecchie poesie
francesi intese a celebrare la gloria delle armi francesi ija^Jtalia^
a' suoi tempi, ^tto il regime cioè di Carlo Viti e. di Luigi XII,
tròvansi racchiuse una Comedla, otto Farse, una Sentenza., una'
Frottola^ una Canzone ed un ^ff^it^dicì/ie^ in dialetto astigiano.*
Dalla natura di questi componimenti è agévole scòrgere^ .come
fossero destinati ad intrattenere lepidamente le brigate, ^1 qnale
scopo appunta 4' Aliene si valse a preferenza, del patrio dialetto.
Questo fine^ è chiaramente manifesto dagli argomenti delle farse
medésime, non che dal Ss^gio che ne porgereipo nel Capo ser
gaeiUe, ed è attestato, da Agostino Chiesa nel Catàlogo di IjtéUi
li Mmitori piemontesi ( Torino ,1614), ove jdice : : Giorgio jÌ liane
d^jteii Bcrisse wi* opera m'olio diletlei^(e in ver^j parte della
Mac€ùroiH€a^ parte d* altri di^rsi capricci in lingua astegianaj
dove vi' sono molto ridepqli farse et altre h fatfe cose da recj-
tarei sopra i balli nel tempo, del carno^ale^ ec. Qò non- pertanto^
cosi nella Comedia, come nelle Fajrse, sebbene assai slegato
ìiSh PARTK TERZA
r intreccio, è spontaneo e naturale il diàlogo sparso qua e la di
arjguti ^àli e di circoslanziati racconti, alti a somiDinistrarci im-
portanti noGzie sui costumi italiani e francesi di que*^ tempi.
Per mala ventura la pittura troppo fedele e mordace di co*
stumi assai depravati nelle classi più distinte della società costò
all'Aliene una lunga e dura prigionia, dalla quale non potè ri-
scattarsi, se non colla solenne ritrattazione de-' suoi scritti, che
furono arsi è distrutti dal Santo Ufficio. Ond' è clìe della prima
edizione di quelli sèrbansl appena in Europa due o tre esem-
plari conosciuti, essendo le edizioni posteriori non solo mutilate
di moHi componimenti, ma castigale in quelli che vi son ri-
prodotti, ove anche la lingua fu ritoccata e resa più conforme
alla parlata del sècolo «successivo.'
Di qiil %ì vede, còme anche la letteratura pieiboQtese, dei
>
pari che fa lombarda e T emiliana, traesse i suoi primordj dal-
, l'ilarità. di alcuni scrittori, che mentre si valsero degli idiomi
culti negli argoiùenti gravi e severi, assegnarono i dialetti ai
faceti ed ai loro-bizarri caprìcci. E di fatti,, oltre alle rìdk^4>l6 farse
dell' Aliene,' intomo alla metà del sècolo XVI, troviamo ma Vil-
lano innamorato y che parla il dialetto pfemontese in una Cotnedia
pastorale in ottava rima di Bartolomraeo Braida da Sommariva,
dedicata a.hiadama Francesca de Foys contessa di Tenda e di
Sommariva. Giusta l'opinione del Quadrio, il Braida era lo stesso
^rtolommeo Abrato, -grande amico del Marini; il Vallauri, che
fra |(K altri componimenti del Braida fa menzione. di questo
dramma in cinque atti, ebbe a dire, che, sebbene vizióso in
quanto all' orditura j neti nianea di un cerio pregio per la verità
del caràttere, pel diàlogo fàcile e ììaturale, e per lo stile quasi
sempre elegante e poètico j e ne adduce in -Saggio una starna.
Noi non possiamo partecipare deir indulgente giudizio di quello
scrittore, ed in Saggio della dappocàgine di quel componimento
' prodorremo a suo luogo un brano del melenso diàlogo del Villano,
che varrà insieme a pòrgere un'idea del dialetto a quei tempi.
Altro Villano che parla 11 dialetto piemontese fu inserito fra
gli interlocutori di altra Comedia pastorale, intitolata Margarita,
di Marc' Antonio Gorena da Savigliano, che si conserva mano-
scritta fra i còdici della Biblioteca dell'Università di Torino.
DIALETTI PEDMONTAM. B81$
Qncsto HlramrKia moitollato suW /^fmintn del Tassai sul Pattar
Fido del Guarini, rappre$9ntato pochi anni -prima in Torjno di-
nanzi atia R. Corte di Savoja ^ è un impasto mal connesso di cast
amorosi, appropriato al gusto dei tempi; ed il f^illano col suo
dialetto fu introdotto insieme al Pedante che sfoggia ricercate
frasi e sentenze italiane e latine per rendere gioviale. la rap-
presentazione. Questo Villano, col nome Toni, fu in sòlito
l'intèrprete degli seri Aeri vernàcoli piemontesi, niiishne nelle
pocsÌB d'occasione, cosi appunto come Baltram da la Cippa', ed
il Bosin lo furono dei poeti milanesi; ond'è, che ancora oggidì
chiàmaqsi in Piemonte Toni le Canzoni popolari cantate dai
cerretani sulle piazze, che corrispóndono Me^Bosimule milanesi.
Nel vòlgere del sècolo XVII, e pel corso di quasi tutto il XVIII
non s'ebbe il dialetto piemontese più nòbile o miglior destina-
zione, mentre tutto questo lungo periodo, ci tramandò ^appena
alcune frivole Canzoni affatto prive di mèrito, fra le quali, solo
per l'importanza stòrica degli argomenti, possiamo mentovare
Yjirpa discordata, ove è descritto l'assedio della città di Torino
sostenuto dalle truppe francesi comandate dal Duca della Fogliada
negli anni 1705 e Ì706; ed una Cantone suU' assedia della for-
tezza d'Alessandria combattuta dalle truppe collegÀte di Spagna,.
Francia, Napoli e Genova negli anni 1741^ e 1740*. Ambedue
questi componimenti anònimi della prima metà del sècolo XVIII,
sono òpera.del sacerdote Francesco Antonio Tarizzo, autore- d'al-
tra descrizione in prosa italiana dell'assedio di Torino (Torino,
1707, presso Zappala, in 8.''). Constano di versi ottonarj rimali
a due a due, e neW.'/rpa di^conìaia interpolati irregolarmente da
alcuni endecasìllabi. L'assoluta loro dappocàgljie non è solojcon-
tcasegnata dalla mancanza cl'idce e di pensieri originali, ma
aHresl dalla rozzezza delle forme e delle espressioni, e persino
dalla misura sbagliata dei versi, che in- gran parte abbiam ten-
tato raddrizzare , lasciandone per altro buon nùmero senza mi-
sura e senz'accento, per non alterare le forme del dialetto,^
come può scòrgersi nei Saggi da noi prodotti nel Capo seguente.
Il dialetto piemontese servi ancora dì lèpido intermezzo, par-
lato da alcuni interlocutori in vari componimenti drammàtici per
mùsica, dati in luce nel 1777 in Torino , da anònimo autore.
680 PARTI' TEHIA
Tali sono: Il Notajo onorato', VAdelaria, ed Adelaide regina
d'Italia e poi imperatrice. Sul pregio letteràrio dei quali gio¥eii
«tèndere no beAèfico velo. Interlocutori piemontesi hanno parte
principale nella Gomedia del marchese d'Entraques intitolata: //
CpntéPiolettoj e tutta in dialetto piemontese fu scrìtta la graziosa
comedia Siir Pomponio d'anònimo autore, publicata nei 4800.
Gli altri componimenti vernàcoli di questo stèrile periodo, o
sono canionette volanti d'ocx^sione, o scherzi Urici in morte
d'uba gatta, che formano parte di due Collezioni di poesie ila-
liane sullo stesso argomento, publìcaie nelDa seconda metà del
medésimo sècolo, col tìtolo di: Miccvide, e Nuora Jlficcèide;
ed altretali aberrazioni dell' umano ingegno, che caratCertzzaiio
I gusto depravato del tempo.
Il primo che, versato nelle buone lèttere clàssiche, sollevò
il patrio 'dialetto a dignità di forme, e ne mostrò in alcune poe-
sie fuj^gilive tutta la forza e le grazio sue proprie, si fu- l'abate
Silvio Balbis di Caragllo, che fiori in Saluzzo in sullo scorcio
del sècolo gassato. Forbito ed elegante scrittore italiano- e ver-
sieggiatore distinto, il Balbis non isdegnò talvolta valersi del
patrio dialetto nelle sue poètiche inspirazioni, e lasciò alcani
.Sotielti, che per eleganza di forme, proprietà d'espressioni e
spontaneità del verso sono sempre ammirati. da' suoi coneittadiai.
I primi Saggi furono dall' autore stesso publicati in un Vòlnme
di poesie vari(^nel 1782* Essendo questo diviso in tre parti^ che
raccoglievano le poesie sacre, le profane e le bemcsohe, egli
precorse la pùblica censura col seguente Sonetto, che ci prova
Mi facilità della sua vena:
r
*• ■ • é
A fan nén tanti lunes i cane;
Tiro nén tanti punti i Ciavalin;
. Giuro nén tante volte i viliirin;
S^ conta nén tante nove dai prùcBc;
S'vòd nén tante manissc'al méis d'gené;
A otóber a s'vod nén tanti ca|>(in;
rè nén tanti po|trón tra i spadassìn;
J* è nén tante prsone s^sa dné;
I music a fan nén tante grimassc; -
Sculo nén tante bute i sonadòr; *
Sui cafè j'è nén tanti marca-casse;
Quante rai>ón pr drit e pr travcrs
A s'faràn da pr lui, me car Dolor,
Sili tom prini e sccónd. e dcò sul ters.
DIALETTI peduiokitam. KB7
La maggior parte peraltro delle poesìe piemontesi del Balbis
furono publicate l'anno successivo nella lUiccolta del Pipino,
ove sono in nùmero di sédici. <
Contemporaneo e rivale del Balbis fu il P. Ignazio laler, del-
l'Ordine dei Trinitarj della Crocetta presso' Torino, il quale
nell'anno 1799 vi publicò una serie, di canzoni vernàcole in
buona parte eròtiche, nelle quaK con lèpido ingegno pose in
bella mostra gli arguti sali e le svariate forme del patrio dia-
letto; e versato com'era nella teòrica del Co'nlrapunto, apprestò
ancora le melodie musicali adattandole al rispettivo metro delfo
canzoni medésime, le qnali melodìe si conservano manoscritte
nella doviziosa biblioteca del cav. Promìs a Torino. Sebbene la
voluttà licenziosa di alcuni fra questi componimenti male s'ad-
dica a penna religiosa, ciò nullameno le grazie poètiche oqde
sono qua e là segnalati, li rèsero ben presto popolari in patria,
oTe se ne spacciarono in breve perìodo ben sei edizioni suc-
cessive.
Se il Balbis e Tlsler ebbero per tal modo il vanto d'illustrare
pei priYni il patrio dialetto con poètiche produzioni degne di
plauso per originalità di conqetti, proprietà d'imàginl e spon-
taneità di versi, uqu si serbarono meno lungi da queHa soda e
maschia poesia, che investigando le segrete molle del cuore
umano, lo commuove e lo spinge a generose impresse, o inda-
gando le cause e misurando la profondità delle piaghe sociali,
si erige in campione del salutare incivilimento. Tale infatti è la
precipua ed esclusiva missione delle letterature vernàcole, le sole
cui sia dato favellare alle masse, e penetrare nelle loro viscere;
laddove i componimenti dei sullodati poeti, per la leggerezza
degli argomenti sui quali s'adirano, e per la piacévole ilarità
onde sono svolti, appartengono a quella classe numerosa di pro-
duzioni, che ricreano lo spìrito e i sensi, ed intorpidiscono il
cuore. Noi non sapremmo abastanza commendare, pei lèpidi sali,
per lo grazie poètiche , per la scorrevolezza del verso e per la
condotta, il celebrato ISonetto del Balbis, che incomincia: / fjfiart
a l'ero li chièt eli* a ronfiwo , e che produrremo per intiero nei
seguenti Saggi; ma quando ci facciamo a considerare, che il
poeta trasse argomento da un'orrenda sventura, quale si è un
tf88 «UTC TERZA
.incendio campestre, per ischerzare pocUnde sulla morte dei
sorci, bruciati vivi, non possiamo perdonargli né la leggereoa
del pensiero, né la ferocia del sorriso.-
La gloria di sollevare la poesìa piemontese air altezza delle
più <;uUe vernàcole era serbala al mèdico Edoardo Calvo in sullo
qMmtare del sècolo presente. Dotato dalla, natura di mente nò-
bile ed elevata, di magnànimo cuore e di genio eminentemente
poètico, educato alla scuola dei clàssici greci e latini e temprato
alle rìgide prove della sventura, moalre da un. lato sollevava
eolle sue cure Y umanità languente nel maggiore spedale di To-
rino;) dall'altro rivolse tutti i suoi studj a rimpiàngere e rimuò-
vere le pùbiiche sciagure che a quel tempo opprimevano la sua
patria. Posto fra due sècoli » l'uti contro l* altro armato ^ te-
stimonio dei pregiudiq*, dei delirj e dei sopr'us^ che •laceravano
ìl^.vicenda il suo paese, durante la Rcpùbìica Cisalpina, ei ù
lllfnci^.igeneroso neir agone tentando col prestigio della sua Musa
di sradicare i primi e fulminare i secondi. Accorto schermitore,
egli si valse della potente arme deli' apòlogo , e in una serie dì
Fàvole mirabilmente esposte in tecza rima rappresentò cosi al
vivo i costumi, gli errori ed i delitti del suo tempo, che salu-
tato sin d'allora V Esopo subalpino j rimase .poi sempre modello
inarrivàbile della vernàcola poesìa piemonlese. Siccome il Calvo
amava il proprio paese e professa \;a principj liberali, così, fedele
seguace dell' Alfieri, detestava il governo francese ed i suoi rap-
presentanti; e quindi le sue fàvole e le sue allegorìe avéano
sempre un colore politico, e teudéano per lo più a méttere -ia
luce l'albagìa e le prepotenze dei pnìTenus.j e la spietata dila-
pidazione che si faceva del pùblico erario. A quest'ultimo fine
era appunto diretto altro componimento grazioso dello stesso
Autore, ancora inedito e che porgeremo ai nostri lettori nei se--
guenti Sag^i, intitolato: /ivtabàn baslonù. Durante la Kepùbiica,
* reggéano la pùblica cosa nel 1797, come triumviri, Carlo Bossi
di Torino, Carlo Bolla di S. Giorgio Canavcse, e Carlo Giulio di
Vercelli, che il pòpolo collettivameiite ap|)ellavaM' tre Cario.
Essendo stata un giorno il Rossi bastonato da un anònimo sotto
i pòrtici di Po, il Caho ne trasse argomeplo per la.poesia sum-
uientovata.
DIALEfTt PE0BM011TANI. B89
Non meno miràbile^ come poòtìcp componimento, sì è per
la robustezza dei concetti, per la vivacità delle imàgini e per
la fàcile scorrevolezza del verso, il poema in tre Canti, che il
Calvo publicò col titolo di Follìe religiose j ma per mala ven-
tura lo spìrito irreligìosfo clie lo ha dettato e l'aperta opposi-
zione 2(Ua santità del Vangalo, mentre. dall' un lato annichilarono
un lavoro che<«arebbe stalo pregevolissimo, dall'altro scatena-
rono contro l'Autore una Varila d'irreconciliàbili nemici, che gli
amareggiarono l'esistenza. Perciò il Calvo moriva in sul fior
dell'età nel 1804, né una sola biografia venne an(K)ra descritta
del più grande, del sommo fra i poeti subalpini. Checché ne
si^, se la Patria non gli eresse peranco monumento condegno,
il nome del Calvo vive imperituro nella mente e nell'ammira-
aione de' suoi connazionali, che a gara insegnano ai figli a re;
citarne le Fàvole ^ e persino il colono, dall'alpe e dall' apennioa»
sino al Sesia ed al Po, va cantando giulivo la sua Ode stilta
vita di campagna. . * .
Contemporaneo e rivale del Calvo si fa l'abate Carlo Gasalis,
\alente verseggiatore e cultore distinto del patrio dialetto «» che
illustrò' con .una serie di pregévoli componimenti. Oltre ad. una
Comc,dia in tre Adi meritamente applaudita, così per l'ingegnoso
intreccio, come per la spontaneità e naturalezza del diàlogo, il
Casalis arricchì la patria letteratura vernàcola con uns^ serie di
stupendi sonetti e poesìe in vario metro sopra argomenti sacri
e morali, e con un scelto nùmero di fàvole morali in versi,
nelle quali per lo più prese ad ìmìlaro e.parafhisare gli squi-
siti lavDri del La Fontaine. Sebbene collocalo a. buon dritto fra
i migliori poeti subalpini, il Casalis non raggiunse peraltro né
la forza, né la spontaneità, né il gusto del Calvo,. il quale forse
non sarà per lunga pezza a nessuno secondo.
Sollevata per tal modo all'altezza di molte letterature mo-
derne, la subalpina vantò ben presto una schiera di eletti cul-
tori, che la illustrarono con ogni genere di componimenti. Il
conte Joannìni Ceva tentò con ingegnoso . ardimento di traspor-
tare in versi pìenioiilesì alcuni brai^i scelti del Dante, del Tasso ^
del Petrarca, del Metastasio, e persino Y Oreste dell' Alfieri;
l'avvocato Regis applicò, per la prima volta e con felice riu-
K90 PARTE TERZA
scita, il palrio dialetto air epigramma 9a0ri(*o; la lirica fu col-
tivata con gusto dal c^valicr Borelli, dal MoreUa, dal Pansoya,
dal Bùssolino e dal Peyron. Quest' ùltimo tradusse ancora in
Tersi eròici Vj4rte poètica di Boileao. E sopra tutto venne trat-
tata'mirabilmente la Sàtira dal genio veramente poètico di Nor-
berto Rosa e dall'arguto e versàtile ingegno di Angelo Brofferìo,
gli squisiti componimenti dei quali formane le delizie del pòpolo
subalpino. Alcuni Saggi, in parte inèditi, dei medésimi, che in-
seriremo nel Capo seguente, varranno meglio d'ogni elogio a
pòrgere idea adequata dei distinti loro pregi.
In tanta gara di scrittori, a salvare dall'oblio il crescente
nùmero di poesie d'occasione e di naziopali componimenti, non
cbe ad aprire un agone di comune convegno, fu institnìto sin
dall'anno 1831 un nuovo Almanacco, il quale col titolo di Pamài
piemontèis venne destinato a raccògliere tutte le produzioni poè-
tiche piemontesi èdite ed inèdite d'ogni autore; e quivi infatti
nel vòlgere degli anni successivi comparvero alla Ineef' nuovi
graziosi cbmponimenti di vario gènere di nuovi poeti nazionali
Troppo lungo sarebbe il voler ennméfare le molte prododom
in 4anti volumi racchiuse, ben meritévoli di circostanziati com
menti. Restringendoci quindi ai puri cenni che ci siamo propo
sii, avvertiremo solo, come oltre alla ristampa di molti compo
nimentì èditi df vari autori, il Parnaso piemontese contenga
ancora molti graziosi capricci del Pansoya, una serie di poesie,
ballate ed una traduzione delle Furberie di Bertoldo y di Cario
Silva; alquante fàvole, sonetti e poesie di Casalis e di Norberto
Rosa, col poema Don Chisciotte di quest'ultimo; molti compo-
nimenti in vario metro di Onorato Pellico, del Prof. -Robiola,
d'Ignazio Santi, Luigi Bonis, G. Jano, Taja Cròni, G. Rigola,
Raimondo Ferraudi, De Gregori "ed avvocato Pater!; un Diti-
rambo del teòlogo Merlo; la versione piemontese dei primi tre
Ganti del Dante, e varie poesìe del pseudònimo Aldo Marzio
Tuarda; la versione di sédici Odi di Orazio con varie poesìe di
Maurizio Tarditi; ed un nùmero considerevole di cx>mponimenti
più 0 meno pregevoli di anònimi àutorì.
Gloriosa di sì ricco e nòbile patrimonio la letteratura subal-
pina, superiore a molte delle vernàcole, non cede il primato
DIALETTI PEDSMOMTANI. ttO 1
se non alla siciliana, alla napolitana, ed alla veneziana per il
prestìgio delle grazie e dei nùmeri, ed alla milanese per la
copia delle produzioni.
Un dialetto di tanta importaìiza, cosi per l'intrìnseca sua
natura, (*ome per l'estensione delle regioni ov'è parlato, e per
la vastità della letteratura che possiede, non poteva restare
lungamente negletto per quanto concerne gli elementi fonda-
mentali onde consta , vale a dire nel lèssico e nelle forme. In
fatti, se dobbiam crédere alla testimonianza del mèdico Pipino,
sin dall'anno 187^^ Michele Vopisco publicava a Mondovl un
piccolo f^ocabolario piemontese- latino j che lo stesso Pipino as-
serì d'aver veduto nella libreria del Barone Giuseppe Vernazza.
A dire il vero, non sappiamo che altri Io vedesse, oltre il Pi-
pino, mentre il solo Vocabolario supèrstite del Vopiscó fu stam-
pato nel 4K64 col titolo di Promptuarinm, ed è piuttosto ita-
liano-latino, che piemontese, mentre anche le voci piemontesi
The vi si trovano hanno desinenza italiana, come: a [roso, aU'
chwaj'amolàp\ per nfrósj anciùaj amale j e slmili. Il Pipino
soggiunge, che l'Autore, nella prefazione a quel Vocabolario,
avvertiva, come molti autori avessero bensì raffrontate le parole
italiane alle latine, ma nessuno fino allora avesse ihiaginato di
ferlo colle piemontesi ; ciò che darebbe a crédere , che realmente
quel Vocabolario avesse esistito. Checché ne sia, anche il citato
Promptnariìtm può in qualche modp risguardarsi come piemon-
tese-latino ^ nella stessa guisa, che abbiadio citato come latino-
berganuisco quello del Gasperini.
Il primo lavoro di tal fatta , che veran^ente può dirsi piemoU'
iese^ fu intrapreso e publicàto nel 1785 dal mèdico Maurizio
Pipino, il quale si accinse ad illustrare conipiuiaracnte il patrio
dialetto, instituendo un regolare sistema ortogràfico che lo rap-
presentasse in iscritto, fermandone le leggi grammaticali che
ne règgono le forme, e compilando una raccolta di voci alle
quali pose in riscontro lo corrispondenti italiane, latine e fran-
cesi. Se consideriamo la vastità dell' impresa, senza verun soc-
corso di studi preliminari e senza> materiali precedenti, non
possiamo abbastanza commendare il magnànimo ardimento del-
l'Autore, che volle inoltre corredare il suo penoso lavoro di
893 PARTI TBRZA
alcuni cenni stòrici sulle vicènde del dialeUp medesimo docu-
mentati con antichi Saggi ^ con vari componimcnU> in prosa da
lui medésimo a tal fine apprestati , e con una Raccolta di poesie
scelte da diversi autori, che racchiuse in un terzo Volarne. Ma
come avviene sempre a chi si accinge pel primo a lavori di tal
fatta, che richièggono non solo molli e molli anni di stud^, ma^
altresì la collaborazione di parecchi dotti, il Vocabolario del
Pipino non fu se non un primo Saggio proposto ai futuri, che
aspettava ehi lo ampliasse e rettificasse.
Il bisogno d' un libro che col riscontro delle voci vernàcole
agevolasse ai suoi concittadini lo studio della lingua italiana, era
stato frattanto sentito ad un tempo dal sommo Alfieri , il quale
pure si accinse ad apprestarlo; ma l'anima fremente- del trìgieo
itaKano mal s'apponeva alle pazienti indàgini richieste a quel-
l'uopo^ come ne fanno ampia fede i pochi materiali supèrstiti)
che, raccolti religiosamente per rispetto all'Autore, furono po-
blicali nel 1827 in Torino dal chiarissimo Luigi Gibrarìo, col
titolo: F'oci e modi toscani raccolti da littorio Alfieri^ con U
corrhpondeìize de* medéHimi in lingua francese ed in dialetto
piemontese.
intorno a quel tempo, e propriamente nella seconda metà del
sècola passato, un lavoro colassale sul dialetto piemontese venne
intrapreso dal mèdico astigiano Nicolò Gioachino Brovardi, il
quale moriva nel 1796 senza darlo alla luce. Esso consta di
ùndici Volumi manoscritti in folio, nei quali, oltre ad una serie
di osservazioni grammaticali, tròvansi ordinate le voci e le frasi
piemontesi colle corrispondenti italiane, latine e francesi,' e si
conserva nella Biblioteca della R. Academia delle Scienze in
Torino.
A sopperire alle lacune lasciate dai precedenti lavori, il con-
te Luigi Capello di Sanfranco publicava nel 1814 a Torino
un'Opera in due grossi volumi 10-8-.% intitolata: Divtiqnnaiir
portali f piémonlaiS'fratiQaiSj stiki d'un p^ocahnlaire fran^isdes
terntes usiiés dàns ies arls et nìélwrs, ec. Il primo di questi vo-
lumi^ oltre al Vocabolario piemontese- italiano, racchiude ancora
un .-/JH'irii ile noticvs efyniologiiiucs du dìalccto pihnontais ciVi-
pri$ si's rapports mcr Ir latin j rilaliett , Iv fran^ais^ r-espngnol
DIALETTI PeDBUO.>TAKU K93
et i'anglais; il secondo porge 135 vocabolarietti tecnològici ap-
partenenti ad altretanti mestieri: Questo {>ure, come agevol-
mente può scòrgersi dal piano dell'Opera, fu un Saggio più
elaborato e più esteso, anziché un compiuto Vocabolario: ond'è,
che nel successivo anno i8i5 lo studioso piemontese salutava
con gìoja r apparizione d'un nuovo Dizionario piemontese'iitU'
liano'talino'francese che il sacerdote Gisimìro Zallì di Chieri
publicò in Carmagnola in tre grossi Volumi. Ivi infatti V autore
produsse tale un numero di vocàboli nuovi, di frasi e di pro-
verbi piemontesi, da lasciarsi di gran lunga Indietro quanti lo
avéano preceduto. Ciò nulladlmeno non mancarono censori che
lo tacciassero d'inùtile spreco di tempo e di fatica, per aver
aggiunto alla versione italiana eziandìo la latina e la. francese.
Ove peraltro si ponga mente alla stretta affinità del dialetto
piemontese colla lingua francese, màssime nella parte lessicale,
si vedrà quanto facilmente chi si accinge a lavori di tal fatta
debba trovarsi astretto a slmili raffronti, i soli che neir idènti-
che radici gli pòrgano la precida rappresentazione delle^ idènti-
che idee. Né meno ùtile al filòlogo, all'etimòlogo ed al linguista
toma ib raffronto della voce latina, la cui consonanzii o. disére-
panza dalle corrispondenti piemontesi vale a tracciare un cri-
terio per le origini di quelli che ne fanno uso. Che se nella* va-
stità dell'impresa, questa nuòva produzione riesci alquanto im-
perfetta per ommissioni di voci, inesattezza di spiegazioni e
definizioQi, e simili, come ebbe ad avvertire acremente l'^h-
notatore degli- exTori di lingua j oltre che slmili iftaperfezioni
sono più o meno da imputarsi a tutti i Vocabolaristi, l'Autore
pensò ancora a porvi riparo, per quanto crai ad uomo concesso,
in una seconda edizione incominciata nel 1830, e compiuta per
òpera del tipògrafo Barbié, còlto essendo l'Autore da morte
immatura.
Frattanto l'implacàbile censore del Zalli« del Barbié, l'abate
Michele Ponza, dopo aver dato alla luce un piccolo Vocabolario
piemontese-ilalianoj che disse di aver compendiato su quello del
Zalli, e del quale publicò nel 1827 una seconda edizione,'ap-
préstò un lavoro più vasto che vide successivamente la luce dal
1830 al 1833. Ma sebbene sostenuto dall'opera dei benemèriti
590 rian nuA Mium pedommitaiii
seguenti, che insieme ai due Sonetti nei dialetti d'Aqoi e di
Vondov), formano^ per quanto ci consta, tntta la letteratura
BMioferrìna.
Ora da questi ràpidi cenni appare evidente, che la poesia
vernàcola piemonlese^ del pari che la lombarda e VemiNana,
sebbene traesse i suoi prìmordj sin dal principio del sècolo XYI,
non ricevette un compiuto sviluppo, se non nella seconda metà
del sècolo scorso e in sul principio del presente; e che ogni
qualvolta fu coltivata da uòmini d'ingegno ed informati alla
scuola dei clàssici, trovò nei patri! dialetti quell'arrendevolezza
e quella copia di risorse, la cui mercè potè raggiùngere la spon-
taneità, la forza e T eleganza che si ammirano nei versi del
Calvo, del Rosa e del Brofferio.
CAPO V.
óa^gft di tetieratura v€rfiàrx)la lìedemonlana.
Gruppo Piemontese.
Dialetto di Chlerl^
I39Ì. Siccome il più antico monumento del dialeltoi piemon-
tese ci Tiene somministrato negli Statuti sopra r ospizio della
società di S. Giorgio del fìòpolo di Chiari , cosi stimiamo op-
portuno premétterne un brapo, non già come Saggiò di lette-
ratura, ma bensì del dialetto di Cbieri in sul principio del sò^
colo XIV, al quale il seguente documento appartiene. E poiché
non abbiamo veruna sicura norma dalla quale si possa desùmere
la pronunzia di quel tempo, cosi onde non alterarne in venm
modo le forme, lo trascriviamo letteralmente quale fu publicato
dal cav. Gibrario, nel II Volume delle Storie di Chkri.
Alo nom del nostr Segnor Yhii Xpst, amen. A l'an dala soa natività
131 i ^ ala quarta Indicion en saba, a 28 di del mels de loign, en lo pien
e general conscgl dela compagnia de messer saint Georz de Cher, a soa
de campana e a vox de crior. En la chaxa delo dit comùn de Cher al
mod usa, e congrega el fu statuì e ordonà per col consegl, e per gle con-
5egler de lo dit con«egl, e per gle rezior dela dieta compagnia, gle qual
adóne gli. éren en gran quantità, e gnun de lor discrepante fait aprèa
solenn parti che gU infrascripl quatrcent homegn de la ditta compagnia
séen et debien esser perpetuarmeint e se debien nominer un hospicil co
e hospicil dela compagnia de sein Géorz. 1 quagl hom^n debien e seea
enlegnu perpetuarmeint consegler a drit e learmeint la ditta compagnia
e i consol e gli homegn de colla compagnia. E se el entrevenia, que Dee
nel vogla, che alcuna persona que ne fus de la ditta compagnia de qnita
condicion o stat que sea, feris alcun de la ditta compagnia, o veiramenl
fes ferir o vulnerer o veirement a fer la ditta ferua, o vcirament deis
($98 PARTE TERZA
consegl OD favor, o se el enlrevenìs de houre enaint che alcun o alculgn
qui no fossen de la dilla compagnia, o com col o veirament prandcs
guera com lor, que gle infrascripl quatrcent homegn de la ditta com-
pagnia seen enlegnu e debien precizament e senza tenor, porter e defe-
rir pareisament arme, zoè falchastr, iuxerma o sea spà o maza e brazal*
0 sea tavolaza, lant quant porterea col o coigl de la dilla compagnia,
1 quagl bavea o avcs la dilla discordia, e tant qoe la vindita se feis
de la ditta ferua, defln a tant, que col qui avea la discordia*, o chla
serea falla la ditta ferua, o qui ferea la dilla venditla o pas, ossea
•oncordia, pervenis con I sol a andèr e retornèr e estèr con col qui
avea la ditta discordia , e col enoompagnèr; a la qual irioditta fer ooigi
quatrcent bomegn e eh un de lor seen enlegnu e debien preclsament en-
ter^rdoign (i) do la dita compagnia, e ellamdee fer e percurèr con effet
con coigl de la dilla compagnia que la vindita de la percussion que se
ferea a coigl de la ditta compagnia se faxa e se debia farsemlgllanteinent
Oltra da zo ayant espressament dit que se entraveness que atcao qui ne
fos de la ditta compagnia feris^ o féis ferir, o fos a fer cola percuslon,
o dàs conseigl eltorl o favor, o vulneràs alctia o alcoign de colla com-
pagnia » e col .0 coigl de la ditta compagnia qui seen ferul se -vendìcas*
seU, 0 feÌ39en la vlndilta en mod de lo dit maieflci en col o cofg! qui sea
en alcoign de cola parentela , qui no fus de cola compagnia que o reifor
0 sea i reziòr de la dftla compagnia que serea enlourà o que aereo eo
cola compagnia, "e gle omen de cola compagnia e la ditta compagnia aeeo
entegnu , e debien preclsament e senza tenor , e sol la peina e liand da
cent lire de astesan per cbun rezior , extraher e fer extraber de l^avéir da
colla compagala» col o coigl qui feren la dilla vindilla, e 1 lor coavllor
varder senza dagn , o fosen i dlt coaiulor de la ditta compagnia, o no, e
in se fer cura cum efet e eompir que ossea dan, e se debla der a col, o
a coigl qui feren la dilla vlndilta, benna pas e ferma concordia confra
coigl, xonlra i quagl serea falla, e con tut gli altre de la lor parentela, o
fossen, 0 veirament no fossen de la dlla compagnia, e lor costrenzer a fer
\^ dilla pas infra dol mels poi que I9 dilla vindilla serea fallA pisr la vi-
gor de la ditta compagnia, e se el enìreveniss, que col 0 coigl contra el
qoàl se ferea la dilla vindilla, e coigl de la so parentela, 0 sea de la lor
parentela, 0 fossen de la dilla compagnia, 0 no, no vorressen consentir
en la dilla pas fer sarament, e sol cola nieisma peina tiielir la man a Tar
ma presi e robuslamenl, e corer centra coli qui ne voren consentir en
la'diltii pas, e lor Init en tufi niod qui poran costringer en lò qui fazen
la dilla pas, e cola pas obscrvèr, e secnl entegnu perpetuarmeAt incorda
in se, e en tal manera sea coslreit per col e tuli gli atre de la soa paren-
tela a far ìa dilla pas, e a lenir cum effet per Io rezior e per li rezior de
còlla compagnia, e per la compagnia suditta; que se col 0 coigl de soa
(I) Fr4 gli altri.
DIALETTI PBIM9I0NTANI. K9Ì'
pirentela ne volessen far la ditta pas, o falta tenlr^ que o rezior» o aea I
rezior.de la ditta compagnia e eolla compagnia sea entegou pr^clsament
vastèr encoqteDent i soi ben*entejrament, e nUnchan, e tenì)r vasta per*
petuament soe chassa, vigne, choiv e prai (;), de ci a tant qat i avena
consenti en la ditta pas; e se alcun de la ditta soa parentela poi qoe 1 predit
ben jfosseir vasti, deissen alor alcun consegl eitori o sostegn parelsamenl
o privla (9), qne i ben de col 0 de coigl qui deran col tal eonsègi eltorl o
favor, le debién tenir semplglantment devaatèr e lenir minch ap vasterl .
In se coffl el è de sor (s) e dit; e se alcuna persona qui. fossen de cola
compagnia, 0 no, fossen deis 0 feis alcun mal 0 injurla en la persona,
vo (4) en le cosse de col 0 de coigl, qui ne voren. far. la ditta pas, quo
cola tal persona qui averéia dait col mal sea e&tract semiglantemeint senza
dagn per la ditta compagnia, e eclam dco conserva. I qoagl quatrcent 4ut^
vote, e cbnna vota eiLiuint a lor 0 comanda, 0 cria , o veirament aleuto autr
segn ordonà a fer de, la part del resior de la ditta compagnia, a sé qui v«r
nissen a lor con arma 0 senza arme, qui debien venir ao loo («) la onde lo
dit rezior, o sea i rezior fossen, 0 là onde i ferfen crlèr lassa chuna coa|^
a fèr pef acii^npfr le dissori dille cosse e ì lor comandament, e col que
a lo dil rezior ossea I rezior piasirà, e l'onor e lo profft de I» ditta cbm*
pagnla.per la vertù del^arament e set la peina e band de xUre de aste-
san per cbun e per clmna vota, e eeiam de por ter Tarme tan^ quanl fi *
lo dit rezior, 0 sea gli rezior de la copipagnia seen antegnu, e debien
minch an del mels de luign fer appelèr e rezerchèr lo dit hospici del dii
-quatrcent; e seei entreveniss que alcun fos mori, de fèr e suroger un
aotr bon e sufficient en Io de col djt passa de costai vita presente, insi
qoe sempr mai lo dit hospici rentagna en la entera quantità e nómer de
qoatrcent; i quagl .quatrcent debleii jurer de attènder e de observèr cum
effet tojle le predite e sìngole cose e que tuit 1 quatrceni abien lo escu a
Parma de seint Ceorgz; le quagl tute e singole cosse vaglen e tegnen, e
se de^ian perpetuarmeint observèr per. Io rezior, ossea per li rezior d^
la ditta compagnia, eiper gli univers oniegn de colla -compagnia infra*
script a la volontà e dcclaracion scmper de coi 0 de eoli qui averèq la
discordia in.se com el è dit dessori) e de notra part se faza e se debla
fer public instrum'ent a chun qui uxa, Io quar ^nstrument sempr se de-
bla observèr in se, com s'el predit capitol se trovas script en lo volùm
di capitor de cola compagnia in se com gli aitr capìtor de la compagnia;
e se alcun féls, diés, 0 venìs contra la predita, 0 alcuna delle predite
cosse, que 0 sea se reputa e se possa appelèr de tuit treitòr e rebcl de
cola compagnia, e contra col se possa e se debia proceer Insi, com se a
(1) E devait'ar p«i]iettiara«Bte case, vigne, rm$ù e pralù
(2) PalesemcnU, o in privato.
(3) CorQe è cleUo di sopra.
(^4) O, dal latino iv/.
(5) Al Inogo.
600 PARTE TERZA
Favcs metu la man en alcun'om de la dita compagnia. La qval capitor
sea frem e preeìs, e ne se possa remover; ma se debia per chun reziòr
0 reziogl e dmegn de la dita compagnia attènder e observèr sol la peina
e band de vint e v lire de astesàn per chun e per chana vota, olra Cale
te altre e singule pene que se conlènen desorl, neint de mein remanèint
luH gli atre capUor de la dita compagnia en col qui fosten pi fori en-lòr
férmeia, en col velrament que al present capitor fos pi fort de gli altri
8ea derogatori vo otra dlt; e excepta que si alcun de la dita compagnia
slasént for de la Jurdiclon del comun de Cher aves discordia con alena
0 alcoign qui no fossen de Cher o del poelr, que lo predit capitor no
abia loo quant a portèr le arme, en le altre cosse velrament remagna en
la ftoa fermezza. Amen.
Tiello stesso Còdice trovasi volgarizzata la fòrmula del ginri-
mento che dovèano prestare ì rettori della suddetta socieli di
S'. Giorgio. Noi lo trascriviafoo^ deipari che i precedenti Sta-
tuti, letteralmente, eccetto qualche leggera modificazione orlo-
gràfica atta ad agevolare T intelligenza del testo, e lo pòrgiamo
qual monumento prezioso dei primi tentativi fatti onde trar fuori
dai vulgati dialetti municipali la lingua àulica nazionale.
Fòrmula del Giuramento.
Vos domini rectores de la compagnia de messér salnt Georz 6 del pò-
vor de Cher el vostr saramcnt sera tal: o jareral al selgnt De e vangere
de reze^ e de mantenir a benna fai e senza engàn ni dol, le cosse, te
persone e le rassóign de la compagnia de tuta vostra possenza e fòrza,
Juxta 1 capitor e gli Statuì de la ditta compagnia, e mancant capitor, o
sea statuì secónd le bonne usance aprovài^ e capitor o^sea consuetuden
mancant sécond le lai romane tant e se denàr, o sea ceins o rassóign de
colla Compagnia jierveràn a le vostre main, colle .lagi eosse salverai, e
férai salvèr e vardèr; e cola tal monca e rassóign no lasserai occupèr a
gnuna persona, ne de colla ferai alcnn don, e colla compagnia e 'nrezi-
mcnt lasserai second el rood e la forma dei capitor de cola compagnia.
Sic jurabunl, eie.
I§alaxxe«e«
4<iOO. Dall'universale naufragio in cui perirono tanti preziosi
monumenti del patrimònio nazionale non pochi sopravlssero sino
ai giorni nostri, comecché inavvertiti, o sepolti ignominiosa-
mente fra le misteriose latebre degli archivj. Per buona ventura
fra la massa compatta degli inerti salta fuori talora qualche
DIALB1TI rEDEMONTANI. 601
magnànimo intraprendente, che razzolandovi per entro, ne estrae
preziose memòrie e mette in luce notizie, che tutta sconvòlgono
la mal connessa e mal digesta dottrina precedente. A provigrci
l'anzianità del dialetto sulla lingua italiana eziandio in Saluzzo
a' pie delle alpi, venne pochi anni sono avvertito da Carlo Mij^-
lelti, editore delle Memorie slorko-diplomatiche appartenenti
alla città ed ai marchesi di Saluzzo di Delfino Muletti , un Gò-
dice prezioso del sècolo XIV, nel quale tròvansi racchiusi im-
portanti Saggi degli incunàboli della lingua italiana e del dia-
letto allora parlato in quel remoto àngolo della nostra penisola.
Questo Còdice è un vecchio uffizio dei confratelli della casa
di disciplina in Saluzzo, ove oltre ai Salmi ed alle consuete preei
latine, sèrbansi trentadue laudi neir incòndito italiano del sècolo
di Dante, misto di parecchie voci vernàcole piemontesi, e die-
ciotto orazioni col titolo di recoràendaciones j in dialetto salnz-
zese dello stesso tempo. Lieti quindi di poter offrire agli studiosi
un Saggio cosi dei primi passi di nostra lingua, come dell'an-
tico dialetto saluzzese, trascriviamo qui appresso una iscrizione
composta di quattórdici versi martelliani rimati che, oltre al ci-
tato còdice, lèggesi ripetuta con alcune varianti sopra òn muro
dirupato della chiesa volivi già eretta dalla pietà dei Saluzzesi
a S. Sebastiano, nell'anno i403, in occasione d'una p^tilenza
desolatrice. A questa poi soggiungiamo alcune delle mentovata
preghiere vernàcole.
Iscrizione,
Bon Jhesù i mi lamento — e pianzo cum dolore
Che alo mn core ì no senio — de lo tò doze aniore:
E cum Jhcsù i mi lamento — e pianzo cum trlsteza,
Che alo me core i no sento — de la soa dolccza.
Signore, dame alegrezza — per la toa bontade,
^on vardèr a li miei pecài , — oi doze creatore ,
0 creatore mio pietoso, — cum (e i voglio far pax.
1 sunto (i) tristo e doloroso, — che i sunto stalo si marvax (s);
(I) lo sono. (2) Malvagio.
B ft
*Mm^^
im^^ » yiwi» m. -yìM,
e-^-i
^^0^ t0t. u '^Artilis* ff }Mi» t fj^t «spi*r 'III! mi. • d -r* - d
t0 ^cHkftMrtf» J^s' If:: l/Mf.^. )^f:A iJUKL.
éià4*r4J^é « «wC^r ««u^ ;« lf<i*flJ4 CTMilJXii.'U il» anr-1 -r of «ni
*■ u^fpUt *itf hi , *' %éì*t^*\hu 4éc Uff ktttfH^. Uuì th* lA dìcfa comonità potf>
I; M#-*"i# (^; StA^ttHiH ( 5/ 4 H## PhI*
DIALETTI PEIlDMniT4M
Noi se lorncrcma a la gloriosa Vergcna M*rìk Imiw^ .^
fnrt e speransa di pecca tór, che el gli piaia ò« pt»^ r i.^.
per salvasión de tiita la umana generassión, cdb^ i» ^ ^^^^
questa preera, che sum enc6l avue falle en ehctCa cm». * x^
vèrs mund per la soa sanctisslma pietà e mlsericM^i». ft, «««^ «
riosissima e benignìssiina mare de Dò nos oda, più ìmì ^
%\ dlréro en soa reverensla una SaX^e regina j ce. ""
Ì4i0. Sebbene considerato qual componimenfo j^^s^a v«
pari che siccome Saggio di lingua, non \a1ga a pr«Mb^«: w
runa autorévole testimonianza, ciò nullostante non fr^rrthani a
spensarci dal produrre la già da noi mentovata Gànuin^: ainii»
resa di Pancalieri alle armi di Lodovico prìncipe d'Arap; «^
sto componimento fu inserito nel 11 Volume della SUnin ^^
princìpi di Sa^oja del ramo d^Acaja (Torino 4833), ove r»!^
biamo attinta.
Che lo Castel de Panealér
Che tuit Icmp era frontcr,
E de tute maloestil fontana
Per mantener la bauzana,
E al pais de Peamónt tratèr darmage,
E li segnùr de chel castèl n'aven lo coragc;
Ora le bon prlncl de la Horea, Luis
El li à descazà, e onorevoimcnt conquis,
Che 0 grà 80 est ferma,
E tùt entórn environà
De gent da pc e de gcnt d'arme
Unt'érent trèi coglàrl, e quatre bombarde.
Ma per la rcrtùi de madona Luisa,
Chel Castel a cambia dcvisa,
Sì cl|c Pan 1410, circa le ss ore.
Lo mercol a' di vini nof de ottovrc,
Chil dei Castel se son rcndu.
E ala merci del dit princi se son metu,
Che gli à de dlntre soe gent manda,
E la soa bandiera sura lo caslèl àn buia;
La qual naia banda broua à traversa,
En criant ante vós: viva lo princi e part versa.
Al qual Dio per la soa bontà
Longament dea vittoria, e bona santa.
Amen.
604 PARTI TCRZA
Pfementeaé rAstle*<
I550Ì II solo componimento che ci fu fatto rinvenire in Sag-
gio del dialetto piemontese alla meti del sècolo XVI, si è una
Gomedia Pastorale di Messcr Bartolommeo Brajda, nella quale
introdusse fra gli interlocutori un Villano che parla in rùstica
favella. Comecché esigui e di niun valore, per mancanza di
migliori materiali, onde riempiere questa lacuna, ne produ-
ciamo pochi versi:
f^illano.
E vogli andè trovè qualcun •
Che me mostra a bin parler
E sor tut a fé l'amò.
{S'abbatte in un cortigiano.)
Bon di ve de, me bel signó, ,
U me simìglie tùt in st^galànt;
Per cert ò dei esse, anamorà ,
Se l^antandmént ne m^à anganni;
O sei coi elle vogni cercànd,
E ve pri per sen Bertrand,
Glie me mostri a fé l'amò.
Se ne fùs pà si bin comprés
Né bin vestì me vegbessi adès.
Basta che ne gli è cosa and' ne me, fica.
Torinese.
4706. In sul principio del sècolo XVIII, come abbiamo altrove
avvertito, fu publicalo in Torino un poemetto col tìtolo: l'Arpa
discordata^ nella quale sono descritti i fatti principali durante
l'assedio della città di Torino negli anni 1705-6. In Saggio del
dialetto piemontese a quel tempo, basti che ne produciamo la
prima parte, non permettendoci la lunghezza e la melcnsàgine
di quel componimento di pòrgerlo per intero.
DIALETTI PEDBMONTA?!!.
605
UArpa discordata
nellaSpriìna e teconda venuta del signor Duca della Fògliada
sotto Torino.
A rè pur venu el dis
Al me cavai Pegàs
De parie de la tragedia en suscint
De Tan mllèslm set centèsim quint.
De pième uo pò de spass,
Esponènd el trcmolàss
D'una man di Turinèls
A Parìf di Fransèls
Vcrs Civàss e la montagna ,
Pais antic de cucagna.
O Dio! chi podria racontò
La gran fùria de raenè el pè?
Tut el mond era de trot
Pr cmballè i so fagòt,
Camlse e linglaria
Con la pecitta femia,
A de parti a la mojér,
Chi per le bande de Clièr,
Chi per Carmagnola,,
Al Blondovi, e Salussola.
En somma I pi goltós
Deventavo generós.
No s' vedeva che Calessànt
Su e giù andè girànt
Con la patròna e la creada,
E semiava , che la Fojada
A j caminàss da ré
Per sparèje qualch morte.
Arcoiqandàndse ad àuta vos
Ai protetór dei paurós ,
Per tute quante le venue
Se vedio de carosse cornùe
Caria de servente e d'arvendjòlre,
D' aramine, cassui e scùmòirc;
E me sautavo mille rabie
De vèdle ancor en cole gabie
Con de gran creste en testa
Da porte el di de festa,
Con de manto fuit a buona man
A garofo e tulipàn.
^^ èlo pa una vergogna.
Vende el lard e salàm de Bologna,
El giambón e la ventresca,
Lingue sala e sautissa fresca
E volèi gire con tante roasche, -^
Con tante pompe, tante frasche?
A j era una con la vantai na
Meza morta de cagnina.
Che plorava com'una vi
De chìttè el so ear mari,
E quas Pavcss su l' estomi
iìn canon de Monsu Vandomi,
Se sfogava en coste parole
Veramént compassionose e drde.
Ah! me car omo, t'àl bin tori
D' sto en Tur in spetè la mori !
Oh! che poc giudizi
De fèto bombarde per caprili,
E d* èsser causa, che mi tornànd a cà
L^abia d^andè sa e là
A serchème un autr spòs
De buona fama, condizión e vós!
Ali non te podria mai lodò
De volèlte fé sbùdlè,
0 da buon, opur en fala
Da quale bomba, o quàic baia.
Sia maladèt ei tò coragl ,
Che sarà causa d' un àutr marlagi !
Nel senti costi piór
(Jn'àutra de buon umor,
E mi, dlss, ch'i ò lassa me pare,
1 me fr<idèi e la mia mare,
E con tùt lo i son de bona voja,
E ne fas pà tan la menoja I
Mediànd eh' i possa andè
Costa sèira a Moncalc ,
Poc m'emporta die menasse
Che fan i Fransèìs de sue carcasse.
Da lì a poc i vedo a comparì
Un niostàs, ma proibì.
Una fomna vestia da dol
A cavai d^ùn bestiol
606
PAITB TBHZA
Con due gran sacchclte
Piene de scàtole e de cornette ,
De sorlót e de brascière^
Piesse, corset e menagere,
Fissu , collarette e nianción ,
Cb'a Pero -tùt el patrimoni
De cola bruta demoni.
Poe aprèss arriva una carrossa
Tira da un cavai e da una ròssa^
E dentr madama Pocflia
Con madamisela Cbiìa,
DIsènt la santa corona,
E vestìe ala buona
Ben e bin aplicà
A pensè ai so pecca,
Credèndse per camin
De vede a brusè Turin,
Pressànd el vitùrin d^andè de'tcot,
E guardèae da TAlbergòt.
Giunt ch'i fiir a san Satvari,
Quanti cofo, e quanti armari!
E benché fii9^ di de festa
Se scapavo dia tempesta
Certi spadassin de prima riga,
Gente sensa pensé e sensa briga ,
Geot da poc, e gent da nént.
Coi capei borda d'argènt»
E piavo le viette
Come tante fomnette,
E credo^cbe da per tuli
A temèisso quoie cosa de brutt.
Olà, Signori Messia,
Taja-cadenne, zerniblu.
Dov'è la gloria e.ron&r
D'artirèse vers Cavór?
Ha andèvne pur geute da cagatela,
Endégn de porte Iji cotela,
Andève a sconde In t'ùp pertus
Con la foca e' con el fus»
f levève coi barbia
Che ve stan sot le narìs,
Per fé de scandescenze
Fqor de le buone ocorenie.
ec« ec« 6c*
4746. Il brano seguente fu tratto dalla Relazio^ dell' assedio
della città d*^lessandiia e blocco' delta cittadella d*essa soste-
luito negli anni 1746-46, scritta in versi piemontesi da un con-
temporàneo.
Acostève bella gent, .
E SCO téme tiili atént;
1 son dame l'atensión
D' fé ve un pòc la descrlsión
Dia cativa e bona sòrt, '
D'Alessandria e d'sé fòrt
Per l'assedi e bloc sostnQ
Con valor e gran virtù.
I Spagnói uni ai Fransèis
A son stàjo sot sinc mèis
Per fé nén ch'I fanfaluc,
E poi vèdse a sta s' un siic.
L'è prò vèi, eh' lu sitadela
L'àn butala a la copèla.
Col pensc d'^fèsne padrón
Sensa gnanc sparé un canon;
A rasón a credio mai
De Irò ve el marchés Caràl
Cosi pràtic del meste ; •
L' àn pensa eh' a dvéls non stè
La metà d' Io eh' a T é f tàA,
E Ioli pdi fùssa fàit, .
Che pia ben per la |;aiiasM
I armetèisa pòi la piassa.
Ma credèndse d'esse al ben,
L'à bsognà mnè '1 pelandòo,
Plé 'I baviìl con doe man
Abatu com tanti can,
A troverò iin goernatór
eh' a fasìa giùst per lór;
Ma fa nén, Tàn pà pers tut,
Bin eh' a sio resta brut brut.
\
DULBTTI PEO^ONTA?!!.
60 7
Quand a 1* àn devu chitè
Le trincere su doi ph.
Stavo alégher, ma da amis,
Che d' frango! e die pernis
A n'àn piane pà tan pòc,
Fin eh' a Pà dura col blóc. '
V era giusta la stagión
D' rène bona provjsión ;
L' è per lo eh' &J rincresìa
De devélsne tire via.'
A 8* faràn mai pi si arlónd
S'andèisso bin al fin del mond.
Porsi adès Pavrio die stent
A pose per si 1 so denti
Ha venómo uh pòc al fàit,
A conte coma Tè 'ndàit
Tut Tafè con realtà.
Prinsipiànd dala sittà,
Giust el bel di d' san Brundn
Son venu fé i fanfarón;
Ma con tuta furbaria,
E fracàss d'moschetaria,
Vers ci bastiòn d'san Martin
Con un strèpit sensa fin.
L'^àn studia de vnie d'nòlt.
Sul pensé d^ sorprende coit
Tùli coi dia guarnisón,
E cfi^a fusso sì tomón.
Cosi garj^, cosi mufi,
A lassèse pie 'ndurmi;
H^ '1 disègn an t' el pi bel
A rè 'ndàit su dM fornèi
An t'un pcit quart d'ora, o tant
Tuli i nostri vigilànt
A marcerò a pìQ so post;
E trovàndse tQt dispósi,
A i àp fàje tant fo adòss,
C^e J àn fin brusàje 1 oss;
E *nt un ora, e fors! mane,
A J àn faJe sbati i flànc;
Ch'el canon d'^eslra fortessn
A j à tniìjc la cavessa ,
Scusa la moschetarìa
Ch^a n^à fànc na cujia;
Cosi furo cori so smac
Obligà a chitè l'atàc.
ec. ec. ec.
Dialetti di SidoBBe e d^ Elva.
1780. Il primo scrittore piemontese che sollevò il patrio
dialetto ad eleganza e dignità di forme ^ come abbiamo avver-
tito nel precedente Capo^ si fu T abate Silvio Balbis^ del quale
abbiamo anche riprodotto un grazioso Sonetto. A meglio con-
statare la spontaneità del suo lèpido ingegno troviamo acconcio il
soggiùngere ancora Taltro Sonetto^ da noi mentovato, per un in-
cendio, insieme alla versione presso che letterale del medé-
simo , nel dialetto di Elva proprio della valle di Macra , d' a-
nònimo autore. Per tal modo, insieme ad un Saggio poètico di
quest'ultimo dialetto, avrà il lettore un fàcile raffronto tra il
medésimo ed il saluzzesc.
608 PARTE TERZA
In occasione d'un orrìbile incendio
micitàlosi per colpa d'una i^ecchia squarquoia
denominata Margritassa.
Sorbito
I giari a l'ero li chièt eh' a ronfavo,
Cogià ant un gran pertus vsin a un- legné;
E ant cól moment, chi sa? forsi a sognavo
Omessi entra ant quale dispensa, o ant quale grane.
Maramàn, quand a Tè eh' mane a J pensavo, '
S'son sentise ant un nén tutti a brusè.
Garra! so-sì rè '1 fo! Carrai E tentavo
Con i barbis rafi d'podéi seapè.
Ma, povre bestie! a Pà venti stè li;
E i pare, e le masnà, e le giarie Incinte,
E I giari da marie, tutt Tè rusli.
Ohi che malori Quante famie distinte
In linea d' giari, ch'no( i avio pr si
An causa d* Blargritassa s^ son estinte 1
Vertiùne del tnedèiimo Sonetto d'anònimo autore nel diatetio di El/fo,
I giari éron achi chièt che ronflivon
Coigià ant un gross suciér vsin al villàr;
E a quel moment, chi sa? forsi i sumiàvon
D'esse entra ant un selllér a raspignàr.
Maramàn, quant che mane i s^u pensa von,
i s'son sentii ant un rèn lucci a brùsàr.
Gara ! èi , so-isi ès Io fuec 1 £ pé tcntàvòn
Abu i barbis rasi d'pulér scapàr.
Ma, paures bèstiesl Cialia star achi;
E i paire, les meinà, giàries provistes,
I mendic da mariàr, tùt es rusti.
Oh! che malùr! Quantes avéro mai vistes
Famìes de giari ch'nus avion pr eisi
Brusàr per Garitùn cma tantcs ristes!
1790. Il sommo tràgico italiano Vittorio Alfieri non isdegnò
talvolta di far uso nei propri versi del patrio dialetto, come ci
attesta il seguente Sonetto da lui dettato contro alcuni severi
censori delle sue Tragedie.
MALBTTl PEDEVONTANI. 600
Sonèt cT tVn y^stsdn
an diféisa d* l sili d'tóe Tragedie.
Son dùr, lo so, sod dSr, ma i parlo a gent
Ch'àq r ànima tant mòla e desiava,
Ch'a rè pa da stupì, se d' costa nià
I plaso apenna apenna a l'un pr scnt.
Tutti s'amparo M Metaslasio a ment,
E a n'ào Porie, 'I cor e i di fodrà;
I eròi a i volo vedde, ma castra;
'L tràgic a lo volo, ma impotènt.
Pur i m^dugn néo pr vint, flo cb'a s' decida,
8' a s'dev tronè sul pale, o solfegiè;
Strasse ^1 cor, o gatlè marlàit Tona.
Già ch'ant cost mond Tuii dràutf bsogna eh' a sgrida»
I d un me dubièt, di'* a ydi ben ben rumiè: '
STè mi ch'son d'fer, o 1 ItalTàn d'potia?
Top|iie0e«
1785. Perchè lo studioso possa meglio conóscere le fórme
del dialetto torinese ia tutta la naturale purezia, colla quale
era parlato sullo scorcio del passato sècolo, stimiamo opportuno
soggiùngere un Discorso in prosa del mèdico Pipino, ove la lin-
gua non è in verun modo forzata, né dal ritmo, né dalla rima;
a tal uopo, fra le varie lèttere proposte dallo stesso nella sua
Grammàtica a Saggio del proprio dialetto, abbiamo preferito la
seguente, poiché vi ragiona sull'indole del dialetto medésimo,
sulla sua importanza e sugli studj che furono anteriórmente in-
trapresi per diffónderne la coltura.
LUra d* Discors,
I lo so, me car amìs, eh' a j*è motbèn eh' a rio, cb'a s' badino, ch'i
m'sia butàme a voléje mostre a scrive, e a voléje de d' règole sul parie
plemontéis. I so, eh' a j'è motbèn cb'a dio, ch'I nost llngoage a l'è 'n
patoà falt tut d' parole cujìe e ramassà quasi da tute. le nasslón. Ma, Dio
bon! E a m'crdne forsl ch'i sia così al scùr, ch'i n'sapia nén, ch'Io cb'a
8' dis dai foreste dia nostra llngoa, Tlstcss a s'pol disc d'tutc? SM Isómo
i prim autór^ cb'a Tàn comensà a scrive '1 Franséis, i trovóma un'Infi-
nità d' parole, eh' al' ora d'adèss i antendrio pi nén; d' parole ch^a l'àn
ramassà dcò lor un pò dai un,. un pò dai altri. SM volòma esaminò i prim
010 PARTB raoA
Italiàn, com sarìa Cino da Pistoja, Dante da Blajan, Fra GuUón d^Aréa,
e poi motbèn d'eòi cb'a l'àn scritt aprèss a lor, quante- parole j'incoD-
trómne provensalc e latine? Voi di^ cb'a J^è poi nsùn mal^ s'el oost parie
a partecipa prinsipalmént dritallàn e d'i franséis, doe llngoe a nostri
temp ben bcle e ben famose pr I gran scritór oh' a j'è stàje. Seve qual a
i'è '1 mal? 'L mal a Tè ch^el piemontéls l'à avù la dlsgrassia d'esse poe
stima dai foreste, e trascura tùt-afàit dai stess nassionàl. Ha, tùt curt,
un à tùt quand ìin pòi esprime con un ìingoage comM avòma noi tiìti 1
nostri sentiménl con natùralessa, con forsa, con grassia, con nobiltà.
I so dcò, eh' a J'è monsu d' Montagna ch'essènd poc informa die cpia-
lità d'I nost diale!, a na parla nén trop lusn, e dls: Qui $i parla ordina-
riametite francese , e pajon lutti molto divoti alla Francia. La lingua
popolare è una lingua la quale non ha qua$i altro ch$ (a pronunzia ila'
liana; il restante sono parole delle nostre. Ma i voi gnanca pième '1
criissi d'riprovèlo, prchè ch'avansa una cosa-chM crdo ^h'a J sfa nsan
eh' a conossa ncn, chTà pia dcò sì 'n scapus, com' a n'a piane Unti altri.
Per mi i-5 senpre crdii, ch'el dialèt piemontéis a fussa non solaméot
preferU)il a qualonqu'-àutr ch'a J sia. 'nt l'Italia e '«t la Fransa; ma ch'a
podéisa 'nt quàicb manera compete con la llngoa fransélsa, e con ristessi
italiana, prchè ch'la nostra gent d'Gort a l'àn sempre usalo, bench'a sic
tutte prsone ch'a san e l'italiàn e '1 franséis ugualmént coma '1 piemon-
téis,. e ch'a ràn bon giist; e l'è slcur ch'a l'avrip nén spetà adèss a
sbandi '1 nost parie da la Cort, s' l'avéisso nén "podu esprime al itìr, con
proprietà, con polissia, con precislón ogni cosa ch'a J podéissa eapltè,
e fl^l'avéisso nén stimalo un parie nòbll e propri d'una' Gort tanl rlspe-
tàbll, com l'è la nostra.
Còst a l'è '1 molìv ch'I m'je son afessionà, e ch'i 5 dàit d'man ben
volonté a fé cost' òpera tan fastidiosa, massimamént poi quand 1 ài savù
ch'S. A. R. la Sora Prinsipessa d'Plemont, con tut lo ch'a sapìa a la per-
fessiòn la soa lingoa cosi bela, a l'à pia geqio al nost parie, s' l'è fasto
mostre dai so prinsìpi, e l'à 'nparàlo tùt ant un nén d'manéra, ch'a
s' spiega cosi ben, com' i posso spleghcse noi, e a lo parla con piasi.
I osservo dcò, ch'a j'è tanti e tanti d'i nostri Vesce selànt, ch'a l'àn
arcomandà, e ch'arcomando ai so pàrochi d' prediche an piemontéis,
prché eh' ràn ricouossii, e eh'riconosso da una part, che con '1 nost
parie a s'pol conserve la dignità con la qual devo esse tratà le cose sa-
cre, e ch^a n' manco nén d'ìespressión pr caparèse la bcnevolensa d' i
udilór, pr de adòss al vissi, pr anime a la virtù; da l'àutra la necessità
eh' la parola d'Idlo a s' promulga d'una manera ch'a sia a la porta d'tntl.
E in futi com' mai vole, ch'antendo l'italiàn tante fie e tante fòmne, tanti
fioi e tanti omini ch'a son mai andàit a scòla, e tanti ch'a J son andàlt,
e che tùtl'dn l'antcndo né tut, nò mès? A l'è ben slcur, eh' le prèdiche
e le dullrtne devo esse fàite pr tùti, e prinsipalmént pr le prsone igno-
rante. S'a volo di la vrità tanti pàrochi, tanti predicatór, tanti missio-
DlALBTTi PeOEVONTANL 0 1 1
nari, oli! clic magiór profit L'àn ricava da dop eh 'a s'sóu bùiàse a pre-
diche 4inl nosì lingoage! Che magiór concórs d'prsone! Prché cosi a s'fan
aniende da tuli.
Lo ch'I dìo die prèdiche a s'podrìa d'cò di dMante altre materie. Cól
paisàn, cól idiota ^h'a fa un cens, ch'a dà na dota, ch'a compra 'n
€lal)òt, cb^a fa una scritùra d'òbllg, un lestamént, s'a Vk d^antende lo
ch^'a j' è 'nt la sccitOra, bsognlo nén ch^el nodàr a j lo spiega 'n plcmon-
Icis? E so-si rè ncn upa cosa nova. Goardè 'nt la crònica dM Monfrà scrila
da Benvnu Sangiòrs, J trovrè ch^quatsènl e slnquanl'anl fa an Ast a J'era
l'usansa d^spiegbè 'nt M Ilngoàgc volgàr dia sita i ordinati d'I Consél, e
9''a fussa nén fasne la spicgassióri, l'ordinato valla nén. A Chèr del mlle-
qtiaUènt I podestà a piavo sempre '1 so giùramént an plemontéis^ ftll 1 5
robligassión d' coste doe notissle a Cin v.er amalòr die lélere, ch'a m'à
dcò grassiosamcnt comtin|càroe un àutr monùmént d'i'istessa sita, ch'a
rè la pi vecia qosa ch'i c'onossa scrita ant nost lingoage^
Ma so-si rè nén M tut. Non solamént a s' trovo d'antich manuscrit 'nt
la lingoa-d^l pais; ma anche d'cose a stampa. Fin sul nasse d'ta tipogra-
fia un Nissàrd a l'à stampa 'At so dlalèt un tratato d'Aritmètica sì a Tùrln
d'I I49s; Glors Arión iin lìber d'Cooiedie e d' poesìe d'I ia4o; Bertromè
Bràida una comedla pastoràl d'I flttttO, dova introduv an sena un per-
sonage ch'a parla picmontéls; e lo ch'a v'farà stupi a l'è, eh' già d'I
fltt74as'è stampàse al Hondvi un pcit vocabularl piemontéls e.latìn ,
ch'i 0 dcò vist con piasi ant la libraria d'cól sgnor ch'I v'o nominàve
poc fa. L'autor d'cóst vocabiìlari Ve Michel Vopisco napolitàn, bon lati-
nista, eh' l'era stàit professor a Padoa, e *nt la prefassión a dis, cb'j era
già motbén d'autor ch'ravìo.uni le parole italiane con le latine; ma
nsun fin alora, ch'a l'avclssa pensa d'iinije 1 picmontéls.
I parlo nén d' tante poesie ch'a son stampàse un pò si, un pò là a nost
rlcòrd; ne i parlo dia famosa Comedla d'I Coni Piolètj né d' tanti bei
componimént ch'a giro scrit a man. Ora, s'tiit so-sì's'é podùse fé fin
adcss, ch'pr scrive 'i piemontéls J'era nsune règole, e nsùn' altre maiiere
ch'servise dl'alfabèt d'i latin, quant pi a s'podràlefè pr l'avnìcon Tagiut
d'raia Gramàtica? Prcbè i spero, eh' mia Gramàtlca, fasènd conosse un
sèrt numer d'son, eh' poi ma ch'esprlmse con l'alfabèt piemontéls, Ivrà
tute le dificoltà e luti i dùbi, eh' ant 'I léslo e serìvio s'incontravo anche
da le prsonc leterale, e ch'a san ben 'l piemoutéis, prché cb'flD adèss
ognun a l'à scrit a so caprlssi. E infali i o osserva tante volto ch'a J va
tiila la pena a lesto com'a s'dev, màssime la prima volta, e ch'ansi cer-
litin lo stento a lese dop d'avèllo scrit. Pensò poi com'mai a l'avrìa podù
fé un pòver foreste! MI i penso d.'avèje trova la strà, eh' fin a costi,
anparà ch'l'avràn ben 'I valor d'Ie litere, a podràn léslo ùgualmént i>cn
com noi.
L'è ben vera, eh' ant vari lo a j voi la viva vós d'I magìster; ma 'nt
poche lessión tùt a s'Impara con fasilità, ce. ce.
643 PARTB TERZA
1800. Sian^o lieti di poter produrre ih Saggio della poesia
vernàcola piemontese in sul principio del presente sècolo, un
componimento inèdito in versi martelliani del più rinomato scrit-
toro del Pamasso subalpino, vogliam dire del celebre mèdico
Edoardo Calvo, autore di molte squisite poesie vernàcole. In
esso, oltre al pregio letterario, è da notarsi l'importanza, come
stòrico monumento del disòrdine , degli abusi e della corrozione
del tempo in cui fu dettato, a reprimere i quali fùVono appunto
sempre diretti gli scritti di questo celebre autóre. E siccome
egli fu egualmente grande in ogni gènere di compotpimento e
ne' vari metri, cosi a pòrgere bastévole idea dell'importanza
della letteratura piemontese, soggiungiamo ancora tre compo-
nimenti dello stesso autore, vale a dire una delle argute sue
fàvole morali, alcune Stanze contro il governo francese di quel
tempo, ed un'Ode sulla Fita della Campagna. A quest'ultima
poi poniamo in riscontro la non meno graziosa parodia del si-
gnor Prunetti sulla Fila della Città,
li primo componimento ancora inèdito è il seguente:
j4 j vèn pr tùit la soa
0 sia
jdrtabàn bastona.
Parti Prima.
La sena rapresenta adès una gran plassa;
S^ osserva da na banda na Cesa , e a s* trova an fassa
Un porti spassìós, duv a s' fa tùt 1 di
. Marca dMe sciele,d' Pài, di c^, e che so m).
Da caot a j'^ 'n palàs guarda da d'sentinele;
A rè li drint eh' a i àbito cule tre giojc bele.
Apena a s*d5rv la sena a s'vod na proccssión
DM Mamaluc eh' a marcio tuit con d'petisslón.
Chi va dame giustlsla; chi va ciamè pietà;
Uo àutr misericordia; un àutr la carila;
E tiiil a s'aucamino, umll com tanti can
Vers el palàs dov'abita dispòtic Artabàn.
Trovo, calànd le scale, d'àitr con la facia smorta,
Ch'a j dìo: franse la pena, si la Giùstisia è morta.
Ma pur, con la speranza d'esse pi fortuna,
A sèguito, e a sdamasse cui povri desgrasslà.
. Dtium. PiDBfoirrAeM. 613
La sena a rapresenU adèss dol slatise vsin:
Ma dui ùssié a la iK>rla uà aèp^ro I confni. -- -
La prima è l'àDtieèméra del pòpol» tovrin,
Ch'a fuma, e ch'a desidera rudlénsa d'AfUbèi»;
Antórn ale rairaje J'è scrii su d'gran cailèl:-
Si ttìti comandóma; i ióma Hiti frèi, . . >■ -
Ma 'nUot vsìn a là porU cb'à l^àulra dà ringrèss, . ^
Ipèrbole e Ironia a dàn a goii» Tacèss,
Disènd a chi s'presenU: CoU-n Ve *i temp (tiupèi; •
4dè»$ Artabàn t'ócupa ant *l C^mitàt s^grèt,
TYoUmd i affé dM Stat; ava nén deitorbà; ^
j1 a'àcùpa d 'la fnibliea eomun felicità!
Coste e mile altre fròtole, Uni pr tratoì-]e, a J dls
Ipèrbole e Ironìa^ gblgnànd sot ai barbis.
Ani la seconda siansa d ìì coroltèt sfgrèt
J' è Mustafà, Arlabàn, Rapina e Bijatèt.
An mèi à-J'è na* tènia parie pr le sedilte;
A j'è d'capón an sima, d'^lbié, d'pàstiss e d^lrQte^
D'sorbét e d' confiture, tute sort d'vln pi bon,
Tùt lo eh' a sHrdva'an. somma de mèlanf là stagión.
Ani un cantón pr fera J'è 4anti sae de dné,
E un pcìt taulìn ch'a computa Rapina fl'Fliitoslé^
eh' a s'àussa, e pòi à dis: Ei e<mi oa M oAT^fÉbl; '
'L qualr intra ani seni mila vittietine vaie ffUki:
Sentènd Io-li .Artabèn , eh'an bOM eompagnia
A sta, d'un:bon capòn fatènd r anatomia,
Rapina y iève matif a J dis, i wfi faHla;
A l'è pr Ire eh' a *'de^ dÌ9Ì4e cui »enl milaf
'L qualr j* intra pr niente, -— GenUria makmtMnaj
Toe d'un eùiònj an coirà respénd «lór Rapina, • •
E pènslù mò eh'i vója fé ma* eh* pr Ula papa?- ' ^
1 so nén eoa* a m'ièhaj se la paeierita m^$capa, ■ •=»'';■*?»* r
Da una parola a rèiitra a s^scèudo ch'a smio iiMll( * ' ' ^**
A son lì pr lirèse quasi ant la faela i piètt;
Ma Miislafa, eh' a Tè pi fnrb e pi prudènt,»
A j fa segn d'apasièsey prchè dMè a j'èd'lRfèDi, ' '-•• '
E a j dls: Pr emta vota Rapina a l'à;¥nkàn^K * • • -' ^•''
A l'è giùstch'a$'di9ida la torta an qmit pamtén; ■ ^^ '
An verità a s' lo merita j eh* l'è *n b<m rUflàn dà dné;
Crdej a saria dipeil trovèlo a rimpiaisè» '
Un bueonsin parèi, ogni sino di^ éio pòet
Su l' istèss pè i' a sèguitOj sempre l* avrà $ò tèe. f
CapasUà Artabàn, dà na feflò ai barbis; .
Ven sìy Rapina j basme; tumuma bon amis,
42
•» • .• '
614 PARTB TERZA
Uentr'a soo lì oh' a maAglo tGII quatr anl'na scQdela,
Pr na segreta porta j' intra oa g^ùjpà bela.
ildèii i aon da chUa; i àèho ma ek'na vota.
Dia Artabàn; lÀUtàriag eamitagna d*ià ala fola. .
Ma antàot a aon tre ore chM povri ManalOc
A 8' trovo ant l'anticàmera, e a htio a sia 's' fio sfic,
Asptànd ch'a la fialssa eoo 'I dovui rlspèt
La graq seduta màgica d'I comilàt seg rèi.
Qhaicduo chM*è vsio d'Ia porta, a J.smia senti d*aniiòr}
-L'àntr cb'a Tà 'I nas pi Iting, a senle-bon edàr; -
Ud a comensa a -dilo a n'aotr pian ant^n^orìa;
An i'un moment un mormora, n'àutr giura, n'avir bsbU.
Ipèrbole, eh' a osserva luti cui muviméhf ,
Fa finta d' nlent, e sghia d' là lesto pr iìn moménl.
Padroni j eh* a i'digagio» eh' a vena df^à martìdt;
S^nòj i Uamalùe a iniroj e ai eiàpo tf«Jii4 fàiL
Anlora tuit esclamo: O che fotu tnUté
L'è mai eul d'eite prtHiil a $'pol jd gnanc mangè!
D^e, eh'adèii i andumo; e H, licbio, ilebii.
Fan dspariè la tàula, e porle via i tasclièt;
E poi a s'^esto titi d'I manto dMMmposlura,
E da gran òm d'aOé eompono la figiira.
D'antórn^ ^,4èle ewi» a Tàn pr oonsultór
S6spèt', BaplDAy OrfOf Uo, Ipocrisia, livór.
I Mamalue a^lnehlno» spòrsènd sóe pttÌ8Si6n;
Lor fan grassla d'arsèlvje con aria d^proteseión;
A 8' degno gnanca d'iésje, lant men d'éenli padè:
Guardrój pensro s'a i dijo: tome da iì q^ààio di.
(Avansè pur la pena, ch'tant n'avri pà d''pi;
8' a sUrata d'na bon' òpera, con seria sort d'gènt,
El temp (ùtik* J'è sempre, ma mai a yè U presèdt.)
I povri Mamalue, vedènd che l'asnaria
Comensa aodè al* incanì bin d'pi d'Io eh' a bsognria,
Dan un racòrs a Giove, pregàndlo pr. pietà,
Ch'a I libera 'n pò d'una d^^i tre can anrabià.
Giove, ehM'era già gonfi, savènd eh' s'a i podio.
D'un del a vorio sballo, e fèse lor tre Dio,
8'arlama 'n pò M brsje, e con un tón seriòa
A dis: d' la-mia giSiiisia ouervè un colp famòs I
I vad traiife adèii^ eom'i ó tratà un gigànL
Dit lo, a lassa corre un pel altitonànt,
Ch'a slrissia, e ch'a j presipita sMa lesta com"l tròn;
A i fot giii da sui Irono, e a I fa reste d'cojòn.
I Mamalue alora resto smamaiùcà;
DlàtBTTI KDBIIOIITà?!!. ftiV
E quand 6n (Teal tre passa pr li pr Ì6 eontrà,
A 8' bùio tfilt a rie; p qaaod a J «ob da vslo ,
Eco un d' cui primi, a dio, eh' a «oi» dvUUà Jrlkhir^
PAETB SiCOIIDA.
A s'vdd na gran eonlrà eoa d'porij fin al fònd.
Da cant tempio d* Minerva; a I va su é gli d'graii mònd.
A sMéz tacà ai pllàatr fin scrii an italliu:
A i vèn pr tuli la soa^ $H*è nén ancSij domdit (f)w
La vòlp a perd 'i pèii, ma perde U vissi? Oìbòì
Tot àitr sana confns; ma rAttabàn, sor no:
Clilàl cli^a l'à i dné, s^n^an fot; pi fler cVun aso, un nui,
A marcia, cti^la^ei^nisa a J teca gnanca M cui; '
E sentiènd chMe sacoeie a son tfit àutr che flape,
A va, eh' a smia eh' a ti^ fin Paria con le cispe.
Ma cui cert scrlt, eh' a s'Iéz tacà su pr i eantòn,
A r eccita an i'I pfilHIf diverse riflessiòn.
Generalmént a s'dis: ^/ $*lò-l^fUua oer*^
Miraco, ma quaicdun eh' a van con atta fiera
Msurànd con insolensa da eap ape ia ghif,
Miraco, tanti làder eh'avipo ùnpuneméni^
TantiG..J maeuiivalof al'èbeÌ0fMf * '
L'è morta la giustiaia, e cM l'à afm, ti omì.
Sentiènd tante beslémle ch'a s^dis pr la sltèt
Un òm sessagenari con dui gran slgn crosti.
No noj eh' a l'è nén morta, a dis, l'è un'ereektj
Poi nén muri giuitiisia; quàie vota al'è^'ndénma;
Ma l'è tant pi teribil, quant pi a l'è iarda; e a $* iroea
D' vote mane ch'Uni penta; i n'a pedré laprópa,
A J passa lì ant cui mentre, con n^arla da scop4ss^
Fier Artabàn, pretènd eh' a J cedo tuti '1 pass.
Cui vèl a J pensa gnanca; chiàl d' sòl a J dà ^n bftlAii ;
Aniora '1 vèi a s' vira, e con un ben bastòn
8ù cule ex-regie spale, invidia di purtor, - *
A J mola na quatrena d' sarache propri d' eBr*
Chiàl a s'Ia sua tute; vorèlslo dèineaseonl
Una, eh' V^ una, a s' poi disse, eh' a va néa •■ flialora.
A s' forma ant un moment d'antórn usa etrona
D'I pòpolo sovràn, eh' lo gnarda e lo cojona.
Cust-si saria 'I moment de vedde a Pevldensa
Ch'i avi l'amor d'I pòpol, la stima e eohfldeosa!
(1) Tìtolo d'una Comodia èht si iipprtMDtaTa in «^IPisteiio giorno.
01 ft KimfK TERZA
Ma a 8on lanle b&tie; la cosa a Tè contraria;
Di vostri amis.a l'è Parmiida Jmagioaria;
Durvi 'd pò 1 of na vota, guardè: d'i vòster mal
Tuit rio , e crio : Rèplica m richiesta ùnivenàL
Tra ie risade, i rèplica, e *l son d^ le bastona
A s' sent lontàn dui isole 'I tapage ant la conlrà.
Filosofia» cli^a s^ trova da li quatr pass lontàa,
A cà d' Minerva, i ciama: C/i' diwo èio eh'a fan?
E intani, cuin*a l'è i&ikina]» cQrlosa, inanco mail
Cor, pr andò dunna « vedde... ma quasi cb'^a J vèn mal.
Qoand a sent cb' un filòsof d' la posta d'Artabàa
A rè stài! sott' ai portj russe gi< cott^ao can.
Filosofia esclama, gridèad anta vendetta:
S*a $' na dà nén n^ esempi j pericola li^ sella.'
Su (ève anànij o dott^ filòsof j ciarlatìmj
yhij mendiche le ipale contuse d'ÀriobànJ
Ma tati cui piidrooi , studlànd I vers d^ Caldo,
Scapànd i armór, s'Ia sbrigo dare d^lprlm cantén.
Poltrona alora esclama Filosofia sdegnosa \
Fora 9oi àitri donca^ o gioventù stùdioeaj
Fot àitr^ cA'tm diprun Urs sé fa»e imi onàr^
1 vendicri 9oi àitri Vinèult d'un professor,
Respónd un d' ool Uardassa, cb^a rè pi cb'l altri ardi:
Noi àitri i s' itnUriod' fèto eh' *'è fosse un di;
Ma adèsSj con vùsira vènia, siira Filosofia^
Sùffri ch'i 9* dio, eh* la causa l'è pa pi nén paria.
jinlora ant, 'IMcèó i>urio fé *n urs baie;
S'I bai Vi suta ai por^, N nén di nostri affé.
Piena d' dispèt e d' rabbia, Filosofia, e d^ sagrìn,
A s' mord i pugn , e smania , a s' scar^cnta ]ì crìn.
Vedènd na tal catàstrofe, pia dala compassión,
Sort da 'na speasieria fliòsof Epiplón.
A j vèn aprèss aò pare con un sanìn d* cord lai ;
Filosofia lo ciùccia, a^J passa 'n poc so mal.
Antera cui fliòsof. Mia caea, avèi pctssiemaj
A j dis , noi eh* i V* parlóntOj ptarlóma pr esperiensa.
Cui tal ch'à smi9»a un vèi, eh' l'à dàit te bastona.
L'è la Giustisiia stessa, l'è na divinità.
Cui so boston l'è un Ègida eh*a fa reste impietri:
Me pare a lo poi (UdIo, i 9* lo póss dir mi.
lAUsè donca eh'a fossa GiùstiÉsia tuit so curs,
A 9oi cosa v'ampòrtio, eh'a gal9anizo un urs?
Filosofia convinta a lassa andè IMmpègn,
E pensa d' riservèse pr quale sogèt pi dègn.
N
niALnn p»nK>KTA!^i 617
*
Ad mcz ale ricade da Tira soffoca,
Ciapa Arfabàn In porla* e va piòrànd a.eii^
A f^se baftsinè dop cula Aera omión ,
Ch^a rè lo ch^j andasia pr fèlo re da bòn.
I spetatór a venero la Providenaa aleroa, .*
eh' a cui ch'son degn d^ la pena a teni> e Id ] la gaerna*
Glùstìssia cambia d^ forma, mostrànd àò ver aspèt^
Fasènd silenzio a tuli, proclama so decrèt.
DbcrAt '
Considerando eh' a m'ordina suvènt, pr d' fin profónda
, La savia Provldensa d' scompari dal mónd.
Quantùnque lo -lì a sìa pr vedde solamént
Fin duva a polo giunze i vissi d' seria gèni,
Ch' a j lassa a bella posta ampì^ la sua m'sura;
"W a i paga d' vote lard , ma a i paga con usura ;
eh' a s' vod an conseguensa le birbe ji trionfa.
Quantunque i so trìònf a posso non dure.
Con tot lo a m' capàsita, ch*i bon eh' a s' trovo opress,
' Contra d'I Ciel a mormoro come an capita adcss;
Che bin eh' d'altri esempi eh' già Pan passa s'io dasse
Sì pochi pass lontàn, a s' son nén emendasse
Cui serti làder public, cui serti spìrit fori,
eh' a j dev tochòje a tuH sicur la stessa sort;
eh' ansi a fan pez ancora, e che pùblicamént
Insulto ncn ma ch'i omini, ma Dio Ponnipotènt;
Conslderànd eh' a importa, s'a s' pòi, d' prevnì i delìtt,
Dag órdin, e i decrelo, ch'avenna subii scritt
El fallo memorando, la vergognosa islj^ria
Ch' j'c capita a Artabàn, pr rèndla pi notòria;
eh' a sia scritt an doi lingue, tacà s' tùli i cantÒB;
eh'a deva publichèla pr lùt 'l mond M tròn;
eh' a tute nov le Muse s' na deva.dèsne part,
eh'a sìo informi! dcò tute le slenze, e tute I art;
eh'an Cesa, fin sul pùlpit, a s' deva pùbiichèse;
Dai birichìn eh'a s' deva pr le contrà eantese^
Pr rèndlo ancor pi public, e pr cb'àna sentensa
A pòssa altestè ai pòsteri i elTèt d'Ia Provldensa.
I voi eh' a devo sùbit Polìss e Tribunal
Pie cognissiòn d*l fatt , e scrive, e fé d' v.erbài.
Espressamént pòi i ordino a luti cui eh' a l' ào
Da giùdichè la causa d'I bastona A rtabàn ,
Ch'a penso, an giùdlcànd con el pi gran rigor,
eh' s'a vèn la sòa pr 1 àitri, a pòi dcò vni pr lór.
018 fAATB TWtML
AnfiD i dag llcensa a i&U 1 Sagislràt
S'a vdlOy d^ beDedìJe;'iDa 1 vói eb'a dventa malt
Tur dm eh' a J véna an testa, cfaiunqoe bmÌ stri,
D^ levèje da ale apaie na sola battona.
Comando Unalménl, ch'a a' dera ant euat piÌMìr
sabit mnrè sa lèpide d' granit o d'alabàstr,
An 80 la qua! a s^ féia a lltre cubitali
Spere ant la Pracidmuaj o oaij ch*i iè *ni i ffuài;
dùittiiia a l'i nén morta; mane eh* un j pema^ a t' trova,
1 voih' trionf, o birbe ^ san cùrt^ n'avi la prova;
A ivèn la$óapr tuti^ $' l'è nèh aneoij domàn.
jineói afe arrivàje la 9Óa pr Jrtai^àn.
Taeà ai orìe tacchèvej o ielmrà impoitùr:
A I YÈN Pa TUIT L4 804: VlBHT VOUE CBACim lOR Tooat
Fra i molti componimenti poètici di qnesto autore emèrsero
specialmente le sue Fàvole Morali j che pnbticò in dae fascicoli,
e che non possiamo abbastanza commendare, cosi per T origi-
nanti del concetto, come per la morale, per lo spirito e per
l'eleganza e spontaneità dell' esposizione. Eccone on
PAULA.
r Intendènt e 7 Alt (4 j.
Vera Tan dia créaasión mila e tnènt,
cioè dnans di diluvi, i animai
L'avio la parola e U sentimént.
Ansi J è chi pretènd, ch'ai Paraguèi,
Ant 'iMiaslasipi, ancora adèss
Le bestie e I abitènt a parlo ugual.
Cosi suta cui clima a l'è permèss
Ai givo, al prpojin, al can, ai gatt
D^ risponde biff e baff al re istèss.
E mi an V vtù manQscrìt ruslè dal ratt,
I rèi truvà na nià d^ sii racònt,
Ch'a son tuli dati dai seni e quatt.
Fra i altri a J n'era fin lèpid pr V apòni
Tra dn Pul e n' Intendènt, ch'era Comést
D' Serse, M qual regnava s^ l'Elespènt.
Sto-si l'era un fachin costrut esprèss
Pr stè con la canaja sul cantón
A ramasse i stivai , vende se stess.
(I) Il pidocchio.
k'
..... * -
DiAunm PBMiioirrAPii. 619
Mi pur la bonna grassia d^ so patron
L'à fÀDe un Intendènt lì su dui pè«
Con spa, prùca e visti caria d' galón.
Sensa conosse ToidIm* d' so meste,
Savènd apenna scriire e fé so noni|
L^è stàii an do 'a Ire di brav finansié.
ScortiaTE tant i rie, cum i povr* òm;
Creava pgpl stagión di nòvi tass;
Tratava cui pais . . . nos-Sgnùr aà comi
Vistièndse od dì, s'è visi cure aa iin brass
Ón.ptti: mez an riànd: E ti birbànt,
A J dis , «Mi me galón V na oos a Mpaaf
£ ered$lù fors ch*i sia un memdicàiU, .
Un go. Un àm d'ia plebe, ùa 4i9grauià,
Un tàianeghfangas un pòver, un furfemiT
A l'è eula geni U^ek* eon eonéium
A èsee rùàià pìp dot perm, dai jmi.
Ma nén w\ òm ek'a l*à l'or a pala. -«-
Che gran dUtamaJ èlo pai ira nuit
L'àirtr a j rispónd ; aavìve forti nén-^
Ch'i urna l'iilése ànpiég, e mi, e tmir
La diferenea a l'è tra 'l pi e 'l mm^
D'I reetnui i pIpuhki e Vim t l'àui
D'i iang d' la pamra gèni e d'I aò ben.
E com ani la natura un mangia Ifàni,
L'aràgn mangia la moeca, e pai etrunèi
Ciapo l'aràgnj e pò 'l farchèi pi àul
Grimpa, quand a j arri9a, i altri otit ^
Fin tant chH $trù$8, o l'aquila, a 'l milàn
Divaro pò 'l farchèt da ban ftalèi;
Cosi l'è pi che gOUt, che un pui pianipian
A rùsia pr dritt public n* inlendini
'L qutU l'à già ruiià 'l gèner umàn.
Olire d* ló-Uj nui dui euma parènl,
E mi, s'i l'ai da dive la vrità,
1 san vostra progenie an dissendènL
Mi san nàit da no lendna ma eh' Jér d* là.
La qual a l'è pòi fia d' cute fol^
Ch' i aoie ani i caeèi qumdes di fu.
Dit-lò, 'I pui. vola via, e i'àuL sonai
A .resta tùtt broda con tanto d' oas,
Seoliènd ch'I poi e.cbièi a Tero ìigMi,
E fàii d' IMstessa pasta, e d' Tbtéss tas.
620 PARTE TERZA
.Peiissión' d' i Can
ali* Eceelensa Ministr d*, la PoUxs.
Eoceieosa, ilustrÌMim ftiUctio,
Cosa i àne mai faje ì povri can
DI eireondari ed' la sita dM*urìn,
eh' a *1 1 voi tùli mort.d^ancd a domin,
DliI pi groaa Cora fin ai pi peli* Ooghìn,
Sensa goanca buie un ComikUràn, •
Gh' rè pr casi, o pr cui fùt deiii,
Ch^a n^ condada a la mori, e a n*è proscrìt?
An eoDCluaiÒD, i suina' luti uguài;
La lege a rè pr tuit, o luralmane,
S''al rè nèn, a dovria esse parèf.
L^àn dìlo i ciarlatàn fina aul banc,
Ch'a fé gluatissia giusta, mai e poi mai,
(Scùsème s'i parluma un po' trop frane),
Tant aut 'i Criminal, ch'ant 'I Clvil,
A s' dev condanè gnun sensa sentii.'
Cli'a sospenda Gin moment ddnqae, £ccelens.i,
E eh' a n' lassa parie prima, e eh^a n' senta,
D'nans fé esegui €u1a fatai sentensa!
Ch'a lésa i nost pape, e ch'a s* conten'
lyesaminéje bin, e p5i ch^a pensa,
8M uma tort, o rasòn ciàira e patenta;
£ s'a l'è nén, parland con poc ris'pèt,
Na vera -porcaria cui sé Decrèt.
Tùt nosir delit, da lo ch'i uma sentì,
A consìst poi, eh' un d' sti di passa ■
Un can a rà raordii, andasànd pr li,
Un gal, ch^a svolastrava ani na contro.
Cust gal becco-fotu, per nén di d^ pi.
S'è botate a crié eh' l'era anrabià.
Chièl a drìttura, prché a l'era un gal »
A voi fé un cagnisldi ùniversàl?
Già ch'a l'è vera, i Io negóma pa,
(Ch'an' casca 'I nas s'i dióma la bùsìa)
Ch'i suma dal pi al mane tuli anrabià;
Ma a rè nen nostra rabia idrofobìa j
Nostra rabia, pr dila com'a va,
A l'è un mal nóv, ch*a s'dis Gallofobia,
Pr^dòi da l'odio ch'i uma centra i Gal,
Autor d^ Dostre miserie e d' nòstri guài.
; ■<•
DIALETTI PCDEMOMTANI. 6^1
*
A dcv savèi chM gal ajit nost p^ìs
Son sempre stàltcl^bsèi d' catlv aCguri ;
eh' a SOR considera 'co m d' iiH'mis
Ant la sita, an campagna, ani i tuguri;
Guài dov^a ficco"*! b^c, magara amb,
A ràn pi gnun rigu&rd, a son d^ diurf;
A s^ poi pi nén regnè né di, oè nSìl, '
fin cb^'un] torsa Tcòl, ^ eh'' a sio coit.
Pr podèje Inirè ant cÀ, sti bosàrón
Dan da Intende CìiPa veno pr guarnè,
. eh** a saràn vfgilànt, e ch*I padrAn
A poi djQrmì'tranquil, e fé 1 s6 afl!è;
Ma gik\ s*a'j créd', é guaU'a fa '1 cojón;
Ch'a s^androma un mbm^nl! costi sparve
A j salito al còl col bèc, e'^a J ga\'o I 6\
Sensa ìnlserieordla ni parò, e ai fioi. /
E poi aprèss a s' bGto a sganassé,
Cum s*à Tavèlsso fàit quàic coita d^ bel.
Dì iin pò ch^ùn a s^ ^orèiss ma eh' lamentè?
Aniora si cVa fan un'Idei ciadèlt
Aniora a s' parla subii d* amasse,
E pr tormént maggior e pi crudét/
Pretendo, ch^a J dìo ancor, biri pbVgà!
D'avèìye'gavà i 51^ e assasslilà.
Noi àitri chM Tavóma pr natura
. L'istìn^ d'isse fedél a chi n* dà d' pan,
1 lassiima, Eccelensa, eh' a s* figura,
S'i poduma suffrì, bln' ch'I sìo à' can',
'N ihgiùstissia tanl néira e tanto dura ,
Da d' futu gai, ch'^a veno da. lòàtàn
Afàiri, spliifrì e tuit piéh d' prpuìn,
Pr vni a robe, e comande a TiirihI
1 diroma nén àut, eh' sti balòss,
Dop d'^avéje mangia e1 bon e**! mèi,
Dop d^avcje roba, ma giù a Tlngròss,
Tute le provislón e '1 fondo véi ,
A pr tendo pr lur fin cui qualr'* osé
Dscarnà, dspolpà, ch^a smìo d' ràstei,
E eh' a son sempre stali, cuna a sàràn
Fin ch^ mond a sarà mond, roba d'i can!
Son nén contènt d'avèine pia la nel,
Mangia le'carn, el coìr, If frlc^sSa,'
D' avèine ciùccia *l sang , i 6Ì e *i servèl ;
D*iEiVèlne'scÌatti|iaIrà fin fora d'cà;
6)i PAKTt naiA
0' avèlne roba '1 pan, butà a rabèl
Pi d' lo ch^a fusso lor d'oans d* vnì an sa;
Ch^ a volo sta geoorla malandrbia
Fin plèoe i oss pr fèse d^ .geiadlna.
La passleiisa a va bin fin a ^na iDira;
A 8^ sofr IlD ch^a s' poi; ma al fin d'I Ad
DU et proverbi: A tèkmctk thi frop IJra.
I urna Alt Doslri cont« e pensa bla ,
Cb' pr muri a pcit fo» rùslà da Pira,
Pes ch'i séiàv aol le man dM Tfinisìn,
A Tera mèi virèje un poc 1 dent.
Posto eb^uD dev muri, muri contènt.
Chi rà sercàne 1 prim» a soq stàit lor;
Noi altri senslblor stasio taot blol
A pena a f(* son flcàse st' Impostór,
A n*è tocàae d^ fé la mala fln.
Lor pretendo la vita» I dné e Tonòr;
Dunque a d|Je so nòm, son d'assassin;
% a mostra H drit d' natura e cui d' le gèni,
Srùn a V voi morde U^ ti tirU i dènL
Noi I uma dit; adèss a toca a voi
A decide la cosa Imparslalmènt,
A gludicbè, chi abia rasón dU dol,
0 i povri can, o I gai impertinènt;
E s' cula arsela eh' i avi fòit pr noi
A convèn nén a lor pi glustaméAt;
B 8' pr Ani ant' na vota tuti I guai ,
8Via nén mèi tire n còl a tùU i gai?
Ma noi altri I clamóma pa nén tant«
1 suma pi diserei d' molo bin;
Ch'a ciapo ma eh' so cui con le doe man,
Ch'a vado al diavo lor, e 1 so prpuìn^
E ch'a s' fermo mal pi fin ch'a saràn
Tant lontàn, cum adèss a n' son da vsin.
Ma Io-li va falt subii, e l glùròma.
Basta ma ch'a s' na vado, 1 perdonóma.
Ma 8' mai 1 pretendèlsso ancora d' stè«
A r avràn mal pi pas su nostra tera;
S'i v51e, I sé padron d' fène masse;
1 miiriruma} ma a sarà mai vera,
Ch' i molro da poltròn. Tùtl'Cin a Tè:
Murlruma glorlòs, fasènd la guera,
E guera a mori, levèvlo pur d'àn testa,
eh' massrè ancor so nimis Tultlm ch'a J resta.
màURi PBDBtfOirràiii.
095
Su la i?ita d* Campagna.
Ode d' Calvo.
Com rè mal lèpida,
L^è mai )>agSana
Cl'idea cli'à stasaica^
La rasaa umanày
Ch'ani la metrèpoii,
Dov le gèni vivo »
Sussuro e bulico
Parèi d' i givo ,
Cula sia runica,
La mèi manera
D'vive an sMa teral
Prcbé eh* là a s^'pràUca
D'gran pereonagi,
J'è d'cà magnìflche
D'bei echipagi,
D'^butegbe splèndide
D'gran elegansa,
D^magìster d'jnusieay
DM mètre d'dansa,
L'è.pien d'^oréflci)
D^ meste eh' frastorno
D'soldà ch'tamboroo.
Èia pur r ultimai
Pi gran arsursa
Porte con ènfasi
La spà e la bursa?
L'avèi d'ia sipria^
p* visti eh' a lùso,
Tratè d'beiìssime
Ch^s'ampiastro 'i muso?
Vive da machina»
Sdiàv dM caprissi»
D'i pregindissi ? "
Cos mai signiflcne
Tante fandonie »
Tichette, règole
£ si rimónte?
Tute de visite
Pr conveniensa ,
Smorfie ridicole
Fàite an cadensa?
Sechèse a F Opera ,
A la Comèdia
MOri d'inèdia?
Sii la finita d*Siià.
Ode d'Peurìt.
Com rè bisbètica,
Com rè mai drola
L'idea eh' a domina
Certi badola ,
Ch'ant le vilòtole,
Doa s'fà'na vita
Gofa e patètica
Parèi d'i armlta,
Là sol a sWègetà,
Là ma eh' a s'goda
Ant la mèi moda!
Prcbé eh' là a s'tràflga
Con d' teste dure,
S'ved die cà sèmplicf,
Gnune vitiìré,
D'bu teghe tòpiche.
Mén d'simetria.
Là j' è nèn d'musica»
Né unbalch'érvias
J'è nsun órèflcfy
GnQa meste an moto, '
Né d' soldi cb' trofèi
Élo na màssima
Tanf d' importansa
L'esse misàntropo
Sensa elegansa?
D' lasse la sipria,
1 àbit eh' a lùso y
Pr d'fumne rustiche
Cu verte d'rùso?
Vive da làpari
Sèiav d'un' idea
Cosi plebea?
Senne nén lèpide
eie fiere jìsànse
D'I Cinic Diògene,
Gè mal creanse -
D'mai vede 'n ànima
Sensa interesse?
Nén descompònise»-
Mai Inchinèsey
Abori l'Opera,
Tult' 1 spetàcttl
Pr fé Toràcul?
6S4
. PAaT£ TI9ZA
Su la-vila W Cwnpoffna,
Pur cust' imàgfné
Forma la 6ult
BeaUtudfne
ChU mov la gula
D*le gènt pi còmode y
Pi colle e 80de,.-
Ch'a moiro marlire'
Scnsa mai gode
Kc d' Tarla lìbera,
Ne d'ia verdura.
Ne i don d' Natura.
Cui di ch'a mMimiU
'L destin ancura,
Pudèissne gòdmle
Fin l'ultini'ura
Com i desidero
A 'n^ campagna,
Lesènd me Seneca
Sul na castagna,
Sentlènd le lodale,
4 usèi ch^ tripudio,
Mentre ch'i stùdio!
Che vita plàcida,
Contenta e chleta,
Pr ròm eh' a medita,
Pr chi sMIleta
D^ i piasi sémplici ,
D' na sort onesta;
eh' voi vive, e. s'evita
Lo eh' lo molesta i
Che vita angelica.
Che sort fiuria
Per mi saria 1
Così, m'acàpillo,
ChM voi nén léze?
Ciapo na górbina,
Vad pr cerese ,
Vad sercfaè d'àmpule,
D'oeapo, d'griote;
Sinenno d'iartifule,
Pianto d' carote;
I ento d'Ic mandole,
Vad può la vigna :
E chi s'n*ambrigna?
Su la vita (T Sita.
Pur J' è chi -s'augura
D'vive sfa vitft;
S' trova ehi spècola
D' moire t rapita;
J' è d'gent rikbissfme,
D' persene do te,
Ch'van a nìMtcéndise
Coro Me mamiote;
eh' san gnanc pi l'època
0 'I di eh' a vivo.
Ne i cas ch'arlvo.
Fin eh' I 6 sta fisica
Povra eaistensa,-'
ni m^la v5f gòdemla
Con dlNgeitsa,
Coro' i la glCklico
'Nt le Sila Indosfrl,
Lesèndme i òpere
D'I aut^r lllQstrl,
Scutànd le dispdte
D'i dolch'ia séiàiro
Fin lant ch'I pilro.
Che Tllà angelica
Contenta e vaga
Pr Toro ch''a s' applica,
Pr cui eh' a indaga
Le sode pràtiche
Dia geni attiva,
Ch' voi gode, e medila
SMò ch'io ravviva!
Pr mi ■delibero
Sii le atlrative
De sto bel vive!
SMa ment s'Intorbida,
Ch'el sliidi m' secca,
J'è 'n trGc oh' a mMndta,
Dovrò la slecca;
Bagàt a*ro'8liìsslca
N'àutra partia;
Vad a 'na moslca,
Trov d'compaaia.
Pr iìitim'anàllsl
rè 'na pllnra,
S'ved na scollìini.
^
iHALerrt pedbmo?itam.
éw
Su la viia d* Campagna.
Se lò-li a m^ìàusea.
Che l'estro a m'pa^a,
Siè'caii a m^ sellila,
Sor lo a la cassa; .
Vad pr le gèrbole,
Snictànd le fanne,
0 ch'I m'industrio
Pr ciapè d' ranno;
Tendo d'Ie tràpole.
D'i lass, dM arsie;
Lo -lì m' fa' rie.
Opùre i m'òcfi'po
Crusiànd le rasse^
Fass cantè d* passare.
Parie d^ajasse;
1 arlevo e propago
Diverse bestie,
D^colómb, e d' tórtore,
D'ànle domè^le,
DMe era ve d'Angola,
D'gallne bid fanne.
D'oche mahluanne.
I erbe specifiche
Pr cui eh' a s'tajo,
Cui eh'ràn la còlica
La frev ch*i tnajo;
Pr cufdMc scròfole.
Cui ch''son brusàse;
Le fumne Istèriche,
Pr le searràsse,
Pr fé dM bàlsamo;
Sii ste erbe I cojo
QuandM m^ànòjo.
Se '1 lemp s'intorbida,
Ch'a s'buta a piove,
Trovo an mecànica '
D'I arsurse nòve,
ll'angigno, 1 fàbrlco
D'i atràss d' campagna,
Uila giorgiàtole,
D'gablóh d' cavagna,
Turnisso d^sòtolc,
Fass d'Ie ghingaje
Pr le marajè.
Su la vita d' Sita.
S'i 0 d'ànt cVa m'bitstlea,
Cambi de scorta;^
Sere l'aria lìbera,
Vo fora d'aporia
I 5 'n borch'a s'Iglla
D^orllìe madore,
Fa 'I baga, i'arviscula.
Pòi gava.d'pere,
ChièI cur e s\ànima/
Taca na ròsa;
Lo-lì m'amOsa.
0 chM m' apròssimo
D'i avìs eh* a sMaco;
I entro a l'esamina,
E fra 1 mfraco
Vedo d' fenòmeni
D' va ria natui'a, '
D'osèI, d'quadrOpedl
D'ogni fig&rà;
Osservo d' machine '
Suèns'ingegnuse,
D' forse cùrluse.
Oltre la serie
D'Ie cose scarse,
SMe piante m'òcfipo,
I ò d'bele arsurse^
Là ant le botàniche
Viaggio a la China
Tra I erbe célèbri
DMa ìnedfsioa;
Conòs's l'orìgine
D'Ie spesie fine
D' nostre cQsInc.
Se '1 temp scanni vola,
S'a vén guastèse,
J'é pò an mecànica
Dcò d'amusèse
Ant le metròpoli
Con avantage,
Tratànd I artéfici
Ch'a ràn d'usage,
Truvànd a l'Impeto
'Nt Qna ocoreosa
1 ordégn d'ìirgensa.
«M
PAR^ TflUU
Su la viia d' Cainpogna.
Uà quand s'tpròssima
La 8laglÓQ bela,
QnaDd la canìcola
C58 la servela»
Opure a l'època
Ch^a a* (a M vendummie,
Caotànd an orasica,
Ciapànd d'ie suoninie
Con la cooibricola
DMagèntd'lasapa,
L'è un stè da papa!
Tuli aUgràciUr
Con sua butèlia,
Destlànd la cenava,
Sfujànd la mèlla.
Con nostra tàvola
Sul na nuseni.
Le fumne e 1 omini
Seta pr tera,
Contànd dUe fròtole,
Mangiand d'salada,
S'fa la balada.
Libidi se a s^ capita,
D'aprèss d'Ia slna,
Quaicnn^ch^a bùstlca
'N violìn, na crloa,
An mez d^ la ciùlica
Con eie matote
Leste com d'róndole,
eh' fan virè ^1 cote.
L'è propi ÙQ gòdise
Baléne un pàira
Lì, bete, ant Taira!
Kissùn s'imàgina,
Gnùn poi descrive
Quant mal a giubila
L'òm ch'a sa vive
An solitudine
Su na briccola
Con la gènt rùstica,
Con di badòja,
Ch*a studia e a'òcùpa
D*lò ch'a J poi rende
Sensa dipende 1
Su la vila d' Si
Quaod a predomina
'L sol su la tera,
Ch^el càud incòmoda
Nostr^emisfera,
Al frese dMe publlche
Ombre d'vcrdiira,
LIgà con d'esseri
Ch'a ràn d' coltura,
S'fa dMe magnifiche
Bele partie,
Ch'a Invito a rie.
Tutl d'un' indole
Pr divaghèse,
S'propòn le trìfule;
S'van a mangèse, .
Con dMe belissime
Ch'abrevlo Tare,
D'autre ch'a 9' modero
Pr fèse care;
Svoidànd poi l'àmole»
8' parla an poesia,
S'god rallegria«
8' le sere antbipo,
Ch'a ] sia chi baia.
Ma eh' con iin òrgano
Pr li 'nt quale sala,
S'ved già dMe mótrle
Ch'a 'nparadlso,
Sautànd an règola
Mentre ch'a friso,
Ch'amiiso i omini,
Serco d'piasie
Con d'ie folio.
Chi mai determina.
Chi poi descrive
L'aura benèfica
D'I'om ch'a sa vive
La vita enèrgica
D'Ilògnotàbil,
Con dMeste d'ordine^
D'sogèt tratàbll,
Ch'a s'bata an càriga.
Fa so interesse
Sensa abassèssel
DiAum
Su la vHa d' Campagna,
Lassane! le màssime
Wìe sita grande,
ChièI va con d^sòcolc,
Sort an mudande;
Mai nén F intórbida
Gnuii Comissari,
Gnùn Rompa-scàlolc,
Gnun sur Vicari,
Gnùn d' la Statistica,
Gnùn d'cui d'Ie buie
I secco V miule.
Così chièl evita
D' senti U clapette
DMc gènt politiche,
D*cui d'Ie gazette;
Ved gnùn Ipòcrita
Da dui caràter,
Gnùn d'cui tal èsseri
Ch*a mastio d"* Pater,
eh' a dovrò d* sillabe
Sùcrà, turnie.
Poi son d'arpie.
Tranquil ani T ànima
Chicl va cugièse;
8'arvùita e sgàmblta,
Poi torna a 'Ivèse;
Mangia dui sèferi
Con quale faccnda.
Pòi dìsna e rèplica
'N bocón d'marcnda;
E intànt a vègeta,
S*na fa una vita
Da bon arnilta.
O voi, ch'i strèpito
Pr truvè d* glòria:
Voi-àit, cbM vMàmbiche
D'vive ani l'istòria;
E voi, chM giùdiche
Ch*le sita a sic
Un ver em pòrco,
'L pab d'Idio,
Si, voi rispóndlme,
S'I'è nén mèi vive
Com'i rài dive?
KM,
-la
0S9
■i<>«iión,
Cbi..
Gnùn d u sj,
Gnun sur \-,^^^ '
^Wnd aoa U|^
Pi gnùn lo imj^
Se n cas J acagiù
Ch'a j riva d'senie
Su la politica
D'gare insolente,
S' a ved d' le màmole
Rampe con divisti,
D' pèrfld Ipòcrita
Pleo d'artiflssl.
Ghie! a 8* dissimula.
Gassa sta plissé
Pr divertisse.
Contènt eh' a giubila
Chièl va arposèse;
Drom in ApòlIlDe,
Slenta desvièse;
Clama quale bòstfca
S'Faptìt lo tenU;
Poi mangia a tàvola
Lo eh' a s'Inventa;
Fratànt a pròspor^»
VIv con. cui brìo
ChM sena consio.
Voi alt ChM fabrlche
Vosi ni 'nt na buta»
Voi alt ChM v'òcùpe
De sta eonduta.
Voi alt ch'I ▼' releghi
'Nt una campagna.
Ch'i fé d'i antipodi
'N pais d'eùcagna,
Adèss difèndi ve;
8^ no, di ch'I stime
Ste donlrè rime.
638 PARTB TBRZA
•
1810. Per non defraudare il lettore d'un Saggio delle gra-
ziose poesie del teòlogo Casalis, soggiungiamo una delle sue
fàvole morali sul nolo proverbio: Un buon con;i^jUo vale uno
Stalo. ' .
/ Rat an consét.
Una fauaióna d' rat domicilia
Già da longhissim temp ant UD gran*
, Vjvio da sgnór, e aii piena libertà.
Li dop la colassión ] vnio M dlsnè;
E fàil iin toc d^ marenda, alòn^ s* fasìa
Doi flàut pr pie d'aplit, e pòi iioè»
E tut so-si d' boDÌssima armooia,
^ sensa pur, ch'i gat e 1 so padrón
' Smlava ogo** dì cb'a piéisso d'andurmia.
Bla com'a st* mond sagrìn, consolAssión,
Rlchcssc , povertà , tal Tà so fin,.
L'è doò vniìjc pr lor so tour'd' Mìon,
Venta oh' un gal d'un oianoàl lì vsin^
Pi maire d'im qierluss, sensa licensa
A m' fica 'nt cui grane i so barblsin ;
E fisi eia ialunghera d' rat immensa , .
Imaginómse se con tant aplil
Podia esso eapacc d'astinensa!
S'J iavsina al prlm ch'incontra, e a lira drit»
E pia, croca, anfornà l'è un punì istèss;
J'è gnune disllnsión né d'gross, né d' pcil.
Bin fortuna (uil I àitri cb'a j rièss'
De mnè lo gambe, e d' fèsla! Ha tut-ùn
S' trovrìo ant cui lafus forse 'I di aprèss.
Dùnque che partì pie? Bsogna eh' qualcun
Propooa, com podrio 'nt eia circostansa
Garantìse da st* gatt fier, importùn.
ty acànt a cui grane j*era na stansa
J>iena d' sape, d' rastèi e d*àitri arnéis,
E là i rat a l'àn fàit soa radunansa.
Un d' lor d'Gn genio intraprcndènl e estéis,
Ch' Tavìa gira 'n pò 'I mond, e frequenta
b* famose librerìe pr d'ani e d' mèfs;
«■ .■«
DIALETTI PEDBMONTANI. OS 9
Che .ira i aufór i qual Tavia rusià
Pr empise d'ogni specie d' cognissión ,
Pr bondr s'era tniisse ai pi amomà,
D' maoera ch*i Aristòlcl e i Platon
J'ero passòjc an sang, e similméol
I Demostene, I Tullio e i dói €atóii;
Sto rat, tra i so stima pr esse eloqaènt,
L'è stàil ^1 prJm a sauté su s' na mina,
E s* eonta, ch'aringhciss cosi soa geni:
u Frate! , dop d'esse sta 'nt la bambasina
ff Da pare an fiòl , chi d' noi r avria cherdii
» D* trovcse adèss su l'orlo dia rùina?
« E J sómo eh* trop ! E eh* trop f avómo vdi)
« La glornà d' jér cornea son slàit tratà
« Tanti dM nost sul fior dia gioventù!
M Cbcrdc pa ncn, eh* a n'' lassa an libertà
*» Pr un pèss da bestia na pr fohe d* mal,
' «> E nolt e dì 'na guera 'nd tavola.
<t E s' mai d'ancoi arpièissa cui fler bai,
» Di *n po', cos'èlo chM podris fò noi,
» Pr garantìsc da si' originai?
<« Mi vod gnùn àut spedlènt, eh' un d' cusli dói;
»> 0 d' balse e muri anscm da disperà,
'> 0 d' fcsla, e porle via i nost ratatói.
4i Su, dccidómsc, e presi; un e mnassà^
» £ '1 perìcol a s' fu sempre pi vsin;
M Pcnsóma a salve voi, fomne e masaa.
« Sii ogèt prcsiós aspcio so deslìn
9$ Da cui parli eh' voi sé pr pie a st' moment;
n Savé 'I dover eh' un à d'-^orèje bin.
<« I 0 dit baslansa; a d' rat com' voi prOdèni
M Fa pi non bsogn d 'agiunse altre parole^
»» Pr disponvc al parli pi convenlènt. n
Dop sto discórs una d' eie teste drole
Ch*a fan la pùnia ai fùs, e eh* pi d' tuit 1 àit
Volo savèiia lunga, e a son d' sùbiolc,
L'è sautà su, e l'à dit: « Spetè marlàit;
n Dnans ch'i v' dcidu pr un d' cui doi parti,
» N'o da propònvne un ters mèi tut afàit.
M Nò, fa nèn bsogn né d' batse, né d' muri,
99 Né d' decampé da un clima cosi bon,
w Dov' un è nà , e iin god d' i bei piasi.
43
050
PAETI THUA
« Basta ch'i ataco al còl d^ cui fier luròh
n Un bon ciochìn; sentèndio a vni, a J. tarìa
99 Temp e lempissim a mnè M p^tandóo. n
M 0 bravo, bravo! n L^adunania a CntL,
n Velò cb'a J va. •• Ma eoi prim oratór.
Del progèt-e d'i bravo a s' na ridia;
E dcò elamànd s'a j fùss qualcun tra d' lor,
Cb'a j basléissa 'I mes sold d^andà dal gatt
Pr cula impresa, oh! gnun ambia pl'onór.
Un bon consél, a si* dl$, cb'a vai 'n Stai;
Ma bsogna che vedèndne la bontà,
A s'J antepona nén quale tógn da «at ,
0 quàic Donchissiotada strambala!
1850. In Saggio, cosi del puro dialeUo, come della soda e
spontanea poesia degli ùltimi tempi, ci gode T ànimo di poter
offrire ai nostri lettori alcuni componimenti inèditi dell'esimio
poeta di Susa Norberto Rosa, uno dei più popolari e merita-
mente apprezzati scrittori viventi.
Barba Giove.
CkWÒn PIBMOKTilSA.
Barba Giove stuffi d' sente
Le grlmasse d^ cule geni
Ch^a destaco a forsa d^ piente
I plafón del firmamént,
Un bel di y sensa dì nén,
L''è cala su custa tera,
E volCàndse a sii vorièn
A j'à dìjc su la cera:
Oh che farfo! oh che fabiòl
O che teste d'articiò!
A che prò cbM v^ descadeoe
Contra '1 cicl cb'a V voi si bln?
Con che tìtol ch^ voi i vene
A gonfième i chitarin?
MI v'o dàve M necessari
Pr ch'i vive an ategria;
S'i fé tùtt a rincontrar!
Cosa vole mai cbM v** dia?. . . .
Oh chi farfo! oh che fubiò!
Oh che teste d'urticiò!
Mi v^o dà ve la rasón,
Vera mare dresperlensa,
Pr ch'i vcdde '1 gram e 'I boti,
E chM v' guide an consegueusa;
Se voi-àit, bruti salàm,
Dispresiànd i don divin.
Lasse 'I bon pr tnive al gram.
E poi dop i fò I piangin.
Oh che farfo! oh che fabiò!
O che teste d'articiò!
Pensànd ma cb'a vost t>onor.
Con paterna teneressa,
V'd bullàvc an sen ììq cor
Tùt amùr, tuta dolcessa;
I v'o dàve ancur sul pat
Un Islint pr conserve ve;
S^ i se amis com can e gat ,
S'i v' amdse a massacrève.
Oh che farfo! oh che fobia!
O che teste d'articiò!
DIALITTI PIOEMONTANI.
#3!
Pr eh' i vive an santa pas
Vaine dunque inutilmént
Dàve d' vin eh' a sàuta al nas
E tanli àitrl amùsamént?
Pr coss^èlo ch*i mMnvoche
Quand I v^ lire d' cólp d' canon?
Credve forse, o teste gnocbe,
Che le baie a sìo d^ bombón?
Oh che farfoj o che fabiò!
O che teste d' articiò!
Credroe pur, mei cari fioi,
Mi son niente amis dia guera;
L* è la pas, la pas eh' i voj
E '1 ben essere dia tcra.
S' i son pare di Franséis,
Di Spagnòi e di Italiàn,
Sónne M boja di Chincis,
Di Kalmulc e di Egissiàn?
Oh che far fa! o che fabiò!
O che teste d' articiò!
Resta* inùtil ch*i m' piLure
I uialòr dl'umaoità;
S' i sé voi eh' i v' ji proGÌlre
Dévne stèoe mi d' metà?
Abrùli da Tignoransa,
E corùt da le passión,
Chi poi sente Timportansa,
L'eecellensa d' soa missión?
O che farfo! oh che fabiò!
O.cht teste d* articiò!
Cui gran dì ch'I v'6 crcàve
'Aine pia pi d' un ikiodèl?
Dime un pò s'I v'o nén Cave
Tutti cguài , tutti fratèl?
Se voi-àit, fasènd pà cas^i
D' vostra prima dignità,
8è lassavo, parci di aso,
Butte 'I bast e là soma.
Oh che farfo! oh che fabiò!
O che teste d'articiò!
^L cer filòsofo.
Mi rò non pr tiitta cà
Ch'una sémplice cabanna,
Marli-penna ripara
Da la bisa d' tramontanna;
Là, lontàn* d'ogni fracàs,
Sensa sus(, scusa amba ras,
Tut oscùr e dcsnientià
Godo an pas mia libertà.
Grassie al cél eh' a m' voi sì bin,
Ali rd dcò lì poc lonfàn
Un toc d' vigna, un pcìt giardìn
Ch'i coltivo con mie man.
S* a m' avansa d' fondo vèj ,
Na fas part ai me fra tèi,
eh' a son tutti i Adi d'Adam ,
Sensa seme i bon dal gram.
\Ii 'm fa nén d'esse '1 ghignóa
Dia Fortiina eh' a l'è mata;
Sta per tera, comM són,
L'è difficil ch'i rubata.
Quaùd i veddo ti dsur d' la roa
Cui eh' un di l'ero a la eoa,
I ni' na rio d' sol erròr
E i,rinonsio al so favor.
Pcnsè trop , à va nén ben ;
Chi trop sa rè mlseràbil;
Lo eh* a passa a torna non,
E l'avni l'è Impenetràbil.
Contentòmfte del presènt
E godòmlo onestamént:
Chi 'nt so cor !' à 'nsun rlmòrs
Viv allégber con san Glòrs.
Un vèj solda.
Oh eh* a l'è degenera
La cariera
Cosi fiera j
Oh eh* a l*è degenera
La cariera del sotdà!
IJna volta l'arrogansa,
L*ossio, '1 giogh, iìn c5r da lión ,
La dcsblniceia, rignoransa
L'ero nostre distinsión.
Oh ch'a l'è degenera ec.
059 PARTE
Si ch'allora a %' conossìa
Cui sistema folfotu,
D' lasse vlv pr cortesia .
L'inlmis ch'a s'è rendut
Oh ch*a rè degenera ee.
Cosa Servio adès ch'a n^ mando
Conlra I Turch , eontra I indiàn ,
Se dnàos d' parte 'a n' raccomaodo
D'esse das, gentil e ùmàn!
Oh ch'a l*è degenera ec.
Cosa l'ànne mai da fé
I sorlltùr d' filantropia
Con noi-àitri vieux troupiers
Ch^un à l'anima impietrili!
Oh ch*a l*è degenera ec
TERZA
Èlo nén da pusìlànim
Arfudè na sfida al duèl?
Cosa J' èlo d' pi magnànim
Ch'anfilèsseida fratèll
Oh ch*a rè degenera ec.
Che drolìsslma costuma
Ch'a J' è nàje al sècol nostl
Fé la guera con la piuma,
An lo d^ sang verse dMnclòst!
Oh ch'a l'è degenera
La caricra
Ch)si fiera.
Oh ch'a l'è degenera
La carlera del soldà !
L* fndipendèfiL
1 voi pi nén lassème
Guide com'un bambìn.
Pi 'osun vcnna a parléme
D' gramàtica o d' latin.
Voi esse M prim goflFàs,
Ma vive com^a m' piàs.
Ah! .., i veddo realmènt
Ch'i son indipendènL
Secónd ch'a dis mia mare.
I fidi del temp andàit
Scutavo ancora 'I pare,
E l'ero giàd'om fàil!
I pare, a nostra età,
Stan sul a le masnà.
Ah!,., i veddo realptènt
Ch'i ton indipendènL
Ch'a m^ parlo pà d' preghiere,
fse d^ cose d^ rcligión.
A son tiilte chimere,
Tu Ite siiperstissión.
S'an cesa I vad quàich' vote
L'è per- squadre le tote.
Ah!... I vedilo realmènt
Ch'i ion indijtcndènt.
V Italia ! . . . oh che parola
Per fé gire ^1 servèl !
. Darmagc che sta fola
L'à pia '1 tupin dl'améll
Ma s'i tornumo a guera...
Mi scapo a pausa tcra.
Ah! ,,. i vcddo realmènt
Ch'i ton itidipcndèni,
Pr dème untarla fosca
E seconde M gran tón »
I m' lasso vni la mosca
E eresse i santilión.
La mosca?... bagatele!
Tre mèls a Fenestrele !
Ah! .,, i veddo realmènt
Ch'i son indipendènL
Con me sigàr an bocca
I vad ani un caffè;
'L garsón d' bottega a mMocca:
— Monsiì, s' poi nén fumé. —
Mi fiìmo; un Comissarl
'M fa cure dal Vicari !
Ah!... i vcfUlo realmènt
Ch'i son indipendènL
I«r sèira a la tragedia,
Già stiiffl dal bajè,
Per Dcn muri d'inedia
I m' son prova a flséiè
La guardia clfa s'è accorta ,
M'à fame pie la porta.
Ah!,,, i vedilo realmènt
Ch'i son indipendènt.
DIALETTI PEDEMOIlTAm. 05 S
Voiènd, con aìrogansa,
Tornèmne sui me pas^
A m' mostro la creansa
Dasèpdme un pugn sul nas.
Mi m* sùvo cui sgrugnón,
Ma ncD cula lessión.
Ah! ... i veddo realtnèni
Ch'i stm indipendènt.
La vita d* Campagna.
Heatus Uh qui proeul itegotH», tr%
IIORAT.
Sbstimb.
Oh beai chi pòi vive i dì a l'antica!
Clil, lontan dai fracas e dai ncgossi,
Durmènd sul dùr, rusiànd na grama mica,
Revènd ijn vin pi ributànt che ^1 tossi,
A s' diverlis» a coltive la tera....
Con i cuaL a le man e la drnera !
Chièl, fabricànd soa cà s'una montagna,
A resta assicura contra 1 naufragi.
•*
Un sol gavàs eh' a l'abbia ( bela cagnal )
A manda a piste d* fùm cui di tiragi.
Nojùndsc ant i auticiimcrc di sgnùr
A s' amusa a bajè 'nt el coridùr.
Adcs a va beàndse a sèiapè d' roc;
Adès a fé d' fatighe da borie;
Adès cnta d' papàver sM articiòc.
. Slùffl d' custe deiìssie a dovrà '1 pie;
Adcs, tajànd i branc a n'arbra pina.
Casca per tera e s' romp el fil dia schina.
Un dì s' amusa a depurò l'amél;
Un àutr a spormc '1 làit ant' una gàvia;
S' la vólp a j pia un polàst, o '1 luv n^agnèl,
S'i masnà son descàuss^ la fumna gràvia,
0 s'a j manca la sai pr la polenta,
Ciapa M pifer e suna na corenta.
Al mcis d'agóst, quand i sùdómo a sie,
Stravacà sut a un rol, long e distèls,
Scuta la vus d'un arsignol... d'i urie,
E passa di moment ... eh' a smijo d' mèis.
Or a ciapa un tavàn; or na furmia
A J rampia su die gambe e lo gatia.
6Z^
PARTI TERZA
AI méi8 d'ottòbety poi, che piasi mal
Ch^a prova a taslè M vin a la spinela,
Prvendlo a IMndomàn a strassa-pat
E p&ghè n' usurari eh' a lo pela!
Che piasi pie na ciucca an companià. . .
Di' us^ié eh' a ven a fèje uà sesia!
IVinvèrn eh' un à la fioca sui barbìs
Chièl a s^amùsa a séiampalrè la vólp,
0 a tende d' lass ai merlo e a le pemìs;
Intani eh' a l'è li-lì pr tire '1 colp.
Un sergént santa fora d'na ciò venda,
A J pia '1 fùsìi e a j f a paghe l'emenda.
Che da soa pari una fomna d'ardris
A l'abfa cura die facendo d' ek,
Lassandje a temp e log so fo... destis,
Preparàndje soa mnèstra... ravioli,
Ch'a travaja di e n5it... a fé d' maràje,
Pr' esente l'òm dal pagaménl die ta{e;
Ch'a la malin bon-ora a vada antòrn
A portèr la fiùr d' làlt al iifllssiài,
E ch'a consegna a l'òm^ a so rltórn,
Fedelmént I dol ters d'i so travàl.
Ohi allora, sfido... i sfido Dante al duèl,
A Irovème ani so infèrn un stai pi bel.
Rapi da ste delissic, '1 méis passa
Crispin a s'è fissasse a la campagna,
Vìvcnd an santa pas e libertà,
Sautànd com'un cravòl... quand un lo sagna.
Darmage ch'a l'è mori d' malinconia!
Dcsnó chi sa che d' temp ch'a s' dlvertia!
'L Progrès.
Chi l'à dlt che casta tera
L'è n' immensa gabin d' mal,
A r à dil na cosa vera
Come dói e dói fan qual.
Che d'ambroj! che d' gofarìe!
Che d' facendel che d'afTcl...
Jh lassème rie, rioj
S'nò i finis to pr piurè.
B^ogna lese le gascltc.
Per conosse bin sto mònd.
Quanti guai! quante ciapctte
Da la sima Un al fóndi
Quante gueré inviperìe
Sensa prò , sensa perchè ! . . .
Jh lassème ricj ricj
3*1/10 i finisso pr pittrè.
DI A Lem
Quante ciance a le tritHincl
Che d^ «oldà con i barbisi
Quante legi con d' lacune,
Voj poi dì, quanti paslia!
L^òm con tutte ste fulìe
Tal a l'era, tal a Tè:
^h lassèmc ricj rie.
S'ito i ftnisso pr piurè.
Quanti pasl fra i diplomàtici
Quanti dùèi pr d'opinion!
Che d' parti! quanti fanàtic
Carota, butta an persón!
Che d' progèt! che d'utopie!
Quante spèlse da paghe!
Ah lassèmc rìcj ricj
S'nò i finisso pr piurè.
Oh che lapa benedeta,
Che sogiórn privilegia
Ch'a saria sto pianeta
S'ùn avèis un pò d' lo-là!
Gioventù!... dùrvi I urie...
Comi i vòle pà scutè?
Jh lassèmc rie ^ rìCj
S'nò i finisso pr piurè.
A rè fàitl J'è pà tnanera,
rè pàmod d'avnine al fin!
L'iòni rè un urs, una paniera
Cb'a divora chi a J fa d' bln;
0 s'ascuta lo ch'i j die,
Tant a fa com* a voi fé :
Ahj lassème rie^ rie,
S'nò t finisso pr piurè.
Chihì, s'i J parie d' massacrèsse
A va tùt an brò d' fasoj;
Dije ma eh' a bsogna amèsse,
fi I lo vede a virè 'I f5j 1
Con die teste d' fer parie
Cosa Servio rasonè?
j4h lassèmc rie, rie^
S'tiò i finisso pr piurè.
Gnanca mi voj pà buttème
A drissè le piote ai can;
1 m' contento d' amùsème
Esclamànd Irà mi pian pian:
0 nassiòn insivilie!
ÈlO'SÌ '1 progrès cbM fé?
Ah lassème rie, rie,.
S'nò i finisso pr piurè.
Astlgflano.
1500. Tra ì Saggi della letteratura astigiana non possiamo
intralasciare d'inserire un brano di Farsa tratta dalle Opere
giocose di Giorgio Aliene, sebbene a dir vero, e per la tenuità
del componimento e per la scorrettezza della stampa e delVorto-
grafia sempre vacillante, torni ben poco ùtile allo studioso, sia che
si consideri qual monumento letterario, sia come saggio di lingua.
Farsa da Perón e Clieùina .
giugalij che UUgorno per un peUo,
IKTROITUS.
Segnór e donne, al cui plasir
S'è congrega ista bela festa,
Ve prcg eh' Ognun voglia tasir
Pr antènder nostra farsa onesta.
Su la calunnia manifesta
Conlra una donna per stricón
De so mari rud, meza-testa
Chi fu tratta pos da bagón.
050 PARTE TSaSA
Comedie e tslorie de sustansia
L'altr'ér se'fìson an tribunal;
Tanta non è th nostra arogansia.
Che presumìsson andè a l'anguàl;
Ma con Ilcensia tal e qual
Ve sarà sport qui o nostr solàz.
De grossis pur su o naturai
E slond el borg del cavalàz.
Pr un pel tra Cbeirlna e tra Perórt
Mari e moglie fu gran dlscòrd;^
Al vescovà la gre Plumcrón
Nost pellucau, vèl de tal sort,
Che Perón bench'el fùss ascòrl^
Fu condanna cun desonùr.
Per ciò ch'el done a dril e a tori
Per tùt àn sèihper mai favùr.
Ognun s^aslrenza e stea quatiu
Perchè a Pè de necessilà
, Oi el prinsìpi, el mez e el fin
Visi ch'ani la eòa è la bontà.
Che mal pos-ch'cl mond fu cria *
Me fu proccss mogi debatlu
Benchi n^àn dag una pota
A Pcrón chi se gì' è ambatlu.
ce. ec.
Cfieirina uxor incipii,
0 doza consola Maria,
Granda è la penna e fantaski
Del done a governc una cà
Sensa serventà; gnun no sa
Se non De, e mi povra Cheirlna
Che sol pr attende a la cùsina
Ne me bastrca quatr, ni scs brasse^
Par coglian si à qui del besiasse
Tutte a remùs^ da redrissèr;
Fors ch'el spii perle d'anfrissèr!
Dràip de lava, scucile e peirò,
Aiortèr, pislón, poi e grlso;
Dcr mangia al porz, e fèr lessia.
0 ne séiàir za guùn tcmp chi sia
De Sta, d'Invèrn, ni Primavéira,
Póura Cbeirina^ che me s|>élra
DIALBTTI PBDEMONTAMl. 637
De reposòr ni lani -ni quanl.
POS va 0 nost Perón remogniinl
Dia bigotta e dia previessa
Se vag at prich, o che oda messa
A penna el feste comanda,
E ch'abbia pr recomandà
L'anima mia e ancor la soa
Perch' a ne sòiàir , che gli è mantoa
1 fra del zocre, o se dà ai pcs;
Bla ven a tagl za ch^el cogné^s,
Che o l'às clancie, a'el braglia ben.
Per cost ne lassi a fèr del ben,
Che vogr andèrmene adèss adèss
Troyè el roè ben fra Austin qui press
Dcscarièrme d^ùn c«rt pecca ^
Antànt che Perón è andà al marca ,
Che ben sarò torna a ben' ora.
Perón.
Ond** sarà tndà isla traditora
t)c mia mogliér? Mai non sta an i;^;
Guardè che bella cura Tà
De tcni an órdon so meinage!
0 diao ! gP è apàrt al mariage
Ch'i me n*àn da|; una pota;
Mcgi' fiu^TÒSi ccrt ch'éiss accatà
ijna vaca da scs dùcàt/
Ch'afmànc e m'an spagréa a bon pai.
Ond'ùtu, olà, madona bionda?
La sarà andà adèss an nessonda
An bresgie con quarch' soa comare!
Nà, a glc besogna ascurcèr Tare»
Che ne vogP pu eh' la vada insì,
Ch'o sapi, e son ben óm per sit
0 gre ancor da lave i sol asi , '
E porrca ben disnè a bcll'asi,
A ne veg ch'a l'abbia fag o Icj;,
Ni cog 0 cervclà. DespòJ,
Che ne vogl dir dra pettczcni ,
eh* a ne sa ancùr In mìa mei nera;
Lassra venir, che veggro piira
Chi avrà inco la lesta pQ dura.
E se sarò merda, o mossér.
Chcìr.
Uon dì, bon di.
038 PARTE TERZA
1810. Per non defraudare il lettore d'un Saggio delle gra-
ziose poesie del teòlogo Casalis^ soggiungiamo una delle sue
fàvole inorali sul noto proverbio: Un buon consiifUo vale uno
Stalo.
/ Rai an consci,
' «■
Una faiuiona d' rut domicilia
Già da lùnghìssim tcmp ant ÙD gran«
Vivio da sgnór, e an piena libertà.
Lì dop la colassión J vnìo 't disnè;
E fàit un toc d' marenda, alòn^ s' fam
Doì sàut pr pie d'aptìt, e pòi slnè.
E liit so-si d' bonìssima armonìa,
E sensa pur, ch'i gat e i so padrón
- Smiava ogn** dì eh' a piéisso d'andurmìa.
Ma com'a si' mond sagrìn, consolaasión,
Richcsse , povertà , tut Tà so fin,'
L'è dcò vnùjc pr lor so tour d' bàion.
I
Venta eh' un gat d'un manoàl lì vsìn»
Pi maire d'ilo merlùss, sensa licensa
A m' fica 'nt cui grane i so barbisin;
E flst eia talunghera d' rat immensa,
Imaginómse se con tant aplìt ^ -
Podia esse capace d'astlnensa!
S'J avslira ai prim ch'incontra, e a (ira drit,
E pia, croca, anfornà l'è un pùnt istèssr;
J'è gniine dlslinsión né d'gross, né d' peli.
Bin fortuna tuli i altri eh' a j rièss'
De mnè le gambe, e d' fèsta! Ma tut-iìn
S' trovrio ant cui tafùs forse "1 di aprèss.
Dunque che parti pie? Bsogna eh' qualcun
Propooa, com podrio 'ni da circostausa
Garanlìse da 8t' gutt (ier, importiio.
ly acànt a cui grane j'era na stansa
J^icna d' sape, d' rastèi e d'àitrl arnéis»
E là i rat a l'an fàit soa radùnansa.
Un d' lor d'tin genio iutraprendènt e estéiSy
Ch' Tavìa gira 'n pò '1 mond, e frequenta
D' famose librerìe pr d'ani e d* méfs; •"
-i> 1
...^■.■1
DIALnri PEDEMONTANI. 039
»f Cunósslo cui barbrìn d'i bali nei?
» A j ro dig, gira Baco, eh' a u s'n'anficcla,
» S'ù |)agi è bijrb, s'a u sbarda ncn der mèi.
» Ma che d'si ch'mi l farò (ni la strà driccla;
w Che d'si... eh' a u 8faga a vugghi s'a i*« >cl!
»9 Anco voi propi mi deje na sficcia.
99 Da th chM ò pQ nén d' ciccia,
» Sauti'5 tilt d'ascóndón an groppa ar pagi»
» E pò che d'si ch'i fard fé euragi.
A disia d' a vantagli
Ma (ùtl ant un moment i ò duvèrl i òi,
E soii truvàme an niez ai mò linsòi.
Alòn, piève nén d'sbol,
0 Crislofln, avlve pa srcnli?
S'a s"* verìfica 'I sogn, alòn, ardì! >
SOKÈT
J*è certe brutte lingue da stroplà,
Ch'a mordo e malcdisso i ortoran,
Disènd, eh' a son canàja, e eh' a van pia
Con d'mole o con tros d'eòi, parèi d'i can.
Ste-sì son lingue degne d'na tnajà,
Criticànd i ortoràn eh' a son iimàn;
Son paste d'sucher, dvot, bon com'cr pan,
E gcnt d'ripùtassiòn, nost Sgnór lo sa!
I dnc che i àiiri spendo ant i quarlin,
An onór dra Madona a i àn spendù,
Aussàndje un campanin con un ciochìn.
Lor son nén spadissin, porto niùn guai,
Son semp (ranquii, e sensa parie d'pu,
Vi dag per tanti galantòm au tài.
Dialetto di Polrlno.
i80^. Anche il dialetto di Poirino, pìccolo villaggio, forma
parte del rùstico astigiano. In esso publicava alcuni scherzi
poètici Agostino Bosco, prendendone argomento dal passaggio
per Poicino del Sommo Pontéfice Pio VII, il 12 novembre 1804.
Sebbene privi di gusto e di sale poètico, no abbiamo trasceltp
alcuni in Saggio di quel dialetto.
040
l>AIITI TmZA
I.
I 0 visi cr Papa;
E chi 8*n*nnfót!
Mori, pia ra sapa,
E picme ar mot,
Chi scQnpa,8canpa;
Fame ra tanpa.
I ò vlst er I^apo;
Mi 8on san-àl
Ra mori eh* a m'ciapa.
Mi mai danà.
Vor con Biatris
An Paradis.
II.
Cól eh' a J dìo *r Papa,
Mi folfotu pensava,
0 Toma, eh' fusa un pcit eh' mangia ra papa,
E ch'o comensa già ciamè papà.
Papa Pio r*ù un galàt ch'o fa pi pi,
Disóc, coma fa 'r gal chichìrichì;
In soma ai na masn«!
Ma quan r'o vist; oh! cass're licic bote,
Ò dit; r*è un òm ch'o mangia già r'pagnole!
— Ti i' piavi duncr un l>5 pr n'crbaro;
Na ròi pr un faso;
E rn mura dr frc pr can dr Maire!
Ti Tr^anlendi pa vàirc;
T'ài da fc com'Tomn,
Ch'à mai viQ crde fin ch'o r'à loca.'
Sal-lu chi è 'r Papa? San Por, chMul » *aii ,
Ch'o Icn re ciav dr paradi» art man ! —
M' ro dorbìss an pò a mi ! — >
Va pa tan a dorbilro;
Pr dìtro sì latin,
Ani na parola, basta ma eh' fu bin.
Fò blH cos'cio?
Lo oh'ò d'Sésre, sia d'St'^src;
Lo eh' è d'Idìo, d'Idio;
E lo ch*c d'nii. Margarilìn, sia mio.
Gruppo Canavese.
l^èreellese.
Abbiamo avvertita nel precedente Capo l'assoluta mancanza
di produzioni letterarie nei dialetti canavcsi; e perciò siamo
lieti d'aver potuto rinvenire due poesie d'occasione che qui
DiALirrn ^montani. Oli
soggiungiamo, cioè: un Sonétto inèdito pel giorno natalmo
d'un amico j in dialetto di Vercelli, ed alcune quartine nel-
l'antico dialetto di Brozzo, per l'elezione d'un pàrroco. Siccome
poi quest'ultimo dialetto per la corruzione delle voci anche de-
rivate da radice latina è presso che inintelligìbile, cosi a cò-
modo dello studioso che indaga le orìgini, crediamo opportuno
pòrgerne in sèguito la versione letterale.
Pr el dì d'ia festa d*un amis,
SONÈT.
Me car Luis, Tè ben domàn tóa fesla?
Ma sì , domàD : oh 1 quanti bei bochèt
Rotónd, piramidài t'piovràn s'ia testa,
Mentre forse t'savè ancora a lèt!
Chi va, chi vèn, chi cur con gamba lesta,
Portàndii d'biciolàn, d'busie, d*confct;
La gioja s*vdd su tuti manifesta;
! amis i arivo a ses pr volta, a set.
Già la stansa l'è ingombra, e cosi piena,
O gèntùs gèntus! dMante bcle cose,
eh' a fèje tute stè a ] tol d'Ia pena.
Ma dime: j'è ancor post pr un Sonclìn
D'un mat, eh' a sa, nén fé ne vers, né prose? -
Oh! fàji bona cer^i, Luisin!
Dialetto di Brono.
Pigliàtìd possèis a la parrochiàl d* Bróss lo tant illiislar e
riverèìid Sgnó Don Pero Lofpts Sartoris d'Novreilla, Rim an
stil véri d'Bròss,
Cb'a n^sìcn arsiè gl'elmole anc'anviàtt
Cause d'pla pèrdila dal Don Cariitt,
E eh' a torno lùse culla dielta
Applà da tuie quciné nl-èt prediletta!
Ch*a bàico anca sgnó Fede Lovis,
Con la soi bell'aria dal paradìs,
Cuurmai Brdss ài piàin d'consolassión
An Tììì \\ì\à ancontra d'un prió si Imn!
64S . PARTI TERZA
. Col CO tènere piàin d'allegria
E ansòiD a cusla Gerarchia
Ch'a s'è degna d'vrai bùia Fiere
Par nost Pasto an custe carrere,
Cogno9su prò con gran sodisfassIÓQ
Dai sóen franche prove d^ tutta affessión,
Che tant spiritual , che tamporàl
A poziava vrèine gniun^cd ugual !
Ah! quàglie vux purànnc ni-èt imita
Pr poèi anca an fris ringrazia
Lo nost Pare àut eterno patron
D'un sì tant istraordinari dóni
Abastansa i poàn nit ringrasslà
Lo zelo de llonsgnó d'avài scondà
Le vós dau cicl, e sóen inspirasslòn ,
In parmelline un Cura si bon.
Pasto, contai nt i sén abastansa
D' cusla, fortunata alliansa;
eh' a prJco ma eh' lassù sainsa crenta ,
Ch'a srà provist d'brovée i d' polenta.
Kandiènt grassie al pi bàut Suvran -
D'ave! anvoèrt tant i pò la man,
D* colmane d' tanta consolassión ,
IncsplicàbiI con le nuste razón ; .
Partià I prcgràn tal Sublimità
Pr una vita lunga i d'sanità,
Pr anvuilo a nacheta marmerà
Tut farvó mustràne la giusta strà.
Sien esaudie le nuste preghiere
Pr intercesslón delle Schiere,
Che dopo d'ava! an quasi mond malpinà
Con ChiàI lassù tùie quèiné i pòsson nà i
dolb cuiosetto.
Versione letterale di qubst^Oltimo componimento.
Prendendo possesso della Parrochiale di B rozzo il molto
illustre e rcv^crendo Signor D, Pietro Luigi Sartoris di iVora-
reglia j Rime nel vecchio stile di Brozzo,
che ci siano rasciugate le làgrime anche una fiata
Cagionate da, e per la pèrdita del Don Carrèt,
E che torni a risplenderc qu^l' età
Chiamata da tutti quanti npl-altrl prediletta !
DIALETTI PIOniONTANI. 01$
Osservi anch' egli signor Pietro Luigi
Colia sua bella faccia da paradiso,
Come mai Brozzo è pieno di consolazione
Neir andar tutti incontro ad un Prfore si buono!
Col cuore tenero e pieno d'allegria,
E insieme a questa gerarchia
Che s'c degnata di voler méttere Pietro
. Per nostro Pastore in queste contrade;
Conosciuto abastanza con grande soddisfazione
Dalle sue franche prove di tutta affezione.
Sicché tanto per lo spirituale, che pel temporale,
Potea venirne nessun altro eguale!
Ahi quali voti potremmo noi-altri eméttere
Per potere tanpoco ringraziare
Il nostro Padre grande, eterno Signore,
D'un cosi grande straordinario dono!
Abbastanza non possiamo ringraziare
Lo zelo di Monsignore, per aver assecondato
Le voci del cielo, e le suq inspirazioni
Kel permétterci ìin Cucato si buono.
Pastore, slamo contenti abbastanza
Di questa avventurosa alleanza;
Preghi solo lassù senza timore,
Che sarà provvisto di castagne bollite e di polenta.
Rendendo grazie all'altissimo Sovrano
D'aver aperto cotanto la mano,
Di colmarci di tanta consolazione
Inesplicàbile colla nostra ragione;
Pertanto pregheremo quella Sublimità
Per una vita Innga e sanità.
Per udirlo lunga pezza predicare.
Tutto fervore mostrarci la retta via;
Siano esaudite ie nostre preghiere
Per intercessione delle Schiere,
Sicché, dopo d'aver affaticato in questo mondo,
Con Quel lassù tutti quanti possiamo andare!
Gruppo Monferrino.
Anche ì dialetti monferrini^ come abbiamo avvertito, furono
generalmente negletti; né, per quantq ci consta, vennero mai
alla luce colle stampe componimenti intesi ad illustrarli, ove si
eccettuino una Canzone alessandrina, ed un Sonetto in dialetto
^u
PAETB TBRX.%
di Mondovì^ inseriti nella priitia e nella Nuova Miccèide. Ciò
non pertanto qualche poesìa d' occasione girò talvolta modesta-
mente manoscritta nell'uno e nell'altro municipio, e special-
mente in Alessandria, o,ve- la Società degli Immòbili mantenne
vivo per qualche tempo V amore pe' buoni studj. Di queste pro-
duzioni inèdite appunto facendo* qua e là ricerca, ci riusci rin-
venirne alcune di qualche pregio nei dialetti alessandrino, ac-
quense e mondovito, e ne arricchiamo la-prèscnte raccolta, in
Saggio cosi della poesia, come delle svariate favelle monferrinc.
A Ic«8aii4rl ■!•.
Ina Cansdn poptitàr scticcia in dialètt Lissandrén.
In fati 8iiccès:s.
chi vò senti ré do róji
Ista bela novità?
A I*c turna ti tcmp d'er siréji;
L^è In bel cas chM'è capita.
A n'è nenta 'na nuvela.
Ma l'è capita da boa;,
Isla-clii r'è propi bela
Pr amparc s'u s'è minciòn.
Ina dona lissandrcnna,
Ch'r'ò la fia d'in barge,
A s^è faccia ina matcnna
Da na zcngra s.lrolugliè.
J'à 'ndvinà eh' a r'è mariàja,
E ch'r'à pia za doi mari;
An poc lenip a r'à aucantàja
Con pareli da sturdì.
Cula stréja maladclla,
eh' r' era fora par grifTè,
Con na lengua da sajetla
J'à squallà diversi affé.
J'à parla d'er piirgalori,
D'sò mari eh'u j'era an dreni;
R'à Iruvà na tabalori
Cb'a j d'J à mai rispondi ncnl.
Con in^aqua a r'à sbrinsàja,
Ch'r'éiva an drenta ani ih sucòt;
R'à Ani' d'essi ancantàja
Fandji vigghi cui dtauvròi;
A j'à dio d'er parolassi,
Ch'a r'à fàccia stralùnè;
J'à fa£ vigghi deri ombrassi
Ch' 1 son robi da scapè.
A J r'à dàccia ben d'anlendi
Par piidéi fèj l'arzantén,
E con tiìli cr so faccndi
A j' à pia fina i durén.
A j'à pia l'avsti da spusi,
E in scussa ben ricama;
Tuli er robl ch'r''élva scusi,
E ch'a I Inlva ben lugà.
A j'à pia deri àter robi
Aniuppà ani i fas6ulètl,
A r'è stàccia na zanobi
A lassèsi fé 'r fiuchètt!
A r'è slaccia na mindónna
A lassèsi slrolughè
Da na rassa bozarónna
eh' r* era fora par mignè !
A u r'à propi ncnt capia.
Che sta geni ch'i giru 'r mond.
I sòn tiÒ d'ina famia,
Ch'u so nom l'è gabamònd;
Che par fera pù sicura ,
Lur a parlu bel a pian,
E po*dop a ra drittiira
' I sgrdfflgnu eoo er man.
DIALnri PBDE3fOXTA.1l. 645
O r'mé doni. Ini da meni,
Quand ch'i vorru slrolughèv,
Ciamè Tom, o dTatra gent,
Par ch^i v'possu nént rul>èv;
Mandè véju sta genoria;
Sarè l'ùsR, e stèviii a cà:
S'I tenréi su chi a memoria,
Hai pQ ansóo a v'ra flcrà!
Ba Fàbula der Fazàn.
SONÉTT.
Quaod ch'er bestie i parlavu, ani iu pule
Gh'a J*era gali^ galeoni e d'i capón.
Con l'ijss dUvèrt, perchè fera d'amsóit,
U j'è antrà drenta in bel fazàn anvè.
I capòn chM Tin vist, i àn dio: Cs*è ch'I* è?
eh' a Tveni ansema a noi ant Isl pajòn?
Et an disgrassia, di, d'u tò padrón?
Parla, dì sii, o va fora d'i pè.
Sentènd a fèsi d'isti complmcnt,
L'à dio a verta cera: Coi banàn
Mèi a son sòlit eh' a n^rlspónd inai nént.
Anlura na galénna eh' l'à censì,'
A J'à ciamà con grassià: Sur fazàn,
Ch'u ffl'diga 'd po'er molìv che lù Tè chi? -
A tèi à i'ia voi dì.
Perchè i'èi rispetlusa pù che lur,
Ch'ar besUi fénni i'a J sài dèj d'u siùr;
E par feti 'r favùr
Yen fora bela sula a V aria scucrta ,
eh' a l'dirò tùl, sta pur sicura e certa.
Ila 'r gali, ch'u stava a l'erla,
Per nenia ch'u J succeda der balladi,
L'à die, che lù u u' v«> meja d'fazanadi;
E con dii 0 tre cantadi,
L'à cria tant, che sta galénna smorta
M'à gnanca buia 1 pè fora d'ra porta;
E con ina vns forta
Da fés sentì tre mija e pù lontàn ,
L'à sbalordì e fa scapè 'r fazàn.
Sia fàvola ra dls: chi vó stimèsi,
Ani serti post a bsogna nént flchèsi;
E pò ra dis: che l'óm quand ch'u J' arriva,
Fa vnì la dona benna, s'r'è cativa.
hh
Clh6 PAHTB TERIA
Par va Mudona d'ra Concesiión
Sonìtt.
Vurréls che cui serpènt flss d venti mut
Quandi chM'à tenta Adam e so mujc
Con cui paroli.dusf cniè rame
Par ch'i mangéissu tutti doi der frùt.
Ahi se cui pum er fissa slaé pu brut.
Chi sa, ch'u n' fissa ancora da stacbè?
Ma Pera bel... Val' a fé buzanchè!
Tra jùn e l'atra i l'à mangia pò tut.
Yardè cs'è ch'er vó di èssi cùriùs,
A de da meot a cui ch'i n'son nént giusti
Dop d'ra vergogna I s'era fina scus.
Ma cs'è ch'àn guadagnai par fé in pcà d'gura?
I àn guadagna la mort par plèsi in gusl,
E I àn trae i so fiói tÌÒ an maturai
E stéissa lei ancural
Da culla pianta ciri'à tuccà Adam,
U J'è surti ra pest, ra uerra e fam.
A l'era in affé grami
Par tutti noi, par Uè l pecatùr,
S'u n'j a nassiva nénta u nost Slgnùr;
Che par fés Redentùr
E avni ant ist mond, u s^è sercà na Marna,
Cb'r'a bulla sutt'ai pé culla pél grama.
1790. Dopo i componimenti inèditi surriferiti stimiamo far
cosa grata allo studioso riproducendo la Canzonella del Padre
Agostiniano L. P. \. iM. D. tu morie d*una gatta j già inserita
con altri componimenti vernacoli nella Ntiom Miccèide, Per tal
modo, aggiungendovi ancora il Sonetto inèdito susseguente del
Dottor Ferraris, avremo riunito qnanto di èdito ed inèdito è
giunto a nostra cognizione nel dialetto alessandrino.
Canzone.
Voi savi, che o Ritrattista^
£ pudrón dra brava Mìccia,
Ó n'à iuissi, cb'ra foss mai diccia.
0 i me car ver patriot,
Si m'cognsi ch'a son sol bon
Da fc vers da culissón
E d'rimlè cm'i fuii i bò,
Perche mai sti me ciapòl.
Ch'i son faÒ a rn carlona,
Ch'ó so pnèl ra ritratàss;
E pò a vri vlghi adèss ista
Pr'ina galla? In sporcacén
E tira zìi zu n ra bona i Ch^ó n'var guanca in raez qualrcn
1 m'zerchè? Mi zert n''al so. * Ch'mela fora i so spcgàss?
DIALETTI .PEDEMONTANI.
647
A i metrò; dirò, ch^ra gatta,
eh' a s'dis morta, son tanè anni,
E za staja a angrassc ar cani,
R'è ancor viva ant ist moment.
Sèi, r^è viva , e mangia , e a 8' gratta ,
E ra zaffa ancor di ose;
S' lecca, a s' lappa, e an zima al slè
Ciapa ratt alegramént.
Sèi, r'è viva; e con razón,
0 s' pò dì : 86 chi è dottor^
E ben brav ant n'art, ó n'mór,
E ó n' dovrà mal pii morì.
Ra vlv doDca; e vlv da bon.
Se pò 6 8'vni, che fin dM*otanta
Stampa I àbo. e d' nóv ò s' canta
Ra so mort per ar Mondvi,
Sta razón vai poc, o nenta;
Perchè Miccia an tanè gattén
Vivrà sèmper senza fén,
E vivrà gloriosamént.
Ra zitta r'è ben contenta
D'vighi spars pr 1 so cantón
Ista gran generasslòn
E d'contèni di bei zent.
Se pò a Miccia i sméjo i fiói,
An Mondvi (Pè zert el fatt),
0 i sarà pu gatt che ratt,
E mane dagn an lutt ar ci.
Sarà ancor Pistèss da noi.
Se ra rassa d'i^ gattén
A s'farà \'er Lissandrén,
Coni r'è za tiitt ra zitta.
1790. Sullo scorcio del passato sècolo^ avendo il Re dì Sar-
degna fatti tagliare alcuni boschi in una landa, sulla quale la
Repùbiica genovese pretendeva diritti di proprietà, un poeta
scrisse un Sonetto in vernàcolo genovese contro questa pretesa
usurpazione, scagliando basse contumelie al Duca di Savoja.
In difesa quindi del proprio sovrano, il mèdico alessandrino
Ferraris dettava il seguente Sonetto colle stesse rime del ge-
novese, al quale rispondeva:
Sometto
Lassa slè, bèc-fotù. Casa Savoja,
Buzarouón figon, chi t'à mostra
Gomitè coi tò vers da disperà?
S'a so chi t'èi, a t'fas passe ra voja.
Mostra V mostàss, tió d'na pitana troja,
Bensa tire d'scondón ist tò sassà;
Sci ch'u nost re o niMassàs an libertà,
A t' farei va terme gist cmè na foja.
E cosa a l'crédti? È 'r chTabi d'i dindìn ?
£ mei dra roba a j'ò, cujonón ghemo.
Da stretji drent gist cmè ant ra fanga i ghin.
Tei, e chi fa per tèi tió quanò ansemo.
Sortì pur fora, ch'cn faruma V fin.
Che i fio d'Gajàud i nMremo ncnt, i n' (remo 1
VtkH rARTt TERZA
Blaletto d^Acqwl.
Non avendo potuto conseguire una versione ben fieitla della
Paràbola del figliiiòl pròdigo in questo dialetto, né molto meno
valerci di quella del Cbabrol inserita nella Stab'stica del Di-
par timento di Montenotle j perchè male parafrasata, e ripiena
d'errori, ci riputiamo avventurati di poter produrre in Saggio
del dialetto medésimo i due seguenti Sonetti inèditi dell' avvo-
cato Emilio Manara d'Acqui, nel primo dei quali con molta
grazia e fluidità di verso descrive i pregi della sua patria; e
nel secondo tentò voltare nella nativa favella il Sonetto inarri-
vàbile del Filicaja:
Italia, Italia y o lUj cui die la torte, ec.
I.
A snistra d'Bórmia^ an lesta a *na gran vai.
Da bel colione e vigne circonda,
U J'è la 8iU d*Àlcq, la capital
D'settantadùi pais, e d'ràut Honfrà.
A drfccla d'I'istéss fiQm, a mira ega&l,
O s' trova i famós Bagn osé rinoma,
Per i aque fresche e càude naturai,
D'virlu miracolosa spermenlà.
L'aqua bojenta poi drenta M paìs,
Cadèmia, Ornato, bri slradin, leàter,
Son lite cose da traini l'amìs.
V yk d'bonissim^uria, e d'òtlim vin;
U j'è M progress , e pòi ... me ne v'dlg àter:
U j'èM pé gran bel cor ani I Moufrìn.
II.
Italia, Italia, o te chTài avQ 'n sort
El don sgrasslà dia blessa, eh' a t' procura
Fortìssim guai un quantità, di pura,
Ch'a Imporle serio un faccia per gran tori.
Foste men bela, o a\ ciste *i brass pé fori,
Ch'i*avéiss pé lant «la spaventóse, o pura
T'amciss pé puc chi do lo bel denatura
Hi par ch'cl spasinu, e cs'è'lV 0 t' sfida a uort.
OIALRTTI PEUEMCKVTAM. . ft'4 9
Che 7Ó dui Alpe a strop nò, cb'a n*vogréi^R
Calè d*i arma(le« e lita ansanguìnàja
Béive ronda del Fa cavai franséisl
Nò 'l fer cli'o n*è nén lo tesare butlÀj^,
he coi strangé per batte coi so arnéi».
Per servi semp, p vittoriosa, o sfàja.
Dialetto di Mmì^I^tì.
Come Saggio del dialetto e della poesìa di Mondovì ci riuscì
rinvenire i due seguenti Sonetti^ il primo dei quali è di Giu-
seppe Bruno, in morte della galla d'un pittore di Mondai, e
trovasi inserito nella prima Mìccèide. Il secondo d'anònimo
autore fu dettato in occasione di Nozze.
Sonello di G/tisrppe Bnnin.
Lassma 'n pò sto u latin e r'itallàn;
S'purranne nén fé i vers an Piemonlàis?
0 eh' a sì 'n Plemontàis^ e già ch'i s^fàn,
l^ra smìa d'^sentìje a scorre; olà sma *ntàis.
Ma mi fé di sonèt? 0 'rbrOt bagiàn^
Lo ch'dwiné gnìin dr me par n'*à mai prtàis,
E mi vorò cantò? m'aera ''n pò pi san
ChMspeta 'ni Maj^. ch'alora o srà Vme màis.
Tutt'un, fa ncn, tanl i voi di carcòss.
v* credevo ch'ra mia Musa sea tant fola,
eh' a n'sapa nén armane fé 'n a%ocà?
A n* somma cosa dì? v'pensevo foss.
Ch'i v'vòja mnève in long? ant na parola:
Cwntìa pi brava eh' sta »'è nmi trova!
Sonetto per Nozze.
Me car Bunada, sàvu lo ch'i ò faè,
Pr prsentève dercò mi do fiù?
Sogn 'ndà na noè a gatagnàu e quàÒ
Su 'r bric der Muse sensa fé armò;
Ma 1 ai va pàu eh' carcun slàiss ar avàò,
E eh- u m' quoràiss ben ben con 'n tertù.
Ora fuffa d' nén insì d'ani cui impàò,
1 termoràiva tant, ciri o scu a pie I dru.
oso PARTI TERZA DIALETTI PBDBMOIITANI.
Vanamàn i m^ but li con tanta góe
A scardasse pr dri£ e pr travèrs,
Ch'an lo d' pie di viuré» i o pia di eòe.
E cum'èlu cVu 8' paìva fc divers?
Confus au scu... Ha a disru si 'ntra nòe,
Fàmajc còse, e tùt andrà nén iiers.
Prchè a spieglièvra 'n vers,
EIcna r'^è trop bela, e a r'à i di viv;
Vóe a V' scàudi, m'è vis, pur tuo e dòe,
E un po' d' brò d* eòe u saréa nén caliv.
i
CAPO VI.
Pibliografìn dei dinfetti pedvmontani.
Gruppo Piemontese.
Opera jocuiìda No. D. lohannis. Georgi] Alionl astensis, metro aiack»rrv
nico, materno et gallico composita. Impressuiii Asl per FranclHcuu 4«
Silva, anno Domini, 1021. — JVui abbiamo citato quetl'òperaj e te dm
ristampe che se ne fecero nel I601 e nel I6S8, nella Bibliografia dei dU»
letti lombardi^ poiché in una Farsa si trova il Milanese che vi porla
fin incòndilo dialetto lombardo, A compiere quel cenno che qui a^rtbbt
avuto un posto meglio appropriato j aggiungoremo j che prima delle due
ristampe mentovate ^ altra venne publicata col titolo: Opera molto piace-
vole di No. M. Giorgio Arione, Astesano, novamente e con diligenza cor-
retta e ristampata colla sua tavola. In Venezia, ittoo, in-a. Sebbene il
frontispizio accenni chiaramente yenezia come luogo di publicazione ,
Gio, Andrea Irico nella sua Storia di Trino afferma^ che fu publicata dai
Gioliti in Trino: Opera molto piacevole di No. M. Gio. Giorgio Alione,
cosi si esprime^ apud lolitos Tridini edita ittoo, ut typi indicant apertis-
sime, quamvis Venctiis in fronte cxcusa dicatur.
Ciò premesso, siccome tutte le edizioni posteriori sono mancanti di
molti componimenti , e della primuj distrutta per òpera dell'Inquisizione^
è quasi un prodigio il rinvenire un esemplare compie lo j slimiamo opporr
luna offrire ai nttslri lettori ttn Indice dei componimenti vernàcoli nella
medésima contenuti; i quali sono:
I. El Prologo de Tauctorc:
s. Comedìa de l'homo el de sol cinque sentimenti;
3. Farsa de Zohan Zavulero el de Bialrix sua mogllere^ el del
prete ascoso sotto il gromello;
4. Farsa do. doe vcgie repolite^ quale votivano reprcnder le giovane;
». Farsa de la dona, quale del Franzoso se credla bavere la robba
de veluto;
6Ì52 PARTB TERZA
6. Farsa sopra al litigio de lu robba tic Mcolao Spranga Astasano;
7. Farsa del marito e de la mogllcrc, quali liligoreno insieme per
un petlo;
8. Farsa de due vegie, le quale fecenn acconciare la lanterna et
el soffietto;
9. Farsa de Sebrina 8|K)sa, quale foce ci figliolo in capo del meyse;
IO. Farsa del Braclio et del ^lilaneyso innamorato in Ast;
fl I. Farsa del Francioso ailogialo a i'hosleria del Lombardo;
18. Sententia in favore de due sorelle spose contra el fornaro de
Prumello.
13. Frolula de le done;
14. Cantione doe per li frati de Sancto Angustino, contra li disci-
plinati de Ast;
18. Uno benedicite dus et uno reflcial.
Per le ulteriori notizie vè(jgnii ciò che aObiam detto nella Bibllografla
milanese, e nei Cenni istorici sulla letteratura pedemontana.
Comedia paslorule di nuovo rem posta per Messer Bartbolomeo Brayda
di Summariva, et oltre più versi del medésimo. Nel fine la dolce e lieta
Tfla che alle campagne si pro%'a. — In Torino, appo GioVan Maria da
SalUEzo, i8«6. — 7Va (jli interlocutori della Comedia fu introdotto %m
Fatano ohe parla il dialetto pieìnontcse.
I Fréschi della Villa, dove sf contengono barcellette, canzoni, sdroc-
elolly disperate, grotteschi, bischicchl, pedantesche, indovinelli, sere-
nate, sonetti, gralianate, sestine, et un echo molto galante. E tutte co^
piacevoli composte da Giulio Cesare Croce, aggiuntovi in ultimo I* Egloga
pastorale di Lilia, di Luchina et sopra il tramutar al San Michele. — To-
rino, 1063, ad istanza di Giovanni Manzolino, in-is. — In qìiesto vo/m-
metto di 48 pàgine icrilto in italiano j la sola aggiunta è picìnontete, t
comincia a pag. se^ contenendo: La Canzone di Madonna Luchina, la
Canson di Dist)auchia, Canzone della Ballouria, Canson pr M tramuè d*
San Michel.
L^Arpo discordala, dove dà ragguaglio di quanto occorse nell'Asse-
dio 1703, 1706 della città di Torino. — Torino, nella stamperia Fontana
nel palazzo di città. Con permission, in-is. — L* autore di guest* opit'
scolo in versi endecasillabi e settenari rimali piemontesi è D, Francesco
Antonio Tarizzo prete ^ cittadino torinese ed autore di un altro Raggna-
glio istòrico dell'assedio e liberazione della città di Torino, ifi prosa ita-
liana. Sebbene manchi la dala^ è noto èssere stato publicato nel I708.
Posteriormente se ne fecero due ristampe; la prinw forse in 7br/«o,
senza data, col titolo: L'Arpa discordata nella prima e seconda venuta
del signor Duca della FogHada sotto Torino, In-is. La seconda j pure in
Torino j senza data^ col titolo: L'Arpa scordata nella prima e seconda ve-
nuta del signor Duca della Fogliada sotto Torino. ^4 quest* ùltinui furono
aggiunti altri componimenti poètici piemontesi j rioò: Canzone sul segreto
UlAUTTl PBOEHO.ITANI. 6tt5
di togliere il fumo ai cammlDi^ e la Relazione dell' assedio della città
d'Alessandria e blocco della Cittadella d'essa fatto dalle truppe di Spagna
alleate con quelle di Francia, Napoli e Genova, cominciando dalli e ot-
tobre J74ji, sino U IO di marzo 1746. Quato componimento consta di
872 veni settenari piemontesi j dopo i quali segue una Canzonetta sullo
stesso proposito..
Canzonetta nuova sopra la perdita de'dpagnuoli e Franzesi, ed alle-
grezza de' Piemontesi — Sopra l'Aria di Tolon. — Foglio volante^ senza
data, che è l'anno I74S. Jl componimento consta di dódici strofe in versi
settenari piemontesi.
Satire, ossia Tragicommedie italiane e piemontesi. — Torino, presso
Ignazio SofOeltì, in-ia. Senza data che dev'èssere Iranno 1777. QtM-
sV òpera divtdesi in tre tornii con frontispizj separati, che sonò i seguenti:
1.® II Notajo onorato, Satira ossia tragicommedia italiana e piemontese
per musica. Tomo primo. Torino, nella Stamperia d'Ignazio Soffietti, /pi
quattro interlocutori parlano il dialetto piemontese , e tre in lingua ikh
iiona. s.® L'Adelasia, Satira ossia tragicommedia italiana é piemontese
per musica. Tomo secóndo. Torino, dalla stamperia d'Ignazio Soffietti. /«{
tre interlocutori ed il coro parlano italianamente j e due ora l'italiano
.ed ora il picnwnUse. 5.*" L'Adelaide regina d'Italia e poi imperatrice^
tragicommedia italiana e piemontese per musica. Tomo terzo. Torino,
nella stamperia d'Ignazio Soffietti. Sette interlocutori vi parlano lUta-
tianoj un personaggio ed il coro, in dialetto pieìnontese.
La Alicceide, ovvero Raccolta di poesie piacevoli di varj autori pie-
montesi in morie di lUiccia, gatta di un pittore di Mondovì. — In Uon-
dovì, 1781, per li fratelli Rossi. In questo volume in-e di pag. 190, tra-
vasi il Sonetto in dialetto di Alandovi di Giuseppe Bruno di Frabosa, che
abitiamo già recalo nei Saggi,
Saggio di poesie varie di Silvio Balbis. Vercelli, 1788, dalla tipografia
patria, in- 8. Questo volume è diviso in tre parti j nella terza delle quali
tròvansi tre Sonetti piemontesi , e due in piemontese italianizzato,
A r'occasion d' na festa d' bai d' paijsan eh' a s'è dasse a Gvon apres
r'Inocuratìon dre vajrore a Soe Altezze reai r^ prlnsi e ra prinsipessa d'
Piemont e ai Duca d'Aosta, d' Genois e Cont d' Moriana. Cantada ar
Astsana. — An Ast, 1783, ant ra Stamparla d' Fransecb Pila. — Questa
poesia, che è in dialetto rùstico astigiatu), viene attribuita dal f^allauri
(Storia della Poesia in Piemonte) a G, F. Oggeri di S. Damiano d'Asti.
Vocabolario piemontese del medico Maurizio Pipino. — Torino, nella
reale stamperia, 1783, in-8. Quest;* òpera è divisa in varie parti, cioè:
f.**^ Vocabolario domestico conun*Aggiunta; 2.'' Raccolta di nomi derivati
da dignità, gradi, uffizi! , professioni ed arti; 3.^ Raccolta dei verbi i più
famigliari, avverbj, preposizioni, congiunzioni ed interjezionl; 4.? Sup^
plimento al Vocabolario.
. Grammàtica piemontese del mèdico 31aurÌzio Pipino. — Torino, nella
6tt4 PARTI TERZA
reale stamperin, iies. — Questa Grammàtica è divisa in a capi^ ed è
seguita da una raccolta di lèttere piemontesi ed italiane , e da ttna roc-
colta ben più interessante di proverbj e modi properbiali pietnontesi.
Poesìe piemontesi raccòlte dal mèdico Maurizio Pipino. — TOrliiQ, nella
reale stamperia, irss. — Questa preziosa raccolta contiene Sonetti , Stante
e componimenti di varii au^orij fra i quali sedici poesie dell'abate Silvio
Balbi Sj e quindici Canzoni del Padre Jsler^ oltre ad una Noia sull'alfa-
beto e pronunzia piemontese. Oltre alle suddette òpere ^ l'Autore lasciò
morendo varj scritti inèditi in dialetto piemontese, fra i quali trovasi un
Dizionario universale ragionato di medicina^ ed una raccolta di poene.
Esponendosi al solito corso del Palio nella città d'Asti, per Tanno itm,
il Cavallo Barbaro dalla molto Ven. Confraternita della Misericordia, 80-
neUi. ID Asti. Folio volante. — Quivi tròvansi due Sonetti in dialetto
astigiano urbano^ ed uno in dialetto rùstico.
La fera d' Moncalé. Ditirambo inserito itorr Almanacco Piemooteie
del 1764. Torino, in-S4.
Il Conte Pioletto. Commedia piemontese, edizione originale. Torino, itm,
presso Gianmichele Briolo, in*8. — Questo componimento anònimOj come
appare dalla ristampa che se ne fece più tardi e che riportiamo qm sottOj
è di Carlo Giambalista Tana marchese di EntraqueSj e quindi a torto
net Catalogo dei Libraj Reycends dell'anno 1786, venne attribuito a certo
Leonij come pure per isbaglio venne citato dal Ponza nel suo DIziOBarlo
Piemontese, col titolo di Tragicommedia H allana- piemontese. LoCoauiierfio
è scritta in versi per mùsica ; tre interlocutori vi parlano in dialetto pie-
montese j qìuxttro in italiano , ed uno alterna l'italiano col piemontese.
il Conte Pioletto. Commedia piemontese di Carlo Giambatìsta Tana
d^Entraques. — Torino, presso Giammiehele Briolo {senza data) in-it.
La Nuova Alicceide, ovvero seconda raccolta di prose e poesie piacevoli
di vaij autori, in morte di Miccia, gatta d'un pittore di Mondovi. — In
Mondovi, 1790, per Giovanni Andrea Rossi, in-8. — Questo volumetto di
pàgine i6b contiene componimenti poètici piemontesi di varj autori j e
sono: 1 Sonetto piemontese dell'avvocato Delfino BluletU di 8alu»o;
1 Sonetto piemontese di Giambalista Colombo di Mondovi : i Dialogo pie-
montese in versi d'un Anònimo; 1 Sonetto italo-piemontese di Donna
Salustia Z; Versi marlclliani in dialetto astigiano del Priore Stefano incisa
d'Asti; 1 Sonetto piemontese di un fondacliiere di Saluzzo; ed una Can-
zonetta in dialetto alessandrino del Padre Agostinianu L. P. A. M. D.
Raccolta di alcune poesie eroiche, bernesche, tenere e critiche, la
maggior parie inèdite dell'avvocato Ferdinando Gibertini. — Senza note
tipogràfiche j in-8. — Questo libro dev'èssere stato stampato nel 1788, 0
tuli' al più nel 1790. Contiene due poesie in dialetto piemontese, cioè, un
Sonetto j ed uym Sesta rimOj intitolala Toni , contro Arpalindo Elicrislo.
Canzon neuva, su l'aria: Dcje ai NobiI, masse i NobiI, e giugn I7ii
(senza indicazione di luogo). Sono fi strofe di otto versi ottonari j stam-
pate in folio volante.
\
DIALKTTI PEDEMONTA!«II. OttK
Poesie piemontesi del Padre Ignazio Islcr, già ministro provinciale dei
Canònici regolari d'Italia, e celebre poel a nel dialetto piemontese. Prima
edizione compiuta secondo Toriginale dell'Autore. — Torino, I790, presso
lo Stampatore Denasio, in-is. — Di quest'opera che consta di HA Canzoni
furono publicate in sèguito in Torino cinque ristampe j quattro delle quali
da//a stamperia d'Ignazio Soffletti negli anni I804, i8ii, issi, §826, ed
una dal/a tipografia Canfari, nel 1884. Queste ristampe ^ oltre alle 64 Can^
zoni delta prima edizione, contengono un frammento della istt." ed una
notizia biogràfica dell'autore j e sono tutte m-fls.
Sur Pomponi , o sia '1 Segretari d' Gumnità. Comedia an Plemontcls.
— A Turin, isoo, da Michel AngcI Moran. — Questa graziosa commediola
è tutt'ora anònima.
Rime piemontesi di Agostino Bosco da Poirino. — Carmagnola, dalla
Stamperia di Pietro Barblé. — Senza dataj che è l'anno 1801, tn-s. Que-
sto volume è il IX delle poesìe di guest' autore raccolte in dieci volumi j
che per altro non hanno un comune frontispizio collettivo, lìacchiude ot-
tanta svariate poesie nel dialetto di Poirino poco dissimile dall' astigiano.
Follie religiose. Poema in ottava rima, scritto in lingua piemontese con
note italiane dell'autore. — Italia, anno IX republlcano. — L'anònimo
autore di questo poema è il mèdico Edoardo Calvo ^ il Corifeo dei poeti
piemontesi j del quale ablnamo parlato a lungo nei Cenni letteraria ed
offerte varie poesie nei Saggi, Fu stampato in Torino^ nel isoi, dalla ti-
m
pografia Bianco ; ed è diviso in tre Canti j che insieme sommano itis ottave,
A un Scoulè d' Zenon arsuscUà cli^a l'è pa d^ vajre. Diatriba, coli* epi-
grafe: Amor ferisce i cuori e l'Inguinaglie. Senza indicazione tipogràfica^
in-folio potante. — Sono sette strofe d'ottonarj contro certo Giovanni Hu$j
detto stesso Calvo.
Al so Amis compare Toni
Dà '1 bon dì barba Gironi.
A Gastranopoli, air insegna di Zenone. — È questa una Canzone in 96
strofe di versi ottonari del medésimo Calvo contro lo stesso Hus summen-
tovatOj in folio sciolto j stampata pure, come la precedente , in Torino
nel 1801.
Favole morali scritte in terza rima piemontese da Messer Edoardo Cal-
vo. Coli' epigra fé :
Io v'offro i carmi alla stagion del pianto;
Ma canta il cigno ullor che muor, ne sia
Chi nicghi al cigno moribondo il canto!
Deodata Saluzzo.
L'anno X republicano (I802). Senza indicazione di luogo che è Torino j in-s.
Favole morali scritte in terza rima piemontese da Messer Edoardo Cal-
vo. — Fascicolo secondo. — L'anno \I republicano (i80s), dalla stam-
peria di Matteo Guaita. Questo fascicolo forma continuazione al prece-
dente, e si l'uno che l'altro contiene sci fàvole.
ftttf) PARTE TERZA
Su la vita iV campagna. Ode plemontelsa (di EOonrdo Calvo), — Tii-
rtn, r«n XI, slamperìa Guaita. — Questo miràbile componimenio in verti
quinarj fu ristampato in Vercelli, anno XIV, èra repubUcana, da Zanolti
e Bianco.
Favole morali scritte in terza rima piemontese da Messcr Edoardo Cal-
vo. — Torino, 1814, presso la vedova Pomba e figli libraj in principio
della contrada di Po, in-8. È una ristampa j nella quale tròcansi unite
le li fà\'ole e l'ode sulla Vita di Campagna, fatta nella stamperia Gal-
letti, — j4llre ristampe si fecero posteriormente eon AgQiunte di altre
poesie j che sono:
Poesie scride in dialetto piemontese da Messer Edoardo Calvo. Quarta
edizione con aggiunte. — Torino, isic. presso la Vedova Pomba e figli,
in 8.° — Questa edizione j oltre alle i« Favole j contiene ancora: Stanse
a Mssé Edouard; La Pelission d*j can; L'Ode su la vita d' campagna, eri
in riscontro la parodia della medesima , cioè l'Ode su la vita d''sltà« del
mèdico Prunet. — Le posteriori ristampe colle indicate aggiunte furono
fatte in Torino j nel 1843, l'inia presso Pompeo Magnaghi, l'altra presso
G. B. Binelli.
La festa dMa Pignata, ossia Amor e Convenienza. Comedia an tre Att,
e 'n vers piemontcis d'D. Carlo Casalis professor d' filosofia. — Turin,
an XII (1804), 'ni la slamparin filantropica, in 4.'>
Nel passaggio per Poirino di S. Santità Pio vii addì I2 novembre I8a4,
Poesia Comica di Agostino Bosco. — Carniugnola, dalla stamperia di Pietm
Barbio, in 8.** — In questo volumetto di se pagine tròvansi I4 scherzi
poètici dello stesso autore sul medèsinw argomento j in dialetto di Poirino.
Quaresimal sacociabil an vers piemontcis-italian con l'aggiunta d'doi
Poemct d'i Prof. Cario Casalis Donlor d'Sacr. fac. prof. em. d'fliosotìa,
Accadcniicli immobil d'Alessandria, e altualment professor d' lingua la-
tina e franseisn ani le scole d'Valenssa. — Alessandria, nella stamparla Rossi,
18015, in 8." — Questo volumetto conitene 30 Skmelti piemontesi eolla ver-
sione in versi sciolti italiani ; un poemetto in settenari piemontesi sulla
limosna; un Ricordo in ottave: un Avvilo ai malati; mi epigrasnma ed
un Sonetto j in diali Ito piemontese.
Nel passaggio di Pio VII pel Piemonte. Ecloga latina e piemontese. —
^Torino, 180», dalla stamperia d'Ignazio Soffietti. — Componimento anò^
nimo di io pàgine in n."
Paraphrase de la parabole de P enfant prodlgue cn vers piémontais avec
une note, par Charles Cas.-ilis Docleur en Ihéologle, ancien professe» r de
philosophic, menibre de rAcadémie irnprriale d'Alexandrie el Professeur
adjoint aux classes de langiie latini! à l'ócole secondaire de la ville de
Turin. — Turin. ibor, de riniprimerie de J. Glossi, in b.® — Questn
paràfrasi in 83 o//aPC piemontesi fu riittampata nel Parnaso pientontete
del 1851, colle note francesi ^ ed in quello del insQ. senta note , ma eoi-
raggiunta di alcune fàvole inèdita.
DIALETTI pBonoirrAxi. 057
Parafrasi delia paraboia del dgliuol prodigo verseggiata in ottave pie-
montesi dal sacerdote Raimondo Ferraudl saluizese, a richiesta del signor
Sotto-Prefetto del Circondario di Saluzzo. — Cuneo, presso Pietro Rossi
stampatore della prefettura, ises, in 4.**
Diclionuaire portatif piémontais-fran^ais suivi d'un Vocabulaire fran-
f^is des lermes usités dans les arts et métiers par ordre alphal>étique et
de matlère, avec leur expllcation, par Louis Capello comte de Sanfranco.
Turin, de l'imprimerle de Vincent Bianco, iai4, Voi. s in 8.* — Nel
primo f^olume^ oltre al Vocabolario, trovasi un Aper^u de nollces étymo-
logiqoes du dialecte piémontais d'après ses rapports avec le latin, Pìta-
llen, le fran^als, Tespagnol et l'anglois.
Disionari piemonteis, italian, latin e franseis compost dal Preive Casi-
-miro Zaili d^Cber.— Carmagnola, tei il, da la stanparia d^Peder Barbié ,
Voi. s in 8.® — L'Autore fece più tardi nel 185S una ristampa di que»
st* òpera, col titolo:
Dialonario piemontese, italiano, latino e francese compilato dal Sacer-
dote Casimiro Zallf di Chieri. Edizione seconda riordinata e di nuovi vo-
caboli arricchita. — Carmagnola, dalia tipografia di Pietro Barbié. —
Voi. 8 in 4.® — Siccome l'Autore mori dopo avere incominciata appena
la ristampa del primo Volume , cosi le Aggiunte sono òpera del tipògrafo
Barbié.
Il Missionario di Campagna, di Giuseppe Fontanonc. — Torino, I817,
in 8.* — In questo volinnelfo di io pàgine tròvansi dódici Sonetti in
piemontese.
Rimedi sicurissim centra le pclechie, ossia Novela moral picmontelsa
de Fauride Nicomedan (Ferraudi Raimondo) de Salusse ex-Caplan di
Cavaleger d'I Re, tra ]' Accademich d'Cher 'I Verace. — Turin, I8i7,
da la stamparla Fontana , in 8.® — Questo componimento in ottava rima
fu ristampato nel Parnas Piemonteis del isstf.
Cclebransi ra festa d'ra Madona d'ra Kqv, r'ann 1883, ce. Sonet. —
In Asti, stamperia di Giovanni Battista Massa. — Folio volante. — Que-
sto Sonetto è in dialetto astigiano rùstico.
La medicina curativa del signor Le Roy. Poemetto piemontese in due
Canti, di un borghigiano. — Torino, senza nome di stampatore e|seitza
data, che è del 188«.
Istradamento al comporre nella lingua italiana, approvato dalla R.
Direzione delle scuole, e seguito da un Dizionario piemontese- italiano. —
Torino, 1828, stamperia delia Vedova Ghirlnghclio e Compagno. Voi, s,
in 18." il secondo dei quali contiene il Dizionario, che l'Autore dice
compendiato da quello del Zalli, Il nome dell'Autore, l'abate Michele
Ponza, trovasi in calce della lèttera dedicatória. Se ne fecero in sèguito
due ristampe coi titoli seguenti:
1.® Dizionario piemontese-italiano approvato dalia R. Direzione delle
scuole. — Edizione seconda. — Torino, I8«7, stamperia della Vedova
Ghiringhclio e Compagno, in 12."
GttB PAUTB TEMA
a.® Dizionario piemontese-italiano contenente le voci puramente pie-
montesi e di uso famigliare e domèstico, del sacerdote Bllchele Ponza. »
Terza edizione correda ed ampliala. — Torino, dalla stamperia Reale,
1854, in 18." — Per le ulteriori ristampe ed aggiunte fatUvi^ lèggati
in sèguito.
Delle Storie di Cbieri del cav. Luigi Cibrario. — Torino, tipografia
Alliana^ 1027. — Voi. s in a.** IVel Voi. II a pag. ss? trovanti in intiero:
Gli Statuti sopra l'Ospizio della Società di S. Giorgio del popolo di Chieri,
ed 11 Giuramento ctie debbono prestare i Rettori della detta Società.
1 Fiori deirAlpi. — Torino, presso P. G. Pie librajo, 1837. Questo
Volume in 8.^ che racchiude una raccolta di poesie e lèttere in prosa,
per la maggior parte del cav. L. Cibrario ^ contiene altreù un grazioso
Sonetto piemontese inèdito del conte Risbaldo Orsini d'OrbasaanOj e due
stupendi Sonetti piemontesi del cav. Borelli.
Voci e modi toscani raccolti da Vittorio Alfieri, con le Gorrispondenie
dei medesimi in lingua francese ed in dialetto piemontese. — Torino, per
TAIIiana, a spese di P. G. Pie librajo della R. Accademia delle Scienze,
1827. — Veditore di guest' operetta in 8.° di sole 48 pagine fu il co».
Luigi Cibrario j come appare dii/r Avviso al Lettore.
Vers piemonleis, ossia quatr' estri scrit Tauton d'I 1827 a la campagna
d'Siosse da G. A. M. — A Turin, dal stampador Louis Sofflet, in s.* —
L* autore pseudònimo di questi camponimeìiti poètici è Giovanni jinkmio
Moretta.
Dojra grossa ant Pambrunì. — Turin, con permission. — Canzone
satirica di io pagine in 8.® stampata nel 18S7. L'anònimo autore è Gith
vanni Ignazio Pansoya, autore pure dell'opera seguente j e di parecchi
Capricci inseriti nel Parnaso Piemontese colle iniziali P. G. I.
Ricrcassion d'I.'Auluun. Vers piemonlcis scrii da un Piemontels ch'a
s'dsplemontscrla mai, gnanca pr fc d' tragedie. — Turin, da Carlin Sylva
stampadour, 1827. — Sono cinque Salire anacreòntiche ed un Sonetto
dello slesso Pansoyaj il quale nel toso publicò un altro libricciuoto col
medesimo tìtolo j e coi tipi dell'jéllianaj che fa sèguito al precedente, cou'
tenendo tre Capricci nello stesso metro e forma.
Dojra grossa vers mesdi, parodia a Dojra grossa ant Tambninì. Gan-
soun pìcniontcisa. Turin, cun permission. — Senza l'annOj ch'è il itti.
L'anònimo autore è Enrico B assolino j die in varie poesie edite ed inèdite
si denominò L'Armila d'Cavouret, ora distesamente ^ ed ora colle sèm'
plici iniziali L. A. D. C, come si scorge in altri suoi componimenti che
riferiremo più oltre.
L' Amis die Sluse picmonleìse ai Autor die doe poesìe su Dojra grossa. —
Turin, da Lisander Fontana slampadour, I827. — Questo cosilo di >•
Ottave endecasillabe fu ristampato nel Parnaso piemontese del leas.
Risposta a T Armila d'Cavouret Amis die Muse piemonteise; Vers a la
'randa de G. B. Autour dia poesia intitoulà: Dojra grossa vers mesdì.
DIALETTI PEDBMOIITA?!!. G59
parodia a Dojra grossa ant l'ambruni. — Turin, senza datUj che è Iran-
no 18S7.
Mia Musa giù d'ienna, mancandje un Mecenate, ossia J' eclissi dl'om
e soa elisia moral. -— Ode an risposta a 'a medicli me amis, eh' a inMa«
vita a scrive die poesìe piemontcise. — Turin 1889, dai libre 8peiraa e
Vaccarin, in 12.* J piedi delle 20 strofe quinarie ^ onde consta quesC opùr
scoloj la segnatura L. A. D. C. rivela autore il Bussolino, ossia L'Armita
d''Cavouret. Jl medésimo autore appartengono i tre componimenti ano'
nimi seguenti:
Poupouri a la Sènevra, esplourassion teorico pratica di' altitudine ch^a
rba noster diulett a la poeséja, scrviends d^j espressioun comunne a le
personne ben educa. Part prima. — Turin, I8S0, da la stamparla Botta ,
coun permissioun. <— Quest'opùscolo contiene varie poesie in vario me-
trO' La seconda Parte non venne mai alla luce.
Ultima espanssion a Dijo d'un Piemontcis coronel d'Ozar mort a Paris.
Sonett. Jn fine: D. T Armila d'Cavouret. — Turin, da la stamparla Botta,
con permission. In folio voiantCj setiza-dafa.
La Consolassion d'j Piemontcis. Cansson. — Da la stamparla Botta. —
Folio volante, senza luogo ed anno, che sono Torino tasi, avendo per
oggetto l'avvenimento al trono del Be Carlo Alberto,
Saggio di poesìe piemontesi di un gènere affatto nuovo. — Torino, dalla
tipografia Alllana, f 889, in 8." — KSono traduzioni in versi piemontesi
di varj brani del Dante, del Tasso, del Petrarca, del Metastasio e del'
l'Alfieri, L'anònimo autore è il conte Luigi Joannini Ceva di S, Michele,
Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai Marchesi di
Saluzzo raccolte dair avvocato Delfino Muletti Saluzzese e pubblicate con
addizioni e note da Carlo Muletti. — Saluzzo, Lobelli-Bodoni, 18S9. — Nel
Tomo ly a pag. 89tf tròvansi le Kecomendaciones dei fratelli della Casa
di disciplina in Saluzzo, nel dialetto locale di quel tempo, tratte da un
Còdice del sècolo XI^, delle quali abbiamo riportato un Saggio.
Vocabolario piemontese-italiano di Michele Ponza da Cavour. — Torino,
dalla stamperia reale, 1 830-1853. Voi. 3 iu 8.® — Questo yocabolario sin
dal principio della sua publicazione fu argomento di parecchi scritti cri"
tici, dei quali noteremo i principali, e sono: Piote critiche al primo fa-
scìcolo del Vocabolario piemontese-italiano di Michele Ponza, del prete
Giuseppe Antonio Ramello da Vercelli. Torino, tasi, presso G. B. Para-
via, io 8.°; Osservazioni di Mastro Simone Barbiere sopra VAnnotatore
degli errori di lingua. Torino, stamperia Cassone, Marzoratl e Vercellot-
ti, 1831, in 8.** Opera del signor Boccili professore di Bettòrica alle
Corcare; Di Blichele Ponza e suoi Censori. Torino, i83i, presso Mando
e Speirani. Opera dell'avvocato Nota figlio del celebre scrittor di Comèdie:
Osservazioni di Mastro Simone Barbiere, sopra Topuscolo intitolato: Di
Michele Ponza e suoi Censori, Torino, §831 , stamperia Ghiringello, in 8.^;
Osservazioni di Mastro Leonardo Ciabattino sopra il Vocabolario pietnon-
ff0O PARTE TERZA
tese-italiano di Michele Ponza, Torino, iBSi, stamperia Bianco, In 8.":
Osservazioni di Mastro Leonardo Ciabattino sopra II Vocabolario piemon-
tese-italiano j sul B, C, D, di Michele Ponza. Torino, issi, dal tipi di
Bianco, In 8.® Avvertasi _, che questi due ùltimi opùscoli j rum sappiamo
con guai fondamento j vengono d* ordinario attrilmiti al cav. Luigi Cifrra-
rio, Féggasi più avanti T Appendice. »
I cattivi medici. Poemetto piemontese di N. H. (Norberto Uosa) — Susi,
dalla stamperia di Gerolamo Gatti. Senza l'agno j che dev'èssere il laso,
Ili 8.*>
Follie plemonteìse d'un Armita Canavsan {l'avvocato Giuseppe Maria
Jìegis). — Turin, isso, da Masper e Serra. Questo volumetto in 8.* con-
tiene 18 epigrammi sattrici j gènere di componimento non mai iraitato
per finanzi.
Li sent Evangile de nostcr Seigneur Gesù Christ, confourma seni Loca et
sent Giano rendu en lengua Valdesa. — Par Pierre Bert ancien Modératear
des Égtises Vaudoises et Pasteur de la Tour, — A' Londrcs, de l'impri-
merle de Moyes. Took's Court, Chancery Lane, isso, in a.*
'L Consolator d^ coni eh' a perdo a la lotarìa. Glorna! piemonteis con la
tarifa dMe monede pr Fan issi. — Turin> tipografia Cassone, Marzoratl
e Vercellottl. Questo Giornale in is.*" contiene sette componimenti poètici
piemontesi.
Opere piemonteise d*V. A. Peyron. — Turin, isso-si. — Voi. 5, in 8.*
I primi tre Volumi contengono 144 Fàvole j un Pròlogo ed una eoncMu-
sionCj e furono stampati nella tipografia di Vittorio Picco. Il quarto,
contiene I44 poesie diverse. Il quinto ^ TArte poètica d'Bolleau tradota
an vcrs croich piemonteis, con ci test a front. I due ùltimi stampati dalla
tipografia Mando, Speirani e Compagni.
La Musica apologetica a la prima part del Popori a la Senevra, ossia
Capitol sui Capitoi, otavc f^u le otavc, e paragon sui paragon, preceda
da dol Sonet in lode del dialct. Assag poetich d'V. A. Peyron scrit se*
cond soa neuva ortografia. — Turin, issi, tipografia Picco.
L'Autoun, o sia i piasi dMa campagna. Rime piemonteise scrite an
Tu^in da un Turineis, ch'dop d'avel goodu 1 piasi dMa campagna j'è
vnu M schiribiss d'scrivie an poesia. — Turin, 18.11, stamparla dMa Vid.
Ghiringbel e Comp. , in 8.®
Raccolta delle poesie piemontesi del Padre Giuseppe Frloll. — Torino,
1851, presso Carlo Grosso in contrada del Callo, in 8.** È questa una rac-
colta di canzoni che vengono luti' ora cantate dai ciarlatani per le me,
e che furono anteriormente stampale in fogli votanti' — Lo stesso stam-
patore ne publicò una seconda edizione in ic." net 1858.
Parnas piemonteis. An prim, issi. — Turin da la stamparla Alliaoa. —
In quest'anno ebbe principio la publicazionc di questo Almanacco, desti-
nalo a contenere una svariata raccolta di componimenti poètici piemontesi
èditi ed inèditi di ogni autore. Nell'anno successivo I85« , ceduta la tipo-
MAuem MDBiHNrrAfih - '66 i
-grafia AìUana al Fodratti, quesii volle rkomineiarne la itrie eolla pro-
prio firma j e la conlinuò Mii gli anni $ubcetfi9Ìj sino a noi; di modo che
rullerà collezione con$la di t* tolwnellf in i», che iolio il Hlolo bene
approprialo di Paroas Pienionteis nu-chiùdono un dovizioso repertòrio
della maggior porle delle poesìe pietnonlesi finora comparse alla luce»
SusUnia de la Storia Senta et dar Cataquisine rendu en leoga Valdese
par P. Bert. — Londra, i8S2, in is.^
Storia dei Principi di Savoja del ramo di Acaja ( del eop. Pietro Datta), —
Voi, t <fi-8. — Nel $econdo volume , a pag. t87 , si legge la già da noi
Hporlota Canzone snlla resa di Pancalieri nel i4id. Fu ristampata nella
Storia della Poesia in Piemonte, di T. Vallauri.
INO primi* ogét d^amor e d^ consolassion, cootenent la golda del Cristian
€ la ilasofla del Vangeli. Dedica a rillastrissim e reverendìssim IlL Gioan
Batista Giraod. — Turin, 1 8:111, presso V. A. Peyron a la stamparla po-
U^tta.'
Appefidice al Vocabolario piemontese-italiano di Uicbele Ponza da Ga-
ironr, nella quale si contengono circa dodici mila tra voci e frasi piemon-
tesi non più registrate, ne fatte italiane nei precedenti dizionarj. — To-
rino, stamperia reale, 183S, Ìn-8.
Ultima descuerta ch*a s'è fasse dU mond d'Ia Iona. — Tnrin, dal. libre
Cloan Batista Binelll, issa, In-iV
Una bela carota grossa da vende , ch'a l'è rubata giù d^ant el mond
dia luna. — Turin, da Gioan Batista Binelli, isse, Ìn-8.
Grammatica piemonleisa-italiana {di Enrico Geymet). — Turin, da
G. Pomba e Compagnia, 1837, in-i2.
L'illuminassion a gas. Caprissi d'G. I. P. {Giovanni Ignazio Pansoya).
— Turin, da Giusep Ballator, 1838, in-8.
Donato piemontese-italiano, ossia Manuale della lingua italiana ad uso
dei maestri e degli scolari piemontesi, di Michele Ponza. — Torino, 1838,
tip. Baglione, Melanotte e Pomba, in*8. La seconda parie consta di prose
e poesie piemontesi di vari autori.
Notizia intorno ai Còdici manoscritti di cose italiane conservati nelle
Biblioteche del mezzodì delia Francia, del cav. Costanzo Cazzerà. — To-
rino, stamperia Reale, 188G, Ìn-8. Ivi trovasi un Sonetto piemontese di
Fittorio j4lfieri.
Canzoni Piemontesi. —Lugano, tipograQa Ruggia eComp., 1839, in-it.
Questo anònimo volumetto contiene S4 Canzoni e tre poemetti j che sono
dell^avvocato Jngelo Bro/fetHo di Castetnuovo d'Jsti, — Fu ristampato
più voltej con aggiunte, in data d'Italia.
I Fumeurs. Facessia polemica d' Fauride Nicomedan, fra j Irrequiet *1
Verace. — Savigllano, tipografia Daniele {senz'anno), in- 12.
Le Strade ferrate. Sestine piemontesi {di Norberto Uosa). — Torino,
tip. Chirio e Mina, 1840, Ìn-8.
Storia della poesia in Piemonte di Tommaso Vallauri. — Torino, tipo-
US
003 PABTE TOUA^ OIALETTI PEDEMOiTTANI.
grafia Chi rio « Ulna, §841 , voi. s in-8. — Ji^t^ fra i molti Saggi di poetie
italiane, latine e franceti prodotti ad itluMlrazUme della storia poètica
nazionale j se ne trovano alcuni in dialetto pienumtese.
La Giardiniera.
Canzonella sopra le figlie che hanno ricusato di maritarsi neir età
giovane.
Risposta alla precedenle.
Canzone sui pastori che dalla montagna discendono in pianura.
Le Comari. Questi ùltimi cinque componimenti appartengono al nùmero
indeterminato di quelle Canzoni anònime, che i cerretani coniano nelle
pùbliche me, alcune delle quali divengono popolari per eccellenza, e si
diffondono rapidamente nelle Provincie, o pel soggetto d'occasione che in-
teressa, 0 pel ritmo musicale che piace ; altre invece scompaiono appena
nate, e cèdono il posto alle nuove» Olire che sono tutte oscure, e di più
oscuri autori, vengono d'ordinario stampate in folio volante, senza tìsogo
ed anno. Negli anni addietro autore di parecchi fra questi composùmentì
si fu il Padre Giuseppe Frioli; vèggasi più sopra al titolo: Raccolta delle
poesie piemontesi del P. Giuseppe Frioli. Torino, issi.
Vocabolario piemontese-italiano, ed italiano-piemontese del sacerdote
Michele Ponza. ^- Torino, tipografia Paravia, i84;i, in-8.
APPENDICE
alle precedenti bibliografie dei dialetli
Lombardi ed Emiliani»
Sebbene, come abbiamo esplicitamente dichiarato néìVInlro-
duziotie e confermato nel (itolo di questo libro, nostra inten-
zione precipua, redigendo il presente lavoro, fosse quella di
tracciare un piano di ordinamento dei varii elementi che insieme
costituiscono e determinano l'indole speciale e caratteristica dei
singoli dialetti, onde pòrgere allo studioso la sicura norma per
la classificazione dei medésimi, e non già quella di riunire una
compiuta raccolta di notizie e dei materiali a tal uopo indispen-
sàbili, ciò nulladimeno, avendo nel corso della presente publi-
cazione rinvenuto qua e là aìqnante notizie bibliogràfiche intorno
ai dialetti lombardi ed emiliani, che potrebbero per avventura
interessare ai coltivatori di slmili studj , stimiamo opportuno ag-
giùngerle qui appresso in Appendice alle bibliografìe rispettive.
Dialetti Lombardi.
mianese.
CoDsonancic di echo. — Sema luogo ed annoj in 8.* — Opùtcolo rarOj
stampato probabilmente a Venezia intorno al itf40. Dopo le Coosonancie
in onore di M. Laura j trovasi un piccolo poema inlitolato: Le Kozze del
Zane in vari din le (ti ^ cioè: bergamasco ^ napolitano j roìnano^ milanese ^
genovese j veneziano j bolognese j ferrarese j romagnolo, piacentino, ino-
denese e mantovano,
Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciaselte linguazi. —
«Slenza indicazione tipogràfica. — Opuscolftto forse stampato a Venezia
intomo al i»»o, ove sono rappresentati i dialetti mantovano j veneziano,
milanese, napolitano, romagnolo, ecc.
G64 PARTE TERZA
Avvertimenti della lingua sopra il Decanieronc, del cav. Lionardo Sal-
viati. — Venezia, i»84, s Voi. in 4.^ — Alla flne del primo Volume
trovasi una novella del Boccaccio, tradotta successivamente nei dialetti:
bergamasco^ veneziano, friulano. Istriano, padovano, genovese, manto-
vano, milanese, bolognese, napolitano, pcmglno e fiorentino.
Diporti acadcniici di D. Agostino Lampognani abbate Caslnense. — Ui-
lano, isss, appresso Lodovico Monza, in b.^ — In fine di quesi'^fipera,
il diporto decimosesto tratta de' Dialetti Invero degli Idiotismi d'alcune
città d'Italia, ed ivi trovatisi atcutii Saggi in prosa dei diateiti fiorentino,
bergamasco^ veficzianOj milanese j pavese ^ piacentino^ bolognete e genovese.
In occasion del faustlssem matrimoni del sciur D. Fraozesch Piazza de
Pont In Valtellina colla sciura Donna Marianna. Himm mllanes. — Nova-
ra, 1797, in 8.®
In morte di S. E. Giovanni Benedetto Borromeo Arese, rime di Dome-
nico Balestrieri. — Milano, Agnelli, 1741.
Poesia ai so ncvodinn Marina e Cecca Balestrer che se fann moncgh.
Milano, pel Marcili, i7«4. In folio.
Arco trionfale consacralo ai reali sposi l'Arciduca Ferdinando d'Austria
e la principessa M. Ricciarda d*Este, da Domenico Balestrieri. — Milano,
per G. B. Bianchi, I77i, in a.®
La Pioggia d'oro e la Fuggitiva, di Tommaso Grossi. — Milano, per Vin-
cenzo Ferrarlo, isss, in is.^
I donn no han tori. — Milano, pel Borsani, ists, in it.*
Amor di figlio e avidità delPoro. Novella In ottava rima milanese, di
Giovanni Ventura. — Milano, pel Brambilla, 1894, In la.®
La Norma resiada. Sestinn. — Mìlan, stamparla Malatesta de Carlo
Tincll e Comp. 1838. — Volumetto in 8." di 16 pagine.
La Rattcide. Poemetto in sesta rima milanese di L. S. Almanacco per
l'anno bisestile I832. — Milano a spese di Benedetto Bouvier.
On sogn de Mcneghin Pccceiina. Canti due in dialetto milanese, per
felicitare la ricuperata salute del signor Duca Pompeo Litta, di Carlo
Cambiaggio. — Milano, per Fusi e Comp., isStf, in b.»
CarfAmbròs. Versi milanesi di Giovanni Ventura. . — Milano, per Cu-
glielmini, 1840, In 8.®
In occasione deirEcclisse totale di sole. Sestine di Ambrogio Alberti,
in dialetto milanese. — Milano, per Chiusi e Comp., i84t. In te.*
Dicerie e narrazioni sull'Ecclisse dell' 8 luglio I84S. Sestine in dialetto
milanese. — Milano, per Tamburini e Valdoni, in 8.®
Viaggio fatto in sogno sulla strada ferrata da Milano a Venezia, ec.
Canti cinque in dialelto milanese di Luigi G lardi. — Milano, per Placido
M. Visaj, 1843, in 18.
Descrizione e ragionaroenlo sulla strada ferrata da Milano a Venezia.
Rime milanesi. — Milano, per Tamburini e Valdoni, fl84S, In it.*
Uno scherzo sulla nuova illuminazione a gas in Milano. Rime vemaeole
di Leopoldo Berzaghi. — Milano, Tamburini, I84tf, in 8.*
DIALETTI PBDBMOIITAKI. 06tf
Chi cerca troeuva; ossia ei progress ^e la gtornada. Seslinii. de Frusti-
Diane Schieltipa. — Milano, Plrotta e-Comp. 1847 , In 8.°
TuU i coss a soo teiop. Sestine di Fortunato Bonelli. — Milano, per
Redaelli, 1848, in 8."*
Raccolta di poesie in .dialetto milanese, per Luigi Malveizi. — Milano,
Ti^ilmant, 1848, In 8."
Vita e testamenl de Tomm de Preja, di Giuseppe Elena. — Milano,
per Chiusi e Comp., istfo, in 8.®
L'ultima messa celebrata nella chiesa della Rosa in Milano, o sia un
racconto che fa conoscere cos'erano quei tempi (i4 maggio §798). Tiri-
tera in versi milanesi di G. B. Fumagalli. — Milano, per Redaelli, isso.
Scritti in dialetto milanese di Giuseppe Sommariva. — Su- i donn , gió
i omen. — Al noeuf or de sira. — A Morivion. — Milano, pel Messaggi,
it4ii, in 8.®
Meneghin a Roma. Abort d'una Strenna per el i8«i (di Giuseppe iSòm-
maripa). Milano, pel Messaggi , in 8.®
Macchin per Londra. Fantasia in dialetto milanese di Giuseppe Som-
nari va. — Milano, Messaggi, istfi , in 8."
I misteri de Milan. Scenn de la vita {di Giuseppe Sommariva). — Mi-
lano, Gio. Messaggi, iSiss, In 8.®
El pover Pili. Versi milanesi di Giovanni Raibcrti. — Milano, per Giu-
seppe Bernardoni , tatti. In 8.®
1 Piazz de Milan. Guida strasordinaria per ei isss, compilada dal mi-
lanes Giusep Sommariva. — Milan, Messaggi, tSM, in 8.^
I Fest de Natal. Versi milanesi di Gio. Raiberti. — Milano, per Giu-
seppe Bernardoni, laas. In 8.^
BcrM^amasco.
Coniedia nova de Notturno napolitano, intitolata: Gaudio d^ Amore. —
Vlnegia, March. Sessa, issi , in 8.^ Questa Comedia^ divenuta ossm raraj
è scritta in terza rima, ed uno degli interlocutori vi parla il dialetto
ùergamasco.
Errori incogniti, Comcdia di Pietro Buonfauli da Bibbiena. — Firenze,
G. Marcscotli, iisoo (In flnc ì6Si), in 8'' Ivi fra gli altri personaggi
Zanni vi parla il bergamasco corrotto.
La Farinella, comedia di G. G. Croce. — Bologna, per Antonio Pizarri.
Senz'anno, in I2.°
Gli otto assortili, Comedia di Giovanni Sìnibaldi. — Venezia, per Ales-
sandro Vecchi, f eoo, in la."* Gli interlocutori vi parlano il dialetto ber-
gamasco ed il veneziano.
U diversi linguaggi. Comedia di Verg. Veruccl. — Vlnegia, per Ales-
sandro Vecchi, 1609, In is." Gli interlocutori vi parlano varj dialetti,
fra i quali il berganuuco.
Ci6i) PARTE TEMA
Il doltor Baccheton; Comedia di Bonavvenhira Gioanellf. — Venctia,
1619, in is. — È 8(Til(a in vari iHnlettij fra i quaU anche il bergamoiCù.
Uascarale et capricci dilettevoli recitativi in ComedlC) et da canUrsi
n ogni sorte d'instromenti, operete di mollo spaso, di P. Yeraldo. —
Venesla, per Angelo Salvadori, tese, in itt.'* — Neil' oPverHmento l'au-
tore annunzia, che gli interlocutori vi parlano diveni dialetti ^ cioi^ il
napolitano j il bolognese ^ il tedesco italianizzato, il bergamoieo^ il geno-
vese ^ il norcino ed il romano.
La Rosalba. Conicdia di Angelo Scaramuccia. -*- Veiletri, I6S8, in fi.*
È scritta in dipersi dialetti j tra i quali si trova pure il bergamaieo.
La schernita Cortigiana. Comedia di Giovanni Maria Alessandrini da
Loniano. — Bologna, per Giovanni Longhi, ittsn, in it/ — Un inier'
tocutore vi parla bergamasco.
Il titolo non si sa. Opera del dottor Sottogisnio Manasta. — Milano,
per Lodovico Monza, 1675, in ì^.^ — È scritta nei dialetti bergaauLico,
bolognese^ veneziano e napolitano.
Pantalone mercante fallito. Comedia del Simontomadoni. — Veneiia«
per Domenico Lovisa, loos, in is." — Fra gli inlcrloeutori trovasi il
bergamasco,
Trufaldino medico volante. Comedia. — Bologna, pel LoDgbI. Senza
l^anno^ in is.* — Tra i vari dialetti vi è parlato pure il bergamaseo.
Pantalon spetier, con la metamorfosi d'Arlech ino per amore. Scenica
rappresentanza di Gio. BonicclU. — Venezia, Domenico Louisa. Senz^anno,
in i«." — Ivi pure è parlato il bergatnasno»
Trufaldin Anto papagalo per amor, filosofo per conversatione nell'as-
semblea de' matti. Comedia di Nicolò Monasenl. — Vcnctla, per l>omenico
Louisa. Senz'danno, in 12.° Fi si parla il dialetto bergamasco.
L"* invidia in corte, o vero le pazzie del doltor. — Venezia, per Louisa.
Senz'anno, in it.'* — Fi è pure parlato il diaUtlo bergamasco.
Arlechino finto bassa d'Algeri. Opera scenica di Bonav. Gioanelli. —
Venetia, Domenico Louisa. Senz'anno, in is." — Fra gli interlocutori
trovasi il bergamasco.
La Fortuna de' pazzi ha cura, ovvero dall'offesa il beneficio. Comedia
di Fabrizio Manni. — Bologna, pel Longhi, I7if , in la." — Fi si parla
pure il bergamasco.
La gelosia schernita et la costanza premiala. Opera scenica di Carlo
Sigismondo Capeci. — Bologna, pel Longhi, I7I4, in 12." — Fu scritta
nei due dialtlli bergamasco e bolognese.
Chilonida. Opera da recitarsi dagli alunni del collegio Capranica. —
Roma, 171», in I2.° — Ivi Scudellino parla il dialetto bergamasco,
Instrumcnto del dolor Dcsconzo, in lingua bergamasca, cosa rldlculosa
con molti secreti. — Senza Indicazione tipogràfica. — Quest'opùscolo fu
tampato intorno al itf40.
Opera nova dove sì contiene una caccia amorosa trasmutata alla ber-
MALim KDOiOlilTANI. 067
gamasca, et altre bellissime battaglie, con un biasmo della caccia d^a-
more» et capItoU bellissimi. — Senta Indicazione veruna. — Quetto raro
opùscùio racchiude varie poetie licenzio$e in dialetto bergamasco. La eoe*
eia d'amore è in italiano ^ ed ogni quariina è seguita dalla parodia nello
iietso dialetto. Fu probabilmente stampato in Venezia j prima del laao.
Marldaz, over sermó da fa In maschera a una sposa, in lengua berga-
nasca, ee. ** Senta veruna indicazione, in 8.® •— Quest'opùscolo ,a$tai
probabilmente fu stampato in Venezia j pel Sindoni j nel laao.
Bermon da far In maschera ad una sposa, in lingua bergamasca. Cosa
molto dilettevole, con due Canzonette in lingua veneziana. — Senza in«
dicazione tipografica; ma pare stampato in Venezia^ intomo aU'asmo
isao, in 8.^
Vanto del Zani, dove lui narra molte segnalate prove che lui a (atto
nel magnar. — Senza veruna indicazione, in 8.** — Questa poema. in ol-
iopa rima è scritta in bergamasco,
Capitolo in lode del Bocal, con. un sonetto di un viaggio del Zani a
▼enetia. — Senza luogo ed anno, in 8.® — Stampalo forse in Venezia,
intomo al i8«o.
La piacevole astrologia del Ravanello. — Senza luogo ed anno, in 8.^ -•-
Questa facezia è seguita dalla Genealogia del Zani , in dialetto bergama*
SCO, Fu stampata nel sècolo XVI,
Opera nuova nella quale si contiene un Invito de alcuni ortolani, eon
la risposta; et la Pastorella, con la tramulatione, et alcune stancie in lin-
gua bergamascha. — Senza luogo ed anno, in 8.* — Le sole Stanze sono
in dialetto bergamasco ^ e racchiùdono l'elogio delle taverne.
Il spasso della villa del Mantovano, con una Canzon tramutata in lin-
gua bergamasca. — Senza luogo ed anno, in 8.**
Le piacevoli notti di GIo. Fr. Straparola da Caravaggio. — Vlnegla,
Comin da Trino, I880-S4. Voi. f , in 8.** — Fu ristampata pure in Ve-
nezia j nel 1599, da Alessandro De Vecchi, in 4.® Za terza Novella, Ber-
toldo de Valsabia, della V notte j è scritta in prosa bergamasca.
Di Sulpizia romana trionfante. Trattenimenti cinque, ec. di Camillo
Scaligeri dalla Fratta (j4driano Banchieri), •» Bologna, Giovanni Battista
Ferroni, f068, in 12.^ — ji pag. 7S e seguenti' vi si trova un racconto
ed una breve poesìa in bergamasco.
I sccrèc del me Nono, ossia Raccolta di cognizioni ùtili e dilettevoli
(di Bonfant Pasti). Almanacco per l'anno 1846. — Bergamo, pel Sonzo-
gni, in ss.®
Bresciano.
Ai Glaccobi de la quondam Repubblica Cii^alpina. Capitol. — Brescia,
1790, in 8.®
(109 ' . PARTE TBR2A
Dialetti Emiliani.
Balo||iie«e«
I parenti godevoli, opera piacevolissima di G. C Croce. — Vologna,
seni' anno, in e.* — Jn quetUt comtdia famigliare Graziano e Pedroiktù
cantano alcune itanze in dialetto bologneee.
Li diversi linguaggi. Com. di Verg. Verucoi. — Vinegla^ per Alessandro
Vecclif, 1600, In it.° — fVa i vari dialetti parlati dagli interlocuiori n
trwa anche il bolognese. .
Bravata di Bablno, parte in lingua romagnola, parte toscana. Opera da
ridete di G. C. Croce. — Bologna, Bartolommeo Cocchi , leiT, la 8.* —
Quttto cùmponimento è scritto in terza rima,
II dottor Baccheton, Comedia di Bonavventura GloanelU. •— Veneala,
I6I9, in f t.® — Jn questo componimento in vari dialetti, un interlocu-
tore ^drla il bolognese.
Il Pantalon imbcrtonao. Comedia di Giovanni Briccio. — Veneiia, f ete^
in 18.* — Graziano vi parla il proprio dialetto.
Mascarate et capricci dilettevoli recitativi in Comedie, et da cantarsi
In ogni sorta dMnstromenti, operete di molto spaso, di P. Veraldo. — >
▼eoezia, per Angelo Salvadori, lete, in is.® — Fra ì vari diaieiU par*
Mi dagli interlocutori j si trova anche il bolognese.
La Rosalba. Comedia di Angelo Scaramuccia. — Velletri, tese, io it.«—
Fra gli interlocutori trovasi pure il bolognese.
Il titolo non si sa. Opera del dottor Sotlogisnio Manasta. — Milano, per
Lodovico Monza, 1075, in is.** — Un interlocutore parla il dialetto bo-
lognese.
Il Fazoletto. Opora scenica del Brignolc. — Bologna, per Giovanni Lon-
ghi; 1065, in it.® Jvi il dottor Graziano parla il bolognese.
Pantalone mercante fallito. Comedia del Simontomadool. — Venezia,
per Domenico Louisa, I095, in if.® — Un interlocutore parla il dialetto
bolognese.
La finta Zingara. Comedia di Aeginaldo Sgambati. — Bologna, senz'anno,
in 19.''
Pantalon speticr, con le metamorfosi d'Arlecbino per amore. Scenica
rappresentanza di Giovanni Bonicelli. — Venezia., Domenico Louisa, senza
data, In is.^ — Fra gli allori trovasi pure il bolognese.
Il matrimonio in maschera. Comedia di Fabrizio Nanni. — Bologna,
pei Longhl. Senz'anno, in 12.®
Trufaldin Anto papagalo per amore, filosofo per conversazione nel-
r assemblea de' matti. Comedia di Nicolò Monaseni. — Vcnctia, Domenico
Louisa. Senz'anno, in I9.° — È scritta in vari dialetti ^ tra i quali il
bolognese.
DIALETTI PEDEMONTANI. 6G0
LMnvidia in coric, o vero le pazzie del dollor. — Venezia, Domenico
Louisa. Senz^anno, in I2.^ — Tra t vari dialetti che vi sono parlati trò-
vasi pure il bolognese.
Arlcctiino finto bassa d'Algieri. Opera scenica di Bonav. Giovanelli. —
Venctia^ Domenico Louisa. Senz'anno, in is.** — Un attore vi parla il
dialetto bolognese.
Lamento di Tugnol da ftluierbl per esserli stala rubbata la borsa, ri-
dona a modo di comedia, composta da Francesco Draghelli. — Bologna,
Girolamo Cocchi. Senz'anno, in a.** — È scritto per intero in bolognese.
La fortuna dei pazzi ha cura, ovvero dall'offesa il benefizio. Comedia
di Fabrizio Manni. — Bologna, Longhi, f7ii, in is.° — Fra i diversi
dialelii i9i parlali trovasi pure il bolognese.
La gelosia schernita et la costanza premiala. Opera scenica di Carlo
Sigismondo Capeci. — Bologna, pel Longhi, f7i4, in fs.^ — È scritta
nei due dialetti bolognese e bergamasco.
lì savio delirante. Comico divertimento per musica. — Bologna, iTse,
tn 19.° — È veramente strana un* Opera in dialetto bolognese per musica!
Zanin dagl* istori. Lunari nov per Tann isoe. — Bulogna, in 16.^ —
Questo lunario, che fu riprodotto diversi anni, contiene in cascun anno
una comediola in dialetto bolognese.
Progetto di Ortografia bolognese proposto da un Accademico del Tri»
fello. ^- Bologna, dai tipi del Nobili e Comp., issa, in 8.^
Questa è una farsa recitata a gli excelsi signori di Firenze, nella quale
si dimostra, che In qualunque grado che l'homo sia, non si può quietare
et vivere senza pensieri, ec. Sema luogo ed anno^ ln-8. — Questa farsa
è in versij ed è forse stampata a Firenze sullo scorcio del sècolo xy* M
un interlocutore parla il dialetto pavese, ed un altro il piacentino.
Diporti Academici di D. Agostino Lampognani. — Milano, letts, presso
Lodovico Monza, in-8. — Ivi fra i vari Saggi, trovasi un Bacc'onto in
prosa pavese.
Giarlaett, Tacquei ardìcol , crif ich e moral dael sur Giarlaett con j 09-
sarvazion di Paisàn sgond zerti di e sfaglon dPan, ec. In tla me zitta,
l'an 1784 pr al I70». Pacr Afarcantoni Por. — Questo Almanacco consiste
in un lungo ed insipido Diàlogo in dialetto pavese, e termina con due
cattivi Sonetti. Fu ristampato nell'anno lese col seguente tìtolo:
Il vecchio Giarlaett del i7B8. Muovo Almanacco parranno bisestile I8S8.
Pavia, per Luigi Landoni.
Alla cara memoria del D. Defendente Sacchi morto il so dicembre 1840.
Sestine pavesi (di Giuseppe Bignami). — Pavia, libreria della Minerva
di Luigi Landoni, i84i.
I Piecroiogiì. Imitazione del Fusinato. — Poesìa in folio volante di
G. Bignami.
II pio orfanotrofio maschile di Pavia. Sestine in dialetto pavese di Giu-
seppe Bignami. — Pavia, pel Fusi, 1848, in-8.
APPENDICE
Mentre avevamo sotto il torchio gli ùltimi fogli di questo
Saggio j il signor Gabriele Rosa^ indefesso cnltore degli studj
linguistici^ e sopra tutto di quanto può giovare all'illustrazione
della storia patria, c'inviava, con una lèttera erudita, alcuni an-
tichi monumenti del dialetto bergamasco, da Ini rinvenuti fra i
manoscritti e gli archivii della città di Bergamo, i quali, seb-
bene svisati da una incerta e capricciosa ortografìa, bastano
per avventura a constatare resistenza delle forme caratteristi-
che di quel dialetto, intorno alla metà del sècolo XIII, prima
cioè che la lingua àulica generale si venisse sviluppando nella
nostra penisola, a supplantarvi il corrotto latino. A questi mo-
numenti per molti riguardi preziosi potremmo aggiùngerne altri
contemporanei propri d'altri dialetti lombardi, emiliani e pede-
montani, non che vèneti, càmici, campani e siculi, da noi rac-
colti allo scopo di tracciare colla scorta dei monumenti le rimote
orìgini dell'italiana favella. Mentre peraltro ci riserbiamo a coor-
dinare di propòsito queste importanti reliquie in una pròssima
publicazione, crediamo far cosa grata ai nostri lettori porgendo
loro, a corredo di quanto slam venuti esponendo nel corso del-
l'opera, i componimenti comunicatici dal signor Rosa insieme
alla lèttera che li accompagnava. R poiché non abbiamo sot-
t' occhio i documenti originali dai quali furono tratti, e nella
malferma ed incerta ortografia colla quale sono espressi, assai
malagévole torna il determinare con precisione la retta pro-
nunzia delle singole voci; così, per tema di alterarne il valore,
preferiamo rinunziare al sistema ortogràfico da noi superior-
mente stabilito, trascrivendoli fedelmente quali si trovano nel
rispettivo originale.
APPENDICE 67 i
A compimento poi del presente Saggio, ed a maggiore 8chia*
rimento della classificazione generale da noi proposta-, e della
divisione topogràfica della grande famìglia dei dialetti Gallo-ità-
lici j abbiamo stimato ùtile corredare tutta T òpera con nna Carta
topogràfica deiritalia superiore, nella quale abbiamo tracciato,
oltre ai confini generali delle distinte famiglie càrnìca, vèneta,
gallo-ilàlica, ligure e toscana, eziandio le principali divisioni e
suddivisioni dei dialetti gallo-itàlici, indicando specialmente i
nomi dei luoghi ove sono rispettivamente parlati.
Per tal modo verrà agevolata T intelligenza di quanto siam
venuti mano mano esponendo, e lo studioso, abbraciando con un
solo colpo d'occhio l'estensione e le speciali suddivisioni di tante
svariate favelle, scorgerà nelle naturali barriere la ragione delle
medésime, e potrà forse, mercè up diligente raffronto delle di-
visioni linguistiche colle molte divisioni etnogràfiche e politiche
alle quali l'Italia superiore andò col vòlgere dei sècoli soggetta,
conseguire nuove ed importanti rivelazioni.
Tale è il fine al quale noi abbiamo dirette le malagévoli e
coscienziose nostre ricerche. Allo stesso fine ci proponiamo di
continuarle, coordinando colla scorta, dei fatti e coli' assistenza
che invochiamo degli studiosi tutte le altre famiglie degli itàlici
dialetti, pienamente convinti, che una Carta linguìstica del-
l'Italia moderna per tal modo tracciata, corrispondendo in ogni
sua parte alla Carta polìtico-geogràfica dell'antica , varrà meglio
d'ogni altra guida ad appuntarci con certezza le prische sedi
delle itàliche tribù primitive, che se ne disputarono il possesso.
Carissimo Amico.
Da qualche tempo essendomi posto a rovistare fra* manoscritti ed
archivii di Bergamo, onde raccògliere notizie stòriche e linguìsti-
che, mi vennero mostrate dal sig. Stefano Borsetti, Cancelliere di
questo archivio Notarile, ed esperto paleògrafo, fra T altre cose,
due composizioni poètiche volgari, Tuna del i2B5, l'altra del 1340,
ignorate sino ad ora , scrìtte a Bergamo in lingua , che si direbbe
signorile bergamasca, perchè non è il bergamasco popolare, ma
67 i APPCflDIGE
quello di chi si aiuta colla conoscenza del latino notarile , e del
parlare de* colti lombardi » di farsi capire ed ascoltare piacevolmente
anche dai non bergamaschi. La composizione del 1253 è anteriore
di 12 anni alla nascita di Dante, e di i7 alla poesia milanese di
fra Bonvesino da Riva, ed al lamento della donna veneziana che
ha il marito alle crociate, da voi ridotte a buona lezione, illustrate
e pubblicate nel fascicolo di novembre 1847 della Rivista Europea.
Se quelle vanno fra più antichi monumenti di un tentativo di lin-
gua letteraria italiana con fondo milanese e veneziano, la nostra lo
è di simile esperimento con prevalenza di clementi bergamaschi»
mentre con base sieula ma più pròssima alla lìngua colta più co-
mune, toglievano a formare un volgare, illustre Ruggerooe, Riuieri
da Palermo, la Nina Folco da Calabria, Guerzoloda Taranto, Man-
fredo, Enzo, Federico U, Pier delle Vigne, Guido da Messina; con
materiali toscani, romani, emiliani eletti. Brunetto Latini, Rinaldo
d'Acquino, il Guinizzelli^ Onesto e Guidotto da Bologna, S. Fran-
cesco d*Assisi, Fabruzzo da Perugia, Mastro Agnolo da Camerino,
Jacopone da Todi, Guittone d'Arezzo, Papa Bonifacio Vili, Ricco-
baldo da Ravenna, la Beata Chiara da Rimini, Virginio Laurent!
da Cori; mentre a loro si ventano accostando ncU* Italia settentrio-
nale Albertano giùdice da Brescia, Gotto da Mantova, Albertino
Ciròlogo da Pàdova, Saladino da Pavia, Polo Lombardo, Pietro
Barsegapè da Milano.
Così questa poesia é insieme il più antico documento della Lom-
bardia di lingua italiana e bergamasca, e mostra come la storia
delle origini della lingua letteraria italiana non possa andare disgiunta
da quella de* vernàcoli d*onde esci. Questi monumenti quindi si
coordinano alla storia si della lingua italiana che dei dialetti, ed
acquistano maggiore importanza, e diventano più ùtili, quando
sono collegati criticamente cogli altri monumentalo più tardi potrò
coordinarli a studii locali, ma ora non potrei farli conóscere che
nella loro grettezza isolata, onde verrebbero giudicati di quelle
composizioni plebee anatomizzate da Dante. Divisai quindi mandarU
a voi, coiriaggiunta di alcune altre cose inèdite, che danno un
saggio del volgare bergamasco ne* secoli successivi KV e XM ,
pensando che, ove vi pajano convenienti, li potete pubblicare in
appendice al vostro prezioso lavoro sui dialetti gallo- itàlici, ove
nel proprio ostello saranno illustrati.
APPBNDICR 675
ri Decàlogo {Ì26S).
Questa composizione era fra islrumenti privali legati ìd un solo volume
di pergamena del f98S, scritta coiridèntìco caràttere clie parecchi di
quegli islrumenti, onde se non è anteriore, è almeno loro contemporànea.
In uomo sia de Crisi ol di presenl
Di dcs comandamel alcgramet ,
1 qua! dà de pader onnipotenl
A morsis per salvar la zel.
Ciri ì des comandament obscrverà.
In vita elcrna cum Xrislo andarà.
Et primo comandament ol di bonorar,
So ver omnia cossa ama ol creatore
Cbo lamma e cbol cor e cbo la mei
£ in lu meter tuli ol nostre amore.
E la rason per que no ol debnem amare,
Se vo m** ascolte so voi cbuytarave.
Per zo ebe a Ja, sua ymagen al na formalo,
E lo libero arbitro lu sma dato.
Tute le cose a nostra utililad
E del so sang precios al na recomperalo,
E su la eros al sulTri passione
Per la nostra rederaciope.
El secondo comandamento de observar,
El nomo de deo en va noi menzonarc
Ki in sperzur, ni in blasfemare.
Ni in faluri, ni in idoli menare.
Non cri ai indui, cb^a Ve rasia,
Ni in vana cossa chi in sto mondo sia.
Solu che se spcrzura biaslcma ol creatore,
E queii che lo madise el digo ancora.
In ydoialri ere i miser pecadore
Ai ere ai induì el ai Incantadore.
In asse vlserse pò deo biaslemare,
Unde ve prego che vei dcbie guardare.
In lol vegio teslamenlo se trova seri pio,
Sianl ol povel de deo Cora d'Egipto,
Ei fo un che biastemava deo bencdlglo
E per parola de deo padre ol fo digamos
E de fora ay lo fi menare,
E si io fi lapidare.
E pò vide San Grlgori de deo servente
Un fanti lo qual avea zinqui ani ,
A 74 APPENDICE
El qual blasfema Xrist nninipotentt?;
01 padre noi castigava de mente
E binsf cmando deo ol padre en braso Tava ,
01 damon a so dispregio de brazo ito tolava.
Et terso comaDdamcnto de ol>servarc.
So è la festa de deo ben guardare»
Andar a la glesia, a li messi, e udì predice,
LI nostro creatore de rograoiare,
Con tut ol cor e no co la fc vana.
De zo che al ne prestad in la seteniana.
A noi se de andar tenasando
Ma pover e infirmi revesetando ,
E ovra de misericordia faxando.
Le doni non de al bai andar cantando,
Ha tirarse la vanitad dal cor e da la testa;
Alora guadanariano la bela festa.
Ciascheduna dona che va disonestamente
Alla offende a Xristo omni potente
E fa vcrgonsa azescando so parente,
Com fi una, in tot vcgio testamento.
Un bel esempi ve dirò de presente.
Fiola de Jacob a la era hi veritade
Donzella alora piena de vanitàde
Novamcute a la riva a una zitade.
Li doni la vito andar per li gorade ,
Quella donzella fo prisa e vcrgonlata,
E duramente la fo lapidata.
Li so dudcs fradel sol tcn a desonorc,
E li piò la zitade a gran forore,
Hooieni e femini e fantini ancora
Per lai de spade li misi al bora.
Perzò chi a fioll li castigi per razone
A so chi no li pecbi per vostra casone.
El quarto comandamento de observare,
Se tu e pader ni mader, tu li di honorare
Faie honore e riverencia quanto tu poxe
Perchè li ta dati la caren, ol sangc,
Li nostri padri che na inzenerati,
E li nostri madri che in corpo na portati.
A se mali noti e dì yamo (i) dati
E del so sange eli na resazlati.
Eli- na acquistati la roba con grado sudore ,
Onde no poscmo stare a grande honore,
(I) y^^mo per abbiamo.
APPENDICI
Se DOD facemo cum fa lo re servente
Che non coniosse ehi lo serve de mente.
Cum fi un flol menescredenle
01 qua! aviva ol pader vegio certamente,
01 pader era vegio, xaziva al sole
Or udì quel que faxlsa quel re fiolo :
01 pader che era vegio si spudava ,
El fiol r aviva a schifi e sMl piava
Per li caveli dredo sol strascinava
Fin ad uno loco ch^el pader si parlava.
Al disse al fiol più no me strascinare.
Fin chi Ioga e (i) strascinò ol me padre.
Chi bate pader e mader mal gne fenire.
Cosi farà li so fioi alor senza fallre.
Chi mal farà per certo mal convè avlre
Che Jesu Cristo ni farà pentire.
Qua de li son vegi de non abir vergonity
Tolemo esempio che ne da la xigonla.
Quand la zigonia è vegia e no pò volare
La zigonia zoven se la met a covare.
E si ie per casa cosse da mangiare.
Quando on oselo ne da amaestramento
Inprendime senza demoramento.
El quinto comandamento nlsu fa morire.
Col cor ni cola lengua ne con sentire
Ni coli honori guarda non fallre
Che a Jesum Xrist farese a despiasire
La zobia (s) sancta Crlst in orto disse:
Chi de agide fere de egide perisce.
Se la morte de nessun te consentisse
Tu l' ulcissi xi cum se tu ferissi.
Ben che el re Erodes li puer non taiasse
Perchè a li fé morir sententia de le madre,
Al deventa levrus a men tenendo
El ven en fastodi a sì et altra zente
E pò se despiro scavasse de presente.
El sesto comandamento non di furare,
Usura ni ranpina non di fare ,
A to Taltru per forza ed a robare,
A to raltru el demoni te liga.
Et a satisfari al to molto gran briga,
(I) ehihgm dicono tuttavia latioamtnt* i Dostri ruUici p«r ^uj. « per #f/i.
(a) mobm ptr giovedì si dice ancora dai villici brMciani.
675
070 APPB?IDICE
Qusindo l'omo è amalato ài vcn a confessione,
El preito ie domanda laUsfaccione;
mora ol damoni ie da tentaptione
E 8Ì ie dis tu guarire ben a se se a du fare rason.
Se Tomo mor in quela e no abia renduto.
Pepsa ben sul e salv o perduta.
El seplimo comandamento non adulterare
Volontera ol damoni tei Consent a fare
Perchè do anime in quel fa pecarc
E da ramur de Cristo i fa a lui tenare.
Per zo ol dumoni ol fa biastemare.
Molli na quista per quel peccalo
Chi lo tei via de la luxuria perseverate
Con sigo ol damoni lo monaraie»
Se In questo mondo penitenda non faraie
L'amor de Cristo el tutto perdaraie.
Per quel peccato bruto e desonesto
Un bel esempio ve dirò manifesto.
Al se lese che air era xinque diade
Morbi e grasi, pieni de gran vanitati;
Homen e femini e cuven in veritade
Usava luxuria cum granda camalitatl.
Per quel peccato deo li fé abissare
Se no tre persone che scampa de lorc.
E rodavo comandamento, si obcdiente
E non fa 11 falsi sagramenti.
Tu biastemi Deo omnipotenle
A voli provar quel che non è mcnle,
Como fi quei do in tei vegio testamento.
In tei veglo testamento se trova
Queli do vegi Susana acusa
Per que a no lai volu consentire.
A là disse che in adulteri la Irovaiio,
E per quel de via fi lapidata.
Sovra quali deo le manda sentenza.
Daniel profeta vcn e dis allora
Questa sentenzia non è Insta seniore.
Ai Uva accusata falsamente,
E lapidati tur fo duramente.
El nono comandamento non desiderare
L^allrui moier ni fiola ni scrore
Che a Jesum Cristo faresti a despiasire.
De David profeta ve voi dire,
La moier tolse ad un so cavalere.
ApranviGi 677
E pò ordinoe e flcelo morire.
Deo ie mandò Paogel e licevol pentire.
AI fl penltencia de quelo gran peccato,
E pò di so fieli se \itcl trebulato.
Un di li floli zaziva cole sorore
E li altri fradeli sei ten a desonore.
A li ulsis Aman ad Ira ed a furore ,
E posa contra ol padre se revoltale.
Quando Caim ulcis Abel, la terra . . .
E de quel peccato lustltla domandava
Po un di cavaler quel Axalon ulcis
Per quel pecad che David si comls.
El decimo comandamento, ubedisel per ruon.
Non desiderar T altrui possession.
Torà ni vini, ni bosco, ni masone
Cavai, ni bò, ne pegra, ni ronzone.
Per invidia Caim alcis Abel,
E li fioli de Jacob vendi so f radei.
Per invidia li Zudei alsi Cristo belo.
Per invidia si desfà zitad e caste! ,
Per invidia se met guerra e razia
E molti personi se met en mala via.
In altro libro di {strumenti del 1540 trovasi inserta una narra-
zione in forma poètica , di cui vi copio solo quelle parti che la de-
cenza concede publicare.
Confessando la mia defeta l'altrer a Sant Agostino
me requerse d'amor fino ol bon ronco frate Sbereta,
A quello Sbereta fratre menando molto conceta
Glie disse ol meo peccato: perdoname mia fallita.
Quando vene a far partita misse man ....
De color tuta me mosl
Credia che santo fosse, e tu sle cosi villano.
To penscr è fol , e vano Tinimigo chi te tanta
Se tu trovi che te consenta, da De sia maledeta.
e via di questa risma.
46
078
AdPKNIMCI
Il Calvi Del Campidoglio de* Guerrieri ( Milano , VigoDe» 1068)
a pag. 295, pubblicò queslo epitafio di Guiscardo Lanci, morto in
Bergamo del I3tt2.
Qui giace l'eccellente cavalieri
Msser Guiscardo , ebe de Lansi nato
El quale di virtù fa tanto ornato
Che dirlo in breve non seria leieri.
Questo de iustitla fo sentieri ,
Prudeute, forte fo, e temperato,
E deir altre sorelle accompagnato
Onde redi fico suo bel venlerl
Del Dobile Hilan, che oxl è il mazore,
Podestà fo in Cremona, e in Piaceosa»
De Brescia capitano fo e rettore,
Genova podestò, e sua potenxa
Compagno fo del milanes signore,
E consiglier compiacque a sua clemenza.
Mille trecento con cinquantadoa
Correva de luio 11 dì secondo
Che el fé fine , e nsd de questo mondo.
Christo el riceva nelle glorie sue.
Il sig. Borsetti mi comunicò alcuni fogli di carta lógori , sui quali
in bei caràtteri è scritto un prezioso racconto sacro della passione
e morte del nostro Signore, che forse si cantava nelle Chiese. Non
hanno alcuna indicazione di tempo, ma le forme delle lèttere e la
lingua lo farebbero crédere del sècolo XIV; ma Tèssere sopra
carta simile a quella che s* incominciò ad usare da noi nel 1400
m* induce a créderlo* di quest'epoca. Eccolo:
Chi voi odi del nost Signior
Cum el morì cum quant dolor.
Che ve diro del comenzament
Cum li Zude fi ol tradiment.
Nostro Signor volei tradì
Ma no ga sai trova chi.
Quant cum li dislpoi Christ cenava
Xi fortement lu suspirava:
Dis un de vo me tradirà,
Puz a la cena questo sarà.
Tug i discipoi a Christ guardava,
E sant Zovan Christ domandava
Bfagister me diri a mi
Chi sera quelu che ve dcrà tradì.
Christo ie respos e tei diro:
Quelu a chi ol pa e sporziro,
E sant Zovan molto stremi
In brazo a Christ stramortì.
El so disi poi falsament
De sira fi lo tradiment;
Basand la boca lo tradì
Tug i discipoi sen parti.
Juda el vendè quel traditor
Trenta dener ol so Signor,
APPE!fDlCB
079
A modo de un ladro ai lo mena,
Denanz ad Ana lo acusa.
Ana respos con gran furor.
Si Io Inquirì per mal falor.
Tosi a Galfas ol menari
Che al dis che a le re di Zudc.
Denanz a Gayfas Crist fo menad
E 8i aspiava (i) Cristo head;
E lu quelo che se fa re di Zude,
Crist ie respos ni bo ni se.
E Crist ie dis xi humelmcnt
Per que me def questo torment,
E ho semper parlad palis
Beat color che me averà intis.
E un de lor la ma levava
Una goltada si ye dava;
E Crist ie dis questa reso
Per que me def senza caso.
A una coIona ay lo ligava
Tuta la nog ay lo frustava,
Peccad no fl (<) a quei Zude
Che lo sangue ie ve fina in di pe.
Quant la nog che al fo frusiad
. In la doma che al fo menad
Denanz a Piiad, al fo acusad
Ana e Gaifas gè la mandad.
Piiat si dis a quey Zude
Al re Erodes vo sii menari,
Cum al vora vo sin fari
Caso (5) ados a lu noi trovari.
E 'I re Erodes a Cristo guarda,
Cum grand furor sì lo domanda.
E tu quel che se fa re di Zudc:
Crist no respos ni bo ni se.
El re Erodes comanda
Vestì lo daves de porpora
Per fasen bef quei Zude
Per que a noi vois in lur credi.
Cum furur ai lo menava,
Denanz a PlIat ai lo acusava,
Cescadu crida e fa remor
Digno a le de mort senza demor.
Piiat Zude sii fi frusta
In la doma sii fl mena,
Caso no so trova a quest doctor,
Toli baraban che le malfaclor.
E lu comenza a cridà
Che Cristo faza crucifica.
Se tu noi fé justisia
Denanz a Cesar tam acusa.
Respos Piiat, i ma men laf (4)
De che ol voli re siel dad,
A dos ye rais una eros
Per dai torment più angustios.
E azi ol fasi va quel Signor
In terra spes per fai desnor
E per me la faccia ye spudava
E de spi pongentl 1 incoronava.
E su la eros ay lo drizava
Lì ma e y pe che ay linchiodava;
De grandi dolori che al senti.
Poco fo de me che a noi morì.
E Jesu Cristo cridava fori
Per li grandi peni de la mort,
E per li peni ch^el portava
E molta zent lu si salvava.
E Jesu Cristo sì el angustios,
Sid ho (tt), dis in plana vos^
Ased e fel ie de 1 Zude,
Bla to non vois ol fiol de De.
Ay pe de la eros 1 fo xì grandi plur,
Non ne al mondo cor cosi dur.
Che no planzis amarament
0 Zant Crist fa gran lamcnt.
Sancla Maria pris a dì :
0 fiol me tum fé mori
(1) E così interrogava. 11 vrrko spiar \ìer chiedere trovati ancora iu alcani dialeUi (»e-
(lemontani.
(2) Non mosse a comjNissione. Peccato per compassione è usato gencralmeata nei dialetti
lomhardi e vèneti.
(3) Caso per colpa ; quasi dicesse: Cagione di condanna.
(4) Me ne lavo le roani.
(5) Ho sete.
680
APPK5ID1CI
Quant a te guardi fiol me bel
01 cor me passa d^un cortei,
0 fiol me quc doyc fa (i)
Più In questo mondo no voyc sta
Quando tu nassis a malegre
No vegc ben lo dolor me.
0 santo Zoan dilcclo me
De la facla del floi me
Sanguancnta fina In di pe
Se al fo mai dolor al me.
0 dolor grand tu me fé morì
L'anima mia tu la fé parli.
Signor Zude fidnenpiatad
Dol fiol me tanto formentad.
0 erbor formad en eros
Al me fiol così dolz
No le da tormenti cossi angustio»
Ay member cossi doloros.
E pò se Tolse a san Zovan
Che stava li dolent e gram,
E pò le dis, 0 Zoan me
Da mi se part ol spirito me;
E pò se volsive a le Marie
Che planziva tutl tre
E dis seror que doye fa *
Ch'el cor me se fent.
Marce te (2) gram floI me car
Zoan e mi que demo far
Credlva avi de ti confort,
Per ti fiol voref ia mori.
0 fiol me de pietad
Asse di to fa abandonad
Sola romagnio dolzo fiol
Zoan e mi stam in gran dol.
Pariom fiol me che ten preghi
XI cum la glaza mi dclegul (s)
Spesso le guardi curo gran dol
£ de sangue fiol e ol to color.
Tu me lassas cosi furilina
Per tua madcr e per ancilla
E te nudrlghc cum gran delect
Quei may Zude te ma tolet.
Sie vo gram signior Zude,
Rendim a mi ol fiol me.
Credi m a mi la veri (ad
Che a le Si^nur del regnio bead.
E pò reguarda ol so fiol,
0 lufl del mondo de te me dol
Quant a (e vego xi stradiortìd
De grani dolor noy pu morir,
Po dis o dolzo fiol me
No me lassa viver de dre.
Consola mi e li seror
E la Mandalena che ha dolor.
E Jesu Cristo ie respos,
Femina, ic dis in plana vos,
£ le do Zoan per to car fiol
Che te go no posso star cum e sol.
E tu Zoan la di guarda
E per mader la di ama.
Cristo guardanti firmament
Clumel so pader de present.
0 pader me e le recomandi
01 spirito me che te Io mandi:
Abassa li ogÌ e st remorti
'L'anima illora se parti.
Longino ebreo no demorava
Cum una lanza l'impiagava.
Donde sangue e aqua si ne insì,
La luna el sol si fa scuri.
Quant a la vid ol so car fiol
Che era mori a xl grant dol
Caziva in terra strangossava
Per che ol fiol la abandonava.
E illora fo plang angustios
Da li do parti de la eros
La mader crlda 0 floi me
Cum gran dolzor e taleve.
0 fiol me, le vegc sta
Su la eros xi rcpossa
Che tu no senti za più di
Che romagni cum grand dolor.
Più se turba el mar el vent
E li stelli del firmament
(1) Cba^dcgg'io fare?
(3) Tua mercè.
(^) Coti comt il ghiaccio io dileguo.
E i morg insi de li molimeng
Qiiant ai odi xi gra toriueng.
E li planziva forlament, \
La Mandalcnr» verameiil ,
E li Marie planz e plura
La vlrgina sancla e pura.
O zcnto giiardod ol me fluì
Se al mondo fo ma dolor iii del
Guardo cum i sia i ma e i pu
E '1 lad circ fcrid do! fiol me.
Quel che fo saiiclilicad,
Del Spirito Saiicto fo annunciad
In dol me corp ciim gra dolzor,
Ma non perdi la sua fior.
O Gabriel tu ma saludas.
3Iader de Crislo tu me giames
Tu me benodis ol frulo me,
Tolet me Ta i fui Zude.
L'angel rcspos, tu salvare
Mader de Crjjjto chi tu %'orc
Al terzo dì le aparirà
Quel che tug ne salvarà.
E san Josep e Mcode
Tols zo de la eros ol fiol de De,
Quand zos de la eros fo deponud
I iiuol die al fo che a tera nud.
Al moliment Cristo fo pnrtad.
Li Marie dred ie vu plurant,
Dred i va Sane tu y.nvÌA
Che soslenis no se podia.
Lo secondo dì che Crislo morì
La Mandalona sii qneri;
Cum onguent precios
Da onzes Crislo glorio^.
4-'
V '^
fi8S
*•
E H *i tPi ..
01 corp Uè tri.'..,' J.. '
E elio si \^ ,t^,^*' 'j;
TorneU iiidred. ii^^,'
Ch« al sia fori e li. .J..;'" "-
Che in Galilea aparirà
Al dì de Pasqua eh' \\ n^ ^
Alegramcnt indred torna '*
La Mandaiena si lo guarda
E si era uno orto iU6 a pe
E Jesu Crislo dentro si andè
La Alandalena si lo guarda
E si yc dis, 0 ortolà
S*avre*ttu novella del meyster me;
^o me locha zo, dis a lo
Guardei al vis sii cognove
£1 dolzo Cristo si tol da pe.
Indred torna cum grang dolor
Illora dis a li seror
Lo vezud ol me Signior
S'il vols tocha cum grand amor.
Chi voi ser\i a Jesu Crist
Di so peccad sia ben contrit
Prcnza Libilo de la caritad
La eros vermeya el campo bianeh.
Amen.
Il dottissimo Barnaba Vncrino ncll' òpera Gli scrittori di H èrga-
mOj Bergamo, Antoinc, 1788, nioslrn che Giovanni Brcssano nalo
in Bergamo nell'iUO, compose intorno n setlantnmila pezzi poètici,
parie Ialini, parie italiani, parie bi^rgamnsclii, che in grande parte
andarono dispersi, ed ulonni vennero pnblicnti a Brescia sotto il
titolo di Tumuli da voi citati, nitri sì unirono in un libro mano-
scritto, che ai tempi del Vaerìno era posseduto dal conte Marco
Bressani, disrendcnle dello scrittore, e che ora e serbato nelln pii-
blica biblioteca di Boriiamo. In questo vennero trascritte eziandio com-
posizioncclle bergamasche di Pietro vSpino e di Fra Benedetto CoUconi
683 APPumci
degli Umiliati, il quale aggiùnsevi anche dae sonetti in. lingua no-
varese» che farò seguire a queste notizie. Dice il Vaerino che a* suoi
tempi « fra le scritture bergamasche si ricordavano la traduzione
della novella 0.% giornata i.*, del Boccaccio , fatta da Salviati, e la
traduzione delle Metamòrfosi d* Ovidio per D. Colombano Brescia-
nini Benedettino, e nella biblioteca di Bergamo si conserva un ma-
noscritto col titolo: nime di Giulio Quinziano^ 90tio il nome di
Tonello 9 bergamasche e bresciane e misticalCf che sembrano della
fine del secolo XVI.
Questa canzone del Bressano, fra le manoscritte, è importante
anche per pittura di costumi.
Per le noxxe di Francesco Jgosto e Margarita PesH.
Non com più voja aspecia ol di 'natal
E la vendumia i pug, e per nò 'oda
A scola, e per avi sover chef zal
L^octava d' Pasqua, gne colui chi s'ba
Promelut e dig si per matrimoni
Al tep cbe d'gras no mangia 1 bo critchià.
Gne com tal desideri Sant'Antoni
Per vend beligog, pom , caslcgni pesti
Da Pollranga e Surisel specia ! doni, (i)
Gne ai desidra ch^as faghl di festi
I Madoni pomposi e balarini,
Per baia e per mozà i su zoil e vestì ,
Gne più specia quel di 'indasmeti i spini
Sui vasei, ch'alor dia da scud i f\i
Olirà i daner, capò, anadròg, galini.
Insomma più ca i oxepi cho scrig
Chal pasi carnaval , ol bel Ronzi
Desidra, e quest'ai l'ha più %'olti dig,
Per podi, com'el fava a sbaraii,
Zuga con quest'e quel, ma spccialment
Con quel so concorrent ches clama 0pi,
Per que za più d'u mis fc 'n sagramct
De no zoga fi cMia noi fos passai
01 dì chi fa tal matezà la zet-
Es dis de am faghi romagni stropiat
Sa zugi Dna, me e stag in cervel
E (Ina 'ncù, sebc le stag cinzet.
(1) Anche oggidì nel giorno di S. Antonio le donne di Sorisole • di PooUraDka f^*
fpao a Bergamo ■ vrndrre rattagnt secche e pomi.
APPUDICI C88
A le be vir eh* al gben va io ^1 budel
Quand al te met vergo a ioga, e cbe In
No pò a 80 mud manezà quel osdel (i),
E quel dì ch^ e pasat a u per u
E ch^a da gol tati setmani ac par,
Dapo cb^a quel seonxor as laghe fndu
E stag al ga pò es no pog de car
Cb'al babi babut da piadeza col zogu»
Cbe a tus rincres, gne stag u bo repar,
E se diraf coi uliscbi d' pom codogn
0 i brugna, figa, dag u bo cavai
E fai plani tat eh' al gnis zo M mlzogn ,
S'al sa metis ma più sto pis ai spai
Ixi ac d' ioter come ac ne pareg
ChMs uncia quand ai perd pu tri marebeg.
Questa è del Quinzaoo.
Olem, sales, castagn, alberi, nos
Li rover coi onis, opoi e spi,
SI comMe de quest*tep qui fura zos
Cbe sui so ram noe cata più oselì.
Ixi sto mi per queste vai ascos
Dal me sol lonz ojde cbem fa morì ,
Ma s'ha da vegn quel oter ombrios
Per que cum quei n^bol mi da reverdì?
Ch''el me bel sol, de quel cblar nom vestut
Cbe fassa el rossol d^ uf prima del gus
Et ai maleg refresca le l>ais (s).
Sto mes che ve Tharà. In so virtut
Em rivarà j so raz fina sul us
E resseti em farà brocb e rais.
Se gho per ti crudel vendug i bu ,
EI car, el piò, li zapi col restei
L'berpeg, la gol, coi oter osanel (s)
Che sdma nei bailo (4) da fa i fag su.
Ho fat tut quest per fa cbe dai fag tu
Havcs quel buo più dolz di brofadei ,
Ma The d'ol cur tat dur i picanei
Ch'o trat via tut senza podin potu.
(I) Osdtl e osadei per utensUio ael i5oo era comuotineote aulo a Bergamo, ora non
li lerUa cbe nella lingua rùstica suborbana.
(a) Bmis per fàuci f ora ti oia solo per quelle de*pcKÌ.
(3) Oumei per osadei,
(4) Bmiio per case.
tBh AmRDlCI
Si che po8 tu li braghi, e fa u Michel,
E fo per i US mo ancia cerched dol k»
Canled coi me aiglor quesroracio.
Amur m'ha fat vedi quel giocarci
Zo chivi al mid goe ni ho del resi serva
Oter che quesl'suglor che sciega buo.
Questa poesia sa più del bresciano da Quinznno, dove il nostro
Giulio sembra avere dimorato. Prettamente bergamasca antica ap-
pare invece la frottola seguente di Fra Benedetto Golleoni che pare
scritta intorno il 1600.
U de ste dì ali' hostaria zc u babió
A Putsanpeder, pos bora d' compieta,
A Phoslera agb demag una polpeta
E cog a rost d'u bis, u balatró (i)
Cum dag intend ch'ai era u laciét bo:
LvL mangiè tut, e la nog sol a pietà
01 vetr agh brontolava, gne trop neta
La cosa andèy gne sentiva da bo.
Gb'al vegnMn rota col marit dM'hostera
Dighet ch'ai g'hiva dag quae ribalda
Da mangia, e biestemmava sant'Antoni.
E lu grignct confesse com'aPera
Cum dì quesl: am la fag p6r bufonà
E i balatró ch'ai è i lacicg di doni.
E lu dis, am dcsponi
D' mostra a vostra mojér cola reso
Ch'ai è più ch'ai laeieg dur i coió.
Lo Stesso Fra Benedetto scrisse in lingua novarese questi Sonetti
Contro i medici,
Ar san de guenglcr uni musa dra sent,
Che fusen inpichc zti procurù
E 'n dra gora zcané tug i dotù
Cha no sentruva un hom da ben in chient.
Ai tran dra bonza i dnè a travimcnt,
E s'vuren i rie, i tezlon i zcu,
Sti gran radron, maria, sti bic morsu
Fin cha noi masi tug no zon contenl.
(1) BaUlrò p«r rnman-o.
APPENDICI 08 tf
Ar è tri ago e più cli'o pfevesava
Ra dota che perven a mia ceru
E più ella d'nans ai me r'han ingarbiav»
E t* m^ han perà fu i per a vun a un
E tan ho spes or flà, cor e corava.
Che no crcs più d'havè per In dor cu.
Racconto dCuna lite.
I ban fa i remò in contrada d'san Vichlu
Histro dreni Zchìton marslagorè
Gontra mlstro Zuan-anger Teceré
Ch^al s'ban dai di peténgb intra tul du,
E 8' a nor gnlva tozt or gob brentu
A intraroesà ra strava dor pasque
Criend artniro, artnìro, or zu zie n dre,
Zuan-anger no portava a cà or co.
Ar rhiva con Zctiiton tant mar parava
Per quera ghemba ch'ar no pò drisà
Ch^ar fé cor cu d'pagura una fritava.
E ra cason ch'ai se vuren tant ma
Ar è ch^ai fen chrustiù sta zia passava,
Dar temp che Ingh comensa a pinchirà.
// 9oslro affiesionntiftim^
Gabriele Rosa.
FINE
ERRATA
CORRIGE
Pag.
n
n
n
n
84
Ivi
Ivi
Sto
ivi
819
881
864
463
464
ivi
880
lin. 1 g
M 8 «
n H X
99 89 Forl>e8oni
» ss Forbesoni
99 84 Borgotarese
n 8 Ramo Boumhbsb
M
n
M
n
i
i
i
Parlesana
Parlesana
Frignanese
Gauppo Boi.ooaisa
I Si sopprimano le parole Diautti Romacnou
48 Forbesoni Partesana
I Forbesoni Partesana
4 Forbesoni Parlesana
81 orientali occidentali
INDICE
Nota Preliminare Pag, ni
Introduzione n v
Prospetto generale dei Dialelli Gallo-Ilàlici » xlv
PARTE I.
CAPO I.
% f. Divisione e posizione dei dialetti lombardi n s
n 8. Proprietà distintive dei due gruppi occidentale ed orientale»* «
w 8. Proprietà distintive dei singoli dialetti » 7
fy 4. Osservazioni grammaticali in generale '» 18
CAPO II.
Versione delia Paràbola del Figliuol pròdigo nei principali dialetti
lombardi n zz
Lingua Italiana n zs
Dialetto Milanese >» 86
n Lodlgiano m 87
n Comasco w 88
» di Groslo (f^altellinese) » se
» di Bormio » '> 40
» di Livigno " "41
99 di Val Pregaliia (Cantori Grigioni-yaltellinesé) . . » 4«
» di Val Maggia (Ticinese) » 45
» di Val Verzasca » w 44
M di Val Leventina » n AZ
>» di Val dì Blenio » » 46
>» di Locamo »> » 47
»> d'Inlra . (yerbanese) »> 48
M di Borgomancro n n 49
" Bergamasco » 80
>9 Cremasco » 81
» Cremasco rùstico » tts
99 Bresciano » 88
»9 di Valcamònica (Bresciano rùstico) » 84
*9 Cremonese »» 88
088 juDici
CAPO III.
Saggio di Vocabolario dei dialetti lomlMrdi Pag, »r
CAPO IV.
Cenni istorici sulla letteratura dei dialetti lombardi >» S9
Letteratura dei dialetti occidentali . »» ti
f» dei dialetti orientali . • >» !•«
CAPO V.
Saggi di letteratura vernàcola lombarda •» ut
Dialetti occidentali » ivi
Milanese n Ivi
Ticinese «» iir
Verbancse . • • • . m ut
Lodigiano «...«IM
Comasco » iso
Dialetti orientali n lai
Bergamasco •» Ivi
Cremasco m lit
Bresciano «iti
Cremonese *» i6t
CAPO VI.
Bibliografia dei dialetti lombardi >» f7i
Milanese » Ivi
Lodigiano «» I8i
Comasco w ivi
Ticinese » ivi
Verbanese »> Ivi
Bergamasco *9 I8S
Cremasco » ita
Bresciano • » ivi
PARTE II.
CAPO I. •
J I. Divisione e posizione dei dialetti emiliani «^ loi
» 8. Proprietà distintive del tre gruppi Bolognese, Ferrarese e Par-
migiano » !•«
»* 3. Proprietà distintive dei sìngoli dialetti «> I97
M 4. Osservazioni grammaticali in generale »ait
INDICI 680
CAPO II.
Ycnione della Paràbola del FigUuol Pròdigo nei principali dialelti
emiliani Pag. iss
Dialetto Bolognese n 884
99 Faentino {Romagnolo) »>88tf
*t Ravennate » m st6
M Lughese n >t 887
n Imolese *• n 888
99 Forlivese «t » 8«t
*» Riminese 9$ m 8S0
H Cervese » 19 83t
*» di Cattòlica »> » 2ss
"» Modenese »» 8S3
» Reggiano ..••••» 8S«
99 Frignanese (di Sestola) m 8sa
>» Ferrarese » 8S6
» Comacchiese •» 8S7
M Blirandolese • w 8S8
» Mantovano n t38
'9 Parmigiano • *» tic
»> Borgo-Tarese » 841
»9 Piacentino 99 848
" Bobbiese m 84S
» Bronese »» 844
»» Valenzano »» 84tt
>» Pavese » 8 48
CAPO 111
Saggio di Vocabolario emiliano » 847
CAPO IV.
Cenni istorici sulla letteratura dei dialetti emiliani m 898
Gruppo Bolognese » ivi
» Ferrarese w sto
»> Parmigiano f» sis
CAPO V.
Saggi di letteratura vernàcola emiliana •> sai
Gruppo Bolognese >» ivi
Boiognese w Ivi
Forlivese t» 884
•
ft90 INDICE
Gruppo Fusignanese {Dialetto Bomagnolo) Pag, set
Lughese . >f , n S7S
Uodenese » 87§
Reggiano » sts
Frignancse n 401
Gruppo Ferrarese » 406
Ferrarese »» ìyI
lliraodolese m 4ti
Mantovano n 4t4
Gruppo Parmigiano n 487
Parmigiano » iri
Piacentino »f 4SS
Pavese » 441
CAPO VI.
Bibliografia dei dialetti emiliani » 4<i
Bolognese n Vs\
Romagnolo «9 4 ss
Modenese » Ivi
Reggiano n 4as
Ferrarese f» ivi
Mantovano n 4f 4
Parmigiano » 461
Piacentino n 466
Pavese «Ivi
PARTE III.
CAPO I.
§ I. Divisione e posizione dei dialetti f)cdemonlani . . . «9 47i
§ 9. Proprietà distintivo doi tre gruppi Piemontese, Canavesc
e Monferrino n 474
§ A. Proprietà distintive dei sìngoli dialetti k 478
^ 4. Osservazioni grammaticali in generale •> 49u
CAPO 11.
Versione della Parabola del Figliuòl pròdigo, tratta da S. Luca,
cap. W, nei principali diale! ti pedemontani n So4
Dialetto Torinese •> «05
9> Asiigiano (Piemontese) » ttoe
»' di Tossano »> 507
»» di Cuneo » Kot
V di Caraglio (Valle della Stura, prov. di Cuneo) . . » 50S
V di Torre (Valdese) ?» 5io
INMCI SVI
DlBldlo di Lanio Pag. iii
» di CoriD n SII
•< di Limone u bis
» di Vaidieri (Valle di Ce»o, prov. di Cuneo) . . . >' ai4
u di Vioadio » aia
M di CiutelmaBuo ( Valte di Grana, pruv. di Cuneo) » Bit
>> di Elva (Valle di Uacra) „ tu
» di ACCeglio (Vaile di Hacra) n sie
» di San Pcyre (Valle di Varàila) » sia
d'Onelno (Valle di-1 Po) •> mio
» di Fencslrclie (Vaile di Prageias) » su
» di Ctagllone (confine di novulcsa) » ssi
» d'Oulx (Valle di Dora Riparia) » a»
» di Viù (Valle di Lanzo) n ttt
H d'Us»egl[o (Valle di Lanzo) » sia
•> d'Ivrea (Cuiiavp^e) . « sje
» di Vercelli (Canaveael n bit
» di S. Bernardo preaso hrca (Cunavesc) » sib
» di Pavone (Canavese) n sa»
» di Vlslrorio (Canavese) i> 830
» di Caluso (Canave^e) >> su
•> di Strambino (Canavcsc) n si*
» di S, Giorgio (Canavese) « sss
» di Caslcllaaiontc (Canavcse) •> si4
•• di Talpcrgn Canavese) » ssb
» di Poni, AlpcUc e Frassinello » use
» di Locana (Canaveae) » B3T
» di Sparane (Canavese) „ m
'< dcilH Valle di Soana (Ingria, Ronco, Vatpralo e Cam-
piSliu) „S39
•t di Ririla (Canavese) „ S4U
■' di Caravino (Canavese) „ B^i
» di Aiogtio (Canavese) ■> s«a
» di Bo^omaslno (Canavese) „ k^j
" di Drusarco (Canavese) » s-i*
" di Rueglio (Ciinavese) „ jm
" della Viilic [l'Andorno (Canavese) » s^s
» di Setlinio Viilonc (Cnnavesc) a t*7
'• Ales<ianclrinn {lUonlcrrlnu) u B*a
" di CaMcItazzo Gumondio (Monferrino) b B4B
" di Caslctnuovo Bòrmida (Montcrrinn) nato
» di BislagDo (llonfcrriiio) » bbi
•• d'AHia (Monfcrriiio) „ sai
" di Jlundovi „ ..,
* 4.
603 INDICI
>
Dialetto del Cairo (Mouferrioo) Pa^r. st«
t> di tìarcssio (Provincia di Mondovi) j» ssi
M d'Omiea (Provincia di Mondovi) m#M
CAPO III. *:
Saggio di Vocabolario pedemontano » «gy
CAPO IV.
Cenni Istorici sulla letteratura dei dialetti pedemontani . . . m B78
CAPO V.
gaggi di letteratura vernàcola pedemontana n b9i
Gruppo Piemontese t» ivi
di Cliieri » Iv
Saluzzesc n «00
PioiRoiifcse rùstico . ■* §0i
Torhìesc »» UV
di Suluzzo e d^EIva •» ••?
Torinese n eot
Astigiano » 83<
Astigiano rùstico n osa
di Poirino k 63«
Gruppo Canavese n «io
Vorrellese »> ivi
Brozzi'sc » 841
Gruppo Monferrino » ew
Alessandrino » 014
d'ACipii K 64t
di Mondovi 9f e4t
CAPO VI.
Blbliografla dei dialetti pedemontani n osi
Gruppo Piemontese n Ivi
Appendice alle precedenti bibliografie dei dialetti Lombardi ed
Emiliuni n 901
Dialetti Lombardi » ivi
Milanese »> ivi
Dergamasco » B63
Bresciano » 067
Dialetti Emiliani *! 668
Bolognese « Ivi
Pavese " e6f
AproDicE. Lettera di Gabriele Rosa » ii70
;. 1
\
I
4.
,1
I